BIANCA E BLU di Monica Bolzoni Storia e narrazioni di una moda designer Museo della CittĂ Rimini
11 ottobre - 8 dicenbre, 2013
Opening 11 ottobre, ore 18:00
BIANCA E BLU di MONICA BOLZONI Info: elena.gnassi2@unibo.it
STORIA E NARRAZIONI DI UNA MODA DESIGNER
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BIANCA E BLU di MONICA BOLZONI STORIA E NARRAZIONI DI UNA MODA DESIGNER Mostra a cura di Vittoria Caterina Caratozzolo
Monica Bolzoni in mostra L’esposizione dedicata a Monica Bolzoni – ospitata all’interno della rassegna Rimini. Risvolti dell’abito presso il Museo della Città di Rimini (11 ottobre – 8 dicembre 2013) – più che essere una vera e propria retrospettiva del suo lavoro di moda designer, si presenta come un percorso narrativo a più fuochi, animato dagli abiti, dagli accessori e dai materiali visuali contrassegnati dall’etichetta Bianca e Blu: nome del negozio/atelier/archivio e suo stesso logo. L’approccio curatoriale ha innanzitutto tenuto conto, congiuntamente alla parallela mostra presente nella stessa rassegna 80s-90s Facing Beauties. Italian Fashion and Japanese Fashion at a Glance, a cura di Simona Segre, delle finalità didattiche del progetto espositivo, realizzato con la partecipazione degli studenti dei corsi di laurea Triennale in Culture e Tecniche della Moda e della Magistrale in Moda dell’Università di Bologna, Campus di Rimini. La mostra mette a frutto, in un contesto teatralizzato, gli insegnamenti di Monica Bolzoni (già docente del laboratorio “Il design per il vestire”), offrendo sia agli studenti che hanno collaborato all’allestimento e alla selezione di oggetti appartenenti
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Rimini. Risvolti dell’abito
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all’archivio Bianca e Blu, sia a coloro che ne sono meri fruitori, la possibilità di approfondire il processo di ricerca, iniziato in ambito accademico durante il corso di formazione, e completato dall’incontro con la matericità e la biografia degli indumenti nella loro dimensione espositiva. L’occasione di questa mostra consente infatti di dar conto tanto della posizione ‘eccentrica’ rappresentata dalla vis progettuale di Monica Bolzoni, quanto del sentimento che la porta a intercettare, rimettere in memoria, e abitare secondo modalità alternative a quelle dominanti, le forme indumentali e culturali messe in circolazione dalla moda tra tradizione e innovazione. In particolare, l’allestimento asseconda la morfologia di uno spazio espositivo caratterizzato da una fitta sequenza di teche incassate nelle pareti lungo due gallerie a forma di ferro di cavallo e, trattandosi di teche non predisposte all’esibizione di abiti, è stato ideato specificamente in relazione a questa preesistenza. La loro morfologia e le loro dimensioni alludono suggestivamente al modello espositivo della vetrina, ma si sono rivelate per lo più inadatte ad accogliere l’abito disposto su manichino in tutta la sua volumetria, vanificando ogni rimando alla relazione abito/corpo, generalmente innescato dal processo di identificazione che si instaura tra la persona che guarda e il manichino vestito al di là del vetro. Si è pensato così di individuare una diversa modalità per modellare immaginosamente lo spazio espositivo e renderlo abitabile, mettendolo alla stessa stregua di un indumento che accoglie il nostro corpo in movimento. Le teche sono state dunque impiegate come veri e propri dispositivi narrativi, in grado di catalizzare emozionalmente l’osservatore, presentando gli abiti e le relative collezioni
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in set immaginativi allestiti, come in un collage, giustapponendo ad esempio alla poetica di Monica Bolzoni le narrazioni dei photoshoots di “Vogue Italia”, alle atmosfere teatralizzate del negozio/atelier Bianca e Blu le spazialità visuali e performative evocate dagli indumenti creati dalla designer per gli artisti (in particolare per Vanessa Beecroft e i Fanny&Alexander). Gli oggetti in mostra, così combinati secondo una nuova scrittura narrativa, proiettano i fruitori in medias res e, sollecitandone l’esperienza aptica, li conducono lungo l’eccentrica straordinarietà di un tracciato creativo, con le sue storie e i suoi incontri: quello di Monica Bolzoni, alias Bianca e Blu.
