Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio In Ticino le persone che usufruiscono degli aiuti sociali sono sempre di più
Ambiente e Benessere Un cuoco stellato e un esperto di culture orientali in dialogo alla Scuola club Migros Ticino: Pietro Leemann incontra Marco Ferrini il prossimo 8 giugno a Lugano
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 28 maggio 2018
Azione 22 Politica e Economia Rieletto Maduro secondo copione: ritratto di un Venezuela distrutto dalla crisi economica e sociale
Cultura e Spettacoli A Roma si celebra l’arte meravigliosa di Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto
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Una fine dolorosa e rumori di sottofondo
Alla scoperta del territorio nell’anno del patrimonio culturale
di Peter Schiesser
di Stefania Hubmann
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Sì, in Ticino «lo sconcerto e lo smarrimento», come ha scritto la direttrice del «Giornale del Popolo» Alessandra Zumthor sull’ultima edizione quasi interamente bianca del 18 maggio 2018, è stato davvero generale. L’improvvisa morte di questo storico e glorioso quotidiano è stata una sorpresa, molto meno il fatto che questo potesse succedere. La fine della Publicitas – anch’essa ormai solo una questione di tempo per chi osserva il panorama mediatico e pubblicitario elvetico – ha accelerato la crisi e dato il colpo di grazia al GdP. Col senno di poi è facile dirlo, ma la decisione di rompere l’accordo con il Corriere del Ticino, che dal 2004 al 2017 ha permesso al Giornale della curia di stare a galla, si è rivelata nefasta, come tutti o quasi gli addetti ai lavori temevano. Persino l’ex direttore del GdP Filippo Lombardi, intervistato da Ticinonline il 17 maggio, ha espresso il suo scetticismo sul fatto di lasciare il Corriere e di affidarsi a Publicitas, poiché tutti nell’ambiente sapevano che l’agenzia pubblicitaria navigava da anni in cattive acque. In un momento storico in cui la stampa scritta vive una crisi epocale, a causa del drastico calo della pubblicità e del numero di lettori, alla quale i grandi gruppi editoriali rispondono puntando sulla concentrazione dei mezzi, su sinergie e alleanze per mantenere una grandezza di scala, il «Giornale del Popolo» ha optato all’inizio di quest’anno per la via solitaria. Molto coraggioso, ma azzardato. Filippo Lombardi conosce i retroscena ben meglio di chi scrive, nell’intervista a Tio ha parlato di rigidità reciproche fra CdT e GdP che non hanno facilitato i negoziati. Tuttavia è più che comprensibile – perlomeno per noi giornalisti – che la direzione del giornale presente e passata (Claudio Mésoniat ha continuato ad avere un influsso sulla vita del giornale anche dopo il suo pensionamento) volesse salvaguardare l’identità del GdP, piuttosto che dovere operare nuovi risparmi e tagli al personale e condividere ancora più servizi giornalistici con i colleghi del CdT. In effetti, se due giornali si assomigliano sempre di più, come fare a distinguerne l’anima? Una risposta che da un po’ di tempo a questa parte stanno cercando anche molti giornalisti di grandi testate svizzero tedesche riunite sotto il cappello di Tamedia, i cui articoli finiscono su più testate. La realtà con cui si cozza, però, non lascia scampo: o hai i soldi (abbonati, pubblicità) per stare in piedi, o chiudi. Ma non lasciamoci ingannare: non sono stati quei 400 mila franchi dovuti dalla Publicitas al GdP a condannarlo a sparire. Quelli sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Anche il presidente del Consiglio di Stato Claudio Zali, dopo un incontro con il vescovo Valerio Lazzeri ha dovuto riconoscere che «non sono quei 400mila franchi l’ostacolo maggiore per proseguire. Il vero problema è l’entità oggettiva della situazione che ha portato a depositare i bilanci» (Tio, 18 maggio). Sarà importante, per capire la realtà dei fatti, avere delle spiegazioni più dettagliate sulle cifre che hanno portato alla decisione di chiudere il giornale, quando le circostanze lo permetteranno e quando gli animi si saranno un poco calmati. L’impressione suscitata dalla direzione del giornale è che la chiusura fosse calata come un fulmine a ciel sereno, solo per i 400 mila franchi dovuti da Publicitas. Monsignor Valerio Lazzeri, forse poco abituato alle paludi della comunicazione, si è preso tutte le colpe (di aver annunciato la chiusura da un giorno all’altro, di non aver previsto un piano sociale) ma, pur non conoscendo di persona il vescovo, se non in un fugace incontro, ho dei dubbi (corroborati da una persona che ha parlato con don Lazzeri) che non avesse fatto presente alla direzione già in precedenza che si rischiava la chiusura a breve. Concludo con una speranza: che l’ondata di solidarietà aiuti a gettare le basi per un nuovo esperimento editoriale e che i 30 dipendenti non vengano abbandonati.
RICHIAMO – VOTAZIONE GENERALE 2018
SABATO 2 GIUGNO 2018
Ti-Press
La votazione generale giunge al termine – Le schede di voto devono essere deposte nelle apposite urne delle filiali o spedite entro
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Attualità Migros
M Nuove forme di volontariato
Engagement Uno svizzero su quattro partecipa ad attività di lavoro non retribuite all’interno di associazioni
e gruppi. Il numero però continua a calare. Uno studio del Gottlieb Duttweiler Institut spiega perché e mostra che, comunque, non c’è da preoccuparsi
Un esempio ticinese
Licia Aregg, 11 anni, Marc Angst, 42 anni, e Susanne Rickenmann, 72enne, hanno, nonostante la loro differenza anagrafica, una cosa in comune: fanno volontariato, anche se in forme e modi diversi e per diverse motivazioni. La giovane insegna a una anziana l’uso di un iPad; il responsabile di progetti Marc si impegna affinché una fonte di acque termali a Baden non finisca nella Limmat senza che qualcuno l’abbia potuta apprezzare; la pensionata Susanne accompagna a fare la spesa un conoscente avanti negli anni. Secondo Jakub Samochowiec, ricercatore 39 enne che lavora per il Gottlieb Duttweiler Institut (GDI), sono «volontari di nuova generazione». Si tratta cioè di persone che non soltanto si accollano gratuitamente dei compiti benevoli, ma lo fanno portandovi le proprie idee. E ancora più importante: utilizzano tecnologie digitali per organizzarsi e dare uno sbocco al proprio impegno. Un quarto della popolazione svizzera, secondo il «Freiwilligen-Monitor 2016», si impegna in progetti socialmente utili. Il numero però, negli ultimi anni, è andato calando. Ciò si deve al fatto che il classico lavoro di volontariato è stato svolto da donne, e in realtà non era proprio veramente volontario: «Era un modo per mantenersi inserite nella società e non perdere il contatto con la comunità. E in questo senso non era scelto liberamente» spiega Samochowiec.
Roger Hofstetter e Jorma Müller
Andrea Freiermuth e Lisa Stutz
Nonostante questa tendenza al ribasso, il ricercatore del GDI Institut vede il fenomeno con una connotazione positiva: «Il volontariato sta mutando e le nuove forme in cui si esprime sono difficilmente computabili dal punto di vista statistico». Cita come esempio l’esperienza del web 2.0, cioè
le piattaforme digitali che utilizzano i contenuti degli utenti, come Wikipedia, Tripadvisor o Youtube. Nello studio, intitolato I nuovi volontari. Il futuro della partecipazione nella società civile, Samochowiec e i suoi colleghi spiegano quali chance offra la digitalizzazione al volontaria-
La Fondazione Alberto Pedrazzini gestisce la colonia di Cerentino, un sodalizio creato negli anni 60, e attualmente gestito da un gruppo che se ne occupa su base volontaria. L’obiettivo è mantenere aperto uno spazio che accoglie 28 bambini tra i 6 e i 12 anni durante un mese d’estate, in due turni di 15 giorni. La casa ha 44 posti letto. I bambini che la frequentano arrivano da tutto il Ticino e usufruiscono di questo spazio di vacanza, sempre più apprezzato. La casa viene occupata durante il resto dell’anno da scuole ticinesi e della Svizzera interna per le loro settimane verdi. Alcuni weekend sono riservati da associazioni del cantone come Atgabbes, Pro Infirmis o varie sezioni degli scout. Oltre alla sua vocazione di colonia, la struttura vuole essere un punto di riferimento per altre associazioni come luogo per vacanze, per riunioni o per attività funzionali alle loro necessità. Per info: www. casa-cerentino.ch
to. Ora le persone possono interagire anche spontaneamente e temporaneamente collegandosi tra loro in rete. Una dinamica che rispetta pienamente lo spirito dei nostri tempi, in cui non si desiderano più legami a lungo termine ma si può decidere di impegnarsi volentieri per un progetto significativo.
Il ricercatore: «I nuovi volontari hanno nuove abitudini» Jakub Samochowiec, nel suo studio parla di «nuovi volontari». Cosa intende?
Sono individui che non prestano semplicemente forza lavoro gratuita per svolgere i compiti loro assegnati. Sono più facilmente motivati dal potenziale che non dalle difficoltà. Organizzano per esempio un mercatino delle pulci di quartiere, dove non esiste la classica ripartizione dei ruoli tra chi presta e chi richiede aiuto. Di conseguenza sono necessarie parecchie persone, poiché una forte rete di contatti tra il vicinato ha molti effetti secondari positivi. I partecipanti vogliono soprattutto imparare qualcosa, partecipare alle decisioni e divertirsi. Per questo parla di partecipazione anziché di attività di volontariato?
Esatto. La codecisione spesso non fa parte delle attività di volontariato classico. Ti dicono per esempio: porta questo cibo da una casa anziani all’altra. Nelle comunità di paese di una volta era chiaro che qualcuno lo avrebbe fatto, anche a causa della pressione sociale. Queste attività spesso sono e rimangono di competenza delle donne.
Sì, il classico volontariato è declinato al femminile. E spesso l’impegno non era così volontario. Ma se una donna non voleva un suicidio sociale, doveva assumersi un qualche impegno,
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
anche quando non ne aveva alcuna voglia.
E chi si occuperà in futuro delle persone anziane, indigenti o svantaggiate?
Le istituzioni che cercano volontari devono maggiormente riflettere su come motivare le persone. E dovrebbero porsi questa domanda: ma non è che stiamo cercando un automa? Se sì, non devono stupirsi se non trovano alcun volontario. Gli automi per assistere gli anziani invece potrebbero diventare realtà.
La digitalizzazione non va guardata solo in bianco e nero. Si perde qualcosa, ma ci si guadagna anche. Un esempio: oggi le famiglie comunicano in un altro modo rispetto al passato, ma non necessariamente meno. Alcune hanno una chat di famiglia su Whatsapp e sono attive anche durante la giornata, quindi nel complesso hanno uno scambio maggiore.
grandi speranze negli strumenti digitali. Quali vantaggi vede?
Le possibilità offerte dalla digitalizzazione sono immense. Credo che molte persone sarebbero pronte a impegnarsi in un progetto, ma non sanno dove e come. In tal senso le piattaforme digitali sono l’ideale. Un buon esempio è «Benevol-Jobs», una borsa per le attività di volontariato. Analogamente alle piattaforme di lavoro, i progetti possono essere filtrati per tipo e località di impiego. Qui ognuno trova qualcosa. Altre piattaforme, come www.2324. ch o fuerenand.ch, funzionano come la piazza di un paese, semplicemente online. Le persone sole possono trovarsi grazie a Internet e collegarsi l’una
all’altra, anche spontaneamente e per un tempo limitato. Il potenziale delle reti digitali di questo genere di attività è lungi dall’essere esaurito.
Ne risultano anche svantaggi?
Ce ne sono sempre. Più è facile pagare e maggiore è il pericolo che tutto giri attorno ai soldi. Un esempio: su Airbnb il trasferimento di soldi avviene con un clic. Prima non era così. Chi propone una camera sulla piattaforma, esita anche con amici a offrire un pernottamento gratuito. In futuro si potrebbe pensare di versare un importo minimo anche a chi tiene aperte le porte di casa propria. Ma in tal modo ci si insinua in attività che dipendono dalla volontà individuale.
Associazioni e organizzazioni, come possono motivare i volontari?
I volontari non andrebbero considerati come forza lavoro gratuita, bensì come partner alla pari. Chi fa volontariato deve avere la possibilità di partecipare al processo decisionale. Perché oggi ci si impegni ancora sono importanti il sentimento di appartenenza e il riconoscimento dell’utilità del proprio operato. Nel reclutare volontari si ripongono
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Desidera vivere in un mondo come questo?
Dalla nostra prospettiva è difficile valutare. Se fossimo ancora raccoglitori e cacciatori e qualcuno ci raccontasse che in futuro dovremo segnalare il nostro luogo di residenza al comune e restare seduti per otto ore al giorno tra quattro mura e di fronte a una scatola, ce ne faremmo un’immagine spaventosa. Ma come raccoglitore e cacciatore non avrei modo di considerare i vantaggi che la vita moderna comporta. Con lo studio la sua immagine dell’essere umano è cambiata?
Sì, ho acquisito una visione più positiva della nostra società individualista. L’individualismo viene spesso equiparato all’egoismo. Abbiamo però appurato che nelle società individualiste le persone si impegnano maggiormente per gli amici, rispetto alle società la cui organizzazione ruota attorno al nucleo famigliare. Come mai?
Jakub Samochowiec (39), studia i trend sociali al GDI ed è coautore dello studio Die neuen Freiwilligen – Die Zukunft zivilgesellschaftlicher Partizipation («I nuovi volontari. Il futuro della partecipazione nella società civile»).
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Il classico «noi» rispetto a «gli altri» in una società individualista si annulla. Per allontanarsi dal proprio clan bisogna credere che anche gli estranei si prendono cura di qualcun altro. Nel contesto dell’impegno, la fiducia è molto importante: le società dove le persone dimostrano maggiore fiducia sono anche più impegnate a favore del bene comune.
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Società e Territorio Collegare Locarno alle strade nazionali È stata da poco presentata l’ultima versione del collegamento A2-A13: il progetto «Bozza verde» sembra godere di un ampio consenso ma l’iter politico è ancora molto lungo
La fioritura dei narcisi Con le sue passeggiate Oliver Scharpf ci accompagna sui prati sopra Montreux per ammirare la spettacolare fioritura dei narcisi pagina 6
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Il nucleo di Ronco sopra Ascona. (Ti-Press)
Un patrimonio da conoscere
Heimatschutz Svizzera Il 2018 è l’Anno europeo del patrimonio culturale, molte le iniziative anche in Ticino
Stefania Hubmann Visitare l’interno del cinema Arlecchino di Brissago, tipico esempio di sala cinematografica degli anni Cinquanta, oppure scoprire il nucleo storico di Ronco s/Ascona accedendo a edifici e giardini privati, o ancora addentrarsi nelle residenze di Hermann Hesse nel Comune di Collina d’Oro. Sono alcune delle curiose proposte offerte dalla STAN, Società ticinese per l’arte e la natura, durante l’Anno europeo del patrimonio culturale. Da oltre un secolo l’associazione, sezione ticinese di Heimatschutz Svizzera, si batte da un lato per salvaguardare le testimonianze delle generazioni passate e dall’altro per responsabilizzare i cittadini quali custodi di questi beni. Ecco perché nel 2018 attira l’attenzione sul valore civile del patrimonio culturale e sugli oggetti a rischio meno conosciuti, per i quali la mobilitazione della popolazione può fare la differenza come nel caso del Parco Balli a Locarno. Gru che spuntano come funghi, ruspe che avanzano incuranti del valore di ciò che distruggono, operatori immobiliari concentrati solo sugli indici di sfruttamento, politici che spesso si trincerano dietro le norme di legge in vigore. La gente comune però,
con i giovani ben rappresentati, reagisce e grazie a iniziative come quelle della STAN esprime il proprio disappunto e le proprie preoccupazioni. «Gli oggetti sotto pressione sono numerosi – osserva il presidente dell’associazione architetto Antonio Pisoni – a causa di uno sviluppo costruttivo smisurato frutto di distorsioni economiche e finanziarie. La corsa all’edificazione di volumi enormi destinati ad alloggi per i quali non c’è un’effettiva richiesta continua e i correttivi che si stanno approntando rischiano di essere tardivi. Questo vale per edifici, giardini, alberature, quartieri. È mancata, soprattutto nel nostro Cantone, una visione a lungo termine coordinata che tenesse conto delle caratteristiche dei diversi interventi. Ad esempio la convivenza fra infrastrutture, traffico e verde cittadino andava pianificata nel suo insieme decenni fa». «Fino a pochi anni or sono – gli fa eco il vicepresidente Benedetto Antonini, architetto ed urbanista – l’ISOS (Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere d’importanza nazionale) non era tenuto in considerazione quando invece avrebbe dovuto fungere da guida nell’elaborazione dei Piani Regolatori comunali. Su questi temi è mancata la sensibilità. Non biso-
gna dimenticare che paesaggio e patrimonio costruito sono parte integrante dell’identità di una comunità. Il legame di appartenenza al proprio territorio è una necessità dell’uomo presente in tutte le civiltà. Un tempo le trasformazioni erano più lente e concedevano il tempo necessario per integrare il nuovo nel contesto coevo, mentre l’eccessiva rapidità con la quale oggi si sostituisce parte del costruito disorienta la popolazione che perde i propri punti di riferimento». Con la raccolta delle firme (circa 15mila) per l’iniziativa «Un futuro per il nostro passato: per un’efficace protezione del patrimonio culturale del territorio ticinese» nel 2014 la STAN ha toccato con mano questo malessere, espresso anche in occasione della demolizione di alcune dimore storiche di pregio come le ville Branca e Galli a Melide. Il Cantone sta facendo degli sforzi per una maggiore tutela del patrimonio culturale – riconoscono i nostri interlocutori – ma le contraddizioni non mancano. Pisoni e Antonini citano ad esempio il contestato progetto di parco eolico sul Gottardo, zona che ospita uno dei tre siti svizzeri ai quali è stato conferito il marchio «Patrimonio Europeo» per la loro importanza storico-culturale. Nel caso specifico si tratta del complesso dell’Ospizio, simbolo di
incontro e scambio sulla via delle genti. L’Anno europeo del patrimonio culturale è quindi un’occasione preziosa per informare e sensibilizzare la popolazione e per agire a livello istituzionale. Gli appuntamenti organizzati dalle diverse sezioni di Heimatschutz Svizzera sono un’ottantina, fra i quali la quindicina di visite promosse in Ticino accompagnate da una conferenza. Ogni sezione ha declinato il tema dal proprio punto di vista. In Romandia ci si è uniti per riprendere l’iniziativa del «Chiodo rosso», simbolo che sottolinea fisicamente il recupero di un edificio storico realizzato con rispetto e successo. A Zurigo ci si concentra invece sul concetto di Heimat (patria), mentre Basilea porta all’attenzione del pubblico l’architettura delle sale cinematografiche, proprio come la STAN nel caso del cinema Arlecchino. Sul piano politico Benedetto Antonini – membro del comitato di Europa Nostra, promotrice dell’Anno europeo del patrimonio culturale – sottolinea l’iniziativa del Presidente della Confederazione Alain Berset che lo scorso gennaio ha organizzato la Conferenza dei Ministri della cultura conclusasi con la firma della Dichiarazione di Davos per una cultura della costruzione di qualità in Europa. Benedetto An-
tonini: «La Dichiarazione riconosce il contributo fondamentale di uno spazio costruito di qualità al benessere della popolazione, sottolineando la responsabilità comune di politica e società in questo ambito. La cultura deve rivestire un ruolo essenziale nello spazio costruito e va quindi posta al centro delle politiche di sviluppo. Il patrimonio culturale è un elemento centrale della cultura della costruzione di qualità». Il senso di responsabilità comune si riallaccia al tema scelto dall’associazione ticinese per le manifestazioni organizzate nel 2018: il valore civile del patrimonio culturale. Lo approfondirà il prof. Tomaso Montanari dell’Università Federico II di Napoli in una conferenza prevista il 24 settembre al Teatro Sociale a Bellinzona. In un luogo caro ai membri della STAN, poiché salvato anche grazie al loro impegno, il prof. Montanari spiegherà come la vera funzione del patrimonio culturale sia quella di «alimentare la virtù civile, essere palestra di vita pubblica, mezzo per costruire uguaglianza e democrazia sostanziali». Informazioni
www.stan-ticino.ch www.patrimonio2018.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Società e Territorio
Gli 11 chilometri della «Bozza verde» A2-A13 L’ultima versione del collegamento stradale veloce tra Bellinzona e Locarno sembra godere
di un forte consenso, ma il percorso tecnico e politico è ancora lungo Roberto Porta «Necessariamente dovrà rivelarsi vincente» ci dice Paolo Caroni, presidente della Commissione intercomunale dei trasporti del Locarnese. Parole riferite al nuovo progetto per un collegamento stradale veloce tra Bellinzona e Locarno, presentato di recente dal Comitato esecutivo dell’opera e coordinato dal Dipartimento del territorio. «Dovrà essere vincente – continua Caroni – perché probabilmente è l’ultima possibilità che abbiamo per allacciare il Locarnese alla rete delle strade nazionali. In passato ci sono state altre occasioni, che per vari motivi non si sono concretizzate. Per questa ragione il progetto chiamato “Bozza verde” va ora considerato la nostra carta vincente».
Il nuovo progetto di collegamento è stato affinato per migliorare il bilancio ambientale e la scorrevolezza del traffico In altri termini non ci sono altre possibilità per il futuro collegamento A2A13, quella è rimasta di fatto l’ultima pedina su cui puntare per risolvere il problema del traffico lungo il Piano di Magadino. Un progetto elaborato da un Comitato esecutivo nato dopo la bocciatura popolare della cosiddetta «Variante 95», verdetto emesso dal 54% dei cittadini ticinesi il 30 settembre del 2007. Dopo quel rifiuto popolare sono stati elaborati altri progetti per poi arrivare, anche su impulso della Confederazione, a preferire la cosiddetta «Variante 6A» di cui il progetto «Bozza verde» rappresenta una versione rivista e corretta per ridurre ulteriormente l’impatto ambientale dell’opera. Si tratta di un tracciato di 11 chilometri, di cui 7 in una galleria scavata lungo il versante settentrionale del Monte Ceneri, per poter aggirare e salvaguardare i comuni di Cadenazzo, Contone e Quartino. Il traforo sarà composto da due tubi unidirezionali per rispettare le normative sulla sicurezza stradale. Il nuovo collegamento prevede anche una serie di svincoli e altre misure fiancheggiatrici allo scopo di accrescere la scorrevolezza del traffico e migliorare al tempo stesso il bilancio ambientale legato alla nuova strada, in questo senso uno dei punti più delicati sarà quello legato alla zona di protezione delle Bolle di Magadino, a Quartino. «Dal punto di vista tecnico è sicuramente un buon risultato – fa notare il
Ecco come saranno l’attraversamento del fiume Ticino e la galleria artificiale di S. Antonino. (www.ti.ch)
consigliere nazionale Fabio Regazzi, che a Berna siede anche nella commissione parlamentare che si occupa proprio di trasporti. – Il pregio di questo progetto sta nel fatto che non solleva opposizioni, non va in collisione con le esigenze dell’agricoltura e non pone problemi legati alla protezione dell’ambiente e del paesaggio, visto che è stato fatto molto in questo senso. In altre parole c’è un forte consenso attorno a questa visione». Le premesse dunque ci sono tutte per realizzare il collegamento A2-A13, anche se il percorso tecnico e politico per l’approvazione del progetto sarà ancora molto lungo e insidioso.
«Locarno è l’unico grande agglomerato della Svizzera che non è collegato alla rete delle strade nazionali. Una situazione che va risolta», ha affermato il presidente del governo ticinese Claudio Zali, presentando il progetto «Bozza Verde» lo scorso 7 maggio. E anche questa sarà una carta da giocare per accrescere le possibilità di successo della nuova variante, l’ultimo tassello di questa lunga vicenda iniziata ormai un quarto di secolo fa. «Non dobbiamo dimenticare una cosa – sottolinea il deputato Fabio Regazzi – la “Variante 95” si chiamava così perché era nata in quegli anni, di
tempo ne è passato parecchio». Erano i primi anni 90 del secolo scorso e il nodo è ancora tutto lì da sciogliere. «Ora resta da affrontare il problema dei costi – continua Regazzi – questa è l’altra faccia della medaglia». Costi che sono lievitati, visto che il progetto è stato affinato per tener maggiormente conto della protezione dell’ambiente e della valorizzazione del territorio. Si è così passati da 1,3 a 1,45 miliardi di franchi. Una fattura molto elevata e che colloca la «Bozza verde» tra le più care, per costo al chilometro, tra i progetti stradali dell’intero Paese. Si è ora entrati in una fase di con-
per paura di perdersi qualcosa. Non sono rilassate ma in affanno e non si fermano a chiacchierare con chi è allo stand e potrebbe dare un buon consiglio di lettura o anche soltanto chiarire qualche dubbio su un titolo. Sia mai, già sentir dire un «buongiorno», accompagnato da un sorriso, mette i più in fuga verso lo stand successivo. Mentre giovani e giovanissimi, impermeabili, sfrecciano tra i corridoi con la faccia incollata sullo schermo dei loro smartphone e l’altoparlante, a mo’ di annuncio sui binari della stazione, gracchia qualcosa di incomprensibile sul prossimo, imperdibile evento in programma. Tanti bellissimi libri sono riuniti in una babele chiassosa specchio del nostro tempo frenetico e superficiale. Per concludere, la sera vai al ristorante e
trovi la TV accesa che trasmette la partita di calcio e, come se non bastasse, alle tue spalle un’orda di bambini inferociti grida alle patatine fritte. Ti rassegni, ti dici che può capitare a tutti una giornata storta e rumorosa. Poi però, il mattino dopo ti svegli, vai a bere un buon cappuccino nel tuo bar preferito, ed entri nel negozio di make up più vicino per comprare quel rossetto che ti sei dimenticata a casa. Dentro fa caldo, è umido, l’aria condizionata è spenta. Ti convinci che il rossetto è necessario, la commessa è al cellulare con il fidanzato, ride tutta contenta. La guardi, mette il fidanzato in attesa, ti risponde che i rossetti sono nell’angolo in fondo. Cerchi di concentrarti per trovare il colore giusto in pochi secondi, prima di scioglierti, ma è impossibile perché nel tuo timpano destro
sultazione che coinvolgerà tutte le realtà toccate da questo collegamento, dapprima a livello cantonale poi all’interno dell’amministrazione federale. Entro la fine del 2020 il progetto verrà poi consegnato al Consiglio federale, chiamato a scegliere le arterie stradali che su scala nazionale potranno avere la priorità rispetto ad altri collegamenti. Sono infatti parecchie altre le regioni del Paese che rivendicano la costruzione di nuove strade. «Il fatto che questa variante sia stata scelta dalla Confederazione, tra quelle che il canton Ticino aveva proposto, è un fatto sicuramente positivo – fa notare Paolo Caroni, vice-sindaco di Locarno – significa che Berna ha tenuto conto anche dei costi dell’opera e degli investimenti necessari per garantire la protezione ambientale e paesaggistica del Piano di Magadino. Questo vuol dire che la Confederazione non ha fatto soltanto dei calcoli finanziari ma mira a limitare il più possibile l’impatto ambientale dell’opera. E sa che questo ha un costo». Dal primo gennaio del 2020 il collegamento farà parte della rete delle strade nazionali e il suo finanziamento verrà preso a carico dal FOSTRA, il Fondo per le strade nazionali e per il traffico di agglomerato, approvato in votazione popolare nel febbraio del 2017. Secondo i calcoli dell’amministrazione federale questo fondo avrà a disposizione circa tre miliardi di franchi all’anno. «Per ottenere questi finanziamenti la concorrenza a livello federale non manca – fa notare il consigliere nazionale Fabio Regazzi – In questo senso è sicuramente molto positivo il fatto che il canton Ticino abbia deciso di anticipare e di finanziare la progettazione del nuovo collegamento. Questo è senza dubbio un segnale forte inviato al Consiglio federale. Significa che il Cantone è molto determinato e unito nel rivendicare la realizzazione di questo progetto. Nel prossimo futuro sarà fondamentale il lavoro di lobbying politico per cercare di condurre in porto l’intera operazione». Ci vorrà comunque anche parecchia pazienza visto che se tutto dovesse procedere senza intoppi la nuova strada potrà venir inaugurata attorno al 2035. E pensare che un collegamento in galleria era già stato richiesto una ventina di anni fa da una petizione firmata da oltre diecimila cittadini ticinesi e sostenuta da diverse associazioni ambientaliste. Allora il Dipartimento del territorio non prese in considerazione questa ipotesi, a causa dei suoi costi di realizzazione. Ora invece si punta tutto proprio sulla galleria, la carta – l’asse? – con cui forse vincere questa infinita partita.
La società connessa di Natascha Fioretti Il nostro tempo, una babele chiassosa L’esperienza fatta di recente al Salone del Libro di Torino mi ha fatto riflettere su uno degli aspetti della schizofrenia del nostro tempo. Da un lato ci innamoriamo di nuovi stili di vita che ci aiutano a ritrovare l’armonia con noi stessi, stili di vita che ci riavvicinano al contesto naturale e ci aiutano a promuovere tendenze urbane green come la coltivazione e la forestazione urbana. Dall’altro ci ammazziamo di rumori e frastuoni dall’alba al tramonto. Pensate che esageri? Provate a farci caso la prossima volta che entrate in un negozio, andate al bar o salite su un mezzo pubblico. Non vi è mai capitato di addormentarvi sul treno e svegliarvi per la suoneria del cellulare di quello a fianco che suona ogni dieci minuti?
