Per una Chiesa Viva Anno VIII - N. 2 – Marzo 2012 P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it
RAVELLO
Quaresima: tempo per le domande essenziali La Quaresima è il tempo speciale dell’anno liturgico della Chiesa istituito per aiutare i cristiani a vivere in modo diverso o meglio rispetto al resto dell’anno. Secondo l’antica tradizione che risale al tempo degli apostoli,questo periodo di quaranta giorni o Quaresima serve a farci entrare con una rinnovata spiritualità nel cuore dell’Anno Liturgico, il Triduo Pasquale, che culmina con la Domenica di Risurrezione. Perciò rappresenta anche il tempo propizio per la conversione del cuore e deve essere tempo di penitenza,di rinnovamento spirituale e di avviamento a vivere tutto l’anno in modo pienamente cristiano. È il tempo forte della vita cristiana, da vivere con intensa preghiera e nell’esercizio della riconciliazione, delle opere di carità, in particolare della carità intellettuale, che aiuta a porre le domande fondamentali dell’esistenza. Su questo tema ci aiuta l’acuta e penetrante riflessione di Don Silvio Longobardi, che nella “Lettera di Amicizia” per il tempo di Quaresima, intitolata “Per mezzo della sua Croce”, e proposta alla riflessione dei membri della Fraternità di Emmaus, scrive così: “La quaresima ci conduce per una via lunga e stretta, una di quelle che nessuno sceglie se non vi è costretto dagli eventi. “Venite dietro di me”, dice Gesù. Lui conosce la strada assai meglio di noi. Fidiamoci. Mettiamoci anche noi in cammino. Dietro di Lui. Non conosciamo la strada ma sappiamo qual è la meta: “Quelle cose
che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9). Ricordiamo però la regola dei viandanti, semplice ma non per questo scontata: “Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai”, scrive San Giovanni della Croce. La quaresima è il tempo delle domande, il tempo in cui risuona più forte la domanda sul senso della vita. Viviamo in una società che accumula le conoscenze ma non è più
in grado di rispondere alle domande essenziali, quelle veramente decisive. I bambini non hanno paura di porre domande, come quella di una ragazzina di nove anni: “Ora che so tutto su come si sono estinti i dinosauri, posso sapere anche perché è morto mio nonno?”. Nel film Temple Grandin, che racconta la vicenda di una giovane autistica americana, la protagonista chiede alla madre: “Tu lo sai dove vanno quelli che muoiono?”. “Purtroppo, no”, risponde la donna. Abbiamo imparato tante cose ma non sap-
piamo più dire da dove veniamo, dove andiamo, perché viviamo. La quaresima ci invita a guardare dentro di noi per ritrovare noi stessi e dire ad alta voce quali sono i desideri più profondi: che cosa davvero ci sta a cuore? Per che cosa o per chi siamo disposti a vivere e a soffrire? Nessuno troverà risposte se non le cerca. Lo ha detto Gesù: “Chi cerca trova”. Se nulla cerchi, nulla troverai, se ti accontenti del poco, poco troverai. È la legge della vita. Se invece, accettiamo la sfida del vangelo…troveremo molto di più di quello che il cuore può desiderare. Non dimentichiamo che Gesù ha promesso di dare la vita in abbondanza (Gv 10,10). La domanda non è segno di debolezza ma un grido di speranza perché svela quel desiderio, nascosto in ogni uomo, di trovare una risposta, una luce, una verità. Perché chiedere se non c’è risposta? E perché gridare aiuto se nessuno risponde? L’inquietudine della ricerca, contenuta in ogni domanda, è preferibile alla vuota sazietà di chi nulla cerca. Il cammino di fede inizia da una domanda: “Rabbi, dove abiti?” (Gv 19,17). È la domanda giusta alla persona giusta. L’uomo è bravo a porre domande ma non altrettanto a dare risposte. Gesù invece “sa quello che c’è nel cuore dell’uomo” (Gv 2, 25), “solo Lui lo sa”, disse Giovanni Paolo II all’inizio del pontificato. Solo lui può dare quelle risposte che l’uomo attende e che forse, nel contesto culturale odierno, non osa più nemmeno sperare”.
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Decidersi per Dio Per comprendere la Quaresima bisogna fare riferimento ai quaranta giorni che Gesù ha trascorso nel deserto prima di compiere la sua missione. Quaranta giorni nei quali Gesù si è preparato alla lotta contro il principe delle tenebre, contro Satana: quaranta giorni di digiuno e di preghiera. Per comprendere la Quaresima bisogna fare riferimento ai quaranta giorni che Gesù ha trascorso nel deserto prima di compiere la sua missione. Quaranta giorni nei quali Gesù si è preparato alla lotta contro il principe delle tenebre, contro Satana: quaranta giorni di digiuno e di preghiera. Questi quaranta giorni facevano a loro volta riferimento ai quaranta anni che il popolo di Israele ha trascorso nel deserto, deserto che secondo la Sacra Scrittura è un tempo di prova ma anche un tempo di comunione con Dio, ed è comunque il passaggio verso la Terra promessa. Per noi è fondamentale il significato di questi quaranta giorni che Gesù ha trascorso nel deserto vivendo nel digiuno e nella preghiera. Sono infatti proprio questi i due connotati fondamentali che ci accompagnano nella Quaresima. Il primo connotato è la preghiera. Gesù ha trascorso quaranta giorni in intima comunione col padre, la preghiera è uno dei motivi fondamentali di tutta la vita apostolica del Signore: non solo i quaranta giorni prima della sua missione, ma anche durante tutta la sua missione Gesù ha vissuto una intensa preghiera personale, dedicando molte volte l’intera notte a pregare. E usciva dalla preghiera trasfigurato. Questa è certamente la prima caratteristica della Quaresima, senza la quale ne perdiamo il significato. E qui sta anche la differenza fondamentale tra la Quaresima cristiana e il Ramadan musulmano. La Quaresima cristiana è prima di tutto tempo di comunione con Dio. La comunione con Dio è invece lontana mille miglia dall’islam, per cui davanti a Dio c’è solo la sottomissione. Dunque Gesù ha trascorso quaranta giorni di intima comunione col padre. E lì ha umanamente ha preso
tutta quella forza che la preghiera dà e che noi vediamo così espressa in un altro momento della vita di Gesù, quello del Getsemani: lì, attraverso la preghiera il Signore acquista quella forza per cui dice al termine della preghiera, agli apostoli “Alzatevi, andiamo”. E nell’ora delle tenebre affronta la grande battaglia. Nell’uno e nell’altro caso Gesù attraverso la preghiera si è preparato alla grande battaglia contro il principe delle tenebre. Portando la cosa sul piano della nostra vita cristiana, la Quaresima è anzitutto tempo di preghiera. Preghiera vera, preghiera del cuore, preghiera che è colloquio con Dio, ascolto di Dio, della sua volontà, ascolto delle sue ispirazioni,
ascolto di quello che ci dice, il suo richiamo a una vita più santa, più cristiana, una vita più vera. E nella preghiera esporre anche la nostra condizione esistenziale, di persone fragili, affaticate, di persone che molte volte sono scorate, che non hanno ben chiaro il fine della vita, non hanno ben chiare le scelte fondamentali della vita. Quindi vorrei suggerire molto concretamente: la prima cosa da fare in Quaresima è riaccendere la preghiera, almeno le preghiere fondamentali. Al mattino conquistare Dio con il cuore, in cui Dio porta la sua luce, la sua pace, la sua gioia. Molte volte bastano pochi minuti per essere in comunione con Dio, ma poi si deve riattivare durante la giornata questa comunione. E soprattutto la sera, per cui vorrei suggerire una preghiera tipica della Quaresima, che è la preghiera da-