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Bianca e Blu Dall’inizio dell’attività di designer con l’apertura nel 1981 del negozio Bianca e Blu a Milano, in via De Amicis 53, Monica Bolzoni disegna i propri abiti secondo una modalità progettuale e un fare interlocutorio, relazionale, che già nella scelta del nome, Bianca e Blu, si approssima alle pratiche dell’objet trouvé. Bianca e Blu è infatti un nome trovato, perché così già si chiamava il negozio che stava per chiudere i battenti e che la designer tempestivamente rileva e fa proprio al suo rientro da New York1, dove aveva lavorato come fashion coordinator per Fiorucci. Benché retaggio di un’altra storia imprenditoriale, quel nome è adottato da Monica Bolzoni, attratta dall’effetto di freschezza prodotto dall’abbinamento dei due colori, ma anche intrigata dalla sua allusione a una duplicità identitaria. Su un altro versante, infatti, quel nome ben si sarebbe accordato con la natura anfibia della produzione di Monica Bolzoni, collocata tra il sistema della moda e la scelta di un’autonomia creativa e imprenditoriale fin da subito informata dall’urgenza critica di immaginare un presente diverso da quello allora rappresentato dalle tendenze mainstream. Siamo all’inizio di un decennio in cui la piena affermazione del prêt-
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à-porter, quale principale modello di produzione e consumo, sostiene l’ascesa e il definitivo riconoscimento dello stilismo italiano. Milano assurge a città protagonista nel panorama internazionale della moda accanto a Parigi, Londra e New York. L’emergenza del prêt-à-porter segna il declino della cultura dell’atelier e dell’eleganza elitaria, mentre l’attitudine alla modernità, propria della moda, viene a ricodificarsi in quel clima culturale sulla nozione di ‘stile di vita’. La figura dello stilista ne diventa dunque il demiurgo e interprete per eccellenza, consolidando, proprio nel corso di quel decennio, il sodalizio tra moda e industria, nel segno della crescente democratizzazione della moda. Il cerchio produzione/consumo si stringe intorno all’invenzione del “personaggio” che si impone come nucleo ispiratore tanto nello stile quanto nel marketing, istituendo con i consumatori un rapporto di proiezione che va ben oltre l’identità materiale dell’indumento. Monica Bolzoni avverte che il proprio contributo a un’emergente “cultura della moda” doveva passare attraverso l’individuazione di modalità progettuali che le permettessero una diversa elaborazione della relazione tra abito e persona. Quando nella primavera del 1981 presenta alle prime clienti di Bianca e Blu i «vestitelli», dal sapore fresco e dalla linea svelta, lo stile da lei proposto si distanzia nettamente dai modelli mainstream rivolti per lo più alla rappresentazione del superbody. Siamo all’inizio di un decennio in cui la moda predilige la cultura dell’“eccesso”, come ha eloquentemente raccontato la mostra Excess. Moda e Underground negli anni’80 (a cura di Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, Stazione Leopolda, Firenze 2004). E sono proprio le imbottiture che ingigantiscono le spalle della silhouette femminile a rappre-
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sentare icasticamente l’aggressività delle linee architettoniche disegnate sui corpi all’insegna del Dress for Success. Tuttavia, i modelli in controtendenza di Monica Bolzoni riscuotono un immediato gradimento, e perfino il riconoscimento dell’autorevole “Vogue Italia” non tarda ad arrivare. Nel numero di dicembre del 1982, un abito con etichetta Bianca e Blu compare sulle pagine del servizio fotografico di Helmut Newton: La Povera e la Ricca, due star, per la rubrica “Storie di moda straordinarie”2. Il servizio fotografico, accompagnato da un articolo di Natalia Aspesi, propedeutico alla ricezione del racconto visuale, dava rappresentazione a due diversi stili di vita e il design dell’abito grembiule in jersey nero di Bianca e Blu, assimilato il paradigma vestimentario di Chanel, ben rispondeva alle esigenze di semplicità che caratterizzavano il personaggio della “Povera”. In molte altre innumerevoli circostanze narrative, da allora ai nostri giorni, gli abiti e gli accessori indumentali di Monica Bolzoni si sono rivelati in efficace sintonia con le strategie comunicative di “Vogue Italia”. L’affermarsi dell’istanza narrativa sospinge gli operatori del settore a ricercare abiti sfuggiti alle modellizzazioni che progressivamente, di attualità in attualità, governano il mercato delle identità. La moda, infatti, per essere raccontata, ha necessità di ricorrere a un vero e proprio casting di modelli e accessori, il cui repertorio supera di gran lunga le collezioni rappresentative delle principali tendenze del momento3. L’abito indossato dalla “Povera” è solo un esempio di una lunga serie di indumenti che, emergendo da aree dove la pratica creativa si sottrae alle strategie delle relazioni di potere e rivendica per sé un esercizio di libertà, hanno dato forma all’incessante romanzo della moda sulle riviste più in voga degli ultimi decenni.
