3. Usi alternativi del cibo - Evita lo spreco alimentare e non solo...

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SE MI LASCI NON VALE

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale del Terzo Settore e della responsabilità sociale delle imprese


IL PROGETTO SE MI LASCI NON VALE E I 4 DOSSIER Questo opuscolo è stato realizzato dall'Associazione di Promozione Sociale “Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali – CDCA Abruzzo” all'interno del progetto “Se mi lasci...non vale! - Conoscere e prevenire” finanziato dalla Regione Abruzzo - Dipartimento per la Salute e il Welfare – Servizio Programmazione Sociale – dpf014 nell'ambito del bando “Finanziamento di iniziative e progetti di rilevanza regionale promossi da organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale per la realizzazione di attività di interesse generale”. Il progetto ha l'obiettivo generale di sensibilizzare sui temi della gestione dei rifiuti, della lotta allo spreco, dello Sviluppo Sostenibile, dei cambiamenti climatici e dell'economia circolare, attraverso la realizzazione di un insieme di attività volte al raggiungimento delle differenti fasce di popolazione ed enti pubblici e privati, comprendendo anche la traduzione nelle 7 lingue straniere maggiormente diffuse nella Regione Abruzzo. In particolare, i 4 dossier sono disponibili nelle seguenti lingue straniere, al fine di coinvolgere e facilitare la comunicazione e la comprensione del necessario cambio culturale che il nostro tempo impone: rumeno, albanese, arabo, cinese, russo, inglese, francese. In particolare, i 4 dossier realizzati sono:

N. 1 - “Ciclo dei rifiuti, corretto conferimento e riciclo dei beni a fine vita: le 4R” N.2 - “Danni causati dall'abbandono dei rifiuti in natura e vantaggi sociali, ambientali ed economici dell'assunzione di comportamenti responsabili e sostenibili” N. 3 - “Usi alternativi del cibo – evita lo spreco alimentare e non solo” N. 4 - “Sviluppo sostenibile, Cambiamenti climatici ed economia circolare – comportamenti responsabili da adottare” Chiunque può diffondere e stampare i dossier, mantenendone le caratteristiche grafiche e di contenuto. “… Saremo conosciuti per sempre dalle impronte che lasciamo …”.


SE MI LASCI NON VALE


USI ALTERNATIVI DEL CIBO EVITA LO SPRECO ALIMENTARE E NON SOLO… Quanto cibo ancora commestibile finisce nelle nostre pattumiere? Quale impatto ha sull’ambiente? Quali comportamenti potremmo adottare per ridurre l’impatto? Queste sono solo alcune delle domande che ci introducono al fenomeno dello spreco alimentare e della relativa mancanza di attenzione verso la filiera agroalimentare della produzione di cibo. Lo spreco alimentare non è altro che la perdita di cibo ancora commestibile che avviene durante tutto il suo processo di produzione e consumo: dalla produzione agricola alla lavorazione, al trasporto, alla vendita, alla conservazione e all’uso. Secondo la FAO (Food and Agriculture Organization, l’agenzia delle Nazioni Unite che cerca di contrastare la fame nel mondo e di migliorare la nutrizione e la sicurezza alimentare) un terzo della produzione di cibo mondiale viene sprecato: pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cui il 14% viene perso prima di raggiungere i punti vendita. Per dare un’immagine descrittiva di questo fenomeno, immaginiamo oltre 23 milioni di camion da 40 tonnellate messi in fila, paraurti contro paraurti, carichi di sprechi alimentari, bene, questi riuscirebbero a coprire una distanza pari a 7 volte il giro della terra. Il fenomeno dello spreco alimentare è maggiormente amplificato, in termini di impatto ambientale, se si prendono in considerazione le risorse impiegate per la produzione di cibo quali acqua, suolo ed energia. Inoltre, bisogna inserire tra questi anche lo spreco di combustibili fossili, largamente utilizzati nelle fasi di produzione, di lavorazione e di trasporto del cibo. Se si pensa alla enorme quantità di rifiuti che finisce in discarica, non si può non considerare la quantità di CO2 che nel processo di decomposizione e smaltimento vengono rilasciate nell’ambiente contribuendo ad incrementare l’effetto serra. “Sempre la FAO ha stimato che lo spreco alimentare mondiale produce emissioni di gas a effetto serra pari a circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente: in pratica, se lo spreco alimentare fosse uno Stato, sarebbe al terzo posto tra quelli che producono più emissioni, dopo USA e Cina”. Dai dati viene fuori quindi che non si tratta di un fenomeno marginale ma si tratta piuttosto un grosso problema che i governi di tutto il mondo dovrebbero inserire in cima alla lista delle cose da fare, visto che la quantità di emissioni contribuisce sicuramente ad incrementare l’effetto serra e dunque anche i cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo, in maniera sempre più evidente, negli ultimi anni. Come sottolinea Inger Andersen, Direttrice esecutiva dell’UNEP (Programma Ambiente delle Nazioni Unite) “La riduzione dello spreco alimentare ridurrebbe le emissioni di gas serra, rallenterebbe la distruzione della natura indotta dalla conversione della terra e dall’inquinamento, aumenterebbe la disponibilità di cibo e quindi ridurrebbe la fame e farebbe risparmiare denaro in un momento di recessione globale. Se vogliamo veramente affrontare i cambiamenti climatici, la perdita di natura e biodiversità, l’inquinamento e i rifiuti, le imprese, i governi e i cittadini di tutto il mondo devono fare la loro parte per ridurre lo spreco alimentare.” Oltre all’impatto ambientale, bisogna considerare anche l’impatto socioeconomico che lo spreco alimentare comporta. Infatti, la maldistribuzione di cibo produce sempre più effetti sulla salute delle persone: da un lato ci sono persone che si ammalano perché hanno accesso ad un’enorme quantità di cibo (spesso di cattiva qualità) come nei casi del diabete, delle malattie vascolari e cardiocircolatorie, ecc…. Dall’altro lato ci sono persone che soffrono di malnutrizione perché non mangiano abbastanza per garantirsi una vita in salute.


