Incontro giugno 13

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Per una Chiesa Viva Anno IX - N. 5 – Giugno 2013 www.chiesaravello.it

P ERIODICO

DEL LA C OMU NITÀ E CCL ESIAL E DI RA VEL LO

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L’EUCARESTIA Il massimo dono di Dio per noi All’inizio del mese di giugno celebriamo la Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, la festa dell'Eucaristia, il dono per eccellenza, poiché nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è Gesù stesso che si dona a noi nelle sembianze di un po' di pane e di un po' di vino. «Nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e Pane vivo che, mediante la sua Carne vivificata e vivificante nello Spirito Santo, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire con Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create. Per questo l'Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione» (PO 5). In questo denso testo del Concilio Vaticano II è contenuta tutta la ricchezza del Mistero di Cristo, presente nel Sacramento del Pane e del Vino. Segno e Sacramento della presenza misteriosa ma reale di Gesù tra noi, l’Eucaristia è dunque il centro e il cuore della Chiesa dove ancora oggi noi possiamo incontrare Gesù, quando celebriamo nella fede il mistero della sua Pasqua. Nella celebrazione eucaristica Gesù Risorto attraverso la sua presenza sacramentale del mistero della sua vita, morte e risurrezione, si ripresenta sotto i nostri occhi per comunicarci tutta la sua virtù salvifica, per offrire a tutti noi di poter godere di un contatto vivo, immediato, concreto con Lui, il Signore, con la sua vita e con il suo Vangelo. Se non avessimo questo Sacramento della sua mistica- reale presenza, Gesù sarebbe soltanto un personaggio della storia e non l’Emmanuele, il Dio con noi, che poche persone che vissero

accanto a Lui in Palestina, duemila anni fa, lo incontrarono, lo videro, lo ascoltarono e sperimentarono il privilegio della sua presenza. Ma Egli, Dio fatto Uomo per amore degli uomini, Amico premuroso e Maestro sapientissimo, ha prevenuto questa umana esigenza, superando fino all'inimmaginabile ogni nostra aspirazione. Nel Sacramento dell'Eucaristia Gesù ha donato Se stesso, per rimanere misteriosamente, in modo invisibile ma

reale sempre con noi e farsi contemporaneo agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. La sua nascita a Betlem, l’esperienza di vita terrena in Palestina, la sua morte e resurrezione, quelli che furono "atti" della sua vita teandrica, "momenti" della sua storia umana, nell'Eucaristia, Gesù li ha trasformati in "stati permanenti" che ripresentano e applicano nel tempo della storia per noi la realtà umanodivina della sua vita. Quando il Signore

ha detto: «Fate questo in memoria di Me» (Lc 22,19; ICor 11,24-25), ha inteso dire non come intendiamo noi: ricordatevi di Me, riandate col pensiero a quanto ho fatto; ma con la tipica mentalità ebraica ha voluto dire: attualizzate, rinnovate, ripresentate oggettivamente nel memoriale liturgico quanto Io ho fatto. L'Eucaristia, dunque, come afferma il Concilio Vaticano II, “ si presenta come fonte e culmine”della vita della Chiesa, di tutta l'evangelizzazione del vangelo che è annuncio di Gesù, il Figlio di Dio che è morto e risorto e che ritornerà. L'evangelizzazione è l'annuncio del Vangelo, e il Vangelo è tutto qui:è Gesù di Nazareth, Dio che è venuto in mezzo a noi, si è fatto uno di noi, si è dato a noi ed è il nostro salvatore. Ora l'Eucaristia è "fonte" di quest'annunzio, perché rende presente ciò che è avvenuto nell'Incarnazione, e ne è "culmine" perché offre sostanzialmente a tutti e ai singoli il frutto dell'Incarnazione redentrice, anzi lo stesso Salvatore e Redentore Gesù Cristo in persona, che viene, si rende vivo e agisce, con tutte le fasi della sua storia di salvezza, nell’azione misteriosa che si celebra nella Liturgia della Chiesa. La Chiesa possiede e vive di questa divina realtà nella Divina Liturgia e, in questa preghiera contemplativa di adorazione, di lode, di gioioso rendimento di grazie sperimenta la comunione con il Suo Signore, Gesù Figlio di Dio e Redentore del mondo: la Chiesa unione degli uomini con Dio e fra loro si realizza pienamente, donde la verità teologica che l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia.

Don Giuseppe Imperato


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La Chiesa come famiglia di Dio In questi mesi, più di una volta ho fatto riferimento alla parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32). Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sull’umanità. Qual è questo progetto di Dio? E’ fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola “Chiesa”, dal greco ekklesia, significa “convocazione”: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere un’alleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con l’umanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la

sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa. Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati. Quando si manifesta la Chiesa? L’abbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere l’amore di Dio. Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Come quelli che dicono “io credo in Dio ma non nei preti”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo. Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa. Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio. Catechesi del Papa del 29 maggio 2013

L'eterna scelta tra Babele e la Pentecoste

Proseguendo nelle sue catechesi sul Credo per l'Anno della fede, il 22 maggio Papa Francesco ha iniziato a commentare le parole «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica», affermando che non è casuale che la fede nella Chiesa sia professata nel simbolo apostolico subito dopo la fede nello Spirito Santo. «C’è un profondo legame tra queste due realtà di fede: è lo Spirito Santo, infatti, che dà vita alla Chiesa, guida i suoi passi. Senza la presenza e l’azione incessante dello Spirito Santo, la Chiesa non potrebbe vivere». Guardare allo Spirito Santo aiuta a non dimenticare che la ragion d'essere della Chies a è l 'ev an g el izza zio n e. «Evangelizzare è la missione della Chiesa, non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra missione». Il Papa ha citato il venerabile Paolo VI (1897-1978), il quale nell'esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» sottolineava che «evangelizzare… è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare». Nello stesso documento di Papa Montini leggiamo: «È lui, lo Spirito Santo che, oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da Lui, che gli suggerisce le parole che da solo non saprebbe trovare, predisponendo nello stesso tempo l’animo di chi ascolta perché sia aperto ad accogliere la Buona Novella e il Regno annunziato». Se vogliamo davvero evangelizzare, si tratterà allora di «aprirsi all'orizzonte dello Spirito di Dio, senza avere timore di che cosa ci chieda e dove ci guidi. Affidiamoci a Lui! Lui ci renderà capaci di vivere e testimoniare la


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nostra fede, e illuminerà il cuore di chi incontriamo», rinnovando l'esperienza della Pentecoste. Lo Spirito Santo garantisce, come confessiamo nel Credo, che la Chiesa sia «una». Crea «l’unità, la comunione», che sono il contrario della confusione e della divisione descritte nell'episodio biblico di Babele. «A Babele, secondo il racconto biblico, era iniziata la dispersione dei popoli e la confusione delle lingue, frutto del gesto di superbia e di orgoglio dell’uomo». La Pentecoste sana la ferita inferta all'umanità a Babele: «non c’è più l’ orgoglio verso Dio, né la chiusura degli uni verso gli altri, ma c’è l’apertura a Dio, c’è l’uscire per annunciare la sua Parola: una lingua nuova, quella dell’ amore che lo Spirito Santo riversa nei cuori». Se a Babele ci fu la confusione delle lingue, a Pentecoste «la lingua dello Spirito, la lingua del Vangelo è la lingua della comunione, che invita a superare chiusure e indifferenza, divisioni e contrapposizioni». Tutti dobbiamo scegliere fra Babele e la Pentecoste. «A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. Io che cosa faccio con la mia vita? Faccio unità attorno a me? O divido, con le chiacchiere, le critiche, le invidie? Che cosa faccio? Pensiamo a questo». La Chiesa una evangelizza. E lo fa con coraggio. «Ecco un altro effetto dell’azione dello Spirito Santo: il coraggio, di annunciare la novità del Vangelo di Gesù a tutti, con franchezza (parresia), a voce alta, in ogni tempo e in ogni luogo». Le difficoltà non mancano. Le superiamo non rinunciando all'evangelizzazione, ma al contrario impegnandoci di più nell'uscire e portare l'annuncio agli altri. Sperimentiamo allora quella che ancora la «Evangelii nuntiandi» del venerabile Paolo VI chiama «la dolce e confortante gioia di evangelizzare». Sì, «evangelizzare, annunciare Gesù, ci dà gioia; invece, l'egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù; evangelizzare ci porta su». La Chiesa una è dunque caratterizzata dall'unità e dal coraggio. C'è un terzo elemento: la Chiesa è una e si mantiene una se prega. La preghiera non sottrae tempo all'evangelizzazione. Al contrario, «una Chiesa che evangelizza deve partire sempre dalla preghiera, dal chiedere, come gli Apostoli nel Cenacolo, il fuoco dello Spirito Santo. Solo il