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Fedra, Grace, Sherazade, Albertine, Brigitte, Justine, Cenerentola sono solo alcuni dei suggestivi nomi che Monica Bolzoni ha scelto per le proprie creature di tessuto: «Sono archetipi di donne che abbiamo dentro, appartengono a un patrimonio femminile collettivo, e conducono per mano in una esperienza ludica e visionaria»4. Sono silhouette con una loro precisa identità culturale e sartoriale, ma non scompariranno alla fine di una stagione per riapparire nel backstage della nuova collezione di turno all’insegna di «un sentimento violento del tempo»5. Vengono, infatti, ideate e realizzate dalla designer come “pezzi di affezione”, abiti evergreen, adattabili a ogni stagione e circostanza perché declinabili in tessuti eterogenei e in più colori e, ancora, modulabili e abbinabili ad libitum in diverse combinazioni indumentali. Sono le invenzioni di una «moda designer» che coniuga memoria e cultura del progetto.
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Moda Designer Dal 1975 al 1980, prima in Italia e poi a New York, Monica Bolzoni dà il suo contributo come fashion coordinator al funky business di Fiorucci6 con l’incarico di selezionare i prodotti per la vendita e per l’immagine dei negozi statunitensi: quello di New York sulla cinquantanovesima e Lexington, quello di Boston aperto nel 1978 in un vecchio mercato (tipo Les Halles), e infine quello di Los Angeles, uno spazio nato per lo spettacolo teatrale all’inizio del Novecento e in seguito trasformato in cinema. Due sono gli aspetti che in particolare emergono da quell’esperienza e che a questa distanza temporale si rivelano interessanti per il suo profilo di moda designer: la capacità di gestire immaginativamente un eclettico repertorio di prodotti e l’acquisita consapevolezza che produzione e consumo sono facce di una stessa medaglia. Quando inizia a disegnare le proprie collezioni, Monica Bolzoni avverte la necessità di offrire possibilità vestimentarie non contemplate dalle tendenze contemporanee e intraprende un viaggio tra forme, stili e tecnologie del repertorio storico della moda, sospinta da un proprio tracciato interiore di memorie7 ed emozioni. A guidarla, nel suo fare istintivo, non era un senso di sfida tra presente e passato, piuttosto l’intuizione che la
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moda, per via della crescente proliferazione stilistica, si sarebbe presto frammentata in una miriade di «look in competizione»8 , e l’incipiente cultura del vintage avrebbe inevitabilmente condizionato ogni sorta di produzione che si proclamasse nuova. L’attitudine di Monica Bolzoni a riproporre il tailleur di Chanel, la rosa di Poiret o la scarpa di Vivier implica un orizzonte di senso che va ben oltre l’individuazione e l’elezione di forme ispiratrici del proprio lavoro. La designer inizia infatti a progettare le proprie collezioni nel decennio in cui – come ha teorizzato Nicolas Bourriaud9 – gli artisti cominciano a usare nel loro lavoro opere o prodotti già presenti sul mercato culturale. E non è un caso che, approssimandosi all’esperienza degli artisti dell’epoca della post-produzione, anche Monica Bolzoni non ami il termine creazione, preferendo piuttosto pensare al proprio lavoro come a una elaborazione di «forme già esistenti». Da questa prospettiva, gli abiti e gli accessori di Bianca e Blu non vanno letti come citazioni di stili del passato, né interpretati con la lente «dell’ideologia modernista del nuovo»10; vanno piuttosto apprezzati come forme archetipiche che la designer seleziona, abita e fa proprie attraverso un procedimento di tipo progettuale, in controtendenza rispetto al modo in cui la prassi stilistica le ha riproposte di stagione in stagione nel corso del tempo: Il disegno dell’abito prevede l’applicazione delle forme geometriche basiche (triangolo, rettangolo, quadrato, cerchio). Parto sempre dal rapporto tra corpo e geometria. Le forme geometriche sono l’alfabeto di un linguaggio in continua evoluzione. Costruire l’abito attraverso la geometria del corpo significa fare incontrare le sue forme geometriche con il rettangolo per eccellenza: il corpo umano. Chiunque affronti il progetto di un abito non dovrebbe tanto preoccuparsi della personalizzazione del figurino, quanto piuttosto concentrarsi sulla forma