Il Food Waste Index Report 2021 redatto dalle Nazioni Unite, evidenzia che “in quasi tutti i Paesi lo spreco alimentare è stato notevole, indipendentemente dal livello di reddito” portando alla luce un problema di carattere comportamentale: spesso sono gli stili di scelta e di consumo adottati dalle persone a generare spreco di cibo e di risorse necessarie alla sua produzione e consumo. Inoltre “dimostra che la maggior parte di questi rifiuti proviene dalle famiglie, che scartano l’11% del cibo totale disponibile nella fase di consumo della catena di approvvigionamento. I servizi di ristorazione e i punti vendita sprecano rispettivamente il 5% e il 2%”. Secondo l’Onu è fondamentale “riportare un equilibrio tra produzione e consumo” in modo da poter vivere in equilibrio con il nostro Pianeta. Delle linee guida per cercare di rimediare al problema vengono fornite dall’Agenda 2030 che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato nel settembre 2015. Tra i 17 obiettivi adottati, troviamo al punto 12 (nello specifico al 12.3) di “dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto”; “ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclaggio e il riutilizzo; incoraggiare le imprese, soprattutto le aziende di grandi dimensioni e transnazionali, ad adottare pratiche sostenibili e integrare le informazioni sulla sostenibilità nelle loro relazioni periodiche”.

COSA SIGNIFICA SPRECO ALIMENTARE Il fenomeno dello spreco alimentare è relativamente recente, la FAO evidenza che dal 1974 ad oggi la quantità di cibo ancora commestibile che finisce nella spazzatura è aumentata del 50%. L’attenzione posta verso questo fenomeno è però molto recente, a tal punto da non trovare una definizione univoca in ambito istituzionale e scientifico. La FAO definisce spreco alimentare come “qualsiasi sostanza sana e commestibile, destinata al consumo umano, che venga sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in qualsiasi punto della filiera agroalimentare”. Se si osserva più da vicino il fenomeno, viene automatico fare una distinzione tra il cibo che viene perso durante le fasi di produzione e di lavorazione degli alimenti (food losses) e spreco di cibo che avviene durante il trasporto, la vendita ed il consumo finale (food waste). Entrambi i fenomeni si definiscono abitualmente sprechi alimentari ma tra loro si differenziano soprattutto per la loro causa: se nel primo caso le perdite sono dovute sostanzialmente a limiti logistici e infrastrutturali, nel secondo caso lo spreco deriva maggiormente da fattori comportamentali nello stile di consumo.