O per il video che il ragazzo di fronte fa vedere alla sua fidanzata? In questi casi, la modalità silenziosa o l’uso delle cuffiette non sono ancora entrati nelle regole del bon ton. Ma torniamo al Salone del Libro. Penserete, se non ci siete mai stati, che sia per definizione silenzioso o, quanto meno, visto che è frequentato da persone che amano la lettura e ci finiscono proprio per scoprire le ultime novità editoriali, che ci siano delle isole pensate per fermarsi un attimo a respirare, pensare, leggere qualche pagina del libro appena acquistato. Un po’ come quelle che oggi si trovano nelle sale di attesa degli aeroporti dove puoi ricaricare il tuo cellulare e collegarti al wi-fi. Invece no, il Salone è un fuggi fuggi di persone, molte di loro nemmeno camminano, corrono da uno stand all’altro
entra prepotente l’ultimo successo di Alvaro Soler. Non resisti, sono appena le 9.00, esci e pensi che il rossetto sarà per un’altra volta. La commessa non ci fa caso, è ancora al cellulare. Poi per disintossicarci andiamo nelle Spa o in qualche oasi verde, facciamo il digiuno da cellulare e la cura del silenzio. Nulla in contrario ma forse dovremmo fare qualche cambiamento a monte, porci qualche domanda sull’inquinamento acustico che generiamo e nel quale siamo immersi. Su quel rumore che copre percezioni e ritmi interiori, ci distrae, infastidisce, assorbe inutilmente parte delle nostre energie, spreca vibrazioni umane importanti, quelle per intenderci, che la lettura di un buon libro può generare o, anche, un massaggio nell’acqua con le campane tibetane.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Società e Territorio
Sempre di più in assistenza
Socialità I beneficiari degli aiuti sociali sono soprattutto persone sole o famiglie monoparentali, lavoratori precari,
disoccupati e giovani senza formazione
Fabio Dozio Chi non ce la fa ad arrivare a fine mese può chiedere aiuto allo Stato. La Confederazione sancisce che gli indigenti sono assistiti dal loro Cantone di domicilio. In Ticino ci sono alcune leggi che permettono di intervenire a sostegno dei bisognosi, che fanno capo alla Laps, Legge sull’armonizzazione delle prestazioni sociali, che disciplina i diversi aiuti possibili: indennità straordinarie di disoccupazione, assegni famigliari integrativi, assegni di prima infanzia e infine, assistenza sociale. Alla fine di dicembre del 2016 in Ticino vi erano 7401 casi, per un totale di 15’650 persone prese a carico. Nel «caso» rientra il titolare del diritto, ma anche il coniuge o il convivente e i figli, anche maggiorenni se economicamente dipendenti. L’assistenza sociale è l’ultima risorsa cui accedere quando una persona non ha mezzi sufficienti per vivere. Per alcuni rimane ancora un tabù, perché ammettere di essere «in assistenza» è sinonimo d’incapacità e di fallimento. Una condizione frustrante e umiliante, in questa società che appare ricca e benestante. «All’inizio per la vergogna non uscivo di casa... – racconta una ragazza ventenne – non avevo più relazioni sociali... adesso esco una volta alla settimana... così non mi faccio vedere troppo in giro, perché poi viene la domanda “ma cosa stai facendo?” eh sono in assistenza, no non esiste».* In gennaio le persone in assistenza in Ticino erano 8106, 272 in più rispetto a un anno prima e 29 in più rispetto al mese precedente. Gli ultimi dati dell’Ufficio di statistica rivelano che il 72,7% degli assistiti sono persone sole e il 14,7% persone sole con figli. Dunque, quasi il 90% degli assistiti è single: solitudine fa rima con indigenza e comporta un rischio maggiore di povertà. Nell’ultimo decennio emerge che sono sempre di più lavoratori, working poor, e disoccupati che fanno ricorso agli aiuti sociali. C’è molta mobilità e in media si rimane in assistenza per 18,5 mesi: per i giovani la permanenza è più breve, per gli anziani più lunga. Sono dati messi in luce da uno studio dell’Ufficio cantonale di statistica (Percorsi dei beneficiari di assistenza sociale, 2015). L’analisi rivela che non siamo di fronte a una cronicità dovuta a una permanenza di lunga durata, ma spesso si entra e si esce nel corso del tempo: «L’aspetto cronico dell’assistenza – scrive Elena Sartoris – pur se discontinuo nel tempo, si manifesta sempre più sotto una nuova forma, che ricalca un fenomeno analogo di entrata e uscita dalla disoccupazione». Buona parte di chi esce definitivamente dall’assistenza è perché passa al beneficio dell’AVS o dell’AI o di altri aiuti sociali. In Svizzera tra il 2010 e il 2016 il numero dei beneficiari dell’aiuto sociale di oltre 55 anni è aumentato del 50%. Un dato impressionante rivelato alla fine di febbraio dalla Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS). Una cifra che non si può spiegare con l’evoluzione demografica e che è solo indicativa, perché molte persone che avrebbero diritto agli aiuti non li chiedono, per vergogna o per altri motivi. Di fronte a questa emergenza COSAS ha proposto al Consiglio federale che gli over 55 che perdono il lavoro possano continuare a usufruire dell’assicurazione contro la disoccupazione, cercando di fare il possibile per far rientrare nel mercato del lavoro queste persone. «L’aiuto sociale – ha dichiarato Nicolas Galladé, Presidente dell’iniziativa delle città per la politica sociale – è in effetti la misura peggiore per le persone che han-
All’inizio dell’anno le persone in assistenza in Ticino erano più di 8000. (Ti-Press)
no lavorato tutta una vita e che desiderano rimanere attive». Dice una ragazza di 26 anni che è in assistenza: «È come se c’era un muro davanti a me e io continuavo a sbatterci. Loro uscivano, andavano in vacanza e mi chiedevano... ma a furia di no e anche la mia negatività hanno portato ad un loro allontanamento... Poi quando dici sono in assistenza tutti ti guardano come una malata, una persona da evitare». Questa testimonianza, come tante altre, è contenuta nello studio A 20 anni in assistenza, recentemente pubblicato dalla SUPSI. Si definiscono i percorsi di vita dei giovani a beneficio degli aiuti sociali e si mette in luce come «per la maggior parte di questi giovani adulti il ricorso all’assistenza sociale non sembra essere unicamente il frutto di scelte formative sbagliate, quanto piuttosto il proseguimento di una traiettoria di vita che, già dall’infanzia, li vedeva fruitori indiretti di sostegno sociale, o comunque in situazioni di disagio economico». I ventenni in assistenza sono un fenomeno marginale, circa il 6 per cento del campione di allievi considerato dallo studio, ma indicativo di sofferenza e disagio economico e sociale preoccupanti. Giovani che hanno difficoltà in famiglia e poi a scuola e quindi faticano a integrarsi nel mondo del lavoro e rimangono precari e fragili. Si conferma un dato che spesso si dimentica: la povertà e la vulnerabilità sono ereditarie e svelano un malessere sociale che poi perdura. La riforma della legge sull’assicurazione contro la disoccupazione del 2011 ha ridotto le prestazioni, limitando il periodo d’indennità per chi si trova senza lavoro. Questa misura finisce per indurre schiere di disoccupati a richiedere l’assistenza sociale. Fra questi molti giovani, in particolare coloro che al termine della scuola obbligatoria non continuano gli studi e non riescono a entrare nel mondo del lavoro. Gli anglosassoni hanno coniato il termine NEET, Not in education, employment or training. «Non essere in formazione né avere un lavoro per lunghi periodi tra i 15 e i 29 anni è una condizione deleteria – si legge nel rapporto della SUPSI – che impedisce di acquisire il capitale identitario necessario per il futuro inserimento nel mercato del lavoro». Dall’analisi dei percorsi dei giovani intervistati, lo studio individua tre caratteristiche. C’è chi utilizza gli aiuti per allontanarsi da una famiglia che non funziona, chi lo considera un aiuto puntuale, anche se può essere ripetuto nel tempo, e chi ricorre ai sussidi per far
fronte a una vulnerabilità cronica, questi sono l’anello più debole dei giovani in difficoltà. Il problema non è solo ticinese. In Svizzera alla fine del 2016 i residenti che hanno beneficiato dell’aiuto sociale sono stati in totale 273’273, il 3,3% della popolazione. Inoltre, la Confederazione ha sostenuto circa 81mila rifugiati e ri-
chiedenti asilo. La metà dell’aiuto sociale finanziario va a cittadini svizzeri e in tutti i settori dell’aiuto, un beneficiario su tre è un bambino tra 0 e 17 anni. Per migliorare questa situazione la Confederazione e i Cantoni devono investire maggiormente nella formazione continua. È quanto propongono La Conferenza svizzera delle istituzioni dell’a-
zione sociale (COSAS) e la Federazione svizzera per la formazione continua (FSEA). Le due associazioni chiedono un credito sostanzioso ma anche un cambio di mentalità: la formazione continua deve essere mirata e vicina al normale mercato del lavoro, e non un’occupazione secondaria che non permette un reinserimento. «Nella società odierna – si legge nel documento A 20 anni in assistenza – i rischi possono diventare presto cronici e stabili nella vita quotidiana: non per nulla questa è stata definita la società del rischio (Beck). In essa ormai è la vita quotidiana a essere normalmente insicura. Oggigiorno procurarsi un reddito, trovare un lavoro, avere figli, sposarsi e mettere su casa sono azioni che sempre più comportano dei rischi». Per evitare l’esclusione di questi giovani, che potrà riflettersi negativamente su tutta la società, è determinante il ruolo della scuola e della formazione. In questo senso è incoraggiante scoprire come nelle interviste raccolte dalla SUPSI i giovani esprimano un giudizio positivo sulle capacità di integrazione della scuola e sottolineano il ruolo decisivo avuto nei loro confronti da docenti e docenti di sostegno. Bibliografia
* A 20 anni in assistenza, a cura di J. Marcionetti, S. Calvo e E. Casabianca, DFA/SUPSI. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Questioni di vita o di morte Due episodi di morte hanno avuto molto rilievo nelle cronache recenti: il primo è stato il caso del «piccolo Charlie», un bambino di otto mesi affetto da una malattia degenerativa incurabile, alla vita del quale i medici inglesi hanno posto fine interrompendone l’alimentazione artificiale. Il secondo episodio è quello dello scienziato australiano David Goodall, venuto in Svizzera per mettere fine alla sua lunga vita (104 anni) grazie al suicidio assistito, che nel suo Paese non è permesso. Quello che sconcerta, confrontando i due casi, è l’evidenza della loro contradditorietà. Nel caso del piccolo Charlie – che evidentemente non poteva avere alcuna facoltà deliberativa – i genitori non ne volevano la morte: insistevano per quello che, a giudizio dei medici, sarebbe stato un inutile accanimento terapeutico. Avrebbero voluto portarlo negli Stati Uniti per tentare una terapia sperimentale, giudicata comunque
impossibile dai medici preposti al giudizio: la sua malattia genetica impediva la rigenerazione delle cellule causando il deperimento progressivo della muscolatura e del sistema nervoso, con le conseguenze facilmente immaginabili – dalla difficoltà a respirare e ad alimentarsi alla crescente incapacità di movimento. Ma i genitori non volevano rinunciare alla speranza e rifiutavano che si ponesse termine alla vita di Charlie, o – più esattamente – al suo prolungamento artificiale. Diverso e opposto è il caso di David Goodall: non era malato, a parte il decadimento inevitabilmente dovuto ai suoi 104 anni di vita (una caduta aveva poi reso più difficile la sua mobilità). La vita, per lui, aveva perso di significato: voleva morire, ma un suo tentativo di suicidio era fallito. In Australia però l’eutanasia non è legalmente riconosciuta; così Goodall ha affrontato il viaggio in Svizzera, e a Basilea, con
l’aiuto dell’associazione Exit, ha potuto praticarsi l’iniezione letale. Ecco le contraddizioni. Al bambino i medici impongono la morte – non voluta dai genitori – e l’Alta corte di giustizia londinese la autorizza. Al vecchio scienziato che vuole morire la legge australiana lo vieta. Ed è così in tutto il mondo, tra legislazioni che ammettono il suicidio assistito e altre che lo rifiutano. E a intervalli ricorrenti, nuovi casi tornano a sconvolgere l’opinione pubblica: rimangono nella memoria figure come quelle di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro – protagonisti drammatici di strazianti agonie prolungate per legge. Il diritto di vivere o di morire è dunque tra i più controversi, anche se si sa da sempre che ogni nascita è anche una condanna a morte: la morte fa parte della vita, ne è il destino ultimo. Perché non lasciare a ciascuno la libertà di decidere il proprio destino? Eppure
sin dall’antichità il suicidio è stato spesso considerato un reato, in base alla convinzione che la vita non appartiene solo all’individuo, ma anche alla comunità di cui fa parte: non potendo punire il colpevole, ormai scomparso, la punizione colpiva allora i parenti rimasti, per lo più con la confisca dei beni. Per tutto il Medioevo è valso il principio che la vita è un dono di Dio e che Lui solo la può togliere (nel XIII canto dell’Inferno Dante imprigiona i suicidi nei tronchi di una foresta flagellata dalle Arpie). Oggi, con il cambiamento culturale e morale, in Occidente il suicidio non è più considerato un reato: ma sono ancora pochi i Paesi che – come la Svizzera – prevedono la possibilità di un suicidio assistito, ossia di un aiuto per i malati terminali che non intendono prolungare un’inutile sofferenza. Nel 1906, ad Ascona, il medico psicanalista Otto Gross diede a
Lotte Hattemer, che soggiornava nella comunità alternativa del Monte Verità, il veleno col quale la donna si tolse la vita. L’episodio fu poi oggetto di un’inchiesta giudiziaria. In una lettera del 1913 Gross spiegò che Lotte Hattemer aveva deciso di morire e non intendeva recedere dalla sua decisione; Gross tentò di convincerla a desistere, poi, non riuscendoci, la aiutò, per evitarle di morire «in modo tremendo e doloroso». «La mia intenzione – si legge in quella lettera – era solo quella che non morisse in maniera orribile. Sono ormai passati sette anni da allora; non mi sono mai pentito di quello che ho fatto». Chi decide di porre fine alla propria vita lo fa, ovviamente, perché il lungo soffrire gli diventa insopportabile: il mecenate rinascimentale Vespasiano Gonzaga, duca di Sabbioneta, sul letto di morte pronunciò queste ultime parole: «Sono guarito».
des Narcisses per un sentiero. Appena prima di entrare nel bosco, proprio alla fine della prima decade di maggio, ecco un angolo dove la densità dei Narcissus radiiflorus è notevole. Infatti è uno dei declivi curati dall’associazione Narcisses Riviera e un cartello dice di non calpestarli e non raccoglierli. Ai bei tempi «Le Messager» e «La Feuille d’avis de Lausanne» – dal 1975 diventato il «24 heures» soprannominato da sempre, chissà perché, «La Julie» – avevano indetto un concorso. Vinceva chi ne raccoglieva di più in un metro quadro: il record è di una certa Francine Dubochet con 1787. Narcisi a parte, il posto è meritevole di una passeggiata. Ieri ha piovuto a dirotto ma oggi fa bello: sullo sfondo svetta il Dent de Jaman, giù s’intravede un pezzetto di Lemano e un po’ di Montreux. È qui in questi prati, da quando aveva preso stanza al Palace, che Nabokov saltellava a caccia di farfalle. Entro nel bosco e respiro a pieni polmoni l’aria fresca filtrata attraverso le conifere
dall’odore balsamico. Qualche morchella completerebbe il quadro, ma butto l’occhio distratto, oggi caccia aperta solo per i narcisi. Senza parole rimango all’uscita della foresta. Un pendio è tutto pieno di narcisi come nelle cartoline novecentesche. Un granaio abbandonato alla fine della scarpata fiorita all’inverosimile, aggiunge un contrappunto a questa festa silenziosa per gli occhi. Avevo preso sottogamba le parole di Eugène Rambert del 1866, considerandole un po’ esagerate: «Se non si è mai vista la fioritura dei narcisi su qualcuna delle nostre montagne, e specialmente su quelle che dominano Montreux, è molto difficile farsene una giusta idea». Di buon passo, in un’oretta abbondante raggiungo Sonloup, stazione di arrivo della funicolare ultracentenaria. Oltre i milleduecento metri, in località Pacoresse, ci dovrebbe essere un posto di narcisi. Trovato: la fioritura è imponente. Forse è anche la pendenza di questi prati, assieme al contesto, a procurare l’incanto. Una ragazza tutta arrossata
per la salita, macchina fotografica seria al collo, s’inginocchia per catturarli in primo piano. Da vicino impressionano i sei tepali movimentati, come mossi dal vento. La piega dello stelo protesa in avanti è spavalda, carismatica, fotogenica. Ne colgo uno da mettere all’occhiello del parka blu slavato dell’esercito tedesco. Per un paio di ore qui è permesso a tutti il narcisismo. Toccando con mano mi rendo conto che non sono per niente fragili come credevo, inaspettatamente spedibili. La mia stima va a una coppia di vecchietti che posteggia la macchina vicino al prato: lui vestito desueto da giorno di festa, si accende una sigaretta, la moglie raccoglie, ai margini, narcisi a tutto spiano come una volta. Da qui si vede, sapendo dove guardare – vedo dove devo è il motto di oggi – lo chalet Monet. Uno chalet rococò nel punto forse più strategico di Les Avants dove dal 1964 viveva Joan Sutherland (1926-2010): incomparabile soprano australiano soprannominata dai melomani «La Stupenda».
cento dei casi, dopo 10/14 anni di convivenza. Sono cifre che dovrebbero avere un effetto dissuasivo. Che, infatti, si fece sentire, a partire dagli anni 70/80, con i primi indizi del fenomeno «antisistema», cioè il rifiuto delle regole, sia religiose sia laiche, imposte dall’alto. Insomma, niente chiesa e niente ufficio di stato civile. Tuttavia, man mano che si attenuava l’urto rivoluzionario, si fa per dire, delle libere unioni, si delineava il ritorno alla festa di nozze, favorito da una vera e propria specializzazione commerciale ad ampio raggio. Nasceva la figura del wedding planner: il termine inglese, ormai d’obbligo, definisce una sfera di attività in grado di soddisfare le esigenze, spontanee e indotte, dei futuri sposi che stanno riscoprendo la tradizione, però aggiornata al costume contemporaneo. Certo, rimane centrale il fattore vestiario, che ha creato negozi ad hoc, spesso in periferia, frequentati da chi è disposto ad acquistare abiti sontuosi
e costosi, pagabili anche a rate mensili. Alla stessa stregua, nelle famiglie di origine meridionale, va sempre rispettata la consuetudine del pranzo per tanti commensali e con tante portate. Ma a di là di queste costanti, la cerimonia ha, ormai, allargato le dimensioni ai più svariati ambiti, dove non è soltanto questione di soldi, ma anche di buongusto e di status, insomma di competizione sociale. Da qui l’intervento dei wedding planner e relativi «saloni wedding», che aiutano a districarsi in un settore consumistico sempre più attrezzato. Si tratta, innanzi tutto, di scegliere il luogo, in gergo location, che ospiterà il ricevimento, con pranzo o aperitivo, o entrambi. In proposito, vanno per la maggiore ville signorili e castelli, con parchi, da affittare per la giornata. E, sempre rimanendo in clima nostalgico, sono richieste a noleggio le vetture d’epoca, auto o addirittura carrozze trainate da cavalli. Quanto al luogo, c’è pure chi guarda lontano:
è possibile organizzare un matrimonio in stile esotico, su una spiaggia del Kenya, allietato da danzatori Masai, o a Bali, con rito religioso tradizionale. Porterà lontano il viaggio di nozze: preferibilmente su un’isola, in un bungalow sotto le palme, o, la tendenza è recente, verso i paesi nordici, con vista sugli iceberg, dal finestrino di un igloo. Proprio il «buono viaggio» è diventato un regalo apprezzato dai novelli sposi, che, di solito, hanno già messo su casa. Non mancano, infine, le eccezioni, le coppie che, voltando le spalle a una presunta originalità, riscoprono la bellezza accogliente dei sagrati, davanti alle nostre chiese, circondati da cipressi: una location ideale per quel giorno speciale che, in fondo, ci si augura che rimanga unico. E, in un Ticino che sfoggia la virtù del laicismo, c’è persino chi si rivolge ai buoni servizi ecclesiastici: con tanto di messa, benedizione e musica sacra, eseguita all’organo.
A due passi di Oliver Scharpf Prati di narcisi sopra Montreux Dal 1897 al 1957 a Montreux, in maggio, c’era la festa dei narcisi. Un anno si sono esibiti anche i Balletti Russi e una delle ultime edizioni è stata trasmessa in eurovisione. A milioni si raccoglievano sopra Montreux e sulle altre alture della Riviera. Prati interi si ricoprivano di narcisi bianchi. «La neve di maggio» era chiamato questo fenomeno il cui declino è incominciato a fine anni sessanta a causa dell’agricoltura intensiva. Nel 1999 però è stata fondata un’associazione in difesa dei narcisi che si è data un gran daffare per arginare in tempo, la sparizione di questi prati unici. Di regola, dai primi di maggio, si possono ammirare a Glion, verso metà maggio a Les Avants, da metà maggio a fine maggio meglio Les Pléiades, sopra Vevey. Un pain au chocolat come Dio comanda e un caffè americano alla confiserie Zurcher e via, sul treno panoramico delle 8.53 che sale idilliaco verso l’Oberland bernese. La notizia è sulla bocca di tutti: i narcisi sono in fiore. Una signora è tutta agitata, ora lascia il marito da
solo per incollarsi al finestrino dall’altro lato, verso il lago. I primi narcisi si avvistano a monte e lei rimane lì con un pugno di mosche. Subito dopo eccoli ancora copiosi su in alto, ai margini delle pinete. Glieli indico e scendo, alle mie spalle sento solo «Oh!». La stazioncina di Les Avants (968 m) è uno chalet. Epicentro da sempre della fioritura dei narcisi, qui c’è anche un grand hotel convertito in scuola cattolica femminile di lusso. Esposta dentro, dietro le vetrinette impolverate di un ufficio postale chiuso da anni – oltre a un paio di incredibili cartoline datate 1909 con su elegantissime ragazze d’epoca in mezzo a una miriade di narcisi sul prato scosceso – c’è una curiosa scatola illustrata per spedire i narcisi in tutto il mondo. M’incammino lungo la strada accanto ai binari. Nei primi anni sessanta su questa strada, in questo periodo, c’era un traffico tale per andare a raccogliere i narcisi che la strada era a senso unico. Un treno apposta collegava poi Basilea a Les Avants. Lascio la Route
Mode e modi di Luciana Caglio Una festa che sfida la realtà Senza dubbio, il vertice più alto, sulla scala della spettacolarità e del simbolismo, è stato raggiunto, sabato 19 maggio, a Windsor, con le nozze di Harry e Meghan, celebrate in un’atmosfera che pareva inventata. A cominciare da quel cielo cobalto, che
smentiva la tradizione del grigiore britannico. Come la smentiva, sul piano politico e sociale, proprio quell’unione fra il discendente di una dinastia secolare, a suo tempo imperiale, e la figlia di un’americana di colore, maestra di yoga e di un padre latitante. In questo caso, la diversità, solitamente temuta, rappresentava, invece, un plusvalore, da sfruttare in una festa di dimensioni globali: una sorta di embrassons nous momentaneo, per contrastare le minacce della quotidianità. Del resto è, appunto, questa componente, illusoria e scaramantica, a spiegare la continuità, persino il successo della festa di nozze che sta riconquistando terreno. Tanto da fare, di Windsor, un punto di riferimento, cui ispirarsi, sia pure da lontano. Ma, ecco il paradosso. Se il festeggiamento nuziale fiorisce, il matrimonio deperisce. Le nostre statistiche confermano la fragilità di un’unione, destinata a sciogliersi nel 40/45 per
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Fra rischi e benefici
Salute Il Rapporto svizzero sulla
contraccezione ci aiuta a fare chiarezza fra evoluzione, diffusione e tipologia dei preparati contraccettivi ormonali
Maria Grazia Buletti La contraccezione è una scelta personale. Tuttavia, non bisogna sottovalutare gli effetti sulla società in caso di gravidanze indesiderate o di complicazioni dovute agli anticoncezionali. Su incarico dell’Osservatorio svizzero della salute (Obsan), lo Swiss Tropical and Public Health Institute ha reso noto il primo Rapporto svizzero sulla contraccezione che ne descrive evoluzione, diffusione e tipologia in Svizzera dal 1991 al 2012. Risulta che nel nostro Paese l’80 per cento delle persone sessualmente attive di età compresa tra 15 e 49 anni utilizza anticoncezionali. I metodi contraccettivi più comuni sono preservativo e preparati ormonali (il cui uso diminuisce in funzione dell’età), seguiti da sterilizzazione e spirale. In Svizzera una su 4 donne tra 15 e 49 anni prende «la pillola»: uno dei metodi più efficaci e sicuri. Ne abbiamo parlato con il PD dottor Alessandro Ceschi, direttore medico e scientifico dell’Istituto di Scienze Farmacologiche della Svizzera italiana e presidente della Commissione terapeutica EOC, che conferma: «Nell’ambito delle contraccezioni reversibili con effetto a lunga durata i metodi più efficaci sono le spirali intrauterine e gli impianti subdermici; la sterilizzazione è di indubbia efficacia ma non è reversibile. Una seconda categoria comprende, tra gli altri, i contraccettivi orali: preparati ormonali combinati estrogenici-progestinici o solo progestinici». Questi ultimi sono composti da derivati di ormoni femminili («per lo più da etinilestradiolo in diverse concentrazioni con componente progestinica più variabile»). Fra gli effetti della contraccezione ormonale abbiamo, certamente, quello desiderato del controllo delle nascite attraverso differenti meccanismi secondo il preparato assunto: «Distinguiamo azioni a livello di maturazione della mucosa uterina, della consistenza e composizione del muco nel collo dell’utero, e effetti di inibizione dell’ovulazione tramite meccanismi di azione complessi a livello centrale (ipotalamo e ipofisi)». Agli effetti de-
siderati, dobbiamo però aggiungere quelli indesiderati: «In una donna giovane che non presenta fattori di rischio individuali, si tratta di preparati sicuri con un profilo di rischio-beneficio favorevole». Fra i rischi il dottor Ceschi descrive quello tromboembolico venoso («che potrebbe portare a un’embolia polmonare»), quello cardiovascolare o tromboembolico arterioso («potrebbe comportare rischio di infarto miocardico o di evento cerebrovascolare ischemico»). Sono eventi molto gravi, che vanno contestualizzati e il cui rischio va valutato attraverso un’anamnesi dettagliata del medico prima della prescrizione di un preparato contraccettivo ormonale. Con queste premesse e considerando controindicazioni note, i rischi sono generalmente bassi. La scelta va condivisa con la paziente, informata scrupolosamente e monitorata periodicamente per tutto il tempo di assunzione. I fattori di rischio per eventi tromboembolici venosi: «Aumentano con l’avanzare degli anni, con sovrappeso, immobilizzazioni prolungate degli arti inferiori e malattie predisponenti la formazione di grumi sanguigni, oltre ad alcune patologie specifiche ematologiche, infiammatorie e quelle tumorali, argomento a sé stante». Per i fattori di rischio cardiovascolare o arteriosi si consideri l’età avanzata, il tabagismo e l’ipertensione arteriosa, oltre ad altri fattori «classici» (diabete, colesterolo, adiposità) e alcune condizioni predisponenti specifiche. Per alcune malattie tumorali, e in particolare nella genesi dei tumori ginecologici, è provato un ruolo degli ormoni femminili: «In questo contesto è però sia di beneficio (preventivo) che potenzialmente predisponente: è noto che i preparati contraccettivi ormonali orali diminuiscono il rischio di tumore delle ovaie e dell’endometrio, con effetto perdurante decine di anni dopo la loro sospensione. Sembra esserci, per contro, evidenza di un possibile aumento del rischio del tumore della cervice uterina». Per l’eventuale aumentato rischio di tumore mammario derivante dall’assunzione della pillola la situazio-
Alessandro Ceschi, direttore medico e scientifico dell’Istituto di scienze farmacologiche della Svizzera italiana. (V. Cammarata)
ne è controversa e dibattuta da tempo: «A dicembre 2017 un autorevole studio (che includeva quasi 2 milioni di pazienti seguite per 11 anni) ha dimostrato che l’aumento assoluto del rischio è davvero basso: 13 casi su 100’000 donne esposte per anno». Rischio minimo per le donne al di sotto dei 35 anni: «2 su 100’000 donne all’anno, ovvero un caso aggiuntivo per 50’000 donne esposte all’anno». Rischi e benefici vanno sempre soppesati: «Quello tumorale di rischio leggermente aumentato per il seno, è diminuito in modo durevole per ovaio ed endometrio, e ciò a fronte di un’efficace contraccezione». Lo specialista ribadisce l’importanza di una presa a carico individuale della donna da parte del proprio medico che dovrà pure individuare l’eventualità di un elevato rischio di complicazioni o la presenza di controindicazioni. Elemento determinante perché, sempre secondo il rapporto svizzero sulla contraccezione, quella ormonale è assunta anche da donne con un rischio elevato di complicazioni, fra le quali il 20 percento è in sovrappeso o con ipertensione o con malattie cardiovascolari. I metodi ormonali risultano
essere usati anche da 3 fumatrici su 10 e da una donna over 35 su 10. Inoltre, i fattori di rischio aumentano moltiplicandosi e potenziandosi tra loro. «Questo, ma anche la presenza di singoli fattori rischio importanti, può rendere controindicato l’uso di un contraccettivo orale ormonale combinato». La responsabilizzazione della paziente assume grande peso e produce una sua aderenza terapeutica stretta, la coscienza dei rischi che questa scelta potrebbe comportare e il loro riconoscimento tempestivo. Informazione e consulenza farmacologica sono determinanti: «Swissmedic regola ed effettua una sorveglianza costante sui prodotti e sull’industria farmaceutica, preparati che negli anni hanno vissuto un’evoluzione verso una minore concentrazione di estrogeni (tutti sotto i 50 microgrammi), con una relativa diminuzione dei rischi e un importante aumento della sicurezza. La diversificazione dei prodotti con differenti concentrazioni ha poi permesso di adeguare l’assunzione della contraccezione ormonale ai bisogni individuali, tenendo però presente che il livello di estrogeni non può scendere
al di sotto della soglia di efficacia». Non vedremo imminenti stravolgimenti nell’ambito farmacologico di questi preparati, di per sé già molto diversificati: «Disponiamo di tante sostanze, abbiamo differenti possibilità di applicazione (per bocca, via transdermica, oltre a sistemi intrauterini, iniezioni e impianti…) di provata efficacia e il cui rapporto fra rischi e benefici è generalmente favorevole se la valutazione e la scelta nella paziente specifica è eseguita in modo accurato, come la grande maggioranza dei medici fa».
