EDITORIALE
Pontificia Povertà di SERGIO TANZARELLA
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in dai primi giorni di pontificato papa Francesco ha compiuto dei gesti e dei segni di rinuncia e ha pronunciato delle parole che hanno segnato profondamente non solo la Chiesa ma anche la società. Sono gesti, segni e parole ispirati alla povertà come scelta dirimente per il cristiano. La povertà non come categoria sussidiaria e aggiuntiva della testimonianza, ma come sostanza costitutiva del cristiano. C’è chi incredibilmente si scandalizza di tutto questo, mentre per il vero non vi è nulla di nuovo, poiché il Vangelo da poco meno di venti secoli lo afferma in modo indiscutibile annunziando di un Cristo nato in una stalla, modesto artigiano, maestro di pescatori e di gente comune nella Palestina del suo tempo e con uno spiccato interesse per l’incontro con peccatori e peccatrici. Tuttavia nel tempo si sono accumulati usi, costumi, cerimoniali che hanno costruito un regime di cristianità che alcuni continuano a ritenere, certo in buona fede, come indispensabile per la comunità cristiana e per i suoi ministri. In questo regime si sono affermati anelli e croci d’oro, scarpe in tinta, mozzette orlate di ermellino e un apparato di protocolli e cerimonie che è ben evidente quanto in nulla renda più credibile l’annuncio cristiano. Tutto questo mondo, grazie al papa Francesco, sembra improvvisamente manifestarsi per quello che è: illusoria creazione umana, trionfo della mondanità e dell’effimero, tentazione alle seduzioni del potere come dominio. Un mondo di cartapesta come i titoli onorifici e nobiliari, come i residui medievali di un apparato pontificio costituito da una corte dove il papa rischia di non essere più compreso come il successore di Pietro, l’umile pescatore chiamato da Gesù. Un mondo che per lungo tempo è rimasto appagato dal tentativo di quasi divinizzazione dei papi con il titolo onorifico di Santità cui corrispondono quelli - ugualmente effimeri - riservati ai vescovi di eminenze ed eccellenze in luogo di quello di straordinaria forza e dolcezza di “padre vescovo”. Di fronte a questo mondo un po’ cortigiano e un po’ ammuffito il papa Francesco ci viene incontro invitando a rialzarci dalle troppe genuflessioni e dai bacia anelli, esattamente come Pietro a Giaffa disse al centurione Cornelio che si era gettato ai suoi piedi per adorarlo: “Alzati: anch’io sono un uomo!” (Atti 10,26). Papa Francesco sa bene che solo riaffermando questa propria umanità può recuperare la relazione di fratello tra i fratelli e ad un tempo di padre che va in cerca di figlie e di figli perduti, o che scruta l’orizzonte in trepida attesa del loro ritorno. Egli ci suggerisce in queste prime settimane di pontificato che la povertà è l’unica condizione perché la relazione - senso ultimo e autentico dal Vangelo della Pace - possa realizzarsi in modo credibile, in grado così di condividere la comune condizione umana nella realtà della sofferenza e della marginalità nella quale vive la maggior parte delle donne e degli uomini. L’invito è, allora, a guardare con maggiore profondità e rispetto ai gesti e alle parole del papa Francesco per comprenderne, ben oltre ciò che sottolineano comunemente i mezzi di informazione scandalistici, il senso più autentico: l’impegno a prendere sul serio il Vangelo e le sue conseguenze al di là dei protocolli e dei cerimoniali. Occorre, ci indica papa Francesco, superare il pericolo dell’autoreferenzialità e avviare la ricostruzione di una ecclesiologia fondata su una Chiesa povera e per i poveri. Anche qui nulla di nuovo, era questa già l’idea di papa Giovanni XXIII alla vigilia del Concilio Vaticano II: “La Chiesa si presenta qual è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”.
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primo piano
Pagine dedicate allo spirito L’occasione è quella del 250˚ anniversario dell’arrivo della statua dell’Immacolata nella città di Piedimonte, ma è soprattutto un approfondimento della spiritualità mariana, diffusa in numerose parrocchie della Diocesi di Alife-Caiazzo. Letino, Formicola, Alvignano, Alife, Baia e Latina, Caiazzo, Piana di Monte Verna: non mancano luoghi, grotte, cappelle, icone, antichi e più recenti, dove non vi sia il segno della devozione alla Vergine. Tradizioni popolari e fede matura si incontrano in un volto docile e sereno, in un manto azzurro, in due braccia che stringono a sè il Bambino. A queste pagine di accompagnamento pastorale - grazie al particolare contributo del Vescovo, S. E. Mons. Valentino Di Cerbo - si affianca un piccolo sussidio per la preghiera: un libretto del Rosario pensato per tutta la Comunità diocesana, che idealmente ci fa pregare con le stesse parole e le stesse intenzioni tenendoci in comunione.
Accadde 250 anni fa. Accade oggi Era il 5 maggio del 1963 quando la statua dell’Immacolata percorse la “Via Vecchia” di collegamento tra Alife e Piedimonte. Giunse accompagnata dai fedeli presso la Cappella del Seminario vescovile e qui sostò per qualche giorno. Avverrà anche quest’anno. Il 5 maggio alle 18.00, la statua, di cui è terminato il restauro da pochissimi giorni, giungerà in Cattedrale dove S. E. Mons. Michele De Rosa, vescovo di Telese-Cerreto-Sant’Agata de’Goti - presiederà la celebrazione eucarisitca. Al termine ripercorrendo la “Via Vecchia” farà ritorno a Piedimonte e accolta dal vescovo diocesano Mons. Di Cerbo, sosterà come allora, presso la Cappella del Seminario fino al 9 maggio. In questa data, alle 18.00, la statua uscendo dal Seminario, scendendo da via Immacolata, giungerà a Porta Vallata e percorrendo via Angelo Scorciarini Coppola, giungerà nel Santuario di Ave Gratia Plena dove il Vescovo presiederà la solenne Celebrazione eucaristica.
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22 agosto 1948. Mons. Della Cioppa (Vescovo di Alife dal 1947 al 1952) indisse la Peregrinatio Mariae. La statua dell’Immacolata fu portata anche ad Ailano dove sfilò in processione per le vie della città
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Vivo e tenero legame
a devozione alla Vergine Maria, nella città di Piedimonte Matese, risale a tempi lontani: si ricorda la devozione a Santa Maria Occorrevole, raffigurata “orante” nelle pitture (XIV-XV sec.) dell’omonimo monastero (oggi retto dai francescani) presso il Monte Muto, fino alla tradizione delle edicole votive dedicate alla Vergine sparse sul territorio, tanto nei centri abitati che nelle campagne. I due grandi templi mariani di Piedimonte si devono all’azione di Sveva Sanseverino, pronipote di San Tommaso d’Aquino, che nell’ambito di una riforma pastorale del Clero (1417), d’intesa con il Vescovo Angelo Sanfelice volle la creazione della Chiesa Collegiata di Ave Gratia Plena (dedicata l’8 dicembre del 1640 da Mons. Pietro Paolo de’ Medici) e di quella di Santa Maria Maggiore. Fu Mons. de’ Medici a dedicare uno degli altari della chiesa di Ave Gratia Plena all’Immacolata Concezione (1659). Mons. Angelo Maria Porfirio, suo successore, fece realizzare una tela (che ora si conserva nella Sacrestia dell’AGP), raffigurante la Vergine Immacolata con ai piedi San Venanzio. La devozione all’Immacolata si diffuse in città molto rapidamente, prima con la pratica dei “sabati dell’Immacolata” portata e celebrata dai frati Alcantarini, che operarono in Piedimonte a partire dal 1671, poi con la realizzazione della Statua lignea dell’Immacolata – opera dello scultore napoletano Gennaro d’Amore - voluta da Mons. Filippo Sanseverino. La statua, che ritrae la Vergine in atteggiamento di preghiera, fece il suo ingresso in città il 5 maggio 1763, dopo aver prima sostato presso il Seminario Alifano. Visto il culto straordinario che crebbe intorno a Maria Immacolata, il Consiglio dell’Università proclamò l’Immacolata, il 1 gennaio 1764, patrona di Piedimonte, insieme ai Santi Marcellino, Rocco e Filippo Neri. I solenni festeggiamenti iniziarono dal 1772 e crebbero nel tempo sino alla solenne incoronazione della Madonna avvenuta su istanza del vescovo di Alife,
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Maria nei simboli dell’arte L’Immacolata Concezione di Maria è uno dei temi più sentiti e meglio realizzati nella produzione iconografica cui si accompagna da sempre un vero e proprio approfondimento teologico. Il medioevo si dispiega in una produzione di tipo metaforico dove ricorre l’immagine
Mons. Antonio Scotti, con decreto del Capitolo Vaticano in data 26 luglio 1891. Il 20 maggio 1894 la statua dell’Immacolata fu incoronata dal Card. Camillo Siciliano Di Rende, arcivescovo di Benevento, davanti al Municipio, di fronte alle Autorità civili e militari. Mons. Luigi Noviello, vescovo della Diocesi di Alife, volle elevare la Insigne Collegiata a Santuario Diocesano il 14 aprile 1937 e in segno di affetto e devozione, volle farsi seppellire a lato dell’altare dell’Immacolata. Il 1 maggio 1950 l’Immacolata è stata proclamata Regina di Piedimonte ed ogni anno riceve dal Sindaco il cuore d’oro con la supplica da parte della popolazione. La devozione alla Madonna si esprime ancora oggi in un rapporto continuo di preghiera, silenziosa, personale e corale, soprattutto in occasione dei due novenari: quello in preparazione della Solennità liturgica dell’8 dicembre, che si celebra all’alba e vede la partecipazione di un gran numero di fedeli provenienti da tutte le parrocchie della città, e quello del mese di maggio, prima della tradizionale festa celebrata nella terza domenica, con la processione per le vie di Piedimonte, in ricordo dell’Incoronazione del 1894. E’ un legame vivo e tenero quello dell’intera cittadinanza verso la Vergine Immacolata ecco perché non appare fuori luogo l’attribuzione fatta a Piedimonte Civitas Mariae. In occasione del 250° anniversario dalla realizzazione della statua dell’Immacolata (1763-2013) e del suo ingresso in città, la parrocchia di Ave Gratia Plena ha organizzato nell’arco di un triennio un percorso di fede, missionarietà e cultura in assoluta prospettiva mariana: nel marzo del 2012 la Missione popolare animata dalla suore di San Giusappe da Pinerolo, ritornate in città anche in occasioni successive. Poi il restauro dell’effige e le celebrazioni pastorali e culturali, tra cui il gemellaggio con Nazaret. Mentre per il 2014 è già predisposta la realizzazione di un’opera-segno nel nome della Vergine Immacolata.
