Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 13

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CINEMA

CINEMA

ph. Lia Pasqualino

Giovanni Massa, storie da “B movies”

“Matar es mi destino”, un documentario sul tema della di MANUELA PAGANO memoria personale e al tempo stesso collettiva

Roberto Andò, l’arte del narrare

Il ritratto del regista palermitano tra libri, video, di SALVATORE SALVIANO MICELI palcoscenici, set e macchine da presa Cinema, teatro e letteratura sono volti speculari di una identica arte: quella del narrare. Roberto Andò l’ha imparata da grandi Maestri, siano essi di cinema, teatro o letteratura. Scorrendo la sua biografia si affacciano, in ordine sparso e senza alcuna gerarchia, i nomi di Leonardo Sciascia, Lucio Piccolo, Francesco Rosi, Giacomo Battiato, Federico Fellini, Francis Ford Coppola. Individuare tracce di questi grandi artisti nella produzione di Andò significherebbe analizzare le sue opere seguendo una prospettiva sbagliata, almeno nel nostro caso. Roberto Andò dirige su di un palcoscenico come dietro la macchina da presa o tra le pagine di un libro (“Diario senza date” è sino ad oggi l’unico edito), cercando cioè di lasciare libera la parola, ed i suoi mille significati, sia essa accompagnata da immagini o meno. In ogni suo lavoro emerge forte il legame con la sua terra, la Sicilia, e ancora più con la sua città, Palermo. Ne emergono la natura e le contraddizioni, quell’essenza tormentata che ha fatto della morte il suo tema e la sua ossessione, ma anche la voglia ed il tentativo di raccontare una Palermo differente, pervasa dalla miriade di sfaccettature che la animano. Qualcosa di speciale in Andò doveva avere intravisto Italo Calvino se, nel 1986, gli affida un suo racconto inedito, “La foresta-radicelabirinto” permettendogli così di esordire alla regia in uno spettacolo che si avvaleva anche delle scene firma-

te da Renato Guttuso e della musica di Francesco Pennisi. E poi, “Le esequie della luna”, da lui scritto e diretto partendo da un testo di Lucio Piccolo o la stretta collaborazione con Moni Ovadia, già interprete dell’opera multimediale “Frammenti sull’Apocalisse” di cui Andò firma la regia con Daniele Abbado e Nicola Sani, sfociata in “Diario ironico dell’esilio” e “Il piccolo Kafka”. Passando dal teatro al video troviamo “Robert Wilson/Memory Loss”, sul lavoro dello straordinario artista texano, e “Ritratto di Harold Pinter”, intima e potente ricostruzione della vita di uno dei più grandi drammaturghi e registi del ‘900, scomparso lo scorso anno. Arriviamo al cinema con “Il manoscritto del principe” (2000), ritratto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (prodotto da Giuseppe Tornatore), “Sotto falso nome” (2004) con Daniel Auteuil e Greta Scacchi, e “Viaggio Segreto” (2006), tratto dal romanzo “Ricostruzioni” di Josephine Hart. Le opere citate restano sparuti frammenti di una produzione vastissima, mutevole come i soggetti a cui Roberto Andò si è dedicato in tutta la sua carriera artistica, in grado di assecondare linguaggi differenti cercando di stimolare sempre in chi osserva (ed in questo caso il teatro può essere forse definito la sua vera casa) una percezione viva e costantemente in movimento, in continua dialettica con il palcoscenico e l’universo che vi viene rappresentato. balarm magazine 42

Cosa spinge un regista a recuperare dall’oblio l’introvabile film di un autore considerato minore, che risale a più di trent’anni fa, e a farne un documentario a metà tra l’inchiesta psicologica e l’indagine storica? Un simile interrogativo apre una finestra sul mondo. Del cinema, ma non solo. “Matar es mi destino” - che riprende l’omonimo titolo del film originale di Pino Mercanti del 1970 - è un articolato progetto fortemente voluto dal regista e produttore palermitano Giovanni Massa, prodotto da Nanook Ferribotte Film con il contributo della Regione Siciliana. Il sottotitolo del documentario “storie di film e di uomini” svela la volontà alla base di questa incursione nel cinema anni ‘60 e di conseguenza nell’atmosfera di quegli anni in fermento: si tratta di una generale riflessione sul tema della memoria personale e al tempo stesso collettiva. Nell’opera del regista, che vanta nella sua lunga carriera numerosi film e altrettanti documentari, si alternano immagini di repertorio e riprese originali, testimonianze di chi ha conosciuto personalmente Mercanti, tra cui la storica Nila Noto, Turi Vasile e Francesco Alliata di Villafranca e ancora vecchi super8 e riprese in digitale, che fanno continuamente oscillare lo spettatore sulla linea del tempo, catapultandolo nel passato e riportandolo di volta in volta al presente. Singolare è il rapporto che lega Giovanni Massa al quasi dimenticato Pino Mercanti, anche lui palermitano. «Il mio interesse verso il poco conosciuto Mercanti, autore di ventidue film che tra gli anni ’40 e ’60 ebbero un discreto seguito - spiega il regista - nasce dal fatto che, da ragazzino, ho avuto modo di frequentare il set del suo ultimo lavoro, di cui mio padre, dirigente di banca in pensione, fece il produttore. Del film che si intitolava “The underground” e che in Spagna, paese co-produttore, uscì con il titolo “Matar es mi destino”, esiste oggi solo un posi-

tivo malridotto conservato alla cineteca nazionale». Con taglio autoriale e sguardo narrativo, Giovanni Massa in questo “film nel film” si ritrova ad indagare le inesplorate dinamiche del cinema di genere, tra cui storie di cappa e spada e spaghetti western, partendo dall’eccentrica carriera di un regista che coltivò l’utopia di creare un’industria cinematografica siciliana e che, pur iniziando la carriera con film d’autore, per mancanza di fondi si trovò costretto a girare B movies per il circuito nazionale. «Ingiustamente - precisa Massa - il B movie viene spesso inteso come film di serie B. Il termine,

coniato negli Usa, si riferisce invece a un film realizzato a basso costo e non è detto che a budget basso corrisponda film scadente, soprattutto se si pensa a tutto un filone di genere con una precisa identità, che vanta numerosi appassionati». Nonostante gli inevitabili riferimenti autobiografici, “Matar es mi destino” offre lo spunto per una riflessione sul cinema più ampia che riguarda un elemento ricorrente nelle pellicole contemporanee, ovvero l‘indagine storica sottoforma di recupero della memoria, «come una sorta di ricerca dei padri - conclude il regista - attraverso cui si cerca di recuperare un’identità, se non perduta, sicuramente trascurata». balarm magazine 43


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