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di identità dell’abito come capo proporzionato rispetto al corpo che chiede di essere vestito.11
È solo mettendo a confronto le forme storiche della moda con il principio di realtà dei corpi, nella loro unicità, all’interno della costruzione architettonica dell’abito, che il senso profondo del design di Monica Bolzoni si palesa pienamente. Al cuore del suo sistema, agisce la ridefinizione della relazione tra abito e corpo, ripensata nella cornice di una fruizione consapevole, come da lei stessa sperimentata in corpore vili. Esperienza che la designer desidera fortemente restituire alle donne (le clienti del suo atelier diventano la modelle predilette), attraverso una peculiare proposta di democratizzazione della moda incentrata sullo studio della vestibilità: Design per il vestire significa affrontare il problema della vestibilità: dallo studio delle forme emerge che non si tratta di pensare all’abito sul corpo, ma al corpo nell’abito. Penso che Bellezza sia: S, M, L, XL: il corpo in scala.12
In un sistema armonioso di relazioni tra ricerca estetica e funzionalità, tra forme geometriche e proporzioni del corpo, gli abiti di Bianca e Blu vengono declinati in diversi colori, tessuti, materiali, e modulati in una gamma di combinazioni reversibili e riutilizzabili, come nei costumi disegnati per l’arte, che ne rappresentano una felice esemplificazione.
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Abiti dedicati all’arte Gli abiti realizzati da Monica Bolzoni in collaborazione con artisti visivi e performer, benché nati come progetti per l’arte e il teatro d’avanguardia, rappresentano le componenti essenziali del suo metodo progettuale: «l’idea, il colore, la modularità, l’essenzialità delle forme, il montaggio e la sovrapposizione di vari pezzi»13 ; come la serie dei capi ideati tra il 1995 e il 1996 per le performance di Vanessa Beecroft, che riflettono efficacemente il suo concetto di «modularità». La performance VB16 (Deitch Projects, New York, 1996), ad esempio, richiedeva di mettere in scena una serie di ragazze (non modelle professioniste) vestite in modo invisibile ed essenziale. E l’idea fu quella di far indossare loro una lingerie ottenuta dal taglio e dalla scomposizione di un collant: un materiale industriale già esistente e a basso costo, adeguato al raggiungimento dell’effetto desiderato. Per me coprire appena quei corpi con quel velo, con quella che per me era la lingerie del coro e della moltitudine, era la cosa più fine, più leggera che potevo pensare: era una superficie semitrasparente e liscia come la pelle, che proteggeva ed esaltava i corpi di quelle ragazze diverse per origine, cultura, pudore, colore e capelli.14
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Dal collant venivano ricavati moduli elementari ai quali, all’interno di una più ampia e articolata dimensione progettuale, potevano essere aggiunti altri elementi da comporre, sovrapporre e collezionare, come in un gioco. Questa modalità procedurale, intesa come work in progress, e quindi capace di proliferare e moltiplicarsi nel tempo, ha permesso di inserire nelle altre performance della Beecroft ulteriori moduli, fino a comporre un guardaroba completo. Come pure – a prova di una reversibilità tra la costumista e la designer – ha consentito di sperimentare sul cappottino in panno lenci beige (usato nella performance VB15 del 1995, la prima della loro collaborazione presso la Fondation Cartier pour l’Art Contemporain di Parigi), la tecnica del ‘taglio vivo’ che diventerà un must nelle collezioni in jersey di Bianca e Blu. E, tuttavia, l’attitudine a pensare il design in divenire implica per