vanti alla croce, cioè mettersi veramente davanti alla croce, meditare sul significato della croce. Pietro nella prima predica dopo la Pentecoste ha detto, comprendendo finalmente la Passione : “Patì per i nostri peccati”. Quindi meditare la croce, meditare che attraverso la croce Cristo, il Padre attraverso il Figlio, ci perdona i peccati. Cristo è l’agnello di Dio che porta i peccati del mondo, li ha espiati al nostro posto, per nostro amore, per donarci il perdono nella vita eterna, per cui quando andiamo a confessarci – e il pensiero va soprattutto alla confessione pasquale che deve essere particolarmente significativa – per quanto grandi i delitti che noi abbiamo potuto commettere Ge sù ci dà l’assoluzione . Nel pentimento c’è l’assoluzione dei peccati perché Cristo ha espiato lui al nostro posto, un atto d’amore estremo, che vediamo nel Crocifisso. Quindi vorrei suggerire questa specifica preghiera quaresimale, prima di andare a letto: sostare davanti alla croce, chiedere perdono per i propri peccati, pensare all’amore estremo con cui Dio ci ha amati, che ha fatto dire a santa Caterina da Siena, guardando la croce: “Chi è quello stolto bestiale che vedendosi così amato non ami?”. La preghiera personale diventa più forte, più sostanziosa, se durante la Quaresima ci impegniamo ad andare alla messa quotidiana. Molti lo fanno. Dacci oggi il nostro pane quotidiano: ascoltiamo la parola di Dio, durante la messa riceviamo la comunione. In questo modo rafforziamo la nostra debole volontà per combattere contro il male. L’altro aspetto fondamentale della Quaresima è il digiuno: fin dai primi tempi i cristiani hanno digiunato il mercoledì e il venerdì, duramente. Poi, il digiuno più rigido a pane e acqua è continuato nella storia della Chiesa soprattuto nel tempo di Quaresima, di Avvento, e così via. Il popolo cristiano ha digiunato fino a qualche decennio fa in modo sostanzialmente serio. Non soltanto nel tempo di Quaresima ma ogni volta che si doveva fare la comunione, si era digiuni
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dalla mezzanotte. Abbiamo perso sicuramente qualcosa perdendo il digiuno. In tempi recenti la Chiesa ha tentato di ristabilirlo, ma a questo riguardo dobbiamo dire che la vera svolta è venuta dalle apparizioni di Medjugorje: è vero, devono essere ancora riconosciute dalla Chiesa, ma il loro aspetto pastorale lo abbiamo tutti davanti agli occhi. La Madonna fin da 30 anni fa ha introdotto un digiuno che adesso ha rinvigorito tutta la Chiesa, il digiuno a pane e acqua il mercoledì e venerdì con finalità ben precise: Oltre alla conversione personale c’è anche una finalità di carattere storico sociale: Gesù ha detto che certi demoni si cacciano con la preghiera e il digiuno; così la Madonna per il demonio dell’odio e della guerra, che vuole distruggere il mondo, ha chiesto la preghiera del santo rosario e il digiuno a pane e acqua mercoledì e venerdì. Questo digiuno è importantissimo ma attenzione a non intenderlo come una specie di dieta. La Madonna ha detto “digiunate con il cuore”, lo dice anche la Chiesa. Il digiuno cristiano ha un obiettivo ben preciso: è finalizzato al combattimento spirituale, è finalizzato alla mortificazione della fame di mondo, perché cresca in noi la fame di Dio. Questo è l’obiettivo finale del digiuno: portare alla rinuncia vera del peccato, perché attraverso la fame di mondo, le cose di questo mondo, Satana ci distrugge con quello che ci offre. Dobbiamo dunque innestare nella nostra vita questo tipo di digiuno: cibo, sacrifici, fioretti, c’è un’ampia letteratura a questo riguardo. Rinunciare al fumo, ai liquori durante la quaresima. Ovviamente i più deboli, quelli che si accontentano del digiuno come lo propone la Chiesa con materna accondiscendenza, possono digiunare mercoledì santo e venerdì santo: la colazione, un pranzo leggero e poi astinenza. Tutti i venerdì di quaresima il minimo indispensabile. Suggerisco però un digiuno molto più rigido, magari rinunciando a quelle cose che fanno male anche la salute come il fumo e l’alcol. Ma tutto queste deve essere finalizzato a rafforzare la volontà in modo tale da rinunciare al peccato Questa è la vera rinuncia, ed è in questo modo che noi ci prepariamo per la Pasqua. Cioè rinunciando al
peccato e attraverso la confessione pasquale. In questo periodo dobbiamo mettere una marcia in più nel nostro cammino verso la santità. Mettiamoci davanti a Dio, guardiamo alla nostra vita, guardiamo cosa c’è da cambiar;, se siamo sulla strada sbagliata, quella che porta alla perdizione, non aspettiamo a cambiarla, non aspettiamo che sia troppo tardi. Decidiamoci per Dio, decidiamoci per la conversione, decidiamoci per la santità. Questo è quel modo di vivere la quaresima che farà sì che la Pasqua sia una pasqua veramente di pace, del cuore riconciliato con Dio.
Messaggio di Papa Benedetto
per la Quaresima 2012
Infine c’è la terza dimensione caratteristica della Quaresima: la carità. Perché la sobrietà tipica della Quaresima, il rinunciare al superfluo, e tutto quanto finora descritto, è sempre stato visto dalla Chiesa in funzione della carità, della condivisione, in funzione di quel “Avevo fame, e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere. …): è la condivisione del pane con chi non ne ha, con chi è più povero. Vorrei aggiungere però che la carità si esprime anche attraverso le sette opere di misericordia spirituale e le sette di misericordia corporale. L’elemosina deve essere un atteggiamento di compassione, o di misericordia verso il prossimo sofferente. E questo può essere dare da mangiare a chi non ne ha, può essere una mano tesa, un incoraggiamento: visitare i carcerati, e tutte quelle opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, visitare i malati, tutta quella gamma di opere che ci portano al prossimo. Questo è il dinamismo della Quaresima: attraverso la preghiera tu ricevi l’amore di Dio nel tuo cuore e attraverso la carità tu lo doni agli altri.
«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24). E’ questa frase del capitolo decimo della lettera agli ebrei a dare il titolo al messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012. Mons. Bruno Forte ne sottolinea alcuni aspetti da meditare in vista dell’Anno della Fede, a cui ci prepariamo. “Vedrei l’importante connessione fra questo messaggio e la prospettiva dell’Anno della Fede, ormai imminente. Il Papa, che ha iniziato le sue Encicliche con una riflessione di grandissima profondità e – direi – anche concretezza sulla carità, ci fa capire con quest’attenzione che danno i Messaggi della Quaresima alla responsabilità verso gli altri, alla reciprocità e al dono di sé, che fede e carità sono inseparabili. Dunque è una sottolineatura dell’aspetto della vita cristiana, dell’uomo di fede e della donna di fede, che porta ad impegnarsi per gli altri, a farsi carico dell'altro. In modo particolare, in questa frase della Lettera agli Ebrei, il Papa coglie questi tre accenti, che mi sembra ci facciano capire come l’attenzione alla carità, connessa alla fede, sia tutt’altro che semplicemente una esortazione bonaria: in realtà è un invito ad un impegno estremamente articolato. Sembra che il messaggio sia di non ridurre mai il concetto che noi abbiamo dell’uomo alla semplice soddisfazione di bisogni materiali o ad una sorta di benessere, di welfare, di carattere economico e basta. Occorre puntare alla misura alta della vita cristiana, che è la santità. In altre parole, la santità non è un ornamento che si aggiunge a qualcosa: la santità è la piena realizzazione del dono di Dio, secondo il progetto di Dio. Allora se noi abbiamo una visione dell’uomo che è aperta al disegno di Dio, non possiamo semplicemente fermarci a soddisfare qualcuna delle esigenze dell’essere umano, ma dobbiamo soddisfare l’esigenza più vera e più profonda che è quella di amare Dio, di vedere Dio, che è quel “Desiderium naturale videndi Deum quel desiderio naturale di vedere Dio - di cui parla, ad esempio, Tommaso d’Aquino.