rapporto fedele e intenso con Dio permette di uscire dalle proprie chiusure e annunciare con parresia il Vangelo. Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima, e non è animato dallo Spirito». C'è in queste parole un'eco implicita di un classico della spiritualità che Benedetto XVI citò nel suo viaggio a Lourdes: «L'anima di ogni apostolato» del benedettino dom Jean-Baptiste Chautard (1858-1935), un testo che spiega come in effetti un apostolato che pensi di diventare più efficace sottraendo tempo alla preghiera diventa un apostolato senza anima. Papa Francesco ha concluso citando le parole di Benedetto XVI al Sinodo dei Vescovi del 2012: la Chiesa «sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così, con nuovo entusiasmo, siamo in cammino e ringraziamo il Signore». Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, non dai nostri progetti umani, e la Chiesa sarà davvero una.

Massimo Introvigne “La Nuova Bussola quotidiana”

Tutti furono colmati di Spirito Santo

“Se ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo”. L’incontro del Santo Padre Francesco con i movimenti ecclesiali il giorno di Pentecoste è quanto di più simbolico si potesse fare nell’anno della fede e le parole del Papa hanno ben sottolineato questo signi-

ficato: l’azione dello Spirito suscita vari carismi ma uno solo è l’obiettivo, testimoniare Cristo e Cristo Risorto. L’omelia pronunciata durante la celebrazione liturgica che ha concluso la due giorni dedicata alle associazione e movimenti che nella Chiesa raccolgono i laici impegnati in una testimonianza matura di fede è stata incentrata dal Santo Padre su tre parole: novità, armonia e missione, tutte in rapporto all’azione dello Spirito. LA novità, dice il Papa, è qualcosa che sconvolge perché mette paura, ma Dio, che non turba mai la pace delle sue creature, chiede un atto di fiducia; suscita in chi si fida di lui, infatti, una capacità di fare cose grandi. Non a caso gli esempi che Papa Francesco fa sono quelli che hanno avuto un peso grandissimo nella storia della salvezza prima e dopo la venuta di Gesù: “Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo”. La seconda parola, armonia, è forse quella che tocca più da vicino la realtà dei movimenti ecclesiali. A volte si ha l’impressione, soprattutto nelle parrocchie piccole, che i movimenti o le associazioni facciano la guerra tra loro a chi ha più iscritti, a chi fa celebrazioni più belle, in alcuni casi più brevi, a chi sta più a cuore al parroco; tutto questo perché non si concepisce il concetto di armonia. Il Papa su questo è stato molto chiaro: se operiamo noi, tentando di diversificarci, creiamo il caos, ma se lasciamo operare allo Spirito, si crea l’armonia. “Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione.”

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Segue da pagina 3 Ciò che accadde nel giorno della prima Pentecoste a Gerusalemme non è una chiara indicazione di ciò che dovrebbe accadere nelle nostre parrocchie? Se in esse opera lo Spirito, vengono suscitati vari carismi, che non sono altro che la capacità di parlare alle varie componenti che formano il popolo di Dio nella Chiesa. Come gli apostoli che, pur parlando lingue diverse, realizzavano l’unità nell’oggetto della predicazione (le grandi opere di Dio), così in una comunità vari sono i destinatari del messaggio di salvezza: i bambini, i ragazzi, i giovani, gli anziani, gli ammalati, i lavoratori, i disoccupati ecc., ma uno deve essere il messaggio. Ognuna di queste categorie è depositaria di un linguaggio, che deve essere coltivato per poter raggiungere tutti. Le associazioni e i movimenti fanno sì che ognuno senta parlare nella “propria lingua” Cristo, che annuncia a tutti la gioia della salvezza. L’armonia risiede in questa capacità di differenziarsi nel linguaggio e unirsi nel messaggio. Questo miracolo lo opera lo Spirito. La terza parola è missione, che poi è strettamente legata all’armonia. Gli apostoli dopo aver ricevuto lo Spirito non restano chiusi nella stanza, dove si erano rifugiati, né si compiacciono tra loro della capacità di parlare la molteplicità delle lingue, ma aprono immediatamente le porte e si rivolgono agli altri, ai vicini e ai lontani. “Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo.” Il rischio di diventare autoreferenziali è quello che corre ogni associazione o movimento che non trova la forza o non ha la volontà di aprirsi all’altro, pensando in questo modo di salvaguardare la propria unicità. In realtà il chiudersi all’altro è il modo più semplice per autodistruggersi, perché un’associazione è come una cellula: se la cellula non instaura un scambio con l’esterno attraverso la respirazione avvelena le proprie strutture interne e muore; così un’associazione non aperta, autoreferenziale non tarda a finire. In una parrocchia non esistono, o

almeno non dovrebbero esistere, le classifiche in cui le associazioni vengono catalogate secondo il grado di bravura, il numero degli iscritti o l’antichità dell’istituzione ma dovrebbe esserci momenti in cui le associazioni vivano l’ecclesialità anche liturgica (nutrirsi alla Parola e all’Eucarestia è fondamentale per chi vuol testimoniare “le opere grandi di Dio”), quindi occorre non solo ritrovarsi in occasione delle varie processioni. In conclusione, veramente diventa necessario far operare allo Spirito per sperare di raggiungere l’ecclesialità che è “una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento. E’ la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre (proagon) la dottrina e la Comunità ecclesiale - dice l’apostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera - e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr 2Gv 1, 9).”

Maria Carla Sorrentino

Messa di Prima Comunione Domenica 12 Maggio 2013, Solennità dell’Ascensione del Signore, la nostra Comunità Parrocchiale ha vissuto un momento di festa e di crescita spirituale, celebrando la Messa di Prima Comunione di dieci fanciulli che hanno ricevuto per la prima volta il Sacramento dell’Eucaristia ; essi sono : Amalfitano Fernando, Apicella Sara, Calce Sara, Camera Raffaella , Cioffi Manuel, Mansi Carlo, Maresca Flavio, Ruocco Miriam, Sorrentino Federica, Vuilleumier Leonia. Puntuali ci siamo ritrovati alla Chiesa di Santa Maria a Gradillo; i fanciulli ordinati, in fila hanno aperto il corteo processionale che alle 10,20 si è avviato verso il Duomo. Durante la pro-

cessione abbiamo cantato “ Oh che Giorno Beato” e la Litania dei Santi. Sul Sagrato del Duomo ci attendeva il nostro parroco Monsignor Giuseppe Imperato, per procedere al rito dell’Accoglienza. La catechista ha presentato i ragazzi al parroco ed alla Comunità, chiamandoli ad uno ad uno per nome , ed essi con voce alquanto emozionata hanno risposto il loro “Eccomi”. Monsignor Imperato ha poi spiegato il significato della Celebrazione che ci apprestavamo a svolgere,infine ha chiesto ai ragazzi ed ai loro genitori l’impegno a voler continuare nel cammino di approfondimento della fede. Al suono di “Nei Cieli un grido risuonò” i fanciulli,sempre in Processione, si sono recati sul Presbiterio sui banchi tutti bianchi preparati per loro, accanto all’Altare, ed è cominciata la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Parroco. Dopo la Liturgia Penitenziale e la proclamazione delle Letture, è stato interessante ascoltare l’Omelia di Monsignor Imperato che partendo dal Vangelo di Luca ha spiegato il significato del verbo “ascendere”, cioè “salire”.Il Signore Gesù dopo la sua Resurrezione, per quaranta giorni si è fatto vedere,anzi,è stato con i suoi discepoli parlando del Regno di Dio,fino a quando poi, così come descritto negli Atti degli Apostoli : “ fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di