QUALI SONO LE MAGGIORI CAUSE DELLO SPRECO ALIMENTARE Uno studio condotto dalla Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN), un ente di ricerca privato italiano, mette in evidenza alcune cause di carattere globale che hanno contribuito all’aumento del fenomeno soprattutto negli ultimi anni.Lo spopolamento delle campagne e dei piccoli


centri, dovuto ad un cambiamento di prospettive lavorative, “ha allontanato i consumatori dai luoghi di produzione del cibo, allungando così la filiera agroalimentare e incrementando il rischio di perdite durante il trasporto l’immagazzinamento del cibo”. L’aumento di disponibilità economica ha influito sul cambiamento della dieta a base di cereali favorendo un maggiore consumo di carne e di pesce, prodotti facilmente deperibili. Un'altra causa deriva sicuramente dalla grande distribuzione organizzata, riconducibile agli effetti della globalizzazione, anche in Paesi in via di sviluppo, che per migliorare gli standard qualitativi e di sicurezza si trovano a scartare un’enorme quantità di cibo e quindi ad aumentare le quantità di produzione. Oltre alle cause più generali, ci sono sicuramente altre cause più specifiche che possono essere ricondotte alle singole fasi di produzione e consumo della filiera agroalimentare. Ad esempio, nella fase di produzione (coltivazione e raccolto) le perdite possono essere dovuti ad aspetti climatici e fattori ambientali quali la diffusione di parassiti e malattie. Nella fase di lavorazione, soprattutto nei Paesi più ricchi accade che “vengano scartati prodotti difettosi per peso, forma o confezionamento, anche se questi difetti non ne compromettono il valore nutrizionale o la sicurezza”. Secondo uno studio condotto dall’Università di Edimburgo, mele, agrumi, kiwi o carote troppo piccole finiscono tra i rifiuti perché non conformi ai regolamenti europei. Il cibo scartato perché esteticamente brutto “rappresenta circa il 33% della produzione agricola in Europa e ovviamente ha un impatto notevole sia dal punto di vista economico che sull’ambiente. Per coltivarlo vengono spese e impiegate energie che hanno un impatto sull’ambiente equivalente all’emissione di 400 mila veicoli. Una vera assurdità a cui secondo i ricercatori è necessario porre rimedio con nuove idee che fanno dell’imperfezione una virtù”. Ciò che determina sprechi nella fase di trasporto e vendita è soprattutto l’errato metodo di trattamento e conservazione dei prodotti. C’è da aggiungere che anche un’errata stima della domanda del prodotto determina sicuramente sprechi. Nell’ultima fase della filiera, cioè il consumo, il cibo viene sprecato principalmente per due ragioni: prepariamo più cibo di quanto effettivamente è necessario consumare producendo così avanzi che molto spesso finiscono nella spazzatura perché non vengono riutilizzati: buttiamo alimenti scaduti perché non teniamo sotto controllo la data di scadenza, a causa delle cattive abitudini comportamentali, tra le quali l’acquisto eccessivo di prodotti che superano di gran lunga le effettive necessità (compriamo più cibo di quanto ci occorre). Se nei Paesi in via di sviluppo il fenomeno dello spreco alimentare domestico e nella ristorazione è ancora del tutto marginale, la situazione risulta essere totalmente diversa nei Paesi cosiddetti ricchi, migliaia di tonnellate di cibo vengono “perse nei nostri frigoriferi” o buttate dopo essere state mangiate solo in parte.

