Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 23 maggio 2016
Azione 21 M sh alle p opping agine 41-5 0/
Società e Territorio L’Istituto Oncologico della Svizzera italiana introduce la figura dell’assistente spirituale per i pazienti
Ambiente e Benessere Un reportage dalle Ande, tra la Patagonia argentina e quella cilena, alle falde del Cerro Torre e della Cordigliera del Paine
Politica e Economia La guerra dei Tory in vista del referendum del 23 giugno: 1. parte
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Cultura e Spettacoli Nei curiosi baratti dell’antichità ascoltare un grande maestro come Socrate valeva oro
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Porte che si aprono, La lotta svizzera mondi che sprofondano arriva anche in Ticino di Peter Schiesser Racconta Urs, incontrato dopo vent’anni, che il mondo che conobbi oltre 30 anni fa non esiste più. Non troverei più il Guatemala degli anni ’80 e faticherei a ritrovarmi a San Pedro, villaggio maya affacciato sul lago Atitlàn, tanto è cresciuto e mutato. I campi di ortaggi fra il lago e il villaggio hanno lasciato spazio a numerose piccole strutture per turisti, per lo più gestite e abitate da stranieri occidentali. Attorno al lago c’è qualche strada in più, quelle esistenti restano piene di buche e sconnesse, quelle nuove sono anche peggio perché neppure completate, con poche eccezioni. Per contro, la navigazione si è fatta più lenta e difficile. L’acqua potabile resta un’utopia, Urs – che vive a San Pedro da 18 anni – afferma di spendere più in acqua potabile che in cibo ed elettricità. Per contro, l’accesso a internet è diffuso: «la maggior parte degli abitanti indio vive ancora di agricoltura e il cibo scarseggia, il sistema educativo resta pessimo, ma tutti i giovani possiedono uno smartphone», mi riferisce Urs. I giovani vivono in una bolla tecnologica che li ha allontanati dalle antiche radici culturali, immaginando che questa fosse l’autostrada verso la modernità, identificata nel benessere materiale. I vestiti colorati, a San Pedro servono ormai solo ad attirare turisti in cerca di facili cliché. Finito per sempre il tempo in cui l’intera comunità indio viveva la quotidianità sentendosi inserita in un cosmo retto dai ritmi della natura e dal volere delle divinità maya. Facebook e Whatsapp offrono e promettono di più. E pensare che solo trent’anni fa, come mi raccontarono allora a San Pedro (l’assunto fece discutere a lungo gli anziani del villaggio), tre giovani potevano ancora inventarsi la scusa di essere stati rapiti da divinità del sottosuolo per una settimana, nell’intento di nascondere il fatto che avevano sperperato in bevute il denaro affidato loro per comprare del bestiame! D’altronde, anche in Occidente c’è chi ha creduto nella fine del mondo attribuita ad una profezia dei maya... Non che la modernità, nelle sue forme materiali, non fosse giunta già prima a San Pedro: allora mi sorpresi a constatare che i cafetales venivano «concimati» con la plastica, mi venne spiegato che gli indio non avevano ancora capito che questa non si decomponeva come i prodotti della terra. A Urs non ho osato chiedere com’è la oggi gestione dei rifiuti, poiché ancora scioccato dall’esperienza avuta due anni fa in India, dove l’abitudine di gettare ogni scarto per terra si è accompagnata all’avvento della plastica: considerato che la bevanda più diffusa, il tè, per strada non viene più versato in bicchieri di vetro o di coccio ma in plastica e che la popolazione dell’India conta 1200 milioni di persone come minimo, ci sono decine se non centinaia di milioni di bicchierini di plastica che ogni giorno finiscono per terra e negli scoli – non era il caso di deprimersi chiedendo dove buttano i rifiuti a San Pedro. Certo, nel 1998 sono finite le sanguinose dittature militari in Guatemala, susseguitesi dal 1954, dopo il colpo di Stato ordinato dagli Stati Uniti contro il presidente di origine svizzera Jacobo Arbenz. Ma la pace ha trasformato i paramilitari e numerosi soldati dell’esercito in criminali puri e semplici, rendendo insicuro in modo diverso il Paese. Oggi il problema della criminalità è peggiorato: alcuni quartieri della capitale sono in mano a bande simili alle «Mara» salvadoregne. Il potere politico ed economico resta in mano alle élite di un tempo e la democrazia resta di facciata. Tuttavia, la globalizzazione resa possibile dall’avvento delle tecnologie moderne sta rimescolando le carte, se da un lato sradica le giovani generazioni da tradizioni millenarie, dall’altro apre porte prima inviolabili: il compagno di Urs, Juan Carlos, di professione stilista, è riuscito con un crowdfunding a partecipare alla Fiera della Moda di Vienna e se riuscirà a tornarci potrebbe arridergli il successo in Europa. Anche questo è il mondo che cambia.
VOTAZIONE GENERALE 2016 Rinnoviamo a tutti i soci l’invito a partecipare alla votazione generale Migros. Ultimo termine per la spedizione o consegna della scheda
SABATO 4 GIUGNO 2016
di Alessandro Zanoli - foto di Simone Mengani
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Attualità Migros
M Vitelli all’aria aperta TerraSuisse Le linee guida di IP-Suisse per i prodotti a base di carne sono molto rigorose
in ciò che concerne un allevamento rispettoso degli animali. Il controllore dell’agenzia indipendente ProCert Peter Klötzli mette sotto la lente un’azienda di Schlosswil
Quattordici vitelli allungano la testa verso il sole. Gli animali si affrettano verso l’area di pascolo, protetta dal vento, fuori dalla loro stalla. Bendict Stucki è agricoltore e gestisce insieme ai suoi famigliari l’azienda agricola Schlossgut, che si trova a Schlosseil, nel canton Berna. «In estate, quando fa molto caldo, i vitelli possono andare avanti e indietro anche per tutta la notte, cercando refrigerio sul piazzale fresco» ci spiega. Nella sua fattoria si tengono oggi i controlli dell’agenzia indipendente Pro Cert. La visita dell’ispettore avviene al minimo una volta all’anno e serve a verificare che i protocolli di certificazione IP-Suisse siano rispettati in modo rigoroso. Mentre Stucki fa da guida attraverso la fattoria, Peter Klötzli di ProCert controlla, tra le altre cose, la dimensione e la pulizia delle stalle, e anche la qualità dello strame. Stucki ha diviso i vitelli in due gruppi, a seconda dell’età. Ciò da una parte serve perché gli animali, che stanno crescendo di corporatura, abbiano più spazio. D’altro canto, la scelta è anche una misura di sicurezza: «I giovani manzi sono molto vivaci, hanno voglia di muoversi e di giocare. In questo modo evitiamo che quelli di dimensioni più grosse possano ferire i più piccoli» spiega Stucki.
Lo specialista controlla che le stalle rispondano ai requisiti richiesti. (Marco Zanoni)
I vitellini appena nati sanno tenersi in piedi e si muovono già con una certa indipendenza. Rimangono sotto osservazione per almeno dieci giorni, nella stalla delle loro mamme. Dopo la nascita poppano a sazietà il
latte colostrato, il primo che le mucche producono dopo il parto, molto ricco di anticorpi. «Nel giro delle prime due ore gli anticorpi entrano nel circolo sanguigno. Il processo avviene abbastanza velocemente, perché
TerraSuisse e IP-Suisse Nella linea dei prodotti a base di carne di Migros il benessere degli animali gioca un ruolo importante. Perciò oltre l’80 per cento della carne di vitello è identificata dal marchio TerraSuisse. Il label indica la migliore carne svizzera, proveniente da allevamenti rispettosi degli animali, dove questi hanno la possibilità di stazionare all’aperto. La carne TerraSuisse proviene da aziende agricole certificate IP-Suisse, che si impegnano in Svizzera per un’agricoltura sostenibile e offrono prodotti alimentari di qualità parti-
colarmente alta. A tutt’oggi producono per IP-Suisse circa 11’000 contadini. IP-Suisse non si distingue solo per le sue rigorose linee guida in rapporto al benessere degli animali, ma anche per un’agricoltura vicina alla natura e per la promozione della biodiversità secondo le prescrizioni della Stazione ornitologica di Sempach. In questo modo uccelli e animali selvatici possono avere preservato il loro spazio vitale. Chi vuole ottenere il marchio IPSuisse deve osservare in modo preciso tutti i requisiti richiesti.
Il mantenimento delle linee guida è verificato da organismi di controllo indipendenti come ProCert. TerraSuisse garantisce un’agricoltura vicina alla natura, rispettosa degli animali e aderisce alle linee guida di IP-Suisse.
lo stomaco dei vitellini è permeabile come un setaccio» ci chiarisce Klötzli. Nel mantenimento dei vitelli da allevamento, le prescrizioni di IP-Suisse sono per molti aspetti ancora più rigide di quelle della Protezione animali svizzera per l’allevamento convenzionale. I vitelli, ad esempio, devono avere la possibilità di uscire all’aria aperta ogni volta lo desiderino. In tal modo possono godere di uno spazio molto maggiore e il pericolo di infezioni microbiche si riduce: ciò comporta, di riflesso, che l’uso di antibiotici possa essere ridotto. Anche il tipo di alimentazione degli animali è strettamente sotto controllo. Durante il suo ciclo vitale un vitello deve poter succhiare al minimo mille litri di latte fresco. Se si calcola che il periodo medio di allevamento è di circa 150 giorni, la quantità giornaliera supera i sette litri al giorno. Ai vitelli inoltre occorre fornire acqua e paglia fresca a volontà. L’ispettore Peter Klötzli, alla fine della visita, non ha riscontrato manchevolezze: «Tutto molto bene», commenta.
Migros gode della migliore reputazione Marketing È prima
nelle classifiche 2016 su qualità di prodotti, etica, trasparenza e responsabilità sociale
Il Reputation Institute, l’impresa di consulenza leader al mondo nell’ambito della reputazione, nel 2016 ha analizzato il buon nome delle maggiori imprese svizzere e, in collaborazione con Farner Consulting, ha premiato le prime 50. Con un risultato davvero notevole, Migros si è piazzata al primo posto. Una buona reputazione rafforza il legame emotivo dei clienti con l’azienda e costituisce un fattore importante per un buono svolgimento del business. Sulla base di uno speciale modello (RepTrak) il Reputation Institute ha finora analizzato il buon nome di più di 7000 imprese a livello mondiale. Nel 2016, in collaborazione con Farner Consulting, ha misurato il grado di reputazione delle imprese svizzere più grandi e conosciute. Il legame emotivo con le singole aziende è stato suddiviso secondo i sette più importanti fattori che contribuiscono alla costruzione di una buona reputazione: performance, products/services, innovation, workplace, governance, citizenship e leadership. In Svizzera l’analisi si è svolta conducendo 12’531 interviste. Si è così scoperto che per gli svizzeri intervistati valori quali la qualità dei prodotti, l’etica, la trasparenza e la responsabilità sociale sono decisivi per il buon nome di un’azienda. Nell’ambito di questa inchiesta Migros ha conquistato il primo posto in quattro dei sette fattori menzionati sopra e, con un punteggio di 83,1, è risultata l’impresa numero 1.
Engagement, per lanciare le nuove idee Start Up Il futuro nasce dai progetti dei giovani e Migros ne sostiene la realizzazione Il fondo di sostegno Engagement Migros è stato istituito nel 2012 e Migros lo ha espressamente destinato a sostenere progetti negli ambiti della cultura, della sostenibilità, dell’economia e dello sport. I mezzi finanziari provengono da aziende della comunità Migros dei settori economia, commercio e viaggi; ad esempio dalla Banca Migros, Denner, Migrol o Hotelplan. Il fondo si concentra su pochi grandi progetti che sceglie autonomamente e non accoglie richieste di sostegno inoltrate di propria iniziativa da enti esterni. In tal modo Engagement Migros completa il Percento culturale Migros, il quale invece esamina una grande quantità di richieste di aiuto, sponsorizzando talenti e progetti in vari ambiti della cultura. Tra i vari progetti sostenuti dal fondo ne presentiamo qui due: Fluxdock e la
piattaforma online dedicata al benessere delle api, Bienenzukunft. Spesso, un’efficiente collaborazione interaziendale fallisce a causa degli oneri amministrativi, per processi lavorativi specifici oppure anche semplicemente per i diversi metodi di lavoro che sono andati lentamente consolidandosi in modo passivo tra le aziende. La digitalizzazione progressiva dei posti di lavoro crea al riguardo una nuova base di partenza. Il progetto pionieristico elaborato da un gruppo di giovani di Basilea, Fluxdock, parte da qui, mettendo a disposizione una piattaforma digitale, attraverso la quale si evitano gli ostacoli amministrativi e si sviluppano strumenti adeguati per la collaborazione. Inoltre, da settembre, sulla Dreispitzareal di Basilea verrà allestito uno spazio di 1500 metri quadri per posti di lavoro
Azione
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
fissi e temporanei, con sale per workshop e conferenze, un laboratorio e uno studio di simulazione. Il fondo di sostegno Engagement Migros sostiene poi una piattaforma online dedicata alla salvaguardia delle api. Essa offre ad apicultori, contadini e giardinieri dilettanti, un gran numero di consigli, in modo da rendere il più favorevole possibile l’habitat e la salute degli insetti. Per la prima volta sono riunite e messe a disposizione sul web informazioni attuali e convalidate da conoscenze scientifiche. Ciò servirà d’aiuto nella lotta alle malattie delle api che si sono diffuse negli ultimi anni. Informazioni
www.fluxdock.io www.bienenzukunft.ch. Anche le api svizzere nella Grande Rete: www.bienenzukunft.ch. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Tiratura 101’035 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Archeologia industriale La vetreria di Lodrino, fondata nel 1782, sfruttava la ricchezza di legname e quarzo della Riviera
Famiglia e disabilità Nei prossimi due anni sarà attivo un progetto pilota di soggiorni temporanei per persone adulte con handicap pagina 6
Parlare della morte con i bambini Un tema delicato messo in scena da Cambusa Teatro con lo spettacolo La palla rossa nato dalla collaborazione tra la pedagogista Sonia Lurati e il drammaturgo Marco Taddei pagina 8
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L’assistente spirituale Luigi Romano. (Vincenzo Cammarata)
Accoglienza e ascolto per i pazienti Cure multidisciplinari Lo IOSI offre ai propri pazienti un’assistenza spirituale a-dogmatica con una figura
di riferimento e di accompagnamento nel percorso terapeutico Maria Grazia Buletti «Ci sono persone con cui si va subito d’accordo, con cui nasce quel “non so che” che ce le fa sentire vicine. Ho incontrato l’assistente spirituale Luigi un mese fa e con lui ho potuto instaurare un rapporto più profondo perché “mi correva dietro” dovunque fossi: allo IOSI o alla Varini, lui c’era, se io desideravo incontrarlo. Alla sua prima domanda: “Sei religiosa?”, ho risposto che ho il mio “credo”. Ma non era di religione che avremmo parlato. Nella vita si cresce, si ragiona con la propria testa e ci si smarca dai dogmi religiosi. Così Luigi è diventato un importante punto di riferimento. Mi ha spiegato il lato spirituale della persona come parte collante delle quattro dimensioni di cui siamo costituiti. Abbiamo parlato di parecchie cose e non solo del mio lungo percorso di malattia. Consiglio a tutti di accettare un accompagnamento del genere, così discreto e utile». Amanda è una signora di circa 65 anni che trent’anni fa si ammalò di tumore al seno, poi operato e guarito fino a dieci anni fa, quando sente un nodulo: «Senza preamboli, ho detto al mio medico che il male era tornato. Non si nuota con-
trocorrente e io avrei combattuto per vincerlo nuovamente». A quattro giorni dal rientro a casa dopo l’ultimo ricovero, Amanda parla serenamente del suo lungo percorso di cure: «Gli effetti collaterali della chemioterapia a cui mi sottopongo da 10 anni sono pesanti: ho perso peso, i continui ricoveri, il sistema immunitario è più delicato, il respiro diventa a tratti affannato, e il morale non è sempre alto…». È determinata a parlarci della sua esperienza con Luigi, l’assistente spirituale con cui ha accettato di condividere il proprio cammino e attraverso il quale dice di aver trovato tante risposte e tanta serenità. «Quella dell’assistente spirituale è una nuova figura istituzionale che si situa all’interno di un progetto più ampio abbracciato dall’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, dall’Ente Cantonale Ospedaliero (EOC), Fondazione Varini, Fondazione Hospice Ticino, Lega Ticinese Contro il Cancro. Questo delicato ruolo è stato affidato a Luigi Romano e ha il pregio di offrire al paziente un’unica figura di riferimento dovunque egli si trovi, presso i letti di cure palliative dell’ospedale San Giovanni o della clinica Varini, o a domicilio», spiega la dottoressa Claudia
Gamondi (direttore clinico delle Cure palliative dello IOSI-EOC). Una figura di grande competenza, ci racconta la dottoressa, che va ad aggiungersi al team di cure multidisciplinari, rafforzandone l’azione e i benefici terapeutici: «Al paziente proponiamo quest’accompagnamento chiarendo che non si tratta di un indottrinamento: di per sé l’assistenza spirituale è a-dogmatica, non c’è un giusto o uno sbagliato, ma il punto di vista sulle cose è appannaggio dell’ammalato stesso». La dottoressa è convinta del fatto che questo approccio, che non trascura la spiritualità e la pone su un piano di riflessione, aiuti la persona a individuare e riattivare le proprie risorse recondite: «Permette di tornare a una dimensione il cui nucleo sarà nuovamente il concetto di persona che ha una malattia, non più solo “paziente”; “essere umano” in grado di intraprendere il percorso terapeutico. È importante che la multidisciplinarietà includa anche l’assistente spirituale, perché ogni disciplina terapeutica ha i suoi limiti, anche la medicina; le cure “in rete” riescono ad abbatterli». Luigi Romano ha una formazione «ad ampio raggio»: biologo, approfondisce la filosofia e la teologia pastora-
le con indirizzo sanitario, si diploma come counselor e questo percorso lo conduce al progetto di assistenza spirituale di cui stiamo parlando. «La spiritualità non è da confondersi con religione o religiosità: qui parliamo del mondo interiore della persona che deve essere libera di esprimerlo come meglio crede, a prescindere da indottrinamenti o dogmi», ci racconta elencandoci le quattro dimensioni dell’essere umano: «Bio, psico, socio, spirituale, di cui quest’ultima fa da collante, anche se tutte hanno uguale valenza: la dimensione spirituale unifica dunque le altre tre dimensioni, dando vita alla sola dimensione umana. Questo è l’approccio olistico con cui lavoriamo, in rete con medici e le altre figure di cura». Una figura di riferimento unica, dicevamo, perché Luigi stesso spiega: «Il paziente, sempre libero di accettare o no gli incontri che gli sono offerti, si potrà aprire, sarà ascoltato e avrà come riferimento sempre la stessa persona. Si potrà così creare quella confidenza e fiducia che permetteranno di affrontare, anche intimamente, gli argomenti che egli desidera approfondire». Parlandoci del dolore spirituale («va ascoltato e accolto tanto quanto quello fisico») ci ri-
porta al racconto di Amanda e va oltre: «Spesso il dolore fisico si accompagna a quello spirituale, difficile da riconoscere anche dalla persona malata; ad esempio, in questo percorso ci si può scoprire limitati e mortali da un momento all’altro, senza sapere come prendere a carico il dolore che ciò comporta perché da soli non si è in grado di individuarlo». All’assistente spirituale, dunque, il compito di accompagnare la persona nella ricerca delle proprie risposte. «Non bisogna necessariamente avere un problema spirituale per rivolgersi all’assistente spirituale», puntualizza la dottoressa Gamondi, perché la spiritualità, se ben attivata e nutrita «crea le condizioni per gestire globalmente la malattia nella vita e in famiglia». Un’ultima riflessione di Luigi accarezza i perché della vita con cui l’ammalato potrebbe confrontarsi: «Il percorso con l’assistente spirituale può essere attivato in ogni momento, nella ricerca di ciò che si sta vivendo, nel senso della vita in questa situazione specifica, o nel significato della malattia… oppure anche nel “non senso”: la malattia non ha un significato per me? Va bene lo stesso, si rispetta questo approccio e si lavora su quel che la nostra spiritualità ci suggerisce».