Foto di Giovanni Fortunato


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tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo”. Nel Vangelo Luca ci dice che i discepoli tornarono a Gerusalemme con “grande gioia”, continuavano a lodare Dio nella preghiera . Monsignor Imperato ci spiega che i discepoli, pur non avendo ancora ricevuto il grande Dono dello Spirito Santo, erano consapevoli,erano certi della vicinanza, della presenza di Gesù, per questo motivo non erano tristi ed avevano il cuore ricolmo di Grazia. Anche noi,oggi ci spiega Monsignor Imperato, dobbiamo avere il cuore colmo di gioia e ringraziare il Padre che attraverso Gesù si è fatto conoscere, dobbiamo inoltre ringraziare Dio che ci ha mandato il Figlio che è venuto a salvarci, ma è venuto soprattutto per stare sempre con noi, nei nostri cuori. Ecco il Sacramento dell’Eucaristia; Gesù attraverso l’azione dello Spirito si fa presente nell’Ostia Consacrata per stare dentro di noi!Che Grande Amore ha Gesù per ciascuno di noi! Egli è tornato al Padre per preparare il nostro posto in Paradiso, ma allo stesso tempo si dona a noi ! Monsignor Imperato esorta i fanciulli ma anche noi grandi a prediligere non i beni materiali, non le ricchezze , non le cose di questo mondo ma piuttosto ad essere perseveranti nella preghiera per rafforzare la nostra unione con Gesù ed essere sempre orientati verso Dio e mirare ai beni del Cielo, alla Vita Eterna. Monsignor Imperato esorta ancora i fanciulli che in questo anno di preparazione ai Sacramenti hanno conosciuto Gesù a diventare come Lui che amava tutti, amava la vita, ci ha insegnato a perdonare, Egli li invita inoltre a scoprire Gesù in ogni fratello, nelle persone che si vogliono bene,ma anche nei bisognosi ed in chi a volte ci è antipatico. La forza per fare tutto ciò la troviamo solo nell’unione con Gesù. La Celebrazione è continuata con il Rinnovo delle Promesse Battesimali e con la preghiera dei fedeli. Fulcro della Celebrazione è stata la Liturgia Eucaristica , alla quale i fanciulli hanno partecipato attentamente, concentrati ma soprattutto emozionati; man mano che si avvicinava il momento di ricevere la Santa Comunione, vedevo i loro occhi luccicare per la commozione , commozione che ho condiviso, avendo percorso insieme un cammino davvero importan-

te! Il momento in cui i ragazzi hanno ricevuto il Sacramento è stato il più bello ed il più intenso, peccato che i grandi, non sempre consapevoli del significato dell’Eucaristia, hanno fatto in modo di “ disturbare” distraendo i ragazzi, quello che nel loro cammino spirituale è il momento più importante e significativo. Insieme tutti i fanciulli hanno recitato la preghiera di ringraziamento a Gesù per il Sacramento ricevuto. Leonia , a nome di tutti ha recitato la preghiera di affidamento a Maria. Dopo la Benedizione finale , in un clima di festa la Celebrazione si è conclusa con il canto : “ E’ Festa con Te .”

Giulia Schiavo

Un’ Ora Un’ora, solo un’ora. Cosa si potrebbe fare in un’ora? Tante cose o forse per le grandi aspirazioni massimaliste del genere umano, niente proprio, tuttavia martedì 14 maggio, il Signore si è accontentato anche solo di un’ora di adorazione, e la nostra Comunità Sposi di Ravello, con piacere gliel’ha offerta. Dall’undici al diciannove maggio, infatti, si è svolta la terza edizione della Settimana Nazionale del Diritto alla Famiglia, che ha portato alla ribalta, in ben settantacinque città e

comuni italiani, questo tema tanto importante quanto spesso sottovalutato. La nostra Italia, in particolare, non brilla certo per le politiche familiari presenti e attuate dalle istituzioni in tutto il territorio, tuttavia ha una risorsa in sé che spesso sottovaluta: le famiglie di ieri, esempio e testimoni; e le famiglie di oggi, focolai di una contagiosa forza di volontà protesa all’accoglienza. Questa settimana ha avuto il suo fulcro d’importanza gior-

no quindici maggio, XXI Giornata Internazionale della Famiglia indetta dall’ONU, ed ingloba due ricorrenze molto importanti: i trent’anni della legge 184/83 sul diritto alla famiglia e, per i membri della Comunità, i ben venti anni di Progetto Famiglia Onlus. In un clima di precarietà ed incertezze materiali e soprattutto spirituali, come quello che ci si presenta ogni giorno dinanzi, il rischio dell’abbandono familiare non è una prospettiva, quanto piuttosto una possibilità: per divincolarsi dalle proprie responsabilità (abbandono della famiglia); scegliere la strada più semplice (l’interruzione di gravidanza); offrire alla solitudine e all’indifferenza la forza di prevaricare sulla speranza (il suicidio e l’omicidio congiunto dei propri cari, semina ciò che lo ha provocato); semplicemente sentirsi SOLI e non si tratta solo di coraggio. L’istituzione “famiglia” è la risposta a queste possibilità. Solitamente in famiglia ci si preoccupa del benessere dei propri cari, e tutto è finalizzato alla loro massima soddisfazione, materiale per lo meno, ciò che invece lascia un po’ “il tempo che trova”, è la spiritualità, l’attenzione che si pone nei confronti degli altri come esseri umani stessi: un saluto, un sorriso, una parola di conforto, un fazzoletto per asciugare delle lacrime, un momento per prendersi la mano e recitare il Padre Nostro, un’ora per ricordarsi di essere, ed insegnare ad essere, cristiani cattolici,…Nonostante, infatti, la famiglia sia fondata su un sacramento, chiamato matrimonio, la sua natura si riduce, frequentemente, per comodità, ad un semplice vivere sotto lo stesso tetto, e per quello c’è la convivenza. Purtroppo o per fortuna, la consanguineità genera responsabilità inalienabili, che nel corso del tempo sono state affidate o delegate ad altri, è ciò ha provocato la grave crisi educazionale e generazionale cui stiamo assistendo. Certo, nessuno dice che sia facile, però la famiglia è chiamata, oggi, a riscoprire il SUO ruolo di educatrice amorevole e responsabile, attraverso la santità coniugale.