Monica Bolzoni uno stadio di riazzeramento, quello che lei stessa definisce «ritorno al neutro». In questo senso la neutralità del collant non comportava soltanto la possibilità di poter utilizzare l’indumento più volte su corpi diversi, ma significava azzerare ogni segno a partire dal colore in modo che, nelle successive performance, si potesse rimettere in gioco l’intera gamma cromatica, anche in relazione all’inserimento di altre forme indumentali. La stessa nozione di neutro è stata oggetto di riflessione anche nella collaborazione tra Monica Bolzoni e i Fanny&Alexander, per i quali ha progettato e realizzato tra il 2007 e il 2008 costumi e accessori teatrali utilizzati negli spettacoli Amore, K.313 e There’s No Place Like Home. Chiara Lagani, attrice, drammaturga e co-direttrice artistica dei Fanny&Alexander, ha sottolineato in un’intervista a Monica Bolzoni come il neutro permettesse un lavoro progressivo sulla caratterizzazione degli indumenti.15 L’abbinamento di tessuto, colore e materiale, infatti, contribuiva a conferire un diverso significato a indumenti che restavano stabili nella forma. Il passamontagna, ad esempio, che in K.313 caratterizza la figura
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del terrorista, è elemento ricorrente nel guardaroba di Bianca e Blu fin dal 1981, e similmente alla fascia o al cappuccio/cagoule, è inscritto nell’area semantica dello sportswear, ma può al contempo agire in diversi contesti come strumento di trasformazione dell’apparenza. Non si vuol qui, tuttavia, fare riferimento a un semplice cambiamento nella destinazione d’uso dell’indumento, ma sottolineare come Monica Bolzoni abbia contemplato nel suo metodo progettuale la costruzione di modelli base predisposti alla trasformazione attraverso l’aggiunta, la sottrazione di elementi e moduli, come pure la metamorfosi di una loro componente. A questo riguardo, una sezione della mostra è stata dedicata a una serie di abiti ispirati all’icona di Mao e progettati secondo le modalità appena descritte, in occasione della mostra Mai dire Mao - Servire il Pop (a cura di Gherardo Frassa, Parma 2007). È nondimeno sorprendente come l’abito, per quanto allusivo ai molteplici significati della propria biografia, possa comunque essere pensato in circostanze di “neutralità”, ovvero come elemento sospensivo di una distinzione. Anche se è proprio in virtù di questo scarto che esso continua a generare senso e a farsi dispositivo di contaminazione tra arte, moda e design. Nel corso del tempo, poi, proprio il negozio/atelier di Monica Bolzoni è diventato luogo di trasformazioni ludiche e sperimentazioni nel quale le stesse clienti erano straordinarie performer. Oggi, che il civico 53 di via De Amicis non ospita più Bianca e Blu, è possibile ritrovare uno spaccato della sua qualità di ribalta in questa esposizione allestita nella galleria del museo, dove un suggestivo montaggio di specchi, che in origine rivestivano alcune pareti, ricrea uno spazio specularmente dilatato, abitato dai personaggi che ognuno di noi porta in sé, sotto lo sguardo perplesso e divertito di un Ken (Andy Warhol?) a grandezza d’uomo.
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Biografia Monica Bolzoni nel 1970, giovanissima, inizia il suo viaggio di formazione nel prêt-à-porter parigino come responsabile del prodotto e dell’immagine di Franck Olivier.
Attraverso la progettazione di capi, realizzati da una modelleria interna, Monica Bolzoni persegue un attento studio del rapporto abito/corpo. 1984 – Inaugura il nuovo spazio (BB2), atelier di ricerca, sperimentazione e elaborazione di nuovi tessuti per la creazione di capi di abbigliamento unici e accessori. Con l’apertura del secondo negozio, il primo (BB1) si specializza in maglieria e su un tipo di jersey declinato a tutto campo (biancheria, abiti, accessori, ecc.) e personalizzato nei colori e nelle stampe. Il jersey prodotto industrialmente con concetto modulare diventa un basic a target popolare, ma dall’immagine sofisticata.
