Costozero Febbraio/Marzo n.1/2016

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Emirati Arabi Uniti, fattori e numeri di attrattiva Uno studio di SRM stima che il fatturato totale prodotto dalle 330 imprese italiane presenti in tutte le 36 Free Zone degli Emirati Arabi Uniti sia pari a circa 650 milioni di dollari

di Luca Forte Osservatorio Mediterraneo SRM l.forte@sr-m.it

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ono numerose le imprese occidentali che decidono di trasferire parte delle loro produzioni o fasi produttive in altri Paesi, dove creano nuove realtà societarie di diritto locale che operano in stretto collegamento con le case-madri in Occidente. Questa tendenza riguarda imprese appartenenti a tutti i settori produttivi, seppur con grandi differenze tra i vari comparti. Le ragioni che inducono un numero sempre maggiore di imprese a varcare i confini nazionali sono diverse. Vanno dal contenimento dei costi di produzione alla disponibilità di materie prime, fino al presidio di mercati altamente profittevoli. Oltre a queste realtà, esiste un nutrito gruppo di grandi operatori multinazionali, con base in Occidente e dotati di un consolidato know-how in comparti specifici, che lavora in molti Paesi emergenti nel settore delle grandi opere infrastrutturali, quali strade, ferrovie, porti e piattaforme petrolifere, pur non avendo una presenza stabile in loco. Quanto alla “geografia” delle delocalizzazioni, anche in questo caso esistono profonde differenze tra le imprese internazionalizzate. Quelle appartenenti a settori tradizionali, che puntano sul contenimento dei costi di produzione, scelgono Paesi con un basso reddito pro-capite della popolazione, mentre quelle con produzioni a maggiore valore aggiunto optano per destinazioni in cui la manodopera è altamente qualificata, pur se costosa, sfruttando l’opportunità di una presenza più vicina ai mercati di destinazione finale. In tale contesto, alcuni tra i Paesi del Mediterraneo extraUe e del Golfo (c.d. Mediterraneo Allargato, un’area che comprende Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Giordania, Turchia, Arabia Saudita,

Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Oman) rappresentano sempre di più Paesi-target per investimenti produttivi da parte di imprese occidentali in generale, e italiane in particolare; le esigenze delle imprese in materia di contenimento dei costi, di presidio dei mercati di sbocco e di approvvigionamento di materie prime di cui si è detto, si sposano perfettamente con i ricchi pacchetti di incentivi che molti dei Paesi dell’area mettono a disposizione per attirare investimenti dall’estero e inspessire il proprio tessuto produttivo. Tra questi, gli Emirati Arabi Uniti costituiscono una delle destinazioni più attrattive degli ultimi anni. Vediamo perché. Il grado di apertura internazionale dell’economia emiratina - una misura del livello di integrazione del Paese nel commercio mondiale - è molto elevato ed è cresciuto costantemente nell’ultimo ventennio; l’incidenza del commercio estero sul Pil ha toccato infatti il 160% nel 2014 (era pari all’80% nel 1995). Con riferimento alle sole esportazioni, nel corso di questo lasso di tempo è variata la composizione merceologica dell’export emiratino: l’incidenza dei prodotti energetici è passata da oltre il 70% nel 1995 al 58% attuale, a indicare il crescente ruolo degli Emirati quale hub di produzione e trading di manufatti. Una fetta importante delle importazioni degli Emirati viene riesportato in altri Paesi, configurando gli EAU come uno dei principali trading hub a livello mondiale. In particolare, gli Emirati sono il terzo hub commerciale di re-export al mondo dopo Hong Kong e Singapore: il 33,9% delle importazioni degli Emirati viene riesportato verso altri mercati di sbocco; con riferimento ai primi 6 mesi del 2014 la percentuale di importazioni riesportata


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