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Società e Territorio
La vetreria di Lodrino Archeologia industriale Fondata nel 1782 dal maestro vetraio Meinrado Siegwart sfruttava la ricchezza di legname
e quarzo della Riviera Laura Patocchi-Zweifel I più antichi reperti archeologici di paste vitree risalgono approssimativamente al IV millennio a.C. e sono stati rinvenuti in un’area geografica che va dal bacino mesopotamico all’Egitto. Si tratta di oggetti di piccole dimensioni destinati ad usi rituali o a scopo ornamentale come perline, sigilli, intarsi e placche. In seguito, grazie ai mercanti fenici, l’arte vetraria si diffonde lungo le coste del Mediterraneo. Le tecniche di lavorazione subiscono una notevole evoluzione durante l’impero romano con l’introduzione del «soffio mediante canna» e l’ottenimento di un alto livello di trasparenza che superano tutte le tecniche del passato. Il più antico manufatto scoperto finora in Ticino è una perla in pasta vitrea verdognola proveniente da una tomba dell’età del bronzo finale (ca. X sec. a.C) di Ascona. Scavi archeologici a Muralto hanno portato alla luce un forno per la fusione del vetro, attivo tra il II e il IV secolo d.C., utilizzando le materie prime indispensabili per la produzione – cristalli, ciottoli quarzosi, sabbia silicea, calce e legname presenti nella regione. Durante i secoli successivi il vetro, generalmente importato dalla Lombardia e dal Piemonte, trova numerose applicazioni artistiche e utilitarie per adornare chiese e case dei notabili, e tra le stoviglie sulle tavole imbandite: nei dipinti dell’Ultima cena risplendono bicchieri e bottiglie in vetro soffiato. Fin dai tempi più antichi il fiume
La fabbrica ha chiuso definitivamente nel 1870, lo stabilimento ha subito varie trasformazioni e il suo futuro è incerto. (Patocchi-Zweifel)
Ticino fornisce sassi quarzosi per fare il vetro chiamati «cogoli», nome di origine veneta. I cogoli sono materiali preziosi. I vetrai di Venezia e di Murano acquistano enormi quantitativi di questi sassi che vengono trasportati per via d’acqua. Il commercio dei cogoli va diminuendo dal 1727, quando i vetrai veneti iniziano ad utilizzare «una certa terra che eguagliava ai cogoli da far vetro», di costo assai inferiore. Nei territori della media e bassa valle del Ticino le materie prime per avviare una produzione vetraria sono facilmente reperibili in zona. La valle di Lodrino è ricca di legname, il quarzo abbonda e il torrente offre una notevole portata d’acqua uti-
lizzabile quale forza-lavoro e per il trasporto dei tronchi. Nel 1782 Meinrado Siegwart, maestro vetraio già attivo in Svizzera interna e a Personico, si trasferisce a Lodrino dove fonda una nuova vetreria. La convenzione con il comune prevede la cessione gratuita del terreno per i fabbricati, per gli acquedotti, per i mulini di macinazione dei materiali, la facoltà di far legna nelle proprietà comunali e di usufruire delle pietre per la produzione del vetro. La Ditta Siegward assume numerosi operai tedeschi, e produce bottiglie, fiaschi, acquasantini, lastre. Tanto il carbone di legna, prodotto sui monti di Lodrino nelle carbonaie quanto i sas-
si di quarzo estratti nella cava vengono trasportati alla fabbrica soprattutto dalle donne che devono caricarsi sulle spalle gerle pesantissime. Nel 1821 l’attività viene rilevata dalla ditta Camossi e Ghiringhelli che amplia la fabbrica e incrementa la produzione arrivando ad assumere 41 operai specializzati italiani. Tuttavia, nel 1837 Stefano Franscini segnala «due fabbriche di vetri una a Lodrino in Riviera, una a Personico in Leventina, ambedue sulla destra del Ticino: sono in riposo per manco di spaccio della manifattura». Nel 1862 Francesco Scazziga di Muralto acquista la vetreria e tenta di rilanciare la produzione di bottiglie coin-
volgendo la popolazione locale e impiegando una settantina di operai. Ma nel 1864 una cottura mal riuscita, pare per difettoso impasto fraudolento del capo fonditore, deteriora la merce rendendola scadente e dannosa alla conservazione del vino, tanto da provocare una causa da parte di un cliente. Causa risolta a favore di Scazziga ma che purtroppo pregiudica l’industria. Negli anni successivi vengono prodotte lastre di vetro, «che riuscirono per quell’epoca bellissime ed ottennero grande smercio nel Cantone ed in Italia». Ma la concorrenza delle industrie italiane, gli alti dazi doganali, la posizione al di fuori delle vie di comunicazione (la Gotthardbahn non esisteva ancora), portano al fallimento definitivo nel 1870. E così i soffiatori di vetro, gli operai, i boscaioli, i carbonai, i carrettieri, i magazzinieri si trovano senza lavoro. Gli stranieri ritornano a casa e ai Lodrinesi non resta che ritornare all’agricoltura e all’emigrazione. Il vecchio stabilimento ha subito trasformazioni radicali ed è stato adibito a vari usi. Attualmente dell’ex fabbrica resta solo il grande volume. Un gruppo di studenti di architettura della Hochschule für Technik di Stoccarda ha pensato di crearvi un centro di competenze del vetro… ma il futuro è alquanto incerto. Bibliografia:
Flavio Bernardi e Giulio Foletti, Le vetrerie di Personico e di Lodrino, Lodrino, 2005. Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio
Accudire i figli per aiutare i genitori
Famiglia e disabilità Ha preso il via il progetto pilota di soggiorni temporanei per persone adulte con disabilità
che vivono esclusivamente al proprio domicilio o che frequentano strutture diurne Stefania Hubmann Una risposta concreta alle segnalazioni giunte dal territorio sulle necessità delle famiglie con figli disabili adulti, costruita insieme da tutti i partner interessati. Così si presenta il progetto pilota di soggiorni temporanei per persone con disabilità, reso noto lo scorso aprile dall’Ufficio degli invalidi. Quest’ultimo ha coordinato la nuova offerta con Atgabbes, gli istituti sociali riuniti nell’omonima associazione ticinese (ATIS) e Pro Infirmis Ticino e Moesano. Per i prossimi due anni (estensibili a tre) saranno messi a disposizione due posti con accompagnamento professionale, uno presso Casa Giroggio della Fondazione OTAF a Sorengo e l’altro nella Casa Don Orione della Fondazione San Gottardo a Lopagno.
I soggiorni possono durare da due giorni a un mese e garantiscono le presa a carico diurna e notturna Le prime richieste sono già pervenute all’Ufficio degli invalidi che coordina le segnalazioni per il progetto sperimentale. «Si denota una buona rispondenza dopo il lancio del progetto», osserva il capoufficio Christian Leoni. «Questa è la prima offerta strutturata e servirà anche per analizzare la situazione complessiva a livello cantonale. Finora esistevano poche possibilità presso alcune case con occupazione, in presenza di situazioni logistiche che lo permettevano, e che coinvolgevano primariamente utenti già seguiti dalle medesime strutture per l’attività diurna. Attraverso questa iniziativa desideriamo valutare in maniera più precisa il bisogno sia dal punto di vista quantitativo, sia da quello qualitativo. In particolare sono da verificare le richieste per tipologia di handicap e la provenienza geografica delle persone per le quali viene inoltrata la domanda». Il soggiorno temporaneo ha quale obiettivo di permettere uno sgravio programmato per le famiglie dall’im-
pegno di accudire al domicilio il proprio caro e, in ottica preventiva, di favorire la continuazione della sua permanenza a casa. La possibilità di beneficiare di una presa a carico diurna e notturna è offerta di regola una volta all’anno, è limitata temporalmente da un minimo di due giorni a un massimo di un mese, deve essere pianificata di regola con un anticipo di tre mesi e si basa su priorità d’ammissione definite. L’intento è infatti quello di aiutare innanzitutto le famiglie delle persone con disabilità che vivono esclusivamente al proprio domicilio o che frequentano solo strutture diurne. In questo ultimo caso si tratta di utenti già conosciuti dalle istituzioni, ma esistono, sebbene siano stimate rare, situazioni in cui è unicamente la famiglia a occuparsi della persona con disabilità. «Con questa proposta – precisa il capo dell’Ufficio degli invalidi – speriamo di riuscire ad agganciare anche questi nuclei familiari. La richiesta di un soggiorno temporaneo è una decisione intima della famiglia, una forma di distacco diversa da quelle che possono essere esperienze estive già praticate, come ad esempio le colonie». Eppure si tratta di un’esigenza sentita, soprattutto dai genitori non più giovani, consapevoli di perdere man mano forze ed energie. «Questo progetto è un segno dei tempi – aggiunge da parte sua Cosimo Mazzotta, presidente del Gruppo regionale del Luganese di Atgabbes –, risponde alle esigenze dei cicli di vita. L’entrata nell’età adulta dei nostri figli significa invecchiamento di noi genitori con l’esigenza di momenti per poter recuperare le forze e continuare ad affrontare il futuro nel segno della continuità. Futuro per il quale la domanda che i genitori si pongono fin dal primo confronto con la disabilità del proprio figlio/a è: cosa sarà dopo di noi?». Non a caso l’esigenza di poter disporre di posti d’accoglienza temporanea negli scorsi anni è stata portata all’attenzione del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS) da vari enti attivi a favore di persone con disabilità ed è emersa anche in occasione di tre convegni cantonali dedicati ai famigliari curanti. Il Dipartimento
I soggiorni temporanei per disabili sono previsti presso la Casa Don Orione di Lopagno oppure presso la Casa Giroggio dell’OTAF a Sorengo (Ti-Press)
l’ha analizzata e accolta; di seguito l’Ufficio degli invalidi ha promosso un gruppo di lavoro a quattro con i tre enti citati in apertura. A due anni di distanza dall’inizio di un proficuo lavoro comune, la fase sperimentale del progetto ha preso avvio con il supporto e la disponibilità a breve di due strutture che sono in grado di garantire una presa a carico globale
delle persone adulte con disabilità. Le richieste sono centralizzate all’Ufficio degli invalidi. Precisa Christian Leoni: «È necessario valutare da un lato il bisogno della famiglia e dall’altro le esigenze della persona con disabilità, in particolare se e dove svolge un’attività durante la giornata. Ogni situazione è differente e a questo livello gli istituti e le strutture che già accolgono
i potenziali utenti per la parte diurna rivestono un ruolo essenziale, perché dispongono delle necessarie informazioni al loro riguardo. Per i casi senza occupazione diurna, le due strutture che partecipano al progetto pilota assicurano, oltre all’accoglienza residenziale, una presa a carico completa con adeguate attività diurne». I due posti messi a disposizione si inseriscono nel quadro dei 570 disponibili a fine 2015 nelle case con occupazione finanziate dall’Ufficio degli invalidi secondo la Legge cantonale per l’integrazione sociale e professionale degli invalidi (LISPI). Per gli adulti i posti riconosciuti totali a livello cantonale, se si considerano tutte le strutture finanziate LIPSI, sono 1545 per più di 1600 utenti complessivi. Il progetto sperimentale di collocamento temporaneo in una struttura per invalidi adulti permetterà di monitorare, oltre alle richieste, i bisogni legati all’invecchiamento degli stessi disabili adulti. Un tema che sta particolarmente a cuore ai membri dell’associazione Atgabbes. Cosimo Mazzotta l’ha posto nei termini di un’inquietudine che accompagna i genitori per tutta la vita, il Cantone sarà chiamato a valutarlo da un punto di vista sociale, economico e politico. L’accoglienza temporanea potrebbe rappresentare una prima forma di distacco dalla famiglia nell’ottica di un futuro collocamento in istituto. La stretta collaborazione che ha portato i quattro enti presenti nel gruppo di lavoro a concretizzare il progetto pilota dimostra per i nostri due interlocutori l’importanza di ricercare soluzioni condivise. «Nel contesto dell’handicap la strada per la ricerca di nuove soluzioni adeguate all’evoluzione dei bisogni – afferma Cosimo Mazzotta – non può che essere quella del confronto, della trasparenza, del dialogo, delle sinergie tra istituzioni, fondazioni e associazioni, della condivisione nel rispetto ognuno delle proprie esigenze, della solidarietà». Informazioni
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Società e Territorio
La morte con gli occhi dei bambini La palla rossa Nello spettacolo prodotto da Cambusa Teatro, la pedagogista Sonia Lurati
e il drammaturgo Marco Taddei affrontano il tema della morte e la difficoltà di parlarne con i più piccoli Valentina Grignoli Ci sono temi che nessuno ha voglia di affrontare, mai. A volte però ci si trova imbrigliati dal destino che decide per noi, e allora questi temi, ostici, impalpabili e terribili sono inevitabili. Uno su tutti la morte. Un argomento triste, duro, che ci pone spesso di fronte alla difficoltà di comunicare sia con chi la sta affrontando sia con chi gli sta vicino. Sonia Lurati, pedagogista del Mendrisiotto, e Marco Taddei, drammaturgo genovese, insieme a CambusaTeatro, hanno proposto uno sguardo diverso e personale su questo argomento in uno spettacolo, La palla rossa, che racconta proprio la difficoltà di parlare della morte, soprattutto se di fronte a noi c’è un bambino. Tutto nasce da un’idea della pedagogista, che aveva da tempo il desiderio di mettere in scena il tema della morte, e sentiva la necessità di spiegare agli adulti, attraverso l’immediatezza e la forza rappresentativa del teatro, l’importanza di affrontare questo tema con i bambini quando si presentano situazioni che li pongono di fronte all’addio più difficile. «Desideravo creare qualcosa che facesse ridere e emozionare al contempo – racconta Sonia Lurati – che permettesse alle persone di fermarsi un attimo, convenire sul fatto che questo tema, ammettiamolo, non piace a nessuno, e da lì riflettere, ma anche sorridere. Sdrammatizzare insomma attraverso la semplicità del teatro». L’idea della creazione di questo spettacolo è anche frutto di un percorso che la pedagogista ha dovuto affrontare in seguito alla perdita del figlio, quindici anni fa. Ma non solo: da allora Sonia Lurati si è spesso trovata a doversi occupare di bambini che avevano perso i nonni o i genitori, e genitori che avevano visto mancare i propri figli. «Come pedagogista questo spettacolo era utile anche per verificare la possibilità di fare riflettere più persone adulte attorno al tema. Io e il drammaturgo, Marco Taddei, abbiamo fatto tante ore di pedagogia prima di creare il testo, prima del teatro. Abbiamo riflettuto inoltre sull’impotenza: quando accade di perdere qualcuno, ci si chiede“perché a me e non a qualcun altro?”. Se già noi adulti ci sentiamo impotenti, quando dobbiamo parlarne a un bambino il sentimento si acuisce, vorremmo potergli risparmiare ogni sofferenza, traducendo quel momento in qualcosa che pensiamo possa essere meno doloroso». E allora cosa dire? «Non c’è una frase pronta, non si tratta di cosa dire ma come dirlo. È importante per esempio adeguare il linguaggio all’età del bambino, che da sempre, da subito, può essere coinvolto nella discussione». Anche se la percezione della morte cambia
Marco Taddei, con le attrici Margherita Saltamacchia e Elisa Conte, che sul palco interpreta la Morte. (Equinotio)
negli anni, per esempio «il concetto di irreversibilità si sviluppa solo attorno ai sette, quando si assiste alla scomparsa dell’egocentrismo, nel periodo operatorio completo». Il titolo La palla rossa scaturisce proprio dall’immaginazione di una bambina vicina a Sonia Lurati: «L’autore si è ispirato a questa bimba che il giorno stesso della morte improvvisa di suo papà mi ha detto “Sento come una palla rossa che brucia forte forte qui nel petto”. Conoscendo la mia storia, mi ha chiesto se la sentivo ancora anche io, quella palla rossa. “Non più nello stesso modo, le ho risposto, brucia di meno, ma c’è ancora. Se la senti è perché qualcuno ti ha voluto bene e tu ne hai voluto a lui. Questa palla rossa sta lì per ricordarci che siamo stati amati, e che amiamo”». Ma come si può convivere con una palla rossa nel petto? «Il dolore è come un’onda che scorre e che si può solo seguire. Un giorno mi hanno chiesto come si potesse superare una cosa simile: basta cavalcare l’onda. Se la segui e non ti metti contro, ti porterà dove tu sei in grado di andare con fiducia. È un percorso, un processo di cambiamento, che passa attraverso le varie fasi del lutto». Negazione, rabbia, contrattazione, depressione, ma anche paura e senso di colpa, per arrivare poi all’accettazione che però, per Sonia Lurati, «non è un momento ultimo, ma una tappa del percorso, sapendo che quell’accettazione, nel tempo, potrà
essere affinata. La palla rossa, per me, è parte dell’accettazione. Non avrei mai potuto affrontarlo dieci anni fa, e questo percorso non si conclude qui. Quando la conosci da vicino, capisci abbastanza in fretta che lo studio di questa tematica può essere infinitamente interessante, anche rispetto alla comunicazione e alla reazione dei bambini. Ogni volta scopro quante possibilità ci sono di parlare con loro, quante strade si possono percorrere. Non convincerli ma facendogli sentire che stanno facendo la cosa giusta, malgrado il dolore».