di Maria, donna dell’Apocalisse, in cui la Vergine si accompagna a simboli cosmici: comete, stelle, il drago, la luna, così come è descritto nel libro dell’Apocalisse: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle». A questa lettura, mantenendo la simbologia cosmica quasi del tutto invariata, si aggiungono diverse varianti quando Maria assume successivamente i connotati della Tota pulchra. La Vergine è raffigurata con i capelli sciolti, il suo corpo è avvolto da una tunica bianca e un manto celeste, mentre il capo è ricoperto di dodici stelle, le mani sono giunte, il globo terrestre ai suoi piedi è insidiato dal male attraverso l’immaginesimbolo del serpente. L’immacolata, avvocata di grazie e madre del popolo è particolarmente sentita in Italia meridionale. E’ bella d’aspetto; le mani giunte in atteggiamento orante fanno di lei la donna della preghiera che intercede per i suoi figli: il biancore, la luminosità della scena o di una statuaria rappresentazione sembrano dominare rispetto a tutto il resto. La luce di dentro della Vergine, si riflette sull’arte che al di fuori ne esalta la solennità, la purezza, la divinità. La tradizione iconografica dell’Immacolata
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Piedi-
monte può avere le sue origini nella tela di autore ignoto oggi collocata nella volta della sagrestia di Ave Gratia Plena (nella foto). Un’opera
commissionata
con ogni probabilità da S. E. Angelo Maria Porfirio (vescovo di Alife dal 1703 al 1730), dove è raffigurato il martire San Venanzio di Camerino di cui era originario il Vescovo. E’ chiara la veste della Vergine; ai suoi piedi
Discrezione
Consapevolezza
la FEDE di MARIA
Accoglienza
Gratitudine
Alla scuola del Figlio di Valentino, VESCOVO
A
maggio, nella nostra Diocesi si assiste ad un pullulare di iniziative spontanee e di tradizioni secolari in onore della Vergine. La maggior parte di esse ha come epicentro la recita del Rosario, che si eleva a Maria da ogni chiesa e cappella e da molte case e cortili delle nostre cittadine. In tali occasioni, il popolo cristiano guarda a Lei come alla Madre premurosa, dispensatrice di grazie, ma il Concilio Vaticano II e il recente Magistero pontificio ci indicano un’altra strada, più moderna e profonda per esprimere la nostra devozione mariana, esortandoci a vedere in Maria soprattutto la prima credente, che ci precede nel pellegrinaggio verso Dio. E’ un’indicazione molto preziosa in quest’Anno della fede. Il Vangelo ci presenta Maria come Colei che attraversa tutti i momenti della propria vita affidandosi al Signore. La fede porta Maria a rispondere sì all’invito dell’Angelo e a porre il suo futuro nelle mani di Colui che è tre volte Santo, nonostante la proposta inusitata e complessa che le viene recata dall’Angelo Gabriele. Con la Visitazione, l’Annunziata non si chiude in sé stessa, ma si apre alle necessità altrui, nella consapevolezza che col proprio gesto di solidarietà reca molto di più: la presenza consolante di Gesù. In tale occasione, inoltre, Maria scorge nella sua piccola vita le meraviglie compiute da Dio e apre il suo cuore ad un perenne rendimento di grazie. Accoglie con stupore riconoscente quel Figlio speciale che gli nasce in una povera grotta e non si arrende quando, nel tempio di Gerusalemme, Simeone le annuncia le sofferenze che dovrà patire a causa di lui. Di fronte al comportamento di Gesù dodicenne, non cerca di far prevalere i propri progetti di madre, ma medita e conserva nel cuore la risposta del Figlio, che le fa intravedere il disegno grande che il Padre ha su di lui. Lo segue nella vita pubblica con la discrezione e la consapevolezza di chi ne accoglie la missione con religioso rispetto e sofferta condivisione, intervenendo soltanto per salvare la dignità e la gioia di due giovani sposi in difficoltà. Sotto la croce, di fronte allo strazio del Figlio e all’ingiustizia della sua morte, non si chiude nel dolore, ma, accogliendone l’invito, si apre ad un amore più grande verso altri figli bisognosi di aiuto, di guida, di tenerezza e di pace. La Resurrezione del Figlio non la inorgoglisce, né le fa sentire ultimato il suo ruolo di Madre, ma la spinge ad essere premurosamente vicina a discepoli smarriti e timorosi, educandoli alla preghiera ed alla fiducia in Colui che mai dimentica i suoi figli nella tribolazione, ma prepara sempre sorprese nuove. Dopo Pentecoste, pronta a tornare nel nascondimento, accanto all’Apostolo Giovanni attende senza pretese e con la serenità di chi si sente sempre nelle mani di Dio e si fida di Lui, il ricongiungimento con il Figlio in Cielo. La meditazione attenta dei misteri della fede, suggerita dal Rosario, ci invita a metterci alla scuola di Maria perché anche la nostra, come la sua, diventi sempre più una vita di fede, capace di leggere negli eventi quotidiani la volontà amorevole di Dio, di accoglierla e di vivere in una gratitudine, che si trasforma ogni giorno in rinnovata fiducia in Dio e in dono per i fratelli; di aprire sentieri di amore nel dolore, di recare sempre speranza, guardando serenamente l’ esistenza come un continuo camminare verso il Padre, con la certezza che egli veglia premurosamente sulla nostra vita e ci accoglie a braccia aperte nella morte. n.4
Foto in alto: Annunciazione (particolare), R. Ciappa, 1804, Santuario dell’Addolorata, Alvignano. In basso: Pentecoste (particolare), Bernardo Azzolino, sec XVIII, chiesa San Francesco d’Assisi, Caiazzo.
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la luna con le punte rovesciate e il serpente. Alla sua destra gli angeli: uno di essi reca in mano la stella a sei punte, probabile allusione dalla stella di Davide. Anche il cedro è uno degli elementi simbolo di quest’opera, chiaro riferimento alla citazione tratta dal Libro del Siracide (24,17) «Quasi cedrus exaltata sum in Libano» (Sono cresciuta come un cedro sul Libano, come un cipresso sui monti dell`Ermon). Altro elemento simbolico è lo specchio, riferibile alla citazione biblica del libro della Sapienza (7,26) «speculum sine macula Dei maiestatis et imago bonitatis illius» (specchio senza macchia della maestà di Dio, e immagine della sua bontà). Tutto è un chiaro riferimento alla purezza di Maria, stella mattutina a cui guardano gli smarriti e quanti sono nelle tenebre.