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al Dott. Alessandro Ceschi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Ambiente e Benessere
La riserva naturale di Monterrico-Hawaii
Reportage Una visita in barca a remi al sorgere del sole, alla scoperta dell’area protetta
intorno al canale artificiale di Chiquimulilla, nel sud del Guatemala
Simona Dalla Valle Una barca a remi scivola lentamente sull’acqua, percorrendo uno stretto canale circondato da quella che al buio sembra essere una fitta vegetazione. La luce è scarsa e il silenzio sembra dilatare gli spazi. Con il graduale sorgere del sole si cominciano a intravvedere le sagome di ciò che ci circonda: chilometri e chilometri di mangrovie, che delimitano una rete di canali e lagune. Ci troviamo nella regione di Santa Rosa in Guatemala, nella riserva naturale di Hawaii nei pressi di Monterrico, un paese situato sulla costa del Pacifico. Creata artificialmente con l’appoggio del governo guatemalteco e di CECON (Centro per gli studi conservazionisti dell’Università di San Carlos di Città del Guatemala), l’area è formata da venticinque lagune interconnesse da una rete di canali, utilizzati per il trasporto di merci (per lo più legno e gamberi), auto e passeggeri. Tra di essi vi è il canale artificiale di Chiquimulilla, che collega Monterrico al villaggio di La Avellana. La zona copre un’area di 28 km quadrati ed è una riserva naturale con mangrovie e ninfee, popolata da volatili come cicogne e gazze, nutrie e coccodrilli. L’acqua salata proveniente dal mare diventa dolce a partire da giugno durante il periodo delle piogge, con un drastico cambiamento della vegetazione circostante. Ma perché costruire un canale artificiale? Il motivo è semplice: nel 1886 gli abitanti della regione meridionale del Guatemala erano pressoché isolati a causa dell’assenza di strade adatte all’invio di merci e di carichi ingombranti. Le coltivazioni e i prodotti di Chiquimulilla erano trasportati su piccole strade e sentieri in cui passava a malapena una persona con un carico sulla schiena o a cavallo, e questo limitava la vendita dei raccolti e ne faceva scendere il prezzo. Per ovviare a questo problema, il comune si riunì e l’allora sindaco Lázaro Sales fece conoscere alla città l’urgenza di costruire un canale con scopi commerciali. In quella stessa sede si decise di organizzare un contingente di perso-
Nelle foto: pescatori sul canale Chiquimulilla; in alto, rilascio di tartarughe sulla spiaggia di fronte al Tortugario; sotto; gli imbarcadero di Monterrico e de La Vellana; in basso, alba sulla laguna con le cicogne. (Simona Dalla Valle)
ne che avrebbero scavato il canale, e la mattina del 10 gennaio 1886 un gruppo di uomini e donne armati di picconi, zappe, asce e machete, capitanati da Narciso Ibarra e dal poeta contadino Estanislao Hernández, partirono alla volta dei fossati di Papaturro, Las Animas ed El Racionero. Molti di loro, durante i lavori, furono colpiti da diverse malattie aggravate dalle condi-
zioni paludose della zona alle quali si aggiunsero le enormi punture di moscerini, tafani e zanzare portatrici di malaria che in quei tempi, senza medicine adeguate, era difficile da curare e spesso portava alla morte. Per questo motivo, il governo guatemalteco decise di sostenere il progetto tenendo conto dei benefici che la nuova via d’acqua avrebbe portato al paese. Il 9 febbraio 1887 fu autorizzata l’apertura ufficiale del Canale di Chiquimulilla, chiamato così in omaggio alle persone che vi lavorarono a favore dell’intero Guatemala. Il canale di Chiquimulilla è un corridoio ecologico e migratorio, una zona umida molto importante per il Guatemala e l’America centrale nonché un canale di comunicazione per diverse comunità, che attraversa i comuni di Santa Rosa, Escuintla, Iztapa e Taxisco. Visitando le lagune in barca a remi poco prima dell’alba è possibile ammirare, senza disturbarli, la quantità di uccelli nel loro habitat naturale, tra cui
gabbiani, ibis bianchi e grigi, gru, pellicani, gazze, cormorani e aironi, evitando il caldo torrido delle ore successive. A poco a poco l’ambiente si illumina e le nuvole si tingono di rosa e rosso, mentre l’atmosfera si scalda con i primi raggi del sole. In questo momento gruppi di cicogne e ibis iniziano la loro migrazione creando interessanti figure geometriche nel cielo. Estuardo, la no-
stra guida, ci spiega che le visite sono organizzate dal Tortugario di Monterrico, dove sono preservate alcune specie protette di animali tra cui tartarughe, caimani e iguane. Per impedire ai cani di dissotterrare i nidi di tartaruga, gli abitanti del paese raccolgono le uova dalla spiaggia e le portano al Tortugario. La stagione di nidificazione va da giugno a dicembre, ma raggiunge un picco in agosto e settembre. Le tartarughe hanno in genere un periodo di incubazione tra i cinquanta e settanta giorni; una volta che le uova si sono dischiuse, sono trattenute alcuni giorni e ogni sera, sulla spiaggia di fronte al Tortugario, una parte di esse viene rilasciata in mare. Per assistere al rilascio si pagano 10 quetzales (meno di un euro) e questo denaro è corrisposto agli abitanti di Monterrico come pagamento per il salvataggio e la consegna delle uova. Nel canale sono state istituite aree di conservazione e protezione delle risorse naturali, come il Biotopo de Monterrico, dove sono studiate e protette le mangrovie e le tartarughe marine, la Riserva di Iguana Verde a Las Lisas, dove c’è anche un altro Tortugario, essendo un luogo ideale per l’avvistamento di uccelli che variano in oltre 100 specie. Le paludi di mangrovie fanno parte dell’area protetta: le mangrovie, di tre tipi diversi – gialle, rosse e nere – hanno radici alte da 1 a 1,5 metri e sono ampiamente utilizzate per la costruzione di tetti o prodotti di artigianato. Per utilizzarle è necessario presentare una richiesta ufficiale, con l’impegno di ripopolarle laddove scarseggiano. Tra le paludi abbondano diverse varietà di insetti tra i quali è importante ricordare le termiti, che si nutrono del legno morto assumendo quindi il ruolo di «spazzine» della laguna. Tra le specie marine branzini, tilapia, gamberi e pesci gatto sono presenti in grande quantità. I tour in barca della riserva, che partono dall’imbarcadero di Monterrico e attraversano le paludi di mangrovie e diverse lagune, durano da una a due ore con prezzi a partire da 75 quetzales (circa otto euro) a persona; gennaio e febbraio sono i mesi migliori per il birdwatching.
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Ambiente e Benessere
Hobo, uomo libero e senza meta
Tornare sui luoghi del ’68 Bussole I nviti
Viaggiatori d’Occidente Storie di vagabondaggi per le strade d’America
a letture per viaggiare «Coltivo una inquietante speranza: che vi accostiate a questo libro – o libretto, o guida, fate voi – senza la diffidente riluttanza che ho provato io nell’accingermi a scriverlo. Perché il problema è questo: che i luoghi hanno un loro fascino, conservano un segreto, sono ineffabili e scintillanti quando sono lontani, e sconosciuti. È qualcosa che ho imparato a mie spese…».
Claudio Visentin «Va’ a dormire stanco vagabondo / Lascia che le città scorrano lentamente / Ascolta il canto d’acciaio delle rotaie» così canta Woody Guthrie nella Ninna nanna del vagabondo (Hobo’s Lullaby). Sapeva di cosa parlava. Per lunghi anni, da ragazzo, aveva vissuto d’espedienti e negli anni Trenta, quando terribili tempeste di polvere misero in ginocchio l’agricoltura dell’Oklahoma, fu costretto a cercare fortuna in California. Strada facendo conobbe molti hobo, com’erano chiamati allora i vagabondi americani. Di hobo si comincia a parlare negli anni difficili seguiti alla Guerra di secessione (1861-65) tra nordisti e confederati e ancor più negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il «Re degli hobo», «The Rambler», il Numero 1 («A-No.1») era considerato Leon Ray Livingston (1872-1944). Fu lui a creare il sistema di simboli che permetteva agli hobo di sapere dove trovare persone generose, cibo, lavoro, oppure come evitare cani pericolosi. Non è una leggenda: nel 2000 l’antropologa Susan Phillips ha trovato uno di questi segni tracciati col gesso sotto un vecchio ponte dimenticato lungo il fiume Los Angeles. A differenza della maggior parte dei suoi colleghi, Livingston non beveva, non fumava, vestiva bene e aveva sempre qualche soldo in tasca. Scrisse diversi libri e dalla sua vita fu tratto anche un film di successo, L’imperatore del nord (1973). La trama: durante la Grande depressione il Numero 1, eroe dei diseredati per la sua abilità nel viaggiare di nascosto sui vagoni merci, si confronta con Shack, capotreno violento e spietato che non si arresta davanti a nulla, neppure a un omicidio, pur di tenere i clandestini lontani dai suoi treni. Livingston raccontò i suoi vagabondaggi per l’America negli anni Novanta dell’Ottocento insieme a quello che sarebbe diventato lo scrittore più pagato del tempo, Jack London (L.R.
Un senzatetto per le vie di Chicago. (Marka)
Livingston, Coast to coast con Jack London, 1000eunanotte edizioni). Qualche anno dopo anche London raccontò le sue avventure in La strada. Diario di un vagabondo (Castelvecchi editore). La strana coppia attraversa un’America in crisi economica, popolata da diseredati, ferrovieri corrotti, venditori di elisir, impavidi sceriffi, vedove dal cuore grande, banditi... Nel 1906 il numero degli hobo era stimato in mezzo milione (0,6 per cento della popolazione). Erano quasi tutti uomini naturalmente, ma emergono occasionalmente figure femminili come Bertha Thompson, «Box-Car Bertha» (è il titolo del libro pubblicato da Giunti), il personaggio creato da Ben Reitman ispirandosi alle vicende reali di una certa Retta Toble: «Ho trent’anni ora, mentre scrivo, e sono stata hobo per quindici anni…». L’hobo è un uomo senza famiglia e senza carriera, sempre pronto a mettersi in viaggio saltando a bordo di un treno merci. E poi polvere di strade, alloggi di fortuna, amori rubati, qualche lavoro occasionale, meglio se all’aria
aperta in una fattoria. È una vita precaria, in guerra perpetua con il freddo, la fame, le guardie assoldate dalle compagnie ferroviarie per dare la caccia ai viaggiatori di straforo. E poi i poliziotti naturalmente. Ancora Woody Guthrie nella Ninna nanna del vagabondo canta: «So che la polizia ti crea problemi / Quelli creano problemi dappertutto / Ma quando morirai e andrai in cielo / Non troverai di certo sbirri lassù». Invece nel paradiso degli hobo immaginato da un altro musicista, Harry McClintock (Big Rock Candy Mountains, 1928) i poliziotti ci sono, ma hanno gambe di legno, i loro cani denti di gomma e le sbarre delle prigioni sono di morbido stagno, anziché acciaio. C’è qualcosa dell’hobo anche nel personaggio di Charlot, creato da Charlie Chaplin a partire dal 1914. Ma sarà soprattutto la Grande depressione, negli anni Trenta del Novecento, a far aumentare a dismisura il numero di persone spinte sulla strada dalla disperata ricerca di lavoro. In fondo hobo potrebbero essere anche George e Lennie, i braccianti che si guadagnano da
vivere vagando per il paese di fattoria in fattoria, descritti da John Steinbeck in Uomini e topi (1937). L’hobo si distingue sia dai lavoratori stagionali sia dai barboni perché è definito da una cultura (o meglio controcultura): è vagabondo e marginale per scelta prima ancora che per necessità; ha una sua dignità, curiosità e interessi, dei valori, un’idea del mondo basata sul viaggio e la libertà, il desiderio d’avventura, l’orgoglio di essere padrone del proprio destino. Quando negli anni Cinquanta si afferma la società dei consumi, la figura dell’hobo gradualmente scompare. In fondo, come il cowboy, apparteneva all’America giovane e violenta della frontiera. La sua eredità tuttavia si è conservata soprattutto nell’arte e nella letteratura. Si coglie ancora nell’inquietudine esistenziale della Beat Generation e in un libro di viaggio famoso come On the Road di Jack Kerouac, pubblicato nel 1957. «Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo». «Per andare dove, amico?». «Non lo so, ma dobbiamo andare».
Il ’68 è stato la musica alla radio, i manifesti di Che Guevara nelle camere dei ragazzi, la liberazione dei costumi. Ha preso corpo in oggetti moderni: l’eskimo e le Clarks, le minigonne e gli stivaletti, il mangiadischi e le musicassette, il ciclostile e il megafono. Soprattutto ha proposto un nuovo senso degli spazi e del viaggio, con quella sensazione che qualcosa d’importante, di mai visto prima, stesse succedendo, in perfetta sincronia, nei luoghi più diversi del pianeta: quasi un anticipo di globalizzazione. Per questo ha senso tornare in quei luoghi cinquant’anni dopo, come ha fatto Toni Capuozzo per il ’68 italiano: la Trieste di Basaglia, Venezia e Porto Marghera, Sociologia a Trento, Milano e la Zanzara, Torino e la Fiat, la Normale di Pisa, Roma e Valle Giulia… È l’occasione per ripensare concretamente un momento di profonda trasformazione della società, probabilmente necessario nonostante tutte le velleità, i concetti fumosi, le derive, un’eredità di uomini e idee da prendere con beneficio d’inventario. Ma il rischio maggiore di un viaggio nei luoghi del ’68 – come sempre accade quando torniamo sulla scena dei nostri ideali giovanili – è di trovare quei luoghi troppo diversi dal ricordo, spesso più piccoli, quotidiani, spogliati della loro dimensione epica: gusci vuoti, una volta svanita l’energia di quella memorabile estate di mezzo secolo fa. Bibliografia
Toni Capuozzo, Andare per i luoghi del ’68, Il Mulino, 2018, pp.136, € 12. Annuncio pubblicitario
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Fare la cosa giusta
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Ambiente e Benessere
L’era delle plastiche
Ecologia La materia sintetica, questa sconosciuta – Prima parte
Innanzitutto la plastica non è una, non è una monade. Poi, le plastiche sono sostanze organiche (come il legno e la lana, ad esempio) e derivano da risorse naturali: prevalentemente petrolio, carbone e gas, cioè prevalentemente da combustibili di origine fossile. Chi lo avrebbe mai detto o chi se lo ricordava? Oggi esistono svariati tipi di plastiche, che si differenziano sia per l’origine sia per gli additivi aggiunti ed i processi di lavorazione, ma tutti hanno in comune alcuni elementi base: le materie plastiche sono sostanze costituite da macromolecole (polimeri) ad alto peso molecolare. Si conferiscono loro le caratteristiche tecnico-chimiche e fisiche (tramite l’aggiunta di composti) e le forme volute mediante numerosi processi tecnologici: riscaldamento, compressione, condensazione, calandratura, soffiaggio, stampaggio, ed altri. In origine, molte materie plastiche derivavano da resine di origine vegetale, ad esempio dalla cellulosa (dal cotone), dagli oli (dai semi di alcune piante), dai derivati dell’amido e del carbone; ed alcune dagli scarti di lavorazione dell’industria casearia: dalla caseina (dal latte). Il nylon, ad esempio, era un composto prodotto da carbone, acqua e aria. Oggi la maggior parte delle plastiche deriva dai prodotti petrolchimici: la produzione mondiale di materie plastiche ne assorbe circa il 4 per cento annuo. La prima plastica ad avere avuto un discreto successo commerciale, la celluloide, fu prodotta negli anni 1870 circa ed era di origine naturale: era infatti un derivato dalla lavorazione della cellulosa. Alcuni polimeri sintetici, come il rayon ed il cellophane, provengono dalla cellulosa che è un polimero naturale, come la cera ed il caucciù. La bachelite invece, creata nel 1907, fu la prima plastica interamente sintetica. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale furono scoperti numerosi materiali plastici (fra cui il PVC, il teflon ed il plexiglas) ma la vera svolta venne data negli anni del secondo dopoguerra, con le ricerche sui polimeri effettuate dai chimici tedesco Ziegler ed italiano Natta, i quali nel 1963 ottennero il premio Nobel per la chimica. L’impulso alla ricerca, alla produzione ed all’utilizzo delle plastiche fu determinato dalla difficoltà di reperire le materie prime naturali e dal loro costo, sia durante il periodo più duro della seconda guerra mondiale sia soprattutto successivamente, negli anni della crescita. Una delle motivazioni primarie fu quella di trovare alternative alla gomma naturale, che non
Pxhere
Sabrina Belloni
era di facile importazione, ed ai tessuti naturali, per cui crebbe la produzione del nylon e delle gomme sintetiche. Furono scoperti e realizzati materiali innovativi, molto più economici e polivalenti delle materie prime naturali, i quali vennero utilizzati al posto di quelli metallici come componenti di macchinari e dispositivi impiegati in condizioni di temperature estreme (sia elevatissime sia molto basse) per le qualità di bassi coefficienti di dilatazione termica con elevata resistenza dimensionale, di alta resistenza all’alterazione chimica e meccanica, agli urti, alle intemperie, la trasparenza, la rigidità, la resistenza, l’isolamento elettrico, termico ed acustico, e tanti altri. Oggi i derivati delle materie plastiche sono ovunque. Non ce ne accorgiamo, ma la nostra vita quotidiana è possibile, nella sua forma attuale, solamente grazie ad essi, e ne restiamo sorpresi. Quasi tutto ciò che è manufatto, se non è di metallo, di vetro o di legno, è costituito anche o esclusivamente da plastiche. Su un piano squisitamente teorico, esisterebbero delle alternative in innumerevoli utilizzi, ma spesso
impiegarle richiederebbe più energia e più emissioni, nella loro manifattura, delle materie plastiche che andrebbero a sostituire. Ad esempio, i metalli (ferro ed alluminio) ed i loro derivati (acciaio) necessitano di enormi quantità di energia per essere prodotti (sia dalla materia prima, sia dal riciclo), oltre a considerare l’esauribilità delle miniere e dei giacimenti e le condizioni sociali correlate all’industria estrattiva. I materiali plastici sono più resilienti e leggeri dei metalli, caratteristiche che li rendono componenti di elezione nelle costruzioni di ogni tipo, ad esempio quella delle automobili, dove il loro utilizzo consente di ridurre una serie di costi: in primis il consumo di carburante. Essi vengono impiegati praticamente in tutti i settori per le loro caratteristiche di facile lavorabilità e basso costo: dall’industria dell’imballaggio a quella dell’edilizia, da quella della componentistica all’arredamento, dall’elettronica ai beni di consumo, solamente per fare alcuni esempi. Il settore agricolo assorbe il 3,9 per cento delle materie plastiche prodotte
in Italia. La possibilità di poter disporre tutto l’anno di prodotti agricoli stagionali si deve proprio alla plastica con cui si realizzano i teloni che ricoprono le piantagioni. Essi le proteggono, le stimolano, fino ad anticipare le colture e incrementare i raccolti, promuovendo così un settore spesso in difficoltà. Le serre con coperture di plastica sono di più facile realizzazione, rendono di più e hanno bisogno di meno energia per venire riscaldate rispetto a quelle in vetro. Anche nell’irrigazione dei campi, le strutture e i tubi in plastica hanno dimostrato versatilità ed efficienza. Grazie a tubazioni in PVC si è riusciti ad irrigare zone in cui la natura dei terreni o la particolarità delle acque compromettevano la durata di tubi in cemento o metallo. Il settore dell’imballaggio è di gran lunga quello di maggior sbocco per le materie plastiche e la sua importanza continua ad aumentare grazie alla versatilità, alla leggerezza, alla robustezza, all’inerzia chimica, alla buona impermeabilità ai gas e all’economicità. Questo settore assorbe circa il 44 per cento della plastica prodotta. Le
materie plastiche trovano importanti applicazioni nel settore farmaceutico. Basti pensare ai farmaci protetti dai blister termoformati, oppure ai numerosissimi oggetti ed attrezzature impiegate in medicina e chirurgia (tende ad ossigeno, guanti sterili, oppure presidi salvavita, come il cuore artificiale o le sacche per il trasporto di sangue e plasma, le sacche per la dialisi, i cateteri ed i tubicini per le trasfusioni), senza entrare nel merito delle apparecchiature a scopo diagnostico o terapeutico. Considerando tutte queste proprietà positive, da dove nascono i problemi? Come spesso accade i problemi conseguono dall’ignoranza, oltre alla scarsa degradabilità dei materiali plastici, la quale determina la longevità dei prodotti. La buona notizia è che conosciamo quasi perfettamente il problema, che deriva in gran parte da errate abitudini, e che pertanto abbiamo il dovere di limitarlo. Seguiteci nel prossimo reportage per scoprire le più recenti tecnologie per abbattere l’inquinamento derivato dall’abuso di materiali plastici e dal loro non corretto smaltimento.
«Inverno in tasca», l’idea ticinese
Sport Una tessera per gli impianti sciistici del cantone, valida anche per le attività estive: con sconto Activ Fitness «Inverno in tasca» è un progetto nato da tre maestri di sci appassionati degli sport invernali e affezionati alle piste del nostro territorio. Per realizzarlo hanno creato l’omonima società senza scopo di lucro: obiettivo primario, come dichiara il sito web dell’iniziativa (www.invernointasca.ch), «è quello di rilanciare il turismo invernale in Ticino, riportando la popolazione ticinese, ma non solo, sulle piste del nostro territorio, riavvicinandola agli sport di scivolamento». Un abbonamento multifunzionale che consente ai suoi possessori di accedere illimitatamente a tutte le stazioni sciistiche ticinesi d’inverno ma anche
Obiettivo: 25’000 adesioni entro il 30 giugno.
d’estate. Infatti, l’offerta sarà valida già a partire dall’estate 2018 e per la stagione invernale 2018-19. All’accesso libero sulle piste di Airolo, Carì, Nara, Campo Blenio e Bosco Gurin, Cioss Prato, Lüina, Prato Leventina, Bedea-Novaggio, Mogno, Dalpe-Bedrina, Sciovia-Cimetta, Alpe di Neggia, Piano di Peccia si affianca uno sconto per lo Skipass giornaliero di Splügen, San Bernardino Pian Cales, Andermatt, Disentis, Sedrun. Per l’estate 2018 la carta dà libero accesso agli impianti di risalita Airolo, Carì, Nara, Bosco Gurin e con sconti per Cardada, Monte Tamaro Monte, Monte San Salvatore. L’impresa è effettuata nella
forma di crowdfunding: bisognerà raggiungere l’obiettivo di 25’000 card riservate entro il 30 giugno 2018: in caso contrario il progetto non sarà realizzato. Importante: a chi ordina la propria card può ottenere da subito presso i 4 centri ACTIV FITNESS del Ticino (Bellinzona, Losone, Lugano e Mendrisio) uno sconto di Fr. 50.– sugli abbonamenti annuali e biennali: l’abbonamento permette di accedere a tutti i centri ACTIV FITNESS della Svizzera.
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Ambiente e Benessere
Cibo per l’anima
Scuola Club Migros Ticino Il Prof. Marco Ferrini e lo Chef Pietro Leemann in dialogo su alimentazione e benessere
Venerdì 8 giugno 2018 alle ore 17.00 la Scuola Club di Migros Ticino di Lugano ospiterà un evento d’eccezione: l’incontro di due grandi maestri, Marco Ferrini e Pietro Leemann. Per introdurre la serata abbiamo pensato di intervistarli.
Qual è per Pietro Leemann il «cibo per l’anima»?
Il miglior cibo per l’anima è sicuramente vegetariano, perché non nasce da un atto di imposizione. Il cibo per l’anima è un ponte tra noi, gli altri, la natura, con tutti gli esseri che la abitano. Da anni, anche attraverso Joia Academy, mi impegno per portare una alimentazione, più sana, più equilibrata, ecologica, senza però dimenticare il gusto e il piacere. La cucina sana può essere anche buona, non necessariamente punitiva… Se preparo un cibo ben condito, con una bella forma, ben presentato, mi avvicino all’ospite e faccio un doppio «affare»: il cibo è sano ma è anche buono e bello.
Quando si sono incrociate le vostre strade, Chef Leemann?
Ho conosciuto Marco Ferrini in occasione di una sua conferenza a Milano su un tema psicologico di taglio vedico-indiano. Ero alla ricerca di risposte filosofiche-teologiche e l’approccio di Ferrini mi ha colpito moltissimo, lo avvertivo assonante con il mio pensiero e la mia spiritualità. Così ho frequentato la sua scuola, il Centro Studi Bhaktivedanta, dove viene divulgato il sapere dell’India Antica e Vedica. Ho seguito un master in psicologia indiana e ayurveda e da allora siamo sempre in contatto. Abbiamo pensato di creare una scuola di cucina presso il centro studi gemellata con la mia Joia Accademy di Milano.
Prof. Ferrini, quale messaggio vuole lanciare con questo appuntamento alla Scuola Club di Migros Ticino?
Il messaggio è rivolto a tutti, perché riguarda l’importanza delle nostre scelte alimentari. Chi sceglie di nutrirsi in maniera sana, avrà maggiori probabilità di vivere meglio, con maggiore longevità
Ferrini e Leemann saranno a Lugano il prossimo 8 giugno, ore 17.00.
e vigore, sperimentando un benessere non solo sul piano fisico-biologico, ma anche su quello psicologico, emozionale, intellettivo e spirituale. È interessante
I protagonisti Il Prof. Marco Ferrini è guida spirituale, fondatore del Centro Studi Bhaktivedanta e direttore dell’Accademia di Scienze Tradizionali dell’India. Autore di oltre un migliaio di pubblicazioni, ripropone in chiave attuale il pensiero spirituale indo-vedico nel dialogo tra Oriente e Occidente. Lo Chef Pietro Leemann, precursore
della cucina verde, etica e sostenibile, è titolare di Joia, primo ristorante vegetariano europeo premiato con la stella Michelin e oggi l’unico stellato «veg» in Italia. La sua ricerca intreccia spiritualità, bellezza, gusto, salubrità. Da anni è impegnato in numerosi progetti con l’obiettivo di divulgare la propria filosofia di vita e di cucina.
La conferenza avrà luogo venerdì 8 giugno 2018 dalle 17.00 alle 20.00 alla Scuola Club Migros Ticino di Lugano, Via Pretorio 15. Iscrizione: CHF 38.–. Prenotazioni e informazioni
Tel. 091 821 71 50; scuolaclub.ticino@ migrosticino.ch; www.scuola-club.ch
comprendere che per la cultura indovedica l’alimentazione è connessa alla qualità della vita ed è in questa ottica che desidero offrire spunti di riflessione, perché mangiare non è solo limitarsi ad un’azione meccanica per nutrire il corpo: la scelta del cibo influenza l’intera nostra vita. In sanscrito il termine «anna» significa sia cibo, sia spirito. Con la nostra Accademia di Cucina per l’anima (www.cucinaperlanima.it), in collaborazione con chef stellati come Pietro Leemann, stiamo diffondendo queste conoscenze attraverso corsi accademici, teorici e pratici, rivolti a professionisti del settore, principianti o amatori.
Qual è il valore aggiunto di questa proposta che vede insieme yoga e alimentazione?
Studiare la scienza della nutrizione non solo in modo settoriale, bensì integrata con i saperi Yoga e Ayurveda, apre a straordinarie intuizioni e opportunità di miglioramento concreto della propria qualità di vita. In Occidente, lo Yoga è talvolta vissuto come una moda, e la nostra Accademia di Scienze Tradizionali dell’India desidera offrire l’opportunità di riscoprirne l’autentico scopo, capace di riarmonizzare corpo, psiche e spirito, capendone le straordinarie applicazioni qui ed ora nella nostra quotidianità, a cominciare dal campo dell’alimentazione. Con l’evento in programma presso la Scuola Club di Migros Ticino vogliamo offrire un’opportunità di approfondimento in questo ambito. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Ambiente e Benessere
Scaloppine di vitello al limone
Migusto La ricetta della settimana
Piatto unico
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Ingredienti: 4 scaloppine di vitello di ca. 150 g · sale · pepe · 2 limoni · 1 scalogno · 2 spicchi d’aglio · 2 cucchiai d’olio d’oliva · 400 g di pomodori cherry ramati · 4 cucchiai di capperi · 2 dl di fondo di pollame · ½ mazzetto di timo.
