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EDITORIALE

Formare i buoni cristiani

all’impegno politico

di PASQUALE LA CERRA, deputato nella XII Legislatura

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n fatto rilevante, registrato nelle ultime elezioni politiche e notato da eminenti studiosi, è stato il ruolo marginale dei cattolici sia nella rappresentanza nelle liste sia tra gli eletti. La crisi, fenomeno globale e particolarmente europeo, in Italia si è innestata su una situazione di decadenza economica, politica, sociale e morale: siamo un paese ad alto debito pubblico e con alto tasso di corruzione ed evasione fiscale; non abbiamo una decente legge elettorale e la pubblica amministrazione, con i suoi servizi più importanti è perfusa da una burocrazia lenta, inefficiente,vecchia e corrotta. Dunque, una sensibilità nazionale avrebbe dovuto esplodere nelle coscienze, avvertendo la tragicità del momento e, come in altre circostanze drammatiche della storia italiana, avrebbe dovuto indurre tanti cittadini all’impegno civico per la salvezza dello Stato. I Cattolici sono stati sempre in prima linea nei momenti difficili, da Sturzo alla Resistenza, dalla scrittura della Costituzione con Dossetti fino ai tempi di Moro. Questa volta non è stato così! Persino il ministro Riccardi si è defilato. In quel febbraio-marzo, mentre l’elezione del nuovo Papa poneva la Chiesa e l’Italia all’attenzione del mondo intero, nella politica avvenivano cose degradanti, né si udivano voci di autorevoli esponenti del pensiero politico cattolico, diversamente da quanto era avvenuto nei momenti più drammatici del secolo scorso (si pensi al discorso della “sentinella” di Dossetti). Nonostante la politica concordataria e la sollecitazione all’impegno in politica dei cattolici da parte della Cei, nonostante l’iniziativa di Todi, presieduta dallo stesso card. Bagnasco, pareva come se il messaggio di sollecitazione non fosse giunto ai vescovi ed alle parrocchie. Anche in esse che rappresentano una rete territoriale resistente ad una società “liquida”, dominata dalla televisione fino ad ieri e dal Web oggi, si respirava un’aria di stanchezza e demotivazione; non si percepiva la gravità del momento storico. Fenomeni che sono il vero tesoro delle comunità parrocchiali, quali le attività caritative, la consapevolezza di antichi e nuovi mali (dalla povertà nascosta al gioco d’azzardo e all’abuso, dalla solitudine dei giovani alla droga e al disagio delle famiglie e delle donne che lavorano e delle troppe che non lavorano), non stimolavano all’impegno politico ed elettorale, ritenendo di non doversi “schierare”. Autorevoli esperti del “pensiero politico cattolico” hanno ritenuto, giustamente, che a questo tesoro di coscienza e di esperienza abbia corrisposto una neutralità che è risultato un gravissimo errore. Infatti, studi attenti e inconfutabili hanno dimostrato che molti cattolici praticanti e frequentanti la vita parrocchiale, giovani e non, hanno votato il M5S che tanta responsabilità si sta assumendo negli eventi della vita parlamentare. Questo clima non ha risparmiato il territorio della nostra Diocesi ed i dati elettorali concordano. E pare che all’appuntamento amministrativo del 26 e 27 maggio si sia giunti con gli stessi sentimenti. Il risultato politico non ha smosso le coscienze al punto tale da indurre gli aspiranti sindaci a dibattiti preventivi e alla ricerca di sintesi programmatiche per il bene delle loro comunità. Le troppe liste in piccoli comuni, la non qualificata rappresentanza sul piano della formazione e delle capacità, i pochi e timidi segni di rinnovamento, i desideri di “rivincite” sono tutti fenomeni che non fanno ben sperare. I parroci certamente non debbono schierarsi, a liste fatte, e parteggiare per un gruppo, alimentando le divisioni; ma altrettanto, come avveniva ai tempi dei Comitati Civici, della vitalità dell’Azione Cattolica e della Fuci, non possono non stimolare il dialogo ed il confronto per il raggiungimento delle sintesi, combattendo le rotture e le moltiplicazioni degli egoismi di parte tra i loro fedeli. In modo semplice e saggio, dal basso, essi debbono promuovere la formazione delle coscienze ed educarle al bene comune, preparando, così, i rappresentanti di una nuova classe dirigente locale. Credo ed auspico, con il consenso del nostro Vescovo, che la nostra Chiesa diocesana debba riscoprire l’impegno per la formazione alla partecipazione sociale e politica dei suoi fedeli, promuovendo la nascita di una nuova “scuola di formazione politica”colta, non improvvisata, che punti al consolidamento degli ideali e dei valori cristiani e civili nelle coscienze dei cittadini. n.5

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primo piano

Liberi di...

Liberi da... di MICHELE MENDITTO

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Un giorno ho incontrato, il Torneo letterario promosso dalla Biblioteca San Tommaso d’Aquino, ha acceso nuove luci sull’universo giovanile del territorio. I testi scritti dagli oltre cento studenti che hanno risposto all’invito rivelano un potenziale unico e determinato: la voglia di raccontarsi, porsi domande, pretendere risposte da se stessi e dalla vita, la voglia di sognare oltre i confini...

on è facile per un adolescente mettersi in gioco dinanzi a una giuria e a una platea di coetanei e adulti, con le proprie esperienze di vita, le aspettative, le ansie, i sogni. Perché proporre se stessi impone una sorta di confessione, con il conseguente timore di subire il giudizio frettoloso di chi ci ascolta che spesso pone un freno alla spontaneità e alla sincerità. Altre volte invece esporsi si rivela un’opportunità di crescita, oltre che di divertimento. Opportunità che tantissimi ragazzi hanno voluto cogliere partecipando al concorso letterario indetto dalla Biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino per tutti gli studenti delle scuole superiori del territorio diocesano: Un giorno ho incontrato… è stato il tema guida su cui costruire storie, reali o di fantasia, che parlassero di un incontro significativo, associato a una serie di concetti chiave. Una proposta lanciata dalla Biblioteca in occasione del suo decimo anno di vita per coinvolgere i giovani e motivarli a raccontare una parte di sé, offrendo quale incentivo l’attribuzione di un credito scolastico e la possibilità, per i migliori racconti, di essere pubblicati in un’antologia edita dalla nota casa editrice Città Nuova. Una vera novità per il territorio altocasertano, solitamente poco ricco nell’offerta ai ragazzi di iniziative simili, proposte delle istituzioni locali, specialmente se accompagnate da premi dal valore (letterario) considerevole. Oltre ogni rosea aspettativa, i lavori inviati in Biblioteca sono stati ben centoventisei, «segno di un notevole e inaspettato interesse» - così come ha più volte sottolineato Luigi Arrigo, responsabile della Biblioteca e promotore dell’iniziativa - confermato poi dall’ottima riuscita della seconda fase del Concorso: i venti finalisti selezionati dalla Commissione sono stati i protagonisti di quattro eventi in cui ognuno di loro ha messo in scena il proprio racconto. Qualcuno lo ha interpretato leggendolo, altri hanno fatto uso della forza espressiva della danza, della recitazione, della musica, mettendo su vere e proprie rappresentazioni, e dando così sfogo alla creatività. Una specie, se azzardiamo, di reality in cui sfidarsi

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mostrando le proprie qualità, con le giurie (una tecnica, l’altra popolare) ad assegnare il voto. Anche questo, probabilmente, è stato motivo di entusiasmo e di stimolo a fare tanto e bene, una prova dalla quale i ragazzi sono usciti prima di tutto vincitori di maturità e, è il caso di dirlo, con uno schiaffo fragoroso al mondo degli adulti: se è vero che un concorso implica in ogni caso una competizione, soprattutto quando mette in palio un premio importante come la pubblicazione in un libro con tanto di codice Isbn, in questa occasione gli aspiranti scrittori si sono dimostrati più “sportivi” dei loro stessi genitori, manifestando la consapevolezza che primeggiare non è sempre un obiettivo necessario, ma sono la partecipazione e la condivisione a diventare i binari di un percorso di crescita, tanto individuale quanto collettivo. Tutto questo si è rivelato uno scarto considerevole rispetto al luogo comune che vede la gioventù d’oggi frivola e superficiale, attenta solo al materialismo e alle


Giovani a cuore aperto

Il gruppo editoriale Città Nuova pubblicherà nove tra i venti racconti entrati nella fase finale del torneo letterario. In autunno è prevista la presentazione del volume. Per l’occasione la Biblioteca San Tommaso d’Aquino sta già provvedendo alla presenza di ospiti d’eccezione del mondo della cultura che “leggeranno” l’universo giovanile emerso dai racconti. Tutti gli scritti finalisti invece saranno pubblicati mensilmente su Clarus in un inserto numerato staccabile.