L’Immacolata di Ave Gratia Plena (opera di G. Amore, 1763). L’univeralità di una diffusa iconografia Il volto guarda verso il basso, alla terra, agli uomini, al popolo di cui è madre e protettrice. L’abito chiaro ricoperto del manto blu è simbolo della “condivisione divina” (Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli. Dal Prefazio). Il mantello è trapuntato di stelle, aggiunte probabilmente durante il restauro ottocentesco. Le mani sono giunte in preghiera, atteggiamento accogliente e raccolto della Donna predestinata da Dio. Il resto è ancora simbologia cosmica della donna dell’Apocalisse. Sotto i suoi piedi la luna e il globo, che dopo il restauro degli ultimi mesi ha rivelato nuovi colori e più viva brillantezza. La sua composizione “dirige” l’armonia dell’intero gruppo scultoreo rivelando l’immagine di Lei, quale opera perfetta del suo Creatore. Lo stellario, costituito da dodici stelle, non allude più ad elementi cosmici già presenti nella fascia intorno al globo, ma alle dodici tribù di Istraele, ai dodici apostoli, fondamenta della Chiesa nascente.
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anno accolto l’invito della loro scuola a partecipare al progetto Maria di Nazaret. Tra arte, letteratura e pietà popolare. Sono gli studenti del Liceo Statale Galileo Galilei (indirizzo artistico). I ragazzi che frequntano dal I al III anno di corso con la guida dei docenti Adamo, Pagano e Napolitano, insegnanti di materie artistiche e la collaborazione degli insegnanti di lettere e religione hanno vissuto da vicino l’esperienza dell’importante annivarsario che la parrocchia di Ave Gratia Plena sta celebrando in occasione dell’evento già descritto. Attraverso una serie di visite al Santuario omonimo e alcuni incontri presso la scuola curati da don Emilio Salvatore, parroco di AGP, il progetto ha preso corpo attraverso lo studio e i laboratori in cui si sono cimentati i giovani studenti. L’approfondimento della storia della città e del Santuario l’arte in sessa custodita, le tradizioni religiose popolari, il racconto intorno alla statua: tutto questo ha fatto di comuni lezioni scolastiche un nuovo modo di vivere e sentire la cultura. Non solo. Essa ora si tocca con mano, si crea, si disfa, si assapora e si reinventa. Gli studenti in questi mesi hanno realizzato opere d’arte sul tema che saranno esposte presso la Chiesa del Carmine in occasione dei festeggiamenti in onore dell’Immacolata.
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L’ARTE che si partecipa
Un’immagine che comunica oltre... Un dialogo continuo tra Maria e i suoi figli. Parole sussurrate nel dolore, nella gioia, nell’attesa. Facile immaginarla donna dei nostri giorni, al passo con le nostre vicende quotidiane, con l’affanno e la laboriosità di ciascuno, con i sogni dei giovani, le certezze degli adulti, la serenità degli anziani. Maria che parla, docilmente e fermamente, con sussurro leggero che incide il cuore. E’ Maria della trinità. Maria della Chiesa. Maria degli uomini. Un prisma che si lascia attraversare dalla Luce e che riflette lontano i colori della sua passione di fede che in lei fonde terra e cielo. E’ l’immagine che parla oltre l’immagine, oltre l’iimaginario comune che l’uomo edifica e costruisce spesso a misura propria, secondo i limiti del suo orizzonte di fede e conoscenza. Maria, immagine trasparente che si lascia attraversare dalla Parola di Dio finchè essa non ha raggiunto il cuore degli uomini.
Maria ci parla ancora oggi ...nella Trinità «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2b). Il cuore di Maria è il cuore di Dio, amorevole, misericordioso, che genera alla vita. E’ la madre del Figlio e come Lui obbedisce alla volontà del Padre. Vive dello Spirito Santo che nel giorno dell’Annunciazione e della Pentecoste pervade di Sé la donna prescelta. In Lei riflesso Dio. ...nella Chiesa In lei è l’immagine del popolo di Dio in Cammino. “Un cuor solo e un’anima sola”, con il Figlio, con Dio, con i fratelli e gli apostoli. E’ immagine della Chiesa, vergine e madre, come il documento conciliare Lumen Gentium ci ricorda: «Orbene, la Chiesa contemplando la santità misteriosa della Vergine, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa pure e vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo; imitando la madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo conserva verginalmente integra la fede, salda la speranza, sincera la carità» (LG 64). E’ modello per la Chiesa nello stile della carità, del coraggioso cammino di chi procede lungo il cammino della vita. ...in mezzo agli uomini Modello di libertà, di chi lotta contro il male, di chi aspira alla purezza e alla trasparenza. La Tota pulchra, donna ideale e reale che invita a cercare la bellezza spirituale. La donna del dolore e della ricerca, la donna della vita.
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Voci dal TERRITORIO
Famiglie che attendono risposte
di MICHELE MENDITTO
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entre le sorti della finanza europea sembrano essere continuamente appese a un filo oscillante, e il Governo del nostro Paese arranca (sempre che ce ne sarà uno quando saranno stampate queste pagine) sotto il peso di una tornata elettorale dagli esiti sorprendenti, è il mondo della gente comune che ne sopporta le conseguenze più disastrose, all’ombra di un periodo difficile per tutta la Nazione. Così l’incertezza si impone come leit motiv del quotidiano, specie poi quando a mancare è il salario, quello sudato, che non arriva per ragioni poco chiare, nonostante si continui a lavorare tutti i giorni. Quella stessa incertezza vissuta nell’ultimo anno dai Baif della Comunità Montana del Matese, senza stipendio da diversi mesi. Incertezza che diventa un’urgenza da mettere a tacere quando a rischio è il futuro di tanti nuclei familiari.
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I Baif della Comunità Montana del Matese, da mesi senza stipendi. Famiglie intere vivono la difficoltà di tirare avanti in attesa che dalla Regione arrivino risposte esaustive e rassicuranti per il futuro. Il lavoro di manutenzione dei boschi e dei sentieri di montagna, nelle aree di pertinenza, continua nonostante la mancata retribuzione
« Demoralizzati e obbligati a scontrarsi con l’indifferenza sconcertante della nostra Regione Campania – unica fonte finanziaria degli enti montani per le retribuzioni – gli operatori agricoli idraulici forestali dell’intera regione si vedono privati degli emolumenti da troppi mesi, precipitando nella precarietà e in una condizione di forte disagio. Il problema ha cominciato a presentarsi quando per l’ente di Palazzo Santa Lucia si è spenta la possibilità di accedere ai mutui per il finanziamento del comparto della forestazione, e dunque sono venute a mancare le risorse ordinarie disponibili per i pagamenti. La situazione si è presentata con la sua drammaticità già dal 2010, e si è protratta sino ad oggi senza che sbucasse fuori una soluzione a quella che dovrebbe essere intesa come una priorità, e che invece sembra, tutt’al più, una voce di bilancio di cui si fa a meno e che manca da due anni. La Comunità Montana del Matese – tutto sommato meno afflitta rispetto alle altre della Campania, dove in alcuni casi sono addirittura 18 i mesi di mancati pagamenti - è riuscita in questo periodo a recuperare somme che avanzava relativamente ad anni pregressi, e ad anticipare le mensilità del 2011 e in parte del 2012. Poi, senza più un euro a disposizione, la situazione è precipitata, e in egual misura è cresciuto il malumore degli operai. In più di un’occasione si è levata la loro voce di protesta, tra manifestazioni in Regione, Provincia, Prefettura, tramite le orga-
Ma più controverso, invece, è stato l’emendamento al Bilancio approvato in questi giorni dal Consiglio Regionale, che porta a 181 le giornate lavorative dei baif, con l’ipotesi della cassa integrazione o la disoccupazione speciale...»