Tagliate le scaloppine a metà e conditele con sale e pepe. Spremete la metà dei limoni e affettate quelli rimasti. Tritate lo scalogno e l’aglio. Rosolate la carne a fuoco vivo nell’olio da entrambi i lati per ca. 1 minuto. Estraete le scaloppine dalla padella. Aggiungete lo scalogno, l’aglio, i pomodori e i capperi e rosolate brevemente. Sfumate con il succo di limone e il fondo. Unite le fette di limone e il timo e fate ridurre la salsa per ca. 2 minuti. Regolate di sale e pepe. Togliete la padella dal fuoco. Aggiungete la carne alla salsa e fate riposare per 2 minuti. Servite la carne con i pomodori e la salsa. Preparazione: circa 20 minuti. Per persona: circa 34 g di proteine, 8 g di grassi, 7 g di carboidrati, 260
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2016, Veneto, 2017, Pays d’Oc IGP, della clientela: 6 x 75 cl Italia, 75 clRatingFrancia,
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Giochi per “Azione” - Maggio 2018 Stefania Sargentini
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Ambiente e Benessere
Storie dall’oasi verde di Rohuna M O (N. 17 - Personaggi famosi) 1
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L 7 Il seme nel cassetto Umberto Pasti racconta la sua esperienza8 in un piccolo villaggio del Marocco, O P E dove ha costruito una casa con giardino 9 10 T R E 11 12 A parte che questo libro, che racLaura Di Corcia T A conta della costruzione di una casa e nel piccolo villaggio di «Non dovevo arrovellarmi. Qui a di un13giardino 14 15 16 17 Rohuna c’è bisogno di elefanti e c’è Rohuna, in Marocco (Pasti aveva già T A C C O C bisogno di mammut. Basta guardare da tempo una casa a Tangeri), ha una 18 la valle, la petraia sconfinata, il mare. vocazione spiccatamente narrativa. 19 O C H E S E È un luogo arcaico e solenne, dove Ma è proprio la lingua a cambiare, a scambi i cani per unicorni e le vacche lasciare le forse comode forre dell’iro20 21 22 che rientrano al tramonto, se non fai nia, habitat in cui l’acutissimo scrittore Z I I D I P attenzione, si trasformano in mino- e giardiniere si muove benissimo, per 23 24 25 26 tauri». Si capisce subito quale atmosfe- addentrarsi nei territori della magia, ra domini l’ultimo libro di Umberto dell’incantamento, della compenetraZ N S T O P Pasti, Perduto in paradiso (Bompiani, zione27dei tempi. Del resto, a Rohuna, 28 283 pagg.), un diario scritto con una Pasti ha voluto costruire un vero e proI O N I N I lingua raffinatissima, colta e di origi- prio Paradiso, aiutato in questo da un
E S T N A U R E T A U O R R P E O I C O C O L
Da un progetto paesaggistico si sviluppa una riflessione filosofica ed ecologica che coinvolge i lettori
SUDOKU PER
nale inventiva.
Di lui avevamo già parlato nel corso di questa rubrica, recensendo il suo Giardini e no, un libro di costume volto ad indagare la moda del verde alle nostre latitudini, che, smascherata, rivela una sola cosa: la paura dei fiori, delle piante, delle erbe, di tutto ciò che è vivo e pulsa e ci ricorda le nostre origini contadine (e forse prima ancora quelle animali). Il lettore che abbia già affrontato quel testo e magari anche il successivo Animali e no non si aspetti di trovare qualcosa di simile: con questa nuova fatica Pasti affonda le mani in qualcosa di totalmente diverso, prima di tutto a livello linguistico.
Giochi Cruciverba Lo sapevi che l’olfatto del labrador è... Completa la frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 7, 2, 5, 9, 2, 6)
nutrito gruppetto di contadini locali, dediti, fra le altre cose, allo spaccio di hashish e all’organizzazione dell’immigrazione clandestina. E quale lingua può raccontare il Paradiso, se non quella dell’immaginazione, quella surreali1 2 3 4 sta, volta a trasformare i dati del reale in qualcosa di diverso, di invisibile e forse 9 ancora più vero? per questo L’oasi di Rohuna nelle sue mani diventa un luogo di potenti accadimenti, 12 13 una terra di passaggio dove il confine fra reale e irreale si slabbra così come quello15 fra presente e passato. 16 Giova proporre qualche altro passaggio: «E l’allure di quasi tutti i miei amici, il co18 raggio e una certa violenza, retaggio del loro passato di macellatori di basilosauri in 20questo 21mare dove le sirene non hanno mai osato mettere coda, a me evocano il periodo azzurro e oro in cui 23 le Colonne d’Ercole, si stabiliqui, oltre rono cartaginesi e fenici, e venticinque secoli prima di me, accanto ad altari 25 intrisi del sangue di bambini immolati alla dea, piantarono i loro Giardini del26 protetti da muraglie di gule Esperidi,
(N. 18 - Per saperne di più) 5
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E B E T E A D A
T A M A R A V I N O N. 17 FACILE 10 11 A G I O SSchema A I O V 14 Un fotogramma del documentario girato in loco dal «New York Times». (nytimes.com) T R E S O M A R I attenti,8dove il bene e il sci di murici bolliti per17 estrarne la por- un’autentica esperienza di comunione. bisogna stare 4 male sono intimamente pora». Un luogo in cui è facile perdersi Pasti descrive un Marocco che è in biliA I D proA velano L il loro I doppio volto Cconnessi O e ri-L proprio dove nell’incantamento, ma attraversato da co fra presente e futuro, dove zone 8 9 1 7 4 19 squarci di violenza, dal male, per esem- tette e incontaminate, come Rohuna e meno te lo aspetti, si può trovare la feG5 sgretolando A R licità. A Come? V 1Ela terra. NOno-E Lavorando pio quello dell’ignoranza, che porta il i suoi N dintorni, si stanno 8 6 randola proprio nel momento in cui è gruppo di contadini-operai-giardinieri sotto i colpi secchi del progresso, dell’o22 brutalizzata da un tempo ostile, che se a picchiare un ragazzo per la sua omo- dio degli esseri umani nei confronti G I A2 D A 7 ne vuoleC liberare perché umiliato dalla sessualità. della natura. I suoi tentativi di salvare 24 Le contese sono all’ordine del giorgli iris dalla costruzione di hotel e case sua bellezza. E sono R commoventi T O– anche V U no, le asce si alzano con una certa fa- di vacanza 7 cilità, ma la sera cala sulle teste di tutti se concreti e fattivi. Bibliografia come una calda coperta, e allora il giarIn L quel Paradiso,T dove il sessoB O BPasti,9Perduto in paradiso, 6 va Umberto 2 dino diventa il luogo in cui i conflitti si spostato ai margini, quindi sulla spiag- Bompiani, 201, 283 pagg. appianano e in cui è possibile esperire gia, dove possono avvenire stupri e 2 N 5 A 3 8 O D I E R Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il 9cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con sudoku 5 9 3 il 7
(N. 19 - Olfatto da record) 1
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33. Fa binomio con labor 34. Pronome poetico 35. Piccolo gruppo VERTICALI 1. Rifacimento di brani musicali famosi 2. Lo zelo nel cuore 1 serba2 3 4 5 3. Città 4. Gesù ne passò tre nella tomba 5. Ardito, 11 temerario 7. Rendono idonee le idee 8. Scarse, insufficienti 13 sacri a Giove 14 9. Giorni 10. Opera di Giuseppe Verdi 12. Un 16grido nell’arena 17 18 15. Si distingue all’alba 18. Precedono la «v» 21 22 20. Posto, collocato
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
25 cinque carte regalo 26 Migros 27 28 29inserire la I premi, Partecipazione online: (N. 19 - Olfatto da record) del valore di 50 franchi, saranno sor- 1 soluzione sudoku 2 3 4 del5 cruciverba 6 7 o del 8 9 10 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato 30 31 12 13 32 11 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. 14 15 16 entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o 33 17 la 18 19 35che20riporti 36 zione del gioco. cartolina34 postale la so-
(N. 20 - Risate a denti stretti) 12 15
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18 19 Vincitori del concorso Cruciverba 15 su21«Azione 20», del 14.05.2018 22
R. Colombini, A. Guerriero, E. Mufatti 23 24 19 Vincitori del concorso Sudoku 25 su «Azione 20», del 14.05.2018
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K. Morinini, B. Sangiorgio
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N. 19 DIFFICILE
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O M I N I D S I S E 6 9 I R I T E L 7 O A 3 A R 1 5 T1 R I
Z N S T O P C O D SUDOKU PER - MAGGIO 2018 I O N della I N I Cprecedente O LAZIONE A Soluzione settimana PER N. 17SAPERNE FACILE DI PIÙ – Pare che il significato del nome eschimesi sia: ...MANGIATORI DI CARNE CRUDA. Schema Soluzione 5 9 8
ORIZZONTALI 1. Segno d’intesa 6. Secondo elemento di parole scientifiche che significa «sezione» 11. Lo è il cibo fritto 13. Ripari per implumi 14. Sulle spalle di vescovi e sacerdoti 16. Residuo centrale 17. Congiunzione francese 19. Una consonante 21. Monete indiane 23. Scherzi birboni 25. Le iniziali del pittore Rosai 27. Un tessuto 29. Nome maschile 31. Le iniziali dell’attore Siani 32. È andato... fuori uso
22. Isole del Tirreno 28 24. Tutt’altro che mesti 26. Un anagramma del 23 orizzontale 28.18 Una carta da giocodi più) (N. - Per saperne 30. Delude chi sperava 1 2 3 4 5 6 7 33. Le iniziali dell’attrice Rohrwacher
18 O MEDIO T NN. N Soluzione: O i 3 L I 2O S8 O5 Scoprire numeri corretti da inserire V nelle S T 7 O L9 E caselle colorate. 3T E T E7 S Giochi per “Azione” - Maggio 2018 R UStefania PSargentini I E1 3 T 8 M O L E S O T E R O P E N 6 A 5B N T R E U L R E I T A E T A T T A C C O C U O RI E T O 3 4 O C H E S E R P E EA I Z I I D I P O I
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T A M A R4A8 V I N O A 8G I 9 O 1 7 S 4 A I O V 5T R E 8 S O1 M6 A R I 5 2A I 7 D A L I C O L 7V 7 N G A R A E N E G6 I A D A 9 C2 9 2 5 3 E R T O V U8 20 9B O B L T 6 9O D 3 I 7 E R N 5 A
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S O N E T T3 8 O6 9 1 7G U F 4 5 99 4 3 8 2 1 6 7 A L I S E O2 3 7 8N6 5E9 4N1 I 4 2 5 9 2 3 1 66 7 8 T I O M 1 6 S8 4U7 9N3 2T 5 O 6 1 2 5 4 3 7 8 9 U V A A M8 7 E5 1D9 6E2 O 3 4 5 9 4 3 7 2 88 5 1 6 R I T A I G O R I N. 18 MEDIO 7 2 luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 2 8 5N del indirizzo, deve vincitori 8 5 6saranno 4O 7 avvertiti 9G3 N E2 1 IN C E N email N O Apartecipante T O MR I A I dei premi. essere Azione, per iscritto. 7 spedita 9 a «Redazione 3 4 1 4 7 Il 6 nome 9 2dei 3vincitori 8 1 sarà 5 O L I C.P. O S6315, O 6901N Lugano». I D I pubblicato su «Azione». Partecipazione Concorsi, 3 7 6 2 O A SMIsuiDEriservata L3 5esclusivamente I9 7 A1 8 a 4lettori 6Eche 2 C Non intratterrà V si S T O corrispondenza L E6 1 3 7 1 3 9 6 7 4in Svizzera. 1 3 5 9 2 8 6 concorsi. LeTvie legali Non risiedono E T E sono S escluse. 8 G RS 9E A AN E L I U
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Politica e Economia Scenari energetici Il caro-petrolio è ritornato in mezzo a noi e non solo a causa dell’Iran
Usa e Cina, guerra non solo di dazi Il confronto fra i due Paesi si sposta nel Mar Cinese Meridionale – ricco di materie prime e ricchissimo per il commercio – dove Pechino ha schierato i suoi missili per inasprire la propria presenza mandando un segnale anche a Washington
Criptovalute, lati negativi Investire in Bitcoin e affini è rischioso, inoltre suscita dubbi che si crei ricchezza dal nulla
Un fisco meno impietoso Rispetto agli altri paesi, in Svizzera il carico fiscale è minore, ma premi di cassa malati e di previdenza riducono il vantaggio pagina 29
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Sull’emergenza sociale in Venezuela è possibile vedere l’intera gallery fotografica in www.azione.ch. (Angela Nocioni)
Maduro rieletto in un Paese distrutto
Venezuela Il presidente è stato confermato con il 68 per cento delle preferenze, in un Paese scosso da proteste sociali
represse nel sangue, sempre più isolato dal resto dell’America Latina e in pasto a Cina e Russia che mirano al petrolio Angela Nocioni «Carnet de la Patria» si chiama. Fa le funzioni di una tessera annonaria, che garantisce gratis una serie di prodotti alimentari come dimostrazione di fedeltà. È stato il protagonista delle elezioni che in Venezuela hanno riconfermato alla presidenza della repubblica Nicolás Maduro. Con il Carnet si ha accesso alla distribuzione di beni basici. «Una carnet mensile oggi vale due chilogrammi di pollo» dice Felipe Villa, professore di storia a Caracas. Accanto a moltissimi seggi, il giorno delle elezioni sono stati montati grandi gazebo rossi. I cittadini dovevano passare di là prima di entrare a votare ed esibire il proprio Carnet de la Patria. Una forma ostentata di pressione e schedatura che il governo si limita semplicemente a negare, cancellando l’evidenza con ore di propaganda zuccherosa, scaduta di tono e di livello dopo la morte di Hugo Chàvez nel 2013, sostituito alla presidenza da Nicolas Maduro che non riesce a farsi riconoscere una leadership reale e che governa il Paese muovendosi come un burattino, ostaggio di una parte delle forze armate, un nutrito gruppo di ge-
nerali, unico reale potere in un Venezuela allo sbando. La bancarotta statale comporta il disgregarsi di quel poco di funzionante esistente ancora in Venezuela. L’emergenza sociale è drammatica. I prezzi raddoppiano letteralmente ogni mese. La monete non vale nulla e senza dollari non si vive. Chi non ha parenti che inviano valuta e viveri da fuori rischia la fame. Il numero dei poverissimi sta moltiplicandosi. Due milioni di venezuelani sono già scappati, soprattutto in Colombia e in Argentina. Chi resta deve sottoporsi ai tempi surreali di una città che galleggia sul petrolio, ma soffre numerosi black out per mancanza di energia elettrica. Il Paese è circondato dalla rigogliosa vegetazione del tropico, ma soffre per crisi idriche continue. Si finisce per rivendere illegalmente in strada sifoni di acqua recuperata in fiumiciattoli contaminati dove si riversano fognature e scarichi anche industriali senza nessun controllo. Maduro è stato rieletto presidente del Venezuela con il 68 per cento dei voti, ma l’impianto assolutamente illegale con cui è stato convocato il voto, indetto da un’assemblea costituente autoproclamatasi tale che fa le veci del le-
gittimo parlamento, esautorato ormai di ogni funzione, ha portato l’opposizione e la maggioranza della comunità internazionale a non riconoscere il risultato. Il principale candidato dell’opposizione, Henri Falcón, ha rifiutato di riconoscere la vittoria di Maduro. Secondo il Consiglio nazionale elettorale (Cne), il presidente uscente ha ottenuto 5,8 milioni di voti mentre il suo principale avversario Falcón ne ha ottenuti 1,8 milioni (il 21,2 per cento). Gran parte dell’opposizione ha deciso di non presentarsi alle consultazioni ritenendole irregolari. Secondo fonti ufficiali, l’affluenza alle urne è stata pari a circa il 46 per cento degli aventi diritto, mentre era stata dell’80 per cento alle elezioni del 2013. Molti seggi elettorali, anche quelli dei quartieri popolari, sono apparsi semivuoti per tutta la giornata del voto, mentre in Venezuela è usuale vedere i marciapiedi occupati da lunghe file di cittadini in attesa di votare. Tredici paesi latinoamericani più il Canada, riuniti nel cosiddetto Gruppo di Lima, hanno diffuso una dichiarazione comune denunciando che «gli standard internazionali per un processo democratico, libero, giusto e tra-
sparente» non sono stati garantiti nelle elezioni venezuelane. Bolivia, Cuba e Salvador hanno invece inviato messaggi di sostegno a Caracas. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato un ordine che limita la possibilità del governo venezuelano di vendere beni pubblici dopo le elezioni che la Casa Bianca ha definito «false». Si tratta di un ordine esecutivo che di fatto impone nuove sanzioni vietando ai cittadini statunitensi di essere coinvolti in operazioni legate alla compravendita di crediti connessi al petrolio e ad altri prodotti. La Cina, alleato e principale creditore del governo di Caracas, ha chiamato le parti a «rispettare la decisione del popolo venezuelano». Anche la Russia si è congratulata con Maduro e ha denunciato «il tentativo da parte degli Stati Uniti di influenzare il risultato delle presidenziali». La protesta russa difende interessi russi. Mosca sta mangiandosi il Venezuela un boccone alla volta. Ha firmato di recente con Caracas un accordo per dilazionare nei prossimi dieci anni il pagamento dei 3 miliardi e 150 milioni di dollari di debito venezuelano nei suoi confronti per l’ultimo credito statale
concesso nel 2011. Il nuovo calendario di pagamenti prevede quote minime per i prossimi sei anni e lascia per ora in sospeso il mancato pagamento di altre rate per vecchi prestiti accumulati negli anni. Una boccata di ossigeno finanziario per il governo di Nicolás Maduro, indebitato con creditori esteri per 150 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali dovuti alla Cina. Perché tanta disponibilità da parte di Mosca? Perché offrendo sostegno economico al boccheggiante Maduro, il presidente Vladimir Putin aiuta se stesso. La Russia, insieme alla Cina, si sta assicurando l’economia venezuelana e il petrolio di Pdvsa è il suo principale obiettivo. Ma è un obiettivo proibito. Perché l’impalcatura costituzionale venezuelana blinda la struttura pubblica dell’impresa statale del petrolio. Spiega Roland Denis, ex viceministro della pianificazione degli albori del chavismo e da anni ormai critico feroce del regime venezuelano: «Mettere a tacere il parlamento, controllato dall’opposizione, per eliminare l’ostacolo a iniezioni di cash russo, è uno degli obiettivi principali di Nicolás Maduro. I russi in cambio di soldi freschi vogliono l’industria del petrolio, affare vietato per legge».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Politica e Economia
Il caro-petrolio di nuovo fra noi Scenari Il rincaro dei prezzi energetici era incominciato già prima della decisione di Trump di ritirare gli Usa
dall’accordo sul nucleare iraniano. E intanto sul Venezuela scattano nuove sanzioni americane
Federico Rampini Con la rielezione di Maduro scattano subito nuove sanzioni americane sul Venezuela. Unite con quelle che l’Amministrazione Trump ha appena reintrodotto sull’Iran, spiegano almeno in parte il nuovo rischio di shock energetico. Il caro-petrolio è tornato in mezzo a noi. Penalizza i consumatori occidentali. Mette in difficoltà grosse economie emergenti come l’India. Ricostruisce ricchezze altrove: dall’Arabia Saudita (che può finalmente ridurre il proprio altissimo deficit pubblico, 12% del Pil) alla Russia di Vladimir Putin. Il greggio di tipo Brent, uno dei più seguiti come indicatore dei prezzi mondiali, naviga attorno a quota 78 dollari, con punte a 80 dollari. Per dare un’idea delle oscillazioni estreme – alle quali contribuisce poderosamente la speculazione finanziaria sui futures – si può ricordare che nell’arco dell’ultimo quindicennio da prima della crisi del 2007 questa materia prima ha toccato prezzi record di 150 dollari e minimi di 50 dollari.
In che misura il caropetrolio è manovrato? quanto può far male alla stabilità il mix dollaro forte, rialzo nei tassi e rincaro nelle materie prime? Alla congiuntura attuale contribuiscono le sanzioni americane: quelle sull’Iran, appena reintrodotte, potrebbero togliere dal mercato da 400’000 a un milione di barili al giorno, sul totale dei 2,4 milioni di barili che l’Iran è tornato a produrre. Con la parziale levata delle sanzioni decisa da Barack Obama, l’Iran si era riportato al terzo posto fra i produttori Opec. Il ripristino delle sanzioni contro Teheran annunciato da Donald Trump è al centro di una controversia internazionale. I paesi europei, di cui tre sono firmatari dell’accordo nucleare (Germania Francia Inghilterra), ribadiscono la loro fedeltà a quell’accordo e vorrebbero neutralizzare le sanzioni Usa. Cina e Russia sono sulla stessa linea. Il governo Rouhani vorrebbe assecondarli. Ma è molto difficile sfuggire alla «extraterritorialità» delle sanzioni Usa: le multinazionali sono di fronte all’alternativa impossibile di rinunciare a operare con gli Stati Uniti, se vogliono fare affari con l’Iran. Emblematico è il caso della Total, multinazionale petrolifera francese: ha già detto che dovrà abbandonare l’Iran se non ottiene una deroga speciale da Washington. È tornato a ribadire la linea dura il segretario di Stato Mike Pompeo: «Le sanzioni non cesseranno finché non vediamo
cambiamenti tangibili nelle politiche di Teheran, incluso il ritiro delle forze iraniane dalla Siria, la fine del sostegno a Hezbollah in Libano e agli Huthi nello Yemen, la cessazione delle minacce di distruggere Israele». Ma questo rincaro dei prezzi energetici era cominciato già prima della decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano. Se si guarda alla varietà di greggio chiamata West Texas Intermediate, il rincaro è del 50% dall’agosto scorso. Una fiammata così ha per forza diverse concause. Al primo posto c’è la robusta crescita globale. Anche se alcuni paesi emergenti cominciano a dare segni inquietanti di dissesto finanziario (Argentina, Turchia), non si è fermata né ha rallentato la sua crescita la coppia trainante del gruppo: Cina e India. La Cina continua a crescere del 6,8% annuo, tallonata e a tratti superata dall’India: messe insieme sono di gran lunga la maggiore fonte di domanda petrolifera nel mondo. Un secondo fattore è la ritrovata disciplina dell’Opec: il cartello petrolifero ha concordato con produttori non-Opec dei tagli di produzione di 1,2 milioni di barili al giorno; la decisione fu presa nel 2016 ed è stata rispettata, contribuendo al rincaro. Al terzo posto ci sono i rischi geopolitici in Medio Oriente, che includono la possibilità di un conflitto ravvicinato tra Iran e Israele o tra Iran e Arabia Saudita. Infine c’è un fattore ciclico negli investimenti: il lungo periodo precedente di basso prezzo del petrolio ha spinto le multinazionali del settore a congelare diversi progetti di estrazione o altri investimenti in infrastrutture, e questo provoca delle strozzature dal lato dell’offerta. Il caro-petrolio a sua volta ha una ricaduta sui tassi d’interesse: tendono a rispondere alle aspettative di inflazione. A cominciare da quelli americani. Con i Treasury Bond decennali oltre il 3% di rendimento, il debito pubblico Usa frutta più di quello di molte nazioni europee. E il dollaro si rafforza. Ma questo sta mettendo in difficoltà molte economie emergenti altamente indebitate in dollari: i possibili focolai di nuove crisi. Questi sono due temi da approfondire: in che misura il caro-petrolio e la possibile deriva verso uno shock energetico è «manovrato»; quanto può far male alla stabilità il mix di dollaro forte, rialzi nei tassi, e rincaro nelle materie prime. Le dietrologie sul petrolio possono chiamare in causa il ruolo dell’America, che negli ultimi anni si era issata in testa alle nazioni produttrici di energia, grazie a una rivoluzione tecnologica: l’avvento del fracking (un nuovo metodo di estrazione che usa potenti getti di acqua e solventi chimici) nonché della trivellazione orizzontale. Questi metodi hanno reso redditizi giacimenti che un tempo non lo erano, sia per il petrolio che per il gas naturale
Il complesso petrochimico di Grangemouth, in Scozia, di proprietà del gruppo chimico Ineos. (AFP)
e le rocce o sabbie bituminose. A tratti l’America ha superato la produzione di gas naturale della Russia e si è avvicinata all’Arabia Saudita per la capacità di estrazione di greggio. Tant’è che gli Stati Uniti da anni hanno smesso di importare dal Medio Oriente e dal Golfo Persico (una novità inaudita, che contribuisce a spiegare anche una tentazione di disimpegno strategico rispetto ai conflitti del mondo arabo). Se vi si aggiungono lo shale gas del Canada e le nuove scoperte in Brasile, il baricentro energetico del pianeta si è riequilibrato, con un ruolo molto più importante delle Americhe. Di qui la tendenza a spiegare l’attuale rincaro del petrolio come una «manovra» americana per restituire competitività ai propri piccoli produttori, molti dei quali avevano fatto bancarotta o erano appesantiti dai debiti quando il greggio era sceso ai minimi. Ma il settore petrolifero americano ha caratteristiche molto particolari, ben diverse dal Medio Oriente. Negli Usa il settore è in mano al libero mercato con una miriade di soggetti; altrove nel mondo ci sono grandi aziende pubbliche. Inoltre all’interno dell’economia Usa non mancano i perdenti, quando il costo dell’energia risale. La compagnia aerea American Airlines (nel trasporto il primo costo che incide sui bilancio è quello dell’energia) ha perso il 15% del suo valore di Borsa in un solo trimestre. Dagli automobilisti che pagano la benzina il 25% in più rispetto a un anno fa, fino alle compagnie di navigazione o ai colossi della logistica come FedEx e Ups, tanti prefe-
rivano un greggio a 50 dollari il barile. Un ruolo più importante nelle dietrologie sul caro-petrolio, lo svolge senza dubbio l’intesa che ha funzionato per i tagli di produzione fra l’Opec (Arabia Saudita in testa) e la Russia. Poi naturalmente sono intervenute le sanzioni con un ulteriore taglio alla produzione. La forza del dollaro accentua il rincaro energetico visto che le materie prime vengono quotate e scambiate nella valuta americana. Per molti anni – dalla fine del 2008 all’anno scorso – sul livello del dollaro ha inciso pesantemente l’effetto del «quantitative easing», cioè la politica della Federal Reserve studiata per sostenere l’uscita dalla crisi: complessivamente la banca centrale Usa ha acquistato 4500 miliardi di titoli. Questo ha depresso i tassi d’interesse ed ha avuto un effetto molto simile all’azione di «stampar moneta». Una sovrabbondanza di dollari e quindi i bassi costi per chi si finanziava in questa valuta, hanno incoraggiato l’indebitamento a tutti i livelli, pubblici e privati. All’interno degli Stati Uniti si è riaffacciato il vecchio vizio di una ripresa economica finanziata coi debiti dei consumatori. Ma ancora più destabilizzante è stato il fenomeno internazionale: nel mondo intero governi e imprese si sono indebitati in dollari, perché la liquidità abbondava e i tassi d’interesse erano convenienti. Anche senza considerare le banche americane, secondo una stima del Fondo monetario internazionale dal 2000 ad oggi i prestiti in dollari emessi da banche del resto del mondo sono passati da un to-
tale di 4000 miliardi al livello odierno di 14’000 miliardi. Poi è intervenuta la «cura Trump»: un mix di aumenti di spese federali (soprattutto nel settore della difesa) e di tagli alle tasse. La riforma fiscale varata dal Congresso a maggioranza repubblicana sul finire del 2017 ha ridotto il prelievo soprattutto sulle imprese, in parte minore anche sulle persone fisiche. Il risultato è scontato: secondo il Congressional Budget Office (un organismo indipendente) il deficit della finanza pubblica a livello federale salirà dai 665 miliardi dell’anno scorso ad 800 miliardi entro la fine di quest’anno. Un così forte aumento del deficit pubblico significa per forza un boom nell’emissione di Buoni del Tesoro, e per piazzarli Washington deve offrire rendimenti più alti. I mercati scommettono su questo scenario e stanno già sospingendo al rialzo i rendimenti. Dai Treasury Bond decennali ormai sopra il 3%, questo aumento dei tassi si trasmette ad ogni bond e ad ogni forma di prestito. Lo shock di un dollaro forte e di tassi in rialzo è duro soprattutto per chi non guadagna in dollari: le imprese non-americane e gli Stati esteri che si sono indebitati in dollari all’epoca del credito facile sono i più vulnerabili. Ora devono ripagare i propri debiti in dollari sempre più pesanti, e con tassi in ascesa, mentre le loro entrate sono in valute deboli. In altri tempi questo fu il detonatore di crisi che cominciarono dalla periferia. Argentina, Turchia e Sud Africa, sono appunto tra gli anelli deboli che cominciano a far tremare i mercati. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Politica e Economia Una soldatessa della People’s Liberation Army Navy sorveglia le manovre militari. (AFP)
Il grande gioco afghano Il punto Alla fine ad arrendersi
per sfinimento saranno probabilmente gli Usa e tutto l’Occidente Francesca Marino
L’ombra di Pechino sulla rotta del greggio
Mar Cinese Meridionale – 3. parte Xi Jinping ha deciso da tempo
che tutta quella regione marittima dovrà essere solo cinese
Beniamino Natale Nelle ultime settimane, il governo di Pechino ha intrapreso nel Mar della Cina Meridionale due iniziative di grande importanza, che sono in grado di cambiare per sempre i termini delle dispute territoriali che coinvolgono, oltre alla Cina, Vietnam, Filippine, Malaysia, Indonesia, Brunei e Taiwan. Via di passaggio del 90 per cento del commercio mondiale e di collegamento tra America, Asia ed Europa, ricca di gas naturale e di pesce, quella porzione di oceano, nella quale si trovano le isole Spratly e Paracelso, è anche quella dalla quale passa gran parte del petrolio che dal Medio Oriente viene esportato nell’Asia orientale. All’inizio di maggio, la rete televisiva americana CNBC ha affermato che per la prima volta Pechino ha installato dei missili Cruise terra-aria su Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef, tre delle scogliere che si trovano nell’arcipelago delle Spratly. I missili, ha specificato l’emittente, sono del modello YJ-12B che hanno una portata di 295 miglia nautiche (una miglia nautica equivale a circa 1,8 chilometri), e del modello HQ-9B, con una portata di 160 miglia; in altre parole sono in grado di minacciare numerosi paesi rivieraschi e tutte o quasi le navi che navigano nello specchio d’acqua conteso.