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Segue da pagina 5 Non stiamo parlando di un concetto fuori moda o eretico, e ne sono prova i continui esortamenti che si susseguono già dal Concilio Vaticano II (1962 – 1965), con numerosi documenti magisteriali (Lumen Gentes, Gaudium et Spes, Familiaris Consortio, Sacramentum Caritatis, etc.) di illuminati Papi (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI), che hanno tracciato il sentiero della santità coniugale, fertile terreno di amore per il prossimo, donandoci testimoni vicini e lontani (i coniugi Martin, i coniugi Beltrame Quattrocchi, i coniugi Beretta Molla) che del loro operato in famiglia hanno fatto la ragione di tutta una vita spesa per il bene dei figli e della Comunità. C’è voluto tempo, ma queste coppie di sposi sono anche arrivate agli onori degli altari a testimonianza che nulla è impossibile alla volontà amorevole del Padre. Cosa poteva essere dunque un’ora, rispetto ad una vita intera? Ed è quell’ora che la Comunità sposi di Ravello ha voluto donare per le proprie famiglie e per tutte le altre, e si è dovuta impegnare. La Fraternità ci ha fornito, infatti, i testi per l’adorazione e la riflessione personale, e dato un appuntamento, giorno quattordici, in comunione spirituale con le altre comunità. Il gruppo locale, poi, si è riunito in precedenza e ha provveduto a stabilire canti; ad assegnare i ruoli di guida e lettori; a preparare i segni (il cero pasquale, simbolo del periodo pasquale in corso e della resurrezione e nuova vita dell’umanità; l’icona della Santa Famiglia, l’unione per eccellenza; e le reliquie dei Beati coniugi Martin, testimoni della sanità coniugale, nonché genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino, alla cui protezione si affida la Fraternità di Emmaus); ad invitare tutto il paese a questo momento di preghiera comunitario. Certo all’ora stabilita per l’inizio c’erano solo i membri della Comunità, poi durante la lettura dell’introduzione qualcuno è arrivato, magari il canto ha richiamato qualche altro e tra le invocazioni e la liturgia della parola, all’acclamazione del Vangelo, la cappella del Duomo era piena. Gli adulti certo, hanno fatto il più, però anche i ragazzi si sono dati da fare con la presentazione delle preghiere di intercessione e al Padre nostro, tutti per mano, a formare

I NCONTRO PER UNA CHIESA VIVA una grande catena, quella della comunione fraterna. Al canto finale di “Nome dolcissimo” dedicato alla Madonna, l’ora di adorazione si è conclusa, quasi volando, un saluto di commiato ed ognuno è rientrato nella sua piccola Chiesa Domestica. Come Comunità quella di Ravello sta crescendo e molto grazie alla volontà dei membri e soprattutto alla passione e al carisma di chi, tra parroco e catechisti, ci aiuta a percorrere questo cammino, certo non sappiamo se mai conquisteremo alla fine la vera santità, fatto sta che se mai si prova mettendosi in gioco come persone e coinvolgendo la propria famiglia, esponendosi anche al ridicolo di chi ancora non ha avuto modo di scoprire la bellezza della condivisione, mai si saprà. Per adesso abbiamo donato un’ORA di adorazione, per noi e per gli altri, con la convinzione di aver fatto forse poco, ma per tanti e per un fine che teniamo ben stretto. La santità coniugale, non è un’utopia e ha un padrino d’eccellenza, Dio Padre non lascia solo nessuno.

Patrizia Cioffi

Riflessioni di una Mamma Quando una coppia decide di celebrare il sacramento del matrimonio prende un impegno dinanzi a Dio. Essa deve continuare la missione cominciata il giorno del battesimo cioè testimoniare e far conoscere la bellezza dell'immenso amore di Gesù per gli uomini. Il sacerdote durante la celebrazione del rito del matrimonio ricorda che ciò che Dio unisce l’uomo non deve separare, perché il Sacramento del matrimonio rende due persone una cosa sola, un corpo ed un'anima sola dinanzi a Dio, in modo che mai più potranno dividersi. Con la celebrazione del matrimonio si ha l'unione eterna di due persone con la certezza della presenza di Gesù e della protezione Beata Vergine Maria, regina della famiglia. Dopo la celebrazione del matrimonio, a coronamento del grande passo compiuto, alla luce della fede e degli insegnamenti che la Madre Chiesa ci offre si ha la nascita dei figli, evento meraviglioso e indescrivibile, segno evidentissimo della immensa potenza di Dio in terra. Con la nascita dei figli la novella coppia è investita di un compito importantissimo che solo con il sostegno di Dio e l'esempio della Beata Vergine Maria

può giorno dopo giorno portare avanti fra le tante difficoltà che la vita ci presenta. Educare i figli per una coppia è una cosa molto bella ma allo stesso tempo molto impegnativa e difficile. I genitori dal momento sono i primi responsabili educatori dei figli hanno il dovere di guidarli, seguirli, ascoltarli, curare la loro formazione spirituale e quando se ne presenta il bisogno ammonirli. Molte coppie purtroppo attualmente sono eccessivamente tolleranti nei confronti dei loro figli arrecando forse involontariamente loro danno,e rendendosi responsabili degli errori dei figli. Non vi è cosa più triste che vedere un figlio fumare all'età di quindici anni o anche prima o addirittura fare uso di stupefacenti e la madre dopo averlo rimproverato qualche volta, si rassegna perché impotente. Così facendo quella madre permette al figlio di suicidarsi, e come se assistesse alla sua morte giorno dopo giorno. Fondamentale per la crescita retta dei propri figli è l'esempio dei genitori. Essi sono le prime persone alle quali i figli si ispirano nei gesti nei modi di fare e di comportarsi. Una vita esemplare condotta da parte dei genitori non può che giovare alla formazione futura dei figli. E’importante cominciare in famiglia a far gustare la bellezza della preghiera ai figli fin da piccoli con una semplice e stupenda preghiera come l' Ave o Maria o la Salve Regina e far capire ai propri figli che ogni tanto bisogna fermarsi, evadere da questo mondo e parlare "a tu a tu" con un Padre ed una Madre che sicuramente ti ascoltano, ti guidano e che tutto possono per noi. Pregare in famiglia è molto importante, si affronta la giornata con tutte le sue difficoltà in maniera diversa, più serena, con il sostegno di Dio che in ogni istante ci solleva, ci guida, e cosa molto importante illumina ogni nostra decisione della giornata. Papa Francesco, infatti, insiste affinché si ritorni come un tempo a pregare in famiglia, come raccomanda sempre anche la Madonna nei suoi vari messaggi per mezzo delle persone che hanno ricevuto l'immenso dono da parte di Dio di parlare e vedere Lei, Somma bellezza e di pregare in famiglia, e così abbandonarsi "come deboli figli tra le braccia della più tenera delle madri". Affidandoci alla misericordia di Dio e alla Beata Vergine Maria Regina della famiglia preghiamo affinchè noi genitori possiamo essere sostenuti in questo compito bellissimo ed importantissimo anche se molto difficile.

Rosa Lucibello


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Caritas

In momenti di disagio economico come questo che stiamo vivendo diventa sempre più importante l’attenzione al sociale aumentando la divulgazione di informazioni sulle possibilità di aiuto concreto che può ricevere chi ha bisogno di una mano , chi non sa più come fare a risolvere i problemi quotidiani, chi non ha il coraggio di chiedere, chi non sa a chi chiedere. In un epoca in cui attraverso la rete web è possibile ricevere tutte le informazioni che servono per le diverse necessità lavorative e sociali, spesso non si fa attenzione che ci sono milioni di persone che necessitano di ricevere informazioni su come ottenere l’aiuto che gli serve e che non hanno accesso alla rete, non hanno computer, non li sanno usare, non hanno una cultura di base necessaria per valutare le informazioni. Queste persone non sono assolutamente “Gli Ultimi”. Non esistono “Ultimi”. Esistono persone che sono meno capace di altre, meno fortunate di altre, con storie di disagio sociale alle spalle , o anche persone sole, che siano Italiani o stranieri non ha rilevanza, hanno tutti diritto di vivere con dignità e di essere aiutati da chi sa o ha di più. Si cercherà in breve di dare alcuni spunti sulla possibilità di rivolgersi alle Caritas per avere delle agevolazioni che possono essere importanti per chi necessita di assistenza. Per volere di Papa Paolo VI e per opera di Giovanni Nervo, nel 1971 è stata costituita la Caritas . La Caritas Italiana è l’organismo pastorale della CEI (Conferenza Episcopale Italiana, l’unione permanente dei vescovi cattolici Italia) per la promozione della carità. Ha prevalente funzione pedagogica, cioè tende a far crescere nelle persone, nelle famiglie, nelle comunità, il sen-

so cristiano di solidarietà, di educazione alla condivisione, di rispetto verso gli altri. Negli anni la Caritas si è guadagnata la fiducia dei fedeli e di tante altre persone in tutto il mondo per la generosa e coerente testimonianza di fede, come pure per la concretezza nel venire incontro alle richieste dei bisognosi. Per il raggiungimento degli obiettivi è fondamentale il collegamento e confronto con le 220 Caritas Diocesane presenti sull’intero territorio nazionale, impegnate nell'animazione della comunità ecclesiale e civile e nella promozione di strumenti pastorali e servizi : Centri di Ascolto. Osservatori delle Povertà e delle Risorse, Caritas parrocchiali, Centri di Accoglienza, Assistenza Legale, ecc. Le Caritas sono sempre più sostegno per i poveri. Non fanno solo azione di denuncia del disagio sociale ma propongono soluzioni concrete per intervenire e dare delle soluzioni al disagio. La Caritas Diocesana di Amalfi-Cava De Tirreni (piazza Vittorio Emanuele II° 17, Cava De Tirreni)propone una serie di servizi di assistenza per il sociale sia con proposte di assistenza economica e sociale, che appoggiandosi a professionisti esterni che ,in alcuni casi , prestano la loro attività professionale gratuitamente a chi ha bisogno. In dettaglio : 1)Il Prestito Della Speranza promosso dalla CEI ( Conferenza Episcopale Italiana), è un fondo di garanzia per le famiglie. L'accesso al credito è possibile per quelle famiglie che, all'atto della presentazione della domanda, versano in condizioni di vulnerabilità economica e sociale. Ultimamente la CEI ha semplificato i criteri di selezione, in modo da ampliare le possibilità di accesso (ora possibile anche per disoccupazione da lungo tempo, lavori precari e irregolari, famiglie anche senza figli, ecc.). Fino a 6.000 euro per le famiglie e fino a 25.000 come micro credito per le imprese. Dal 2009 ad oggi sono più di 1650 famiglie in Italia che hanno usufruito di questa possibilità, per un totale di erogato superiore ai dieci milioni di Euro (www.prestitodellasperanza.it )

L’avvocato Cristoforo Senatore (avvocatosenatore@libero.it) offre l’assistenza per queste richieste ed anche : 2)ASSISTENZA LEGALE GRATUITA : a persone in reale stato di indigenza per : Persone i cui diritti sono lesi; Donne, Anziani, Minori, Stranieri in difficoltà; Persone che vivono disagi economici; Famiglie indebitate per il ricorso all’usura; Chiunque abbia bisogno di informazioni legali. Aperto il giovedì dalle ore 17.00 alle 18.00. 3)SPORTELLO IMMIGRATI : Dott. Salvatore De Falco Servizi offerti : Informazione e assistenza sul rilascio e sul rinnovo del permesso di soggiorno e del permesso di soggiorno CE di lungo periodo; Ricongiungimento familiare (requisiti e richiesta); Cittadinanza italiana (requisiti e richiesta) ; Decreto Flussi e Regolarizzazioni ; Lavoro domestico (assunzioni e gestione del rapporto di lavoro). Aperto il martedì dalle ore 16.00 alle 18.00 4)CENTRI DI ASCOLTO DIOCESIANO: Accoglienza ed ascolto della persona; Presa in carico delle storie di sofferenza; Orientamento verso le istituzioni e associazioni del territorio ; Accompagnamento di chi sperimenta la mancanza di punti di riferimento che restituiscano la speranza di un cambiamento; Prima risposta per i bisogni più urgenti, coinvolgimento della comunità cristiana. 5)CORSI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE : Il 4 maggio è iniziato il corso di formazione al volontariato per promuovere la multiculturalità: “Camminiamo insieme”. Il corso, realizzato in collaborazione con la Regione Campania, è rivolto a coloro che desiderano operare come volontari nelle attività estive a favore di minori italiani e stranieri (tel. 089 2965008, email: antonellarispol1983@libero.it). Gli operatori Caritas narrano di un nuovo desiderio di ripartire, espresso da molte persone in difficoltà (i Ripartenti): affiora la volontà di rimettersi in gioco, l’aspirazione a migliorare la propria situazione. Continua a pagina 8


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Segue da pagina 7 Aumentano le persone che richiedono ascolto personalizzato e inserimento lavorativo, aumentano le attività Caritas di orientamento (professionale, a servizi, a opportunità formative, ecc.) e aumenta anche il coinvolgimento di altri enti e organizzazioni. “Dare una mano oggi guardando al futuro”, è’ con questo spirito che sabato 4 Maggio la Caritas Italia ha inaugurato a Villa S.Angelo (L'Aquila) , a 4 anni dal sisma, una struttura con spazi destinati ad attività commerciali, un centro di ascolto parrocchiale, locali per attività di formazione e un salone per attività comunitarie. Decisivo in questa occasione e' stato il contributo delle Caritas estere, grandi e piccole, che in un'ottica di piena condivisione, spesso hanno beneficiato di aiuti e questa volta invece sono state pronte a donare: dalla Georgia alla Somalia, dalla Polonia al Giappone e alla Grecia. E poi anche Caritas Austria, Australia, Canada, Cafod, Secours Catholique, Catholic Relief Services, oltre ad alcune missioni cattoliche", specifica la nota Caritas. In totale, nei quattro anni trascorsi dal terremoto dell'aprile 2009, "sono stati raccolti oltre 35 milioni di euro, di cui 5 messi a disposizione dalla CEI dai fondi dell'8 per mille". Fondi che si sono concretizzati "in interventi di aiuto immediato, ascolto, accompagnamento e poi di ricostruzione e riabilitazione socio-economica". In questo breve articolo abbiamo fatto riferimento alla Caritas Diocesana di AmalfiCava De Tirreni perché è il punto di riferimento del nostro territorio e della Caritas dell’Aquila perché è stato un esempio di solidarietà ricevuta dalle Caritas Internazionali, oltre che da organizzazioni umanitarie diverse. Le Caritas si trovano sull’intero territorio nazionale ed offrono servizi ed assistenza di diverso genere a seconda del territorio di appartenenza. Rivolgersi ad una Caritas per ottenere aiuto e assistenza è semplice e lo può fare chiunque, nel pieno rispetto per la propria religione di appartenenza o paese di origine (concetto di Universalità della Chiesa costituita dal “Popolo di Dio” formato da tutte le nazioni del mondo con riconoscimento dei valori spirituali presenti nelle altre religioni).

La dimensione cristiana della festa

“Senza la dimensione della festa, la speranza non troverebbe una casa dove abitare”. Con queste parole Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Europa, invitava a recuperare il significato più profondo del Giorno del Signore, santificato con la partecipazione all'Eucaristia e con un riposo ricco di letizia cristiana e di fraternità. Un momento speciale di comunione con Dio, un dono prezioso offerto all’uomo che, nell’incapacità di farne tesoro, si troverebbe chiuso in un orizzonte angusto e, per quanto vestito a festa, diventerebbe intimamente incapace di “far festa”. “Nel settimo giorno Dio portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (Gn 2, 2 -3). Il libro della Genesi pone al vertice della creazione il “Settimo Giorno” in cui verrà poi collocata la Pasqua, festa principale dell’Ebraismo, che farà solenne memoria della “nuova creazione” del popolo ebreo: il passaggio dalla terra di schiavitù alla terra promessa attraverso il Mar Rosso. Numerosi sono i riferimenti alla festa anche in altri libri dell’Antico Testamento. Dio ordina all’uomo di “far festa”, non solo in senso cultualeliturgico ma anche nella pienezza umana della festività, interrompendo la fatica del lavoro, indossando gli abiti più belli, ritrovandosi intorno alla tavola per godere dei frutti della terra allietato da musica e danza. La festa deve però essere vissuta in pienezza come esperienza di salvezza e quando ciò non accade i profeti avranno parole di biasimo: “smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me;(…) I vostri noviluni e le vostre Marco Rossetto feste io detesto”. Il significato salvifico,

implicito nelle feste veterotestamentarie, trova il suo compimento in Gesù, venuto ad “annunziare un lieto messaggio”, ad invitare tutti gli uomini alla festa imbandita dal Padre. La vita cristiana, che ha nell’Eucarestia la sua fonte e il suo culmine, è impegno quotidiano nel cammino di fede, ma anche gioiosa celebrazione, è disperdersi per operare nel mondo, ma anche riunirsi insieme “con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio”, è ferialità e festività intimamente intrecciate l’una con l’altra. La festa principale del Cristianesimo è la Pasqua in cui viene celebrata la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. La Chiesa, per tradizione apostolica, prima di celebrare la Pasqua annuale ha celebrato la Domenica, la pasqua settimanale illuminata dalla luce della Resurrezione, in cui il popolo di Dio si riunisce per ascoltare la parola di Dio e per prendere parte al banchetto eucaristico. Un momento di festa in cui si manifesta pienamente la gioia dell’uomo rinnovato dall’azione redentrice di Cristo. La priorità della liturgia non significa però esclusività. “E’ soprattutto la Festa, con i giorni di preparazione, a far risaltare le manifestazioni religiose che hanno contribuito a forgiare la tradizione peculiare di una data comunità” (dal Direttorio su pietà popolare e liturgia, n° 20). Le feste religiose popolari costituiscono una delle principali manifestazioni di quella religiosità popolare o pietà popolare che è oggetto di viva attenzione non solo da parte della teologia e della pastorale ma anche delle scienze umane. La Chiesa, afferma la Lumen Gentium, “favorisce ed accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini dei popoli,


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nella misura in cui sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida, le eleva” affinché “ogni germe di bene che ritrova nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e nelle culture proprie dei popoli, non solo non venga perduto ma sia purificato, elevato, perfezionato”. Sulla linea di queste indicazioni conciliari e delle esperienze pastorali in atto in varie parti del mondo e, sulla base delle indicazioni della III Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, Paolo VI richiamò l’attenzione sulla grande importanza della pietà popolare: “si trovano presso il popolo espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede. Per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate, queste espressioni formano oggi un po' dappertutto l'oggetto di una riscoperta”. La religiosità popolare, infatti, con tutti i suoi limiti, se è ben orientata, è ricca di valori e manifesta la sete di Dio dei semplici e dei poveri. Giovanni Paolo II, nell’allocuzione ai Vescovi dell’Abruzzo e Molise in Visita ad limina (24 aprile 1986), riprendendo tale insegnamento aggiunse: “Il fatto che la religiosità popolare sia nello stesso tempo una ricchezza ed un rischio, deve stimolare la vigilanza dei Pastori della Chiesa, i quali dovranno svolgere la loro azione di orientamento con grande misura di pazienza. Ciò che conta è prendere coscienza della permanenza del bisogno religioso dell’uomo, attraverso la diversità delle espressioni per sforzarsi continuamente di purificarlo ed elevarlo nella evangelizzazione”. La nostra comunità si appresta a celebrare il dies natalis di Pantaleone da Nicomedia, martire e taumaturgo, presente in mezzo a noi attraverso la reliquia del suo sangue. La festa patronale costituisce ancora oggi per la nostra città un momento speciale di preghiera e di gioia, un’occasione per rinnovare spiritualmente la comunità e per rinsaldare i legami con le origini di una tradizione secolare che ci fa sentire figli di una terra dalle radici sante. Le recenti "Indicazioni Pastorali per la Celebrazione delle Feste Religiose", promulgate in data 8 dicembre 2011 da S.E. Mons. Orazio Soricelli, suggellano una consolidata serie di direttive, richiamate ed integrate ( Lettera ai Parroci «La cura delle anime, S. E. Mons. Alfredo Vozzi, Avvento 1974; Rivista Ecclesiastica, anno

LVIII, S. E. Mons. Ferdinando Palatucci; Lettera ai Parroci, S. E. Mons. Beniamino Depalma, 4 marzo 1992), volte a regolare e migliorare i momenti di festa, sbocciati nel passato su un terreno saturo di fede, che esprimono ancor oggi l’ineludibile sete di Dio da parte del popolo e un prezioso di valori che non vanno dissipati. La festa, infatti, non può e non deve esaurirsi nella partecipazione alle celebrazioni del giorno ma va preceduta da un congruo periodo di preparazione spirituale nelle forme tradizionali e nelle nuove forme suggerite dalla moderna pastorale liturgica, quali celebrazioni della Parola, Liturgia delle Ore, liturgia comunitaria della penitenza e degli altri sacramenti. Deve essere un momento di catechesi capace di rispondere alle esigenze della Comunità, al fine di educarla ad una partecipazione consapevole, responsabile e fruttuosa dell’Evento salvifico che viene commemorato. La solennità della festa non è data dalla moltiplicazione delle messe, principio che andrebbe applicato anche alla pasqua settimanale in cui una comunità dovrebbe ritrovarsi a celebrare la gioia domenicale all’insegna del “meno messe e più messa!”. Le celebrazioni eucaristiche dovrebbero favorire la più ampia partecipazione dei Fedeli ed essere “solenni e belle” in quanto la bellezza deve lasciare trasparire la presenza di Cristo al centro della liturgia. Di per sé il cristiano dovrebbe essere sempre in festa, riscopriamo, dunque, il senso più compiuto del precetto di "santificare la festa", che non deve essere considerata unicamente come momento di astensione dal lavoro ma come occasione per un incontro con Dio nella triplice dimensione personale, familiare e di popolo che si unisce alla chiesa madre in un momento di gioia condivisa. Avremo indossato l’abito della festa più bello che ci permetterà di assaporare appieno il clima gioioso, le dolci melodie della banda, i cangianti colori dei fuochi d’artificio con i quali la nostra tradizione ha onorato, da sempre, il nostro santo protettore.

Una mamma ideale

A circa quaranta gomitoli di tornanti dall'agglomerato più sostanzioso, e con il termine di agglomerato intendo lombrichi di auto, palazzi monocordi affollati come favi, via vai ininterrotto di vite che si sfiorano e raramente si tagliano, c'è una mamma. Gran bella donna, bellissima. Da rivista, da cartolina, da celebrazione, da festa in abito lungo. Difficile stabilirne l'età: la pelle sbarazzata dal comune, puntuale decadimento e senza il concorso di interventi artificiosi, è la stessa di un mulo che ne risale le pieghe trasportando un compositore, la stessa delle auto anni '50, del vento che ne strappa via un tiglio come un fastidioso peduncolo. L' incarnato, calcareo, ha una vitiligine che non disturba, fatta di schiarite e di bordure aranciate. Gli ilei sono ammorbiditi da bendaggi di colline, il ventre è accogliente, familiare, genuino come uno ziro di gerani, i capelli sono spesso bordati da teli neri, a scanso di equivoci il lutto, l'ipotizzabile lutto, è in realtà una calda acconciatura, una cuffia retrò che nasconde nodi gialli ed aspri, districati dal pettine dei contadini attenti. Le mani contano un numero incredibile di dita: le dita corrono in direzioni opposte, scale maggiori e minori di gradini, un pianoforte ad ottave infinite. Dalle mamme spesso si fugge, poi si torna, con le mamme si litiga, si discute, spesso si preferisce tacere, ma anche il contatto più incorporeo è pur sempre un contatto. Lei è così: dice poco, ha un suo alfabeto, un codice fatto di sensazioni e colori, un Morse che al posto dei punti e delle linee mette fiori e curve. Fisico mozzafiato, un corpo splendido: quasi impossibile pensare che si sia adattato al tempo e abbia mantenuto invidiabile e perfetta la tonicità complice del primo sguardo con cui è Luigi Buonocore stata accarezzata.

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Segue da pagina 9 Mi chiedo la data di quel primo sguardo, le lettere che conteneva il nome del mese, quelle della stagione ma io non ero ancora nei suoi pensieri, nel suo dedalo di vicoli e sere, vicoli che vanno come vene ben ossigenate nel suo sistema linfatico da capogiro. E ne ha partoriti di cambiamenti, di vite, ne ha suggellati di destini e opere: il cordone ci rimane ingabbiato da qualche parte, in un'asola che non è mai chiusa ed alla quale calza un solo tipo bottone, esclusività da scarpa di Cenerentola. Questa mamma tiene il collo sollevato, alcune prominenze sono solo comode mentoniere: non è un atteggiamento altezzoso, anzi. Il mento volitivo delle montagne è passato da una leggera peluria cresciuta per secoli , una peluria di fusti e tronchi che invece di renderla più umana o addirittura difettosa, la fa divina. Attenzione: nessuna ruga. Ha portamento da principessa, da fata, da strega di magia bianca, da profetessa. Il collo è trattenuto dalla carezza del mare quel tanto che basta perchè la salsedine non le corrughi l'espressione suadente. Incanta, seduce, conquista standosene così, sollevata come su un trespolo, un gigantesco pappagallo di tramonti e notti di stelle infilzate come impunture, una trapezista fra onde e cielo, senza misure di sicurezza. A circa quaranta o forse più spirali di curve strette, quasi ermetiche come una cerniera lampo nel cui binario si è intromessa una lingua di stoffa, come la soluzione di un rebus complicato, c'è una donna, seduta da secoli, anzi sdraiata, sostenuta dalle rocce come da mani di ballerini in un numero di danza eterno. Si alza in piedi per fama, per bellezza, per umile dotazione. E' una mamma silenziosa, ripeto, che non rimbrotta, non corregge, non ferma chi va, ma accoglie sempre chi torna, non alza la voce, che abbraccia e bacia poco ma intensamente e quando lo fa non usa braccia, nè labbra, non distende gli angoli della bocca: per avvertirla ci basta aprire una finestra, ricordare di passeggiare in un angolo della sua faccia, tonda ma non troppo, con il taglio dei pini regolare come una frangetta . Basta raggiungerne un giardino, irsuto come un'ascella volutamente trascurata, poi scappare via dalla pioggia sotto il suo

cappello di tetti, aspettare che chiuda gli occhi intorno alle diciannove e si lasci velare dal buio. Questa mamma dorme già a quell'ora, quando si scosta dal viso i piccioni con un applauso e poi, indossa la vestaglia da fine giorno: poche voci, poche come pochi gioielli da indossare, un girocollo di bambini che si inseguono prima di rincasare. Senza pericolo, senza fretta. Senza mai essere soli.

Emilia Filocamo

Amori e distacchi Se mi chiedessero di dare una definizione di quella strana, imprevedibile, misteriosa avventura quotidiana che chiamiamo vita, oggi risponderei in questo modo: almeno per me, la vita è stata una serie di tentativi – alcuni riusciti, altri meno – di rendere solido il terreno sul quale dovevo camminare ogni giorno. Messa così, non pare un’impresa proibitiva: è sufficiente affidarsi ai beni che si possiedono e non fare passi falsi, non avventurarsi su strade viscide e pericolose. E dunque, confermare al primo posto gli affetti familiari, fare onestamente il proprio lavoro, circondarsi di veri amici, donare agli altri un po’ del proprio tempo. Ma la vita è piena di insidie: un lutto, un grumo di sangue nelle arterie, la perdita improvvisa del lavoro e l’intero edificio crolla in un istante. Sono le situazioni che ci fanno dire che la vita non ha senso, che è solo una grande fregatura; e in effetti, dinanzi al corpo inerte di un giovane, di un bambino, di un uomo morto nel fiore degli anni, “assurdo”, “incomprensibile”, “insensato” sono i soli aggettivi che la nostra mente è in grado di partorire. “E’ morto”; oppure: “Non c’è più”; o ancora: “E’ scomparso”, “Ha cessato di vivere”. “Ha cessato”: forse sono le parole più giuste, perché la vita, in fondo, non è che una serie di cessazioni, che cominciano da quando nostra madre decise di staccarci dal suo seno: il primo distacco, la fine del piacere di suggere la vita dalla creatura più importante della nostra esistenza. E poi, altre cessazioni, altri distacchi: dalla spensieratezza dell’infanzia, dalla scuola, dalle energie giovanili, e poi dai genitori, dalla salute, e infine dalla vita stessa: il distacco supremo, da cui dipende tutto il nostro agire,

perché la vita, in fondo, non è che una continua resistenza alla consapevolezza di dover morire. Ma la morte è ineluttabile: e allora? Allora non resta che onorare la nostra esistenza, questa esistenza; inutile pensare alla morte con disperazione, inutile rifiutarla o cercare di neutralizzarla. Alla consapevolezza della morte si reagisce con l’unica forza in grado di contrastare il pensiero di quando non saremo più: l’amore. C’è un sentimento che resiste al supremo distacco: perché l’Amore, in ogni sua forma, disconosce la morte. Dieci anni fa, in piena notte, arrivò una telefonata dall’Ospedale San Giacomo di Roma: “Ci dispiace, dobbiamo darle una brutta notizia. Suo padre è morto”. Quello che mi sembrava un luogo comune, tante volte ascoltato, divenne improvvisamente realtà: sentii che mi veniva strappato un pezzo del corpo, che un qualche organo interno, non vitale, ma importante, tremendamente importante, cessava di funzionare. E solo qualche ora dopo, guardando il suo volto cereo e impassibile, capii che non avrei mai più pronunciato una delle parole più rassicuranti del vocabolario di tutte le lingue, quella più invocata nei momenti di debolezza e di paura, di aiuto, ma anche di gioia, di passione, di orgoglio: “Papà”. Una parte decisiva della mia vita non ne faceva più parte, se non nel ricordo. Non trovai più mio padre nella vigna che aveva iniziato a coltivare una volta andato in pensione, ma per interi giorni continuai ad entrare nel podere chiamando: “Papà, papà”. Non importava che non mi rispondesse; era una mia esigenza, volevo sentirlo ancora presente, vicino, illudermi per un attimo di rivedere il suo viso buono e pacifico, di ascoltare la sua voce dolce e pacata. Se potessi veder realizzato un mio desiderio, uno solo, non avrei il minimo dubbio su quale dovrebbe essere: riabbracciare mio padre, dirgli quello che ho pensato tante volte, ma non ho mai avuto il coraggio di esprimere: “Papà, tu non sai quanto ti amavo e quanto ti amo ancora, e quanto ti amerò se è vero che avremo una vita eterna”. La morte di un genitore non può non lasciarti una perenne ferita. Ma come ha sperimentato chiunque abbia subito una tale perdita, all’inevitabile dolore