nizzazioni sindacali e i presidenti degli enti montani, e non ultima quella presso la stessa Comunità Montana in via Sannitica nei primi giorni di Aprile. Bisogno di un salario, per tirare avanti e garantire stabilità alla propria famiglia, ma soprattutto la richiesta di chiarimenti sui motivi reali della dilatazione di questo ritardo che, diciamola tutta, non getta una buona luce sulla Regione Campania, negli ultimi tempi ritardataria nei pagamenti anche per quanto riguarda le somme indirizzate ai servizi sociali, tanto da accendere le proteste dei sindaci degli Ambiti Territoriali. La situazione è sembrata essersi sbloccata qualche settimana fa con la possibilità usufruire dei Fondi di Sviluppo e Coesione (60 milioni di euro per la Campania, di cui 18 già disponibili), per i quali la Regione ha stipulato però con ritardo l’accordo quadro col Governo; stesso ritardo per l’individuazione del capitolo di bilancio su cui far transitare i fondi – circa un milione di euro - con i quali pagare alcune mensilità. Ma più controverso, invece, è stato l’emendamento al Bilancio approvato in questi giorni dal Consiglio Regionale, che porta a 181 le giornate lavorative dei baif, con l’ipotesi della cassa integrazione o la disoccupazione speciale. Il tutto - come ha pure sottolineato il presidente della Comunità Montana matesina, critico nei confronti dell’emendamento – ancora nella piena incertezza. Quel che resta di tutta questa faccenda, al di là della sua risoluzione che noi speriamo possa definirsi al più presto, è la delusione dei baif campani nei confronti di un ente che li ha posti in secondo piano, assieme a quello stato di precarietà generato da un’indifferenza istituzionale che ben poco ha da spartire con la tanto sbandierata “vicinanza al cittadino”, che suona così bene durante le campagna elettorali, mentre poi ne resta solo una debole eco a risuonare nelle tasche vuote dei lavoratori.
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Dagli eventi del Giubileo diocesano nasce l’idea di un Dizionario che ricorda la storia di uomini e donne che hanno arricchito la vita ecclesiale di Alife-Caiazzo con la propria testimonianza di fede
Fausto Cusani
Vittoria Ferrara Nicola Visca
Giulio Iacobelli Antonio Scotti
Giuseppe De Francesco
Francesco Cusano Vincenzo Cinotti
Giovanni Caso
Olivo D’Ambrosi Paolo Campagnano
Pasqualino Di Domenico
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Rosa Mastroianni Pasqualino Battista
Luigi Parillo
Pasqualina Ricciardi Espedito Grillo
Francesco Reveglia
Maria Martini
Francesco Corsini
Angelo Scorciarini Coppola Salvatore Farina Natale Celestino Giovanni Greco Maria Giustina Meneghini Maria Graziella Pavera Enrichetta Visco Vincenzo Pezzullo Lorenzo Matarazzo Ercole De Cesare Bernardino Di Dario Giacomo Vitale Giulia Gaudio Giuseppe Rocereto Nicola Morra Francesco Finelli Raffaele De Marco Loretano Manera Nicola Fusco Francesco Nobilomo Pasqualina Giannetti Per la prima Andrea Luigi Fressa Pasquale Di Domenico Divezzi Giuseppe Scirocco volta Salvatore Signore Gennaro Pianese in un Ester Faraone I nomi di Pasquale Panella Luigi Scannelli Dizionario Cosimo Fevola Alife-Caiazzo Luigi Vastano Giuseppe De Lellis Filomena Ottalagana Francesco Marrocco Alfonso Musco Biagio Mugione Filomena Morelli
Francesco Mazzarella
Emerenziana Asnaghi
Alfonso Mancini
Giuseppe Amato
Antonietta Offreda
Laura Sangiovanni
Vincenza Messeri
Oliviero Cristinzo
Maria Saggese
Fides Monetato
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Angelo Puorto
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Filomena Perrotta
Vincenzo Di Buccio
Giacomo Cavicchia
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Raffaele Gagliardi
Emilio De Cesare Laura Sangiovanni Ernesto Mastroianni Leopoldo Acerra Giorgio Mirra Anna Ceraso Luigi Vaccaro Franco Mazzarella Vittoria Caso Enrico Villani Pasquale Mone Lorenzo Matarazzo Raffaele Masucci Vincenzo Bruno Paolo Campagnano Giovanni Giuseppe Iannace Salvatore Mazzocca Gabriele Ventriglia Pasquale Fusco Francesco Cusano Raffaele De Marco Pia Augusta Pastori Emilia Orefice Luigi Fressa Antonio Ragozzino Angelina Mone Francesco Formichella Paolo Fiorillo Gregorio Mormile Uomini e donne Erminio Sartor Giuseppe Ferrazzano Lucio Ferritto Edoardo Arbitrali testimoni del Vangelo Mario Apperti Francesco Gargiulo Loreto Manera Maria Vittoria De Cesare Stefano Di Sorbo Luigi Cornelio Bernardino Castellano Ovidio Gianfrancesco Balbina Marcuccio Domenico Lanzone Antonino Leggio Lorenzo Materazzo Antonio Tommaselli Luigi Nuzzolillo Clotilde Venditti Giuseppe Petella Amilcare Sarno Giovan Giuseppe D’Amore 1861-1986 Angela Fazzone Maria Santoro Francesco Nobilomo Michele Fusco Domenico De Marco Vincenzo De Cesare Tommaso Mastroianni Pasquale Cervo Antonio Cammarota Pietro De Lellis Antonio Capezzuto Vincenzo Santarcangelo Gioconda Civitillo Umile Fidanza Beniamino Perrella
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O MATESE SAN GREGrsoOneRIe ne i luoghi nelle pe
uno degli angoli Storia, geografia e ricordi di
San Gregorio Matese
Cap 81010 Abitanti 986 Superficie 56,36 kmq Densità demografica 17 ab/kmq Altitudine centro 765 m s.l.m. Lat 41°23’5” N Long 14°22’25” E
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situato nel cuore del Piccolo borgo montano za Matese a poca distan Parco Regionale del go. ala Mir di so dal pas dall’omonimo lago e a, ne geografica, il clim izio pos re ola tic par La uno o ritorio lo rendon la naturalezza del ter , ti dell’alto Casertano ina am ont dei paesi inc le per co isti tur po molto visitato a sco li di grande interesse ura nat e are se ero num ti moltitudine di prodot paesaggistico e per la e erb , ggi ritorio forma locali presenti sul ter pur go bor Il te. pregia aromatiche e carni modestia, rimane un nte are app sua la nel a, storia e leggende. piccolo scrigno di cultur
COMUNIcando
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piÙ suggestivi dell’Alto Caserta
Non ci sono notizie certe sulla nascita del paese ma, si può supporre la presenza di un villaggio già in epoca sannitica, come attestano le numerose tombe di soldati rinvenute nella zona di Santa Croce. Nei secoli dell’alto Medioevo il territorio di San Gregorio Matese fu dipendenza del Monastero di San Vincenzo al Volturno. Il nome San Gregorio non deriva con certezza da quello del Monastero, ma esso dovette sicuramente influenzare il primo insediamento che viveva prettamente di pastorizia. Il territorio fu per secoli un casale di Piedimonte Matese e solo nel 1748 divenne autonomo. Con l’Unità d’Italia il paese fu al centro dell’attenzione politica dell’intera valle del medio Volturno per le vicende del Brigantaggio che interessarono tutta la zona del Matese tra il 1860 e il 1870. Nella prima metà del XX secolo ebbe un periodo di modesto sviluppo culturale ed economico. Dal 1954 fu chiamato San Gregorio Matese per identificarlo con la comunità geografica e culturale del Matese.