«Il dolore è come onda che scorre e che si può solo seguire... se la segui e non ti metti contro ti porterà dove tu sei in grado di andare con fiducia» Una possibilità di comunicazione, per Sonia, è per l’appunto il linguaggio teatrale. Per questo si è rivolta a CambusaTeatro, che ha prodotto lo spettacolo, e l’ha messa in contatto con il drammaturgo. Ne è nato un testo, La palla rossa, che racconta la storia di Angelino, che si presenta a notte fonda a casa di sua figlia, Marianna. Sta per morire, gliel’ha detto
la Morte per telefono, e quindi è passato a salutare con una torta. Marianna e Marco, il marito, pensano che Angelino sia impazzito, finché all’ora stabilita, la Morte suona alla porta. Marianna vuole impedire a tutti i costi che si porti via suo padre, o che per lo meno attenda che si svegli la piccola Alice cosicché possa salutare il nonno per l’ultima volta. Si susseguono contrasti di vita famigliare, amore e cattiverie, finché, al mattino, Alice si sveglia, e tutti dovranno fare i conti con lei. Chiediamo a Marco Taddei, l’autore, come sia arrivato a questa storia: «Ho proposto a Sonia di far diventare la morte un personaggio. La porta si apre e c’è la morte e tu le puoi chiedere quello che vuoi. Cosa le chiederesti, Sonia? È stato l’inizio». Marco e Sonia, durante la creazione del testo, scoprono la vicinanza tra teatro e pedagogia: «Scrivendo mi sono accorto che non c’era bisogno di “insaporire”, di rincarare la dose, per raccontare della morte», ci racconta il drammaturgo. E la pedagogista sottolinea che «a volte con i bambini giriamo intorno alle cose, non vogliamo andare al punto. E allora tutto diventa goffo, drammatico, qualsiasi cosa tranne l’essere chiaro e semplice». I personaggi della pièce passano una notte intera a tentare di capire come presentare la realtà alla bambina quando sarà proprio la piccola Alice a risolvere il conflitto chiamando le cose per il loro vero nome. «A livello peda-
gogico questa è stata la parte più difficile – racconta Sonia Lurati – il dialogo di Alice doveva essere adeguato alla sua età evolutiva ed essere legato all’ascolto attivo e alla comunicazione non violenta. Gli adulti nella pièce sbagliano tutto, poi quando la mamma ammette di aver sofferto (a sua volta ha perso la madre quando era piccola e non ha avuto la possibilità di salutarla), iniziano ad accogliere le domande della bambina e a dare risposte che possa ricevere perché sente finalmente la fiducia degli adulti che le stanno attorno. È a quel punto che avviene il vero processo pedagogico della pièce; ma ci è voluto tutto il tempo necessario ai personaggi per affrontare la realtà». Dalla tragedia il drammaturgo ha fatto nascere una commedia permettendoci così di scoprire che la realtà, la concretezza e la semplicità delle parole possono aiutarci ad affrontare la paura, e sconfiggerla. Uno spettacolo che insegna anche la necessità del dialogo, a qualsiasi età. Il pubblico che ha assistito allo spettacolo è stato sorpreso e stupito, sia dal coraggio di mettere in scena la morte, sia dal dolce viavai tra risate e lacrime. Alcuni hanno preso La palla rossa come occasione per ripercorrere il proprio doloroso vissuto, altri per iniziare un lavoro su di sé. In ogni caso, quello che si augurava la pedagogista Lurati è avvenuto. Uno spettacolo che, attraverso il dramma, le parole, è riuscito a sdrammatizzare la morte.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Sir Steve Stevenson, Colpo al museo delle cere, serie “Tom O’Clock e i Detective del tempo”, De Agostini. Da 8 anni. Una nuova serie realizzata dalla sempre più attiva Atlantyca Dreamfarm, società italiana che progetta e sviluppa libri per ragazzi, da affidare poi agli editori per la stampa. Agile e ben costruita, la serie Tom O’Clock e i Detective del tempo non corre il rischio, peraltro sempre dietro l’angolo, di «prodotto fatto in serie»: l’ideazione ha un suo senso preciso e lo stile è gestito con piglio sicuro dall’autore. O dagli autori, visto che sotto lo pseudonimo di Sir Steve Stevenson si celano Mario Pasqualotto per ideazione e soggetto, e Luca Blengino per la supervisione del testo. Al tutto collaborano poi le illustrazioni di Nicola Sammarco e la
copertina di Stefano Turconi. Insomma un team agguerrito, che ci trascina in avventurosi viaggi nel tempo, tinti di giallo, in compagnia dei tre giovani protagonisti, Tom, Josh e Annika, ragazzini contemporanei che ogni tanto vengono convocati in missione nel Rifugio Millenario, luogo fuori dal tempo e sede dell’Agenzia investigativa Wells. La «chiamata» avviene all’improvviso, mentre stanno svolgendo le normali attività quotidiane, e allora i ragazzi svaniscono da questo mondo e si materializzano nel Rifugio, da dove partiranno per risolvere un mistero in un’epoca passata: i primi tre volumi li porteranno rispettivamente a Parigi nel 1784, a Pompei nel 23 a.C., nel Nevada nel 1877. A fine missione i tre ragazzi verranno rispediti qui e ora, nello stesso istante da cui erano partiti. Le
ambientazioni storiche sono accurate e forniscono anche a lettori relativamente piccoli un primo approccio con momenti cruciali del nostro passato; la quota di avventura investigativa è ben calibrata e avvincente. Nel primo volume, ad esempio, c’è il furto di una statua di cera dal laboratorio di Philippe Curtius, medico svizzero realmente esistito, noto soprattutto come scultore su cera, il quale da Berna si spostò a Parigi, dove fu appunto attivo negli anni intorno alla Rivoluzione, aiutato da una giovane e promettente collaboratrice, Marie, figlia della sua governante. Marie poi si sposerà con un signor Tussaud, andò a vivere Londra e diventò la celebre Madame Tussaud. I tre ragazzi protagonisti dovranno trovare il colpevole del furto, scoprire il movente e scagionare un
povero garzone innocente rinchiuso in una cella della Bastiglia. L’avventura è servita, i lettori la seguiranno con il fiato sospeso. Giuliano Ferri, Abbasso i muri!, Minedition. Da 3 anni. Dalla separazione all’accoglienza. Smontare un muro per costruire un ponte, mattone per mattone. Un’idea semplice, ma essenziale ed efficace, per quest’albo cartonato e con gli angoli stondati, adatto ai più piccoli. Le parole sono pochissime (e a dirla tutta potevano anche non esserci), la storia è totalmente veicolata dalla forza delle immagini. La doppia pagina è occupata per intero da un muro di mattoni bianchi, tranne che per un minimo particolare, ossia due fiorellini che spuntano da una fessura. Sarà proprio
da qui, da questa felice «incongruenza», che prenderà il via questa piccola storia: per cogliere i fiori, il topolino protagonista farà cadere un mattone, e al suo sguardo si aprirà un nuovo scenario. Un oltre, un aldilà, un’alterità che a lui era ignota. E allora, mattone dopo mattone, facendosi aiutare dai suoi amici (il gatto, il maiale, il coniglio, la pecora: ad ogni pagina, e ad ogni mattone, se ne aggiunge uno), il muro viene decostruito, e il nuovo paesaggio sempre più liberato alla vista. Fino a che si vedrà il mare, e sull’altra sponda degli altri animali, animali «stranieri», come la giraffa, la scimmia, il leone, l’elefante, l’antilope. Che fare quindi di tutti quei mattoncini smontati? Come in un Lego etico e profondamente attuale, li potranno usare per costruire un ponte!
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Il vecchio della montagna Come e forse più di tante guerre, le Crociate sono state una fucina di racconti nei quali il fascino dell’Oriente si è mischiato ai pregiudizi, il desiderio di scoperta a improbabili favoleggiamenti – il tutto condito ora da un odio senza limiti per il Nemico Infedele ora invece da un altrettanto forse poco critica ammirazione per le sue qualità cavalleresche e virtù militari. Il nome di Saladino – anzi, di Salah ad-Din Yusuf bin Ayyub (1137/1138 – marzo 1193) spicca fra tutti come colui che meglio di altri si è prestato a quanto sopra – e forse di più. Quello che forse non è filtrato nella storia raccontata, fra le tante storie che peraltro ha ispirato, è il fatto che Saladino non fosse di etnia araba, ma bensì di etnia curda. Per quanto sia passato alla storia per la sua opposizione alle crociate, il suo sultanato – che arrivò ad estendersi dall’Egitto alla Siria e dallo Yemen a parti sostanziali del Nord Africa – era formato per la maggior parte di territori conquistati a spese di altre signorie islamiche. «Io sono diventato così grande – amava dire – perché ho vinto i cuori degli uomini
con la gentilezza e le buone maniere». Sarà pure – e l’aneddotica popolare fiorisce anche su questo fronte – ma il Nostro fu soprattutto un grande leader militare ed un astuto politico, pronto a trasformare un’amicizia in rivalità oppure – viceversa – a stringere alleanze coi nemici che non riusciva a battere. In questo senso ondivago e imprevedibile, Saladino ebbe nel corso della sua lunga carriera come una sorta di alter ego quella figura misteriosa e favoleggiata tanto da parte cristiana come da parte musulmana nota in Occidente come il Vecchio della Montagna, guida spirituale e militare della setta degli Assassini. Erano questi una confraternita sciita distaccatasi dagli Ismailiti nel tardo XI secolo. In poco tempo, sotto la guida di Hassan-i Sabbah, considerato da molti il loro fondatore, i Nizari Ismaili – questo il nome «ufficiale» della setta – diventarono una potenza militare tale da presentare un pericolo concreto per la dinastia Selgiuchide prima in Persia e poi nella stessa Siria. Votati – pare – ad una vita monacale austera, occupavano una
serie di imprendibili fortezze costruite nelle valli più remote dell’interno. I Nizari non erano essi stessi guerrieri, ma avevano come accoliti dei loro monasteri-fortezza un forte contingente di fida-i, guerrieri di professione che non solo difendevano le roccaforti nizarite ma – eventualmente – si associavano come mercenari ausiliari a questo o a quel leader militare a seconda della convenienza e della temperie politica. Di questo corpo altamente segreto si sa poco o nulla, anche perché erano noti come abili spie e micidiali sicari pronti ad infiltrarsi fra le file nemiche e togliere di mezzo personaggi troppo forti da vincere in battaglia. I fida-i erano stati la creazione di Hassan-i Sabbah stesso quando decise di ritirarsi nella fortezza di Alamut, in quello che oggi è l’Iran del Nordovest, dopo anni di predicazione in Egitto e Medio Oriente. Di lì lanciò la sua personale jihad che portò, eventualmente, alla costituzione di un vero e proprio Stato Naziri-Ismaili durato fino alla conquista da parte dei Mongoli nel 1256. Il nome fida-i significa, in sostanza, «martire pronto
a sacrificarsi per la causa» e di essi sappiamo più per mano dei nemici detrattori che non attraverso scritti di prima mano. Si diceva, infatti, che fossero giovani votati a lealtà cieca nei confronti della leadership dell’ordine. Fin dai tempi di Hassan si diceva operassero sotto l’effetto dell’hashish – da cui Hashishin/Assassino – consumatore di hashish che li rendeva temerari ed invincibili. Storie su di loro circolavano nei bivacchi dei campi crociati e nelle veglie all’interno dei caravanserai – occhi vigili ed attenti a che un qualche assassino già non fosse segretamente infiltrato pronto ad estrarre il pugnale. Marco Polo stesso racconta di aver udito storie a questo riguardo: il Vecchio della Montagna drogava i suoi giovani seguaci con l’hashish e li guidava «in Paradiso». Questi finivano per credere che Sabbah – o chi per lui in seguito – avesse il potere magico di portarli «in Paradiso» secondo il suo volere e dunque si arrendevano in tutto e per tutto alla sua volontà. Gli storici contestano la veridicità del racconto del veneziano, facendo notare come Si-
nan, l’ultimo Gran Maestro dell’ordine dei Nizari-Ismaili noto come Grande Vecchio della Montagna sia morto nel 1192 laddove Marco Polo nacque attorno a 1254. Fantasie da veglia attorno al focolare? Tradizioni che durano ben oltre la morte dei loro presunti protagonisti? Chissà: sta di fatto che di un misterioso, innominato Gran Vecchio, che da un qualche rifugio segreto e remoto fungeva da Grande Burattinaio dei destini nazionali, si continuava a favoleggiare ai tempi delle oscure trame della stagione nota in Italia come gli Anni di Piombo. Sia come sia – e torniamo a Saladino – di certo sappiamo che il 22 maggio del 1176 – ottocentoquarant’anni e un giorno fa – un gruppo di Hashishin tentava di pugnalare il Sultano sulla soglia della sua tenda per conto dei difensori di Aleppo – città che Saladino stava assediando. Saladino si salvò grazie alle maglie della sua cotta da battaglia. Del fatto – mi dice un amico siriano – ancora si raccontava, di recente, fra le rovine di un’Aleppo di nuovo sotto assedio.
i legami dell’attaccamento infantile. Probabilmente Rosaria, meno investita da sogni e aspettative di successo, sarà più libera di diventare se stessa, di costruirsi una identità più indipendente dalle proiezioni materne. Nella mia esperienza, i gemelli si dimostrano molto saggi nella gestione dei loro rapporti e non si lasciano facilmente condizionare dalle interferenze altrui, neppure da quelle materne. Ho incontrato tempo fa una giovane donna che da bambina era stata svalutata dai genitori rispetto alla gemella. Dal suo resoconto ho potuto apprendere che, nonostante l’ostacolo iniziale, era riuscita a realizzarsi meglio di quella sovrastimata. Era diventata un’apprezzata biologa mentre la gemella, dopo vani tentativi di recitare in teatro, era tornata a vivere con la madre vedova. Con questo non voglio dire che l’una sia migliore dell’altra, le vite sono inconfrontabili, ma che l’atteggiamento dei genitori non sem-
pre risulta determinante. Per fortuna ognuno possiede gradi di libertà che gli consentono di sottrarsi, almeno in parte, ai condizionamenti della vita, come ho cercato di testimoniare con la mia biografia. Tuttavia le consiglio, per sentirsi in pace con se stessa, di apprezzare e valorizzare, nelle sue figlie, tutte le eventuali differenze senza metterle in gerarchia. Chi ha mai detto che essere alte e magre, con i capelli morbidi e gli occhi marroni sia uno svantaggio? Si tolga gli occhiali da giudice della vita e guardi le sue bambine con la tenerezza e la speranza che si deve ai fiori non ancora sbocciati.