Amano sognare. A volte ad occhi aperti, altre volte a cuore aperto. E quando sognano a cuore aperto rivelano di sé tutto l’universo interiore fatto di stelle o buchi neri, di albe e tramonti, di salite e ripide discese. Quello a cuore aperto, è un sogno libero . L’esperienza del torneo letterario “Un giorno ho incontrato” promosso dalla Biblioteca San Tommaso d’Aquino, ad un certo punto del suo percorso ha imposto una serie di domande. E ancora le impone dopo che, calato il sipario sulle premiazioni e la partecipazione alle serate finali, la cronaca ha svelato un’altra faccia del mondo giovanile, quella che i sogni fa fatica a tirarli fuori dal cassetto e a metterli nero su bianco. I fatti dell’ultimo mese hanno più volte portato alla luce vicende di “giovani e droga”, di denunce e arresti, di più serrati controlli da parte dei Carabinieri in prossimità degli Istituti scolastici superiori del territorio. Un fenomeno mai nuovo ma sempre allarmante, e che inevitabilmente pone sotto i riflettori alcuni tra i nostri giovani, facilmente bersaglio di giudizi e gratuiti commenti L’esperienza del torneo letterario ha rivelato il volto di giovani “interessati”. A cosa? Alla musica, alla poesia, al canto, alla scienza, alla letteratura, ai sentimenti. Interessati a qualcuno o a qualcosa e per fortuna interessati a se stessi e al proprio futuro. Ripartiamo da qui: giovani interessati a qualcuno…a sé stessi; giovani che hanno cura di…; giovani in cerca di relazioni; giovani che risalgono l’abisso della solitudine per ritrovarsi. Solitudine . Un male e un’esca pericolosa che lascia la mente disimpegnata da tutto e tutti fino a farla ancorare all’inganno facile e luminoso di un pericoloso interesse. Creare ponti, incontri , occasioni di scambio e di dialogo, momenti per stare con se stessi: quante possibilità in mano alla Scuola, alla Chiesa, alle Istituzioni in genere. Stanare dal silenzio e dalla paura, dal buio, dalla superficialità e dall’ignoranza. Creare nastri di partenza davanti ai quali incoraggiare tutti a correre, non per vincere, ma per raggiungere il traguardo, e non importa con quanti minuti di ritardo. Creare “premi” e impegni, traguardi e mete nuove perché “in corsa” ognuno possa riscoprirsi all’altezza della gara della vita. n.5

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 amenità di sorta. La Commissione selezionatrice è sin da subito rimasta colpita dalla voglia di raccontarsi di ciascuno studente, chi con molta originalità e chi un po’ meno, ma ognuno di loro tutto sommato sincero. E fanno quindi riflettere i temi scelti e articolati da questi ragazzi quasi ventenni: all’amore idealizzato e adolescenziale si è contrapposta nettamente una visione della vita per niente serena o spensierata, dove si presentano lutti in famiglia, incidenti, oppure scogli (tuttavia mai insormontabili) da aggirare per la realizzazione dei propri desideri. Il dato diventa ancor più significativo se si pensa che gran parte dei lavori consegnati presenta un carattere autobiografico, tanto da aver reso i quattro pomeriggi finalisti ad alto tasso emozionale, e per questo più coinvolgenti e pregni di partecipazione. Alle riflessioni generali sul Concorso poi si sono aggiunte quelle di alcuni sacerdoti diocesani, che al termine degli incontri pomeridiani hanno approfondito i temi dell’incontro e della gioventù. Con ogni probabilità il Concorso verrà riproposto anche il prossimo anno, il suo esordio ha spianato un’ampia strada dinanzi a sé, e chissà che non diventi un appuntamento fisso per gli studenti del nostro territorio negli anni a venire.

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i in gioco. nsato di metterm pe ho ed a de l’i ta o dell’inMi è piaciu ricordo ben precis un ad ra pi is si to che ho Il mio raccon la storia d’amore se e ch an ), sa ro fanzia (Le scarpe di fantasia. diversa dal raccontato è frutto formativa davvero a nz ie er sp ’e un o gazzi che Ho vissut ronto con i tanti ra nf co il r pe tto tu te ai solito soprat rsone appassiona pe to ra nt co in o H cere. ho conosciuto... e fa pensare e cres ch a, im ss lli be sa loro sogni: una co Paola De Lellis, III

CS Liceo “Galileo

Galilei”

I ragazzi si sono sentiti molto coinvolti e hanno vissuto da protagonisti la partecipazione al concorso. Si sono potuti esprimere liberamente con un linguaggio alternativo, che non sempre gli è consentito: questa è stata una grande opportunità per loro. Rivedrei il ruolo della giuria popolare: che sia meno incisiva rispetto a quella tecnica. Prof. Vincenzo Cunti, Dirigente Liceo “Galileo Galilei”

Una grande avventura che ha visto cresce tusiasmo dei ragazzi mentre si avvicin re l’enavano le fasi finali. Una full immersion nell’unive rso giovanile, fatto di grandi valori ma anche gra ndi dolori. Quanto desiderio di uscire dal buio alla luce, di superare ad ogni costo gli ostacoli frap posti tra i loro sogni e la realtà!

Luigi Arrigo, Direttore Biblioteca


Storie. Ma soprattutto volti.

Tensione, passione, curiosità, incredulità, convinzione, determinazione, nostalgia, perplessità. Il mondo giovanile si è manifestato così. Chapeau alla libertà interiore dei tanti che hanno sfidato se stessi e il pubblico, e le giurie, dando voce ad un vero e proprio inno alla vita, fatta di luci e ombre indissolubilmente insieme.

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La morte che ci spaventa di Don Emilio Meola, direttore UCD

Parlare del mondo giovanile non è facile. Forse non lo è mai stato, ma nella società contemporanea lo è molto più che nel passato. Oggi ci sono molte realtà a cui il mondo giovanile fa costantemente riferimento, che non solo sono mutevoli, ma anche fragili ed evanescenti. Esso con le sue luci e le sue ombre sicuramente possiede delle bontà che vanno solo ricercate e riconosciute e che a ben vedere hanno ancora da dire qualcosa anche al distratto mondo degli adulti. Una riflessione viene dal recente concorso Un giorno ho incontrato a cui ho preso parte in una delle serate finali. Una significativa parte dei lavori riguardavano il tema della morte o della tragedia in generale, anche se a lieto fine. Come mai questa scelta così specifica voluta dai ragazzi? Senza dubbio il tema della morte oggi particolarmente presente nella vita delle persone e in modo particolare delle giovani generazioni. Basti pensare ad una certa letteratura televisiva che propone il tema della morte in tutte le sue varianti, fino ai moderni videogiochi nei quali la vittoria è data dalla sconfitta dell’avversario, che spesso è data appunto dalla sua uccisione. Tv e talk show, reality e molta letteratura giovanile attingono danno notizie di crude e improvvise, drastiche o fatali morti. Anche la moda di abbigliamento, accessori, trucco e acconciature attinge alle immagini della morte. Mi chiedo se tutto ciò,

che assorbe gli interessi e la vita di un giovane sia l’approccio giusto al delicato tema che in realtà ci riguarda davvero, ma con sfumature ben diverse. Si è passati da una società che esorcizzava la morte, precludendone la vista ai più piccoli ad una società che ne parla eccessivamente alterandone il concetto e la realtà stessa. La morte diventa così un’immagine, non un’esperienza. Tutto questo ne altera il concetto e la realtà stessa finché non la si incontra senza conoscerla davvero e saperla affrontare. Bisognerebbe che questo tema venga compreso nella sua dimensione vera ed autentica, non tanto per ricordarci costantemente la fragilità e la brevità della vita stessa ma perché possiamo vivere con la consapevolezza che questa prima o poi finirà. Penso alle ultime due frasi di una nota poesia di Totò: Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie…appartenimmo à morte.

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Il valore del racconto in ogni percorso di crescita quando ad ispirare è' la solidarietà' E IL DONO DI SE'

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diventato un appuntamento fisso per i giovani studenti delle scuole di Piedimonte Matese: il Premio “Giovanpiero Gaudio” annualmente, dal 2006, coinvolge da vicino le sensibilità dei ragazzi della scuola media Giacomo Vitale e quelli della Nicola Ventriglia, attraverso un piccolo concorso letterario che in ogni edizione rinnova la sua finalità di trasmettere alle nuove generazioni le attenzioni per il mondo del sociale, quello legato ai giovani soprattutto, che caratterizzavano la persona di Giovanpiero Gaudio. Un’iniziativa tra le poche dello stesso genere in città, che si distingue per il modo in cui abbraccia i temi nobili che gravitano attorno ai valori della solidarietà e dell’altruismo, facendone il fulcro di tutta la manifestazione. Patrizia, sorella di Giovanpiero, è stata la promotrice sei anni fa di questo concorso, cercando di creare un qualcosa che si allontanasse dal semplice memorial, ma diventasse un momento significativo per la crescita dei bambini, dando un seguito e una continuità ideale alle attività di suo fratello, studente di logopedia e impegnato nel volontariato prima di morire tragicamente nel 1997. «Per me è stata un’esigenza», spiega Patrizia quando racconta la genesi del Premio, di cui è la principale organizzatrice. «Volevo ricordare e far rivivere mio fratello realizzando ciò che più gli piaceva e lo faceva stare bene, e allo stesso tempo contribuire a fare qualcosa di positivo per gli altri, proporre un modello che faccia da input a migliorarsi». Una traccia consegnata agli studenti, diversa in ogni edizione, diventa

Il “Premio Gaudio” da sei anni raccoglie il lavoro degli alunni delle scuole medie ispirati ai valori del dono. nel concorso lo stimolo a riflessioni e pensieri personali da raccogliere in forma scritta. La partecipazione è sempre tanta e sentita, al di là del premio in denaro che viene messo in palio dalla famiglia Gaudio (100 euro per i primi classificati delle tre classi). I ragazzi si esprimono con emozione raccogliendo la sfida di confrontarsi con se stessi, i compagni e gli adulti, in un clima che mai sfiora la competizione ma si dimostra un’occasione bella da vivere per tutti. Nella sua ultima edizione (la sesta, lo scorso aprile), il Premio ha trovato anche la collaborazione preziosa de Centro per la famiglia dell’Ambito Sociale C4, con un supporto psicologico a vigilare su eventuali campanelli d’allarme presenti tra le righe degli scritti, che spesso infatti contengono elementi autobiografici. A tutti i piccoli scrittori viene consegnata una medaglia di partecipazione, la condivisione di un’esperienza in cui si cresce insieme nel segno di quei valori rendono migliore ciascuno di noi.