1975-80 – E’ fashion coordinator per Fiorucci, prima in Italia, quindi a New York e a Los Angeles, dove sperimenta le contaminazioni tra arte e moda entrando in contatto con i protagonisti della Factory e con Andy Warhol stesso. 1981 – Rientrata a Milano, apre Bianca e Blu in Via De Amicis 53. Il negozio acquisisce un’immediata visibilità presso un pubblico internazionale, grazie anche al riconoscimento ottenuto da importanti riviste di moda e d’attualità (“Vogue”, “Panorama”, “L’Espresso”, ecc.).
1985 – Monica Bolzoni apre “La Sartoria”, casa/atelier
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all’interno di un affascinante palazzo milanese di cui restaura e recupera le atmosfere spaziotemporali di primo Novecento. Qui si dedica alla sperimentazione di materiali innovativi, come tessuti metallici e resinati, nylon e jersey, e alla progettazione di stampe, pitture e colori.
in scena di numerose performance: VB 15 (Fondation Cartier, Paris 1995); VB 16 ( Deitch Projects, N.Y. 1996); VB 17 (“The Factory”, Athens School of Fine Arts, Atene 1996); VB 18 (Capc Musée d’Art Contemporain, Bordeaux 1996); VB 19 (The Renaissance Society at the University of Chicago, Chicago 1996); VB 20 (Institute of Contemporary Art, University of Pennsylvania, Philadelphia 1996); VB 21 (Galleria de Carlo, Milano 1996).
1989 – Si reca a Tokio su invito della partner Mitsubishi per aprire un nuovo spazio Bianca e Blu nel quartiere di Aoyama. L’ esperienza giapponese si conclude nel 1991.
2001 – Collabora con la rivista “Case Da Abitare” per la quale cura le seguenti rubriche: Casa Di Bambola, Casa Bianca Casa Blu, La Casa Bianca e La Casa Blu. Gli articoli propongono suggestioni per vestire lo spazio tra arte, moda e design. Progetta e realizza il design della
1995 – Monica Bolzoni crea una nuova immagine per il progetto d’arte di Vanessa Beecroft. Con guardaroba personalizzati – abiti, costumi e lingerie, pensati come entità modulari in materiali inediti e decontestualizzati – contribuisce alla messa
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shopping-bag utilizzata nella campagna per il rilancio della rivista.
performance si ripeterà al PAC di Milano in occasione della rassegna Aperto per lavori in corso nell’ottobre del 2005.
2002 – L’“International Herald Tribune” dedica un articolo a Monica Bolzoni e le riconosce il titolo di “designer indipendente”.
2005-2011 – Monica Bolzoni è incaricata di dirigere il Laboratorio di introduzione al design del vestito, presso il Corso di Laurea in Design della Moda, Facoltà di Design e Arti, IUAV di Venezia. Inaugura un metodo didattico che prevede il coinvolgimento degli studenti in esperienze progettuali del tutto simili a quelle delle reali attività produttive in campo professionale.
2002-4 – L’esperienza moda design–arte continua con l’artista Letizia Cariello. In particolare, gli indumenti realizzati per My sister is always with me, nell’ambito della mostra Moltitudini-Solitudini (Museion, Museo d’Arte Contemporanea di Bolzano, 2003), portano l’etichetta Bolzoni-Cariello.
2007 – Inizia il progetto di abiti per il teatro d’avanguardia dei Fanny & Alexander con la creazione dei costumi per Amore (2 atti) al Ravenna Festival. Crea i costumi per K.313 dei Fanny & Alexander, spettacolo tratto da “Breve canzoniere” di Tommaso Landolfi.
2004 – Monica Bolzoni incontra l’artista Cesare Viel. In occasione della rassegna La Donna Difficile (Rimini 2-18 ottobre 2004), realizza i costumi per la performance To The Lighthouse. Cesare Viel as Virginia Woolf. La
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2009 – Realizza gli abiti di scena per There’s No Place like Home dei Fanny & Alexander ispirato a Dorothy, il personaggio de Il meraviglioso mago di Oz.
della produzione indumentale di Bianca e Blu di Monica Bolzoni. La stessa Soprintendenza provvede inoltre alla informatizzazione e alla schedatura di gran parte dei materiali vestimentari e cartacei appartenenti all’Archivio Bianca e Blu.
2009-2011 – Monica Bolzoni è impegnata nel nuovo progetto Bianca e Blu-BBland, un atelier polifunzionale per nuove idee e nuovi eventi dove continua la sperimentazione e la sartoria per la personalizzazione di capi unici.
Pubblicazioni Caterina Marrone, La poetica del semplice, Il Vicolo, Cesena 2008. Fanny & Alexander, Amore (2 atti) 2007, Ravenna Festival. Monica Bolzoni, Fanny & Alexander, 6 settembre 2007, Il Vicolo, Cesena 2009. Monica Bolzoni, Fanny & Alexander, There’s No Place Like Home, Il Vicolo, Cesena 2009.
2011-12 – Monica Bolzoni è incaricata di dirigere il Laboratorio di introduzione al design del vestito, presso il Corso di Laurea Triennale in Culture e Tecniche della Moda dell’Università di Bologna, Campus di Rimini. 2012-13 – La Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e Grosseto acquisisce una selezione rappresentativa
www.biancaeblu.com
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Note 1. Simona Segre Reinach, “Milan, the city of prêt-à-porter”, in Fashion’s World Cities, C. Breward, D. Gilbert (eds.), Berg, Oxford, 2006. 2. Natalia Aspesi, La povera e la Ricca, due star, “Vogue Italia”, Dic. 1982, pg. 157. 3. Cfr. Paola Colaiacomo, “Moda e Letteratura. Scrivere ( e leggere) attraverso i vestiti”, in Letteratura europea, in corso di pubblicazione, FMR, Milano 2014. 4. Annalisa Trentin, Bianca e Blu Monica Bolzoni, “d’Architettura nel Tempo”, n.33, 2007, pp.154-158. 5. Roland Barthes, “Il match Chanel-Courrèges”, in Il senso della moda, a cura di Gianfranco Marrone, Einaudi, Torino 2006, pg. 85. 6. Luisa Valeriani, “Colazione da Fiorucci”, in Fatto in Italia, a cura di Paola Colaiacomo, Meltemi, Roma 2006, pg. 37. 7. Cfr. Caterina Marrone, Monica Bolzoni Moda Designer, Il Vicolo-Divisione libri- Cesena 2008. 8. Valerie Steele, “Fashion: Yesterday, Today and Tomorrow”, in The Fashion Business: Theory, Practice, Image, Nicola White, Ian Griffiths (eds.), Berg, Oxford 2000, pg. 7. 9. Nicolas Bourriaud, Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo, Postmedia, Milano 2004. 10. Ibidem, pg. 13. 11. Monica Bolzoni, “Dare forma alla moda: esperienza, teorie, progetti.” Relazione al convegno “Questioni di etichetta”, claDEM, IUAV, sede di Treviso 31 maggio-1 giugno 2006. 12. Ibidem 13. Ibidem 14. Fanny&Alexander, There’s No Place Like Home, Il Vicolo - Divisione Libri- Cesena 2009, pg. 30. 15. Chiara Lagani, K.313: va in scena il terrore. Intervista a Monica Bolzoni, “Graphie”, Rivista trimestrale di Arte e Letteratura, anno IX, n.3, dic. 2007, pg. 45.
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Indice immagini in copertina - Robe manteau in faille, provini a contatto di Albert Watson per la promozione di Bianca e Blu in Giappone, 1989 pg. 2 - Ritratti di Monica Bolzoni, provini a contatto di Maria Mulas per Bianca e Blu, 1982 pg. 4 - Cappotto in Harris Tweed, 1982 pg. 5 - Collezione in jersey per BB1, primi anni ’80 pg. 6 - Abiti e tailleur, primi anni ’80 pg. 8 - Orecchini pendenti con smeraldi e strass, fotografia: Helmut Newton, “Vogue Italia”, Dicembre 1982 pg. 10 - Colletti e Collari, primi anni ’80, ’90 e 2000, fotografie: Marcello Formichi pg. 11 - Colletto in pvc a quadretti di specchio, “Vogue Sposa”, Settembre 2007 pg. 12 - Abito in organzino di jersey, fotografia: Patrick Demarchelier, “Vogue Italia”, numero speciale dedicato alla Moda Italiana in Giappone, Novembre 1990 pg. 14 - Lingerie collant, cappottino in panno lenci, realizzati per le performance dell’artista Vanessa Beecroft: VB 15 (Fondation Cartier pour l’Art Contemporain, Paris 1995) e VB 16 (Deitch Projects, New York 1996) pg. 15 - Costumi per lo spettacolo teatrale dei Fanny&Alexander, There’s No Place Like Home, fotografia: Enrico Fedrigoli, 2009 pg. 16 - Costume per lo spettacolo teatrale dei Fanny&Alexander, Amore (2 atti), fotografia: Enrico Fedrigoli, 2007 pg. 18 - Accessori – cappelli, guanti e scarpe– realizzati in diversi tessuti e materiali per le collezioni di Bianca e Blu negli anni ’80,’90 e 2000, fotografie: Marcello Formichi pg. 19 - Cuffie in jersey tecno: fotografia: Greg Lotus, “Vogue Italia”, Maggio 2007; fotografia: Michelangelo Di Battista, “Vogue Italia”, Novembre 2005; Turbante in velluto nero e guanti, fotografia: Helmut Newton, “Vogue Italia”, Dicembre 1983; fazzoletto di damasco in cotone, fotografia: Michelangelo Di Battista, “Vogue Italia”, Novembre 2006 pg. 20 (dall’alto al basso) - Ritratto di Monica Bolzoni, Fotografia: Pietro Pisoni; Il negozio BB1 - 1982 Milano Via De Amicis 53; Il negozio BB2 - 1984 Milano Via De Amicis 53; Il negozio BB2, Inaugurazione, 1984 pg. 21 (dall’alto al basso) - “La Sartoria” -1985 Milano Via C. Correnti 14; “La Sartoria” -1985 Milano Via C. Correnti 14; Il negozio Bianca e Blu, Ayoama Tokyo, Japan - 1989;
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Vanessa Beecroft nel negozio Bianca e Blu - 1995 pg. 22 (dall’alto al basso) - Il negozio BB2 - 2004; Laboratorio: IUAV 2007-08 “Il gioco del teatro”, lavoro in classe; Laboratorio: IUAV 2007-08 “Il gioco del teatro”, i progetti degli studenti; Costumi per lo spettacolo teatrale dei Fanny&Alexander, K.313, da “Breve canzoniere” di Tommaso Landolfi, 2008 pg. 23 (dall’alto al basso) - Costume per lo spettacolo teatrale dei Fanny&Alexander, There’s No Place Like Home, 2009 - Backstage della performance presso il Museo Archeologico di Sarsina; Le scarpette rosse di Dorothy per lo spettacolo dei Fanny&Alexander, There’s No Place Like Home 2009; Il negozio BB- 2008; BBland-2009, il nuovo atelier Milano, Alzaia Naviglio Grande 192 pg. 24 - Abito e accessori lo spettacolo teatrale dei Fanny&Alexander, K.313, da “Breve canzoniere” di Tommaso Landolfi, 2008 pg. 29 - Abito ‘Brigitte’, fotografia: Albert Watson, “Vogue Italia”, numero speciale dedicato alla Moda Italiana in Giappone, Novembre 1990 retro copertina - Abito ‘Brigitte’, provini a contatto di Albert Watson per la promozione di Bianca e Blu in Giappone, 1989
Mostra a cura di Vittoria Caterina Caratozzolo Progetto e coordinamento dell’allestimento Monica Bolzoni Vittoria Caterina Caratozzolo Progetto e coordinamento grafico E. Gioia Russo Leandro Palanghi Con il contributo degli Studenti dei corsi di laurea Triennale in Culture e Tecniche della Moda e della Magistrale in Moda dell’Università di Bologna, campus di Rimini Si ringrazia: Per i capi in mostra Monica Bolzoni La Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e Grosseto. Fanny&Alexander Marisa Zattini Luisa Cevese Annalisa Trentin
Per la schedatura degli abiti in mostra Monica Bolzoni Alessia Zucca Per la collaborazione all’allestimento Paolo Tumiati Un ringraziamento speciale per la disponibilità e il sostegno va a: Per la Soprintendenza BSAE di Siena e Grosseto: Mario Scalini, Anna Maria Guiducci, Marcello Formichi, Maria Mangiavacchi, Elena Pinzauti, Silvia Vellini Cristina e Gian Paolo Brini Rossella Caruso Graziella Bertolini Anna Di Cesare Gherardo Frassa Marisa Pennettier Renza Tenan Laura Salvini
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