nostri ospedali, soltanto il 16% degli infermieri e il 40% dei medici, si era fatto vaccinare. In proposito si è parlato di un’interpretazione esasperata del concetto di libertà individuale: la vaccinazione sarebbe un’inaccettabile intromissione nella sfera privata. Ma c’è, nel fenomeno della crescente diffidenza per le terapie ufficiali, un aspetto che, quello sì, deve preoccupare. Si tratta della divulgazione di teorie, spesso campate in aria, affidata a personaggi dello spettacolo, di grande, piccola o dubbia fama. Cantanti, presentatori, campioni sportivi, comici, che, come vuole l’interscambio dei ruoli che va di moda, non si esibiscono nelle loro rispettive specialità. Non cantano, non raccontano barzellette, non ballano, non scherzano. Anzi, molto seriosamente, costruiscono teorie filosofiche, come ci ha abituati Celentano. O, ciò che è
peggio, emettono sentenze nell’ambito scientifico, condannando farmaci di cui denunciano terrificanti effetti collaterali. Per la precisione, le vaccinazioni espongono i bambini al pericolo di autismo: parola di Red Ronnie, invitato a un ambizioso talk show, in prima serata su Rai 2. Ma chi è mai, da dove spunta, quali le sue competenze? Vale la pena di dare un’occhiata a Wikipedia, dove compare un variegato curriculum: Red Ronnie, cioè Gabriele Ansaloni, ragioniere, dj, appassionato di rock, presentatore televisivo, militante a sinistra convertito a destra, consulente d’immagine al servizio di Letizia Moratti, allora sindaco di Milano. E, adesso, promosso alle funzioni di consulente scientifico, in grado di decidere, da una tribuna pubblica, ciò che «fa bene e ciò che fa male». Con il rischio di essere ascoltato.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi La figlia preferita Cara Silvia, contando sull’anonimato di questa rubrica, ho trovato il coraggio di scriverle per dar sfogo a un magone che mi toglie il sonno. Non so come cominciare: sono sposata con un meridionale con cui, a dir la verità, ho ben poco in comune. Ma, per fortuna, nove anni fa ci sono nate due gemelle sane e tranquille. Se non che l’una, Annabella è davvero bellissima mentre l’altra, Rosaria, è decisamente brutta. Anna è piccola, rotonda, la pelle ambrata, i capelli biondi e gli occhi scuri; Rosa è alta e secca, con capelli fragili e comunissimi occhi castani. Fin da quando erano in carrozzina, la gente faceva fatica a complimentarsi con tutte due, non gli veniva proprio. Quel che è peggio è che anch’io faccio fatica, anzi non ci riesco, ad amarle allo stesso modo. Mi sento in colpa, mi accuso di essere una cattiva madre, ma cosa ci posso fare? Per fortuna le due sorelle sembrano non accorgersi di niente e nemmeno mio marito.
Evidentemente sinora sono riuscita a nascondere i miei sentimenti ma in futuro ce la farò? Mi aiuti, la prego, a trovar pace. / Mamma matrigna Cara amica, come dice un proverbio popolare, «al cuore non si comanda» e, poiché non siamo liberi di scegliere quali sentimenti provare, non ha alcuna colpa se non riesce a suddividere in parti eguali il suo affetto. Il verbo «amare» non conosce l’imperativo! Invece possiamo, e dobbiamo, controllare i nostri comportamenti. Forse, visto che le due gemelle non si sentono rivali e suo marito è sereno, l’ostilità verso Rosaria non deve essere così radicale come teme. Il fatto che lei si ponga il problema depone poi a suo favore perché, di solito, queste diseguaglianze passano del tutto inosservate nelle persone meno sensibili. Da come descrive le due ragazzine, sono indotta a pensare che le differenze tenderan-
no a scomparire con la pubertà e che, anzi, quella alta e magra finirà per diventare più avvenente della gemella piccola e tondetta. Non per questo la sua preferenza cesserà perché si radica nei primi istanti di vita (come rivela la differenza tra i due nomi), quando lo scambio di sguardi tra la mamma e il figlio stabilisce un attaccamento selettivo, privilegiato, incondizionato. Evidentemente lei aveva maturato, durante la gestazione e ancor prima, un’attesa narcisistica che attribuiva alla figlia il compito di realizzare il suo ideale estetico. Quella che ci è riuscita viene premiata dal suo amore mentre l’altra, che secondo lei l’ha delusa, viene punita col disamore. Se riuscirà, come credo, a correggere questa iniqua propensione con atteggiamenti e comportamenti giusti, vedrà che non ci saranno conseguenze negative. Spesso il figlio meno amato risulta favorito nella fase del distacco quando, con l’adolescenza, si devono allentare
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Fa bene fa male: ma chi può dirlo? S’intitolava proprio così, «Fa bene fa male», un’ormai storica rubrica di successo del «Corriere della Sera», dove quotati specialisti della medicina e delle scienze in generale valutavano l’attendibilità e l’efficacia dei più diffusi consigli o divieti, concernenti la salute. Per intenderci, del tipo «Una mela al giorno toglie il medico di torno», «Dopo i pasti, il bagno è rischioso», «Le ferite devono prendere aria», «La carne di maiale è grassa», e via enumerando i cosiddetti consigli della nonna, legati alla saggezza popolare che, allora, alla fine dei 90, stava recuperando seguito e simpatie. E doveva, poi, far tendenza, diventando non soltanto una moda, che cambiava i consumi, ma piuttosto una scelta che incideva sulle mentalità, le opinioni, persino la moralità. In altre parole, adottando erbe, pomate, massaggi orientali, diete vegetariane, meditazio-
ne al posto di antibiotici, iniezioni, raggi, vaccinazioni si compiva un’operazione carica di significati. Certo si voleva guarire, affidandosi a metodi naturali e poco costosi, ma soprattutto si voleva esprimere una protesta, rivolta alle imposizioni dell’ufficialità, all’affarismo delle multinazionali e, non da ultimo, godere l’impareggiabile piacere di dire no. E sin qui, nel clima di tolleranza in cui, fortunatamente, possiamo muoverci, nulla da eccepire. Del resto, quei milioni o miliardi, incassati dai giganti della chimica basilese, possono giustificare spontanee reazioni di condanna o, almeno, di malumore. Mentre, a loro modo, i pittoreschi contestatori, che scendono in piazza, possono rappresentare un’alternativa necessaria, quasi un modello virtuoso. Chissà. In realtà, queste contrapposizioni
schematiche fra buoni e cattivi sono sempre illusorie, insomma manicheismo. A ben guardare, proprio i ben intenzionati, che rifiutano, per sedicenti principi ideologici la medicina tecnologica e i trattamenti preventivi, producono, in fin dei conti, conseguenze dannose per l’intera collettività, cui appartengono. È diventato una sorta di prerogativa elvetica, l’astensionismo di non pochi genitori nei confronti di quello che, sino a qualche decennio fa, era un obbligo inderogabile: vaccinare i bambini per proteggerli da difterite, morbillo, vaiolo, malattie, ormai debellate. Che, invece, ricompaiono, assurdamente, nei Paesi più ricchi e attrezzati dal profilo sanitario. E, non manca di sorprendere il rifiuto di proteggersi contro l’influenza, che si è registrato, lo scorso inverno, guarda un po’, fra gli addetti ai lavori. Nei
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Daisy Gilardini, testo e fotografie pagina 18
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Per anni ho volato sopra la più lunga catena montuosa continentale al mondo, le Ande, per recarmi a Ushuaia, capoluogo di partenza per le spedizioni in Antartide. Per anni guardando dal piccolo oblò dell’aereo mi sono ripromessa che un giorno avrei esplorato le pendici di quelle magnifiche montagne e finalmente un paio di anni or sono il mio sogno si è realizzato. Dopo due mesi trascorsi su una nave Russa nelle acque tempestose del passaggio di Drake e in Antartide, è tempo di posare i piedi per terra e fare qualche seria scarpinata.
La regione della Patagonia, tra il Cile e l’Argentina, è l’ideale per gli appassionati di trekking
Cellule staminali contro la cecità
Ricerca medica La degenerazione maculare senile è una delle più frequenti cause di cecità. Il trapianto di cellule
staminali modificate potrebbe essere la cura più adatta per questa malattia
Sergio Sciancalepore Nel mondo, le persone che hanno difetti della vista sono quasi trecento milioni: di essi, i ciechi sono una quarantina di milioni. Circa l’80 per cento delle patologie visive si possono prevenire o curare, sia con l’uso degli occhiali, sia con la chirurgia, come nel caso della cataratta. Nei Paesi sviluppati, dove la percentuale della popolazione anziana è in continuo aumento, la causa più comune di cecità parziale o totale è costituita dalle malattie degenerative della retina, soprattutto dalla degenerazione maculare senile (meglio, «correlata con l’età»), una malattia che per ora non è possibile curare ma solo rallentarne la progressione, in modo tale che la cecità (purtroppo inevitabile) si manifesti il più tardi possibile. Questa degenerazione retinica si può manifestare a partire dai 55-60 anni d’età e si presenta in due forme, quella cosiddetta secca – la più frequente – e quella umida. La malattia colpisce la macula, la parte della retina che permette la visione distinta, per poi diffondersi alla zona circostante. Nella forma umida, si sviluppano in modo anormale una gran quantità di vasi sanguigni al di sotto dell’epitelio pigmentato della retina, uno strato di cellule la cui integrità è fondamentale per la vita e
il buon funzionamento delle cellule nervose della retina sensibili alla luce, i coni e i bastoncelli. Questi vasi, sviluppandosi disordinatamente, provocano emorragie e accumulo di liquido, determinando così danni irreversibili alle cellule fotosensibili: attualmente, sono possibili cure palliative – che rallentano la progressione della malattia – come l’applicazione della terapia fotodinamica e del laser o l’iniezione nell’occhio di farmaci in grado di contrastare (ma non eliminare) lo sviluppo disordinato dei vasi sanguigni. Per la forma secca, senza formazione di vasi sanguigni ma con accumulo di sostanze di vario genere nell’epitelio pigmentato, attualmente non esistono terapie palliative. Una speranza per curare questa malattia e forse anche altre malattie degenerative della retina, potrebbe essere costituita dall’uso delle cellule staminali, in particolare di quelle cosiddette indotte. Nel settembre dell’anno scorso, presso il Moorfields Eye Hospital di Londra, il primo di dieci pazienti con degenerazione maculare è stato sottoposto a trapianto di retina, anzi di una porzione di quel tessuto epiteliale retinico che abbiamo detto essere fondamentale per la vita e il buon funzionamento di coni e bastoncelli. Le prime informazioni dicono che
il trapianto è stato ben tollerato, ma ci vorranno 18 mesi per osservare l’eventuale efficacia della terapia in tutti i dieci pazienti. Anche in Giappone, presso l’Ospedale generale di Kobe, è in corso da circa un anno una sperimentazione condotta dall’oftalmologa Masayo Takahashi, che all’inizio del 2015 ha impiantato nell’occhio di una donna di 70 anni con degenerazione maculare un lembo di tessuto pigmentato della retina delle dimensioni di tre millimetri per un millimetro e mezzo: anche in questo caso, la sperimentazione è in corso, verranno trattati altri pazienti e si attendono i risultati verso la fine di quest’anno. Per capire l’importanza di queste sperimentazioni cliniche, ricordiamo brevemente che cosa sono le cellule staminali e come si usano in questo campo. Una cellula staminale è una cellula che non ha ancora una forma e una funzione specifica, ma può, in certe condizioni, dare origine ai diversi tipi di cellule che formano un organismo come il corpo umano. Non tutte le staminali hanno le stesse capacità. Quelle dell’embrione hanno il massimo della potenzialità, possono dare origine a quasi tutti i tipi di cellule del corpo: nervose, muscolari, ghiandolari, di rivestimento come le mucose e la pelle, e altre ancora. Anche nell’individuo adulto ci sono le stami-
nali, ma la loro capacità di diversificarsi («differenziarsi», in termine tecnico) è limitata: per esempio, le staminali contenute nel midollo osseo possono dare origine a tutti i tipi di cellule del sangue (globuli bianchi e rossi e altre ancora) ma non a cellule nervose o della pelle. Da qualche tempo, gli scienziati riescono a riprodurre – sia pure in modo parziale, essendo i meccanismi della differenziazione molto complessi e ancora non del tutto noti – queste trasformazioni. I ricercatori londinesi hanno prelevato le cellule staminali di embrioni umani – quelli non utilizzati in caso di fecondazione artificiale – e sono riusciti nei loro laboratori a differenziarle in cellule pigmentate retiniche che sono poi state impiantate nelle retine dei pazienti, con l’intenzione che ricostruiscano questo epitelio, si blocchi così la degenerazione ed eventualmente coni e bastoncelli non muoiano più, anzi si riformino. Analogamente hanno fatto i colleghi giapponesi, usando però una tecnica diversa. Le staminali le hanno infatti ottenute partendo non da embrioni umani ma da cellule non-staminali (per esempio, cellule della pelle) «forzate» prima a diventare staminali e poi indirizzate a trasformarsi in cellule dell’epitelio pigmentato: questa tecnica rivoluzionaria è stata messa a punto dallo scienziato giapponese Shin-
ya Yamanaka, che per questa scoperta ha ricevuto il Nobel per la medicina nel 2012. Oltre a non dover usare embrioni umani, questa tecnica evita una possibile reazione di rigetto perché si usano cellule dello stesso paziente. È tuttavia opportuno fare alcune precisazioni. In primo luogo, si tratta di sperimentazioni sull’uomo, quindi occorrerà non solo attendere i risultati ma anche ripetere (in caso di successo della sperimentazione) queste procedure su altri pazienti, prima che l’intervento possa diventare di routine. In secondo luogo, gli stessi medici non minimizzano le difficoltà. Qualche esempio: non è sicuro che, intervenendo quando la malattia è già avanzata, le cellule trapiantate trovino un ambiente adatto all’attecchimento; non è chiaro se il solo impianto sia sufficiente o se occorra intervenire anche con farmaci (forse ancora da sviluppare) per favorire la guarigione; allo stesso modo, non si sa ancora se sia sufficiente impiantare solo cellule pigmentate o se occorra anche impiantare coni e bastoncelli ottenuti in laboratorio da staminali, procedura che attualmente non è nelle capacità degli scienziati. Nonostante ciò, si può però senz’altro dire che si sta percorrendo una nuova e interessante via per la cura delle degenerazioni della retina.
La Patagonia è la regione che ricopre più di un milione di chilometri quadrati dell’America meridionale. È attraversata dalle Ande che dividono Cile e Argentina ed è un vero paradiso terrestre per i più esigenti escursionisti e alpinisti. Tra le vette più famose basta citare due grandi nomi: il Fitz Roy e il Cerro Torre. Da Ushuaia prendiamo un volo per El Calafate, capoluogo turistico del Los Glaciares National Park della Patagonia Argentina. L’ambiente è frizzante, con un formicolare di gente tutta indaffarata ai preparativi delle grandi escursioni. I negozi pullulano di attrezzature da campeggio, corde, ramponi, moschettoni. Si respira aria d’avventura. Le infrastrutture sono ottime, la gente cordiale e sorridente, il cibo delizioso anche se i prezzi sono piuttosto inflazionati dalla massa. Non restiamo a lungo nella cittadina e, come tanti altri, semplicemen-
Il massiccio del Fitz Roy.
te facciamo le provviste, noleggiamo un’auto e ci mettiamo in strada. La prima destinazione è il famosissimo ghiacciaio Perito Moreno, che con una lunghezza di 30 km, un fronte di ghiaccio di 5 km, un’altezza media di 74 metri fuori dall’acqua, e un’avanzata di 2 metri al giorno, non può certo lasciare indifferenti. Lasciamo l’auto nel gigantesco parcheggio e ci avventuriamo nei sentierini gremiti che portano ai vari
punti di osservazione. Restiamo fino all’imbrunire quando la folla si disperde e finalmente il silenzio è rotto solo dal borbottìo del ghiaccio che si muove. Il giorno successivo ci dirigiamo verso El Chalten, la «Capitale Nazionale del trekking», nel cuore del Parco Nazionale e punto di partenza delle più famose escursioni. Il piccolo villaggio in espansione è ancora genuino e i prezzi abbordabili. Ci accampiamo in uno dei numerosi campeggi a disposizione dove, con grande sorpresa, troviamo delle capannine di legno sotto le quali sistemare la tenda. Ben presto capiamo: il vento in queste regioni è tormentoso e senza una protezione sarebbe impossibile riuscire a dormire in una tenda che svolazza facendo un baccano infernale. All’alba siamo in cammino verso la Laguna Torre per ammirare una delle vette più ambite e più difficili al mondo: il Cerro Torre. Il sentiero è ben battuto e segnalato e il cammino, costellato da ruscelli di acqua cristallina, rivela un paesaggio mozzafiato. Dopo tre ore di marcia raggiungiamo il campeggio d’Agostini e la turchese Laguna dominata dalla famigerata vetta del Cerro Torre che normalmente si nasconde tra le nuvole a 3128 metri di altitudine. Trascorriamo la giornata perlustrando il laghetto con la speranza che la vetta si riveli, ma verso tardo pomeriggio abbandoniamo l’attesa e ci dirigiamo verso valle. La delusione è presente ma siamo ben coscienti del fatto che alpinisti di tutto il mondo a volte aspettano mesi per tentare l’ascesa. Nei giorni seguenti ci avventuriamo esplorando i numerosissimi sentieri nei dintorni del massiccio del Fitz Roy prima di passare il confine cileno.