La scelta di aprire una finestra sui Comuni del territorio nasce dalla volontà di “dare voce” ai luoghi, alle abitudini, alla gente che li abita, riscoprendo di essi ricchezze umane e culturali talvolta viste ma mai osservate, conosciute ma mai approfondite. Il nuovo "progetto" che Clarus lancia intende favorire anche la collaborazione e la condivisione tra coloro che nei comuni e nelle parrocchie costituiscano una mini-redazione per la realizzazione di pagine come queste. n.4
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Tutto in un click. In paese nasce l’archivio fotografico Cosè importante in una foto? Ogni volto viene segnato dal tempo e dal destino, l’espressione cambia, ma gli occhi restano immutati, esprimono sempre lo stesso calore di un tempo. Il volto registra il passare degli anni ma gli occhi restano intatti, puri. Abbiamo cercato di partire da questa idea per “rivivere” volti, emozioni e cambiamenti subiti nel corso degli anni da cose e persone, ma soprattutto far rivedere gli occhi dei propri cari, rivivere momenti e rievocare ricordi attraverso le fotografie di un tempo. Con questi presupposti nasce l’Archivio Fotografico di San Gregorio Matese. Ma ancora di più dalla passione per la fotografia di Don Marcello Caravella che in circa cinquant’anni di attività pastorale ha raccolto negli scatti le tappe fondamentali della nostra crescita, i volti dei nostri nonni, dei nostri genitori, i paesaggi, la maestosità delle nostre montagne, la limpidezza del nostro lago e la costruzione del nostro paese a livello sociale culturale ed economico. Non potevamo rischiare di perdere tutto questo. La fotografia permette di fermare l’attimo, cogliere un istante, fermare il tempo, lasciare ai posteri un ricordo. Così grazie
vedere in paese
all’impegno di Fernando Salvatore, Luigi, Peter, Matteo, Emilio, Stefania, Margherita ed Angela sono state eseguite in pochi mesi circa 20.000 scansioni. Il progetto continuerà con il dare una voce ad ogni foto tramite i ricordi e le rievocazioni che ci verranno suggerite dallo stesso Don Marcello. Il lavoro una volta ultimato farà parte dell’ “Accademia re la Secena” un libro aperto, un’antologia popolare dove sarà possibile raccogliere e conservare ricordi, immagini ma soprattutto storie e tradizioni per conservare e preservare le nostre origini e far conoscere la nostra identità a coloro che verranno. Le tradizioni ed i ricordi riescono a sopravvivere solo se si ha il desiderio di conservarli, se esiste un filo diretto tra chi li ha vissuti e chi ha la volontà di tramandarli. Smettere di guardare al passato e fare qualcosa per il futuro. Noi ci stiamo provando.
Cosa Lago Matese Miletto Circondato dai monti go e Gallinola, il lago è lun poco otto chilometri, largo do circa meno di due e profon una dieci metri. Presenta in cui vegetazione palustre iole, è facile scorgere marza ni folaghe, oche e germa che reali. Tra le specie itti pe, car , che tin ano nal seg si lo è lucci, persici. Per visitar iche tip possibile servirsi delle ale imbarcazioni di uso loc (lontri).
Chiesa Antica Originaria del 1596, situata nel centro storico su via Gaetano Del Giudice, di importante interesse artistico, custodisce all’interno la cappella di San Michele. Distrutta in seguito al terremoto del 1980 è stata per molti anni chiusa al culto. Solo successivamente riaperta e ricostruita dai fedeli.
Cappella di Santa Croce Luogo di preghiera circondato dalla natura, in località Nocendole (“Nocennole” nel dialetto locale). Le sue origini risalgono presumibilmente al 1709; purtroppo la mancanza di fonti attendibili non ci permette di definire con certezza l’epoca della sua prima edificazione. La cappella così come la conosciamo oggi è ben diversa dalla sua prima costruzione. Rinnovata e ampliata nel 1966, essa ha subito lavori di ristrutturazione interni ed esterni che ne hanno modificato l’aspetto originario.
Villa Luisa La villa comunale di San Gregorio Matese è uno dei giardini botanici più belli dove è possibile ammirare un paesaggio naturale, ricco di alberi e specie floreali tra le più rare e antiche. Il suo nome è legato alla figur a di Beniamino Caso (1824-18 83), politico, botanico e alpinista nato e cresciuto a San Gregorio Matese. Dopo l’esperienza politica che lo vide protagonista in ambito nazionale si dedicò a due delle sue più grandi passioni: l’alpinismo e la botanica. Fu vicepresidente del primo Club Alpino Italiano fondato a Torino nel 1863, poi fece ritor no nel comune di San Gregorio Matese dove si dedicò alla cost ruzione di questo meraviglioso orto botanico (Villa Luisa) intitolato a sua madre, Luisa Zurlo morta nel 1858. Villa Luisa ha l’aspetto di un meraviglioso parco naturale ricco di alberi imponenti, tra cui olm i, ippocastani, noci, piante di laur o, faggi, avellane, querci, così com e innumerevoli erbe officinali e fiori selvatici si alternano tra viali e vasc he d’acqua.
Centro Storico L’alternarsi di stradi ne, discese e salite rendono il centro storico molto caratteri stico, in particolare il “Vico Stretto” che nel suo punto più str etto, appunto, è largo soltanto 45 cm. Lungo i vicoli sono anc ora visibili alcuni dei mu rales realizzati negli anni ‘80 a cura de lla Pro Loco.
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L’intervista doppia Maria Ciccarelli
Stefania Marchesano
In un piccolo comune del Matese generazioni a confronto. Stili di vita diversi, esperienze entro i confini del paese: i legami familiari restano il punto di riferimento per tutti.
ni, bito la società nel corso degli an Quali cambiamenti ha su cosa offriva ieri e cosa offre oggi? In passato si poneva maggiore importanza alle tradizioni, alla famiglia, al dialogo, oggi questo va scomparendo a causa delle innovazioni tecnologiche per le quali ci si riduce a comunicare solo attraverso comodi canali informatici, o per il diverso tenore di vita. Dal punto di vista delle opportunità beh...le nuove generazioni dovranno superare scogli altissimi per potersi creare un futuro stabile.
La società di prima offriva poco o forse niente. Bisognava lavorare ininterrottamente per sopravvivere, in casa o nei campi. Dormivamo in una stanza comunicante con gli animali: la povertà non lasciava scampo a molti. Si camminava a piedi, per procurarsi le medicine scendevamo a Piedimonte. Oggi stiamo bene ma nonostante questo la società è malata.
Quali valori ti hanno trasmesso i tuoi genitori? A volte anch’io, pur avendo 30 anni, mi trovo a ragionare come una donna d’altri tempi. È così che mi hanno cresciuta e trasmesso valori come la famiglia, poi il rispetto per se stessi e per gli altri, la sincerità e la fede.
Mio padre mi diceva sempre «Mani curte, occa corta e poi alla corte del re»… Non rubare e parlare poco.
Cosa si è perso nel corso degli anni? Oggi alcuni adolescenti non conoscono il rispetto per le cose altrui, per gli anziani o per i più deboli. Prevale troppo egoismo, la furbizia e l’incuranza delle regole di una civile convivenza.
Si è persa la serietà, il rispetto della famiglia, del matrimonio, dei più anziani. Ai miei tempi gli anziani, parenti o non, dopo i genitori erano dei veri e propri educatori e avevano il diritto di riprendere un comportamento sbagliato di bimbi e giovani. Oggi non è permesso.
Oggi cosa ti fa arrabbia
re?
La falsità, la mancanza di meritocrazia nel sistema sociale: noi giovani ci sentiamo troppo discriminati, soprattutto per i tanti che vivono in piccole realtà come le nostre. Si spiega così tanta emigrazione verso le città o il Nord Italia.
La maleducazione
gi o tanto tempo fa?
sso. Meglio og La tecnologia è progre La tecnologia è progresso,
bisogna solo saperla dosare!
Se dovessi scegliere di rinascere nel passato o nel presente, sceglierei di vivere oggi. Chi non ha vissuto i miei giorni non può capire cosa siano la fame e la povertà.
Semaforo rosso - Collegamenti autobus con gli altri paesi scarsi e con poche corse. - Cattivo funzionamento dell’ufficio postale con apertura al pubblico di 4/6 giorni la settimana con code interminabili allo sportello. - Si avverte poco la presenza dell’Ente Parco Regionale del Matese nonostante San Gregiorio vi rientri al 100% come territorio. - Guardia Medica assente. - Poche prospettive per i giovani che in cerca di lavoro lasciano il paese con conseguente spopolamento.
Il sondaggio è stato effettuato su un campione di 50 persone di età compresa tra 18 e 50 anni.
Hanno lavorato a Comunicando per la pagina di San Gregorio Matese: Angela Caso e Margherita De Lellis.
Semaforo verde -
Associazioni impegnate nel sociale. Comunità parrocchiale attiva. Sicurezza interna. Servizio neve impeccabile. Folclore e Tradizioni. Comando dei Carabinieri e Servizio Forestale.