La trasformazione di scogli e isolette in basi militari navali dotate di piste d’atterraggio rappresenta lo strumento per far diventare irreversibile la «cinesizzazione» del Mar Cinese Meridionale «Prima di questo, se tu eri uno degli altri paesi con rivendicazioni territoriali sapevi che la Cina stava controllando tutte le tue mosse. Ora tu sai che ti stai muovendo all’interno della portata dei missili cinesi. È una minaccia implicita, ma piuttosto forte» ha dichiarato all’agenzia Reuters Greg Poling, un esperto del Mar della Cina Meridionale del Center for Strategic and International Studies di Washington. L’ammiraglio Philip Davidson, capo per il Pacifico della flotta statunitense, ha sottolineato che ora la Cina «può estendere la sua influenza per migliaia di miglia verso sud e proiettare il suo potere in profondità nell’Oceania». Poco più di due settimane dopo
sono stati i media cinesi ad annunciare che, anche in questo caso per la prima volta, alcuni bombardieri H-6K sono atterrati e ripartiti dalle piste costruite negli anni scorsi dagli ingegneri cinesi su una serie di isolotti tra cui Woody Island, che fa parte dell’arcipelago delle Paracelso. Da qui, i bombardieri possono rapidamente raggiungere qualsiasi paese del sudest asiatico. Con queste due mosse, quella che gli statunitensi hanno chiamato la «militarizzazione» del Mar della Cina Meridionale è completa. In corso da almeno una decina d’anni, l’opera di conquista dello strategico specchio d’acqua da parte di Pechino è di fatto completata. Prima la Cina ha ingrandito artificialmente alcune delle minuscole scogliere che fanno parte dei due arcipelaghi; poi ha incominciato a costruirci sopra edifici di vario tipo, a portarci elettricità e strumenti per la comunicazione; infine, a renderle praticabili dalla sua aviazione e dalla sua marina militare, che nei programmi degli strateghi cinesi dovrebbero essere nei prossimi anni in grado di sfidare la supremazia americana nella regione. Pechino rivendica tutto o quasi il Mar della Cina Meridionale basandosi sulla cosiddetta «Nine-Dash Line», la linea dei nove trattini, diffusa nel 1947 dall’allora governo cinese del Guomindang, il Partito Nazionalista del «generalissimo» Chiang Kai-shek. In origine i «trattini» erano undici ma due furono tolti dalla mappa in seguito alle obiezioni sollevate dal Vietnam negli anni Settanta, quando era un alleato della Cina in guerra con gli Stati Uniti. La «Nine-Dash Line» è una grande «U» che parte dalle coste cinesi nei pressi del confine tra Cina e Vietnam. Dopo essere passata dall’isola cinese di Hainan, si sviluppa poi su tutto lo specchio d’acqua e in alcuni punti passa a poche miglia marine dalle coste degli altri paesi rivieraschi. Con la guerra civile cinese e la vittoria dei comunisti (1949) e la guerra di Corea (1950-53), la «linea» era finita nel dimenticatoio. Pechino l’ha rispolverata nel 2009, consegnando alle Nazioni Unite una mappa del Mar della Cina Meridionale sulla quale la «NineDash line» è indicata come base delle sue rivendicazioni. La sovranità della Cina su questa parte del Pacifico, sostiene Pechino, è «indiscutibile» ed esiste «da tempo immemorabile». La Cina non ha però, finora, tradotto l’uso della «Nine-Dash line» in una rivendicazione esplicita di sovranità su tutto lo specchio d’acqua. L’importanza che Pechino attribuisce alla sua «proiezione strategica» in tutto il Mar della Cina Meridionale emerge chiaramente se si considera che negli ultimi anni numerosi dirigenti ci-
nesi hanno affermato che si tratta di una delle aree di core interest (interesse fondamentale) del Paese, un’espressione che in precedenza era stata usata solo in riferimento al Tibet e a Taiwan: questioni sulle quali Pechino non è disposta non solo a transigere, ma neanche a discutere. Come ha affermato in passato il Ministero della difesa di Pechino, gli arcipelaghi in questione «sono sempre stati parte del territorio della Cina»; ne consegue che «la Cina ha il diritto legittimo e legale di schierare strumenti di difesa all’interno del suo territorio». Non sorprende quindi che Pechino abbia ignorato la sentenza con la quale la Corte Internazionale di Arbitrato dell’Aja, interpellata dal governo delle Filippine guidato da Benigno Aquino III, ha affermato che le pretese cinesi «non hanno alcuna base». La Cina ritiene che il modo migliore per risolvere le varie dispute in corso sia quello delle trattative bilaterali, nelle quali può far valere la sua crescente importanza in tutta la regione. Finora la politica delle trattative bilaterali sostenuta dalla forza economica della Cina e dalla sua presenza militare nel Pacifico, ha dato buoni risultati, in particolare con le Filippine che, sotto la guida di Rodrigo Duterte, il successore di Aquino, hanno deciso di ignorare la sentenza a loro favorevole del tribunale dell’Aja. Dopo aver incautamente annunciato l’uscita degli Stati Uniti dalla TransPacific Partnership (TPP), l’organismo regionale creato dall’amministrazione Obama proprio per contenere la forte spinta cinese all’espansione, il presidente americano Donald Trump è corso ai riparti creando la «Quadrilater», vale a dire un’alleanza che comprende Usa, India, Giappone ed Australia, che prontamente è stata ribattezzata QUAD dai media americani. La prima riunione del QUAD ha coinciso con il lancio da parte dello stesso Trump del concetto di «Indo-Pacifico». In poche parole l’attuale amministrazione americana ha esteso il concetto di «Asia-Pacifico» fino a comprendere l’India, un’aspirante potenza regionale che confina con la Cina e che, a differenza della Cina, è governata con un solido sistema democratico. È da vedere se il QUAD riuscirà a coprire il vuoto lasciato dall’abbandono del TPP – sul quale pare sia in corso un ripensamento all’interno dell’amministrazione Trump. Gli altri paesi che avevano aderito all’iniziativa di Barack Obama – Canada, Messico, Perù e Cile in America, Giappone, Singapore, Brunei, Malaysia e Vietnam in Asia, Australia e Nuova Zelanda in Oceania – hanno deciso di andare avanti col progetto. Giappone e Australia sono membri di entrambi gli organismi e altri paesi potrebbero seguirli nel prossimo futuro.
«C’è una crisi piuttosto netta nella strategia militare degli Stati Uniti e degli alleati. Dovrebbero in teoria continuare a guadagnare terreno e a respingere i Talebani, mentre invece accade il contrario. Sono i Talebani a guadagnare posizioni respingendo le truppe governative afghane e gli americani. C’è stato nei mesi scorsi un deciso incremento dei bombardamenti da parte degli Stati Uniti che, secondo i militari, aveva come obiettivo principale i Talebani e l’Isis. Sembra evidente però, che ci sono state anche numerose vittime civili. Trump continua a bombardare, ma in teoria si dichiara aperto alle negoziazioni. Al momento, però, si limita a insistere su una resa incondizionata che non avverrà mai. Soprattutto perché i Talebani al momento sono molto più forti dello stesso governo afghano». Così Ahmed Rashid commentava gli attentati del 22 aprile scorso agli uffici in cui si registravano i votanti per le elezioni del prossimo ottobre in Afghanistan. Attentato che ha lasciato sul terreno circa sessanta persone e più di un centinaio di feriti ma che non è stato di certo l’ultimo in ordine di tempo a devastare il sempre più travagliato, e dimenticato, Afghanistan. La cosiddetta «offensiva di primavera», quest’anno, si è annunciata più letale del solito: anche perché attentati ed episodi di violenza non hanno subito alcuna battuta d’arresto durante l’inverno, anzi. Tra gennaio e marzo ci sono stati in Afghanistan circa ottocento morti e millecinquecento feriti, a cui vanno aggiunte le vittime delle violenze di aprile e maggio: circa centocinquanta morti e più di duecento feriti, secondo dati del South Asia Terrorism Portal. Inutile specificare che si tratta in maggioranza di vittime civili. I Talebani non sono mai stati così forti, nonostante il potenziamento dei militari e della polizia afghana e nonostante la ripresa in grande stile dei bombardamenti e delle offensive americane. Più del cinquanta per cento del Paese è in mano ai Talebani, che godono anche, checché se ne dica, del sostegno della popolazione locale spesso vessata dalla polizia ufficiale che spesso, oltre a essere corrotta, è del tutto incapace di proteggere i propri cittadini. Politicamente, il governo di Kabul è isolato quanto è detestato dalla maggioranza. La produzione di oppio raggiunge continuamente nuovi record, e finanzia abbondantemente le milizie Talebane e l’Isis: e i gruppi in questione combattono ormai, e pretendono di negoziare, da una posizione di forza. L’offerta di trattative incondizionate da parte del presidente Ghani si è tradotta soltanto in un aumento esponenziale
degli attentati, alcuni dei quali commissionati, secondo alcuni esperti, dal Pakistan. E il famoso «grande gioco» sta diventando ormai una partita in cui tutti giocano contro tutti, e tutti a carte coperte. I Talebani si rifiutano di trattare con il governo afghano, che non riconoscono, mentre gli Stati Uniti si rifiutano di trattare direttamente con i Talebani. La Russia invita Washington a rivedere le sue posizioni, se davvero intende far cessare una guerra ormai infinita: per contro, i militari americani accusano Putin e i suoi di fornire armi ai Talebani. Gli Usa accusano il Pakistan di tenere le fila sia dei Talebani che dell’Isis, mentre Islamabad nega di avere ormai alcun potere sul mostro che ha creato e punta il dito contro l’Iran, che finanzierebbe sottobanco alcune fazioni Talebane e che potrebbe entrare in gioco in modo ancora più incisivo come ritorsione contro la rottura del trattato sul nucleare. La Cina spalleggia il Pakistan e allo stesso tempo cerca contatti diretti con i Talebani. Che dal canto loro, in ultima analisi, non hanno alcuna intenzione di trattare sul serio. Come disse qualcuno molti anni fa, dalla loro parte hanno un’arma molto preziosa: il tempo. A terroristi e integralisti vari non importa quanto tempo ci vorrà ancora, non gli interessa del numero delle vittime civili e non. Sono a casa loro, e non devono fare altro che stare a osservare il gioco in atto sopra le loro teste: un gioco suicida perché è totalmente privo, come è ormai tragicamente chiaro a tutti, di alcun tipo di strategia. Chi sperava nella «nuova» strategia afghana dell’amministrazione Trump è rimasto amaramente deluso: non soltanto non c’è nulla di nuovo ma non c’è alcuna strategia, non c’è mai stata. Intensificare le azioni militari sperando in una resa dei Talebani non è soltanto una continuazione del passato, ma è anche stupido, visto che sul terreno, dati alla mano, a vincere sono i Talebani stessi. Dovrebbe essere evidente ma non lo è, visto che la Gran Bretagna sta pensando di seguire le orme di Trump e aumentare il numero di truppe in Afghanistan. Senza pensare che è molto più probabile, stando così le cose, che ad arrendersi, per sfinimento, non siano i Talebani ma l’Occidente e gli Usa in particolare. Lasciandosi dietro un cumulo di macerie e l’ennesima polveriera pronta a detonare con la benedizione e l’aiuto di tutti coloro che da questa guerra infinita hanno tratto e trarranno ancora beneficio: il Pakistan e la Cina, per la famosa profondità strategica. Ma anche la Russia e l’Iran, pronti a riscuotere i loro crediti al momento giusto.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Politica e Economia
Criptovalute: fra «prezzo» e «valore» Valute virtuali – 2 Dal 2009 in poi Bitcoin & co. hanno subito una vera e propria crescita esponenziale:
buone notizie, dunque? In questo secondo articolo indaghiamo gli argomenti contrari
Edoardo Beretta Se nell’articolo precedente (22.5.18) erano stati presentati gli argomenti a favore delle valute, cioè di quel nuovo strumento finanziario considerato da alcuni quale vero e proprio futuro delle monete per come si conoscono, è ora giunto il momento di dare voce anche agli aspetti di incertezza legati ad esse. Nello specifico, investire in criptovalute comporta un elevato livello di rischio dato dai repentini sbalzi di prezzo subiti anche nell’arco di poche ore. Se da un lato è vero che il pubblico di riferimento ancora ha difficoltà ad apprezzarle nella loro interezza (e, quindi, ciò ne può comportare significative fluttuazioni), dall’altro non si può dimenticare come nel trattare di «valori» e «prezzi» si debba fare uso − almeno a livello macroeconomico (sebbene meno nel gergo quotidiano) − di particolare prudenza. Per intenderci: se il prezzo di un’unità di criptovaluta è senz’altro più che positivo (si pensi che un Bitcoin attualmente costa 8089,52 dollari statunitensi1), un economista difficilmente potrebbe sostenere che il valore delle stesse sia diverso dallo zero (o suppergiù) in quanto create «dal nulla» (cioè originate da una mera scrittura contabile), senza alcuna copertura fornita da un metallo prezioso o dalla capacità economica di uno Stato (cioè dal PIL) ‒ come dovrebbe, peraltro, avvenire per le stesse emissioni monetarie delle banche centrali. Il principio di creazione di tale strumento finanziario su base privata,
cioè svincolato da un sistema bancario, pone di fronte ad una problematica del tutto nuova. Perché se è vero che le «monete private» sono state teorizzate nell’arco della storia da grandi autori quali Friedrich August von Hayek (1976), lo è altrettanto che in epoche di bolle finanziarie con uno «scollamento» sempre più evidente fra il prezzo di vendita/acquisto di un bene/servizio ed il suo valore effettivo, le criptovalute certo presentano elementi non particolarmente dissimili. Difficile, infatti, immaginare come sia possibile che un soggetto privato (ma anche pubblico) crei ricchezza dal nulla, cioè mediante la mera capacità computazionale del proprio PC collegato ad una rete informatica. L’argomento della scarsità delle criptovalute dato dall’impossibilità tecnica di emissione sopra ad un livello prestabilito − nel caso del Bitcoin vi sarebbe una tendenza ad un limite di 21 milioni di unità − non «tiene» allo stesso modo, poiché il numero «scarso» (o, più precisamente, calibrato sul fabbisogno) di esse dovrebbe essere solo uno fra gli elementi portanti di ciascuno strumento finanziario. Con parole semplici: la scarsezza di quanto «non ha valore intrinseco» non gli fa certo acquisire «preziosità innata» ‒ semmai, laddove vi sia un’elevata domanda, ne fa lievitare il prezzo di vendita. Senza concedersi a tecnicismi, sia comunque detto che nessun soggetto (grande o piccolo che sia) può «sdebitarsi» mediante una semplice emissione monetaria, che avverrebbe in questo caso addirittura in house: se
In Giappone, dall’aprile 2017 il Bitcoin è una forma di pagamento legale. (Keystone)
i sostenitori delle criptovalute ne ribadiscono quindi la funzione di «moneta», allora il principio di cui sopra si applica incondizionatamente. In altre parole, sarebbe impensabile un sistema economico, in cui i pagamenti siano effettuabili non in termini «reali», cioè attingendo a redditi o ricchezze precostituiti. Se ci si scandalizza degli usi medievali in capo al feudatario di «battere moneta» (con cui finanziare le proprie spese non altrimenti finanziabili), non si può non farlo nel caso delle criptovalute. A chi ricordasse come le stesse banche centrali abbiano sovente sovraemesso liquidità per sostenere il sistema
economico-finanziario si deve replicare che tale agire non porterà ad altro che inflazione e/o fluttuazioni sui mercati valutari/finanziari. Per assurdo: se la ricchezza fosse generabile dal nulla, il problema della povertà nel mondo sarebbe «annullato». Reinterpretando ed aggiornando ai tempi un aneddoto formulato da J.M. Keynes (1936): qualora nottetempo si facessero trovare bottiglie piene di banconote nel giardino di ciascuno, ciò non creerebbe ricchezza aggiuntiva, bensì un incremento del livello dei prezzi tale da annullare altrettanto rapidamente i benefici di tale cadeau. Per non parlare dell’elevato consumo di energia elettrica, che occor-
re per generare tali strumenti finanziari: essendo il mondo asiatico fra i maggiori «minatori» di tali criptovalute, oltre che caratterizzantisi per energia non sempre «pulita», è evidente che allo stato attuale tale criticità sia lungi dall’essere trascurabile. Se è vero che alla tecnologia della blockchain è attribuito un importante potenziale, essa è anche criticabile per garantire quella trasferibilità di denaro nello spazio di pochi minuti, escludendolo dal controllo degli istituti bancari: è anche paradossale che molti Paesi europei abbiano limitato l’uso dei contanti, che garantiscono sì anonimato ma non immediatezza di trasferimento, quindi sono meno «comodi» in caso di attività illecite. Quali saranno i futuri sviluppi delle criptovalute potrà dirlo solo il tempo. Che ci sia qualcosa di fondamentalmente inconsueto è dimostrato dal differenziale di prezzo fra un’oncia (28,35 g) di oro ‒ attualmente, a 1340,10 dollari2 ‒ ed il Bitcoin, che ha raggiunto nel 2017 massimi storici di quasi 20’000 dollari3. Da Creso a Mida fino a Paperon de’ Paperoni ne sarebbero sconvolti: e un po’ anche noi. Note
1. Quotazione come riportata a metà giornata del 13 aprile 2018 (https:// coinmarketcap.com/all/views/all/). 2.https://www.apmex.com/spotprices/gold-price. 3. https://www.coindesk.com/90020000-bitcoins-historic-2017-pricerun-revisited/. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Politica e Economia
In Svizzera un carico fiscale minore ma cassa malati e previdenza pesano Fiscalità Uno studio dell’OCSE mette in evidenza grandi divari fra l’incidenza dell’onere fiscale sul salario
e quindi sul reddito che rimane, dopo le imposte e i contributi sociali Ignazio Bonoli Un recente studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) contiene un interessante confronto sul carico fiscale che devono sopportare i cittadini dei vari paesi. Al centro dello studio sono posti i salariati, suddivisi come sempre in due categorie fiscali: i singoli e gli sposati con due figli, con un solo salario che entra in famiglia. La domanda alla quale si vuole dare una risposta è: del salario annuale lordo quanto rimane dopo che sono state pagate le imposte e i contributi sociali? Le differenze tra i paesi sono enormi, ma anche quelle fra il contribuente singolo e quello sposato sono molto alte. In Svizzera, quello che rimane di un salario lordo medio, dopo la deduzione delle imposte e dei contributi sociali, è molto più alto che nella maggior parte degli altri paesi. Lo scorso anno, un contribuente singolo senza figli doveva versare (in media) il 16,9 per cento del salario lordo al fisco e agli istituti sociali. La media dei paesi dell’OCSE era invece del 25,5 per cento. Ma, tra i paesi messi a confronto, le differenze sono grandi: in Belgio, per esempio, il prelievo fiscale e parafiscale raggiunge il 40,5 per cento, in Germania pure il 40 per cento e in Danimarca circa il 36 per cento. Le differenze ri-
spetto alla Svizzera devono però essere relativizzate, poiché la statistica non tiene conto dei contributi sociali obbligatori, ma versati ad organizzazioni non statali, come la cassa malati o la previdenza professionale. Inoltre, in Svizzera soprattutto, l’incidenza fiscale e parafiscale varia da cantone a cantone e da comune a comune: nello studio dell’OCSE i dati utilizzati sono quelli della città di Zurigo, che non è però una delle più favorevoli. Interessante notare il divario fra l’imposizione della persona singola e quella dei coniugati con figli. Nella media dell’OCSE il carico fiscale e parafiscale per i secondi (con due figli) è del 14 per cento. Quindi ben inferiore alla media del 25,5 per cento per le persone singole. In tutti i paesi si nota una tendenza netta della fiscalità a favore delle famiglie. Nei citati Belgio e Germania, il carico fiscale e parafiscale per le famiglie è di circa la metà di quello per le persone sole. Solo in due paesi del Sud America (Messico e Cile) i due carichi fiscali si equivalgono. Le differenze fra i due tipi di tassazione si giustificano in gran parte con le cosiddette spese di trasferimento (nel nostro caso assegni famigliari e per figli, per esempio). Negli ultimi anni, questi aiuti alle famiglie sono aumentati in modo sensibile in molti paesi. In Polonia, si è perfino giunti e
ridurre l’aggravio fiscale, in modo che la parte del salario rimanente, dopo le imposte e i contributi, è perfino aumentata del 4,8 per cento, per un coniugato con un solo salario e due figli a carico. La Svizzera, con il Canada e l’Irlanda, rimane tra i paesi più favorevoli, con un aggravio medio del 3,5 per cento del salario lordo. Si tratta di una cifra molto bassa, ma concernente redditi del lavoro di classi comparabili sul piano internazionale. Ovviamente la Svizzera con salari elevati e fiscalità contenuta, tenuto conto da un lato che non figurano nella fiscalità spese obbligatorie come il premio di cassa malati e quello della previdenza professionale, dall’altro degli aiuti sociali (assegni di vario tipo, sussidi per spese obbligatorie) figura certamente – a questi livelli – fra i paesi fiscalmente più favorevoli. Inoltre, si deve tener conto che il reddito sul quale vengono calcolate le incidenze fiscali è molto più basso del reddito imponibile, a causa delle numerose deduzioni. La stessa OCSE calcola che per un reddito lordo medio di 86’042 franchi, dopo le deduzioni, rimane un reddito imponibile di 58’900 franchi. Su questo reddito si pagano imposte per 3631 franchi. A questo si devono aggiungere i contributi sociali obbligatori, in media di franchi 5356, per cui l’aggravio fiscale sale a 8987
Quanto resta in tasca al contribuente, in Svizzera rispetto agli altri paesi? (Keystone)
franchi. Da questo imponibile vengono ancora dedotti 6000 franchi di assegni per figli, per cui rimane alla fine una cifra di 2987 franchi, che corrisponde al 3,5% del reddito lordo. Per i contribuenti che superano questi limiti, a causa della progressione delle aliquote fiscali, l’incidenza sul salario lordo aumenta. Come si sa, attualmente in Svizzera l’incidenza media della fiscalità è di circa il 31% del reddito lordo. La statistica dell’OCSE permette di constatare che, negli ultimi sei anni, l’incidenza della fiscalità è in generale leggermente
diminuita, dopo essere salita all’inizio della crisi finanziaria. L’OCSE calcola anche il cosiddetto «cuneo fiscale», cioè la differenza fra i costi salariali del datore di lavoro per dipendente e il reddito residuo del salariato dopo le imposte, i contributi sociali e i sussidi di vario tipo. Nel 2017, in Svizzera, per una persona sola era in media del 35,9% dei costi salariali. Anche per quanto concerne l’aggravio totale vi sono forti differenze: per esempio in Svizzera è del 21,8%, ma in Germania di più del doppio: 49,7%. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Politica e Economia
Occhi aperti sull’AVS La consulenza della Banca Migros Jeannette Schaller
La rendita AVS dipende direttamente dallo stipendio
Potete calcolare la futura rendita AVS sulla base del vostro stipendio mensile. Esempio di lettura: un reddito salariale di 5000 franchi comporta una rendita AVS di circa 2000 franchi. Importante: questa rendita implica l’assenza di lacune nei contributi.
Spesso però si rinuncia al reddito per occuparsi dei figli o di parenti che necessitano di cure. In questo caso, sia per i compiti educativi nei confronti dei figli fino ai 16 anni che per l’assistenza ai parenti, si ricevono degli accrediti AVS pari al triplo della rendita minima annua. Ma fate attenzione: mentre gli accrediti per i compiti educativi ven-
gono automaticamente conteggiati, nel caso dei compiti assistenziali bisogna richiedere ogni anno l’iscrizione alla cassa di compensazione. A quanto ammonta quindi in definitiva la vostra rendita AVS? Richiedete un estratto conto presso la cassa di compensazione AVS. Vi servirà come base orientativa per il conteggio della futura
Fonte: UFAS, stato aggiornato al 2018
Jeannette Schaller è responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros
Per molti l’AVS costituisce la parte fondamentale della previdenza per la vecchiaia. Per questo vale la pena di dedicarle una particolare attenzione. Si riceve infatti una rendita intera solo se i contributi dell’AVS sono stati sempre versati, per le donne nel periodo dai 21 ai 64 anni e per gli uomini dai 21 ai 65 anni. Per ogni anno mancante la pensione viene ridotta del 2,3%. Si creano delle lacune contributive, ad esempio, se si presta servizio per breve tempo presso diversi datori di lavoro, se si svolge un corso di studi pluriennale o se si rimane all’estero per un lungo periodo. I contributi dell’AVS si possono versare a posteriori solo entro 5 anni. Questo è il motivo per cui si consiglia di richiedere un estratto conto alla cassa di compensazione AVS ogni 4-5 anni. Risulta avvantaggiato chi è sposato o registrato in un’unione domestica: il partner che non esercita attività lucrativa non è soggetto all’obbligo dei contributi qualora l’altro partner eserciti un’attività lucrativa e versi almeno 956 franchi all’anno (stato aggiornato al 2018). I contributi dell’AVS dipendono dallo stipendio. Per questo anche il reddito medio percepito riveste particolare importanza nel determinare l’importo della rendita AVS. Solo coloro che tra i 21 e i 64/65 anni di età hanno guadagnato almeno 7050 franchi al mese o 84’600 franchi all’anno, arrivano alla rendita massima di 2350 franchi al mese (si veda grafico).
pensione, che potrete effettuare voi stessi tramite www.acor-avs.ch, oppure ordinare presso la cassa di compensazione. Informazioni
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Finanze risanate: di chi il merito? Da qualche settimana conosciamo il risultato finanziario del Cantone Ticino per il 2017. Ed è un risultato che merita complimenti. Infatti, contrariamente al deficit di 60 milioni, anticipato dal preventivo, il consuntivo annuncia un’eccedenza di 45 milioni. Finalmente, dopo anni di difficoltà finanziarie, la gestione del Cantone sembra aver ritrovato la via dell’equilibrio. È vero che nel messaggio che accompagna il consuntivo il governo minimizza e, accennando ai fattori che hanno aiutato a conseguire questo risultato,
ricorda che taluni hanno avuto carattere straordinario e non si ripeteranno nel futuro. Tuttavia è altrettanto vero che, come mostra la curva del grafico riprodotto qui a lato, l’eccedenza del 2017 si iscrive in una tendenza al miglioramento della situazione che, fortunatamente, si stava manifestando da qualche anno. Quindi il riassestamento delle finanze cantonali non è una chimera, ma è una bella realtà che, si spera, possa continuare per qualche anno ancora. A cosa si può attribuire questa tendenza? Generalizzando si
Il grafico mette in evidenza come la crisi finanziaria mondiale in Ticino sia durata più a lungo che in altri Cantoni.
può affermare che sui risultati d’esercizio dei Cantoni influiscono due categorie di fattori: la prima è quella dei fattori esterni al Cantone, ossia dei fattori sui quali le autorità cantonali non hanno nessuna possibilità di intervenire. Si tratta in primo luogo della congiuntura economica e, in secondo luogo, delle decisioni che vengono prese a livello federale circa i trasferimenti finanziari tra Confederazione e Cantoni. La congiuntura economica può influire in modo diverso da Cantone a Cantone a seconda della composizione per rami delle rispettive strutture di produzione. Le decisioni della Confederazione, invece, si ribaltano sulle finanze dei Cantoni in misura maggiore o minore a seconda dell’importanza, per ciascun Cantone, del tipo di trasferimento finanziario in causa. Per esempio: misure di risparmio della Confederazione che riguardano il militare, il sociale o la gestione del territorio rischiano di colpire maggiormente il Ticino che gli altri Cantoni in media. Ci sono poi i fattori interni al Cantone, in particolare il rigore con il
quale vengono amministrate le finanze del Cantone. Quasi tutti i Cantoni hanno inserito nelle loro leggi finanziarie il principio del riequilibrio delle finanze nel breve periodo. Entro un termine di 3 a 5 anni un eventuale deficit d’esercizio dovrebbe essere eliminato e i conti del Cantone dovrebbero tornare al pareggio. Vi sono Cantoni che si attengono scrupolosamente a questa norma, altri che invece cercano di interpretarla nel modo più largo possibile. A questo proposito ci si può chiedere se il Ticino figura tra i Cantoni che si prendono a cuore questa norma oppure tra i leggeroni che cercano di rimandare il risanamento finanziario alle calende greche. Nel corso degli ultimi dieci anni il Ticino sembra appartenere al novero dei Cantoni che amministrano con sagacia le proprie finanze. Questo risulta dal confronto delle due curve del grafico, quella che riproduce l’evoluzione del risultato d’esercizio del Cantone Ticino e quella invece che riproduce l’evoluzione del risultato d’esercizio dell’insieme dei Cantoni. Avvertiamo il lettore che per
poter comparare queste due curve, e contenere il grafico in dimensioni che possono essere pubblicate sulla pagina di questo settimanale, abbiamo moltiplicato per cento il risultato di esercizio del Canton Ticino. Il confronto ci dice due cose: dapprima che la crisi finanziaria è durata, in Ticino, più a lungo che nell’insieme dei Cantoni (5 invece di 4 anni) e, in secondo luogo, che l’ampiezza della stessa, in termini di deficit di esercizio relativo è stata maggiore in Ticino che nell’insieme dei Cantoni. Insomma, confrontato con una crisi finanziaria di ampiezza maggiore di quella conosciuta dalla maggioranza degli altri Cantoni, il governo ticinese ci ha messo un anno in più degli altri a ritrovare l’equilibrio nelle sue finanze. È una prestazione degna di lode. Ma forse il rispetto del principio del riequilibrio delle finanze a medio termine lo si deve, più che all’oculatezza del ministro delle finanze, alla congiuntura economica che, dal 2011 al 2015, ha favorito in modo particolare la crescita dell’economia ticinese. In questo caso speriamo che... la duri!
