La giovane umana

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La giovane Umana

L’ ATTESA Entro. Tra le quattro mura della sala d’attesa, i corpi s’ammassano, accalcati lungo i muri, seduti sulle fila parallele di sedili, in piedi tra queste o su una carrozzina. Agli angoli barelle, accostate una accanto all’altra, coi lenzuoli gonfiati da corpi immobili. Gli occhi di tutti sono spalancati, ma nessuno si guarda. E intanto che si seccano distratti per l’aria troppo fredda di condizionatori invisibili, stanno fissi e opachi sotto le luci al neon che fanno sembrare ancora più bianche le pareti. Per lo più silenzio, interrotto da qualche vocio sconnesso, non cosciente. Mi guardo intorno: una signora alla mia destra è stata appena chiamata da un infermiere. Si alza e si avvia verso il fondo. Nessuno si muove, prendo il suo posto, vicino all’entrata. La seguo con lo sguardo, mentre si fa timidamente largo tra quel coacervo di corpi, sedie a rotelle, attraverso il quale distinguo, solo ora, quattro porte. La massa di vestiti scompagnati e policromi mitiga il contrasto della loro vernice sull’intonaco bianco: una nera, una rossa, una verde, una gialla. La mia attenzione torna alla signora che m’ha ceduto il posto, ma sembra essere stata già ingoiata da uno di quei quattro usci. Li scruto, per vedere se deve ancora entrare. Ad aprirsi è la porta verde, far uscire qualcuno. E’ una donna, avrà sì e no quarant’anni; per mano tiene una signora con addosso qualcosa di simile a un pigiama. Questa si guarda intorno, indugia da dietro gli occhiali su ogni volto, vestito, oggetto, che i suoi occhi incontrano nel movimento tremolante descritto dal collo. Parla, forte, da qui la sento ma non capisco cosa dice, e nemmeno lei, mi pare. La figlia sembra ignorarla, la precede, sempre tendendola per mano, quasi trascinandola all’uscita. Fugacemente, occhieggia di tanto in tanto un fascicolo di fo72


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