P. Livio Fanzaga - donboscoland.it
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La realizzazione dell’uomo sta nell’incontro con Dio. Molte volte si pensa che per quieto vivere, per amor di pace non si debba mai intervenire o richiamare qualcuno su qualcosa, dove è invece evidente che ci sarebbe il bisogno di aiutare a scoprire il progetto di Dio e le esigenze di conversione e di cambiamento. Anche qui, questo Papa si dimostra come l’uomo e il pensatore di una visione autentica, plenaria dell’uomo e non di una visione parziale: l’uomo visto secondo la prospettiva di Dio è un uomo che sa che il peccato non solo è male, ma fa male; sa che la santità non solo è bene, ma fa bene. Allora se veramente siamo cristiani si deve anche – con umiltà, certo, nel continuo discernimento e in vocazione dello Spirito - aiutare gli altri a fuggire il male. Questo significa anche aiutarli a capire il male che potrebbero aver fatto”. Alla riflessione del Vescovo, riteniamo utile far seguire quella del filosofo laico, Massimo Cacciari, molto attento ai problemi della vita e della fede, che nell’intervista a Radio Vaticana, cosi si è espresso: "La Chiesa si appella alle ragioni della solidarietà, alla centralità della persona in tutti gli affari economici, sociali amministrativi. Sono riflessioni sempre attuali e nello stesso tempo sempre più, non dico lontane, ma meno incisive su una realtà che si è nel frattempo tremendamente evoluta nella realtà della globalizzazione, del capitale finanziario, nella realtà dove domina il denaro". La globalizzazione rafforza questa dimensione sociale del peccato ricordata dal Papa. "Proprio la situazione attuale fa si che il peccato abbia una valenza assolutamente globale. Bisogna capire, finalmente, che il peccato è una grande movimento politico, globale, universale". "Quanta teologia e quanta teologia politica si è spesa per vedere fino a che punto le Istituzioni contrastano questo grande movimento di peccato, fino a che punto invece non ne
fanno parte". "E’ proprio questo il grande dramma del cristianesimo originario. L’impero, le Istituzioni, fanno parte del grande movimento del peccato o sono invece una forza che lo trattiene, che lo arresta? La risposta è assolutamente problematica. Le Istituzioni sono una cosa e l’altra. Certo lo arrestano, certo lo contengono, ma ne fanno parte. Lo vediamo anche nelle politiche attuali. Certo da un punto di vista cercano di salvare la baracca. Cercano che non crolli tutto l’apparato dello stato sociale, che non crolli tutta la solidarietà, ma nello stesso tempo devono rincorrere ai processi fondamentali della globalizzazione finanziaria, e ne sono in qualche modo anche sudditi. Sono l’una cosa e l’altra, non c’è nulla da fare". L' attuale crisi porta l’uomo a perdere il valore della felicità, e quindi il valore dell’amore per la vita alla base del bene comune. "E’ questo il grande rischio che corriamo. Noi ormai crediamo sempre meno di poter essere felici. Che la felicità non è un’idea astratta, è qualcosa che possiamo, che è in nostro potere raggiungere. Quando crollerà questa fede, nel senso più pieno, autentico e reale del termine, la vita varrà meno. Questo è il dramma che stanno correndo soprattutto le nuove generazioni. Fonte: radiovaticana.org
tà, di condivisione tra due o più persone, che si sentono legate da essa in maniera vincolante. L’amore mostrato spinge l’altro al contraccambio, ad essere sensibile a ciò che si riceve e a saper ricambiare con alti sentimenti di affetto. Plauto, un antico autore latino (250-184 a.C.), annota che “nessuno ti dimostra più amicizia di un amico nel bisogno”: il vero amico è colui che riesce a starti accanto nel momento della prova e che non si scandalizza delle tue necessità o delle tue fragilità. Quante amicizie nate ed improntate nell’interesse o nel tornaconto personale sono destinate a fallire, lasciando delusione in chi, veramente sensibile al valore, viene usato e sfruttato. Il valore dell’amicizia si apprende al tuo interno, cara famiglia, tra i tuoi membri, dove l’unico interesse vigente è quello del bene di ciascuno, nel sostenersi reciprocamente “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, cioè sempre! Penso, in particolare, a Voi genitori, per le tante rinunzie a cui vi adattate, pur di sostenere i figli nei loro studi, nei loro percorsi formativi di crescita umana e culturale, pur di vederli felici e realizzati. E penso a voi figli che alimentate amore crescente come fratelli e sorelle, sempre pronti ad aiutarvi l’un l’altro in qualsiasi occasione. Cara famiglia, ti accorgi che l’amicizia non è improvvisazione o fugace atteggiamento dovuto a fatti contingenti: essa
«Sostenersi» Lettera dell’Arcivescovo per il mese di marzo 2012 Cara famiglia, questa lettera periodica, che ti faccio pervenire attraverso i messaggeri parrocchiali, mi offre, ancora una volta, la possibilità di potermi affettuosamente relazionare con te e offrirti qualche spunto di riflessione nella consapevolezza e nella condivisione della tua alta missione all’interno sia della Chiesa che della società in genere. Penso all’amicizia, un alto valore umano che viene paragonato ad un bene inestimabile, tanto che qualcuno ha coniato il detto: “chi trova un amico, trova un tesoro!”. La parola “amicizia” deriva da “amore” ed esprime un intreccio profondo di amore, di solidarie-
trova la sua carica esemplare e dinamica al tuo interno, per proiettarsi, poi, al tuo esterno, nella società, nell’ambito di vita che ciascuno dei tuoi componenti si trova a frequentare. Tu sei e resterai un sodalizio di amore, un arsenale di amicizia vera, incentrata nella gratuità e nell’accoglienza e da cui la società ha da attingere per sostanziare il suo vissuto quotidiano! Ti benedico con gratitudine ed affetto pastorale. + Orazio Soricelli - arcivescovo
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La Quaresima: tempo per sentirsi responsabile degli altri “Il grande comandamento dell’amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio”. Il Santo Padre, Benedetto XVI, ha voluto incentrare il messaggio di riflessione per la Quaresima proprio sul ruolo della carità e della responsabilità degli uni verso gli altri e richiamandosi a testi biblici del Vecchio e Nuovo Testamento, sottolinea l’importanza del sentirsi fratelli nel mondo e nella fede. Perché riflettere sulla carità in tempo di Quaresima? Forse perché in questo momento liturgico così importante occorre ricordarsi che la salvezza dell’uomo è nel progetto di Dio un atto di amore del Padre che ha voluto salvare tutti i suoi figli con il sacrificio del Suo unico Figlio; la carità comporta anche sacrificio, capacità di rinuncia, per donare non il nostro superfluo, ma ciò che c’è nel cuore. La carità a cui fa riferimento il Papa va ben oltre l’atto di munifica generosità che la situazione critica contingente di sempre più fratelli ci impone, ma comprende anche l’aiuto spirituale. Siamo responsabili degli altri non solo dal punto di vista materiale ma anche da quello spirituale ed è per questo che la Quaresima è un momento opportuno per riflettere su questo argomento. “Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dal modo di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene”. Questo rischio, in una società sempre più secolarizzata, è alto. Perseguire il proprio intesse è anteposto ad ogni rispetto del prossimo. Un tempo l’interesse del singolo coinci-
