Master Meeting Italy's Best 07-08/2013

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albergatore non potrebbe mai fare comunicazione via radio e televisione (come fa Trivago). Le OTA invece possono e si spacciano per “gentili intermediari a costo zero”, rastrellano viaggiatori ignari di quello che accade veramente. Se i turisti si rendessero conto che telefonando direttamente i gestori d’albergo li farebbero spendere la stessa cifra per qualcosa di meglio non sarebbero comunque felici. Le telefonate, le prenotazioni dirette sono una cosa vecchia, desueta, fuori moda. Andando in rete e facendo booking on line si studiano alternative, punteggi, recensioni ... Così si sceglie l’albergo migliore. Ma in realtà quello che si ottiene prenotando attraverso le OTA è sempre peggiore di quello che si potrebbe ottenere parlando direttamente con un receptionist. Perché allora le OTA si espandono, crescono e dettano le regole del mercato? Le OTA sono state una sorta di “cavallo di Troia” per gli albergatori. Con queste, pensavano di liberarsi dall’assedio dei consulenti, dai costi del marketing, dai tour operators e dalle agenzie viaggi. Sono cascati in trappola, anche i più diffidenti. Anche quelli che hanno sempre “disprezzato” i tour operator, si sono consegnati al fascino dell’innovazione e si sono resi disponibili a consegnare una parte del loro inventario camere alle Online Travel Agencies. E così attorno alla metà del decennio scorso iniziò la grande festa delle OTA. Quel “cavallo” sembrava perfetto per riempire i vuoti e i punti morti del calendario. La gratitudine degli albergatori verso le OTA crebbe, i prezzi iniziarono la discesa, le camere messe a disposizione aumentarono e gli albergatori non si accorsero nemmeno che, piano piano, i clienti dimenticavano il nome e il brand del loro albergo, sostituito nell’immaginario collettivo da Booking.com, Expedia, Trivago, etc.. Senza colpo ferire un settore dell’economia turistica si lasciò sfilare da sotto il naso la propria clientela, sempre più affezionata alle OTA e immemore di tutto quello che l’albergo aveva fatto per fidelizzarli e farli stare bene. Come dice Larry Mogelonsky, che

lancia l’idea della ribellione e usa la metafora del cavallo, l’antica Troia fu distrutta perché non si rese conto che in quel cavallo di legno c’era un esercito ostile. Oggi nel cavallo di Troia si nascondono i revenue manager. Sono loro che mettono a disposizione delle OTA, ogni giorno, il patrimonio di alloggio, ovvero il cibo che nutre le OTA. Sono i revenue manager ad accelerare il successo delle Online Travel Agency e ad accentuare la tossicodipendenza della quasi totalità degli albergatori. La droga fa questo effetto: sembra fare bene alla salute, gradualmente il tossico ne raddoppia la dose mentre il suo fisico inizia a indebolirsi. Oggi un albergo arriva ad impegnare il 70-80% dell’inventario camere suddividendole tra più OTA, le quali lavorano per sottrarre all’albergo le prenotazioni dirette generate attraverso i normali canali di marketing. Sintesi: l’albergo perde avviamento, reputazione, notorietà e clientela prodotta negli anni. Non è tutta colpa delle OTA se la clientela è sotto ipnosi e non prenota più in maniera diretta. A Milano e in altre piazze d’Italia sono numerosi gli albergatori che hanno percepito la minaccia. Sono terrorizzati dal futuro, dai ricatti, stanno studiando alternative, vorrebbero ribellarsi, ma la dittatura delle OTA è più forte e si esprime con gli aumenti delle commissioni. Ci si può mettere di traverso? Si. Nulla infatti obbliga l’albergo a dare una certa disponibilità di camere, la disponibilità è facoltativa. Immaginiamo allora che a Milano, per una settimana, gli alberghi decidano da non dare alcuna “disponibilità”. Otterrebbero una settimana di esposizione gratuita sul circuito delle OTA. Imporrebbero una settimana di dieta ai revenue manager e una settimana di prenotazioni possibili solo attraverso le fonti dirette (sito web, e-mail, telefono diretto, passanti, così via). Sarebbe come misurare la pressione a un moribondo. Come minimo gli albergatori otterrebbero alcuni risultati: 1. scoprirebbero che il loro albergo senza Booking.com, Expedia e

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compagni è spacciato, che non vale per le cose che ha fatto, che fa, né per quello che investe per offrire una superiore qualità; capirebbero che essere un banale “OTA Hotel” anche se sta nei primi dieci in classifica, non aiuta la gestione, la remuneratività e il capitale investito; comincerebbero a ragionare su un cambio di nome per pulire l’hotel dalle recensioni negative; farebbero progetti sul taglio dei servizi, sulla chiusura del ristorante, etc. etc.; potrebbero decidere di fare a meno del revenue manager e delle OTA per tornare a vivere di reputazione e di buona ospitalità, che poi è quello che già dovrebbero fare.

Qualcuno ritiene possibile che un’intera città, per una settimana intera, dica basta? È possibile pensare a una settimana durante la quale gli alberghi e le catene diano disponibilità zero alle OTA? Esattamente come i tossici non dicono basta alla droga, allo stesso modo gli albergatori non ci riuscirebbero. Diverso sarebbe se gli alberghi volessero disintossicarsi, dare un colpo d’ala e dimostrare che valgono per quello che sono fuori dal web. Una fase di dolorosa disintossicazione arriverebbe dove deve arrivare. La sfida è dimostrare che l’industria dell’ospitalità per una settimana può vivere senza OTA. Anche se non sarebbe un gran risultato qualcuno lassù capirebbe che la clientela non sempre è tonta, che l’ospitalità esiste indipendentemente dalle OTA, che il mercato turistico l’hanno costruito gli albergatori e le destinazioni. Ma quanti capirebbero che la dittatura delle OTA abbassa la qualità degli alberghi e dell’ospitalità di un’intera destinazione? Il black out allora dovrebbe venire da qualcuno più in alto. La ribellione pacifica – diciamo di Milano – potrebbe essere un segnale per le Online Travel Agency. Potrebbero ridurre le loro esagerate commissioni e accontentarsi del 10%, come facevano le agenzie viaggi prima dell’avvento della dittatura. O fregarsene, come stanno facendo! 7-8 2013

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