La Cordigliera del Paine è l’attrazione principale del Parco Nazionale del Torres del Paine che ricopre un’area di 242’000 ettari e che, con 150’000 visitatori l’anno, è il più visitato del Cile. Vero paradiso per la fotografia paesaggistica, questa volta sono distratta dalla fauna locale e le vette del Cuernos del Paine, che superano i 3000 metri di altitudine, non fanno che da sfondo ai simpatici Guanacos, un tipo di lama nativo del Sud America che ha trovato riparo nel parco e ora rappresenta uno dei maggiori successi di protezione a livello faunistico. La nostra avventura giunge a termine e purtroppo non abbiamo tempo a sufficienza per percorrere tutto il tragitto del famosissimo trekking «w» che in 4-5 giorni di marcia porta
a esplorare le tre vallate principali nel cuore del massiccio. Ci accontentiamo di due giorni d’escursione… sicuri però che vi faremo ritorno.
Consigli di viaggio L’estate, che va da dicembre a febbraio, è mite, con temperature medie che si aggirano sui 15 gradi centigradi, ventosa, piovosa e molto verde. In autunno, da marzo a maggio, i colori si tingono di rosso ed è il periodo più fotogenico. In inverno, (la nostra estate) molti circuiti sono chiusi per le estreme condizioni del tempo.
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Lotta svizzera, sfida nella segatura Reportage Una disciplina affascinante che ha trovato da qualche tempo anche in Ticino
dei praticanti volonterosi e preparati - Foto di Simone Mengani
Alessandro Zanoli Una dozzina di ragazzi, tra i 10 e i 18 anni. Sono una bella squadra. Con Edouard Ritter, origini basilesi ma ormai cittadino ticinese da decenni, si discuteva cinque anni fa di come sarebbe stato possibile creare un nucleo di lottatori a sud delle Alpi. Grazie al passaparola, a qualche articolo di giornale e a qualche esibizione dimostrativa piano piano i curiosi si sono avvicinati. E la squadra è nata, sotto il cappello dell’Associazione ticinese di lotta svizzera. Una piccola associazione, famigliare: come spesso succede la segretaria, Ruth, è la mamma di due dei giovani atleti. Il presidente Edi, dai grandi baffoni coreografici arrotolati sotto le guance, è anche allenatore ufficiale. Lui la sua esperienza di lottatore se l’è fatta in gioventù. Mantiene stretti rapporti con i gruppi della Svizzera interna e negli ultimi anni ha portato i suoi ragazzi su e giù dal Gottardo per farli partecipare alle gare. L’associazione ticinese infatti è stata integrata nell’Innerschweizer Schwingerverband, con Uri, Svitto, Zugo, Lucerna e Obwaldo. Volendo fare i conti, racconta Ritter, il camioncino con cui partono per i fine settimana di competizione percorre 6500-7000 chilometri all’anno. I ragazzi sono molto contenti e affiatati. Vengono volentieri all’allenamento, che si tiene nel Centro Sportivo di Tenero ogni settimana. D’inverno occupano un garage un po’ stretto e spartano dove si sta quasi gomito a gomito. Ma dalla primavera usano il cerchio dorato di segatura all’aperto in un gran bel prato. A livello nazionale non sono messi male: nelle classifiche regionali alcuni di loro sono in buona posizione. Se si calcola che vengono da una squadra così piccola, al confronto con le centinaia di iscritti nelle associazioni della Svizzera interna, fanno un’ottima figura. E il 2016 sarà per loro un anno speciale: per la prima volta si terrà in Ticino una festa ufficiale di lotta svizzera. Sarà a Gudo, il 25 e 26 giugno. Sito internet già attivo: www.festalottasvizzera.ch. Ed è già iniziata la vendita dei biglietti. Il programma sarà ricco e allineato con le popolarissime feste che si tengono nella Svizzera tedesca: esibizione di scultori con motosega, bancarelle di prodotti locali, mostra di trattori d’epoca, giri sul pony per i più piccoli. E poi le gare di lotta. Stanno già cercando la segatura: dovranno essere circa 70 metri cubi. La segatura è indispensabile per creare i ring circolari ma è cara, perché è diventata un combustibile: oggi si usa per fare i pellets. Una volta le falegnamerie la regalavano, adesso bisogna comprar-
la. E una volta usata, va riciclata, dice Ritter. Il costo non è indifferente. Ma di questi problemi tecnici i ragazzi non si preoccupano. Sono già concentrati sulla gara di giugno, dove affronteranno, per la prima volta «in casa», i loro coetanei d’Oltralpe. E assisteranno alle gare degli atleti adulti. Continuano l’allenamento con grande serietà: si divertono molto, ma devono fare anche un po’ la faccia cattiva. Fa parte del gioco.
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Il cuore vuole l’Alfa, la testa una Volvo Motori Il piacere della guida è offerto dalla nuova Giulia mentre le auto del futuro si muovono
da sole, pilotate dai computer Mario Alberto Cucchi In questi giorni i cuori degli automobilisti sportivi battevano per la nuova Alfa Romeo Giulia. Le prime impressioni di guida si sono guadagnate le copertine dei giornali. Sarà perché Alfa Romeo è da sempre legata allo sport automobilistico. Sarà perché la Giulia può avere sotto il cofano anche 510 cavalli. Sarà perché la passione a volte butta il cuore oltre l’ostacolo della razionalità. Sarà per tutti questi motivi che di Giulia si parla molto. Nonostante oggi non esista una versione dotata di motorizzazione elettrica o ibrida, insomma davvero amica dell’ambiente. Italia, centro Sperimentale Alfa Romeo di Balocco (Vercelli): questo il luogo in cui a metà maggio Giulia è scesa in pista. Cinque le nuove motorizzazioni: 2.2 Diesel da 150 cavalli e da 180 cavalli abbinati a un cambio manuale a 6 marce oppure automatico a 8 marce; 2.9 V6 biturbo benzina da 510 cavalli abbinato al cambio manuale a 6 marce. Su tutte la trazione è posteriore, una scelta progettuale che ricorda i fasti del passato, quando le Alfa Romeo erano solo a trazione posteriore. Molte le chicche tecnologiche, tra queste l’Integrated Brake System (IBS), che riduce sensibilmente lo spazio di frenata – da 100 km/h a 0 in 38,5 m per Giulia e in 32 m per Quadrifoglio. Sono inoltre esclusivi della versione Quadrifoglio la tecnologia Torque Vectoring, per un’ideale ripartizione della coppia tra le due ruote sull’asse posteriore, e
Gli interni della nuova Alfa Romeo Giulia.
l’Alfa Active Aero Splitter che gestisce in modo attivo la deportanza a velocità sostenute. Giulia è bella da vedere e anche da guidare, ma il suono del suo motore V6 biturbo da 510 cavalli è probabilmente ciò che resta più impresso. Tutto l’op-
posto del silenzio che accompagna le auto elettriche, ma con Giulia la passione vince. Vero però che se il cuore batte per Alfa Romeo, la testa non può far a meno di guardare con ammirazione al lavoro sulla guida autonoma che sta
facendo Volvo. Auto che si guidano da sole? Sì, sembra proprio che in futuro arriveranno. Volvo Cars si sta impegnando a fondo per massimizzare i vantaggi in termini di sicurezza dei veicoli con guida autonoma. Ai primi di maggio ha annunciato l’avvio nel 2017
del progetto Drive Me UK, il più ampio programma di test della tecnologia di guida autonoma mai condotto nel Regno Unito che coinvolgerà fino a 100 auto. Saranno tutte affidate a normali famiglie e utilizzate sulle strade pubbliche. Ci si aspetta inoltre una profonda ristrutturazione in ambito assicurativo, dovuta all’avvento delle automobili dotate di tecnologia di guida autonoma. Si ritiene infatti che determineranno un calo drastico – fino all’80% – del numero di incidenti entro il 2035. La ricerca condotta da Swiss Re e HERE, pubblicata all’inizio di questo mese, calcola che le tecnologie di guida autonoma potrebbero permettere di risparmiare 20 miliardi di dollari di premi assicurativi a livello mondiale solo entro il 2020. «Con ogni probabilità l’impatto a medio e lungo termine sul settore assicurativo sarà significativo. Ma non dimentichiamo l’obiettivo reale di tutto questo: meno incidenti, meno feriti, meno vittime. La tecnologia della guida autonoma rappresenta il progresso più importante realizzato negli ultimi anni nell’ambito della sicurezza automobilistica» sostiene Hakan Samuelsson, Presidente e CEO di Volvo Cars Corporation AB. Peter Shaw, CEO di Thatcham Research, ha commentato: «I produttori di veicoli prevedono che le auto ad elevato contenuto di autonomia nella guida, in grado quindi di escludere completamente il conducente dalla guida effettiva per alcuni tratti del percorso, saranno disponibili più o meno dal 2021 in poi». Annuncio pubblicitario
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Al salto, ma non sull’induzione Non se la prendano gli amici chef per questo mio articolino che parla di come lavorano. Non di come fanno i piatti, questo è un altro discorso, importantissimo per il successo di un ristorante, ma di altro, di come affrontano il lavoro. Iniziamo con una storia molto lieve ma del tutto vera, anche se mai rivelerò dove è avvenuta. Avendo il privilegio di poter frequentare molte cucine di ristoranti, non posso fare a meno di sorridere nell’osservare quanto, a prescindere da tutto, alcuni gesti imparati a scuola o visti sempre anche in tv o al cinema siano entrati nella cultura della cucina, identificando all’istante un ruolo: quello di bravo chef.
A volte, gettare un’occhiata nella cucina di un ristorante può rivelare molto sull’abilità del cuoco... ma anche sulla qualità del cibo servito in tavola Penso in particolare all’usanza, correttissima, di portare a cottura la pasta scolata al dente con un sugo in una padella, previa l’aggiunta di un poco dell’acqua di cottura e, quasi sempre, un poco di grasso: va fatto a fuoco allegro, il cuoco inesperto usa un banale cucchiaio di legno (a casa, nei ristoranti non è a norma, usano cucchiaioni di metallo o di silicone, materiale che ha il grande vantaggio di essere a norma e di non graffiare le pentole). Lo chef di lungo corso invece afferra la padella per il manico e con rapidi movimenti di polso mescola la pasta al sugo «al salto», ovvero, senza toccarla con posate: il movimento, se ben eseguito, ricorda un po’ le onde del mare che si avvolgono su sé stesse. Corollario, inevitabile: si sporca moltissimo il
piano di cottura con il sugo, che ha la cattiva abitudine di schizzare da tutte le parti, ma, questa è una mia cattiveria, gli chef sanno che saranno dei giovani commis a pulire... Hanno pulito loro quando erano giovani, adesso sotto con i loro giovani. Peraltro, che si usi un cucchiaio o il polso, il risultato non cambia. Se però è utile e bello a vedersi in una cucina tradizionale a gas – dove sollevando la padella si mescola la pasta più facilmente e in maniera uniforme e la temperatura non varia di molto dato che le fiamme ne lambiscono comunque la base – diventa del tutto inutile e anzi dannoso se praticato sulle piastre a induzione, sempre più diffuse. Come ormai tutti sanno, infatti, l’induzione fa il suo dovere solo se la base della padella (o della casseruola che sia) rimane perfettamente appoggiata al piano. Dal momento che si stacca per effettuare la mescolatura «al salto», la piastra a induzione non lavora più e la pasta viene mescolata «a freddo» fino a quando, riappoggiata la padella, non riprende la cottura. I micro-shock di caldo-freddo vanno a scapito del risultato finale e la cottura non risulta più uniforme. Dunque, chef e cuochi di tutto il mondo, trovate un’altra tecnica scenografica per mescolare la pasta, magari facendo ruotare la base della padella sull’induzione, «al giro», oppure optate per il classico cucchiaio – senza farvi vedere però... Tornando a cose più serie, osservare una cucina ti fa capire come si mangia in quel ristorante. Infatti c’è un rapporto strettissimo fra l’ordine che regna in cucina e il risultato organolettico. Non si sa perché è così, ma così è: l’ordine è il più grande aiutocuoco che ci sia – come sempre qualche eccezione c’è, ma poche. Quindi se la cucina di un ristorante è a vista, guardate bene come lavorano i cuochi, sarà utilissimo per decidere se tornare o meno in quel ristorante. Se non è a vista, cercate di sbirciare, con un po’ di faccia tosta.
CSF (come si fa)
Giò
Allan Bay
Marka
Gastronomia Mescolare la pasta: un gesto simbolo dell’abilità di uno chef, dalla tv alle più rinomate cucine
Oggi, tre classici antipasti che amo molto. Vediamo come si fanno. Peperoni in salsa all’acciuga. Per 4. Lavate 800 g di peperoni rossi e gialli, privateli dei semi, dei filamenti e tagliateli a grosse falde. Metteteli con 3 cucchiai di olio in una casseruola, lasciateli cuocere a fuoco basso e a recipiente coperto, per 30’, quindi sgoc-
ciolateli e disponeteli in un piatto da portata. Dissalate una manciatina di capperi sotto sale. Diliscate e dissalate 4 acciughe sotto sale. Tritate capperi e acciughe con uno spicchio di aglio. Scaldate un filo di olio nello stesso recipiente di cottura dei peperoni, unite il trito e lasciatelo cuocere lentamente per 5’, mescolando con un cucchiaio di legno. Versate la salsa sui peperoni e servite la preparazione tiepida. Cipolline, patate e gamberi in agrodolce. Per 4. Fate ammorbidire in acqua tiepida 100 g di albicocche secche e 100 g di uvetta, strizzatele e tagliate a pezzi le albicocche. Lessate al dente 2 patate, pelatele e dividetele a piccoli spicchi. Coprite a filo di acqua 16 cipolline in una pentola, unite 2 cucchiai di zucchero, 2 di olio e portate a cottura a fuoco allegro, finché l’acqua
sarà evaporata. In una casseruola fate saltare 16 code di gambero, sgusciate e private del budellino nero, per 1’, aggiungete la frutta, le patate e le cipolline e cuocete ancora per 2’, unendo 2 cucchiai di aceto balsamico. Regolate di sale. Antipasto piemontese. Per 4. Mondate 150 g di cipolline, 1 peperone rosso e 1 giallo, 100 g di fagiolini verdi e 2 carciofi. Tagliate a julienne i peperoni. Scaldate in una casseruola un filo di olio, unitevi 4 cucchiai di soffritto di cipolle, le cipolline e la metà dei peperoni, bagnate con qualche cucchiaio d’acqua e lasciate stufare per 10’. Unite i restanti peperoni, i carciofi tagliati a spicchi, i fagiolini e 200 g di salsa di pomodoro e proseguite la cottura per 15’. Mescolate con 1 cucchiaio di zucchero e 2 di aceto, regolate di sale.
Ballando coi gusti Oggi due proposte con gli gnocchi, da me tanto amati.
Gnocchetti di zucchina al sugo di pesce
Gnocchi di zucca
Ingredienti per 4 persone: 200 g di farina · 1 scalogno · 600 g di zucchine · prezze-
Ingredienti per 4 persone: 500 g di polpa di zucca · 300 g di farina · 50 g di grana
molo, basilico · 1 uovo · olio di oliva · sale. Per il sugo: 300 g di filetti di pesce · farina · 1/2 bicchiere di vino bianco secco · 1 dl di panna · maggiorana · 20 g di burro · sale e pepe.
grattugiato · 2 uova · sale. Per il sugo: qualche foglia di salvia · 50 g di grana grattugiato · olio di oliva.
Fate appassire in poco olio lo scalogno tritato; aggiungete le zucchine a dadini e mescolate. Insaporite con prezzemolo e basilico, spegnete e frullate. Disponete la farina a fontana sul piano di lavoro; nel mezzo rompete l’uovo, aggiungete un pizzico di sale e incorporate il passato di zucchine. Impastate fino a ottenere un composto omogeneo; formate dei lunghi filoni dello spessore di un dito e tagliate degli gnocchetti lunghi 2 cm circa. Passateli sul retro di una grattugia per rigarli, infarinateli e lasciateli riposare su un vassoio. Tagliate a dadini i filetti di pesce, infarinateli e rosolateli nel burro, sfumate con il vino. Abbassate la fiamma e lasciate cuocere per 1’, unite la panna, insaporite con sale, pepe e qualche fogliolina di maggiorana. Tuffate gli gnocchi in acqua salata bollente; prelevateli man mano che salgono a galla e passateli nel tegame del sugo. Spadellateli per 1’ e servite.