deva con quello della comunità, per cui anche nelle opere che servivano alla collettività c’era il concorso economico e fattivo di tutti; oggi, invece, ciò che è utile al singolo viene perseguito in disprezzo di ogni senso di giustizia o prossimità con l’altro. A questi errati comportamenti si riferisce il Santo Padre si riferisce. Quante volte assistiamo silenziosi ad atteggiamenti che con il comandamento dell’amore o con il senso di una più laica giustizia non condividono nulla ? Abbiamo dimenticato, e il Papa ce lo ricorda, che tra le opere di
misericordia spirituale, che il catechismo nozionistico di un tempo (imparare qualche nozione farebbe ancora bene!) ci proponeva, c’era anche questa: “ammonire cristianamente i peccatori”. Cosa significa? “Ammonire” significa non solo redarguire (sgridare) ma anzitutto “esortare” e “richiamare alla memoria”. Quante volte assistiamo a situazioni che richiederebbero il coraggio di ammonire il fratello perchè con il Battesimo ci siamo impegnati a conformarci a Cristo nel comandamento dell’amore? Ma la responsabilità spirituale verso gli altri comprende un altro aspetto: non siamo responsabili soltanto della nostra salvezza se ci dimentichiamo della salvezza dei fratelli. Suor Faustina Kowalska, la Santa della Divina Misericordia, in un testo che ci
viene proposto per la riflessione della XIV Stazione della Via Crucis composta dalle mistiche conversazioni con Gesù, scrive: “Ogni anima che mi hai affidato, o Gesù, cercherò di aiutarla con la preghiera e con il sacrificio, affinché la Tua grazia possa operare in essa. O grande innamorata delle anime, o mio Gesù, Ti ringrazio per la grande fiducia, poiché Ti sei degnato di affidare queste anime alle nostre cure”. La responsabilità spirituale verso gli altri si concretizza nella preoccupazione di Santa Faustina di collaborare alla salvezza di quanti il disegno divino pone sulla nostra strada. La Quaresima, in questo senso, è sicuramente il tempo evangelico “della semina”, in quanto sono numerose le occasioni che ci vengono offerte in parrocchia per crescere nella fede e far crescere gli altri. Oltre alla meditazione della via dolorosa percorsa da Cristo, ci sono i centri d’ascolto che dovrebbero aver luogo nelle case in modo da facilitare la partecipazione dell’intera famiglia. Utilizzare queste occasioni e avvicinare coloro i cui comportamenti richiedono la cristiana ammonizione, di cui sopra, significa rispondere al senso di responsabilità a cui ci richiama il Santo Padre. “C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona, come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi”. Infatti, se l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e il cristiano ha scelto di essere testimone di Cristo Risorto, allora chi incontra un cristiano deve vedere in lui ciò che testimonia: l’amore misericordioso e una condotta morale, solida e ben fondata sugli insegnamenti del Vangelo.
Maria Carla Sorrentino
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L’educazione dei figli e la trasmissione della fede Dal 17 al 19 Febbraio scorso, la nostra Comunità Ecclesiale ha avuto la gioia di vivere un momento di grazia, con la presenza tra noi delle reliquie dei Beati coniugi Luigi e Zelia Martin, genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù. Nell’approfondire la vita di questi santi genitori la cosa che più ha colpito è stato l’amore e il senso di responsabilità nell’educazione integrale dei figli,cui hanno donato tutto ciò che reputavano necessario per la loro formazione cristiana. Secondo la testimonianza della figlia Celina, sono stati “genitori incomparabili e ammirabili ”, mentre l’ultima figliuola, Santa Teresa del Bambin Gesù, nella sua “Storia di un’anima” , definirà i suoi genitori “più degni del cielo che della terra”. Una testimonianza esemplare da tener in considerazione nella fase attuale, in cui i “ processi educativi tradizionali” sono andati in crisi. Davanti alla complessità dell’educazione, gli organismi ad essa deputati, prima fra tutti la famiglia, si dichiarano incapaci di esercitare il loro ruolo e permettono ai bambini, ragazzi e giovani di affrontare senza un sicuro riferimento il cammino della loro crescita. In un simile contesto è palese la necessità di aiutare le nuove generazioni nella crescita. I genitori non sono stati chiamati solo a concepire figli, ma soprattutto ad educare, a comunicare valori autentici e la gioia di vivere. Essi attraverso l’esempio concreto, la testimonianza viva diventano elemento insostituibile dell’educazione. Il Cardinale Velasio De Paolis, moralista, nella rubrica di quarta pagina, comparsa sulla guida liturgica della I Domenica di Quaresima, ha scritto : “L’uomo sa che è chiamato a fare il bene e ad evitare il male. Compiendo il bene realizza il senso della propria vita; facendo il male si allontana dalla via della salvezza. La coscienza è la facoltà che permette all’uomo di distinguere il bene dal male, con un giudizio sulla singola scelta che egli è chiamato a compiere.
Non è l’uomo che stabilisce ciò che è bene è ciò che è male. Il bene ed il male è stabilito da Dio stesso. L’uomo lo scopre nell’ascolto e nell’obbedienza alla legge interiore che gli dice questo è bene, questo è male. La radice ultima della coscienza è Dio stesso. Perciò la coscienza è definita la “voce di Dio nel cuore dell’uomo.” Compito dei genitori allora è aiutare i figli a realizzare se stessi nella loro originalità, ad essere autonomi, ad ascoltare la voce di Dio nel loro cuore in modo che i figli siano capaci di scegliere il bene, di amare la verità , la vita e le persone. I buoni genitori si preoccupano non solo dell’aspetto materiale della vita dei figli ma sono sensibili ad educare anche alla fede , all’amore di Dio. Essi per primi costruiranno una vita familiare improntata all’amore , al rispetto ,all’armonia , alla solidarietà così che i figli perseguiranno sempre nel loro cammino principi di giustizia , di equità, di moralità, di solidarietà e non resteranno mai disorientati negli ostacoli della vita. I genitori devono essere capaci di scendere in profondità nel cuore dei figli per lasciare tracce indelebili che altri eventi non riusciranno mai a cancellare. L’educazione è il dono più grande che i genitori faranno ai loro figli , ancora più grande della vita stessa . Per fare tutto ciò però occorre tempo . Il tempo è vita! I genitori troveranno mille strategie per essere presenti, per educare in modo consapevole e responsabile. Cercheranno di essere pedagoghi e psicologi ben preparati; aperti al dialogo con i figli, per conoscerli sempre più a fondo; studieranno con attenzione i comportamenti e le abitudini dei figli, per conoscere a fondo i loro problemi. Lavoro non facile ai nostri giorni! La responsabilità educativa tuttavia richiede coraggio e impegno nell’adempimento di questa difficile missione. Genitori, non scoraggiatevi. Non vi mancheranno gli aiuti e la collaborazione degli insegnanti nella scuola e dei catechisti nella Parrocchia. Quello che conta è la ferma volontà di “ Voler fare tutto ” per il bene dei figli .