nostra voglia di mostrarci, di interagire, di commentare, di farci vedere più originali, più unici addirittura. Non è, questa, un’ambizione recente: Tom Wolfe scrisse nel 1976 Il decennio dell’io, un piccolo saggio pubblicato sulla «New York Review» che raccontava, o meglio intercettava, il momento in cui tutti ci buttammo a capofitto sull’unico tema che ci interessava veramente: l’io, noi stessi. La cura di sé, la propria immagine, le proprie ambizioni (anche i propri tabù: il primo capitolo si intitola «Io e le mie emorroidi») erano diventate prerogative di tutti, e ognuno voleva trovare il proprio spazio per finalmente farsi vedere, farsi notare. I social network hanno fornito la piattaforma perfetta perché quel decennio e quell’io potessero esprimersi al meglio: una volta raccolte le informazioni necessarie, che noi abbiamo dato con grande entusiasmo perché proprio questo volevamo fare, parlare di noi, le azien-
de tecnologiche si sono attrezzate per prenderci per mano e accompagnarci un po’ ovunque. La casella di posta si è messa a segnalarci le email che ritiene più importanti (anche se non le avevamo lette); i siti di e-commerce ci dicono i prodotti che possono interessarci (e lo fanno con una precisione quasi spaventosa), e così via. C’entra sempre di più anche l’amore, visto che Facebook, per quanto in crisi, ora vuole vendersi anche come il posto in cui si trova l’uomo della vita, quello per sempre, non l’avventura di una sera. Il modello di business di Facebook si fonda su di noi: per questo Zuckerberg si è fatto così docile e furbo, non può permettersi che noi ci stufiamo di avere un amico del cuore invisibile che sa tutto di noi e ci tiene per mano. Questo non significa che l’assenza di responsabilità – trafficare con i dati, rivenderli – è giustificata, ma resta il fatto che Zuckerberg conta sul fatto che no, non ci stuferemo.
lui chiama «società parziali»: sono sodalizi che perseguono unicamente interessi particolari, vettori di disgregazione sociale. A quel punto «il nodo sociale comincia ad allentarsi e lo Stato a indebolirsi… la volontà generale non è più la volontà di tutti; sorgono contraddizioni, discussioni; e il migliore parere non è approvato senza dispute». Come si vede, sono numerosi i brani traducibili in anti-politica, o comunque in sfiducia verso il sistema basato sulla delega. Proclamare Rousseau campione della democrazia diretta non è quindi errato, anche se vanno sempre tenute presenti le condizioni storiche – nel caso specifico il Settecento – in cui quelle affermazioni presero forma. L’abbiamo detto all’inizio: Rousseau è un pensatore affascinante, ma al contempo ambiguo (com’è d’altronde ambiguo lo stesso M5S). Il tarlo si annida nella «volontà generale», concetto che
assurge nei suoi scritti ad entità superiore inscalfibile: «chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò che non significa altro, se non che lo si costringerà ad essere libero». Obbligare alla libertà: un paradosso che il Novecento, il secolo delle ideologie totalitarie, di Hitler e Stalin, ha visto applicare alla lettera. La strada dell’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni. Si continui dunque a leggere Rousseau, ma con cautela, magari con accanto i libri di Montesquieu. Perché la democrazia diretta è un metodo che non va lasciato a se stesso; dev’essere sorvegliato, corretto, corredato di apposite «regole del gioco». In assenza di tutto questo, è solo uno strumento destinato a cadere nelle mani dei demagoghi di turno. Come accadeva spesso cinquant’anni fa, durante le convulse assemblee del Sessantotto.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Non prendiamocela con Zuckerberg Mark Zuckerberg ha imparato presto la sua parte in questo nuovo spettacolo in cui gli è stata riservata la parte del cattivo. Il ceo di Facebook è mite, docile, furbissimo: si presta agli «interrogatori» di gruppi di politici tendenzialmente innocui, evita quelli più ostili. È stato al Congresso americano, è stato all’Europarlamento, non vuole andare ai Comuni inglesi, dove i metodi sono storicamente più brutali – i parlamentari britannici sono abituati al Question Time del primo ministro, un’arena in cui se non sai difenderti, rischi di soccombere. Ogni volta Zuckerberg recita lo stesso testo: un po’ di scuse per il mancato controllo, qualche spiegazione sul caso Cambridge Analytica che ha mostrato in modo più evidente quanto sono preziosi i dati raccolti da Facebook, qualche ammissione sulle ads russe che hanno contaminato le campagne elettorali dal 2016 in poi (ma ora sono regolamentate). Poi l’interrogatorio finisce e rimane quel
senso di occasione perduta, che è poi l’obiettivo originario di Zuckerberg. Il Parlamento europeo in questo senso ha fatto un capolavoro. Ha chiesto al ceo di Facebook di presentarsi, ha ottenuto finalmente un sì, ha organizzato una diretta per poter far vedere al mondo l’interrogatorio e poi ha mandato a fare le domande i capigruppo, che hanno sparato tutte le cartucce all’inizio lasciando così a Zuckerberg la possibilità di rispondere solo a quel che voleva lui, tralasciando ogni pericolo o anche solo ogni dettaglio scivoloso. I capigruppo si sono subito lamentati, non era così che doveva andare, ma per ora resta loro soltanto la nuova regolamentazione europea sulla privacy che dovrebbe in qualche modo dare senso a questa gita europea di Zuckerberg. Assieme all’incontro con Emmanuel Macron il giorno successivo, assieme a molti leader della Silicon Valley, che è forse il vero motivo per cui il ceo di Facebook si è prestato allo show di
Strasburgo. Fa una certa impressione vedere fuori dai palazzi della politica delle proteste con le maschere di Zuckerberg, come una volta (ancora, ma pochissimo) c’erano quelle dei «criminali di guerra» Bush e Blair. Il traffico di dati personali è uno degli affari più redditizi e pericolosi di questa stagione, e il desiderio di protezione è alto: maggiori regolamentazioni sono necessarie. Ma il problema non riguarda – ahinoi – soltanto Facebook o soltanto la presunta mancanza di responsabilità di Zuckerberg, quanto piuttosto la leggerezza con cui tutti noi abbiamo alimentato questo pericolo. Ora ci arrivano molte notifiche per rivedere gli accordi che abbiamo preso con le aziende più grandi della rete, quei «termini e condizioni» che di solito saltiamo e accettiamo senza troppi convenevoli e a cui oggi prestiamo (forse) più attenzione. Ma il business di Facebook e degli altri si fonda sulla
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Rousseau padre spirituale dei grillini Nato a Ginevra nel secolo dei Lumi, Jean-Jacques Rousseau è stato – ed è tuttora – al centro di accese controversie. Giacobino? Padre scriteriato e paranoico? Anticipatore di formule politiche tanto geniali quanto equivoche? La sua biografia è punteggiata di conversioni e di fughe, riflessi di tormenti interiori che lo spingevano a girovagare tra l’arco neocastellano e la Francia, per poi approdare a Londra dove trovò modo di litigare con David Hume. Fu musicista, botanico e naturalmente scrittore politico, autore del celeberrimo Du Contrat social pubblicato nel 1762, uno dei testi classici del pensiero moderno. Ma oggi il ginevrino ruba la scena per un altro motivo: l’esser diventato una «piattaforma». La «piattaforma Rousseau» è un’invenzione della Casaleggio Associati e del comico Beppe Grillo, i fondatori del Movimento 5 Stelle (M5S), la nuova
cometa del firmamento italiano. Costituisce il cuore pulsante del movimento, centro nevralgico in cui confluiscono le opinioni, gli umori e infine le preferenze dei militanti collegati via computer. A detta degli apologeti, questo sistema garantisce all’utente la massima partecipazione possibile, dato che abbatte ogni steccato, ogni ostacolo che ostruisce la comunicazione tra la base e il vertice; in sintesi, rappresenta l’espressione più alta e più nobile della democrazia diretta. Una testa, un clic, un voto. Insomma, Rousseau elevato a padre di un rinnovato protagonismo dei cittadini, finora defraudati dei loro diritti e ridotti a mute pedine dalla casta al potere. Ci si può chiedere, naturalmente, se questa interpretazione del ginevrino sia corretta e filologicamente fondata. Per rispondere bisogna scorrere i testi. Scrive nel Contratto sociale: «Il popolo
inglese crede di essere libero, ma si sbaglia di grosso; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento; appena questi sono eletti, esso diventa schiavo, non è più niente. Nei brevi momenti della sua libertà, l’uso che ne fa merita di fargliela perdere». Esemplare è invece la via imboccata dai vicini dei cantoni svizzeri: «Quando si vedono presso il popolo più felice del mondo gruppi di contadini regolare gli affari dello Stato sotto una quercia, e condursi sempre saggiamente, ci si può impedire di disprezzare le raffinatezze delle altre nazioni, che si rendono illustri e miserabili con tanta arte e tanti misteri?». No quindi alla democrazia rappresentativa, che troppo a lungo rende inerte la cittadinanza; sì invece a pratiche come la «Landsgemeinde», arengo in cui i convenuti decidono in prima persona senza mediazioni. Rousseau è anche ostile ai partiti, che
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Cultura e Spettacoli La musica di Tonya Il film sulla pattinatrice finita in disgrazia è accompagnato da un’ottima colonna sonora
Cannes senza americani Nonostante l’assenza quasi eclatante del cinema Made in USA, l’edizione del 2018 del Festival più importante del mondo ha comunque presentato pellicole di tutto rispetto
Nel grattacielo Tommaso Donati ha fotografato la vita della Signora Teresa, portinaia a Pregassona
La superficie (apparente) Diego De Silva dà dipendenza, come dimostra il suo ultimo romanzo sulla superficie pagina 38
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Canaletto, Il Molo verso ovest con la Colonna di San Teodoro a destra, Venezia, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco, Raccolte d’Arte Antica, 1474. (© Comune di Milano - tutti i diritti di legge riservati. Photo Credit: Saporetti 1995)
Venezia reinventata con Canaletto Mostre A Roma fino ad agosto, oltre a quadri celebri e in parte inediti, sono esposti anche documenti
che permettono di meglio capire le visioni e i progetti del grande artista veneziano Blanche Greco «Fedele al vero, realista e pignolo». «Scenografico, e immaginifico». «Di cattivo carattere, esigente e avido». «Geniale, moderno e generoso». Giudizi, lodi sperticate e critiche velenose che, su Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto, sembrano rincorrersi da una sala all’altra della Mostra a lui dedicata a 250 anni dalla morte, a Palazzo Braschi a Roma, dove oltre ai suoi quadri – quelli che lo resero famoso a Venezia, in Inghilterra e nel mondo – sono esposte le lettere dei suoi amici collezionisti e dei mercanti d’arte; quelle dei nobili viaggiatori del Gran tour, acquirenti delle sue vedute; di amici e colleghi veneziani, che lo imitano e lo invidiano, anche se lui, talentuoso e famoso, ormai vecchio, è malato e povero. Sino al suo epitaffio. La Mostra Canaletto 1697-1768, curata da Bożena Anna Kowalczyk, con oltre 60 opere tra dipinti e disegni, per la prima volta in Italia racconta con vivacità non la sua Venezia, o la sua Londra, ma l’artista, dagli esordi alla fine della sua vita, in un percorso diviso in nove sezioni. Accanto ai documenti dell’epoca, campeggiano molti dei suoi quadri più celebri, assieme a quelli co-
nosciuti e «invisibili» finalmente riuniti in questa esposizione per illustrare Canaletto: la sua storia, i progressi della sua tecnica, i cambiamenti, i suoi interessi, la «conquista della luce», in una sorta di viaggio pieno di scoperte dove Roma, ha avuto un ruolo determinante nella vita del pittore. «L’avventura artistica di Canaletto inizia proprio in questa città, dove arriva in trasferta, al seguito del padre Bernardo, pittore, che da un paio d’anni lo ha preso nel suo atelier incaricato per le scenografie teatrali delle opere di Antonio Vivaldi e poi per quelle di Scarlatti, e dove il diciassettenne Canaletto si fa conoscere per l’immediatezza del tratto e la bellezza dei disegni». – ci racconta la curatrice Bożena Anna Kowalczyk – «Roma lo incanta, a contatto con il mondo artistico romano, l’architettura e le rovine dell’antichità, la pittura scenografica di Canaletto diventa una pittura di capricci archeologici, dai quali prende avvio tutta la sua avventura artistica e la decisione di diventare vedutista e di dipingere Venezia, prima con quel suo modo scenografico e poi, progressivamente, sotto l’influsso delle nuove teorie scientifiche sulla luce di Newton e quelle sulla percezione di George Berkeley», che porteranno il suo gusto a cambiare
fino a creare una “veduta” di Venezia razionale e scientifica, che sarà il suo trionfo». È quella rappresentazione che, con la sua luce limpida, cristallizzata, è destinata a diventare parte del mito di Venezia e di Canaletto stesso: è l’immagine che ancora oggi ci portiamo dentro. Il Canal Grande da nord, verso il ponte di Rialto, e il Canal Grande con Santa Maria della Carità, della Pinacoteca Gianni e Marella Agnelli di Torino, che sono esposti per la prima volta assieme al manoscritto dell’epoca che ne narra i retroscena, sono il primo e l’ultimo dipinto, di una serie di quattro, eseguiti su commissione, e, come sottolinea Bożena Anna Kowalczyk, «rappresentano lo spartiacque tra il giovane genio e il raggiungimento della maturità artistica: in essi c’è la “giovinezza”, ma anche la sperimentazione». In un’altra sala il grande e sfarzoso dipinto: Il Bucintoro di ritorno al molo il giorno dell’Ascensione, proveniente dal Museo Pushkin di Mosca; come pure la veduta del Molo verso ovest con la Colonna di San Teodoro a destra, della Pinacoteca del Castello Sforzesco, ci mostrano un Canaletto spettacolare, che realizza dei quadri di cronaca della vita veneziana: il primo descrive la più importante festa religiosa e politica della città, con il Bucintoro e le
gondole degli ambasciatori; l’altro con il mercato del pesce e dei polli, ingombro di botti e di vecchie sedie abbandonate qua e là, mentre compratori e venditori gesticolano e passeggiano, sembra un teatro a cielo aperto. «Sono quadri dove l’artista, appare attento ai minimi dettagli, perché Canaletto in ogni momento della sua creazione è un cronista, però dobbiamo pensare che è un cronista del quale, proprio per il suo talento, non dobbiamo sempre fidarci». Chiosa la curatrice, ricordandoci il disegno L’incoronazione del Doge sulla Scala dei Giganti di Palazzo Ducale, una stupefacente rappresentazione dove il Doge e gli altri dignitari sono puntini trascurabili davanti alla bellezza scenografica della facciata e dello scalone del Palazzo. «Grazie ai quadri e ai disegni ottenuti, ho avuto la possibilità in questa mostra di fare un discorso allo stesso tempo razionale e poetico», ci fa notare Bożena Anna Kowalczyk guardando la Veduta di Chelsea vista dal Tamigi, dipinto dell’ultimo periodo, quello londinese: un grande quadro che, ancora oggi, cela un mistero. Infatti in un’epoca imprecisata venne tagliato, e il Governo Cubano, che ne possiede la «parte destra» nel Museo dell’Avana, per la prima volta ha lasciato uscire la tela dal Paese, così che potesse
essere ammirata, accanto alla «parte sinistra», di proprietà del National Trust in Inghilterra, ricostituendo così, nella mostra romana, la Veduta nella sua «interezza», con i colori di una paletta che racconta gli influssi e le contaminazioni che il paesaggio inglese ebbe sull’arte di Canaletto. Ma niente poteva far dimenticare all’artista, ormai anziano, quella Roma che lo aveva abbagliato in gioventù, e, nel Capriccio del Duca di Norfolk (altro prestito eccezionale), che è la quintessenza della sua squisita immaginazione, si fondono motivi romani come la Piramide Cestia e un Arco di Trionfo con accenti rinascimentali; motivi neo palladiani e veneziani, con al centro una figura in primo piano che «è una delle più carismatiche e affascinanti di Canaletto». E la curatrice Bożena Anna Kowalczyk conclude: «Si pensa spesso a Canaletto solo come al vedutista di Venezia, mentre è uno dei più noti e importanti artisti del Settecento europeo». Dove e quando
Canaletto 1697-1768. Roma, Museo di Roma, Palazzo Braschi (Piazza Navona 2). Orari: ma-do 10.00-19.00. Fino al 19 agosto 2018. www.museodiroma.it.
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Cultura e Spettacoli
Tonya dei ghiacci
Musica L a colonna sonora dell’intenso biopic I, Tonya (ispirato alle vicende della pattinatrice Tonya Harding)
rivela un approccio studiato quanto intelligente all’arte dell’accompagnamento musicale per il cinema Benedicta Froelich Sebbene sia difficile spingersi fino al punto di affermare che la delicata arte della compilazione di colonne sonore cinematografiche stia oggi vivendo un momento clou, è fuor di dubbio come la recente invasione di film di successo ambientati nel più recente passato abbia dato origine a esempi di soundtrack particolarmente riuscite, tutte contraddistinte da una scelta ormai confermata come vincente: quella di concentrarsi su musica «vintage» rigorosamente appartenente al periodo in cui la pellicola d’origine è ambientata – in un espediente che, grazie al potere dell’effetto nostalgia, ha garantito a queste raccolte un notevole successo, indipendentemente dall’opera cinematografica a cui si riferiscono.
Le colonne sonore, se ben assemblate sono capaci di scatenare irresistibili riverberi di nostalgia Di primo acchito, il CD che accompagna l’uscita del biopic I, Tonya, diretto da Craig Gillespie e interpretato dall’eccellente Margot Robbie, potrebbe apparire come appartenente a questa categoria, presentandosi come una sorta di compendio pop-rock dell’epo-
ca in cui i fatti narrati si sono svolti (a cavallo tra i primi anni 80 e i 90): ma in realtà, il criterio qui seguito è ben più raffinato, in quanto ogni brano della colonna sonora accompagna in modo cruciale le diverse scene della pellicola, influenzandone e condizionandone fortemente il carattere. Ne è esempio lampante il pezzo con cui il film si apre – l’irresistibile quanto potente Fair to Love Me, il quale, diversamente dalle altre canzoni presenti nella tracklist, risale appena all’anno scorso: una gradevolissima mistura di R’n’B e sfumature hip-hop che, fin dalle prime scene, imprime nella mente dello spettatore la natura battagliera e intransigente della protagonista. Il film ripercorre infatti la controversa vicenda della statunitense Tonya Harding, celeberrima pattinatrice sul ghiaccio che, nel 1991, fu la prima ad eseguire in gara una figura complessa come il triplo axel, guadagnandosi il rispetto della comunità sportiva internazionale – rispetto presto spazzato via, insieme alla sua intera carriera, dallo scandalo che la travolse in seguito all’accusa di essere coinvolta nel pestaggio subito dalla rivale Nancy Kerrigan. Oggi, come per uno strano scherzo del destino, l’ormai quarantasettenne Tonya ha visto l’interesse nella sua figura risvegliato di colpo non solo dall’uscita di questo film, ma anche dalla struggente ballata (dal titolo, appunto, di Tonya Harding) recentemente dedicatale dal connazionale Sufjan Stevens,
Margot Robbie è la protagonista di I, Tonya. (Keystone)
il quale, restio a giudicare l’eroina della propria giovinezza («Dio solo sa cosa tu sia»), ha sottolineato come per Tonya il successo agonistico rappresentasse il riscatto da un’infanzia orribile e dalla povertà e disagio sociale che l’avevano bollata come «white trash» agli occhi dell’upper class americana. Un elemento presente con particolare forza anche nel film, grazie ai magistrali brani strumentali appositamente composti come «original score» da Peter Nashel – il quale, sulla scia del maestro Philip Glass, intesse passaggi inquietanti e destabilizzanti, volti a trasmettere l’alter-
nanza di luci e ombre che la figura della Harding incarna: si veda l’ottimo Tonya Suite, in cui una sorta di tango «à la Astor Piazzolla» prende la forma tipica dei pezzi strumentali impiegati dai pattinatori per i cosiddetti «programmi liberi» previsti da ogni competizione agonistica. Ma la selezione pop-rock che costituisce il fulcro dell’album regala altrettante soddisfazioni: vi si ritrovano intramontabili oldies, tra cui classici degli anni 80 come la ballatona romantica Romeo and Juliet dei Dire Straits, o il nichilistico Gone Daddy Gone, a firma
Violent Femmes – entrambi esempi del tipo di brani dallo spirito fortemente «narrativo» privilegiati dalla colonna sonora; o perfino tracce rabbiose e potenti come Free Your Mind, delle indimenticate (e sottovalutate) En Vogue, e l’amaro Shooting Star (Bad Company). Ma I, Tonya propone anche diverse gemme rock risalenti ai «Seventies», quali The Chain, firmata dai Fleetwood Mac, e la popolarissima Goodbye Stranger dei Supertramp – il che dimostra come il potere evocativo abbia infine vinto sull’assoluta fedeltà al contesto temporale del film. E se dispiace che il CD ometta alcuni dei brani presenti nella pellicola (ad esempio, la versione firmata dai Gun del brano Every 1’s a Winner degli Hot Chocolate, o il travolgente Sleeping Bag degli ZZ Top, fulcro di una cruciale scena di pattinaggio), bisogna dire che non capita spesso di imbattersi in una colonna sonora contraddistinta da una tale efficacia narrativa, evidente fin dall’interdipendenza tra la narrazione filmica e i brani prescelti come suo accompagnamento – in un legame in cui, infine, il concetto stesso di «colonna sonora» viene innalzato da mero sottofondo a elemento fondamentale nel racconto cinematografico; ciò che, in fondo, Wim Wenders aveva già tentato con le sue opere degli anni 90. E la speranza di chi scrive è che, oggi, tale esempio possa essere seguito anche da altri, giovani filmmaker a venire – per farsi, un giorno, prassi. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Affari di famiglia d’oro
L’«umanità» di Ricky Gervais
alla magnifica Palma giapponese
TV Una produzione
Festival di Cannes Un’edizione in ripresa, un’«America in fuga», l’occasione non sfugge
Netflix, scritta e interpretata dall’attore britannico
Fabio Fumagalli È stato un Festival di Cannes diverso: in pratica, non c’erano gli americani. Succede per la prima volta; e non è cosa da poco. Da quando il cinema esiste, Hollywood l’ha fatta da padrone. Comunque rassicuratevi: se è certamente in atto un cambiamento radicale nel cinema, c’è da scommettere che avverrà da quelle parti. Non a caso è l’americanissimo Netflix, con la sua indifferenza per lo spazio delle sale, ad agitare le acque. Aggiungete Weinstein e la tardiva crociata nei confronti di un universo che fino alla 71esima edizione ha assegnato una sola Palma a una donna, era il 1993 e Jane Campion la vinse con Lezioni di piano. C’è da meravigliarsi se a Cannes, peraltro invasa da esponenti del business americano, concorrono solo paio di pellicole targate Hollywood? Occorre accettare la proiezione, ma solo in seconda battuta (cioè dopo il debutto negli Usa), dell’insignificante Solo: a Star Wars Story? Meglio digerire l’idea che gli americani sembrino ormai preferire Venezia o Toronto, in una stagione, quella autunnale, che li avvicina maggiormente al prediletto appuntamento degli Oscar. In un contesto del genere consola il fatto che le scelte della fulgida Cate Blanchett e compagni non abbiano ovviato del tutto a considerazioni squisitamente estetiche e strettamente cinematografiche. A cominciare da quella splendida Palma d’Oro assegnata a Shoplifters (Un affare di famiglia), un film giapponese ventuno anni dopo L’anguilla di Shohei Imamura. È un titolo emblematico, quello del film di Kore’eda Hirokazu, autore nel 1995 del magnifico esordio di Maborosi, seguito da (quasi) capolavori come After Life e Nobody Knows, Still Walking e Father and Son. Per la quinta volta a Cannes, Kore’Eda non è soltanto il cineasta delicato di un’emozione che qui raggiunge il proprio apice, ma un cesellatore della cellula famigliare, poeta della filiazione, dei rapporti anche conflittuali fra generazioni. Oppure, come qui, di una solidarietà che dilaga nel racconto: Shoplifters s’inventa con
Alessandro Panelli
Il cast di Shoplifters, film vincitore del Festival di Cannes. (Keystone)
humour e grazia ai margini della società giapponese. La sempre sorprendente Kirin Kiki è l’anziana che, nel suo modesto appartamento e unicamente con la propria pensione, vive un’esistenza incurante delle imposizioni morali e sociali. Nel minimalismo della sua esistenza c’è la coppia formata da un operaio edile e l’impiegata di una lavanderia, la studentessa che lavora nel locale a luci rosse, un ragazzino trovato abbandonato in un’auto. Un insieme singolare, poiché privo di qualsiasi legame di sangue; infine ci sarà la bimba raccolta per strada, forse abbandonata dai genitori, alla quale saranno inculcati i principi dello «shoplifter» – il taccheggiatore responsabile della sopravvivenza famigliare. Una vita serena, fuori dai luoghi comuni imposti dalla società: destinata a scomporsi, quando le leggi di quest’ultima verranno ad oscurare il bagliore effimero dei fuochi artificiali nel cielo di Tokyo. In un Festival dominato dall’Asia, guardare oltre la Palma significa sfidare i compromessi. Non è sfuggita alle regole questa giuria dalle decisioni dignitose, su una selezione in ripresa rispetto a quella dell’annata precedente. Poche le scelte imperdonabili: come quell’im-
maturo Les filles du soleil di Eva Husson, per il quale l’ansia della partecipazione femminile ha annebbiato l’esigenza di un linguaggio all’altezza. Si è parlato addirittura di una Palma a Nadine Labaki, per il generoso e sopra le righe Capharnaüm: ma ci si è limitati a un Premio della Giuria. Per una Palma ingombrante si è poi pensato d’inventarla: quella destinata al Livre d’image di Godard, definita speciale per «ricompensare il lavoro di una vita, l’ambizione di ridefinire cosa fosse il cinema». Tutto vero, ma senza il coraggio di concedere quella vera, di palma. Spike Lee è risorto: il suo BlacKKKlansman introduce con divertente lucidità neri ed ebrei all’interno della stupidità razzista del Ku Klux Klan di Colorado Springs. Per non arrendersi nemmeno nell’anticamera delle stanze di Trump. Il suo Grand Prix rappresenta il meritato argento di Cannes 2018. L’Italia si aspettava di più del premio all’Interpretazione Maschile a Marcello Fonte per Dogman di Matteo Garrone; e del Premio alla Sceneggiatura per l’Alice Rohrwacher di Lazzaro Felice. In uscita sugli schermi italiani, ne riparleremo a breve.
L’Interpretazione Femminile è andata alla sorprendente Samal Yeslyamova di Ayka, firmato dal kazako Sergey Dvortsevoy. Una settimana fa avevamo parlato di tre pellicole: Cold War del polacco Pawlikowski, 3 Faces del libanese Jafar Panahi e Uomini e donne di fiumi e laghi del cinese Jia Zhang-ke. Le prime due hanno conquistato rispettivamente il premio per la Migliore Regia e quello per la Sceneggiatura; il che ci rassicura sulla nostra lungimiranza. Ma non rassicura completamente invece l’assenza del terzo film dal palmarès, che ci induce a considerarla una delle sviste più clamorose di Cate Blanchett e dei nostri eroi. Di svista ve n’è poi un’altra, assolutamente incomprensibile. La collocazione degli indimenticabili, ma a tratti impegnativi 188 minuti di The Wild Pear Tree (Il pero selvaggio) nell’ultimissima proiezione di una manifestazione gigantesca che riduce al lumicino il buon senso dei presenti. Assieme, forse, alla relativa ignoranza da parte della giuria. E se fosse stato proprio il film di Nuri Bilge Ceylan il capolavoro assoluto di Cannes 2018?
«Rick, perché non hai figli?» «Perché i figli sono degli scrocconi. Non fanno altro che dire “Io voglio, Io voglio, Io voglio... Papà vestimi, Papà sfamami... Papà pagami la chemioterapia...”» Questo è uno dei tre motivi per i quali Ricky Gervais non vuole figli, e questa è solamente una delle numerose battute di black humour con il quale il comico britannico inasprirà i vostri cuori, poiché nonostante la pesantezza e la crudeltà delle sue parole, riuscirà a strapparvi più di un sorriso. Ricky Gervais, ateo dichiarato fin dall’infanzia e sostenitore dei diritti degli animali, è uno dei personaggi più influenti e discussi del mondo dello spettacolo e in particolare del Regno Unito. Infatti, oltre ad essere uno stand up comedian, ha lavorato nel mondo del cinema, è uno sceneggiatore, regista e produttore. Durante la sua carriera ha conquistato la critica internazionale vincendo tre Golden Globes, due Emmy e sette BAFTA. Ultimamente è divenuto ancora più famoso a livello mondiale per aver condotto la cerimonia di premiazione dei Golden Globe per ben quattro anni nell’ultimo decennio. Il suo compito: fermare l’emorragia di spettatori. Bisogna arrivare ben preparati per la visione di Humanity, la sua ultima stand up comedy: non si sa mai che cosa uscirà dalla sua bocca, poiché il comico riesce a scherzare su ogni cosa: dalla religione alle malattie mortali, dai generi umani declinati in tutte le varianti ai genocidi. Le sue battute sono taglienti,
I segreti di Chris lo svizzero Festival di Cannes – 2 Presentato a Cannes anche il lavoro della svizzera Anja Kofmel che,
dopo avere seguito le tracce di un cugino scomparso, ha scoperto una verità inattesa
Il trailer di Humanity.