LA SITUAZIONE NEL MONDO I dati disponibili sugli sprechi alimentari in tutto il mondo sono purtroppo insufficienti per delineare un quadro chiaro della situazione. La FAO, con un’indagine condotta nel 2011, ha stimato che lo spreco mondiale annuale di cibo si aggira intorno ad 1,3 miliardi di tonnellate, per un valore di 750 miliardi di euro. Inoltre rappresenta circa un terzo della produzione totale e “solo il 43% dei prodotti coltivati per l’alimentazione viene effettivamente consumato: il resto viene perso lungo la filiera”. SUPERMARKET


SPRECO ALIMENTARE NEL MONDO

Fonte: The Food and Agriculture Organization of the UN

Il mondo spreca 2,9 trilioni di libbre di cibo ogni anno, la maggior parte proveniente da Stati Uniti, Australia, Europa e Asia orientale. (Fonte: FAOUN) “Il Swedish Institute per l’Alimentazione e le Biotecnologie ha stimato che i paesi industrializzati e in via di sviluppo buttano alimenti rispettivamente per 670 e 630 milioni di tonnellate. In Europa e Nord America ogni anno si sprecano dai 280 ai 660 chili a persona, più del doppio rispetto ai paesi africani e del sud est asiatico. In America il cibo buttato corrisponde a 131 miliardi di euro, mentre l’Europa è un continente sciupone che nel suo totale butta quasi 100 milioni di tonnellate di prodotti della filiera alimentare”.

LA SITUAZIONE IN ITALIA Soltanto da un decennio, in Italia, il fenomeno degli sprechi alimentari viene monitorato, cioè da quando la società Last Minute Market, nata da un progetto dell’Università di Bologna con l’obiettivo di studiare lo spreco e le eccedenze alimentari, ha iniziato a raccogliere dati. Dal primo rapporto del 2011 emergeva che la quantità di cibo perso durante tutta la filiera era di 20 milioni di tonnellate, in larga parte prodotto dallo scarto domestico. In un rapporto presentato in occasione della World Environment Day "Seven Billion Dreams. One Planet. Consume with Care" promossa dall’Onu, svoltasi il 5 giugno 2015, la fondazione Barilla Center for Food and Nutrition presentò il seguente rapporto:“In Italia si spreca il 35% dei prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e 16% di frutta e verdura. Lo spreco di cibo nel nostro Paese ogni anno determina una perdita di 454 euro a famiglia, di 1.226 milioni di m3 di acqua - pari al 2,5% dell’intera portata annua del fiume Po, oltre a produrre l’immissione nell’ambiente di 24,5 milioni di tonnellate di CO2.


L’assorbimento della sola CO2 prodotta dallo spreco domestico in Italia richiede una superficie boschiva di 800.000 ettari, cioè più di quella presente in Lombardia”. “In Italia, la quantità di acqua sprecata a causa del cibo inutilizzato è pari a circa 706 milioni di metri cubi. Di questi, circa il 43% è dovuto a spreco di carne, il 34% a cereali e derivati, il 19% a frutta e verdura e il 4% a prodotti lattiero-caseari. Se consideriamo anche le perdite di alimenti che avvengono durante la filiera alimentare e che non raggiungono mai la distribuzione, il bilancio sale a 1.226 milioni di metri cubi di acqua: una cifra comparabile al fabbisogno annuo di acqua potabile di 27 milioni di nigeriani, o pari a un decimo del fabbisogno minimo di tutta la popolazione africana che non ha accesso all’acqua”. Fortunatamente la situazione è migliorata. Dal report di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability di Last Minute Market, presentato in occasione dell’8° Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, che si tiene ogni 5 febbraio, emerge che nel 2020 si è sprecato l’11,78% in meno cibo rispetto al 2019 che equivale a dire 27 kg a testa, circa 529 g a settimana. La quantità di cibo sottratto allo spreco si aggira intorno alle 222 tonnellate per “un risparmio di 6 euro pro capite, ovvero 376 milioni di euro a livello nazionale, in un anno intero “confermando la tendenza in calo degli ultimi anni. Forse grazie anche al lockdown abbiamo imparato a mangiare meglio, a scegliere cibo più salutare e proveniente dal territorio, e a sprecare il meno possibile. Ma i volumi in temine di valore di cibo che viene sprecato è ancora molto alto: se si considera il solo spreco domestico il valore corrispondente è di 6.4 miliardi di euro, mentre se si considera l’intera filiera si arriva a 10 miliardi di euro. In termini di peso significa che sono andate sprecate 1.661.107 tonnellate di cibo proveniente dalle abitazioni e 3.624.973 se vengono inclusi gli sprechi di filiera. Pensi agli ultimi SETTE giorni, in casa sua, quanto/a/i/e dei prodotti che ha indicato avete gettato via? Se si osserva la mappa dello spreco alimentare si può notare che si spreca di più al sud, dove finiscono nella pattumiera il 15% in più di avanzi di cibo (circa 600 grammi a settimana). Al nord ed al centro la tendenza è diversa, rispettivamente si registra un -8% con circa 848 grammi settimanali a persona e un -7% con circa 496 grammi. Altro dato importante, le maggiori quantità di cibo che finiscono nella pattumiera provengono dalle famiglie con figli (in media il 15% in più rispetto ai single). Risultano più virtuosi i cittadini dei centri urbani rispetto a quelli dei piccoli comuni, salvo eccezioni. E come non ci si aspetterebbe, chi meno guadagna più spreca: “il 38% di italiani che si autodefiniscono di ceto basso o medio-basso getta il 10-15% in più rispetto agli altri”. Quali sono le maggiori cause di sprechi alimentari nelle case? Sono gli alimenti in scadenza ad essere maggiormente dimenticati (circa il 46%), molto spesso capita che frutta e verdura appena acquistati siano già sull’orlo della deperibilità (42%) insieme ad altre tipologie di cibi (31%). Ma c’è anche un’ammissione di colpa, per il 29% si dice di comprare troppo e di aver calcolato male il cibo che occorre per il 28%. Inoltre un’altra cattiva abitudine è gettare il cibo nella pattumiera dell’indifferenziato: i residui organici andrebbero raccolti con l’umido o nella compostiera, generando almeno un recupero di materia organica che può donare fertilità alla terra, attraverso la produzione del compost. La frazione organica che viene smaltita con l’indifferenziato va a finire in discarica.


