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ilano è fiero di poter annoverare questi documenti tra quelli più importanti che lo riguardano, anche se finora ancora non è stata riservata la giusta attenzione a questa documentazione così importante, studiata dai più vari studiosi, tra cui storici. italianisti, linguisti e filologi, non solo italiani, ma anche stranieri. Il memoratorio, cioè un documento privato che il notaio redigeva dopo la conclusione di un atto, per conservare memoria a garanzia dei diritti di chi faceva redigere l’atto stesso, va tenuto presente solo come tale, mentre degna attenzione va dedicata al placito dell’ottobre 963, detto di Teano, perché qui fu rogato ed ebbe luogo il processo. Ai testimoni, che non parlavano più correttamente il latino, viene permesso di giurare in una “lingua”, il “sermo vulgaris”, da loro praticata ed intesa dal popolo. La formula è espressa in un periodo facilmente intellegibile che tre testimoni vengono chiamati a pronunciare circa quanto era loro noto a proposito di una lite sorta tra il monastero di S. Maria in Cingla e il conte di Teano. La lite era stata originata dal fatto che alcuni ministeriales, persone di fiducia del conte di Teano, Atenolfo, avevano fatto raccogliere prodotti in territori appartenenti a S. Maria in Cingla. Al processo si presenta il conte stesso con alcuni notabili, mentre cura gli interessi di S. Maria in Cingla il preposito Giovanni con il suo advocator, il giudice Vigelmo. Il conte rivendica quei territori come pars publica, senza poter offrire documenti e testimoni; al contrario il preposito Giovanni presenta tre testimoni: il presbitero Mari, il presbitero Beneroso e il suddiacono e notaio Magelfrid, che dichiarano che quelle terre erano appartenute trenta anni al convento, il che, per diritto, ne assicurava la proprietà, giurando sul Vangelo. I testimoni giurano, ripetendo la formula, con le stesse identiche parole, uno alla volta, seguiti da undici sacramentales, per assicurare la veridicità delle dichiarazioni.La testimonianza è quasi simile a quelle contenute nei placiti di Capua e di Sessa con qualche variante, come si può evincere nella seguente trascrizione. Carta di Capua

Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. Carta di Sessa Sao ko kelle terre per kelle fini che tebe monstrai Pergoaldi foro que ki contene et trenta anni le possette.

focus Santa Maria in Cingla Grande importanza ha avuto ad Ailano il monastero di S. Maria in Cingla, di cui si possono attualmente notare appena pochi resti, almeno in superficie. La fondazione risalirebbe alla prima metà dell’ottavo secolo. Nel luogo in cui venne eretto, già sussisteva la chiesa di San Cassiano, fondata dallo sculdais Saraceno. Qui Gisulfo II e l’abate di Montecassino danno luogo ad una comunità femminile, della quale era badessa Gausani e a cui si succederanno altre due nobili donne: Pancrituda e Gariperga, in seguito ad una peregrinatio in terra nostra Beneventana. Il convento sorge a fianco del fiume Lete e poco lontano dal Volturno, in una posizione alquanto felice per il collegamento con Alife e il Molise. Molti sono i documenti che testimoniano una vita perlopiù felice ed importante per ricchezze di terre e badesse capaci di salvaguardare i loro possessi sotto la giurisdizione di Montecassino, con concessioni da parte dei duchi di Benevento e del Papato. Nell’846 il convento subisce un attacco saraceno e viene abbandonato per una decina d’anni, per poi essere restaurato. Nel 1094 Cingla viene restituita a Montecassino dopo un breve periodo trascorso “sotto Capua”, il cui abate Gerardo, agli inizi del XII secolo, ricostruisce una chiesa “magnifica et spaziosissima”, che sopravvisse fino al 1723, quando fu abbandonata per evitare la malaria. Attualmente sarebbe interessata ad uno scavo archeologico l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli nella persona del professore Federico Marazzi, il quale nella sua valutazione archeologica preliminare, dopo aver fatto risaltare l’importanza del sito, conclude riferendo che «l’esplorazione di questo insediamento monastico potrà costituire un raffronto significativo con i risultati emersi negli ultimi due decenni a San Vincenzo al Volturno».

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