Lessate la zucca in poca acqua salata, scolatela e fatela asciugare in forno caldo per qualche minuto. Schiacciatela con una forchetta, poi incorporate la farina, poca per volta, il formaggio e le uova sbattute. Amalgamate con cura fino a ottenere un composto omogeneo; non deve essere eccessivamente morbido. Formate dei lunghi filoni di pasta del diametro di un dito e tagliate gli gnocchi; rigateli con i rebbi di una forchetta, infarinateli e disponeteli su un vassoio. Cuocete gli gnocchi in acqua bollente salata, scolateli man mano che tornano a galla e conditeli con un filo di olio, la salvia finemente tritata e il grana.
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Ambiente e Benessere
Il Cile e i suoi vini Bacco giramondo Le peculiari condizioni climatiche rendono questa nazione particolarmente adatta
alla coltivazione della vigna Davide Comoli Il territorio del Cile ha una configurazione del tutto particolare. Corrisponde infatti a una fascia di terra compresa fra lo spartiacque delle Ande e la Costa dell’Oceano Pacifico larga in media 200 km, e lunga oltre 4200, dal Golfo di Arica alla Terra del Fuoco. Come importanza vinicola, il Cile viene subito dopo l’Argentina fra i Paesi dell’America Latina. La prosperità dei vigneti cileni è dovuta alle influenze oceaniche, in particolare alla presenza della corrente di Humboldt, che lambisce le coste del Paese, livellando le temperature durante l’estate australe e condensando l’umidità portata dai venti provenienti dall’Oceano, benefica contro la grande aridità che investe il Cile settentrionale, dove le piogge possono mancare per diversi anni. La maggior parte dei vigneti migliori è situata nella fertile Vallata Centrale, non lontano da Santiago, e in gran parte sono irrigati. Circa la metà della produzione vinicola è occupata dall’uva Paìs, che presenta molti punti in comune con l’uva Criolla dell’Argentina e con la Mission molto diffusa in California. Si pensa che sia forse il vitigno portato dal missionario Francisco de Carabantes nel 1548, quando era ancora in corso la resistenza contro gli spagnoli da parte degli indigeni Araucani guidati da Lautaro, un capo geniale e coraggioso. In ogni caso, il primo raccolto d’uva di cui si ha notizia, avvenne nel 1552 a Copiapò dal viticoltore Francisco de Aguirre.
A partire da quel momento, nella storia del Cile, la vite occupò sempre un ruolo importante nell’economia, come alternativa ai prodotti minerari. Nella sua «Histórica Relación del Reyno de Chile», il gesuita Alonso de Ovalle nota lo sviluppo dei vigneti, favoriti dalla perizia dei coltivatori e dalle idonee condizioni climatiche. Segnala pure (siamo nel 1646) che dalle vendemmie effettuate nel mese di aprile, si ottennero vini molto piacevoli e abbondanti, sia rossi che bianchi. Il colonialismo spagnolo favorì l’esportazione cilena dei vini anche oltre il Pacifico. Nel 1818 fu proclamata l’indipendenza del Paese da parte di O’Higgins e del generale del San Martìn, in seguito alla vittoriosa battaglia di Maipù. Dopo anni di autarchia, la viticoltura cilena venne infatti rinvigorita dalle iniziative di Silvestre Ochagavia che nel 1851 importò e mise a dimora alcuni dei più rinomati vitigni europei quali Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Pinot Nero, Merlot, Malbec, Riesling e Semillon. Tali piantagioni sono state tramandate, senza bisogno d’innesti su piede americano, in quanto il Cile fu risparmiato dalla catastrofica filossera. Agli inizi del 1900 la produzione del vino cileno subì una crisi causata dalle imposizioni fiscali e dalle produzioni di vini poco adeguati all’esportazione, tant’è che nel corso dei primi anni 80 molte vigne furono estirpate. Alla fine di quel decennio, si verificò però una sorta di rinascita: furono
cambiati i sistemi di vinificazione e maturazione del vino, grazie all’enologo spagnolo M. Torres. Le vecchie botti di faggio cileno (rauli) furono sostituiti con vinificatori in acciaio e furono introdotte le barrique di rovere francese e californiano. Oggi il Cile, grazie all’entusiasmo di alcuni viticoltori e soprattutto grossi investimenti stranieri, è considerato come detto il secondo produttore dell’America Latina: nell’ultimo decennio la superficie vitata ha superato i 200’000 ettari. La maggior parte dei vini è ottenuta da assemblaggi di uve provenienti da zone diverse, poiché il concetto di uno stile di vino collegato a un luogo è ancora piuttosto vago. Nel nostro viaggio da nord a sud, abbiamo incontrato molte vallate, alcune in grado di produrre ottimi vini. La provincia di Coquimbo, attraversata dai fiumi Elqui, Limari e Choapa, si presta molto bene alla viticoltura. Situata al centro-nord del Paese produce uve con alti tenori zuccherini, buona acidità e notevole ricchezza di aromi; i vigneti possono vegetare fino ad una quota di 1400 metri sul mare, in prossimità delle Ande. La regione settentrionale che si distingue per la migliore produzione di vini è Aconcagua, vicino al porto di Valparaiso, 100 km circa a nord ovest di Santiago. I suoli alluvionali e ciottolosi di questa vallata, con l’aiuto di un clima caldo, ma con buone escursioni termiche, favoriscono la coltivazione dei vitigni a bacca nera Bordolesi e da qualche
L’uva Paìs occupa circa la metà dell’intera produzione vinicola. (Mariano Mantel)
anno anche di Syrah, ma è sicuramente il Cabernet Sauvignon che ha trovato in questo luogo le condizioni ideali per un rigoglioso sviluppo. Il Cabernet cileno è infatti molto ricercato dagli appassionati di vini di tutto il mondo. Anche la Valle di Casablanca, tra Santiago e Viña del Mar, grazie alle fresche brezze provenienti dall’Oceano e al suolo sabbioso-ghiaioso, produce un gradevole Chardonnay, ma è senza dubbio il Sauvignon Blanc il gioiellino di questa regione, dove si gustano anche ottimi Merlot. Verso sud, troviamo la Valle Centrale, con l’importante area di Maipo (che è la più antica regione viticola del Cile), la Valle di Rapel e più a sud la Val-
le di Colchagua, la prima a organizzare una strada del vino per incoraggiare il turismo. Troviamo pure la Valle di Curicò, sui pendii più bassi e la Valle di Maule che è il più esteso distretto viticolo cileno. All’estremo sud, s’incontrano le piovose Valli di Itata e Bio Bio, dove viene coltivato soprattutto il Moscato d’Alessandria. Molto diffusa in Cile è la vinificazione fatta in casa, soprattutto nelle campagne. Qui viene prodotto e largamente venduto il mosto in fermentazione chiamato Chicha o anche Cachina tratto dalle uve Paìs: dolce e con una leggera nota alcolica, scorre a fiumi nelle feste di paese durante la vendemmia. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Una passione per professione Mondoanimale Occuparsi della cura degli amici dell’uomo è un lavoro appagante, anche se questo impegno
comporta grandi responsabilità
Maria Grazia Buletti «Pet sitter» o «Animal sitter»: siamo sempre più abituati a questa relativamente nuova professione che designa chi si prende cura degli animali domestici mentre i proprietari sono via, per un giorno solo o per periodi prolungati. «L’Animal sitter entra in funzione quando i proprietari devono assentarsi per le vacanze e non possono portare con sé il proprio animale domestico, ma anche quando capita un ricovero urgente in ospedale, un’assenza improvvisa per altre ragioni... oppure viene incontro semplicemente a chi non ha tempo per portare a spasso il proprio cane, o alle persone anziane che richiedono aiuto per prendere il proprio gatto, metterlo nel trasportino e accompagnarlo dal veterinario». Claudia Horlacher, che della passione verso gli animali ha fatto la sua professione, così riassume i compiti cui è chiamato chi si prenderà cura dell’animale al posto del proprietario assente. La nostra interlocutrice ci accompagna attraverso la conoscenza dell’Animal sitter, non solo per quanto attiene al prendersi cura di cani e gatti, ma anche di parecchi altri animali domestici che talvolta non è evidente dover lasciare nelle mani di qualcun altro: «Mi occupo pure di criceti, conigli, tartarughe, caprette, galline e cavalli, per fare alcuni esempi». Certo, perché ci viene spiegato che parecchie persone (e non necessariamente contadini) oggi godono della compagnia di qualche animale più «originale» dei nostri amici cani e gatti, come un’oca (che fra l’altro è in grado di fare una guardia al pari di un pastore tedesco), un cavallo, e appunto caprette e galline: «Per questi ultimi, non si tratta di sostituirsi al contadino di un’azienda agricola, ma di andare incontro alle esigenze di chi ne possiede per piacere e hobby, deve assentarsi e non sa a chi
Claudia Horlacher offre il suo servizio di Animal sitter nel Bellinzonese, in Riviera e in Mesolcina
chiedere di accudirli, anche perché non tutti sanno come vanno curati certi animali, quali sono le loro esigenze, come pulire box, paddock e lettiere». Claudia porta come esempio la cura di un cavallo, che non è evidente per chi non ne ha profonda conoscenza: «È un animale che non soffre del fatto che per qualche tempo non viene montato dal proprietario, a patto che però sia accudito: bisogna dargli regolarmente cibo più volte al giorno, deve avere acqua sempre a disposizione, va accompagnato al pascolo e va fatto rientrare nel suo box o nel paddock, senza dimenticare che bisogna controllare gli zoccoli e il suo stato di salute, come pure spazzolarlo e strigliarlo regolarmente». Comprendiamo che, chi dovesse lasciare in custodia un animale come
questo, abbisogna della competenza e delle attenzioni di chi lo conosce e sa come portare avanti il suo consueto accudimento. «Anche animali come i rettili devono essere curati con particolare competenza: con loro mi sto ancora formando e penso sia importante dare al cliente-proprietario la giusta percezione delle proprie capacità e competenze, perché egli ci affida un suo beniamino e desidera venga trattato al meglio, senza patire la sua assenza». Dalle parole di Claudia Horlacher, che offre il suo servizio di Animal sitter nel Bellinzonese, Riviera e Mesolcina, dove risiede, traspare l’amore per tutti gli animali e la serietà con cui ha acquisito le competenze adatte a curare le differenti specie di animali domestici che le vengono affidati. «Amarli è la
caratteristica più importante per chi fa questo mestiere, perché bisogna tenere in conto che si trascorre parecchio tempo con gli animali che ci affidano e dobbiamo essere certi di gradire la loro compagnia», afferma Claudia, «senza tralasciare le altre caratteristiche di chi è Pet sitter: serenità, flessibilità (anche nel lavorare durante le feste e i weekend), disciplina e organizzazione sono necessarie nel tener conto delle esigenze dei clienti e delle necessità di vari gatti, cani e altri animali». Il primo «step», a ogni nuova richiesta di collaborazione, sta nella conoscenza del proprietario e dell’animale: «È importante una prima visita e un colloquio durante il quale si comprendono tutte le richieste del proprietario, gli si chiede di riempire
ORIZZONTALI 1. Una lettera dell’alfabeto 4. Killers 9. Questo a Parigi 10. Cavità superiore del cuore 11. Le iniziali del Malgioglio della tv 12. Pubblicato 13. Nel tempo e nello spazio 14. Persone che hanno lo stesso nome 16. Reparto d’Investigazione Scientifica 17. Articolo spagnolo 18. Ha una sua corte 19. Si dice per scacciare 21. Il perfetto tra i numeri 24. Neri, oscuri 26. La patria di Abramo 27. Un cuscinetto in cucina 29. Estremità dell’ocarina 30. Fiume della Bulgaria
Sudoku Livello medio
un formulario con i suoi dati di reperibilità e il recapito del veterinario di fiducia in caso di bisogno. Nello stesso tempo, si fa conoscenza con l’animale e si osserva bene l’ambiente in cui vive, si cerca di entrare in empatia con lui e di comprendere se ci accetta a sua volta». Oltre all’importanza di discutere e chiarire le aspettative del proprietario e le esigenze dell’animale che si prende in custodia, Claudia ci spiega che si quantifica l’impegno in termini di tempo, secondo ogni singolo caso. «È molto importante incontrare l’animale in anticipo, in modo che acquisisca familiarità con me e a mia volta io saprò dove trovare il suo cibo, l’acqua, i suoi premi e i suoi giocattoli; senza dimenticare che in questo modo è soddisfatta l’esigenza del proprietario di vederlo a suo agio con la persona cui è affidato». Altro aspetto di vitale importanza sarà il «poi»: «È importante seguire scrupolosamente programma e indicazioni date dal proprietario, che siano istruzioni verbali e/o scritte, per la cura e la manutenzione del suo animale domestico. Questo implica dargli cibo all’orario giusto e prepararne la quantità adeguata, non dimenticare mai l’acqua pulita e, infine, somministrargli eventuali medicine di cui ha bisogno, sempre secondo le indicazioni del proprietario». Infine, oltre alla competenza con cui ci ha illustrato la sua professione, quel che fa la differenza rimane la grande passione di Claudia per gli animali in genere: «Come Animal sitter, uno dei compiti principali è fare in modo che l’animale sia al sicuro e si senta a suo agio quando il padrone non c’è, anche se talvolta questo implica offrirgli attenzioni extra: così, non viene fatto mancare il gioco con il giocattolo preferito, ad esempio, o qualche carezza, coccola e una bella spazzolata se si tratta di un cavallo!»
Giochi Cruciverba L’aloe ha molteplici proprietà, se ne può anche tagliare una foglia e applicarne la parte interna come … Troverai il resto della frase a cruciverba ultimato leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 8, 7, 3, 2, 10)
VERTICALI 1. A volte precede il... fatto! 2. Donna francese 3. Le iniziali del calciatore Totti 4. Valutazioni di beni 5. Ispide, fitte 6. Pronome dimostrativo 7. Sono nel caos 8. Irascibile 10. Ricorrere 12. Preposizione francese 13. Dediti alla fede 15. Al di là 16. Le iniziali dello stilista Cavalli 20. Sta al vertice 22. Nasce nell’acqua 23. Fa sempre la stessa strada 25. Preposizione 26. Contrapposta all’altra 28. In lista dopo la prima
Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
Soluzione della settimana precedente
INSOLITO DENTISTA – Il gamberetto ha l’insolita caratteristica di entrare nella: …BOCCA DEI PESCI E PULIRGLI I DENTI.