Nicola Falcinella Era già passato in versione non definitiva alle Giornate del cinema svizzero di Soletta lo scorso gennaio, riscuotendo larghi consensi. Chris The Swiss dell’esordiente svizzera Anja Kofmel si è confermato una delle visioni più interessanti della 57esima Semaine de la critique, la sezione del Festival di Cannes organizzata dai critici francesi e riservata alle opere prime e seconde. Un documentario animato d’indagine che parte dalle vicende personali e familiari dell’autrice per andare a scavare in uno degli avvenimenti più tragici e complessi della storia europea recente. Era partito per l’oceano, le avevano detto a proposito del cugino Christian. Così si parte da immagini di acqua per andare, molti anni dopo, a ricostruire la vita di Christian Würtenberg, giornalista di Basilea appassionato di questioni estere. Un giovane cronista trovato morto, con segni da strangolamento e con indosso una divisa, all’inizio di gennaio 1992 vicino a Osijek, in Croazia, dove si era recato per seguire il conflitto tra la repubblica da poco dichiaratasi indipendente e la Federazione jugoslava che stava perdendo pezzi
La locandina ricorda Valzer con Bashir dell’israeliano Ari Folman.
ed era preda dei deliri nazionalistici di Slobodan Milošević. La regista cerca la verità sulla fine del cugino incontrando i testimoni e gli ex colleghi, mettendo insieme tutti i pezzi possibili. Oltre a volere spiegazioni sui fatti accaduti, cerca di capire le motivazioni del parente, cosa l’abbia spinto a quelle scelte e come si sia tro-
vato in determinate situazioni. E scopre informazioni spiazzanti su di lui: una delle prime scoperte è che il giovane era in realtà un agente segreto e che l’attività giornalistica non era che una copertura. E apprende le vere ragioni di un precedente viaggio in Africa del sud, dove Chris si era arruolato nelle milizie della Namibia. Mentre si arrende alla realtà di un cugino molto diverso da quello che ricordava ed era stato raccontato, Anja Kofmel cerca anche di capire il conflitto e le parti in causa, compreso il coinvolgimento dell’Opus Dei nella guerra e nell’omicidio e quello del terrorista Carlos «lo Sciacallo». L’accusato è il controverso Eduardo Rosza Flores, detto Chico, giornalista di padre ungherese e madre catalana, nato in Bolivia e cresciuto in Ungheria. Il documentario Chico del magiaro Ibolya Fekete del 2001 ne racconta in parte la storia, come nel 1991 arrivò in Croazia in qualità di corrispondente, ma presto si arruolò come militare e arrivò a ottenere pure la cittadinanza croata. Flores fu ucciso nel 2009 in Bolivia con l’accusa di preparare un attentato al presidente Evo Morales. Alla morte di Würtenberg si lega anche quella del fotografo inglese Paul
Jenks, ammazzato poco tempo dopo nelle stesse aree. La Kofmel, che al tempo dei fatti non aveva ancora 10 anni, ha lavorato sette anni prima di arrivare al completamento del film. I disegni realizzati come appunti e come impressioni durante il viaggio e la ricerca sono stati il punto di partenza per la parte animata in bianco e nero: non solo vanno a integrare ciò che non c’è, ma contribuiscono a trasmettere la dimensione drammatica della storia. Più volte le immagini si trasformano da reali ad animate e viceversa con belle soluzioni, mentre la regista non risparmia di mostrare le situazioni più crude. Un lavoro che può far pensare a Valzer con Bashir, ma soprattutto ricorda quelli della romena Anca Damian, come Crulic – The Path To Beyond e La montagne magique. Una regista che utilizza la combinazione di immagini dal vero, tra repertorio e interviste, e animazione, per integrare ciò che manca, al servizio di indagini rigorose. Una tecnica sempre più impiegata che riesce a unire approfondimento ed emozioni, come dimostra un altro esempio presentato sempre a Cannes, nella sezione Quinzaine des realisateurs: Samouni Road dell’italiano Stefano Savona.
fredde, caustiche, dirette e fulminanti. Gervais non ha peli sulla lingua e in un mondo dove tutti sono politically correct, lui va controcorrente e denunciando una società che prende tutto sul personale, «una società, per dirla con Gervais, nella quale il popolo medio fa schifo». Questo lo dimostra all’interno dello show leggendo i commenti negativi che gli arrivano nei vari post che pubblica su Twitter. Ricky Gervais è un personaggio ambiguo che, provenendo da un background di povertà, mette in risalto i propri successi senza farsi problemi. La sua comicità si basa sulla libertà d’espressione e su un abuso della stessa che a volte infastidisce le persone più sensibili. Egli ritiene infatti che chi riesce a scherzare sulle avversità sarà indistruttibile. Nonostante alcune battute sopra le righe, appoggiamo la sua filosofia perché la morte è l’unica certezza per tutti e la risata, anche se spesso amara, è il solo e potente antidoto per alleggerire questa consapevolezza. Al giorno d’oggi trovare una comicità di grande livello come questa non è così difficile, ma una comicità così sincera e spietata sì, ed è proprio quello di cui, di tanto in tanto, abbiamo bisogno.
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Cultura e Spettacoli
Immagini di Teresa
Metafora teatrale, alimento creativo
Fotografia A Ligornetto Casa Pessina presenta il lavoro
del giovane artista ticinese Tommaso Donati
Teatro È andato in scena Insomnia,
spettacolo dei neodiplomati di Verscio
Giovanni Medolago Tommaso Donati è un trentenne artista luganese diplomatosi all’EICAR (Ecole internationale de création audiovisuelle et de réalisation) di Parigi. Il suo lavoro si divide tra la fotografia, il cinema documentario e quello sperimentale. Alcuni suoi cortometraggi sono stati presentati in numerosi Festival internazionali, tra cui quello di Locarno. È proprio sulle rive del Verbano che è nato il suo interesse per le immagini; la magia di Piazza Grande – confessa – lo ha affascinato, permettendogli inoltre di scoprire quell’altro cinema cui ci ha abituato la rassegna locarnese. La sua formazione di regista appare evidente nella mostra che gli sta dedicando Casa Pessina di Ligornetto, schietta e diretta sin dal titolo, Teresa. Le sue immagini sembrano infatti fotogrammi di un film ancora da girare. Protagonista assoluta la Signora Teresa, portinaia del cosiddetto Grattacielo di Pregassona, costruito nel 1962 in quella che allora era ancora la campagna luganese. Donati entra nel suo universo con estrema discrezione, tenendo altresì ben presente il monito di Charlie Chaplin, uno che di immagini ne sapeva qualcosa: «Bisogna sempre sfrondare»! La sua è una fotografia diremmo essenziale, che stimola lo spettatore a cercare un racconto al di là dell’inquadratura. E allora poco importa sapere che succede in quell’immenso edificio (16 piani, 75 appartamenti: quasi un intero quartiere dentro un solo edificio), poiché il ritratto che Donati ci propone di Teresa diventa paradigma di tante
Giorgio Thoeni
La Signora Teresa è protagonista del lavoro di Donati.
altre esistenze, forse umili ma certo ricche di emozioni, sentimenti, disincanti, nostalgie, momenti particolari di un quotidiano apparentemente uguale e monotono. Una sedia dimenticata in un angolo, le foto di famiglia appese alla pareti, il telefonino con l’immagine-ricordo di un matrimonio che forse Teresa riguarda accarezzandosi teneramente la
fede che porta al dito e ripensando al destino. Un destino che dalla Calabria l’ha portata a Pregassona, in quello che da vanto architettonico della città (sebbene, all’epoca, non mancarono certo le voci che gridavano alla scandalo, lamentando una skyline rovinata per sempre...), subendo non solo le ingiurie del tempo, oggi torna al centro della cronaca (quasi) solamente per le retate antidroga periodicamente compiute dalla polizia. Donati non cerca «la bella inquadratura» e come detto concede pochissimo al dettaglio. Il fotografo, scrive Margherita Cascio nel volumetto che accompagna l’esposizione, «compie una sorta di viaggio che va dalla dimensione più ampia del quartiere, del palazzo, per arrivare a quella più intima del corpo e di come il corpo abita uno spazio, in un percorso che attraversa frontiere non sempre visibili». Splendido infine il primo piano di Teresa, con una luce caravaggesca (i personaggi di contorno della «Cena di Emmaus» in particolare) che dà fascino e mistero al ritratto.
Per un giovane attore, nutrire aspettative verso il complesso mondo dello spettacolo è una costante. Soprattutto quando a far correre l’adrenalina non c’è solo l’orgoglio per un traguardo conquistato spesso con fatica e a prezzo di sacrifici, ma anche un’incontenibile voglia di riuscire a sfondare. Magari già andando in scena con una prima compagnia di giro con «un pezzo che parla del teatro... e della vita». È in un certo senso il sottotesto che viaggia sull’arco di un’ora di Insomnia. Ma non è il caso di fraintendere, non ci siamo addormentati: è il titolo dello spettacolo che abbiamo visto al Teatro Foce di Lugano presentato dall’omonimo collettivo composto di neodiplomati nel Master conseguito all’Accademia di Verscio. Non è una novità che studenti, provenienti da mezzo mondo, oltre a presentare lavori individuali, alla fine del biennio di studio costituiscano un gruppo teatrale sotto la guida di uno dei docenti. Nel caso di Insomnia la regia era assicurata da Pavel Štourač, responsabile dei corsi di drammaturgia e scrittura teatrale. Lo hanno voluto chiamare «pezzo», in realtà è una performance ben cucita sulla fal-
sariga della domanda su «che cosa è il teatro». L’idea si è mano a mano concretizzata evocando i temi classici del teatro drammatico, attorno a figure fondamentali della sua storia come Vachtangov e Stanislavskij, trasformati in marionette con pezzi di caffettiera, cavaturaccioli, forchette e illuminati da una piccola torcia. Ma anche ricordando parole di grandi maestri del passato come Artaud, Grotowski, Laban o Craig. Con tanta voglia di sorprendere trasformando uno studiato caos da squatter metropolitani in gioiose apparizioni di maschere, numeri danzati, canti, ritmi e jonglage, con uno strepitoso finale di fragile e apparentemente impossibile equilibrismo. Insomnia è una bella carrellata di eccellenti performer e promettenti attori che si sono meritati l’applauso di una platea non folta ma sincera. Santiago Bello, Robert Díaz Díaz, Annette Fiaschi, Alessandra Francolini, Igor Mamlenkov e Charles Nomwendé Tiendrebeogo sono i testimoni di culture e lingue diverse riunite dalla grande famiglia del teatro con uno spettacolo che ha debuttato nel 2016 e che ha già riscontrato un buon successo in Svizzera, Ungheria, Italia e nella Repubblica Ceca. E che continuerà a girare.
Dove e quando
Particolare del grattacielo di Pregassona.
Tommaso Donati. Teresa. Ligornetto, casa Pessina (Via Pessina 6). Orari: sa e do 14.00-18.00. Fino al 10 giugno 2018.
Una scena di Insomnia. (accademiadimitri.ch)
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Cultura e Spettacoli
Elogio della superficie
Narrativa Invece di tuffarsi nelle profondità dell’animo umano, lo scrittore e giornalista italiano Diego De Silva
decide (anche se solo in apparenza), di restare in superficie
Mariarosa Mancuso Da tempo siamo convinti che la superficie sia ingiustamente sottovalutata. La scintilla risale a una frase sentita tanti anni fa in un film del regista francese Max Ophüls, I gioielli di madame de...: Una storia di orecchini perduti (ma in realtà svenduti), ricomprati dal marito per non dare scandalo e regalati a un’amante che a sua volta li porta al banco dei pegni. Riscattati da un avventuriero, sono da lui regalati alla prima proprietaria, che per poterli sfoggiare finge di averli ritrovati dentro un guanto. Il marito (che sa tutto, e ha contribuito al girotondo) dice alla moglie: «il nostro matrimonio è superficiale solo in superficie». Da allora abbiamo pazientemente raccolto prove per dimostrare che la superficie offre le sue soddisfazioni, mentre tutti attorno a noi sembravano tenere in gran conto la profondità. Scavando e sempre scavando. Ma per trovare cosa? I film definiti profondi nel catalogo dei festival erano i più noiosi, gli scrittori definiti profondi lo erano altrettanto, certe altre narrazioni considerate «leggere» procuravano ben altri piaceri (nel senso di Roland Barthes, Il piacere del testo, e anche nel senso dell’evasione, che non è una brutta parola). Come ognuno sa – tra chi sa di queste cose – è più difficile far ridere che far piangere, ed è più difficile ancora nascondere la profondità
in superficie. Chi è bravo l’afferra, e ci dispiace per gli altri (del resto cinema, letteratura, serie tv non sono obbligatorie e non rendono migliori). Con questi precedenti, ci siamo buttati subito sull’ultimo libro di Diego De Silva, intitolato appunto Superficie (esce da Einaudi). Per la superficie, ovvio. E perché conosciamo lo scrittore per i romanzi con l’avvocato napoletano Vincenzo Malinconico. Titoli, già gustosi: Non avevo capito niente, Mia suocera beve, Sono contrario alle emozioni, Arrangiati, Malinconico, Divorziare con stile (avvertenza: un libro tira l’altro). Bouvard e Pécuchet avevano il loro catalogo di luoghi comuni. In gran parte restano validi – spesso gli architetti ancora dimenticano le scale. Da quando «il cretino è specializzato» (copyright Ennio Flaiano) serve una rinfrescata, tanto più che ormai è diventato «webete» (copyright Enrico Mentana). E tutti noi, va confessato, abbiamo momenti di cedevolezza cognitiva. Impossibile non riconoscersi nella frase: «Il più costoso dei computer avrà sempre qualche difetto congenito a cui ti abituerai» (vale anche per certe manovre-scorciatoia che non abbiamo mai imparato, preferendo la via lunga, ormai siamo abituati così). Diego de Silva non si limita al catalogo. Crea cortocircuiti, accostando frasi fatte ad altre frasi fatte, riportando dialoghi in cui nessuno ascolta,
aspetta solo il proprio turno per proseguire il proprio monologo. Mette una bombetta sotto i luoghi comuni. Per esempio: «La passione si spegne, ma poi c’è la stima a rovinare tutto» (appunto, ti ritrovi a guardare l’ex fidanzato pensando: «come ho fatto anche solo a rivolgergli la parola?»). Per esempio, condensando un decennio in una battuta: «Se vuoi capire gli anni 70, pensa alla moquette». Anche l’affetto filiale, in una battuta: «Quando mia figlia mi compra un vinile capisco che mi vuole bene». Domandona: «Un anziano che si separa, non ti restituisce gusto per la vita?» L’amore è sempre al centro, basta vedere l’attenzione che abbiamo riservato al matrimonio di Meghan Markle con il principe Harry, lunghezza dello strascico e acquamarina al dito (dalla collezione di Lady Diana). Ci sono quelli che cercano sul dizionario il verbo «impiattare», quelli che il pane lo impastano e cuociono in casa, quelli che non rinunciano al profumo della carta – nuovo bollino da intellettuale, dopo «non guardo mai la televisione» (c’è un video con Roberto Saviano che annusa un suo libro, dicendo che trova la cosa vagamente incestuosa: purtroppo in materia nessuno riesce mai a inventare niente, la sciocchezza umana possiamo solo collezionarla). Ma il tempo è galantuomo o tiranno? Anche la saggezza popolare, o presunta tale, ha i suoi mancamenti.
Diego De Silva è uno scrittore che crea dipendenza.
Oppure: «Le poche volte che ho incontrato la verità, non era mai nel mezzo». Di sicuro Diego De Silva ci ha ascoltati e annotati, in questi anni. La prossima volta che lo incontreremo staremo
bene attenti a non dire sciocchezze. La prossima volta che andremo su un social, penseremo con nostalgia a un’altra perla Made in De Silva «Io non porto rancore, lo custodisco». Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta A caccia di odori PerFumum – I profumi della storia, una mostra che nel Palazzo Madama di Torino esibiva più di 200 oggetti, in maggior parte raffinati contenitori di profumi dall’antico Egitto ai giorni nostri, mi ha offerto l’occasione di vivere esperienze inedite, come le sinestesi, dove entrano in gioco tutti i sensi. Collocato davanti a un parallelepipedo nero, con una cuffia sulle orecchie ascolto una voce suadente che descrive le sensazioni provocate dal profumo contenuto in una boccetta posta sul tetto del parallelepipedo dalla quale ho prelevato uno spruzzo schizzandolo sopra una linguetta di plastica. Lo annuso mentre con una mano penetro in un piccolo varco aperto sulla parte anteriore della scatola fino a toccare all’interno, senza poterle vedere, le fonti dalle quali sono state ricavate le essenze, così anche il tatto è servito. Mi muovo con una certa esitazione, nel timore di trovare un fico d’india o un ramarro, invece tocco un limone e una magno-
lia. La frequentazione dei laboratori olfattivi mi ha introdotto in un universo sconosciuto. Ho imparato nozioni nuove, utilissime nella vita di tutti i giorni e come succede a tutti i neofiti, vorrei divulgarle. Non trovo nessuno con cui condividere le mie scoperte, appena inizio a parlare di profumi, scappano tutti come lepri. Non mi restate che voi, cari lettori, portate pazienza. Potrete sempre spendere le nozioni che sto per divulgare facendo la vostra bella figura nel corso di brillanti conversazioni. Iniziamo con una notizia esaltante: c’è ancora posto per Nuovi Nasi, cioè il profumo è un campo aperto dove chiunque di voi (che abbia Naso) può avventurarsi con successo. Sono possibili nuove narrazioni, nuovi viaggi, nuove materie prime che trenta anni fa non esistevano. Nozione fondamentale da imparare a memoria: un profumo è costituito da tre note, testa, cuore e fondo. La nota di testa è la prima a farsi sentire, quella di cuore ha l’incarico della durata, quella
di fondo deve continuare a esistere nel ricordo. Ogni nota deve essere costruita con componenti diverse. Faccio un esempio semplice, con materie prime che potete trovare nella bottega sotto casa. Il profumo che avete il compito di confezionare ha un nome, si chiama Mylo. Per la nota di testa andiamo sugli agrumi e abbiamo bisogno di bergamotto, limone e mandarino giallo. Nota di cuore: olio essenziale di patchouli, fiore di frangipane, assoluta di iris. Nota di fondo: essenza di cisto, essenza di cedro, muschio. Per quei pochi che lo ignorano dirò che il patchouli è una pianta che cresce spontanea nel sud est asiatico, fra i 900 e i 1000 metri di altitudine. Nell’antichità gli Egizi avevano fama di migliori profumieri, ora, nella mia città, nessuno è bravo come loro nel fare la pizza. Cleopatra produce un profumo con cui fa impregnare le vele delle sue navi propiziando l’incontro con Marco Antonio. L’Arabia è la terra per eccellenza per la produzione ed
esportazione di aromi. Arrivano di lì muschio, ambra, aloe, canfora, zafferano. Gli arabi sono gli inventori dell’alambicco per distillare le rose. Nel 1187 vengono fatti arrivare a Gerusalemme da Damasco 500 cammelli carichi di acqua di rose per purificare la moschea di Omar riconquistata da Şalãh ad-Din Yūsuf ibn Ayyüb che noi conosciamo come Saladino. Nel Rinascimento le fragranze servono a camuffare i cattivi odori e Caterina de’ Medici porta il suo profumiere alla corte di Francia. Ora un paio di date per completare la vostra preparazione. Nel 1868 all’Esposizione Universale di Parigi fa la sua comparsa il vaporizzatore. Nel 1874 un ricercatore tedesco ottiene per via sintetica la componente principale del baccello di vaniglia, prima per trovarlo bisognava spingersi fino al Madagascar. Il mio profumo preferito, lo dico nel caso qualche lettore volesse farmi un regalo, è il Nerotic, di Cécil Zarokian, perché sulla sua scheda è definito «di sensua-
lità estrema». Il Nerotic di testa ha il bergamotto pompeiano e i frutti rossi; di cuore il geranio, il coriandolo e lo zafferano; di fondo un accordo legnoso molto ambrato, sandalo e note affumicate. Però, più che i profumi, per me contano gli odori perché l’olfatto non conosce l’onta della smemoratezza. La mia infanzia vive nell’odore del catrame quando è ancora fumante, nell’olio di ricino bruciato nelle moto da corsa, nel fieno appena tagliato. In una vecchia cartoleria ho scovato un barattolo di Cocoina, la colla bianca che usavamo per attaccare le figurine all’album e l’annuso quando nessuno mi vede. I miei genitori speravano che seguissi le loro orme; fra una madre parrucchiera e un padre tipografo ha vinto l’odore del piombo e dell’inchiostro da stampa; per anni, prima di leggerli, i libri li ho annusati con voluttà, a occhi chiusi ero in grado di indovinare l’editore. Ora il paradiso del mio naso è perduto, i nuovi libri non hanno odore, non sanno di niente.
invece, avrebbe potuto essere una delle amiche della sposa: bella, elegante, ma senza mai mettere in ombra la protagonista della giornata. Smemorina? La fata azzurrina è seduta sugli scranni di legno tra le altre matrone, purtroppo indossa le pantofole perché ha dimenticato di mettere le scarpe. Pinocchio non crede ai suoi occhi: quei bambini non sono a scuola, eppure sembrano in divisa da collegio e camminano pure in fila accanto ai genitori. Esistono dunque bambini che si comportano come se ci fossero i maestri anche quando non se ne vedono in giro! Aspetta che lo sappia Lucignolo, che giustamente oggi non si palesa, perché nell’aria c’è troppa disciplina. Sono invece in imbarazzo i topolini e i ramarri che si sono trasformati in cavalli e lacché, perché non è tempo di zucche. Si è quindi dovuto ripiegare su un carciofo, che ha prodotto una carrozza un po’ sgraziata, con le foglie aperte, e soprattutto più piccola del previsto, come potrà contenere il
velo della sposa? I cavalli non sono gli unici animali, anche se alcuni stanno ben nascosti tra i cespugli e gli alberi del giardino, per esempio cento e uno cuccioli di dalmata a cui è parso di riconoscere Crudelia De Mon vestita di rosa confetto. Non è del tutto presente poi lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, che a volte scompare lasciando solo il sorriso a indicarne, forse, la presenza. Lo Stregatto segue Alice, che disperata non trova più il suo amico Cappellaio Matto, perché è pieno di signori vestiti come lui e come lui sussiegosi. Un altro personaggio irriconoscibile è il lupo travestito da nonna, qui è pieno di nonne, è difficile riconoscere quelle vere dai lupi affamati, dovrebbero essere più prudenti i tre porcellini e Cappuccetto Rosso che giocano sul sagrato della chiesa, per una volta tutti incoronati di fiori come le principessine. Il testimone dello sposo è il principe di Biancaneve, continuamente richiesto nell’esibizione della sua specialità, baciare signore
svenute per l’emozione o per il caldo e riportarle tra i viventi. Gli dà una mano un altro esperto, quel nobiluomo che ha ridato vita dopo cento anni ad Aurora, la bella addormentata. Le due ragazze non sono entusiaste di tutto questo baciare dei loro principi, d’altra parte è un caso un poco eccezionale, tra sole e scarpe strette sarebbe un’ecatombe senza i baci effetto cordiale. Alcuni poi si sono dovuti mimetizzare, l’Omino di Zenzero teme i morsi dei bambini cui nessuno ha finora dato la merenda, Shrek ha paura di fare paura, quindi si crogiola sui prati del Castello. Anche il Grillo Parlante gode dell’avere il colore delle pareti della Chiesa. Infatti non è un chiaroveggente, ma con l’aiuto della logica e del buon senso è solito indovinare che cosa accadrà e per oggi nessuno vuole sapere quanto l’immagine di questa festa potrà resistere all’impatto col quotidiano, oggi faticosamente tenuto fuori dalle sale del Castello. Finisce così, questa favola bella e se ne va.
tare, dunque la menzogna e l’inganno del guitto al limite della cialtroneria. Inventandosi un io narrante nevrotico sempre diverso, Roth ha cercato di trasformare in finzione la sua idea del mondo, il suo mondo, fin dal libro di esordio Goodbye, Columbus, i cui racconti, disse, «traevano spunto dall’ethos del mio quartiere assai autoconsapevolmente ebraico», una sorta di piccola nazione fortificata dentro Newark, la città del New Jersey in cui nacque nel 1933. Era lo scrittore della complessità contraddittoria, Roth: mai nulla gli appariva semplice, e per affrontare la complessità tortuosa del suo rapporto di repulsione e attrazione con l’universo ebraico, con la famiglia, con le donne, con il sesso, con l’America, con la vecchiaia, con la letteratura, utilizzava il grimaldello di uno stile tra l’ironico e il sardonico o il beffardo, che gli permetteva di mostrare il dritto e il rovescio delle cose, il comico delle cose serie e la serietà del grottesco. Il bel
saggio di Elèna Mortara che introduce il primo volume del Meridiano Mondadori contenente le sue opere tra 1959 e 1986 si intitola Philip Roth, o del vivere in conflitto. Nel 2012, quando decise di deporre la penna, disse che era stanco di «combattere con la scrittura». Era la sua etica combattiva, la stessa che pretendeva dal suo lettore: «Credo che dovremmo leggere solo quei libri che ci mordono e ci pungono. Se il libro che stiamo leggendo non ci scuote con una botta in testa, cosa lo leggiamo a fare?», diceva Roth travestito da Zuckerman parafrasando l’amato Kafka. A differenza di tanti suoi colleghi contemporanei che considerano la letteratura un piacevole intrattenimento che accarezzando il lettore può procurare successo e simpatia, Philip Roth viveva il lavoro di scrittore come un incubo, un’attività contro tutti e contro tutto, contro se stessi, contro la vita e contro la morte, contro il proprio tempo e anche contro il lettore: «Un bravo medico non è in guerra col suo mestiere, un bravo
scrittore invece è perennemente in lotta col suo lavoro. In molte professioni c’è un inizio, una fase centrale e una fine, La scrittura è un ricominciare da capo continuamente». Roth aveva la certezza che scrivendo si sbaglia almeno quanto si sbaglia vivendo (l’essere umano è sempre una macchia di sporco). Piaccia o non piaccia, Roth ha incarnato il dèmone, il tormento, il disincanto e la testardaggine di essere scrittore (pur consapevole di essere morente) in un mondo che si oppone alla letteratura (morente come lo scrittore). Nell’ultima intervista ha fatto la previsione realistica che un giorno non troppo lontano i lettori dei romanzi non saranno più numerosi di quanto siano oggi i lettori di poesia latina. E prima che la narrativa diventi come la poesia latina, consiglio, a chi non conoscesse Roth, di leggere almeno, oltre ai romanzi citati, Il teatro di Sabbath, La macchia umana, Patrimonio, L’animale morente. E anche Ho sposato una comunista, Il complotto contro l’America, Everyman.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Gli ospiti invisibili del castello I principi si sposano, le regine bofonchiano, per un giorno il mondo è entrato e uscito da quel libro di fiabe che si leggeva e rileggeva da piccoli, un po’ macchiato un po’ strappato ma così rassicurante, con tutti i principi che sposano le ragazze belle e saranno anche felici e contenti. Dlin! «Finisce così / questa favola bella e se ne va / se ne va… un’altra ce n’è». Anche se sarebbe interessante conoscere il parere dei filosofi sulle nozze dell’anno, per una volta preferiamo immaginare altri personaggi al Castello di Windsor. Non vorremmo infatti rischiare le acidità di un pessimista come Schopenhauer, capace di oscurare anche quel bel sole di primavera, di cui si potrebbe dire lo stesso del cielo di Lombardia. Del cielo, Manzoni scriveva come è bello, quando è bello: cioè, è raro che sia limpido, ma quando accade, è proprio un bel cielo azzurro. Forse per la sorpresa, oppure perché il merito di tanto nitore è dei venti di montagna che spirano con
forza dalle Alpi e spazzano via tutto. Quando è bello. In Inghilterra uguale per il sole: è raro, ma quando splende, su quelle campagne rese verdi e lucide dal gran piovere, è proprio splendente. Quindi niente Schopenhauer, né Kant e la sua misoginia, né Paolo di Tarso (se è possibile, meglio evitare quella seccatura del matrimonio), né Montaigne (l’amore brucia ma si spegne subito, e comporta agitazione e sofferenza). Andiamo piuttosto a cercare tra le fiabe i personaggi che avrebbero potuto ben essere presenti al matrimonio dei duchi del Galles. Anastasia e Genoveffa, per esempio, le sorellastre di Cenerentola, sprizzanti invidia per la grazia della più giovane. A dire il vero mi sembra di averle viste arrivare, sia in versione giovanile – quella coppia di cuginette in carne – sia in versione anziana. Così come la matrigna, quanti cappellini coprivano, rigorosamente di sbieco, nasi e sguardi ben degni della vedova del papà di Cenerentola. La quale,
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Lo scrittore animale morente A furia di sentirsi ripetere che era il più grande scrittore vivente, è morto. Philip Roth aveva 85 anni, è stato uno dei maggiori scrittori americani del Novecento, da mettere accanto a Faulkner, Hemingway, Bellow e pochi altri, ha avuto ciechi adoratori-adulatori e avversari altrettanto determinati, che, senza capire molto della sua carica eversiva, lo accusavano a rotazione di essere un misogino, un sessuomane, un antisemita, uno scrittore mediocre e politicamente scorretto (per questo gli è stato negato il Nobel), come la famosa critica del «New York Times» Michiko Kakutani, che lo stroncava regolarmente: «solo una giornalista che scriveva recensioni», diceva Roth senza scomporsi. Prendeva sul serio piuttosto gli studiosi e i saggisti, come il suo amico Harold Bloom. Dei suoi trentun libri, basterebbe citarne un paio per segnalare la sua grandezza, da Lamento di Portnoy a Pastorale americana, con il personaggio, narratore e alter ego Nathan Zuckerman, che del suo
inventore diede forse la definizione più calzante: «La mia ipotesi è che tu abbia scritto così tante metamorfosi di te stesso da non sapere più né chi sei né chi sei stato». È stato quasi programmaticamente antipatico, Roth (ma certi rothiani fanatici lo sono ben più di lui), eppure nella sua lunga vita si è sottoposto docilmente a molte interviste in cui via via provava a chiarire i nodi della sua narrativa. A proposito del controverso rapporto con l’ambiente ebraico-americano in cui è cresciuto disse che aveva sperimentato la famiglia e la religione come forma di potere, anche se, precisò, «è molto più complicato di così». A proposito di metamorfosi. Lamento di Portnoy, del 1969, si apre con un incipit memorabile: «Mi era così profondamente radicata nella coscienza, che penso di aver creduto per tutto il primo anno scolastico che ognuna delle mie insegnanti fosse mia madre travestita». Il travestimento e la maschera sono stati due fili resistenti del suo raccon-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Idee e acquisti per la settimana
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Tenerissimo carpaccio di manzo Attualità Ottima carne di manzo svizzera per un piatto apprezzato durante la stagione calda
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Il delicato e saporito carpaccio di manzo che trovate all’Angolo del Buongustaio Migros è preparato con le parti più tenere di bovini allevati in Svizzera nel rispetto della specie. Gli animali vivono in gruppo e possono uscire all’aria aperta. Queste condizioni contribuiscono in modo determinante al benessere degli animali e, di conseguenza, permettono di ottenere una carne di elevata qualità, i cui tagli più nobili sono particolarmente indicati per il carpaccio. Il piatto, che prende il nome dal pittore del Rinascimento Vittore Carpaccio, nasce nel 1950, nel celebre Harry’s Bar di Venezia. Il proprietario del locale, Giuseppe Cipriani, lo ideò per l’amica e cliente contessa Amalia Nani Mocenigo, il cui medico, per motivi di salute, le aveva proibito di consumare carne cotta. Cipriani chiamò la pietanza Carpaccio perché il rosso della carne gli ricordava i colori accesi dei dipinti dell’artista. Infine, il nostro carpaccio di manzo è facile e comodo da preparare: già decorato con rucola e parmigiano freschissimi, deve solo essere condito con un filo d’olio, qualche spruzzo di succo di limone, sale e pepe.