PEREGRINATIO DELLE RELIQUIE DEI BEATI MARTIN A RAVELLO
La santità coniugale è entrata a pieno titolo nella storia della Chiesa grazie alle intuizioni di Giovanni Paolo II. Nella Tertio millennio adveniente (1994), la Lettera che annunciava il grande Giubileo dell’anno 2000, il Papa scriveva: “In special modo ci si dovrà adoperare per il riconoscimento dell'eroicità delle virtù di uomini e donne che hanno realizzato la loro vocazione cristiana nel Matrimonio: convinti come siamo che anche in tale stato non mancano frutti di santità, sentiamo il bisogno di trovare le vie più opportune per verificarli e proporli a tutta la Chiesa a modello e sprone degli altri sposi cristiani”. In un’epoca in cui la famiglia è attaccata su ogni fronte, finanche nella sua stessa struttura, la Chiesa ci propone modelli di santità che passano attraverso l’esperienza degli sposi. Per noi cristiani, dunque, è una necessità annunciare e valorizzare la vocazione al matrimonio che gli sposi hanno ricevuto nel cammino dell’amore e che li ha condotti alla celebrazione delle nozze cristiane. Da questa consapevolezza è nato il desiderio di far conoscere alla comunità ravellese la santità, semplice e feriale, di una coppia di sposi dell’800 attraverso una peregrinatio durata tre giorni. Le reliquie dei beati LUIGI MARTIN e ZELIA GUERIN, meglio conosciuti come i genitori di Santa Teresa di Lisieux, hanno fatto visita al Duomo di Ravello nei giorni 17-19 febbraio ed è stato un evento proposto e organizzato dalla Comunità Sposi della Fraternità di Emmaus. Il reliquiario è arrivato a Ravello venerdì pomeriggio dalla Cittadella della Carità di Angri (dove il 26 marzo prossimo sarà inaugurata la prima chiesa del mondo dedicata ai beati coniugi Martin) ed è stato accolto dai fedeli: un corteo di sposi, bambini, ministranti che con ceri e fiori hanno accompagnato le sante reliquie, portate in processione da una coppia di sposi. La S. Messa con le litanie cantate, il suono dell’organo, l’odore dell’incenso, hanno dato il via alla tre giorni di riflessione e preghiera. La presenza delle reliquie è Giulia Schiavo l’occasione per fermarsi in preghiera
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singolarmente e comunitariamente, è un evento di grazia perché possiamo chiedere l’intercessione dei Santi affinché possano giungere i nostri desideri all’orecchio di Dio Padre. Sabato mattina si è tenuto un momento di preghiera alla presenza delle reliquie, a conclusione della novena di preparazione all’evento. Nel pomeriggio è toccato ai fanciulli del catechismo venuti da tutte le parrocchie della paese. Che emozione vederli riempire il Duomo! La catechesi e il successivo video sulla vita quotidiana della famiglia Martin, prodotti dalla stessa Fraternità di Emmaus, ha registrato un notevole interesse, e dal piccolo e semplice laboratorio proposto, è venuto fuori ciò che ha colpito maggiormente i bambini: la fede che Teresa e le sorelle hanno ricevuto dai loro genitori attraverso la testimonianza di vita vissuta con lo sguardo rivolto a Dio. “Dio è il primo servito” è questa la convinzione che ha accompagnato per tutta la vita i beati coniugi. E’ un richiamo alla prima responsabilità dei genitori: comunicare e trasmettere la fede ai figli. L’incontro pomeridiano è terminato con la benedizione dei fanciulli. Eccoci, dunque, alla serata principale: l’incontro con gli sposi della comunità ravellese, quelli che più degli altri fedeli dovrebbero essere toccati da questo evento di grazia perché racconta di una esperienza molto vicina alla loro vita quotidiana. La catechesi, infatti, ha avuto per tema le difficoltà che Luigi e Zelia Martin hanno dovuto affrontare nella loro vita familiare. Qui non troviamo solo l’ordinaria fatica che consiste nell’intrecciare il lavoro e la
crescita dei figli e le normali preoccupazioni che accompagnano la vita di ogni famiglia. La sofferenza prende dimora nella casa, pretende di stare sul trono come una regina dispettosa e prepotente: la morte di quattro figli, il disagio psicologico di Leonia (terzogenita della famiglia), la malattia e la morte precoce di Zelia, la vedovanza di Luigi, la malattia psichiatrica dello stesso Luigi . A leggere questo elenco, non esaustivo, sembra che nulla sia stato risparmiato ai coniugi Martin, anzi che la croce posta sulle loro spalle sia stata molto più pesante di quanto si possa pensare. L’esperienza del soffrire che ha abbracciato tanti ambiti dell’esistenza della famiglia Martin, la fa sentire vicina alla vita a tutti gli sposi chiamati a lottare contro il male che spesso si accanisce nella vita di coppia. Particolare risonanza ha avuto la visione del video – racconto del miracolo che i beati coniugi hanno operato a favore del piccolo Pietro Schilirò. Si tratta di una intervista realizzata dalla Fraternità di Emmaus ai genitori del piccolo Pietro. È stato emozionante sentir parlare di un miracolo avvenuto nei nostri giorni: la fede semplice e genuina ma allo stesso tempo tenace e perseverante dei coniugi Schilirò, ha aiutato a comprendere nuovamente il valore della preghiera, che è affidamento, e abbandono alla volontà di Dio. La peregrinatio delle sante reliquie si è conclusa solennemente con la Santa Messa di Domenica 19 febbraio. A concelebrare insieme a don Giuseppe Impe-
rato ben sette amici sacerdoti della diocesi di Salerno. A presiedere la celebrazione è don Franco Fedullo, responsabile del gruppo “IL GREGGE”, un movimento religioso salernitano che ha a cuore la pastorale familiare e che ha affollato il Duomo, come nelle grandi occasioni. La stima e l’amicizia che lega la Fraternità di Emmaus e Il Gregge ha dato origine ad una celebrazione emozionante. Commovente e appassionata l’omelia di don Franco che più volte ha invitato gli sposi a camminare insieme, mano nelle mano, verso la santità focalizzando l’attenzione sul vissuto quotidiano che non deve essere l’ostacolo alla santità coniugale ma il mezzo attraverso cui realizzarla. Sullo sfondo sempre l’esempio dei beati Luigi e Zelia Martin, richiamato alcuni episodi della loro vita in cui l’amore coniugale e l’educazione alla fede dei figli è il riflesso della loro santità. Organizzare una semplice peregrinatio, non è stato facile: la fatica di prevedere, di invitare, di annunciare, di preparare ogni cosa nei dettagli; l’ansia della buona riuscita dell’evento e di poter comunicare l’esperienza dei beati coniugi . Tutto è stato reso possibile grazie all’impegno della Comunità Sposi della Fraternità di Emmaus e all’instancabile impegno di don Giuseppe Imperato, desideroso di dare un ottimo
cibo spirituale alla sua comunità parrocchiale. Con l’aiuto del Signore è stata fatta una larga e abbondante semina di bene; come e quando si potranno vedere i primi frutti spetta solo al buon Dio. Tutto affidiamo a Lui e a Lui rendiamo lode per questa esperienza di grazia fatta insieme. Le reliquie dei beati coniugi Martin hanno salutato Ravello e sono state riportate ad Angri, presso la Cittadella della Carità, lasciando a Ravello il richiamo della santità della vita matrimoniale.