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Una Chiesa CHE VIVE

L’ordinazione presbiterale di don Antonio Di Lorenzo ad Alvignano. La Diocesi di Alife-Caiazzo vive un felice momento nelle vocazioni di diversi giovani che s’incamminano verso la strada del sacerdozio

“Io ho scelto te” S’

impara ad essere preti solo dopo l’ordinazione presbiterale. Conta stare dall’altra parte per entrare davvero nel mistero e accoglierlo ogni giorno con mani e cuore liberi. Padre Roberto del Riccio, rettore del seminario di Posillipo, dove don Antonio Di Lorenzo si è formato e ha studiato per cinque anni, ha sintetizzato così l’esperienza e la missione sacerdotale durante il saluto che ha rivolto al novello sacerdote in occasione della sua prima messa, il 5 maggio. Parole che non t’aspetti. Che a guardare indietro nel tempo sembrano quasi vanificare una storia, un percorso, una scelta. Se fosse così? Si diventa uomini di Dio (e per Dio), davvero, solo dopo aver detto quel sì chiaro e definitivo? Don Antonio, a due settimane dall’ordinazione sacerdotale racconta: «Fino a qualche giorno fa, sapevo che bisognava diventare prete piuttosto che fare il prete. Gli anni di seminario pensavo mi avessero aiutato a capire tutto ciò - e in buona parte lo è stato! -, ma è solo da qualche giorno che percepisco quanto sia difficile essere sacerdote. Quando celebro l’Eucarestia mi rendo conto della mia piccolezza e della mia inadeguatezza ma allo stesso tempo percepisco la forza risanatrice di Dio che mi ripete “io ho scelto te”, e continuo a chiedermi il perché. L’esperienza più forte che sto vivendo in questi giorni è quella di amministrare il sacramento della Confessione: quante persone in cerca d’aiuto e conforto, ma soprattutto alla ricerca di Dio, aperte e disposte a riconoscere le proprie debolezze. Leggo negli animi quasi un volersi confidare con ‘quel giovane prete’ che deve saper dare aiuto nel ritrovare la misericordia di Dio. In questo momento tanti pensieri affollano il mio cuore, ma penso che sto vivendo ancora quell’euforismo di un amore che ha trovato il suo compimento nell’ordinazione del 1 maggio. C’è una cosa che non mi abbandona: la fiducia in Dio». La vita allora cambia e lui stesso diceva al termine di quella celebrazione rivolgendosi ai familiari di appartenere ormai a Cristo,

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di GRAZIA BIASI

di aver donato tutto se stesso alla Chiesa, promettendo “filiale obbedienza” al proprio Vescovo. E’ la vita di un giovane ragazzo di ventisei anni, che si fa dono gratuito e incondizionato per l’umanità intera attraverso una fetta di popolo che il Signore porrà sulla sua strada. Nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, ancora in tempo di Pasqua, il Signore risorto “appare” alla Chiesa di Alife-Caiazzo e ha rivelato i segni della sua presenza. Ancora una volta Egli ha scelto di incontrare gli uomini servendosi delle mani che operano e dei piedi che camminano di un giovane sacerdote. «Oggi il risorto visita la nostra Chiesa». Con queste parola S.E.Mons. Valentino Di Cerbo ha pronunciato un vero e proprio atto di fede a nome della comunità, affermando e confermando la presenza del Signore in mezzo al suo popolo che con il dono dello Spirito Santo, ha riempito il giovane Antonio della grazia sacerdotale. Ad Alvignano, un sacerdote originario del luogo mancava da oltre cento anni: grande momento di festa e preghiera allora per il piccolo paese, che solo pochi mesi fa ha celebrato il ministero del Lettorato di un altro seminarista origianrio del posto, anch’egli studente a Posillipo, Michele Mastroianni. La scelta del Vescovo di celebrare nelle


parrocchie d’origine di ciascun seminarista, il ministero o l’ordine a cui sono chiamati diventa così occasione di più felice e motivante comunione, occasione di catechesi vocazionale e di “rinnovati” incontri con la parola di Dio per le comunità che accolgono un tale evento. Momenti di grazia non solo per don Antonio e la sua famiglia, o il clero diocesano, ma per una comunità - quella alvignanese - che ha respirato Cristo e davvero lo ha sentito passare tra la sua gente. Le parole di Mons. Valentino Di Cerbo nell’omelia sono state quelle del Pastore al suo sacerdote, quelle di un padre che amorevolmente e fermamente indica la strada e sollecitano a “tenere” il passo: «Le motivazioni “alte” della sua vita e del suo ministero, che scaturiscono soprattutto dall’intima unione con il Signore, porteranno il Sacerdote a fare della propria vita, come ricorda il rito, la traduzione visibile di ciò che celebra, di quei segni dell’amore e della presenza di Cristo che sono i Sacramenti, e a proclamare una Parola che diventa efficace perché vissuta, testimoniata e accolta ogni giorno, al punto da essere contemporaneamente il racconto dell’amore misericordioso di Dio e quello di una vita che di quella tenerezza è diventato trasparenza. Caro Antonio, il Signore, attraverso il tuo vescovo, ti manderà nel mondo a recare la lieta notizia dell’amore di Dio e a compiere gesti efficaci di salvezza. Andando tra la gente, troverai con sorpresa tanti segni del Risorto, che è passato prima di te, ma anche un mondo distratto, talvolta affossato dalla banalità e immerso nel conformismo. Non sentirti fuori da quella realtà e non proporti come facile maestro, ma domanda ogni giorno al Signore di riuscire a leggere in quei “buchi neri” della vita di tante persone una pressante invocazione di luce e di senso, più grandi. Come pure di chiederti, per prima cosa, quando vedrai che intorno a te si fa buio, se lo smarrimento dei tuoi fratelli è frutto anche di infedeltà personali e di scarso fervore o se stai umiliando la tua missione con l’atteggiamento, freddo e senza gioia, del funzionario, dell’uomo dell’Istituzione e del dispensatore di sacro». A condividere questo momento con don Antonio la famiglia che in questi anni è cresciuta intorno a lui: la mamma, il fratello, i parenti, gli amici di studio, la comunità parrocchiale di San Saturnino a Roma - dove presta attualmente il suo servizio pastorale in attesa di completare la specializzazione in Storia della Chiesa -, e quelli di Ave Gratia Plena a Piedimonte dove ha lavorato per qualche anno, gli amici dell’Azione Cattolica diocesana, gli amici d’infanzia e quelli che ancora oggi condividono con lui una sincera esperienza fraterna.

Sabato 18 maggio, vigilia di Pentecoste, S.E.Mons. Valentino Di Cerbo, nella chiesa di di San Michele Arcangelo in Alife, ha conferito al seminarista Francesco Monte il ministero del Lettorato

Hanno celebrato venticinque anni di sacerdozio don Mario Rega, don Andrea De Vico, don Emilio Meola e don Davide Ortega. Le rispettive comunità parrocchiali hanno festeggiato unitamente al Vescovo, i loro sacerdoti, ringraziando il Signore per la presenza e il servizio, ma soprattutto affidando alla Vergine i loro passi, nelle comunità in cui, anche in futuro, saranno chiamati a testimoniare con la loro vita il Vangelo.

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“Il Signore passerà a visitare il suo popolo” Riparte la Visita Pastorale. Al via i primi lavori che precederanno l’incontro del Vescovo con le comunità.

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on la prossima Visita pastorale, che avrà inizio nell’autunno 2013, giunge il tempo dell’incontro tra il Pastore e il suo popolo, un momento di scambio e di dialogo organico che interesserà tutte le componenti della Diocesi. Nell’idea del Vescovo, già manifestata in occasione del Convegno diocesano del 5 e 6 ottobre, c’è la volontà di proseguire la Visita pastorale indetta dal predecessore Mons.Pietro Farina, interrotta a causa del suo trasferimento a Caserta, in un ideale di continuità e comunione nella successione apostolica. Si tratterebbe in realtà di completare la prima Visita pastorale della Diocesi di AlifeCaiazzo, atteso che quella avviata negli anni ’90 da Mons.Nicola Comparone non fu portata a termine, a causa della malattia del Prelato. In risposta a quanto previsto dal Codice di Diritto Canonico (Can.396), secondo cui “Il Vescovo è tenuto all’obbligo di visitare ogni anno la diocesi, o tutta o in parte, in modo da visitare tutta la diocesi almeno ogni cinque anni”, Mons. Valentino Di Cerbo, a tre anni dall’inizio del suo ministero episcopale tra noi, continua a tenere aperto il cantiere pastorale, in cui si edifica e cresce la comunità e dove ciascuno, sacerdoti, direttori di uffici diocesani, laici impegnati, associazioni e movimenti diocesani, è chiamato responsabilmente a portare il proprio contributo, con le idee, la creatività, l’entusiasmo, ma soprattutto rimboccandosi le maniche.