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successi
Fin sul
storie di piccoli
Colle
di MAURIZIO SASSO
Rossella Califano, classe 1981. Da Castel Campagnano a Napoli come studentessa, poi a Bruxelles in sede diplomatica, fino al lavoro presso il Quirinale
A
bbiamo voluto incontrare di persona chi ha avuto modo di lavorare, anche se per breve periodo, al Palazzo del Quirinale durante il Settennato Napolitano: parliamo di Rossella Califano, nostra conterranea che partendo da Castel Campagnano, a piccoli passi e con tanti sacrifici, sta intraprendendo una bellissima carriera professionale e da oltre un anno lavora presso l’Ufficio per gli Affari Diplomatici della Presidenza della Repubblica. La sua è la storia di una ragazza con tanti sogni, con tanta forza di volontà e con un’immensa umiltà che partita da un piccolo paese sconosciuto a molti sta realizzando un percorso professionale degno di nota. Prima l’Università e gli studi diplomatici a Napoli, un Master a Torino e poi quel concorso al Ministero degli Esteri che le apre la strada ad una carriera lavorativa che in poco tempo da Roma la porterà a trascorrere quattro anni a Bruxelles fino all’inaspettata chiamata da parte dell’attuale consigliere diplomatico di Napolitano e il ritorno in Italia negli uffici del Quirinale. Per lei un percorso in salita, fatto di tanti sacrifici e dure prove che ha sempre superato grazie alla vicinanza della sua famiglia e alla sua forte fede. Rossella, l’abbiamo incontrata a Castel Campagnano, dove rientra nei fine settimana per ritrovare il calore della famiglia e quei profumi che sanno di adolescenza. Ci bastano poche battute per apprezzarne la sua spiccata intelligenza e la sua grande disponibilità. Iniziamo una piacevole conversazione e in merito alla sua attuale esperienza ci presenta la figura di un Presidente estremamente colto, un grande ascoltatore e una persona molto umana. «Un Presidente che ha creato un ambiente di lavoro sereno, cercando, per quanto possibile, di ridurre i formalismi. Sarà rimpianto per la sua intelligenza e le sue grandi doti di uomo al servizio delle Istituzioni, cosa che sta dimostrando fino alla fine del mandato. E’ sorprendente la sua lucidità, e la meticolosità con cui si confronta con 16
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i collaboratori sul lavoro da portare avanti. E’ un uomo di grande ascolto. Verrà ricordato, certamente, per la fermezza con cui ha difeso i valori costituzionali». La cronaca e la stampa in genere cosa si è persa di questo uomo? «Beh, intanto dipende da cosa si legge. Ogni giornale segue la propria linea. Per la mia breve esperienza finora, credo che sia venuto fuori in modo abbastanza veritiero quanto ha fatto e dato per il Paese, l’impegno che ha profuso nel suo mandato, sotto tutti i punti di vista... credo che questo Presidente lascerà all’opinione pubblica un’immagine molto positiva, il che vorrà dire che i giornali non gli hanno remato proprio contro». Ci racconta per sommi capi in cosa consiste il suo lavoro all’Ufficio per gli Affari Diplomatici, che si occupa dei risvolti internazionali dell’attività del Capo dello Stato. Ci rivela un simpatico aneddoto che risale alla prima volta che ha parlato al telefono con Giorgio Napolitano: «Cercava il Capo dell’Ufficio e io c’ho parlato solo pochissimi istanti; ricordo esattamente l’imbarazzo di quel momento, credo di essere riuscita a balbettare sta arrivando, Signor Presidente…Ma ho rotto il ghiaccio e le volte successive è andata meglio. Ogni volta che lo si incontra l’emozione è la stessa, ti senti piccolo piccolo, vorresti dirgli tante cose e invece ti lasci andare solo ad un grazie Presidente». Un ricordo speciale del Presidente? «LacelebrazionedellaGiornataInternazionale della Donna di quest’anno, lo scorso 8 marzo, al Quirinale. Ero presente ed è stata una commemorazione intensa, profonda, una gran-
Il saluto tra Rossella Califano e il Capo dello Stato Giorgio Napolitano in occasione della Giornata Internazionale della Donna celebrata l’8 marzo scorso al Quirinale
de emozione…conclusasi con una stretta di mano molto cordiale. Un bel ricordo...». Sul piano umano, queste esperienze lavorative hanno di certo migliorato la sua autostima e la fiducia in se stessa, ma le hanno anche consentito di conoscere i suoi limiti perché, si sa, è lontano dal “nido” di casa che affiorano le proprie fragilità. Lei che sognava un lavoro nella cooperazione allo sviluppo, nelle ONG, si è ritrovata a vivere un percorso professionale diverso; tuttavia, fuori dal lavoro, il suo impegno per il sociale non manca, animato da una salda fede cristiana. «Nei quattro anni vissuti a Bruxelles ho incontrato ovviamente delle difficoltà, che hanno messo alla prova le mie certezze. Ho attraversato dei momenti di buio, che ho superato proprio grazie alla fede, che mi ha sempre accompagnato nel mio percorso di vita e che lì in Belgio posso dire che è maturata ed è divenuta più consapevole. Di quegli anni, un’esperienza che non dimenticherò mai è quella di aver fatto parte di un coro di musica Gospel; ero l’unica ragazza bianca in mezzo a tanti ragazzi di colore, ma la fede era il nostro comun denominatore e ci univa come parte di una grande famiglia! Siamo in contatto ancora adesso…». Le chiediamo quale sia una frase che sente vicina alla sua esperienza di giovane donna, proiettata in una crescita professionale e di vita, e senza pensarci troppo risponde con dei versi della canzone Symbolum 77 “Tu da mille strade ci raduni in unità e per mille strade, poi, dove Tu vorrai, noi saremo il seme di Dio”. «Questa frase è una bella sintesi di quello che penso rispetto alla Fede nella mia vita: ovunque sono stata, qualsiasi attività abbia svolto, ho sempre cercato di essere, nel mio piccolo e con i miei limiti, un seme di Dio». Ed è proprio questo lo spirito con cui affronta il suo impegno nel volontariato, particolarmente nel progetto della Asd Ercolini di Don Orione, progetto nel quale è stata coinvolta dal suo fidanzato, Salvatore; si tratta di
un’associazione sportiva che si rivolge ai ragazzi dei campi rom e che cerca di offrire, attraverso lo sport, un’occasione di riscatto e di integrazione sociale a questi giovani, un’alternativa valida alla vita di strada, un motivo di speranza nel futuro, di cui questi bambini hanno tanto bisogno. Unica regola da rispettare: gioca chi va a scuola. Finisce qui la nostra storia: un viaggio tra sogni, fede e progetti per il futuro. Non ci resta che augurare a Rossella un futuro di crescita professionale e personale ringraziandola per la piccola voce di speranza che ha voluto regalare a tutti i giovani che vedono irraggiungibili i propri sogni.