Laura e Giuseppe Gambardella
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Ravello accoglie con gioia i Beati Luigi e Zelia Martin Febbraio 2012, il solito mese dell’anno: freddo, piovoso, quest’anno nevoso e per di più bisestile, ma per la Comunità Sposi di Ravello, il mese di una grande grazia: l’arrivo delle reliquie dei beati Martin. Che fare? Prepararsi e preparare, un compito arduo a cui la Comunità non si è sottratta, né in termini di tempo, né di sacrifici e con l’aiuto dei membri della parrocchia di Santa Maria Assunta, l’instancabile don Giuseppe. Imperato e l’attenta guida di Peppe e Laura.Forse non abbiamo raggiunto un risultato da dieci e lode, tuttavia un nove ce lo siamo guadagnati. Negli incontri di catechesi precedenti l’evento, la Comunità di sposi si è preparata spolverando le proprie conoscenze sulla famiglia Martin e la sua spiritualità; ricordando anche l’esperienza delle altre coppie di coniugi elevate agli onori dell’altare (Beretta Molla; Beltrame Quattrome,…); commentando le pubblicazioni in merito, come le lettere di Zelia Martin e “Luigi e Zelia Martin, una santità per tutti i tempi” di Jean Clapier; il miracolo ricevuto dalla famiglia Scillirò per la guarigione del piccolo Pietro e poi, parlando un po’ anche di Santa Teresa del Gesù Bambino, protettrice della Fraternità. Carichi di conoscenza, ci siamo incamminati lungo la strada della preparazione pratica, a ciascuno il suo compito: la preparazione dell’ambiente liturgico, al Ministro dell’Unità; l’allocazione delle reliquie ad una fiorista d’eccellenza, la nostra Pina; ai Ministri della Liturgia, il gravoso impegno della documentazione dell’intero evento; per il canto, Immacolata, ha proposto e diretto le migliori melodie utilizzabili; in bella mostra, da vigilare, un’esposizione della letteratura inerente i Martin, da vendere anche se richieste, affidata al Ministro della Condivisione; Peppe e Laura ci hanno trasmesso e portato tutto il materiale didattico ed espositivo; Don Peppino. Imperato, oltre la supervisione e l’organizzazione degli incontri per la buona riuscita dell’evento, ha fatto stampare tante copie degli inviti quante sono le famiglie censite a Ravello e dunque,
tutti impegnati nell’annuncio, domenica dodici. Su gentile concessione dei parroci, ciascun membro nella propria parrocchia, e da allora un’imponente opera di volantinaggio è stata compiuta, aiutati dal gruppo pastorale del Duomo, per far arrivare un invito in ogni famiglia. Per nostra fortuna venerdì diciassette è arrivato presto, perché eravamo già un po’ esauriti con tutto questo da fare, e nel tardo pomeriggio eccole, le Reliquie. Non c’è dato conoscere i pensieri postumi di chi non è più tra noi, tuttavia artefici di quel che hanno trovato, lo possiamo raccontare. Le reliquie, frammenti
del costato dei coniugi, sono per ora allocate presso la Cittadella ad Angri, sede della Fraternità di Emmaus, e da lì è partito il loro viaggio per Ravello. Giunte all’inizio di Via Boccaccio, hanno sicuramente udito il solenne festeggiare delle campane del Duomo e quando il reliquiario blu si è aperto, ad attenderli hanno trovato una piccola processione: parroco in testa e ministranti al seguito, fanciulli con i ceri accesi e fanciulle con petali di rosa per omaggiare la reliquia quando, dalle mani di Laura e Peppe, è passata in quelle di Rosa e Albino che, in rappresentanza della Comunità, con processione al seguito, le hanno cullate fino al Duomo. Certo la luce non era delle migliori, quasi sera e pure tempo pungente, ma all’ingresso in Piazza, i ceri disposti nella parte centrale delle scale antecedenti l’ingresso in Chiesa, ben segnavano la strada da intraprendere; ai lati delle porte i due ritratti dei coniugi, sì le reliquie erano nel posto giusto. Varcata la soglia del Duomo ad attenderLe, a fine navata, a destra il ritratto della loro
ultima bambina, Santa Teresa di Liseaux, a sinistra un loro ritratto dei Beati Coniugi; sull’altare, un poggio a mo’ di collinetta, com’è Ravello d’altronde, una collina a 765 mt sul mare, rivestita da un drappo blu, come il mare e un velo bianco, simbolo dell’amore sponsale. Ai piedi del poggio, un faro orientato verso le reliquie, e verso il Vangelo posto al loro retro, simbolo della luce di Dio che ci illumina, e la composizione floreale di gigli, quattro aperti e quattro chiusi, uno a metà e alla loro base delle rose sui lati. Un accostamento un po’ strano, e tutt’altro che casuale, la composizione richiama, infatti, un disegno realizzato dalla stessa Santa Teresa, dove i gigli aperti rappresentano i figli vivi dei coniugi, quelli chiusi i figli in cielo, il mezzo giglio, Lei stessa, attaccata ad una croce che si erge al centro del disegno e le rose; alla base, i coniugi stessi, come punto di partenza di una pianta che cresce e si sviluppa intorno a questa croce, passione e salvezza dell’umanità tutta. Sistemate le Sante Reliquie i è iniziata la celebrazione Eucaristica, che riprendendo dal Vangelo secondo Giovanni il racconto delle nozze di Cana, ha permesso a Mons. Imperato, durante l’omelia, di focalizzare l’importanza del ruolo genitoriale in una famiglia. Maria, madre di Gesù, ottiene a Cana di Galilea il l suo primo miracolo; i coniugi Martin, con il loro esempio, di vita cristiana, riescono a far comprendere a tutta la famiglia, il senso della vera fede e dell’amore di Dio. La stessa Teresa, racconterà che da piccina, pur avendo perso la madre, quando,durante la Messa, non riusciva a comprendere i sermoni dei Sacerdoti, bastava guardasse il volto del padre, per capire la natura di ciò di cui si parlava. L’esempio dei genitori, è la migliore educazione possibile. Al termine della Messa, si è proceduto alla recita della novena ai Beati coniugi, giunta all’ottavo giorno e all’indomani ore 11:00, ancora tutti in Duomo per la recita dell’ultimo giorno. In verità il sabato alle undici, non ci si è arrivati, perché alcuni erano giunti prima, per sistemare
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qualche dettaglio tecnico poco efficiente: il faro per l’illuminazione delle reliquie, la sala per il primo pomeriggio, il proiettore…; altri sono arrivati tardi e non hanno potuto approfittare del tempo a disposizione per restare un po’ in meditazione presso le reliquie, poi dopo la novena, un evento nell’evento: la celebrazione di un matrimonio. Certo in questa tre giorni di esposizione delle reliquie dei “coniugi” Martin, forse non avrebbe potuto esserci momento liturgico più idoneo, chissà però se i novelli sposi se ne sono resi conto, e d’altro canto, magari questa celebrazione ha un po’ sorpreso chi si apprestava in preghiera presso le reliquie, però il tutto si è svolto con la solita tranquillità che caratterizza gli eventi in Duomo, per cui tutto sommato, oltre la sorpresa, è stato anche un momento di gioia collettivo. Nel pomeriggio grande ansia, per l’attesa dei ragazzi del catechismo, completo di tutte le classi e tutte le parrocchie cittadine, accompagnati delle catechiste. Le più ansiose, erano proprio le catechiste, che continuamente esprimevano dubbi sulla capacità dei fanciulli di resistere a quasi due ore di catechesi…ed è proprio vero che le sorprese, non finiscono mai. Rapiti dalle spiegazioni di Laura, che in fondo i ha presentato loro, sì due Beati, ma soprattutto due genitori, al momento le persone onnipresenti nella loro vita, tutti hanno ascoltato la catechesi e una calorosa esortazione di Mons. Imperato che, reliquie alla mano, li ha esortati a vincere la paura dell’indifferenza verso la Chiesa e ad essere testimoni di quello che avevano ascoltato, senza straordinarietà, semplicemente nelle cose di tutti i giorni, e invitandoli a partecipare alla Messa conclusiva della Peregrinatio il giorno dopo, accompagnati dai genitori. Dopo la catechesi, tutti in pinacoteca per la proiezione di un video sulla vita dei Martin e del miracolo loro attribuito, e di Santa Teresa. Di certo non si sono annoiati, speriamo solo che non dimentichino tutto troppo in fretta. Al termine della proiezione, la Santa Messa con liturgia di Benedizione dei fanciulli, ha proposto ai partecipanti, con il Vangelo di Marco, la guarigione del paralitico portato a Gesù dagli amici. Temi molto importanti per i
fanciulli, l’amicizia, prima fonte di relazione con estranei alla famiglia e cardine di fede per la Comunità Sposi; la malattia, che se è difficile da comprendere per un adulto, che tra fede e scienza ha tutti i mezzi tecnici per provarci almeno, figuriamoci per un bambino moderno che vede in essa il riflesso delle delusioni dei genitori superficialmente consci che uno stato di malattia sia solo fonte di sofferenza. I coniugi Martin, nella loro profonda fede spassionata, erano convinti che la malattia e il dolore in genere, contribuiva alla loro santificazione, così come Nostro Signore avrebbe voluto. Infine, il coraggio di operare scelte difficili, la testimonianza aperta di Gesù, che pur conoscendo i pensieri di chi lo circondava, non ha esitato a compiere il miracolo in nome di Dio: “Alzàti, prendi la tua