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subentra, lentamente, l’elaborazione del lutto. Nessun genitore si distrugge con la morte, con i figli ha lasciato qualcosa dopo di sé. Non è tanto un fatto di discendenza; ciò che importa è che abbia amato e insegnato ad amare: è questo il senso della vita da trasmettere alle creature che generiamo. Oggi, a dieci anni dalla sua scomparsa, mio padre è presente dentro di me come forse non era mai stato prima, con l’amore che mi ha donato, con l’eredità morale che mi guida in ogni azione della vita. Avere dei genitori e vivere un buon rapporto con loro, perderli e dare un senso alla loro scomparsa; sembrano cose scontate, ma non lo sono. Il pensiero va a tutti quelli che non hanno mai pronunciato una sola volta quei nomi, “mamma” e “papà”; la storia è piena di esistenze orfane dell’amore genitoriale, e ognuno di noi ne conosce qualcuna. Per quanto mi riguarda, la storia più commovente riguardante la privazione dell’amore genitoriale – anzi, dell’amore in generale - l’ho trovata in un noto ed erudito libro di viaggi di metà Ottocento; è Visits to Monasteries in the Levant di Robert Curzon, uno dei grandi classici della letteratura di viaggio. Robert Curzon, 14° Barone Zouche, nacque a Londra nel 1810 e fu educato a Charterhouse e poi al Christ Church College di Oxford, dove studiò la storia della scrittura manuale. Divenne prima membro del Parlamento, poi diplomatico; nel 1833 iniziarono i viaggi nel Vicino Oriente che sono alla base dell’opera che lo renderà famoso, e che lo porteranno in Egitto e in Terrasanta negli anni 1833-34, e al Monte Athos nel 1837. Amante della Classicità, appassionato di libri e manoscritti antichi, Curzon programma i suoi viaggi nella convinzione, molto diffusa al suo tempo, che le terre del Levante nascondano una miniera di classici ritenuti perduti e di manoscritti rari e preziosi. E’ una caccia, la sua, che lo vedrà esaltarsi e smarrirsi, mettere a segno colpi strepitosi e incappare in delusioni memorabili, contrattare lealmente e usare i raggiri più raffinati per accaparrarsi un manoscritto, giocare duro o in modo squisitamente diplomatico.

Una delle tappe più importanti del viaggio di Curzon è la penisola del Monte Athos, dove il bibliografo inglese spera di trovare copie perdute dei Vangeli e scritti dei Padri del Deserto. La ricerca lo porterà a visitare tutti e 20 i monasteri della Santa Montagna, nei quali troverà e acquisterà manoscritti rari e preziosi, che oggi è possibile ammirare al British Museum di Londra. La descrizione del viaggio all’Athos è uno dei capitoli più godibili di Visits to Monasteries in the Levant; pur non essendo uno scrittore di professione, Curzon, in cui il wit britannico

si incarna alla perfezione, delizia il lettore con pagine piene di interesse e di fascino. Una sera, appena rientrato nel monastero di Xiropotamou, Curzon vi trova un monaco che vive in una delle dipendenze rurali del convento. Il monaco, testimonia Curzon, ha un’età di trenta-trentacinque anni e un volto bellissimo (magnificent looking-man) con grandi occhi scuri, barba setosa e lunghi capelli corvini; conosce un po’ di italiano, ed è nella nostra lingua che Curzon conversa con lui. Mentre parlano in una sala del monastero, alla luce di una lampada a petrolio che illumina e nel contempo adombra il viso del monaco, Curzon pensa che un viso tanto bello avrebbe potuto costituire il soggetto di una pittura di Tiziano o di Sebastiano del Piombo. E’ a questo punto che accade il commovente episodio cui accennavo sopra. Il giovane monaco rivela che ha imparato l’italiano da un altro monaco, perché non è mai stato in Italia, anzi, non è mai uscito dall’Athos, dove era giunto da bambino. Infatti, i suoi genitori, e quasi tutti gli abitanti del villaggio rumeno in cui era nato, erano stati trucidati dopo aver preso parte a una rivolta. Portato

all’Athos, era stato educato nel monastero di Xiropotamou e in altri conventi. Nel silenzio pieno di emozione di Curzon, il monaco dice tristemente che non solo non ricorda sua madre, ma che non gli sembra neppure di averne avuta una. E aggiunge – e qui la confessione si fa struggente – che non avendo mai lasciato il Monte Athos non ha mai visto una donna, né ha idea di come una donna sia fatta. Fissando Curzon, gli chiede se le donne assomiglino alla Vergine rappresentata nelle icone del Monte Athos. L’ospite, turbato, risponde che le donne non sono esattamente come le pitture delle chiese athonite le rappresentano, e non osa dire una parola di più. Ancora adesso, il mio cuore si stringe quando mi capita di rileggere questo brano. Un uomo privato totalmente dell’affetto, della comprensione, dell’esempio delle persone che lo avevano messo al mondo. Certo, anche gli orfani ricevono un’educazione, una preparazione alla vita, stimoli affettivi e culturali; ma il clima non è lo stesso di quello riscaldato dall’amore profondo che solo dei genitori possono dare. Nasciamo uomini, ma umani dobbiamo diventarlo, e nessuno meglio di un genitore amorevole e responsabile può aiutarci in tale compito. Che cosa è stato del monaco che non aveva alcun ricordo dei genitori e che non aveva mai visto il viso di una donna? Non lo sappiamo: la storia non si è soffermata sull’anonima creatura privata di beni interiori così importanti. E immagino che un’eventuale ricerca al Monte Athos – dove i dati anagrafici non hanno alcuna importanza – non darebbe alcun frutto. Eppure, sono certo che quel monaco è presente nei pensieri di molti fra i lettori di Visits to Monasteries in the Levant. Per quanto mi riguarda, mi capita di pregare tutte le volte che rileggo o ripenso all’episodio narrato da Curzon; e ogni volta chiedo a Dio di accogliere nelle sue braccia quel monaco athonita, ricolmandolo di un Amore infinitamente maggiore di quello, pur grande e profondo, di cui sarebbero stati capaci i genitori che non aveva mai conosciuto.

Armando Santarelli


CELEBRAZIONI DEL MESE DI GIUGNO GIORNI FERIALI E FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa GIOVEDI’ 6-20-27 GIUGNO Al termine della Santa Messa delle 19.00 Adorazione Eucaristica 2 GIUGNO SOLENNITA’ DEL CORPUS DOMINI Ore 8.00-10.30: Sante Messe Ore 17.00-18.00: Adorazione Solenne dell’Eucaristia Ore 18.30: Santa Messa e processione del SS. Sacramento 7 GIUGNO Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù Giornata mondiale di preghiera per la santificazione del Clero Ore 19.00: Santa Messa 8 GIUGNO Memoria del Cuore Immacolato della B.V. Maria 9 GIUGNO X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.00: Sante Messe 13 GIUGNO SANT’ANTONIO DI PADOVA 16 GIUGNO XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.00: Sante Messe 21 GIUGNO SAN LUIGI GONZAGA 23 GIUGNO XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.00: Sante Messe 24 GIUGNO SOLENNITA’ DELLA NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA 25 GIUGNO

Inizio del mese di preghiera in preparazione della festa patronale 27 GIUGNO Festa del Patrocinio di Sant’Andrea Apostolo - Patrono Principale dell’Arcidiocesi 29 GIUGNO Solennità dei SS. Pietro e Paolo Apostoli 30 GIUGNO

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.00: Sante Messe XIII Anniversario dell’Ordinazione Episcopale dell’Arcivescovo Orazio Soricelli


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