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successi storie di piccoli
GUSTO e passione
per la vita
Il professore Antonio Caracciolo, insignito del premio Don Lorenzo Milani si racconta ai suoi alunni
di STARGATE
H
a ricevuto dall’Amministrazione comunale di Piedimonte il premio Don Lorenzo Milani: un riconoscimento che per la seconda volta viene conferito ad un insegnante meritevole di una delle scuole cittadine. Un concorso a tutti gli effetti in cui ogni istituto scolastico è invitato a presentare una candidatura accompagnata da motivazioni, in questo caso, supportate dal dirigente scolastico Michele Vaccaro, dai colleghi e dagli studenti dell’Istituto Professionale Alberghiero. Il professore è Antonio Caracciolo, ormai da quarant’anni insegnante di “cucina” e rinomato chef in Campania. Presso l’Istituto Alberghiero “E. V. Cappello” di Piedimonte è il professore “delle gare”, dei successi conseguiti insieme agli alunni in occasione di manifestazioni nazionali ed internazionali di cucina. Ma questo
premio proprio non se l’aspettava. Si tratta in realtà di una iniziativa “giovane” in città, e dunque il professore Caracciolo non sapeva... Per quanti hanno candidato il suo nome non c’è stato alcun dubbio: la novità, l’apertura, la vicinanza di don Milani ai suoi ragazzi, la passione per l’uomo che muoveva il sacerdote di Barbiana. Tutto questo è il professore… Oltre alla formella che ritrae il volto di don Lorenzo, Antonio Caracciolo ha ricevuto dall’Amministrazione,
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L’umiltà di dire “impariamo insieme”
Da sinistra, Costantino Leuci vicesindaco e assessore alla Cultura e alla Pubblica Istruzione; il professore Antonio Caracciolo; il dirigente dell’Istituto Alberghiero “E. V. Cappello” di Piedimonte Matese
una somma in denaro che d’accordo con gli alunni deciderà di devolvere ad uno o più studenti meritevoli. L’abbiamo incontrato nelle cucine dell’Istituto insieme ad un gruppo di allievi. Pur essendo noi di Clarus i suoi diretti interlocutori, ha parlato rivolgendosi ai suoi ragazzi, guardandoli negli occhi, così come è abituato a fare considerandoli depositari dei suoi “segreti” professionali ed umani. «Il mio successo è sapere che i segreti, il mestiere, i trucchi, li abbia comunicati ad altri, perché la storia di un’arte speciale che è quella di ogni chef, continui ininterrottamente nel tempo attraverso le mani di altri. Anche io sono stato allievo e la passione dei miei maestri è una parte di me che oggi vive ancora attraverso quello che faccio». Studio e passione sono le strade che il professore indica agli studenti: «Il nostro è un lavoro di grandi sacrifici e importanti rinunce, solo competenza e passione e la continua voglia di migliorarsi possono far fronte a qualsiasi ostacolo». Dopo quarant’anni di carriera queste non appaiono parole di circostanza, né d’obbligo professionale di fronte ad una giovane classe di studenti, piuttosto la speranza di un futuro sereno e concreto per tutti quei ragazzi che ci provano mettendo in gioco se stessi e i loro sogni. Condividere e sperimentare diventano le parole d’ordine della mission del professore Antonio; nel suo caso la condivisione si avvale di un vissuto familiare che accanto a lui vive da sempre la passione per la cucina di qualità e per l’ospitalità. I ragazzi gli stanno intorno. Ascoltano una lezione non tanto diversa dalle altre: ancora una volta una lezione di vita. Il tono è delicato, sommesso come sempre, e così anche la determinazione e la “puntualità” di ciò che dice: «Il futuro non arriverà un giorno. Il futuro si costruisce oggi»
Si apprende facendo. L’antico concetto aristotelico qui vive e si rigenera ogni anno all’arrivo di nuovi studenti, si rigenera ogni giorno al suono della campanella che dà inizio alle lezioni. Eppure qualcosa è cambiato per questo Istituto come per tanti altri in Italia. Il dirigente scolastico Michele Vaccaro analizza con opportuna chiarezza e amarezza il futuro di un’esperienza scolastica che fino a qualche anno fa abilitava giovani studenti ad una professione che faceva dell’Italia uno dei paesi d’eccezione nell’ambito dell’ospitalità e della ristorazione. Nella nostra scuola conta molto il “fare” accanto alla teoria. Un “fare” che diventa esperienza concreta di un’arte, di un mestiere. E’ l’arte delle mani che non stanno ferme, che si adoperano per realizzare, per concretizzare qualcosa. Un movimento innato che diventa difficile da gestire quando in classe ci si confronta con discipline di ordine teorico. La modernità – spiega il professore Vaccaro – con dovuta intelligenza ci è venuta incontro fornendoci dispositivi che stimolano i ragazzi ad imparare “facendo” anche in discipline tipiche di ogni percorso di studi superiori quali le lingue straniere, la letteratura, la geografia e la storia. Siamo grati a strumenti come le lim (lavagne interattive multimediali) che associano la manualità al sapere e alla connessione globale immediata. Non possiamo più – dirigenti e docenti – non tener conto dei linguaggi e degli strumenti che oggi rappresentano il mondo, l’essenza dell’esperienza sensoriale e cognitiva dei giovani d’oggi. Per noi adulti, avvicinarci ai ragazzi con umiltà e serenità riconoscendo le loro conoscenze nell’uso di questi strumenti significa già aver costruito dei ponti e creato i presupposti per imparare insieme. Riconoscere ai “nativi digitali” il merito di comprendere un mondo meglio dei loro insegnanti, significa conferire nuova dignità al ruolo degli studenti. E partire tutti dallo stesso punto per imparare il nuovo. Un bel passo avanti… Ma il futuro di questo e altri istituti alberghieri non passa solo da questa strada e dalle idee innovative di dirigenti e professori. I conti si fanno con le leggi, con le novità sorprendenti e sconvolgenti che stanno affossando la qualità degli istituti professionali statali. Nel giro di cinque anni, in questa scuola siamo passati da diciotto a cinque ore settimanali di cucina. Con quale coscienza i Governi e i Ministeri competenti intendono offrire al mercato del lavoro chef, camerieri, gestori d’albergo professionalmente pronti rispetto ai colleghi francesi, tedeschi o inglesi?
Appello alle Istituzioni
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E’ una vergognosa mancanza di rispetto per questi mestieri e per i giovani desiderosi di apprendere e formarsi. Pagheremo un caro prezzo l’aver sottratto la professionalizzazione ai ragazzi. La definisce una vera e propria violazione dei diritti umani il dirigente Vaccaro. Così facendo stiamo tradendo lo spirito dell’accoglienza che ha sempre contraddistinto questo nobile Paese. I motivi si fa presto ad individuarli: un Istituto alberghiero porta dei costi, peccato che questa strada non porterà più qualità e onore alla bella Italia. E’ l’appello e lo sfogo di un Dirigente scolastico del territorio che chiede voce e non teme, dopo anni di esperienza e di confronti, di misurarsi serenamente in un più ampio dibattito. E mentre questo accade – prosegue il Dirigente Vaccaro – i nostri professori si caricano di grandi sacrifici per far vivere esperienze agli allievi anche fuori dalle mura di questa scuola. Don Lorenzo Milani cosa penserebbe di tutto questo? Per quanto tempo ancora celebreremo taluni personaggi, vanto della nostra nazione, senza viverne davvero il loro messaggio? n.4
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Il sacro a Rupecanina Antico Castello e antica devozione: tre luoghi di culto nella Campania dei secoli bui
di EMILIA PARISI
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Gli spazi del sacro Scavi archeologici condotti dal 2005 al 2011 dall’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa coordinati dal professore Federico Marazzi, presso il castello di Rupecanina a S. Angelo d’Alife, hanno riportato alla luce i resti di una cappella e di una chiesetta funeraria, antichi luoghi di culto costruiti a ridosso delle possenti cinte murarie che circoscrivevano l’insediamento medievale. Ad ogni fortificazione muraria, in genere più d’una per garantire una maggiore protezione, corrispondeva una cappella o chiesetta per permettere a tutti gli abitanti del complesso di adempiere alle cerimonie religiose, secondo una rigida gerarchizzazione dello spazio. Inoltre, i luoghi della preghiera erano situati quasi sempre nei pressi delle principali porte d’accesso al sito permettendo così ai devoti di raggiungerli con maggiore facilità. La chiesetta del borgo Ben tre cinte murarie cingevano il castello di Rupecanina: la prima circondava il borgo, proteggendolo dalle incursioni esterne e permettendo ai residenti di pregare nella chiesetta funeraria ricavata dalla fortificazione principale. Si trattava di un edificio rettangolare di modeste dimensioni, risalente ai secoli XI e XII, con presbiterio quadrangolare privo di abside, affreschi
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alle pareti come testimoniato dai numerosi lacerti dipinti rinvenuti sui muri e numerose sepolture nella navata. L’occupazione funeraria era caratterizzata da due tipi di tombe: a cassa, cioè in muratura, dove era deposto un solo individuo, rappresentative di una condizione sociale agiata; a fossa, cioè interrate, dove erano deposti diversi individui, espressione di una levatura meno abbiente. La cappella di Santa Lucia La seconda cinta muraria delimitava il pianoro antistante il castello dove, nell’angolo nordorientale, si trovava e si trova tutt’ora la cappella di S. Lucia, destinata agli armati e a quanti lavoravano nelle botteghe artigiane. Inglobata in una torre cilindrica della fortificazione secondaria e posizionata nei pressi di uno degli antichi accessi al pianoro, la chiesetta era costituita da un’unica navata con abside semi-circolare; oggi è a pianta quadrangolare e presenta dimensioni più ridotte, a causa delle ristrutturazioni effettuate negli anni Sessanta del Novecento. Nell’abside campeggiano le immagini di due santi con un libro tra le mani, le aureole di altri due santi che mancano e lacerti di decorazioni geometriche risalenti alla seconda metà del XII – inizi XIII secolo. Al centro doveva esserci la figura di S. Lucia o più probabilmente quella della Vergine, come testimoniato da un manoscritto settecentesco che attesta, all’interno del castello, la presenza di una chiesa dedicata a S. Maria.
Il Castello di Rupecanina. In basso, veduta aerea degli scavi archeologici (foto tratta da Guida Turistica del Matese)
L’oratorio signorile Baluardo estremo contro il nemico, la terza cinta muraria inglobava il castello vero e proprio, sulla cui sommità era ubicato ad est della torre mastia l’oratorio signorile, riservato alle esigenze religiose della famiglia aristocratica che risiedeva nel complesso. Frequentato da un numero ristretto di persone, questa piccola cappella era caratterizzata da un’aula rettangolare al cui interno sulla parete di fondo figurava un altare affrescato e un bancone decorato da dipinti. Le pareti dell’oratorio, anch’esse affrescate, furono costruite sfruttando murature di edifici diversi, tra cui la cisterna, che circondavano la struttura. I numerosi reperti emersi nel corso degli scavi, come frammenti ceramici, attestano che la cappella fu frequentata tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, un periodo piuttosto tardo in cui il castello di Rupecanina rifulgeva di quello splendore tipicamente medievale. (fonte Alessandro Luciano in Annuario ASMV 2012)
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o n o v i r c s i c i r o t t I le info@redazioneclarus.it
Esperienze di fede "in terra straniera"
Adriana da poco ha concluso la sua esperienza lavorativa in Scozia. Sette mesi lontano da casa, ma non dai valori La frase tipicamente pronunciata dalle persone care quando ci si saluta prima di una partenza è: “Che il Signore ti accompagni”. Questa frase è stata detta anche a me, prima della partenza per la città di Edimburgo lo scorso 27 agosto. Così sono partita, con una valigia piena di maglioni, perché c’era da superare il lungo e rigido inverno scozzese. Era la prima volta che mi allontanavo da casa per sette mesi; la prima esperienza di vita lontana dagli affetti, con un mondo tutto nuovo da scoprire. Con un po’ di paura l’avventura è iniziata, con qualche difficoltà alternata a momenti di immensa gioia e soddisfazione. E’ domenica, la prima nella stupenda città scozzese; per mantenere le tue abitudini Era la prima volta che da cristiana, ma soprattutto perché senti il bisogno di entrare a far parte di una comunità che ti ospiterà per un lungo periodo di tempo, decidi di recarti a messa; mi allontanavo da casa la cattedrale di St. Mary è quella per sette mesi; la prima più vicina a casa. All’inizio ti senti esperienza di vita lonspaesata perché ascolti la prima tana dagli affetti, con volta la parola del Signore in lingua inglese; senti la mancanza del un mondo tutto nuovo tuo coro e del parroco della tua da scoprire. Con un po’ chiesa. Arriva poi lo scambio del di paura l’avventura è segno della pace; partecipi alla iniziata, con qualche comunione, bevi allo stesso calice e capisci finalmente il significato di difficoltà alternata a “comunione fraterna”, ti senti apmomenti di immensa pagata nello spirito, ti senti a casa. gioia e soddisfazione Ecco che il Signore, mette sul tuo cammino le persone giuste, le amiche, quelle che condividono con te la quotidianità e che sono pronte a tenderti la mano quando la mancanza che senti è proprio tanta. Le mie due amiche sono colombiane, c’è subito grande complicità; ci facciamo lunghe risate nelle serate trascorse in cucina tra ricette tipiche nazionali da sperimentare. Andiamo insieme a messa e incontriamo le sorelle dell’ordine di Madre di Teresa di Calcutta, le Suore Missionarie della Carità. Sister Caritas è quella che subito fra breccia nel mio cuore, con il suo sorriso materno. Le sorelle ci invitano al loro gruppo di preghiera, il martedì pomeriggio. Il loro ritrovo è a pochi passi da dove vivo; all’entrata c’è la statua della Vergine Maria; dopo il momento di preghiera, bello, intenso, cominci a sentire l’odore di trito di cipolla; allora ti scusi, dicendo: «Sister siete pronte per la cena?». Lei risponde: «Seguimi». C’è una stanza grande, dove tante ragazze cucinano, in armonia, chiacchierano, sono felici. Il cibo è preparato e distribuito ai barboni che sono per strada. E’ naturale per me prendere un pela carote e offrire il mio contribuito a preparare una zuppa calda che darà sollievo a chi probabilmente, il lungo inverno non riuscirebbe a superarlo. Questa la mia esperienza di fede e di carità. Adriana Bruno
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B VI U SI O N NI E
A c u ra
di Emi
el i e Mi c h s i r a P a li
e Me n d
i tt o
Into the wild. nelle terre selvagge Un lungo percorso alla ricerca della felicità Titolo originale Into the Wild Genere Avventura, Drammatico, Biografico Nazione USA Anno 2007 Durata 140 min. Regia Sean Penn Il girovago Alexander Supertramp (Emile Hirsch) vaga nelle terre gelide e solitarie dell’Alaska con pochi mezzi di fortuna, vivendo di selvaggina e piante selvatiche. In mezzo alla natura selvaggia scorge un vecchio autobus abbandonato che sarà subito battezzato “Magic Bus” e scelto come estremo rifugio dalle intemperie. Il vagabondo ha con sé alcuni libri che conserva gelosamente: Tolstoj, Thoreau e London, una guida sulle piante commestibili dell’Alaska e un taccuino a cui affida i suoi pensieri. La sera, dopo una giornata di caccia e corse a perdifiato, fa ritorno al bus dove si immerge nella lettura dei suoi autori preferiti e dove i ricordi di un’esistenza che si è lasciata alle spalle cominciano suo malgrado a riaffiorare...Rivede se stesso due anni prima nel giorno della sua laurea alla Emory University di Atlanta quando per tutti era semplicemente Chris della famiglia McCandless, ligio al dovere, di belle speranze e con una istruzione di tutto rispetto. I genitori borghesi Walt (William Hurt) e Billie (Marcia Gay Harden) sognano per lui un futuro roseo e una carriera in rapida ascesa, ignari dei grigi nuvoloni carichi di tempesta che stanno per addensarsi all’orizzonte. Alex/Chris, zaino in spalla, comincia un viaggio che lo porterà fino alle lande desolate e sperdute dell’Alaska attraversando le sterminate distese di grano del Dakota del Sud e le terre brulle e desertiche del Messico. La sua è una vera e propria fuga dalla società consumista e capitalista americana che avvelena l’essenza dello spirito dell’uomo per ritornare ad un’esistenza primigenia a contatto con la natura. Bizzarri personaggi che incontra strada facendo lo aiuteranno a prepararsi psicologicamente per affrontare la dura permanenza nelle terre del Nord: una premurosa coppia di hippie, un simpatico trebbiatore del Sud, una giovane cantautrice della comune alternativa di Slab City e un anziano veterano chiuso e scontroso su cui il ragazzo inciderà profondamente.
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nto the wild è un viaggio, non soltanto a livello narrativo, giacché possiamo considerarlo un road movie a pieno titolo, ma anche a livello emozionale. Il quinto film diretto dall’attore Sean Penn, ispirato alla storia vera del ventitreenne Christopher McCandles, riesce davvero a condurci al fianco del suo protagonista, che una volta abbandonato per sempre l’uscio di casa si autobattezza Alexander Supertramp (“tramp” in inglese significa vagabondo), e comincia a errare per le terre statunitensi, prima di stabilirsi in Alaska. Veniamo trasportati in quell’ebbrezza del vivere in piena libertà, circondati dal minimo indispensabile, incamminati verso tutto ciò che esula dalla vita moderna e che tiene l’uomo prigioniero delle futilità e delle apparenze. La narrazione fatta di ripetuti flashback racconta le tappe di un viaggio costellato da incontri significativi, figure parentali, amici, amori, lungo un percorso di ricerca di una felicità che non risiede solamente nella libertà, ma soprattutto nel ricongiungersi con la natura, col Creato, nel realizzare nel migliore dei modi il dono della vita. Cinema da guardare, coi suoi paesaggi mozzafiato, dettagli inebrianti, una fotografia enfatizzante; ma anche da ascoltare, e la musica gioca in questo film un ruolo di non poco conto. Dal sapore acustico e quasi grezzo, le canzoni originali di Eddie Vedder, voce del gruppo musicale Pearl Jam, creano o sottolineano l’atmosfera di alcuni passaggi importanti, prese di coscienza, temi portanti della storia. Guardare un film come Into the wild, storia di un estremo percorso verso la libertà e la catarsi personale, porta a domandarsi se saremmo capaci anche noi di compiere un gesto simile, spogliarci di ogni nostro bene e partire verso il nulla a cercare noi stessi, scoprendo un nuovo modo di vivere.
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Aprile 2013
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Passato e presente (Piedimonte. Incrocio tra Via A. S.Coppola e Vico II Largo Paterno). Foto Roberta Civitillo
Tempo fermo (Alvignano, Loc.Marcianofreddo). Foto Ossy
Gigante nostro (Monti del Matese). Foto Paolo A. Nuzzo
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