Babele n° 25

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Periodico telematico trimestrale a carattere scientifico dell’Istituto di Ortofonologia srl con sede in Roma – via Salaria 30 – anno VIII – n. 25 – settembre 2015 Direttore responsabile: Federico Bianchi di Castelbianco – Iscrizione al Tribunale civile di Roma n. 63/2009 del 25/02/2009 – ISSN 2035-7850

Il processo diagnostico nell’infanzia: la vulnerabilità non è patologia Nuove riflessioni e approcci alla diagnosi in età evolutiva nel XVI Convegno nazionale dell’IdO

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llen Frances, professore emerito del prestigioso ateneo statunitense Duke University, che ha partecipato alla stesura del DSM-III e ha presieduto la task force del DSM-IV, sottolinea che «La psicopatologia deve basarsi su un’adeguata conoscenza dello sviluppo. Per riconquistare la dimensionalità della diagnosi è necessario seguire le traiettorie di sviluppo per comprendere l’evoluzione della vulnerabilità. (…) Non credo vi sia realmente un aumento epidemico dei disturbi mentali. Penso, invece, che ci troviamo nel bel mezzo di un’epidemia di diagnosi superficiali e di pratiche prescrittive poco rigorose. La migliore garanzia di accuratezza e sicurezza è la diagnosi sequenziale e al ribasso». Le sue considerazioni sono in sintonia con la tematica centrale del XVI Convegno nazionale IdO, Il processo diagnostico nell’infanzia. Cosa e come valutare clinicamente sintomi e comportamenti del bambino. L’evento, che si terrà a Roma il 16-17-18 ottobre nella Sala Congressi di via Rieti, sarà un’occasione per far confluire tanti approcci ed esperienze in una modalità diagnostica che tenga conto della complessa interazione tra le varie componenti dello sviluppo e dei possibili disfunzionamenti. Limitare la valutazione a diagnosi meramente descrittive, trascurando la dimensionalità della storia clinica, significa rischiare di catalogare erroneamente i bambini confondendo vulnerabilità e patologia. L’individuazione precoce non deve essere confusa con l’anticipazione della diagnosi, ma deve aiutarci a individuare i bambini a rischio. È uno sguardo diverso sul mondo dell’infanzia, più rispettoso e più prudente, perché i segni e i sintomi rappresentano solo una parte dell’«evidence based».

Già Jung, più di ottant’anni fa, sottolineava che «la vera diagnosi non è basata sui sintomi (...) giacché col dare un nome non si arriva a niente». Anche nella sua autobiografia ribadisce che «le diagnosi cliniche sono importanti perché consentono al medico di orientarsi in qualche modo, ma non servono ad aiutare il paziente. Secondo me la terapia comincia veramente solo dopo aver indagato sulla storia personale del singolo individuo». È evidente in queste parole lo spostamento dell’attenzione dai sintomi, intesi come disturbi da eliminare, alla totalità della realtà individuale da accompagnare in un processo di trasformazione. Di conseguenza, quando gli venivano chiesti chiarimenti circa il metodo analitico e psicoterapeutico, Jung spiegava: «Non posso rispondere in modo univoco: la terapia è diversa per ogni caso. Quando un medico mi dice che segue rigorosamente questo o quel metodo, ho i miei dubbi sull’efficacia della sua terapia». Una prospettiva evolutiva, centrata sul bambino reale, sulla sua individualità e sulle potenzialità dei caregiver e dell’ambiente circostante, oltre a contribuire in modo significativo all’evoluzione e al recupero delle difficoltà, ha anche il significativo vantaggio di restituire al bambino e ai contesti principali che frequenta (famiglia e scuola) un quadro clinico più comprensibile, che restituisca un’immagine di potenzialità e dinamicità che intervenga a più livelli sulle problematicità e sulle difficoltà. Una diagnosi, dunque, è completa solo se la valutazione clinica viene effettuata tenendo conto delle diverse fasi evolutive e nel rispetto della storia di ogni bambino, consapevolmente collocato nei suoi contesti di crescita. Laura Sartori Federico Bianchi di Castelbianco