barella e và!”. Alziamoci, proprio in senso pratico, prendiamo la nostra semplice umanità, e andiamo, portiamo la Sua parola dove sappiamo scarseggia, cerchiamo in noi il coraggio di farlo. Se c’è una cosa eccezionalmente positiva che la venuta di queste reliquie ha reso possibile, è stata quella di smuovere mariti poco propensi alla frequentazione della Comunità e a portarli, con i loro piedi, alle celebrazioni e agli incontri. Li abbiamo visti, leggere, fare la processione offertoriale e intervenire alle catechesi, con propri interventi! Qualcuno ha anche dichiarato che quella dei Martin era una “bella favola” poco attuale e anche che, fare come loro, un voto di castità coniugale, forse era alquanto improbabile anche per quei tempi…Ora, tutte le opinioni sono opinioni e bisogna rispettarle. Solo riflettiamo un po’. Le belle favole in genere hanno lieto fine, i coniugi Martin, sono stati esauditi nel loro desiderio di avere molti figli, ben nove figli di cui
quattro al cielo in tenerissima età; desideravano un figlio per poterlo consacrare al Signore quale missionario ed hanno ricevuto cinque figlie consacrate al Signore quali suore di cui una Santa Teresa, non solo Santa Dottore della Chiesa e Protettrice delle Missioni. Zelia, però non ha potuto vedere il completo epilogo di tutto ciò, perché morta in giovane età e Luigi non ha potuto goderne pienamente, poiché una malattia mentale ha offuscato la sua vita fino alla fine dei suoi giorni. Che sfortuna!. Poi c’è la questione del voto di castità, c’è molta differenza tra un voto di castità e una vita coniugale di risentimenti ben celati, cosa molto comune nei matrimoni odierni, dove ci si punisce con l’indifferenza reciproca magari proprio nell’intimità della coppia? Ai posteri l’ardua sentenza. Solitamente ciò che è bello finisce sempre troppo presto e anche per la peregrinatio delle Reliquie dei Beati Martin è arrivata domenica 19. Si sono associati alla nostra festa tantissimi membri della Comunità del Gregge di Salerno.Don Franco Fedullo ha presieduto la Santa Messa, con gli altri parroci presenti. Durante la liturgia c’è stato il rinnovo delle promesse matrimoniali e, in un Duomo davvero zeppo di gente, il “Sì” degli sposi è risuonato forte, sperando la loro eco non si disperda tra i venti che soffiano dagli spifferi. Così, sì è conclusa questa tre giorni. E’ stata una bella avventura per tutti: Peppe e Laura in questi giorni si sono trasferiti a Ravello e ospiti dei membri della Comunità hanno seguito tutto l’iter; il paese ha ricevuto una vera scossa, in estate non se ne sarebbe accorto nessuno, perché il paese è immerso in tutt’altri problemi, mentre nel placido inverno ravellese, questo evento ha portato un soffio di gioiosa spiritualità. Per la Comunità una bella prova, affrontata con coraggio e dedizione. Tutti hanno pregato con devozione i Beati, e tanti hanno già sperimentato la loro efficace protezione: un sogno, una verità attesa, un suggerimento. Certo potrebbero essere tutte casualità, ciò che fa la differenza è solo la fede, i Martin ne avevano da vendere e noi da “acquistare”, pellegrini del deserto in cerca dell’acqua della vita eterna.
Elisa Mansi
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8 marzo Ricordiamo anche le donne che soffrono Non sarò sicuramente in sintonia con il tema, i miei pensieri tendono spesso ad esondare, a trascurare gli argini, il letto ed il corso: talvolta il mio glissato di parole scivola forse nella stonatura ed allora il danno è fatto, ma con consapevolezza. Ecco forse per armonizzarmi, dovrei rannicchiare la mente, redarguire le riflessioni che spesso la vita stessa decide di suggerire, bastano una telefonata, l’incontro casuale mentre passeggi con una brutta notizia. Oggi avrei dovuto esordire con una giusta, necessaria carrellata di considerazioni sull’importanza del ruolo femminile nella gerarchia dell’esistenza, partendo dalla famiglia per arrivare alla società stessa. Ma è proprio un passaggio che si è sganciato dal corso degli eventi ed è caduto nel bel mezzo di una semplice riflessione sulla festa della donna, come un traliccio su una via centrale, che mi spinge ad allontanarmene quasi si trattasse di uno svolgimento scolastico , e ad osare lo spauracchio di tutti gli alunni: uscire fuori traccia. Ieri ho fatto visita ad una donna: negli ospedali c’è sempre quella strana atmosfera di sospensione, di caldo e soffocamento, è come se la condizione di sofferenza, debba essere spennellata intorno, sugli oggetti, perfino sui gradini che ti portano da un reparto all’altro, nel modo in cui si chiudono le dentiere ferrose degli ascensori, perfino nello sforzo diafano delle luci di rendere accettabili i corridoi, nelle attese che consumano le mani dei parenti abbandonati nelle sale d’aspetto come su panchine di una stazione che non si vorrebbe o dovrebbe mai raggiungere. Si, le ho fatto visita: si è donne sempre, anche quando si è prigionieri di un letto e di un carceriere che ha mille diagnosi diverse ma un unico intento: fermarti, sospenderti, frenarti. Si è donne anche con il viso segnato da una compostezza artificiale, finta, indotta, chimica, farmaceutica,
quasi meccanica. L’ ho guardata a lungo, quando le parole non arrivano e rimbalzano per tornarti in bocca, lo sguardo fa più delle labbra e diventa una comunicazione suprema. Le ho guardato la pelle incrinata dalle rughe, come fosse stata dissodata nel corso degli anni per accogliere le esperienze, le gioie, i dolori, l’arrendersi, il lottare. L’ho guardata così, addormentata ma senza sonno, senza sogni o forse con i sogni che possono dare solo i ricordi, quelli di una festa patronale, di una mattina trascorsa seduta in piazza, chissà magari di un vestito nuovo, di un primo amore, della prima parola detta dal proprio figlio. Si è donne
anche in quel momento, quando si è alla mercè degli altri, quando il corpo si arena in un letto come un capodoglio che ha sbagliato direzione, quando si ha bisogno di un aiuto anche solo per respirare e spesso non si ha la possibilità di chiederlo. La osservavo e pensavo ai sacrifici che le avranno sicuramente segnato la vita, alla gioia di un figlio, ai problemi e poi al modo in cui deve aver improvvisamente aperto la porta al cambiamento, al dolore, a quella sorta di stop gigante che ad un certo punto ferma il nostro percorso e contro cui possiamo ben poco. Trattandosi di una madre, so che ha pronunciato per primo il nome di suo figlio, nel formicolio istantaneo di un barlume di coscienza, ha invocato l’affetto più importante, la propaggine che, seppure malan-
data, insicura, bisognosa di aiuto forse più di lei, resta lo specchio del suo sangue. L’ ho osservata a lungo e la ripensavo diversa, in piedi, combattiva ed energica, sorridente, così sorridente da vestirsi spesso di un’ironia pungente, quasi sbruffona, irriverente, capace di uscire dalla cattedrale nerboruta dei suoi anni e di strappare una risata a chiunque, alla gioventù sempre di corsa, sempre in pensiero. Le ho guardato il piede che spuntava timido dal lenzuolo, era abbandonato, arreso, insensibile a qualsiasi tipo di stimolazione esterna e poi mi sono soffermata sulle labbra divaricate appena dal respiro affannato, indotto, irreale e mi sono chiesta se c’è un modo migliore per essere donna di quello che è fatto di una vita di coraggio, di accettazione anche delle situazioni meno felici, meno appaganti. Se non è quella la forma più grande e perfetta di femminilità, di bellezza. C’è una bellezza perfino nel dolore che a volte sembra stridente, paradossale. Ho fatto visita ad una donna ieri, una donna che spesso indossava una collana e tirava sulle labbra raggrinzite un velo di lucido rosa, che si notava per i modi spicci e simpatici, per l’andatura che si è affaticata giorno per giorno, una donna che diceva di addormentarsi davanti alla tv così che fosse la tv a guardare lei e non viceversa. Stava accoccolata fra le lenzuola,fra una ferrovia di tubicini e di flebo e l’affetto di chi l’ama e l’ha vista zittirsi senza ragione in un istante, come spesso avviene, come spesso la vita decide che deve essere. L’ho vista con il capo piegato verso destra, la pelle calda ed i capelli puliti, l’ho vista passare dalle mani dei suoi cari a quelle esperte e rodate di un’infermiera, dalle preghiere allo sguardo di chi le sorveglierà il sonno sempre identico, senza cambiamenti di posizione. E mi è sembrata bella, più bella che mai, di una bellezza che può dare solo Dio e che il più complesso e perfetto degli artifici non potrà mai raggiungere.