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A distanza di un anno dal Convegno diocesano, il Vescovo, nel giro di poco più di un anno, passerà “a visitare” tutto il suo popolo, riprendendo il dialogo avviato con i rappresentati delle parrocchie. Ora il dialogo diventa incontro e coinvolgimento nel cammino delle comunità parrocchiali, conoscenza in presa diretta delle storie e della storia di ciascuna realtà, come pure della loro vita concreta, del loro patrimonio storicoartistico-culturale, dello stato delle strutture, della situazione economica. Si porrà anche in ascolto dei problemi e delle attese del territorio e delle domande che quanti attualmente lo abitano pongono alla Comunità cristiana. Tale momento, che sarà condiviso con le parrocchie e i parroci che ne sono guida, i rappresentati delle istituzioni locali intende fotografare la realtà per aiutare a crescere, suggerire e programmare il prossimo futuro. Il Codice di Diritto Canonico che “È in facoltà del Vescovo scegliere i chierici che preferisce come accompagnatori e aiutanti nella visita”, pertanto Mons.Di Cerbo sarà affiancato da un gruppo di Convisitatori mentre ha già predisposto la Segreteria della Visita Pastorale che sta organizzando il lavoro preparatorio sulla scorta delle relazioni prodotte dalle parrocchie in occasione della Visita indetta da Mons.Farina per il triennio 2007-2010. A partire dai dati acquisiti verrà “scattata” la prima immagine della Parrocchia (e del Comune) che si intende visitare e che la stessa Comunità parrocchiale “aggiornerà” prima dell’incontro diretto con il Vescovo, tenendo conto dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. Rispetto a quanto precedentemente stabilito, Mons. Di Cerbo ha deciso che la Visita sarà realizzata per Foranie in modo che le comunità parrocchiali di quel territorio pastorale possano condividere momenti di spiritualità e di confronto sia prima dell’incontro con il Vescovo, sia durante la sua presenza nella zona interessata. Momento significativo della fase preparatoria, saranno i Convegni sulle attese dei territori e sulle domande che le popolazioni ivi residenti pongono alla Chiesa locale. Invece, la fase che precede immediatamente l’incontro vero e proprio con il Vescovo sarà caratterizzata dalla presenza dei Convisitatori, che verificheranno le singole componenti dello stato pastorale e patrimoniale delle parrocchie. Nell’ultima fase, il Vescovo sosterà da tre a sei giorni in ciascuna Comunità, incontrando le persone, le associazioni e soprattutto gli organismi pastorali, singolarmente e in assemblee parrocchiali, celebrando le messe feriali e festive, visitando gli ammalati e incontrando gli studenti. Tutta questa organizzazione non deve offuscare la dimensione spirituale e centrale dell’evento: attraverso il Pastore della Diocesi è lo stesso Signore che visita le singole comunità per rinvigorirne la fede, rinnovarne la vita, suscitare nei credenti una adesione più matura e convinta al Vangelo e un servizio sempre più generoso e motivato alla costruzione del Regno di Dio nel nostro territorio.

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Nella genealogia episcopale di Jorge Mario Bergoglio anche il Cardinale Luigi Gaetani, nativo della città matesina

di LUIGI ARRIGO

Una Chiesa CHE VIVE

Piedimonte e il Papa Un legame che ci sorprende Successione apostolica...cos’è? n una sua pubblicazione del 2008 (Verso le origini : una genealogia episcopale, Città del Vaticano, LEV) il cardinale Angelo Sodano ha voluto rendere omaggio ai 62 Vescovi da lui ordinati nel corso dei trent'anni di Episcopato, ricordando loro uno degli aspetti sempre da lui sottolineati nella varie Ordinazioni episcopali da lui compiute: la successione apostolica, che riporta ogni Vescovo alle origini della Chiesa ed a quel Collegio Apostolico, che fu costituito da Cristo, per la diffusione del suo Vangelo nel mondo intero. L’importanza di questo aspetto nella Chiesa Cattolica è noto, e proprio per sottolineare il valore della trasmissione di autorità e poteri dagli apostoli ai vescovi, loro successori, attraverso il rito della consacrazione nasce una disciplina storiografica nota come genealogia episcopale, con la quale si vuole indicare l’elenco completo dei consacratori con la relativa data di ordinazione che mostra i rapporti tra consacratore e suo consacrato: per ogni vescovo della liIl Cardinale Luigi Caetani (Gaetani) sta, il precedente è il suo consacratore mentre il succesNasce a Piedimonte nel castello di famiglia (attuale sivo è il suo consacrato, così fino all'ultimo prelato delpalazzo ducale a monte di Santa Maria Maggiore) nel l'elenco. Questo “albero genealogico” tramanda, quindi, Luglio del 1595, figlio di una delle più illustri famiglie la linea dei consacratori unitamente ai poteri e alle audella nobiltà romana prima e poi napoletana , quei torità apostoliche. Caetani o Gaetani che, evidentemente, hanno un leEbbene, all’indomani della elezione al soglio pontificio game ancestrale con quello che è certo uno dei gesti di Jorge Maria Bergoglio, è stata resa nota la genealogia più clamorosi nella storia della Chiesa: l’abbandono episcopale di papa Francesco e, con non poca sorpresa del soglio pontificio. Luigi, infatti, ebbe tra i suoi avi lo da parte nostra, abbiamo potuto scoprire che il nostro scomodo Bonifacio VIII un papa che, come Francesco, amato papa ha uno speciale legame con la nostra terra: guidò la chiesa dopo il “gran rifiuto” di Celestino V!. Nominato patriarca di Antiochia il 14 marzo 1622, e tra i suoi predecessori genealogici nell’episcopato vi è ordinato il 12 giugno dal Cardinale Ludovico Ludovisi. un nativo di Piedimonte, il cardinale Luigi Gaetani (1595 Il 17 marzo 1624 fu nominato Arcivescovo di Capua – 1642).

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succedendo allo zio Antonio Caetani. Il 19 gennaio 1626 fu creato cardinale dal papa Urbano VII. Rimase arcivescovo di Capua fino al 1 marzo 1627, allorquando fu nominato Cardinale Presbitero di Santa Pudenziana e rivestendo, dal 12 gennaio 1637 al 15 gennaio 1638 il titolo di Camerlengo del Sacro Collegio. Il 7 ottobre 1630 consacrò vescovo Ulderico di Carpegna, continuando, quindi, quella azione di successione apostolica che giungerà fino a papa Francesco. Olte a questi dati biografici poco o nulla sappiamo della sua personalità. Tuttavia, una nota interessante ci giunge da una committenza a lui attribuita: secondo lo storico Luigi Amabile il cardinale Luigi Caetani, citato come “noto ammiratore” avrebbe commissionato un ritratto di Tommaso Campanella (Luigi Amabile, Ne’ Castelli […], I, Parigi, Les belles lettres, 2006, p. 217). Sembra poco ma considerando le posizioni del Campanella, questa vicinanza è quanto meno “interessante” e meritevole di essere esplorata.

Successione apostolica di Bergoglio dal 1555

(anno di ordinazione episcopale di Scipione Rebiba)

Il ritratto (foto in alto) e lo stemma del Cardinale Luigi Caetani

1. Cardinale Scipione Rebiba (già vescovo di Chieti) 2. Cardinale Giulio Antonio Santorio 3. Cardinale Girolamo Bernerio, O.P. 4. Arcivescovo Galeazzo Sanvitale 5. Cardinale Ludovico Ludovisi 6. Cardinale Luigi Caetani 7. Cardinale Ulderico Carpegna 8. Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni 9. Papa Benedetto XIII 10. Papa Benedetto XIV 11. Papa Clemente XIII 12. Cardinale Bernardino Giraud 13. Cardinale Alessandro Mattei 14. Cardinale Pietro Francesco Galleffi 15. Cardinale Giacomo Filippo Fransoni 16. Cardinale Carlo Sacconi 17. Cardinale Edward Henry Howard 18. Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro 19. Cardinale Antonio Vico 20. Arcivescovo Filippo Cortesi 21. Arcivescovo Zenobio Lorenzo Guilland 22. Vescovo Anunciado Serafini 23. Cardinale Antonio Quarracino 24. Papa Francesco

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La Chiesa E LA STORIA

Gs

La profezia della

Gaudium et spes di ANTONIO MASTANTUONO

P

romulgata il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Concilio, la Gaudium et spes (= GS) è in assoluto il testo conciliare di mag­giore estensione e quello presentato, esaminato e ap­provato per ultimo. Fa, pertanto, tesoro di quanto tutti i precedenti documenti conciliari avevano elaborato. Se nella Lumen gentium il Concilio risponde alla domanda “chi è” la Chiesa, la GS fa suo l’interrogativo «con e per chi essa è?», impegnandosi a leggere la storia e a parlare ad essa nella luce del vangelo di Gesù. Una lettura che diventa un discernimento critico delle luci e delle ombre che caratterizzano il cammino dell’umanità, per sot­toporle al vaglio esigente e liberante del vangelo del Regno di Dio che viene. Nei novanta para­grafi che costituiscono il corpo della Costituzione, ven­gono toccate tutte le dimensioni dell’umano, non in astratto, bensì cogliendole e collocandole nella peculiare circostanza storica dell’epoca presente (GS 4-10) e in una prospettiva che, superando uno sguardo in­ dividualistico, le inquadra come vicenda comune dell’umanità (GS 26). GS dedica una lunga parte ai problemi rilevati come più urgenti: matrimonio e famiglia; progresso della cultura; vita economico-sociale contemporanea; vita della

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comunità politica; promozione della pace e della comunità dei popoli (con una insistita atten­zione alla condanna assoluta della guerra e all’azione della comunità internazionale per evitarla); costruzione della comunità e cooperazione internazionale. Le consegne della Gaudium et spes Anche se le analisi di GS spesso anticipano sviluppi futuri - per esempio riguardo alla globalizzazione - rispetto alla rappresentazione da­tane dal Documento, il mondo d’oggi si presenta in­dubbiamente profondamente mutato. Le analisi storico-sociali di GS chiedono certamente di essere riattualizzate e di essere incarnate nella specificità delle diverse Chiese locali: tutto ciò significa non certo disatten­dere, quanto piuttosto accogliere e inverare la lezione di GS. Per questo una rilettura della GS può diventare un punto di riferimento per il futuro e momento prezioso per ritrovare in modo più convinto alcune linee per la missione della Chiesa nel mondo di oggi. Proporrei quattro piste. Discernere i segni dei tempi «E’ dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo...» (GS 4). Questo esercizio chiede di essere continuato e rilanciato anzitutto mediante un’analisi culturale che non si limiti a rincorrere le situazioni, ma sappia prefigurare gli scenari futuri. E’ un compito irrinunciabile e fondamentale per preparare in modo coerente un’azione cristiana veramente cosciente e responsabile. Sappiamo veramente “leggere” questo mondo che, da un lato sembra voler fare a meno di Dio e dall’altro lo invoca? Riconoscere nell’uomo la prima e fondamentale via della Chiesa I progressi scientifici della bioetica, l’emergere di tendenze culturali sul “genere”, pongono con forza la “questione antropologica”. La GS presenta una vi-

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Le gioie e le sp ranze, le tristez e le angosce de uomini d’oggi poveri soprattut di tutti coloro c soffrono, sono pure le gioie e speranze, le tri stezze e le ang sce dei discepol Cristo, e nulla V di genuinamen umano che non trovi eco nel lo cuore. Per questo il Concilio ticano II, avendo netrato più a fo il mistero della Chiesa, non es ora a rivolgere


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Don Antonio Mastantuono, docente di Teologia Pastorale e Catechetica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sez. San Luigi

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Le date (alcune) del Concilio Ecumenico Vaticano II

...Segue 7 marzo 1965 Con la prima domenica di Quaresima, si inzia a celebrare la Messa con la nuova liturgia eucaristica riformata secondo il Concilio.

sione dell’uomo quanto mai pregnante e risolutiva: «In realtà solamente nel mistero incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo...» (GS 22) Una chiesa che sia segno per il mondo «La Chiesa non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo...» (GS 3). E’ necessario che la missione della Chiesa nel mondo di oggi sappia mantenere integra la sua fisionomia di “anticipazione” e di “strumento” del Regno di Dio: solo così assolve davvero al suo compito di essere “segno” per il mondo. In concreto ciò significa che la Chiesa è chiamata a “mostrare” qual è il vero modo di vivere secondo i valori del Regno. Ne deriva che in forza della sua missione essa deve adoperarsi perché l’annuncio del vangelo penetri in tutte le esperienze e i linguaggi umani, per diventarne fermento e lievito. Se, invece, è un lievito che sta fuori della pasta, la Chiesa stessa corre il rischio di inacidire; se è un sale che non si scioglie, diventa inutile e da buttare via; se è una luce che sta nascosta, non illumina né scalda i cuori degli uomini. In un contesto in cui si assiste ad un processo di privatizzazione della fede, è necessario che la testimonianza cristiana, sia personale che comunitaria, ritrovi nuovo vigore e diventi più splendente, coraggiosa e affascinante. Il “popolo di Dio” in missione Il recupero della categoria “popolo di Dio”, infine, rimanda alla chiesa tutta come “soggetto” della missione, aprendo il discorso - non ancora completamente risolto - della presenza dei laici. L’importanza della vocazione battesimale, la figura adulta della fede e la promozione della qualità cristiana della coscienza laicale sono temi e spazi da approfondire. L’attenzione delle comunità ecclesiali a lasciare spazio libero e responsabile ai fedeli laici, uomini e donne, non diventa una semplice tattica raccomandata per una chiesa che vuole essere più corresponsabile, ma appartiene alla linfa più autentica e profonda della stessa vocazione cristiana. Questa coscienza della GS ci viene consegnata come un’eredità viva da non sciupare, bensì da vivere come profezia da cui attendersi ancora frutti rigogliosi per il futuro.

14 settembre 1965 Si apre la Quarta sessione di lavori del Concilio Vaticano II. Nel discorso di apertura, Paolo VI annuncia la sua prossima visita all’Onu. 15 settembre 1965 Rispondendo al desiderio dei padri conciliari di continuare nell’esperienza di confronto all’interno della Chiesa, Paolo VI crea il Sinodo dei vescovi: si tratta dell’assemblea dei rappresentanti dei vescovi di utto il mondo che ha il compito di consigliare il papa. 4 ottobre 1965 Paolo VI si reca a New York presso la sede dell’Onu e tiene un discoso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni unite. 28 ottobre 1965 Sono approvati i decreti sui vescovi (Christus Dominus), sulla vita religiosa (Perfectae caritatis), sulla formazione sacerdotale (Optatam totius) e le dichiarazioni sull’educazione (Gravissimum educationis) e sulla libertà religiosa (Nostra aetate). 18 novembre 1965 Sono approvati la costituzione sulla Parola di Dio (Dei Verbum) e il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem). 7 dicembre 1965 Sono approvati la costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes), i decreti sulle missioni (Ad gentes) e sul sacerdozio (Presbyterorum ordinis) e la dichiarazione sulle religioni non cristiane (Dignitatis humanae). 8 dicembre 1965 Nella basilica di San Pietro a Roma si tiene la celebrazione di chiusura del Concilio Vaticano II. Paolo VI rivolge 7 messaggi all’umanità: ai governanti; agli uomini di pensiero e di scienza; agli artisti; alle donne; ai lavoratori; ai poveri, agli ammalati, a tutti coloro che soffrono; ai giovani. Tratto da La Chiesa bella del Concilio, Ave 2012

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mpagnano Castel Cane e nei luoghi nelle perso

Castel Campagnano

uno Storia, geografia e ricordi di

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Cap 81010 Abitanti 1635 Superficie 17 kmq Densità demografica 96 ab/kmq Altitudine centro 58 m s.l.m. Lat 41° 11′ 0″ N Long 14° 27′ 0″ E

Al comune di Castel Campagnano appartiene la frazione di Squille, che dista 3,72 chilometri dal medesimo comune di Castel Campagnano. Del comune di Castel Campagnano fanno parte anche le frazioni di Mascioni (3,29 km), Schiete (2,56 km). Il Comune sorge a 58 metri sul livello del mare ed è bagnato dal fiume Volturno. Ricchezza e produzione primaria sono date dall’agricoltura in particolare la zona è fertile per la viticoltura del pallagrello e olivicoltura dell’oliva caiazzana.

Il toponimo è legato ad un nome di persona campanius a cui è stato aggiunto il suffisso possessivo anus. Il nome originario, Campagnano, fu modificato in Castello di Campagnano per poi assumere la forma di Castel campagnano. I primi insediamenti, risalenti ad epoca romana, sono stati rinvenuti nella frazione di Squille. Secondo la tradizione, nel Medioevo, Squille sarebbe appartenuta a Stefano Campagnano, i cui eredi si sarebbero spostati in una località vicina, dando origine all’attuale Castel Campagnano. Nel 1383 fu teatro della battaglia fra Carlo III di Napoli e Luigi I d’Angiò. Fino al 1862 fu chiamato solo con il nome di “Campagnano” per poi divenire “Castello di Campagnano” Dal 1916 si chiama con l’attuale nome.

COMUNIcando La nostra rubrica dedicata ai comuni questo mese fa tappa a Castel Campagnano, piccola realtà cittadina a poche centinaia di metri dal fiume Volturno. Due nuclei abitativi, il centro e la frazione di Squille: entrambi raccolti intorno all’esperienza parrocchiale, che in piccoli centri come questo diventa realtà aggregante e propositiva di iniziative e sviluppo sociale, ancor più quando la collaborazione con le Istituzioni è costante e proficua.

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l’Alto Casertano

degli angoli piÙ suggestivi del


In paese...

E

ra il 1978 quando Don Alfonso Musco, da poco nominato parroco della chiesa di Castel Campagnano, convinse, lui sacerdote e barelliere, due amici a partecipare al pellegrinaggio a Lourdes di quell’anno come barellieri con l’associazione di volontari Amami. Da allora da Castel Campagnano, ogni anno, partono pellegrini e barellieri alla volta di Lourdes per vivere e condividere una bellissima esperienza di amore e di fede che soltanto davanti alla Grotta, là dove la Mamma Celeste ha incontrato Bernadette, si riesce ad apprezzare nella sua pienezza. I disagi del lungo viaggio e il faticoso lavoro quotidiano al servizio degli ammalati sono ampiamente ripagati dalla gioia e dal piacere di dare una mano a chi soffre nello spirito e nel corpo. Scambiare un sorriso con un ammalato, regalare una carezza ad un volto sofferente, tirare una carrozzella, aiutare un fratello a bagnarsi nelle piscine, sono esperienze intense che lasciano un segno profondo nel cuore di chi le vive. Ma senza dubbio l’esperienza più bella e coinvolgente è quella di vivere il miracolo che momento per momento si manifesta a Lourdes: sentirsi tutti fratelli, tutti figli della Madre Celeste, tutti uniti in una grande e collettiva preghiera! Ogni anno in occasione della Giornata dell’Ammalato, nella parrocchia di Santa Maria ad Nives, il gruppo ormai consolidato dell’Amami con sede a Castel Campagnano rivive un momento di preghiera e vicinanza agli anziani e agli ammalati del posto celebrando “alla maniera di Lourdes” il particolare momento di fede.

Dalla fede ’ A T I N U M O lla Cpastorali aEsperienze e sociali che maturano il senso di appartenenza e di servizio

.. le il u q S i d e n io z a r f a ll Ne

L’

oratorio Anspi Domus Amicitiae nasce per volontà di un gruppo di amici legati da valori cristiani e da un profondo senso di amicizia, che in passato aveva già condiviso esperienze di formazione e progettazione di attività culturali e ricreative. Solo nel 2010 si decide di dare forma e cittadinanza giuridica al percorso precedente costituendo l’Associazione. Attraverso questa nuova veste, si parte ad organizzare il tempo libero dei ragazzi attraverso piani formativi ed educativi di concerto con le istituzioni locali e la parrocchia di Santa Maria del Rosario su temi comuni come la tutela dell’ambiente e la riscoperta delle tradizioni; si promuovono i valori dello sport e del turismo e della crescita educativa come momenti di maturazione della persona. Dal 2010, anno di battesimo, sono state numerose le iniziative realizzate e promosse nel circondario caiatino, che hanno coinvolto fasce di giovani differenti. La Rievocazione Storica delle tradizioni della cultura contadina, primo vero evento a sfondo culturale, intendeva celebrare la memoria del territorio. La Rievocazione, comprendente mietitura e trebbiatura delle messi, ha interessato il centro storico della frazione Squille. Oltre alla rievocazione in costumi e mezzi d’epoca, si è costruito un percorso didattico–informativo sull’evoluzione dell’agricoltura fino allo sviluppo delle nuove tecniche e mezzi per raccolti intensivi, nel quadro di laboratori specialistici dedicati alla panifi-

. cazione, molitura e realizzazione del procedimento per la farina. Il 2012 è stato invece un anno con lo sguardo sul mondo dei più piccoli, all’insegna dell’animazione e del divertimento. Il progetto “Campo estivo 2012”, è nato con l’esigenza di promuovere i valori dello sport, della socialità, della legalità. Nella splendida cornice di un vecchio mulino medievale, recuperato e restaurato con fondi Comunitari, in comodato d’uso gratuito all’associazione richiedente, sono stati realizzati gli eventi previsti dalle linee guida del campo estivo. Il 2013 si attende come periodo di transizione e riprogrammazione degli eventi che a breve torneranno ad animare la vita sociale, religiosa e culturale della piccola comunità.

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L’intervista doppia Don Massimiliano Giannico

Don Andrea De Vico

PARROCCHIA SANTA MARIA AD NIVES CASTEL CAMPAGNANO

SANTA MARIA DEL ROSARIO Squille di CASTEL CAMPAGNANO

Da quanto tempo fai parte della Comunità? Da circa nove anni Due anni

Quali sono state le prime impressioni giungendo in questa realta’? È un bellissimo territorio, con grandi potenzialità, poco valorizzate perché la dimensione piccola della comunità spesso la induce a ritirarsi in se stessa più che aprirsi. Questo avviene in tutti i campi , da quello religioso a quello politico e sociale.

La gente partecipa, risponde in un modo efficace, talvolta non con molto entusiasmo, ma quando il confronto permette di spiegare e comunicare, allora le cose cambiano.

Quali difficoltà hai incontrato? La mancanza di punti d’incontro fra tradizioni e rinnovamento pastorale.

La comunità vorrebbe un parroco presente ventiquattr’ore al giorno, che abitasse con loro, ma questo non è possibile per via di altri impegni diocesani e di quelli in un’altra parrocchia.

Come risponde la Comunità alla vita Pastorale? Oggi le cose sono migliorate: la comunità si è aperta a una dimensione diocesana e anche al rinnovamento pastorale; tutto ciò sta producendo i suoi risultati. Questo è anche dovuto al cambio generazionale, non solo dei sacerdoti del territorio, ma anche a una più profonda consapevolezza del senso di essere chiesa, attraverso lo scambio di esperienze proprio tra generazioni.

Ci si organizza molto volentieri e con lodevole spirito di iniziativa (feste paesane, manutenzione chiesa ...), e si risponde con responsabilità agli organismi di partecipazione voluti dalla Chiesa: consiglio pastorale, consiglio economico, gruppo catechistico, caritas.

Cosa cambieresti? Alcune forme un po’ stereotipate, che sono nostalgia di un passato.

Vorrei che i genitori si riunissero per discutere i problemi dei giovani e dare loro nuovi modelli e indicazioni.

La piccola comunità parrocchiale nel terzo millennio, quale futuro? Il suo futuro sta nella valorizzazione dei doni presenti in essa e dal lavoro sulle nuove generazioni: come i piccoli; perché se oggi vogliamo ipotizzare un futuro per queste realtà periferiche e piccole, lo possiamo solo se investiamo su di loro e sulle risorse sane presenti sul territorio.

Un futuro incentrato sull’apostolato dei laici, perché in questa piccola comunità si attende che il prete faccia cose che i laici potrebbero imparare a gestire da soli come animare gli incontri o organizzare un momento di preghiera.

Il Papa secondo me non deve piacere per quello che fa, ma per il messaggio che annuncia. La persona è poca cosa rispetto al messaggio che è chiamato ad annunciare. Papa Francesco ci sta ricordando parole che il Concilio ha detto e ridetto. Oggi con i continui cambiamenti della società e del mondo, ci accorgiamo che il Concilio aveva previsto il campo su cui un giorno la Chiesa si sarebbe dovuta confrontare. Papa Francesco sta ricordando alla nostra Europa scristianizzata, la bellezza di essere discepoli e testimoni del Vangelo. 16

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E il nuovo Pontefice?

Ottimo! Il nuovo Papa è un uomo di governo, sa cosa chiedere, e nello stesso tempo si porge lui per primo!


Da vedere... Il territorio di Castel Campagnano non offre siti o particolari luoghi di rilievo artistico e culturale da visitare. La ricchezza di quest’area sta tutta nel paesaggio, nei colli digradanti che si rincorrono, su cui uliveti e vigneti trovano la loro meritata collocazione. Oltre al caratteristico centro storico, a Castel Campagnano è possibile visitare la cantina del Castello Ducale, posti sull’area di superficie di un antico maniero. Negli anni ‘80, in questo luogo, venne ritrovata una Chiesa di ori-

gine paleocristiana risalente all’XI sec., che conservava affreschi di epoca tardo bizantina. Questo luogo venne utilizzato fino al 1600 per la conservazione del vino. Oggi il Castello Ducale è sede di un’azienda vinicola privata. Da non perdere la chiesa parrocchiale e le antiche cantine tufacee presenti in molti palazzi del comune. Mentre nella frazione di Squille vi sono ospitali agriturismi che offrono passeggiate nella natura anche a cavallo, degustazioni di cibo e vino locale. Lungo il corso del fiume Volturno è possibile praticare la pesca.

Semaforo rosso 1. 2. 3. 4. 5.

Cultura del dialogo e dell’ascolto Strutture ricreative e sportive per i giovani Piano alloggi e lavoro Governance del futuro: rete tra cittadini, associazioni, comunità Senso critico, coscienza dei problemi collettivi

Hanno lavorato a Comunicando per la pagina di Castel Campagnano: Giovanni Viscusi e il gruppo Barellieri AMAMI

Semaforo verde 1. 2. 3. 4. 5.

Pluralismo associativo per un pluralismo ideale La comunità come grande famiglia Saldezza di valori e principi Risorse naturali e bellezze paesaggistiche Genuinità dei rapporti umani

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di ANTONIO CROCE e GIOVANNI CAPOBIANCO

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ltre ottanta partecipanti provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia e da tre nazioni europee, ai quali si sono aggiunti alcuni abitanti del territorio, hanno percorso l’Alto Casertano, dai pascoli intorno al lago Matese ai castagneti del Vulcano di Roccamonfina, a “caccia” di orchidee. Il 19° Raduno Nazionale Giros (Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee), con base presso l’Hotel Miralago, nel Parco Regionale del Matese, è stato caratterizzato da numeri che non risentono della crisi (il turismo naturalistico è uno dei settori turistici che sta soffrendo meno) come dimostra il tutto esaurito delle strutture alberghiere scelte. La caccia è solo fotografica: vietatissimo raccoglierle dalle normative europee, nazionali e regionali ma soprattutto dalla sensibilità degli studiosi e appassionati che compongono l’Associazione e che scelgono, ogni anno, una destinazione diversa per incontrarsi a fini scientifici ma anche e soprattutto, stare insieme e conoscere luoghi di grande fascino. E l’Alto Casertano offre scenari lontani dalla percezione comune che si ha attraverso le immagini della cronaca. Il lago Matese garantisce habitat decisamente importanti per la biodiversità ed è stata questa la prima motivazione che ha spinto gli organizzatori, Antonio Croce e Giovanni Capobianco, componenti della sezione “Terra di Lavoro”, a sceglierlo come luogo di ritrovo già dal giovedì che ha dato inizio all’evento. Grazie al fondamentale contributo della Regione Campania, Assessorato all’Ecologia e alla Tutela dell‘Ambiente - AGC 5 - Settore Ecologia, si è potuto offrire agli ospiti un autobus per muoversi tra i luoghi prescelti per le escursioni. I castagneti lussureggianti del Parco Regionale Roccamonfina-foce Gari-

AMBIENTE e territorio

Quei fiori del Matese

A distanza di un mese dall’incontro promosso dal Club Alpino Italiano che ha visto il raduno di insegnanti e docenti provenienti da diverse regioni italiane per un corso formativo su natura e ambiente, ora è toccato agli appassionati di orchidee far visita ai nostri luoghi. L’ospitalità naturale vince ancora

gliano sono stati la prima tappa degli studiosi che poi, dopo aver degustato alcuni tra i prodotti tipici della gastronomia e aver ammirato l’incantevole borgo di Sipicciano di Galluccio, hanno proseguito verso i pascoli di Monte Camino, con panorami mozzafiato sulla piana del Garigliano. La sera del venerdì è stata caratterizzata dalla presentazione del libro “Ophrys d’Italia”, opera monumentale su questo genere di orchidee, frutto del lavoro pluridecennale di due soci del Giros, Rolando Romolini e Remy Souche. Proprio dai monti del Matese, nel 1861, Vincenzo Tenore, nipote del grande Botanico Michele Tenore, descrisse

una nuova specie di Ophrys, una di quelle orchidee che imitano le femmine di insetti impollinatori per ingannarli e trarne benefici. Il secondo giorno, sabato, tappa a Ciorlano dove numerose specie di orchidee sono presenti e, nonostante la fioritura tardiva, sono state ritrovate. Nel pomeriggio il gruppo ha scoperto la Cipresseta di Fontegreca, luogo di notevole fascino ed interesse ambientale. La domenica, giorno di partenza, sono stati visitati i dintorni del Lago e altri monti del Matese. All’atto dei saluti il grande gruppo si è disperso, sulla via del ritorno, soffermandosi per altre foto, altre osservazioni, altre scoperte che, grazie alla tecnologia informatica, sono condivise su forum e social network. Ma incontrarsi dal vivo è un’altra cosa, un altro bisogno, un’altra emozione.” n.5

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Alife. Una giornata al Castello Dall’alba al tramonto la vita quotidiana di nobili, armati, servi e popolani tra le mura della roccaforte medievale

di EMILIA PARISI

a n t i c o s œ g n o

I rintocchi mattutini del campanone (o il cambio della guardia) Tardo Medioevo. E’ l’alba di un nuovo giorno nel castello del Conte di Alife Rainulfo Drengot. Circondato da quattro torri, possenti mura e un profondo fossato, la roccaforte della nobiltà alifana si erge imponente in un angolo della fortezza romana, proteggendolo dalle incursioni esterne. Il canto del gallo preannuncia alle sentinelle, appostate sulle torri, il cambio della guardia. Il sergente, a capo delle guardie del castello, comincia la sua ispezione: il cortile, il portone, il granaio, la legnaia, la dispensa, la cucina e la cantina. Tutto è tranquillo. All’improvviso si odono i rintocchi del campanone del duomo: il sergente, indossato l’elmo e cinta la spada, ordina che la bandiera sia issata, le trombe comincino a squillare e il ponte levatoio abbassato. Poi, la porta esterna a guardia del castello, cigolando sotto il suo peso, si apre e fa passare il drappello di soldati che va a rilevare gli uomini alle quattro porte e alle torri del paese per il cambio della guardia. La prima fermata è Porta S. Giovanni dove quattro armigeri prendono posto due sulle torri laterali, alte e merlate, e due ai piedi della porta. Traffico in uscita, traffico in entrata: la città prende vita Davanti alla porta numerosi personaggi attendono di uscire dal paese: il porcaro, avvolto nel suo mantello nero, seguito da una ciurma di cani ringhiosi, pronto a condurre i maiali dei contadini al pascolo nelle selve alifane; preti e perpetue, padroni e donne di paese s’incamminano verso le chiese per adempiere alle funzioni religiose; ortolani, con vanga e zappa in spalla, raggiungono in fretta orti e canapine; contadini e pastori, dopo un’ora di cammino, arrivano con i loro armenti nelle aride campagne di S. Angelo; boscaioli, cavallari, carbonai e mulattieri, compiono il tragitto più lungo, giungendo alla testa di carovane di equini sulle vette del Matese o nella fitta selva alifana. Terminata la processione in uscita, finalmente viene consentito l’ingresso alla piccola folla che attende con impazienza: sicari, birri e corrieri che non temono di viaggiare di notte, chierici itineranti e frati mendicanti lontani dai conventi, pellegrini e lebbrosi preannunciati dal suono del campanello attaccato al bastone. Più tardi, a giorno avanzato, arriveranno prelati in visita al Vescovo, mercanti e macellai e le comitive di meretrici con i loro abiti dai colori vivaci. Il drappello di soldati ripete l’operazione a Porta Fiume, da dove escono i battellieri diretti alla scafa sul Volturno, i raccoglitori di giunchi per farne cesti e panieri, i cercatori di rane, lumache e verdure selvatiche e da dove entrano caccia-uccelli e pescatori con il bottino del giorno. Da Porta Roma, dove il manipolo si ferma nuovamente, entrano in paese i merciai di Venafro e Teano ed i langellari di S. Angelo d’Alife, dove si producono ceramiche artigiane. Infine, la compagnia giunge alla Porta di S. Maria degli Angeli che guarda in direzione del Matese e da dove entrano carboni e legna, agnelli e bestiame da macello, lana e canapa, farina macinata, carni e pelli di lepre e di cervo.


L’udienza del Conte Terminata la funzione del drappello, il sergente fa ritorno al castello, dove può slacciarsi l’elmo e posare la spada presso il corpo di guardia, legare i mastini, disserrare le porte di cucina e stalla e salire a fare rapporto al Conte. Nel frattempo il cortile si popola: gli stallieri governano i cavalli, le serve preparano la colazione per birri e signori, i famigli trasportano la legna e tirano l’acqua dalla cisterna. I rintocchi della campana annunciano la messa nella cappella di corte raggiunta in gran fretta dal Conte e la sua famiglia, l’erario, il capitano, il capocuoco e i servitori. Dopo la cerimonia religiosa, la contessa ritorna nelle sue stanze dove raccomanda alle serve di preparare il pranzo per il Conte e per gli ospiti e di non dimenticare di tessere e filare panni per gli occupanti del Palazzo. Il Conte, intanto, seduto su un trono in una grande sala che difficilmente riesce ad essere riscaldata, rabbrividisce e si prepara all’udienza stabilita proprio per quella mattina. Riceve numerose visite: l’erario, suo amministratore, rende i conti; il capitano riferisce di questioni di giustizia; l’università avanza lamentele sulle segrete del castello; un messo inviato dal Re Ruggero II annunzia una cerimonia di investitura cavalleresca e chiede la sovvenzione ai suoi vassalli; alcuni massari accusati dall’erario vengono a discolparsi; il Vicario porge gli ossequi del Vescovo e chiede le travi promesse per la cattedrale; i vassalli del monastero di S. Maria in Cingla non vogliono osservare gli obblighi e la Badessa chiede l’intervento del braccio secolare. Nobili consiglieri, alti prelati e dottori in diritto sono pronti a dispensare soluzioni per dirimere le questioni che attanagliano il Conte che preferirebbe di gran lunga essere a caccia o perfino in battaglia. Il pranzo A mezzogiorno un profumo sale dal cortile: pane bianco appena sfornato, minestra, arrosto, verdure insaporite da lardo e spezie, dolci di miele e noci, vino generoso delle uve di S. Angelo imbandiranno la tavola del Conte e dei suoi ospiti illustri. Alla mensa parteciperanno anche parenti e parassiti, menestrelli e sicari, gentiluomini affidati in custodia al Conte dal re in persona, suo acerrimo nemico. I servi, pieni di minestra e pane nero, spolperanno le ossa della selvaggina prima dei mastini. Dopo pranzo il Conte farà un giro per il Castello per verificare i lavori da fare per rimediare ai danni del terremoto. L’imbrunire: il castello chiude le porte All’imbrunire dalla torre maestra del castello il Conte ode i canti delle fabbricatrici dei panni di lana, il martellare dei fabbri e i rintocchi dei campanili che chiamano al Vespro. Alife è immersa nella luce del sole al tramonto, si profilano lunghe ombre di palazzi e di torri, i muratori scendono dalle impalcature, i tavernieri accendono i lumi, speziali e notari si dirigono alla cattedrale per la funzione. Anche il Conte e la sua famiglia scendono alla cappella. Il porcaro rientra con i maiali che al terzo suono della sua tromba schizzano per le strade verso casa dove li attendono i padroni. Intanto nel castello il vecchio sergente dopo la cena indossa l’elmo e cinge la spada, fa rullare i tamburi e issare la bandiera, infine monta la guardia di notte e il drappello rientra. Le porte sono serrate e il ponte levatoio si chiude lentamente su se stesso. Dalle stanze della contessa si ode il suono di un’arpa, mentre dagli alloggi dei servi si sentono schiamazzi e risate, poi orazioni. Al fioco lume i soldati bevono vino e giocano a morra, il sergente davanti al fuoco sogna la gioventù e le battaglie. Al terzo rintocco del campanone, che annuncia il coprifuoco, il castello già dorme. Le sentinelle, tramite il passaparola, si rassicurano a vicenda e i residenti possono riposare tranquilli nelle loro cuccette. Un’altra giornata è trascorsa. Domani sarà l’alba di un nuovo giorno ad Alife. (fonte: Vita quotidiana nel Castello di Alife, Domenico Caiazza)