La mappa dello spreco in Italia

NORD 489,4 gr -8%

Frutta Fresca +7% Verdura +8%

V/media nazionale

v/media nazionale

CENTRO 496,7 gr -7% V/media nazionale

Pane Fresco+10% Bevande analcoliche +8% Bevande alcoliche +7% v/media nazionale

SUD 602,7 gr +15% V/media nazionale

Frutta Fresca -5% Verdura -4% v/media nazionale

MEDIA ITALIANA

529,3 gr

Negli ultimi 7 giorni


La Legge “antisprechi” Il valore dello spreco alimentare in Italia, dunque, vale circa 16 miliardi di euro all’anno, circa l’1% del PIL del Paese, e non avviene per la maggioranza nelle grandi catene dei supermercati: tra il 60% e 70% del totale dello spreco avviene in casa. Per limitare questa situazione, dal 14 settembre del 2016 è entrata in vigore la legge 166/2016, la cosiddetta norma “antisprechi”, che ha lo scopo di ridurre gli sprechi lungo tutta la filiera agro-alimentare, favorendo il recupero e la donazione dei prodotti in eccedenza. Con l’approvazione della legge di bilancio 2018 l’ambito di applicazione della legge è stato ampliato: oltre ad alimenti e farmaci, è stato reso possibile donare anche prodotti per l’igiene e la cura della persona e della casa, integratori alimentari, presidi medico chirurgici, prodotti di cartoleria e cancelleria. Tra i punti più importanti della legge vi sono: definizione chiara di tutti i termini che si utilizzano quando si parla di “spreco alimentare”: spreco, eccedenza, operatore del settore alimentare, soggetto cedente, donazione, distinzione tra termine minimo di conservazione e data di scadenza; semplificazione delle procedure per il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari; diffusione delle doggy bag nei ristoranti; riduzione della tassa sui rifiuti per chi dona cibo; introduzione nelle scuole di un insegnamento sull’educazione alimentare e sulla lotta agli sprechi; campagne di comunicazione sui temi dell’educazione alimentare e della riduzione degli sprechi per incentivare le donazioni delle eccedenze da parte delle aziende e sensibilizzare i consumatori; finanziamenti per chi sviluppa progetti di ricerca nel settore; impiego di alimenti recuperati per nutrire gli animali nel caso in cui questi non possano più essere utilizzati direttamente dall’uomo;