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Una tira l’altra Attualità Impossibile non concedersi
una scorpacciata di uno dei frutti più golosi del momento: le ciliegie
Di color rosso vivo, croccanti e dolcissime: sono finalmente tornate le tanto amate ciliegie. Una gioia per occhi e palato, questi frutti sono inoltre ricchi di fruttosio, ottima fonte di energia per il nostro corpo, come pure di vitamine, sali minerali e acido folico. Versatili in cucina, sono una vera delizia da sole, ma anche per preparare deliziose torte, muffin, sciroppi, confetture, succhi e gelati. Una volta raccolte, le ciliegie non maturano più e si possono conservare, in un sacchetto di plastica, qualche giorno in frigorifero. Essendo un frutto
facilmente deperibile, vanno lavate solo poco prima del consumo. Una curiosità: si ritiene che bere acqua dopo aver mangiato delle ciliegie possa essere dannoso. In realtà solo il consumo di grandi quantità, oltre il chilo, potrebbe causare mal di pancia, perché sulla buccia sono presenti delle cellule di lievito, che normalmente però vengono eliminate dai succhi gastrici. Bevendo, quindi i succhi gastrici vengono diluiti, le cellule di lievito fermentano nello stomaco e questo potrebbe provocare fastidiosi dolori addominali.
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Chiasso-Boffalora Attualità Riapre sabato completamente rinnovata la filiale di via Bernardino Luini.
Per l’occasione 10% di sconto sull’intero assortimento, grande concorso e animazione per i bambini Aperto il 24 giugno del 1965, ristrutturato una prima volta nel 1998, questo apprezzato punto vendita del Mendrisiotto aveva bisogno di un radicale lifting per restare al passo con i tempi. Con l’intervento iniziato a metà aprile si è quindi deciso di fare un ulteriore significativo passo avanti nel rinnovo della rete di vendita di Migros Ticino. L’investimento totale è stato di 1,6 milioni di franchi. I lavori hanno tenuto conto degli ambiziosi obiettivi di risparmio energetico fissati dalla Cooperativa. In particolare, grazie a una termopompa reversibile, in uso sia per il riscaldamento sia per il raffreddamento, è stato possibile abbandonare l’energia fossile. Oltre al moderno mobilio, sono stati allestiti congelatori e frigoriferi (dotati ora di sportelli) di nuova generazione, che utilizzano gas neutri per l’ambiente (CO2) e permettono di economizzare circa il 50% di energia elettrica. L’intera illuminazione, compresa quella dei sistemi di refrigerazione, è a tecnologia LED e consente anch’essa un cospicuo risparmio. Infine, dall’impianto frigo si recupera calore a beneficio del riscaldamento e dell’acqua calda sanitaria. La filiale, in grado di servire comodamente tutta la popolazione di Chiasso e dintorni, si presenta ora in nuova veste, con una superficie di vendita di circa 600 metri quadrati. La clientela avrà la possibilità di fare una spesa quotidiana completa: l’offerta di prodotti alimentari si è focalizzata sul fresco, con il fiore all’occhiello rappresentato dal reparto frutta e verdura. Sarà quindi garantito un assortimento di beni di prima necessità del non food. Un altro punto di forza del negozio è il moderno forno per la cottura del pane, che
permetterà di acquistare prodotti freschissimi fino alla chiusura del negozio. I clienti potranno poi muoversi in ambienti più spaziosi, più accoglienti e – grazie alle nuove superfici vetrate altamente isolanti – più luminosi. E per chi va di fretta, oltre alle 2 casse tradizionali, sono state allestite due comode e veloci casse subito per il self checkout. Ricordiamo inoltre che dal 2005 questa filiale di Migros Ticino ospita pure l’agenzia postale. La grande novità sarà però l’apertura – tra qualche settimana – del nuovo bar Cerutti e di servizi igienici a disposizione della clientela: attualmente sono ancora in fase d’allestimento e la cooperativa si scusa da subito per eventuali disagi. Nell’atrio, di ulteriori 100 metri quadrati, rimangono poi la parete ecologica per il recupero di materiali e la macchina Cewe per la stampa di fotografie. Per sottolineare questo nuovo importante intervento di miglioria, Migros Ticino ha previsto varie iniziative e uno sconto generale del 10% sull’intero assortimento durante la giornata di sabato 2 giugno, con orario continuato dalle 8.00 alle 19.00. Completeranno la giornata di festa e allegria un grande concorso con in palio tre carte regalo Migros del valore di CHF 100.– l’una e – dalle 9.00 alle 17.00 – la vivacità di un simpatico clown, che distribuirà colorati palloncini a tutti i bimbi. Il responsabile Paolo Calatti e i suoi 10 collaboratori, cordiali e ben preparati, sono pronti a soddisfare i bisogni della clientela con cura e attenzione, in un clima accogliente e famigliare. Orari di apertura: Lunedì - sabato: 08.00 - 19.00
L’affiatato team di Migros Boffalora vi aspetta!
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Specializzata da decenni nella produzione di prodotti a base di farro, l’azienda Poggio del Farro lavora a stretto contatto con la terra e i frutti dell’appennino toscano, per proporre ai consumatori delle specialità genuine e ricche di sapore fedeli alla
tradizione. Già presente sugli scaffali di Migros Ticino con diversi gustosi prodotti al farro, Poggio del Farro propone ora tre gustose novità cucinate secondo ricette originali regionali: la Pappa al pomodoro, la Zuppa Toscana e la Ribollita Toscana. Subito pronte
senza aggiungere altro, basta aprirle per sentire subito il profumo che appagherà il palato al primo assaggio. Si possono gustare sia calde come corroborante zuppa, sia a temperatura ambiente in estate come appetitosa alternativa alle insalate.
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Evento benefico Street Billiard
Attualità Per entrare nel clima dei Mondiali di calcio, da mercoledì 30 maggio e sabato 2 giugno
il Centro S. Antonino ospita un’attività coinvolgentissima
Sono diversi i «vip» ticinesi che hanno accettato di misurarsi in una sfida all’ultima buca, mercoledì 30 maggio al Centro Migros di S. Antonino. Norman Gobbi, Rosy Nervi, Paolo Meneguzzi e Sebalter saranno solo alcuni dei protagonisti dell’evento Street Billiard, un originale e appassionante gioco che spopola in tutta Europa. Lo Street Billiard è un vero proprio biliardo umano composto da un campo di legno delle dimensioni di 6,40 x 3,60 metri. I giocatori si affrontano cercando di calciare la palla nelle buche proprio come avviene nel classico gioco del biliardo. Dopo alla sfida di mercoledì tra «vip», venerdì 1. giugno lo Street Billiard sarà a disposizione dei visitatori del Centro S. Antonino che potranno divertirsi liberamente, mentre sabato 2 giugno sarà animato dagli allievi del team di calcio Camoghé. Infine, ricordiamo che l’evento è organizzato in collaborazione con Ticinosport, associazione che si occupa di raccogliere fondi per aiutare i giovani sportivi meno agiati nel recupero scolastico, organizzando lezioni didattiche con insegnanti di sostegno. L’animazione sarà affidata a Davide Riva, noto animatore di Rete Tre.
Gustando... il risciò Attualità Dal 4 al 15 giugno
I Nostrani del Ticino Migros protagonisti del noto programma di Rete Uno con Fabrizio Casati e Julien Carton
Julien Carton (a sinistra) e Fabrizio Casati sono pronti a pedalare alla scoperta del Ticino e dei suoi prodotti.
La buona tavola e i prodotti del territorio incontrano la mobilità sostenibile; questa è l’avventura proposta con il risciò di Rete Uno dal 4 al 15 giugno, dal lunedì al venerdì tra le 14.00 e le 17.00. Dieci pomeriggi estivi a bordo del risciò a spasso per il Ticino, con tappa finale al Centro Migros di S. Antonino, dove vi saranno organizzate attività di animazione e un grande concorso. Il risciò, un mezzo di locomozione ecologico e sostenibile, è perfetto per
raccontare aspetti della nostra regione e per percorrere le rive dei nostri laghi e fiumi. Dalla valle alla pianura, da una località di riviera a una fattoria, per conoscere persone, storie e le loro attività. Durante due settimane, Julien Carton pedala e Fabrizio Casati riferisce, in compagnia di ospiti rappresentativi della regione. Un risciò che si sposta a ritmo lento da un ’azienda di prodotti gastronomici locali all’agriturismo innovativo.
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Porte aperte ai Mulini di Vergeletto e Loco
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Concorso 25 fortunati lettori di Azione
avranno la possibilità di visitare queste interessanti realtà della Valle Onsernone. La giornata è fissata per sabato 23 giugno dalle ore 14.00 alle 17.00
Per gli amanti dei buoni sapori a km zero questa è un’occasione imperdibile per scoprire come vengono realizzate alcune specialità gastronomiche del nostro territorio. Sabato 23 giugno, infatti, i Mulini di Vergeletto (nella foto) e Loco apriranno le proprie porte a 25 lettori di Azione, consentendo loro di poter conoscere cosa si nasconde dietro alle apprezzate farina Bona e farina Meschia onsernonesi, basi indispensabili di prodotti quali Biscotti, Gelato e Raviöö, in vendita da Migros Ticino. Il programma della giornata, coinvolgente e variegato, è così organizzato: ore 14.00 ritrovo direttamente al Mulino di Vergeletto e visita guidata al Parco dei
Mulini con degustazione di diversi prodotti a base di Farina Bona. Alle ore 15.30 ci si sposta a Loco per la visita al Museo Onsernonese e al Mulino di Loco. I visitatori saranno accolti e guidati da Ilario Garbani, ideatore e responsabile del progetto Farina Bona della Valle Onsernone. L’iscrizione va fatta tramite e-mail all’indirizzo: concorso@migrosticino.ch, indicando nell’oggetto «Visita Mulini Onsernone» e i propri dati completi. L’ultimo termine di partecipazione è domenica 3 giugno 2018. I vincitori saranno informati per e-mail. Annuncio pubblicitario
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8.25 invece di 16.50 Bratwurst di vitello TerraSuisse in conf. da 3 3 x 2 pezzi, 840 g
30%
30% Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi al naturale o speziate, Svizzera, per es. speziate, al kg, 9.– invece di 14.–
4.45 invece di 6.40 Costata di manzo TerraSuisse Svizzera, imballata, per 100 g
CONSIGLIO
IRRESISTIBILMENTE CROCCANTE
Anche chi non va matto per l’insalata sarà conquistato: in questa variante con pollo, mozzarella e avocado il piacere si moltiplica per tre. Trovate la ricetta dell’insalata di pollo e avocado su migusto.ch/consigli
33%
1.25 invece di 1.90 Lattuga iceberg Ticino, il pezzo
30%
5.10 invece di 7.40 Salmone selvatico affumicato Sockeye MSC Alaska, in conf. da 100 g
30%
20%
9.10 invece di 13.10
6.80 invece di 8.50 Entrecôte di vitello TerraSuisse Svizzera, al banco a servizio, per 100 g
Cordon bleu di pollo Don Pollo, 4 pezzi prodotto in Svizzera con carne del Brasile , 4 x 150 g
conf. da 2
30%
5.95 invece di 8.55 Prosciutto cotto Malbuner in conf. da 2 Svizzera, 2 x 138 g
HIT DELLA SETTIMANA PER IL GRILL.
25%
2.60 invece di 3.50 Filetto di passera MSC Atlantico nord-orientale, per 100 g, offerta valida fino al 2.6
20%
5.35 invece di 6.70 Gamberetti tail-on cotti, bio, in conf. speciale d’allevamento, Ecuador, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 29.5 AL 4.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Hit
3.25
Fettine di tacchino La Belle escalope Francia, imballate, per 100 g
40%
3.55 invece di 5.95 Filetto di maiale M-Classic al naturale in conf. speciale Svizzera, per 100 g
. to a rc e m l a e m o c a z z e h La fresc conf. da 3
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25%
4.80 invece di 6.50 Albicocche bio Spagna, in conf. da 500 g
40%
4.70 invece di 7.90 Pesche noci gialle Spagna, sciolte, al kg
Hit
5.30 Zucchine Ticino, al kg
25%
3.30 invece di 4.50 Pomodori ramato Ticino, al kg
30%
1.35 invece di 1.95 Formagín ticinés (Formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in self-service, per 100 g
25%
40%
2.90 invece di 3.90
4.65 invece di 7.80
Salametti di cavallo prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi / ca. 180 g, per 100 g
Hamburger di vitello Svizzera, in conf. da 2 x 100 g / 200 g
20%
1.75 invece di 2.20 Gottardo Caseificio prodotto in Ticino, in self-service, per 100 g
20%
1.80 invece di 2.30 Sbrinz, AOP in self-service, per 100 g
Hit
3.75
Arrosto di vitello cotto Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g
conf. da 3
20% Tutte le rose dell’altopiano Fairtrade, mazzo da 9 lunghezza dello stelo 50 cm, disponibili in diversi colori, per es. rosa, 13.50 invece di 16.90
15% Tutte le peonie, mazzo da 5 disponibili in diversi colori, per es. rosa, il mazzo, 11.80 invece di 13.90
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 29.5 AL 4.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
4.65 invece di 5.85 Mozzarella Galbani in conf. da 3 3 x 150 g
conf. da 2
20% Birchermüesli in conf. da 2 per es. Classic, 2 x 200 g, 2.80 invece di 3.50
20% Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. alla fragola, 180 g, –.60 invece di –.80
conf. da 4
20% Creme Dessert Tradition in conf. da 4 per es. alla vaniglia, 4 x 175 g, 4.15 invece di 5.20
25%
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. io m r a p is r iù p r o c n A 50%
12.40 invece di 24.80 Palline di cioccolato Frey al latte finissimo, UTZ nel design del pallone dei Mondiali, 1000 g
Conf. da 2
40%
20%
Tortelloni M-Classic in conf. da 2 per es. ricotta e spinaci, 2 x 500 g, 6.90 invece di 11.60
Conf. da 2
20% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. fettine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g, 8.80 invece di 11.–
Bastoncini alle nocciole, fagottini alle pere e fagottini alle pere bio per es. fagottini alle pere, 3 x 75 g, 2.30 invece di 2.90
– .4 0
di riduzione
2.10 invece di 2.50 Pane alla ticinese TerraSuisse 400 g
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 29.5 AL 4.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutti i rotoli dolci non refrigerati per es. marmorizzato, 310 g, 2.85 invece di 3.60
conf. da 10
30%
14.90 invece di 21.30 Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ assortite, offerta valida fino all’11.6.2018
a par tire da 2 pe z zi
20%
Tutte le tavolette, le palline e tutti i Friletti Frey Suprême, UTZ a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino all’11.6.2018
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20%
Tutte le vaschette Crème d’or 750 ml e 1000 ml, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
conf. da 2
20%
6.70 invece di 8.40 Ovomaltine Crunchy Cream in conf. da 2 2 x 400 g
Conf. da 3
Conf. da 2
33%
20%
17.45 invece di 26.10 Caffè in chicchi Boncampo in conf. da 3, UTZ 3 x 1 kg
17.60 invece di 22.– Nescafé de Luxe e Finesse in conf. da 2 bustina, 2 x 180 g, per es. de Luxe
20% Tutti i biscotti in sacchetto Midor (prodotti Tradition esclusi), per es. schiumini al cioccolato, 175 g, 1.80 invece di 2.30
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25% Biscotti Walkers in conf. da 3 Shortbread Highlanders, Chocolate Chip Shortbread o Belgian Chocolate Chunk, per es. Shortbread Highlanders, 3 x 200 g, 12.10 invece di 16.20
conf. da 3
30%
4.05 invece di 5.85 Rösti Original in conf. da 3 3 x 500 g
Conf. da 2
20% Dado da brodo Knorr in conf. da 2 per es. brodo di verdure, 2 x 109 g, 6.80 invece di 8.60
conf. da 2
25%
22.85 invece di 30.50 Ovomaltine in polvere in conf. da 2 2 x 1 kg
30% Tutti i tipi di birra senz’alcol per es. Feldschlösschen, 10 x 33 cl, 7.60 invece di 10.90
50%
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7.20 invece di 14.40
Les Dragées Original, Princess e barrette di cioccolato Frey in confezione speciale, UTZ per es. Original, 1 kg, 8.90 invece di 12.80
20% Snack Zweifel in confezione speciale e Joujoux Zweifel al naturale e alla paprica in conf. da 2 x 42 g per es. snackbag Zweifel, 340 g, 6.50 invece di 8.50
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 29.5 AL 4.6.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Filets Gourmet à la Provençale Pelican, MSC surgelati, 800 g
a par tire da 2 pe z zi
– .5 0
di riduzione Tutti gli sciroppi in bottiglie di PET da 75 cl e da 1,5 l a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. ai lamponi, 1,5 l, 3.75 invece di 4.25
33% Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 6 per es. Classic, 6 x 1,5 l, 7.80 invece di 11.70
a par tire da 2 pe z zi
20%
Tutto l’assortimento Pancho Villa a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
conf. da 5
50%
5.10 invece di 10.25 Spaghetti Agnesi in conf. da 5 5 x 500 g
conf. da 3
20% Legumi M-Classic in conf. da 3 fagioli kidney, ceci o fagioli borlotti, per es. ceci, 3 x 250 g, 2.80 invece di 3.60
30%
5.35 invece di 7.65 Crocchette di rösti Delicious surgelate, 1 kg
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40% Tutto l’assortimento di biancheria da uomo da giorno e da notte per es. boxer aderenti Basic John Adams, neri, tg. M, 10.65 invece di 17.80, offerta valida fino al 4.6.2018
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20% Prodotti per la cura del viso e del corpo I am in conf. da 2 per es. salviettine detergenti per pelli secche, 2 x 25 pezzi, 5.40 invece di 6.80, offerta valida fino all’11.6.2018
Confezioni assortite Nivea Sun per es. latte solare trattante IP 30 Protect & Moisture, da 250 ml e lozione doposole gratuita da 200 ml, 15.30 invece di 22.90, offerta valida fino all’11.6.2018
conf. da 3 conf. da 2
20% Prodotti Syoss e Taft in conf. da 2 per es. spray per capelli Taft Ultra, 2 x 250 ml, 5.75 invece di 7.20, offerta valida fino all’11.6.2018
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13.50 invece di 19.60 Vanish Gel in conf. da 2 2 x 200 ml , offerta valida fino all’11.6.2018
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Ali di pollo alla paprica Grill mi Svizzera, per 100 g
30% Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi al naturale o speziate, Svizzera, per es. speziate, al kg, 9.– invece di 14.–
2.40
Costine di maiale marinate Grill mi Svizzera, per 100 g
2.70
Costoletta di maiale marinata Grill mi, TerraSuisse per 100 g
I amano la carne sull’osso. Così la grigliata rimane più succulen ta e saporita. Durante la cottura l’osso rilascia del liquido nella carne, riducendo così la perdita del suo delizioso succ o.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
61
Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber
Ecco l’estate! L’estate non è più tanto lontana, è tempo di dedicarsi al proprio guardaroba da spiaggia
Ellen Amber Bikini-Top taglie 36C-46C* Fr. 19.80 Ellen Amber Bikini-Panty taglie 36-46* Fr. 17.80 Ellen Amber Blusa Cotone taglie S-XXL* Fr. 29.80
Ellen Amber Cappello* Fr. 17.80
Ellen Amber Costume taglie 36-44* Fr. 29.80 Ellen Amber Bikini-Bag* Fr. 12.80
Ellen Amber Pantaloni Viscosa taglie S-XXL* Fr. 39.80
Ellen Amber Costume taglie 38-48* Fr. 39.80
Vacanze estive prenotate? Il desiderio è di trascorrere giornate intere in acqua. L’unica cosa che ancora manca è l’outfit perfetto! Bikini, tankini o costume intero, l’assortimento da bagno firmato Ellen Amber offre a tutte le donne l’abbinamento al top. Ogni pezzo ha una
vestibilità impeccabile e si può combinare a piacere. Oltre al costume, per la «sfilata» in spiaggia, occorrono naturalmente gli accessori di gran moda giusti come cappello in paglia, tunica, borsa e asciugamano, con stampe floreali o con l’attualissimo Ethno-Style.
Ellen Amber Bikini-Top taglie 36B-46B* Fr. 24.80 Ellen Amber Bikini-Panty taglie 36-46* Fr. 19.80 taglie combinabili *Nelle maggiori filiali
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 maggio 2018 • N. 22
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber
Ecco l’estate! L’estate non è più tanto lontana, è tempo di dedicarsi al proprio guardaroba da spiaggia
Ellen Amber Bikini-Top taglie 36C-46C* Fr. 19.80 Ellen Amber Bikini-Panty taglie 36-46* Fr. 17.80 Ellen Amber Blusa Cotone taglie S-XXL* Fr. 29.80
Ellen Amber Cappello* Fr. 17.80
Ellen Amber Costume taglie 36-44* Fr. 29.80 Ellen Amber Bikini-Bag* Fr. 12.80
Ellen Amber Pantaloni Viscosa taglie S-XXL* Fr. 39.80
Ellen Amber Costume taglie 38-48* Fr. 39.80
Vacanze estive prenotate? Il desiderio è di trascorrere giornate intere in acqua. L’unica cosa che ancora manca è l’outfit perfetto! Bikini, tankini o costume intero, l’assortimento da bagno firmato Ellen Amber offre a tutte le donne l’abbinamento al top. Ogni pezzo ha una
vestibilità impeccabile e si può combinare a piacere. Oltre al costume, per la «sfilata» in spiaggia, occorrono naturalmente gli accessori di gran moda giusti come cappello in paglia, tunica, borsa e asciugamano, con stampe floreali o con l’attualissimo Ethno-Style.
Ellen Amber Bikini-Top taglie 36B-46B* Fr. 24.80 Ellen Amber Bikini-Panty taglie 36-46* Fr. 19.80 taglie combinabili *Nelle maggiori filiali
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Idee e acquisti per la settimana
Consigli per il bucato
Basta alle macchie
*Azione 50%
Macchie da candeggiare, come sangue, vino rosso, cioccolato, salsa di pomodoro o deodorante: immergere i tessuti bianchi nello smacchiatore in polvere Oxi Booster White per un massimo di sei ore prima del lavaggio. Per i capi colorati utilizzare Oxi Booster Color.
sui detersivi Total a partire dall’acquisto di due prodotti (esclusi smacchiatori e additivi per bucato Total) dal 29.05 al 04.06
Grasso, caffè, erba e olio: prima del lavaggio spruzzare con lo smacchiatore pretrattante Spray & Wash, lasciar agire cinque minuti, quindi lavare come di consueto.
Total Color 2 l* Fr. 15.90
Total Spray & Wash 500 ml Fr. 5.90
Total Color 2,475 kg* Fr. 15.90
Total in polvere 2,475 kg* Fr. 15.90
Total Oxi Booster Color 1 kg Fr. 12.90
Gomma da masticare: mettere l’indumento in congelatore, in un sacchetto di plastica. Rimuovere i resti congelati dal tessuto e spruzzare l’area interessata con Total Spray & Wash.
Total Oxi Booster White 1 kg Fr. 12.90
1 Come prima cosa Stephanie Good osserva le istruzioni di lavaggio presenti sulle magliette e chiede agli esperti di bucato della Migros informazioni circa la durezza dell’acqua di Frenkendorf. Quindi spruzza tutte e tre le magliette con lo smacchiatore pretrattante Total Spray & Wash e lo lascia agire cinque minuti.
Total
Lavanderia a disposizione per il prossimo duello
Total Liquid 2 l* Fr. 15.90
Resina e colla: inumidire un panno con spirito da ardere o detergente per pennelli e tamponare la macchia dall’esterno verso l’interno.
Susanne (41) e Adrian Lanzrein (53) con il simpatico Giulio (2)
2 Prima del bucato Susanne Lanzrein tratta tutte le macchie con Oxi Booster White, che mescola con acqua calda. Lascia agire lo smacchiatore per cinque minuti prima di iniziare il lavaggio.
2
Due donne, Susanne Lanzrein e Stephanie Good, si affrontano nella sfida all’ultima macchia. Chi vincerà la competizione?
1
4 Entrambe le donne hanno trattato le magliette prima del bucato e sono riuscite a eliminare le macchie di salsa di pomodoro e di vino. Susanne Lanzrein non ha tuttavia mischiato abbastanza bene la polvere Oxi, che per questo motivo non è stata efficace con la macchia di erba. Stephanie Good è invece riuscita a eliminare anche la macchia verde. Inoltre il suo dosaggio è stato perfetto, poiché ha tenuto conto della durezza dell’acqua. È quindi lei la vincitrice del duello contro le macchie.
3
Macchie di vino rosso, erba e salsa di pomodoro su tre magliette bianche: questa la sfida in cui si cimentano le due partecipanti, Susanne Lanzrein e Stephanie Good, nella seconda parte della serie Total. La competizione si svolge nella lavanderia della Mifa a Frenkendorf, BL. Qui i risultati ottenuti dalle due donne vengono valutati da un team interno di esperti. Entrambe fanno parecchio correttamente, ma una sola di loro può vincere. Come e perché la giuria ha deciso, si può leggere dal punto 1 al 4. Stephanie (41) e Jürg Good (46) con i loro tre figli Olivia (8), Fabio (9) e Sophia (6)
3 Entrambe lavano le t-shirt a 60 gradi. Per il bucato Stephanie Good utilizza 140 g di detersivo universale in polvere Total e aggiunge un cucchiaio di Oxi Booster White. Susanne Lanzrein utilizza 80g di detersivo universale in polvere Total e anch’essa un cucchiaio di Oxi Booster.
4
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Consigli per il bucato
Basta alle macchie
*Azione 50%
Macchie da candeggiare, come sangue, vino rosso, cioccolato, salsa di pomodoro o deodorante: immergere i tessuti bianchi nello smacchiatore in polvere Oxi Booster White per un massimo di sei ore prima del lavaggio. Per i capi colorati utilizzare Oxi Booster Color.
sui detersivi Total a partire dall’acquisto di due prodotti (esclusi smacchiatori e additivi per bucato Total) dal 29.05 al 04.06
Grasso, caffè, erba e olio: prima del lavaggio spruzzare con lo smacchiatore pretrattante Spray & Wash, lasciar agire cinque minuti, quindi lavare come di consueto.
Total Color 2 l* Fr. 15.90
Total Spray & Wash 500 ml Fr. 5.90
Total Color 2,475 kg* Fr. 15.90
Total in polvere 2,475 kg* Fr. 15.90
Total Oxi Booster Color 1 kg Fr. 12.90
Gomma da masticare: mettere l’indumento in congelatore, in un sacchetto di plastica. Rimuovere i resti congelati dal tessuto e spruzzare l’area interessata con Total Spray & Wash.
Total Oxi Booster White 1 kg Fr. 12.90
1 Come prima cosa Stephanie Good osserva le istruzioni di lavaggio presenti sulle magliette e chiede agli esperti di bucato della Migros informazioni circa la durezza dell’acqua di Frenkendorf. Quindi spruzza tutte e tre le magliette con lo smacchiatore pretrattante Total Spray & Wash e lo lascia agire cinque minuti.
Total
Lavanderia a disposizione per il prossimo duello
Total Liquid 2 l* Fr. 15.90
Resina e colla: inumidire un panno con spirito da ardere o detergente per pennelli e tamponare la macchia dall’esterno verso l’interno.
Susanne (41) e Adrian Lanzrein (53) con il simpatico Giulio (2)
2 Prima del bucato Susanne Lanzrein tratta tutte le macchie con Oxi Booster White, che mescola con acqua calda. Lascia agire lo smacchiatore per cinque minuti prima di iniziare il lavaggio.
2
Due donne, Susanne Lanzrein e Stephanie Good, si affrontano nella sfida all’ultima macchia. Chi vincerà la competizione?
1
4 Entrambe le donne hanno trattato le magliette prima del bucato e sono riuscite a eliminare le macchie di salsa di pomodoro e di vino. Susanne Lanzrein non ha tuttavia mischiato abbastanza bene la polvere Oxi, che per questo motivo non è stata efficace con la macchia di erba. Stephanie Good è invece riuscita a eliminare anche la macchia verde. Inoltre il suo dosaggio è stato perfetto, poiché ha tenuto conto della durezza dell’acqua. È quindi lei la vincitrice del duello contro le macchie.
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Macchie di vino rosso, erba e salsa di pomodoro su tre magliette bianche: questa la sfida in cui si cimentano le due partecipanti, Susanne Lanzrein e Stephanie Good, nella seconda parte della serie Total. La competizione si svolge nella lavanderia della Mifa a Frenkendorf, BL. Qui i risultati ottenuti dalle due donne vengono valutati da un team interno di esperti. Entrambe fanno parecchio correttamente, ma una sola di loro può vincere. Come e perché la giuria ha deciso, si può leggere dal punto 1 al 4. Stephanie (41) e Jürg Good (46) con i loro tre figli Olivia (8), Fabio (9) e Sophia (6)
3 Entrambe lavano le t-shirt a 60 gradi. Per il bucato Stephanie Good utilizza 140 g di detersivo universale in polvere Total e aggiunge un cucchiaio di Oxi Booster White. Susanne Lanzrein utilizza 80g di detersivo universale in polvere Total e anch’essa un cucchiaio di Oxi Booster.
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