Oinos - Vivere di vino - 2019 n.4

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avanzava con prepotenza presentandosi ancora vergine, ricca d’arbusti aromatici come i ginepri, la stipa e i corbezzoli che fan da sottobosco alle querce e ai lecci. Così riscoprirne la naturale vocazione e ripristinarla con l’aiuto delle nuove tecnologie ha rappresentato per noi una grande sfida. Così il nostro logo richiama le arti liberali, la base dell’antica conoscenza, perché proprio la conoscenza è la base della vinifi-

cazione e la storia è la nostra ispirazione”. Se le premesse per la coltura della vite c’erano tutte, imponente è stato il lavoro di recupero per sottrarre i campi al bosco, trasformando queste terre in luogo vocatissimo per la viticoltura, baciato da un microclima fatto di sole mediterraneo e brezze marine, complessità e differenziazione di suoli ricchissimi di minerali, pendii dolci e ben esposti. Qui infatti il clima riceve l’influenza mitigatrice del vicino mar Tirreno – a soli 7 kilometri in linea d’aria – che contrasta l’esposizione ai venti freschi della Val Padana, a cui i monti dell’Appennino Tosco-Emiliano non riescono a opporsi. L’influenza marina è forte perché tra l’azienda e il mare non vi sono ostacoli, quindi i venti di maestrale e libeccio arrivano diretti sulle vigne, portando tutte le proprie caratteristiche di sapidità e una forte azione sanificatrice. Oggi, oltre a 20 ettari di bosco e 40 d’oliveti e seminativo arborato, la tenuta Pakravan-Papi consta di 21 ettari di parco vigneti, tutti a circa a 200 metri s.l.m. (6 a Sangiovese, 5 a Cabernet sauvignon, 5 a Cabernet franc, 2 a Merlot, 1 a Petit verdot, 1 a Chardonnay e 1 a Malvasia), che presto arriveranno a 25, per una produzione complessiva di 60mila bottiglie all’anno – nel prossimo futuro saranno 100mila quando tutti i vigneti entreranno in produzione – con una quota export del 70%. I suoli d’impianto sono di diversa origine: argille di sollevamento lacustre frammiste a palombini con presenza d’intercalari calcarei – pie-

tre di forme inconsuete e colori inaspettati che vanno dal nero assoluto, al verde, al rosso mattone – fanno certamente la parte del leone nella valle a nord in cui è impiantato l’autoctono Sangiovese, mentre acciottolati d’origine effusiva si trovano nella parte centrale della proprietà, dove sono coltivati i vitigni “bordolesi”. Infatti se nella vicina area di Bolgheri i vitigni internazionali sono a casa loro da 75 anni e hanno ormai una comprovata storia di qualità, qui siamo verso l’interno e gli sbalzi termici tra giorno e notte sono più marcati grazie ai venti che i monti non fermano, quindi anche il Sangiovese trova un habitat di tutto rispetto. Dai vecchi filari a margine degli oliveti sono stati prelevati cloni di ‘Sangiovese piccolo’, che era il re dei vigneti del Chianti, qui probabilmente giunto coi primi agricoltori che si sono insediati alla fine del Settecento: “Da sempre la Toscana è la terra del Sangiovese o ‘Sangioveto’ come lo chiamavano i vecchi contadini – racconta Enzo Papi – oggi il ‘Sangiovese piccolo’ ha lasciato molto spazio al ‘Sangiovese grosso’ tipico di Moltalcino che esprime maggior rotondità, ma noi abbiamo preferito rispettare la ‘storia’ di questi luoghi e valorizzare la complessità dei profumi e l’eleganza del ‘Sangiovese piccolo’ che, nel nostro microclima – abbiamo una piovosità di 100 millimetri l’anno, ben inferiore a quella del Chianti – esprime una maggior concetrazione e una notevole struttura che ne arricchisce la sapidità e la possibilità di un lungo invecchiamento,

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esprimendosi con una forza che spesso non trova nel Chianti”. Ma la conca del Cecina è diventata nota soprattutto per la sua capacità d’esprimere le tipologie “bordolesi”, così l’ipotesi d’impiantare Cabernet e Merlot doveva dunque necessariamente esser presa in considerazione. Come non pensare ai terreni d’acciottolato formatosi dal graduale disgregarsi di rocce effusive che, con la loro ricchezza di minerali, ci ricordano che siamo ai bordi delle colline metallifere, origine della ricchezza degli Etruschi di Volterra? Si parla di residui di colate laviche antichissime che hanno dato luogo a gabbri rossi ferrosi che, non essendo a contatto con acque sotterranee, si sono sciolti lentamente per milioni di anni, creando terreni friabili con un humus straodinario, apportando estrema mineralità ai suoli. Così i vigorosi Cabernet e Merlot sono stati impiantati in questi terreni fortemente scolanti – che consentono solo produzioni dai quantitativi limitati – esposti a mezzogiorno con densità non eccessive per non infierire sulla vitalità della pianta, già provata dalla povertà idrica del suolo. I risultati sono stati vincenti e premiano la struttura e i profumi del vino che assume un tratto marcatamente mediterraneo e gli conferisce una nota distinta dai famosi vini dei vicini bolgheresi. Ma calpestando le vigne si notano anche vitigni bianchi, così si scopre che la vera sfida fu la scelta

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