dedicato a CHI LEGGE Thesaurus 1700

Dalla pianura di Marafi alla corte dei Borbone: il destino dei De Martino nell’ultimo libro di Maria Carmela D’Andrea 1688. Cesare De Martino, un povero contadino originario di Faicchio (piccolo centro della provincia di Benevento), sta per intraprendere un avventuroso viaggio per mare a bordo di un veliero che dal porto di Napoli lo condurrà fino a quello di Genova, crocevia preferenziale per lo smercio di ogni sorta di prodotti. L'uomo deve mercanteggiare un favoloso ritrovamento che egli stesso ha fatto qualche tempo addietro nella misteriosa pianura di Marafi, sede di insediamenti produttivi dall'età romana e nel Medioevo. Quella scoperta è destinata a mutare profondamente le sorti della modesta famiglia De Martino, permettendo a Cesare e a sua moglie Rebecca di realizzare i loro sogni e soprattutto di far studiare i tre figli, Angelo, Niccolò e Pietro, che diventeranno tre illustri uomini di scienze presso la corte borbonica del Reame di Napoli. Maria Carmela D'Andrea, autrice altocasertana, già avvezza alle ricostruzioni storiche dettagliate e veritiere, cerca e trova un mucchio di lettere sigillate in ceralacca, salvate da un falò nel palazzotto di un anziano signore nei pressi di Faicchio. Quella fitta documentazione epistolare risalente al 1830, che l'autrice trascrive in modo certosino e ordina cronologicamente come le tessere di un puzzle, rivela attraverso le palpitanti emozioni di una romantica storia d'amore, quella tra Pietro (discendente di Cesare De Martino) e Mariannina (una ragazza palermitana), quello che accade alla famiglia De Martino un centinaio di anni più tardi. Dalle parole di Mariannina, che racconta al figlio Gaetanino una storia

per farlo addormentare, si materializzano davanti ai nostri occhi le peripezie di Cesare e della sua famiglia. Il tutto condito dalle descrizioni storiche e paesaggistiche degli scenari che fanno da sfondo all'intera vicenda, quelli delle fertilissime terre del beneventano. Non mancano gli avvenimenti drammatici che come un filo rosso si dipanano attraverso i secoli puntellando le due storie: il terremoto che devastò Cerreto Sannita nel 1688; il vaiolo ed il colera che misero in quarantena il Reame di Napoli; il viaggio avventuroso di Cesare che salpa da Napoli per cambiare il suo destino. A cura di Emilia Parisi Il 5 giugno 2013 a Minori (SA), nell’ambito della manifestazione “Incontro con l’autore in Costiera Amalfitana” l'autrice presenterà Thesaurus 1700, alle ore 19.00 presso il Caffè Gambardella in Corso VIttorio Emanuele.

Alvignano (CE) · Piazza Mercato, 1 · Tel. 0823-865620 Caiazzo (CE) · Via Cattabeni, 26 · Tel. 0823-868907 Alife (CE) · Via Roma, 86 · Tel. 0823-783394

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B VI U SI O N NI E

A c u ra

di Emi

el i e Mi c h s i r a P a li

e Me n d

i tt o

la giusta distanza.

Vita in campagna diversa dal solito. Grottesca, surreale, realistica Titolo originale La giusta distanza Genere Drammatico Nazione Italia Anno 2007 Durata 106 min. Regia Carlo Mazzacurati A Concadalbero, paesino quasi fantasma della profonda provincia veneta, le giornate scorrono tranquille e nulla sembra turbare la serenità degli abitanti. Una nutrita compagnia di personaggi popola le stradine desertiche del piccolo centro alle foci del Po: c’è Franco (Natalino Balasso) tecnico telefonico e avido lettore di Focus; c’e Amos (Giuseppe Battiston) tabaccaio farfallone con la moglie romena e il suv; c’è Guido (Stefano Scandaletti) belloccio autista d’autobus con la fidanzata estetista; c’è Hassan (Ahmed Hafiene) meccanico tunisino che cerca di integrarsi come meglio può e c’è Giovanni (Giovanni Capovilla) giovane sveglio e curioso con la passione per il giornalismo. La piccola comunità è sconvolta dall’arrivo della bella e anticonformista Mara (Valentina Lodovini), trentenne toscana chiamata a sostituire l’anziana maestra della scuola in preda alla follia. Il timido Hassan trova il coraggio di avvicinarsi alla ragazza, prima spiandola di nascosto attraverso le vetrate della sua casa di campagna, poi alla luce del giorno dichiarandole il suo amore. Quando Mara viene ritrovata priva di vita riversa in un lago con ecchimosi in tutto il corpo e un colpo fatale alla nuca, il suo amante viene subito arrestato e condannato per omicidio preterintenzionale. Il paesino dimenticato perennemente avvolto dalla nebbia si sveglia come da un incubo: qualcosa di malvagio e di impensabile è accaduto proprio tra le mura delle loro case, ora l’importante è accantonare quella brutta vicenda ed andare avanti con le loro vite. Ma Giovanni non ci sta, decide di spingersi oltre le apparenze rompendo la regola della “giusta distanza” che dovrebbe avere ogni bravo reporter: non troppo lontano per non perdere di vista il soggetto, non troppo vicino per non farsi coinvolgere emotivamente. Inizia così una serie di metodiche indagini per provare l’innocenza di Hassan che nel frattempo si è suicidato in carcere.

N

on sempre la vita di campagna è tutta rose e fiori, nella sua distanza dalla frenesia urbana, in un microcosmo dove la semplicità e la ripetitività delle giornate scandiscono lente lo scorrere del tempo. Può capitare che una piccola comunità sia avvolta da un’atmosfera cupa e ambigua alimentata dai suoi stessi membri, grottesca e surreale ma del tutto realistica. Al regista padovano Mazzacurati, che ambienta la sua storia a metà tra il noir e il dramma nel Delta del Po, non interessa affatto dipingere un quadretto idilliaco del suo Nordest ma anzi, come aveva già fatto nel suo film d’esordio Notte italiana nel 1987, descrive i lati oscuri della provincia veneta, fuggendo dai luoghi comuni e mostrando di essere a proprio agio nel relazionarsi con la sua terra d’origine attraverso la macchina da presa. Seguendo la strada tracciata da una sceneggiatura essenziale e strutturata per mezzi toni, ci immergiamo in una realtà che scorre immobile, tra personaggi-caricature e un paesaggio nebbioso e malinconico che rafforza il clima quasi malsano della storia, che seppur assuma i tratti del genere giallo negli ultimi minuti della narrazione, si impone come un racconto di inquietudine e diffidenza, ossessione e allontanamento. La giusta distanza pecca per delle ingenuità, in special modo per quanto riguarda la descrizione dell’ambiente giornalistico, con scenette alquanto improbabili. Ma resta tutto sommato un film che si imprime nella memoria per la sua efficacia e per la maniera in cui il cineasta, silenziosamente, descrive una geografia paesaggistica e umana di partecipata adesione, sapendo elevare gli eventi a paradigma di una terra più controversa di quanto si supponga.

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Sorprese (Veduta della campagna dal centro storico di Ailano) Foto Gianmarco Imbroglia

By Night ( Veduta di S. Potito Sannitico) Foto Salvatore Fragola

Raccolte(S. Potito Sannitico) Foto Salvatore Fragola

Macchie di pensieri (Monti del Matese) Foto Nicoletta De Lellis


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