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FR
A L L E D A I D E P O L S C O I R C G I M L’EN A T A M R I F A T A I L G I R G
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GNI O E O T I GUS N G O R O. ITA PE T C R S E P U I S R ROS. UPER E ZIA DI G I S N M L A A R O I A E ELL A IANT ON G C P C I A E C M T N I T O AL PR ASTR 0 RICE D M 8 , TTI I L À O D A T D L D Ù I O I O R C N I P �P AZIO IORI I DIFF L M D R G I O O M F D I N A GR NTE I . CO N A O T T E S I U L A DI G ONSIG C C C I I R T E N � TA STAT E ’ N U R OS. E R P G E I N M I AG A TUA L L � 128 P E D RILL G L I R E P
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 maggio 2016 ¶ N. 21
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Politica e Economia La forza di Trump È il tycoon negativo, imprevedibile, ad attirare l’attenzione e a funzionare
Votazioni federali 5 giugno Fra gli oggetti su cui siamo chiamati ad esprimerci: l’iniziativa popolare per un servizio pubblico di qualità e quella sul reddito di base incondizionato
Brexit o non Brexit? Il Regno Unito il 23 giugno dovrà esprimersi in un referendum sulla sua permanenza nell’Ue o sul suo abbandono. I Tory: 1. parte pagina 24
Più anziani, più spese L’invecchiamento della popolazione premerà sempre più sulla spesa pubblica
pagina 25
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Rivoluzione culturale, un fantasma che fa ancora paura
50 anni fa L’anniversario della ricorrenza non
è stato celebrato da nessun media
Beniamino Natale Il 16 maggio 1966, in una riunione plenaria del Politburo, il presidente Mao Zedong, fondatore e dittatore della Repubblica Popolare cinese, propose e fece approvare una «direttiva» nella quale si affermava tra l’altro: «rappresentanti della borghesia si sono infiltrati nel Partito (comunista, ndr), nel governo, nell’esercito e in varie sfere della cultura… quando i tempi saranno maturi, costoro si impadroniranno del potere e trasformeranno la dittatura del proletariato in una dittatura della borghesia». «Dobbiamo rispettare il popolo – proseguiva la “direttiva” – affidarci al popolo e rispettare le innovazioni del popolo. Non dobbiamo avere paura. Non dobbiamo temere il caos». E il caos fu. Nei mesi successivi i reparti di Guardie Rosse organizzati dai più stretti collaboratori di Mao – sua moglie, l’ ex-attrice Jiang Qing e il suo «fedele compagno d’ armi», il generale Lin Biao, un eroe della guerra di Corea – scatenarono i loro attacchi politici e fisici contro i dirigenti che «seguivano la via del capitalismo». Era l’inizio degli anni più caotici e violenti della Repubblica Popolare. Il periodo passato alla storia come Rivoluzione Culturale ufficialmente durò fino al 1976, anno della morte di Mao ma in realtà era finito nel 1971, quando Lin Biao morì in un misterioso incidente aereo dopo aver probabilmente tentato un colpo di stato. Secondo calcoli necessariamente imprecisi vide la morte di 1,7 milioni di persone (più delle bombe atomiche sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki nel 1945) e rimane un fantasma minaccioso per la Cina del presente. I cinesi non ne parlano volentieri – una buona parte dei carnefici e delle vittime sono ancora vivi e, anche se per diverse ragioni, non amano ricordare quei giorni di violenza, di fame e di terrore. Non per niente il 16 maggio di quest’anno nessun media ha ricordato quel dramma. Secondo Stephen McDonell, della BBC di Pechino «non si tratta però di una politica di censura a tappeto come, per esempio, quella che viene applicata a qualsiasi discussione sulla re-
pressione del 1989 a piazza Tienanmen. Sul sito cinese Weibo, simile a Twitter, le parole “rivoluzione culturale” non sono state bloccate. Sul sito web “Sina News”non ci sono articoli ma c’è un link a un documento del Partito Comunista del 1981. Nel documento si afferma che la Rivoluzione Culturale fu una creazione di Mao Zedong e che essa “provocò le più gravi sconfitte e perdite per il Partito, il Paese e il popolo dalla fondazione della Cina”». Il silenzio ufficiale e le polemiche pubbliche che hanno circondato l’anniversario sono significativi di un problema di fondo della Cina dei nostri giorni – e della lotta politica in corso ai vertici del Partito Comunista. I dettagli non li conosciamo. Come disse Winston Churchill riferendosi all’Urss della Guerra fredda, «è come se due cani lottassero sotto ad un tappeto: vediamo il tappeto muoversi, ma non sappiamo davvero cosa succede lì sotto». Che sotto il tappeto stia succedendo qualcosa era risultato chiaro qualche giorno prima dell’anniversario. Il 2 maggio una rappresentazione teatrale svoltasi nella Grande Sala dell’Assemblea del Popolo – il tetro edificio statale che occupa una vasta porzione di piazza Tienanmen e che è il principale palcoscenico delle rappresentazioni del Partito Comunista – aveva suscitato roventi polemiche per aver utilizzato «canzoni rosse» e uno stile che a molti ha ricordato quello della Rivoluzione Culturale. La scenografia era composta da manifesti di quel periodo, uno dei quali esortava «i popoli di tutto il mondo a sconfiggere gli invasori americani e i loro lacché», una frase pronunciata da Mao in un discorso tenuto durante la guerra di Corea (195053). Nel corso della rappresentazione – simile in modo impressionante a quelle orchestrate 50 anni fa da Jiang Qing – sono state cantate un gran numero di canzoni dedicate all’esaltazione dell’attuale presidente Xi Jinping tra cui una composizione della moglie di Xi, la cantate pop e generalessa dell’Esercito Popolare di Liberazione Peng Liyuan. Del resto, numerose canzoni dedicate alla «coppia reale» sono state usate negli ultimi tre anni dalla propaganda del Partito Comunista: la più famosa è la mielosa
Il grande timoniere Mao Zedong dopo la sua famosa nuotata nel fiume Yangtze. (AFP)
«Zio Xi ama mamma Peng» (secondo verso: «e mamma Peng ama lo zio Xi»). Data l’occasione e il luogo nel quale si è svolta, la rappresentazione deve essere stata approvata dal potente Dipartimento per la Propaganda del Partito ed era sponsorizzata da un ufficio della Gioventù Comunista, dal Centro per gli scambi culturali che dipende dal Ministero della cultura e dal China National Opera and Dance Drama Theatre, una delle principali organizzazioni culturali del Paese. Insomma, una significativa parte dell’establishment. Secondo il commentatore Wang Xiangwei, del «South China Morning Post», «la reazione del pubblico è stata forte e rapida ed è stata guidata da Ma Xiaoli, la figlia di un dirigente rivoluzionario perseguitato durante la Rivoluzione Culturale». I promotori sono stati accusati di «aver fatto un passo indietro nella storia» ma si sono defilati evitando di rispondere o affermando che si trattava «solo di una recita». Wang sottolinea «il fatto interessante, o forse la coincidenza» per la quale la rappresentazione è stata messa in scena lo stesso giorno nel quale il Partito ha annunciato di aver «sospeso» per un anno Ren Zhiqiang, un estroverso imprenditore e membro del Partito, che aveva criticato
sul suo popolarissimo blog la politica di propaganda di Xi Jinping. Le canzoni sul presidente e sua moglie – la prima «first lady» cinese ad avere un alto profilo pubblico dopo Jiang Qing –, le ormai abituali confessioni dei dissidenti davanti alle telecamere della televisione di Stato, la lettura pubblica delle sentenze nell’instabile regione del Xinjiang e soprattutto l’accentramento dei poteri nelle mani di Xi Jinping sono tutte iniziative che ricordano Mao Zedong il quale, come abbiamo visto, è stato riconosciuto dallo stesso Partito Comunista come ispiratore della Rivoluzione Culturale. Indubbiamente ci sono anche delle differenze. Nei due mesi seguiti alla «direttiva» del 16 maggio, Mao non si fece vedere in pubblico e li trascorse viaggiando nel sud della Cina sul suo treno superattrezzato – sul quale viaggiavano anche, secondo il suo medico personale Li Zhisui, alcune «giovani compagne» addette all’intrattenimento del Grande Timoniere – per ricomparire solo il 16 luglio con la sua famosa nuotata nel fiume Yangtze. Rientrato a Pechino, Mao invitò le Guardie Rosse a continuare nella loro opera distruttiva «bombardando il quartier generale». Xi Jinping sembra invece voler controllare strettamente le iniziative dei nuovi maoisti,
che lo considerano uno di loro. Il ritorno del culto di Mao – e del «nuovo Mao», Xi Jinping – è allo stesso tempo utile e pericoloso per il gruppo dirigente cinese. Utile perché permette all’aristocrazia rossa – i figli e i nipoti dei «grandi rivoluzionari», le cui famiglie dominano la Cina contemporeana – non solo di rivendicare una legittimità ma anche di saldarsi con il diffuso sentimento popolare che ha idealizzato i tempi del maoismo. In quel periodo – come dichiarano se interrogate le centinaia di persone che ogni giorno fanno ore di fila per visitare il mausoleo del Grande Timoniere su piazza Tienanmen – non c’era la feroce corsa alla ricchezza che caratterizza la Cina di oggi, c’era meno competizione e più solidarietà. Falso, ma molti cinesi ci credono. Il ritorno del maoismo è anche pericoloso, perché potrebbe portare ad annullare gran parte dei passi in avanti fatti dalla Cina dopo la liquidazione – alla fine degli anni Settanta – di Jiang Qing e dei suoi collaboratori della cosidetta Banda dei Quattro. Mao Zedong e la Rivoluzione Culturale sembrano essere dunque diventati uno strumento che viene usato dalle fazioni in lotta. Con quali risultati, lo sapremo solo quando il «tappeto» verrà alzato, rivelando il nuovo volto della classe dirigente cinese.
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Politica e Economia
Brexit, la guerra dei Tory I sostenitori del leave – 1. parte Al referendum del 23 giugno gli inglesi dovranno esprimersi sulla permanenza
nell’Unione europea o il suo abbandono. Particolarmente evidenti le divisioni nel Conservative Party al governo
Paola Peduzzi Lasciare l’Europa è un’opportunità, la più grande che il Regno Unito abbia avuto da decenni: non lasciamocela scappare, non perdiamo l’attimo che ci consentirà di recuperare la nostra indipendenza, la nostra sovranità, i nostri soldi. È questo più o meno il messaggio dei sostenitori della Brexit che al referendum del 23 giugno voteranno «leave»: lasciamo l’Unione europea, e godiamoci la nostra libertà. Nei sondaggi oggi il «leave» è indietro rispetto ai pro europei del «remain», ma non di tanto, e si dice che la battaglia si vincerà o si perderà con uno scarto ridotto. Questo è già un problema: nelle intenzioni di David Cameron, il premier conservatore che ha indetto il referendum dopo averlo promesso nel 2013, la consultazione avrebbe dovuto mettere fine alle discussioni laceranti sull’appartenenza all’Unione europea, ma visto che il dibattito nella campagna elettorale non è dei più costruttivi e le differenze di pensiero sono sempre più evidenti, il referendum potrebbe alla fine non rivelarsi risolutivo. C’è già chi, come il leader degli indipendentisti dell’Ukip, Nigel Farage, strenuo sostenitore della Brexit, chiede un’altra consultazione se il «remain» dovesse vincere di poco. E c’è anche chi trama alle spalle del premier: un gruppo di parlamentari conservatori euroscettici sta preparando una mozione di sfiducia nei confronti di Cameron, anche se dovesse vincere il «remain».
Si parte già con un groppo allo stomaco, insomma. È un groppo che nel Regno Unito c’è da sempre: l’euroscetticismo è un istinto naturale nel Paese, al punto che i vari governi, di destra e di sinistra, da sempre lavorano per mantenere uno status di membro scettico all’interno dell’Europa, partecipando alle iniziative comunitaria soltanto nella misura in cui possono portare vantaggi spendibili all’Inghilterra. L’indipendenza monetaria è in questo senso l’esempio più eclatante. Pur essendo più o meno tutti i partiti sospettosi nei confronti dell’Unione europea, la battaglia referendaria è soprattutto una guerra civile all’interno della destra britannica. Quando Cameron ha deciso di mettere fine al tormento interno ai Tory, per provare ad annientare l’origine dei dissapori più grandi nel partito, probabilmente non pensava che il risultato sarebbe stato tanto negativo: volano stracci da mesi, tra i conservatori. Molti stracci, al punto che la gara per la successione al premier, che ha già annunciato che non si candiderà per un altro mandato, è diventata una lotta tra chi vuole rimanere in Europa e chi vuole uscire. È per questo che, al di là dell’esito referendario, i ricaschi politici di questa campagna elettorale parecchio brutta si sentiranno molto oltre il 23 giugno. Si sono spezzati, negli ultimi mesi, molti rapporti professionali e ideologici che duravano da tempo: i retroscenisti inglesi raccontano che Cameron non rivolge quasi più Annuncio pubblicitario
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Il premier conservatore David Cameron si è schierato con il remain dopo l’accordo con Bruxelles. (AFP)
la parola ai ministri «ribelli», in particolare a Michael Gove, ministro della Giustizia e guru del cameronismo, e anche con l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, le comunicazioni sono annullate. I più ottimisti dicono che è normale, mancano poche settimane al voto, è il momento di maggiore rottura; ma la probabilità che certe ferite possano rimarginarsi appare oggi piuttosto bassa.
I sostenitori della Brexit si dividono in due gruppi: gli euroscettici storici guidati dal pupulista Farage e del suo Ukip e i liberali riconducibili a Johnson e Gove I sostenitori della Brexit si dividono in due grandi gruppi: ci sono gli euroscettici storici, che hanno costruito la loro carriera politica sulla battaglia contro le ingerenze dell’Unione europea negli affari britannici. Il leader di questo gruppo è Nigel Farage, indipendentista doc, protezionista, isolazionista, cantore dei guai occupazionali e culturali causati da un’immigrazione fuori controllo. Il suo partito, l’Ukip, si posiziona tra i movimenti populisti che stanno spopolando anche sul continente: quando Marine Le Pen, leader del Front national francese, aveva annunciato la volontà di andare a fare campagna elettorale per il «leave» a Londra, faceva riferimento proprio a un’alleanza con l’Ukip. La sua avventura è stata in parte boicottata dall’altro grande gruppo dei sostenitori della Brexit: gli animatori di «Vote Leave», la campagna ufficiale per l’uscita del Regno Unito dall’Ue (ha ottenuto i fondi della commissione elettorale), che sono riconducibili a Johnson e a Gove. Le motivazioni di questo gruppo non sono per nulla simili a quelle dell’Ukip e dei gruppi collegati agli indipendentisti: Johnson e Gove sono liberali, credono che il Regno Unito alleggerito dall’orpello europeo potrà negoziare in modo più vantaggioso i trattati di libero scambio con gli altri Paesi, non sono contrari
all’immigrazione in quanto tale, sono convinti che l’Europa sia protezionista, che contribuisca ad aumentare i prezzi ai consumatori e a ridurre il potenziale di crescita dell’Inghilterra. Non c’entrano granché con la retorica e l’ideologia degli indipendentisti, e questo è il motivo per cui le due campagne, che pure vogliono come obiettivo ultimo la Brexit, non si sono unificate. Di più: ai dibattiti televisivi previsti nelle prossime settimane, è stato invitato Farage come sostenitore del «leave», cosa che ha infastidito parecchio i liberali. Cameron invece gioisce, non soltanto perché non vorrebbe mai scontrarsi in diretta tv con i suoi ex alleati, ma anche perché le argomentazioni dei liberali sono quelle per lui, che è da sempre un tiepido euroscettico rilanciatosi eurofilo dopo il negoziato con Bruxelles, le più difficili da controbattere. Sulla carta lo scontro sul referendum pareva bello e interessante. Non si trattava soltanto di analizzare e ripensare il rapporto tra il Regno Unito e l’Europa, ma di interrogarsi sulla natura del Paese, sull’identità britannica, sul suo ruolo nell’Unione e ancor più nel mondo. Era un’occasione – politicamente non semplice certo, ma comunque inebriante – di delineare un dibattito culturale ampio, incentrato sulle velleità liberali del mondo anglosassone, sulla peculiarità geografica del Regno (è un’isola!), sulle alleanze che, dal Dopoguerra in poi, hanno scandito le relazioni internazionali, garantendo all’Europa decenni di pace e di prosperità. Ma quest’occasione non è stata colta, non ancora almeno, e chissà se lo sarà più. La discussione si è ridotta a scontri tra personalità, a dati mai del tutto verificabili – non ci sono precedenti, gli statistici dicono che le previsioni sono per forza fallaci – ma terrorizzanti, a rivisitazioni storiche mai azzeccate. Se la domanda di fondo è: staremo meglio, più ricchi e più soddisfatti, dentro o fuori l’Europa?, le risposte sono state piuttosto deprimenti. Ha vinto quel che i giornali chiamano il «Project fear», il progetto della paura, che attraversa entrambi i campi, il «leave» e il «remain». I sostenitori della Brexit dicono che rimanere in Europa sarà una catastrofe, l’Inghilterra perderà sempre più peso nell’Unione, che progredirà nel suo
progetto di unificazione, e resteranno soltanto i conti da pagare di un Continente che perde tempo e soldi da anni attorno alle proprie crisi. La libertà che un’uscita dall’Ue porterebbe è in realtà stata raccontata più con i toni catastrofici legati «all’errore di rimanere». Gove, che è un intellettuale prima ancora che un politico, ha cercato di tenere il dibattito su toni di prosperità e liberalismo, ma ha fatto più notizia quando ha detto che il modello cui il Regno Unito potrebbe ispirarsi è quello albanese (che nell’immaginario inglese non è una gran prospettiva). Johnson, che ha il talento della retorica e della schiettezza, ha pronunciato concetti rilevanti sul potenziale di crescita del Paese fuori dall’Ue, ma ha fatto notizia soltanto quando ha detto che Barack Obama non dovrebbe intervenire nel dibattito inglese essendo «mezzo kenyota» e quindi per natura contrario al successo degli imperialisti britannici, o più di recente quando ha detto che il progetto europeo è come quello di Hitler, innescando una delle poche reazioni viste in questi mesi da parte di Bruxelles. Molti elettori si lamentano che nella nebbia della campagna elettorale si sono persi i dati importanti: a suon di report e controreport, oggi nessuno sa quantificare le perdite o i vantaggi di una Brexit. Così, nonostante non si parli che di questo, gli animi degli inglesi sono rimasti quelli che erano a gennaio, quando ancora il dibattito referendario non era ufficialmente iniziato. Molti sostengono che questa fosse una battaglia persa fin dal principio: chi è contro l’Europa non cambierà idea nemmeno di fronte all’apocalisse, chi è a favore non vorrà mai passare per uno di quei «bruti» che odia Bruxelles. Probabilmente hanno ragione, e infatti l’obiettivo di entrambe le campagne è quello di mobilitare chi è restio a votare, o chi non ha mai votato prima d’ora. In quel 25 per cento di cosiddetti indecisi sta la formula del successo, ma se da un lato i toni del dibattito farebbero scappare chiunque, dall’altro anche in questo caso vale molto la composizione demografica degli indecisi. La ragione dei numeri più che lo slancio di cuore. Gli anziani sono euroscettici, i giovani sono eurofili. Farli andare alle urne: è questo il problema.