Emilia Filocamo
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Ricordo di Alfonso Tenebre Non poteva mancare su questo mensile, di cui era lettore curioso e appassionato, un ricordo del carissimo Alfonso Tenebre, che si è spento nella mattinata del 26 febbraio u.s. dopo una malattia devastante, che lo ha strappato all’affetto dei suoi cari e di tutti coloro che lo hanno conosciuto. Una folla numerosa, accorsa ai suoi funerali, ha voluto salutarlo per l’ultima volta nel Duomo di Ravello, dove molto spesso lo si incontrava negli ultimi anni. Particolarmente sensibile alle necessità della Chiesa, infatti, Alfonso è stato sempre disponibile a collaborare nei più vari settori della vita parrocchiale. Non lo faceva per protagonismo, ma per spirito di servizio e carità, doni appresi sicuramente alla scuola di San Francesco, della cui grande famiglia ha fatto parte in qualità di terziario. Un’ adesione, questa, da lui considerata come “scelta di vita”, e che spesso era oggetto di lunghi dibattiti, nel corso dei quali mi raccontava entusiasta delle sue recenti “letture” francescane. Questa appassionata curiosità per la formazione personale ha voluto trasmetterla anche ai ragazzi e a quanti hanno avuto la ventura di averlo come catechista, compito impegnativo che ha saputo portare avanti con grande dedizione. Un attaccamento forte al ruolo affidatogli, che purtroppo non lo risparmiava da cocenti delusioni, quando, ad esempio, dopo aver aspettato a lungo i suoi allievi, questi non partecipavano al Catechismo, lasciandolo solo e sconsolato. Con lo stesso entusiasmo entrò a far parte anche della Confraternita del SS. Nome di Gesù e della B. V. del Monte Car-
melo, della quale è stato fino alla morte membro del Consiglio Direttivo in qualità di II Assistente, carica in cui era stato confermato nell’ elezione del 12 novembre 2011. In seno alla Confraternita volle dare il suo contributo anche ai riti della Settimana Santa, ai quali partecipava da “apostolo” alla liturgia del Giovedì Santo e come “battente”, coinvolgendo anche il nipote Luigi. Del resto la sua consuetudine alla vita liturgica della Parrocchia era molto nota, avendo prestato il suo servizio quale membro fedele e attivo della corale. Vorrei ricordare, in ultimo, la sua devozione verso il Santo Patrono Pantaleone, che ha contribuito a diffondere anche come componente del Comitato Festeggiamenti Patronali, segno del suo pieno inserimento nella vita ravellese, nonostante le mai celate origini amalfitane. Tutti questi impegni ha onorato con grande fervore e coerenza fino a quando, con l’incalzare inarrestabile della malattia, Alfonso è stato a chiamato a dare una testimonianza ancora più viva della sua fede, accettando quella croce con grande serenità. Grande è il vuoto che ha lasciato nella sua famiglia, in quanti lo hanno conosciuto, nelle varie realtà parrocchiali in cui era impegnato e dove difficilmente la sua presenza sarà dimenticata. A conclusione della sua omelia, Don Giuseppe Imperato gli ha rivolto un ultimo desiderio: “che presso Dio egli si ricordi di tutti noi, delle necessità della nostra chiesa e preghi il Buon Dio perché ci doni fratelli forti e generosi nella fede e genitori saggi ed amorevoli come lui”. Sono convinto che il caro Alfonso, come San Paolo, ormai pronto a lasciare questo mondo, abbia esclamato tra sé: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”. Ciao Alfonso, ci mancherai! Salvatore Amato
Auguri papà! Si comincia da piccoli ad avere bisogno del papà. Da quando con un semplice suono, quasi un verso “pa pa pa”, lo si richiama alla propria attenzione, accompagnandolo con un sorriso speciale e spontaneo. Poi si cresce e la figura del padre diviene ascolto, protezione, consiglio, aiuto, vicinanza. A volte anche scontro e contestazione. Ci si vuole bene e si litiga con il proprio padre. Quella vita che lui ci ha insegnato ad affrontare e comprendere a testa alta, a volte ci rende distanti, ci allontana da lui, per voglia di quell’autonomia e indipendenza che lui stesso ci ha impartito. Inutile dire che ogni rapporto con il proprio padre è una relazione a sé. Inutile, quindi, voler fare paragoni o confronti. Quello che ci preme è ricordare come ad essere “figlio” non si finisce mai. Così come ad essere “genitore”. Di là dalle divergenze e scelte di vita, dunque, invitiamo tutti a ricordare e celebrare la festa del papa, il 19 Marzo; una ricorrenza “affettuosa” da intendersi soprattutto come impegno morale ed etico nel riconoscimento di un ruolo fondamentale della nostra società. Guida, memoria storica, punto di riferimento, il padre al pari della mamma è un’ “irrinunciabile” della nostra vita. Dio è padre. Ma, anche l’uomo che da piccoli ci ha portati per mano e da grandi ci ha asciugato le lacrime è “Padre”. A lui, sono dedicate queste poche righe, insieme ai tutti quei figli che presto prenderanno il suo posto, con l’augurio di non dimenticare mai l’importanza e il grande spessore della sua figura.
Iolanda Mansi
CELEBRAZIONI DEL MESE DI MARZO DALL’ 1 AL 24 MARZO GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa
DAL 25 MARZO GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa
GIOVEDI’ 1-15-22-29 MARZO Al termine della Santa Messa Adorazione Eucaristica VENERDI’ 2-9-16-23-30 MARZO Al termine della Santa Messa Via Crucis 4 MARZO - II DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30- 18.00: Sante Messe
5-8 MARZO GIORNATE EUCARISTICHE ( QUARANTORE ) LUNEDI’- GIOVEDI’
CHIESA DI SANTA MARIA A GRADILLO Ore 8,00 : Celebrazione Eucaristica ed Esposizione del SS. Sacramento per l’adorazione ininterrotta; Ore 18.30: Celebrazione dei Vespri,Omelia e Benedizione Eucaristica.
11 MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30- 18.00: Sante Messe
18 MARZO - IV DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30- 18.00: Sante Messe 19 MARZO (Lunedì) SOLENNITA’ DI S. GIUSEPPE SPOSO DELLA B.V. MARIA Ore 18.00: Santa Messa
25 MARZO - V DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30- 19.00: Sante Messe 26 MARZO - SOLENNITA’ DELL’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE