Quattro etti d'amore, grazie chiara gamberale

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1 CONFEZIONE DI HAMBURGER SURGELATI AL TOFU 1 BUSTA D’INSALATA MISTA PRELAVATA 1 CONFEZIONE DI YOGURT VITASNELLA (PRUGNE E CRUSCA) «No, Viola, aspetta: gli auguri alla nonna.» La afferro per lo zaino, Michele è già sul pianerottolo, pronto per accompagnarli a scuola, Gu stamattina si è fissato con un mio guanto di lana e non c’è stato verso di farmelo restituire. Eccolo lì, che ci si soffia il nasino e si spinge sulle punte per arrivare al pulsante dell’ascensore. «Ma mamma, siamo in ritardissimo!» Non è vero, sono tutti in perfetto orario. «Viola, forza: ora chiamo la nonna, tu le dici tanti auguri ed è finita lì.» Sbuffa, ribalta la testa all’indietro, gli occhi al cielo: «Che palle!». «Non si dice, guarda che ti lavo la bocca col sapone!» urla Michele, dal pianerottolo, ma gli viene da ridere e Viola figuriamoci se non lo avverte. Infatti: «Che palle!» ripete. «Che palle, palline pallette e palloni.» Mi saltella attorno, certo che è proprio una bambina un po’ speciale, penso: con i capelli così lisci, biondi, gli occhi all’insù, da gattina vanitosa. Lei un domani potrebbe essere una di quelle, ecco, una con la stranezza dalla sua. Potrebbe. Ma purtroppo in classe si chiude in una specie di mutismo, dicono così le maestre, “un mutismo educato, per carità, ma pur sempre un mutismo”, e questo per noi è incomprensibile: a casa Viola non sta mai ferma, mai zitta e purtroppo è tutt’altro che educata. «Erica, stai tranquilla: chiamiamo la nonna col cellulare dalla macchina, così le faccio gli auguri anch’io» mette fine alla discussione Michele. «Il numero sul cellulare lo faccio io, io, io, io!» Chiamare la nonna improvvisamente si trasforma in un’avventura. Sempre saltellando Viola raggiunge il papà sul pianerottolo. «Ciao mammina.» Mi manda un bacio facendo schioccare le labbra. «Ti sei lavata i denti? Ti ho comprato il dentifricio alla banana, hai vist...?» Niente, si è già chiusa la porta alle spalle. Respiro per un istante il silenzio che la casa fa, di colpo. Ma dura poco. Quasi subito squilla il telefono. «Pronto?» «Del quarantaseiesimo compleanno di tua madre te ne freghi, eh?» «Buon cinquantaquattresimo compleanno, mamma.» «Smemorata e anche cafona, bene.» È Michele che mi ha insegnato una volta per tutte come trattare mia madre: lei ha bisogno di provocare, sempre. Un po’ come Viola che quando aveva un anno e ha cominciato a dormire da sola ci chiamava in continuazione non perché avesse bisogno di qualcosa, ma per verificare la nostra pazienza, il nostro amore incondizionato. Ci si contorceva lo stomaco per il dispiacere, ma di notte abbiamo preso a non risponderle e ci siamo sforzati per essere ancora più presenti durante il giorno, per farle capire che non era necessario tutto quel pandemonio: Dio mio, noi non l’avremmo mai abbandonata! Doveva rendersene conto. Mia madre però non è una bambina da raddrizzare, è una signora da sopportare. E allora l’importante è non considerare mai i suoi attacchi come personali.


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