Raduga 2011

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nella decade precedente aveva infiammato i rotocalchi delle Tre Venezie per alcune scampagnate notturne, di gusto felliniano, tra i ruderi delle sue ville sul Brenta –, si era dimostrato tanto ligio alle tradizioni aristocratiche da sviluppare via via una schizofrenia compulsiva, così che lo Stato si era accaparrato il palazzo per una pipa di tabacco; e visto che neppure i carabinieri, cui il Bencede era stato subito girato, intendevano sfatare gli stereotipi nazionali, senza perizia né restauri né polizze assicurative ci si erano installati in pompa magna, stipando il salone di archivi, macchine da scrivere e scrivanie di mogano. Ogni tanto, è vero, rumori sospetti provenivano dalle pareti, come di un polpo dalle grosse ventose: “Pop! Pop!”, che si spostasse invisibile di stanza in stanza; certi scricchiolii del pavimento, sotto il parquet infangato da quella moltitudine di scarpe basse e nere, ricordavano i ciocchi troppo secchi gettati nel fuoco; fino ad allora, però, nulla aveva fatto temere il peggio. “Caro Generale!... A che devo il piacere?” Il Gentiloni spinse a sua volta la porta del bar. All’epoca il Mirandola gli dava una ventina di chili, ma a vedergli l’ultimo bottone della camicia, in sovrumana tensione sopra la patta, l’Architetto rasentava anche lui la grande obesità. La barba pepe e sale gli donava un che di serio, ma sarebbero bastati i tratti così veneti del viso, gli occhietti aguzzi e lucidi, gli zigomi affilati a dispetto delle gonfie ganasce, per capire che te la voleva mettere in culo alla prima occasione. “Carissimo Architetto!... Come sta? Il piacere è mio, come ora vado a spiegarle...”

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