Secondo la Fondazione Banco Alimentare, Onlus che si occupa della raccolta e del recupero di generi alimentari ed eccedenze alimentari e della loro ridistribuzione a strutture caritative, nel primo anno in cui la norma è entrata in vigore (ottobre 2016-settembre 2017), le donazioni di eccedenze alimentari fatte alla Onlus da parte della grande distribuzione sono aumentate del 21,4%: 5.573.000 kg contro 4.635.000 kg del periodo ottobre 2015-settembre 2016. Nonostante i dati allarmanti riguardanti gli sprechi alimentari che aumentano, esiste un paradosso per il quale anche la povertà alimentare aumenta allo stesso tempo. Dai dati Eurostat 2015 gli italiani che non riuscivano a permettersi un pasto proteico come carne o pesce ogni due giorni nel 2013 erano il 12,6%. I dati peggiori arrivano dalle regioni meridionali: “nel Mezzogiorno ben il 10,6% delle famiglie residenti risulta in povertà alimentare, contro il 4,8% del Centro e il 5,1% del Nord”. Allargando la visuale, secondo un rapporto di Save the Children, i bambini che muoiono ogni anno a causa della mancanza di cibo sono circa 6,9 milioni, mentre sono 819 milioni le persone che soffrono a causa di gravi carenze nutrizionali. “Per eliminare la fame nel mondo, quindi, non serve produrre di più, basterebbe eliminare lo spreco alimentare e ridurre le inefficienze che riguardano produzione e distribuzione”. “Con il cibo sprecato potrebbero mangiare 2000 calorie al giorno 1,9 miliardi di persone con una dieta sana ed equilibrata”.

SOLUZIONI ANTISPRECO Per ridurre lo spreco alimentare bisognerebbe agire su più livelli, sia sui processi di produzione e lavorazione che nella distribuzione e consumo. OGNUNO/A DI NOI COME SEMPLICE CONSUMATORE PUO’: Essere consapevole del proprio stile di consumo, monitorando la quantità di cibo che si usa e quella che si butta: sprecare cibo vuol dire sprecare risorse e denaro. Comprare solo ciò che si è certi di consumare: programmare i menù della settimana, acquistare prodotti freschi una volta alla settimana solo se si è certi di consumarli prima che perdano le loro caratteristiche. Usare prodotti surgelati: possono essere tenuti di scorta, così come il pane.


nel frigorifero e in dispensa, mettere in vista i prodotti più vicini alla scadenza; riutilizzare quello che avanza dai pasti (ci sono interi ricettari che suggeriscono come); non servire porzioni più grandi dell’appetito dei tuoi commensali (lo apprezzeranno anche loro); conservare il cibo correttamente: porre attenzione all’igiene di contenitori, del frigorifero e del freezer cucinare con gli avanzi ancora buoni e unire gli ingredienti: sono disponibili tante ricette tradizionali e riscoprire i menu dei nostri nonni, renderanno possibile risparmiare soldi, tempo e a non buttare nulla nella spazzatura. Riscoprire le tecniche di conservazione Acquistare o regalare libri di cucina con ricette per conservare il cibo e alcuni prodotti di produzione propria come la birra, la salsa di pomodoro, le marmellate ecc. MA È POSSIBILE INTERVIRE A PIÙ LIVELLI: Scoprire e ideare nuove tecnologie nell’arte culinaria, come nel Food innovation global mission il progetto patrocinato dal ministero degli affari esteri in collaborazione con il Future Food Institute di Bologna: scoperta di nuove fonti di cibo come di sorta di esplorazione scientifica e creativa, ma anche di sopravvivenza o come Trasformare il cibo in coloranti e riciclare avanzi e scarti in pietanze appetitose, mischiando nuove fonti di cibo con vecchie tecniche di conservazione. I supermercati possono attivare esperienze simili a “WeFood” di Copenhagen: vendere solo cibo prossimo alla scadenza raccolto da volontari con prezzi scontati fino al 50% Creare e utilizzare apposite app di “Last Minute Market”: si favorisce il recupero di prodotti freschi non venduti che rischiano di finire nel cassonetto, utile sia ai piccoli negozianti, che possono vendere le eccedenze, sia ai clienti che acquistano in sconto merce fresca vicino a casa. Attuare iniziative a partire dall’idea dei frigoriferi solidali: consiste nel mettere a disposizione un frigorifero per contenere alimenti avanzati o a breve scadenza, a tutte quelle persone in situazione di indigenza. Se cucinare gli avanzi è una vera e propria arte e un modo per ridurre gli sprechi per la salvaguardia del pianeta, non buttare ciò che si avanza in cucina o nella spesa è un modo per fare solidarietà ed aiutare i più bisognosi.


Attuare iniziative di “Doggy bag” sull’esempio dei ristoranti antispreco e solidali: i ristoranti e le attività di ristorazione possono contribuire ad evitare lo spreco invitando e permettendo ai clienti di portare a casa dei pasti non consumati. Attivare iniziative sullo stile di Instock ad Amsterdam: Verdure ammaccate, prodotti in scadenza e in eccedenza entrano nelle cucine dei ristoranti, ma volendo anche di mense scolastiche e delle fabbriche. Realizzare campagne volte a sensibilizzare le persone, corsi di cucina e catering, puntando sull’aspetto didattico e organizzando corsi nelle scuole e nei posti di lavoro: da dove viene il cibo, cosa serve per produrlo, come si conserva e soprattutto come fare a non sprecarlo sono le linee base a cui ispirarsi quando si parla di prevenzione. Creare una rete attiva contro lo spreco di avanzi di cibo, coinvolgendo anche persone famose: Chef stellati come Carlo Cracco, Rubio, Giorgio Barchiesi, Alain Ducasse, Davide Oldani, René Redzepi e Ferran Adrià sono solo alcuni nomi che compaiono nelle diverse campagne alimentari, nelle interviste e programmi televisivi. Dedicare premi e visibilità nella comunicazione alle esperienze positive nella lotta allo spreco.

LA LOTTA ALLO SPRECO ALIMENTARE PASSA ANCHE PER ALTRE BUONE ABITUDINI! IN CUCINA oltre a riciclare gli avanzi diminuire l’energia e il gas utilizzato per cucinare gli alimenti. Il consumo dei fornelli dipende dal cibo che si vuole preparare e dagli strumenti utilizzati: 1) mai dimenticare di utilizzare il coperchio. 2) Eliminare il preriscaldamento del forno e non aprirlo durante la cottura dei cibi, magari cercando di sfruttare il calore della cottura per più alimenti, inoltre si può spegnere il forno o il fornello prima che il cibo sia cotto, dato che il calore residuo è perfetto per cuocere risparmiando sulla bolletta.

Riso Lat

te


3) le pentole e il bruciatore usato devono avere il giusto rapporto di dimensione: usare piccole pentole con grandi bruciatori e viceversa fa sprecare energia inutilmente. Esistono anche nuove tecnologie, come Wonderbag che può prolungare il calore mantenendo la cottura nella pentola per ore oppure pentole e piastre come PowerPot o onEPuck: la prima è una pentola che riscalda l’acqua e nello stesso tempo diventa un generatore termoelettrico leggero che converte il calore in energia elettrica a corrente continua, la seconda è una piastra che genera energia elettrica dalle differenze di temperatura. Il principio alla base è lo stesso: oltre a riscaldare il cibo viene prodotta energia elettrica che può caricare ad esempio uno smartphone. 4) Per quanto riguarda i contenitori e le pentole è meglio preferire materiali come acciaio inossidabile, vetro, ghisa e legno. Meglio non usare contenitori e imballaggi in plastica, alluminio, o realizzati con materiali siliconici e il Teflon. 5) ottimizzare gli impianti e utilizzare energie alternative. 6) Regolare la temperatura del frigorifero, che è l’elettrodomestico che consuma più energia di tutta la casa. Per risparmiare senza sprecare decine di euro all’anno, basta regolare il termostato su una temperatura giusta (2 su una scala 1-5) non eccessivamente fredda ed evitare di aprirlo in continuazione. 7) La temperatura della lavastoviglie non deve essere troppo elevata, più è alta e più il consumo energetico sale. Se i piatti non sono troppo sporchi e vengono prima risciacquati sotto al rubinetto, può bastare l’acqua fredda o tiepida. Riempire la lavastoviglie sempre bene dato che il ciclo di lavaggio è uguale con ogni tipo di carico.



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