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Politica e Economia
Un servizio pubblico di qualità Votazioni federali 5 giugno Fra i 5 oggetti su cui il popolo è chiamato ad esprimersi, spicca l’iniziativa popolare
«a favore del servizio pubblico», cui tutti i partiti si oppongono per i rischi cui esporrebbe le ex regie federali
Alessandro Carli La Posta chiude molti uffici, i trasporti pubblici non sono sempre affidabili e sovraffollati nelle ore di punta, la pulizia lascia a desiderare: il servizio pubblico sta veramente peggiorando? Ne sono convinte quattro riviste dei consumatori «Bon à Savoir», «K-Tipp», «Saldo» e «Spendere meglio» che hanno lanciato l’iniziativa popolare «A favore del servizio pubblico», in nome – affermano – dei loro 2,5 milioni di lettori. In votazione il 5 giugno prossimo, l’iniziativa chiede che nelle prestazioni di base non si realizzino profitti e che i dipendenti di Posta, Swisscom e FFS non siano retribuiti più degli impiegati federali. Governo, Parlamento e tutti i partiti sono invece convinti che la Svizzera disponga di un servizio pubblico di qualità. L’iniziativa non lo rafforzerebbe, ma lo indebolirebbe, a causa della drastica riduzione del margine di manovra imprenditoriale delle citate imprese. Con il 58% di preferenze per l’iniziativa, il primo sondaggio non dà però loro ragione. Il risultato del sondaggio è sorprendente già per il fatto che l’iniziativa «A favore del servizio pubblico» è stata bocciata dalle Camere all’unanimità, cosa più unica che rara. Fautori e contrari concordano sul principio che la Svizzera deve disporre di un servizio pubblico affidabile e performante. Le opinioni divergono sulle strategie.
Tutti i partiti, il Consiglio federale e il Parlamento si oppongono, ma i sondaggi danno tuttora in testa i «sì» Come detto, l’iniziativa concerne le imprese controllate dalla Confederazione che offrono prestazioni di base, ossia Posta, Swisscom e FFS. Per i suoi promotori, la situazione si è deteriorata alla fine degli anni Novanta, quando queste tre ex regie federali sono diventate autonome, pur appartenendo integralmente o in gran parte alla Confederazione. Da allora – sostengono – si è assistito a continui tagli delle prestazioni e a ripetuti aumenti delle tariffe, con sempre maggiori guadagni realizzati a scapito della popolazione. Da qui lo scontento e la necessità di correggere il tiro, non ravvisata però né dalle autorità, né dal mondo politico. I promotori dell’iniziativa rammentano che negli ultimi 15 anni sono stati chiusi 1748 uffici postali. Tra il 2007 e il 2010, la Posta ha soppresso 5000 cassette delle lettere, pari a un quarto del totale. Negli ultimi cinque anni, il gigante giallo ha realizzato profitti che sfiorano i 5 miliardi. Dal canto loro, le FFS, al di là degli aiuti federali miliardari, non si sono mai stancate di aumentare le tariffe: in sei anni, l’abbonamento a metà prezzo è salito da 150 a 185 franchi, mentre un biglietto Zurigo-Berna andata e ritorno in seconda classe costa oramai 100 franchi (Berna-Chiasso 180 franchi), il 100% in più rispetto al 1990. La Swisscom, che è tenuta a offrire a ogni economia domestica l’allacciamento al telefono e a internet, pratica tariffe «esagerate», tanto che tra il 2010 e il 2014 ha guadagnato complessivamente 7,7 miliardi di franchi, ricordano i fautori dell’iniziativa. Intanto, nel 2014 il direttore di Swisscom Urs Schäppi ha incassato 1,773 milioni di franchi, il patron delle FFS Andreas Meyer ne ha intascati 1,075 e la direttrice della Posta Susanne
Negli ultimi 15 anni sono stati chiusi 1748 uffici postali, l’iniziativa popolare nasce dal disagio della popolazione riguardo questi smantellamenti. (Keystone)
Ruoff si è accontentata di 825’000 franchi. Alla luce di tutto ciò, l’iniziativa chiede che i manager delle citate imprese federali non guadagnino più di un consigliere federale (475’000 franchi all’anno) e che nel settore delle prestazioni di base non si conseguano profitti. Inoltre, il testo vieta alle ex regie le sovvenzioni trasversali ad altri settori (senza precisare quali) e perseguire interessi fiscali. Secondo il comitato d’iniziativa, queste due regole sono volte a fare in modo che le imprese parastatali
non versino alla Confederazione, sotto forma di dividendi, i profitti provenienti dalle prestazioni di base. Le richieste dell’iniziativa, che fungono da risposta alle lamentele di consumatori e utenti per i disservizi riscontrati, sembrerebbero giustificate. Tuttavia, ogni medaglia ha il suo rovescio. Per Governo e Parlamento, per tutti i partiti politici, i cantoni, le associazioni economiche e addirittura per i sindacati e le organizzazioni di protezione dei consumatori, le strategie
proposte indebolirebbero il servizio pubblico, al posto di sostenerlo. Limitare gli stipendi dei quadri a 475’000 franchi, secondo gli avversari significa mettere in pericolo la libertà imprenditoriale e rinunciare all’assunzione di manager capaci e competenti. Inoltre, parlando di «onorari dell’Amministrazione federale», l’iniziativa non si riferisce solo ai quadri, ma anche ai 100’000 collaboratori delle tre ex regie, i cui stipendi andranno pure paragonati e adattati.
Il reddito di base non convince L’idea di introdurre un reddito di base per tutti è destinata a fallire il 5 giugno prossimo. L’iniziativa «Per un reddito di base incondizionato», lanciata da un comitato di cittadini senza appartenenza partitica, sarebbe infatti respinta dai ¾ dei cittadini. Il progetto, pur con «nobili intenti», è bocciato da Governo e Parlamento. Può contare solo su qualche appoggio a sinistra. L’iniziativa chiede alla Confederazione di istituire un reddito di base che sia versato a tutta la popolazione, senza alcuna condizione. In questo modo si consentirebbe a tutte le persone di svilupparsi sul piano sociale e culturale, nonché di avere un’esistenza «degna» e di partecipare alla vita pubblica. Non sarebbe dunque più necessario svolgere un’attività lucrativa per disporre dei mezzi necessari per vivere. Quale base di discussione, i promotori dell’iniziativa propongono un reddito di base mensile di 2500 franchi per gli adulti e di 625 per i minorenni, importi che non sono tuttavia fissati nel testo dell’iniziativa. Il progetto vuole dare una risposta umanistica allo sviluppo tecnologico. Si sta realizzando il vecchio sogno dei robot che sostituiscono sempre più spesso il lavoro umano. Nei prossimi 20 anni scomparirà fino al 50% di posti di lavoro. Tuttavia, le macchine non pagano né imposte, né quote sociali. Il reddito di base darà più spazio ai vari
modi di vita, permettendo di rivalorizzare una produzione agricola locale o una vita d’artista, di organizzare meglio il reinserimento professionale di un disoccupato e di coniugare meglio vita professionale e familiare. Sulla base delle prestazioni citate, ogni anno verrebbero versati complessivamente, sotto forma di reddito di base, 208 miliardi di franchi a oltre 6,5 milioni di adulti e a circa 1,5 milioni di adolescenti. Le somme attuali versate attraverso i salari e le assicurazioni sociali permetterebbero di recuperare 183 miliardi. Resterebbe un saldo di 25 miliardi che i fautori del testo vorrebbero colmare tassando le transazioni finanziarie. Il tutto con ricadute economiche e sociali negative. Il ministro dell’interno Alain Berset ricorda che i condivisibili intenti dell’iniziativa sono già tradotti in pratica da una struttura sociale elvetica ben sviluppata ed efficiente. L’iniziativa avrebbe poi ripercussioni di non poco conto, in particolare sull’economia, poiché toglierebbe a una buona parte della popolazione la necessaria motivazione nel perseguire un’attività lucrativa. Il fenomeno interessa coloro che lavorano a tempo parziale o che guadagnano meno o poco più di 2500 franchi, in particolare le donne. L’economia soffrirebbe di questa mancanza di lavoratori, anche qualificati. Secondo Berset, l’introduzione di
questo sistema in un solo Paese sarebbe rischiosa. Ci troviamo infatti nel cuore dell’Europa, aperto alla libera circolazione. Chi avrebbe accesso a tale reddito e a quali condizioni? Perciò – secondo il Consiglio federale – l’idea dell’iniziativa è «generosa, ma utopica». Il comitato interpartitico contrario al progetto parla addirittura di «pericoloso esperimento». Chi lavorerà ancora per creare ricchezza e pagare, attraverso le imposte, il reddito garantito dallo Stato? Solo i Verdi e qualche socialista sostengono l’iniziativa. Per il PS, il reddito minimo deve raggiungere almeno i 4000 franchi. Con «soli» 2500 franchi, il reddito di base equivarrebbe a un dumping salariale generalizzato. Per finanziare l’iniziativa occorrono risparmi o aumenti d’imposta massicci. Il reddito di base non consentirebbe poi di sostituire l’attuale sistema delle assicurazioni sociali. Il Consiglio federale, pur ammettendo le conseguenze della crescente tecnicizzazione e digitalizzazione della società, è convinto che se tutta la popolazione dovesse ricevere un reddito di base incondizionato senza dover fornire un contributo alla società si lederebbe il senso di giustizia di molte persone e si metterebbe a repentaglio la coesione sociale. Si comprometterebbero anche il successo economico e le conquiste sociali della Svizzera. /AC
Per la consigliera federale Doris Leuthard, competente in materia, l’iniziativa crea incertezza, senza avanzare proposte concrete per migliorare il servizio pubblico che in Svizzera, pur con qualche lacuna da eliminare e aspetti migliorabili, è ottimo nel confronto internazionale. «Non è dunque il caso – secondo la ministra dei trasporti – tentare esperimenti in un settore che funziona, che è fondamentale per la nostra economia e per la coesione nazionale». Accettare l’iniziativa – ha aggiunto – significa silurare un modello di successo elvetico, che tutti ci invidiano. Dettando divieti, invece di lasciare liberà imprenditoriale, l’iniziativa è una «minaccia per la prosperità della Svizzera». Inoltre, per il Consiglio federale è impensabile ipotizzare – come chiede il progetto in votazione – che un’azienda non possa conseguire profitti nel servizio pubblico. Conseguenza: difficoltà d’investimento in nuove tecnologie e prodotti, necessari per garantire un servizio pubblico efficiente. Non fare utili, come chiede l’iniziativa, significa poi anche privare la Confederazione di preziosi introiti versati dalle ex regie. Nell’esercizio 2014, le tre ex regie hanno versato da sole circa 500 milioni di franchi di imposte sull’utile. Inoltre, quale azionista di Swisscom e della Posta, la Confederazione ha ricevuto dividenti pari, rispettivamente, a 580 e 200 milioni di franchi. Doris Leuthard ammonisce: «un calo di queste entrate potrebbe comportare un aumento delle imposte o uno smantellamento delle prestazioni». Il divieto delle sovvenzioni trasversali solleva pure interrogativi: per gli avversari tale divieto mette a repentaglio il principio stesso del servizio pubblico, secondo cui i settori redditizi danno una mano a quelli che lo sono meno. Al riguardo, il testo dell’iniziativa non è chiaro. Per Doris Leuthard, i settori in perdita di un ex regia devono poter godere, come oggi, dei guadagni di altri che sono floridi. Per i fautori dell’iniziativa, gli avversari «sollevano inutili paure». I guadagni degli immobili delle FFS – affermano – potranno sempre sostenere una ferrovia regionale in difficoltà.
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Politica e Economia
L’invecchiamento fa aumentare la spesa pubblica Scenari Un rapporto del Dipartimento federale delle finanze valuta l’influsso delle spese della previdenza, delle cure
e della formazione sul reddito disponibile della popolazione svizzera fino al 2045. Maggiori oneri su cantoni e comuni Ignazio Bonoli Ogni quattro anni, il Dipartimento federale delle finanze presenta un rapporto che guarda ben oltre lo steccato dei preventivi annuali e anche dei piani finanziari pluriennali. Quello appena presentato considera la probabile evoluzione delle finanze degli enti pubblici svizzeri fino al 2045. Il periodo attuale è caratterizzato da sforzi di risparmio (e piani di contenimento delle spese) messi in atto da Confederazione, Cantoni e Comuni. Non è però una novità constatare che da qualche anno (e con qualche rara eccezione) le spese tendono ad aumentare più delle entrate, per cui si è resa necessaria anche l’adozione di misure come quelle del freno alla spesa o all’indebitamento. Tanto più che l’economia non conosce più periodi di sviluppo intenso, ma è spesso caratterizzata da fasi di rallentamento e di stagnazione. Con queste situazioni di partenza il rapporto non poteva non mettere in guardia contro le difficoltà di far quadrare i bilanci nei prossimi decenni. Il fenomeno generalizzato che li caratterizzerà sarà senza dubbio quello dell’invecchiamento della popolazione. Le conseguenze immediate si vedranno quindi subito nei sistemi di previdenza vecchiaia. Se oggi vi sono
ancora tre persone che svolgono attività lucrative a fronte di un pensionato, nel 2045 questi lavoratori saranno soltanto due. Con questa evoluzione, le spese dello Stato, secondo lo scenario di base, saliranno dall’odierno 32% del PIL (prodotto interno lordo) al 36% nel 2045. Se non verranno adottate misure concrete, l’indebitamento pubblico aumenterà dall’attuale 35% a non meno del 59% del PIL. Ma non tutti i settori dello Stato verranno toccati nella stessa misura. Circa un terzo dell’aggravio dovuto alla demografia dovrà essere assorbito dall’AVS e dall’AI. Le spese aumenteranno dell’1,3% del PIL, con una crescita particolarmente intensa prima del 2030. Questo dipende dalla riforma della previdenza vecchiaia che il Consiglio federale sta preparando. La previsione non tiene conto di eventuali aumenti delle rendite rispetto a quelle odierne. Nel settore delle cure della salute, le spese aumenteranno dello 0,7% del PIL, ma non solo a causa della demografia. L’aumento del benessere porta generalmente con sé anche un aumento delle cure della salute. L’invecchiamento della popolazione influirà nella misura in cui il grado di salute dei pensionati sarà migliore o peggiore. Questo fattore avrà forti ripercussioni sui Cantoni, che dovranno assorbire un
aumento da tre a quattro volte dei costi della salute. I principali responsabili di questi aumenti sono le casse malati. Il rapporto calcola che nell’assicurazione malattia obbligatoria i premi aumenteranno del 3,1% (2,4% se corretti dall’aumento della popolazione). Con un aumento del 2% dei salari nominali, i premi aumenteranno in ogni caso dello 0,4% di più del reddito. Anche i costi delle cure di lunga durata (in particolare case per anziani) aumenteranno dello 0,9% del PIL e saranno quasi raddoppiati. Saranno particolarmente toccati Cantoni e Comuni. La maggior percentuale è dovuta al fatto che in questo caso le casse malati parteciperanno in misura minore. Infine, le spese per la formazione aumenteranno pure dello 0,6% del PIL, ma tenderanno a stabilizzarsi, perché il numero di scolari e studenti non aumenterà più verso la fine del periodo considerato. Per finanziare queste spese, la Confederazione pensa oggi soprattutto alla riforma dell’AVS. Non prevede invece finanziamenti per i costi della salute, i cui aumenti andranno perciò a carico di Cantoni e Comuni. La prevista quota di aumento dell’indebitamento al 59% del PIL andrà quindi soprattutto a loro carico, mentre l’indebitamento della Confederazione tenderà a diminuire. Determinante
Il numero dei pensionati cresce e con loro le spese per l’AVS e per la salute. (Keystone)
per i finanziamenti sarà comunque lo sviluppo dell’economia. Esso dipenderà soprattutto dal miglioramento della produttività e dall’immigrazione. Su questo punto il rapporto è più ottimista del precedente e valuta una crescita dell’1,5% all’anno. Di un’eventuale crescita maggiore potrebbe approfittare soprattutto l’AVS, mentre Cantoni e Comuni sarebbero confrontati con maggiori costi salariali e au-
menti delle spese per la salute (ospedali, ecc.). Nonostante questi aggravi di spese, il Dipartimento delle finanze calcola che, grazie agli aumenti di produttività, ogni svizzero potrà contare su un aumento annuo dell’1,2% del reddito disponibile. E questo anche se la stabilità dell’indebitamento potesse essere mantenuta solo grazie all’aumento delle imposte. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
l Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Cosa sta succedendo nell’industria idroelettrica? A leggere i giornali sembra che nel settore idroelettrico stia succedendo il finimondo. A dire il vero le preoccupazioni per le aziende che producono energia elettrica non sono di oggi. Risalgono a qualche anno fa, alla data per essere più precisi, in cui si decise di liberalizzare il settore. Cerchiamo di chiarire la situazione. La decisione di liberalizzare il mercato dell’energia elettrica fu presa dalla Svizzera per restare in sintonia con l’Europa. L’Europa liberalizzava, la Svizzera doveva fare altrettanto. Da noi, però si decise di muoversi con cautela. Dapprima il mercato diventò libero solo per i grossi consumatori. Per gli altri, ossia per te caro lettore come per chi scrive questo articolo, i vantaggi della liberalizzazione del mercato (leggi tariffe più basse) non si sono ancora fatti sentire o quasi. Una
volta liberalizzato il mercato, i grossi consumatori di energia elettrica si diedero subito da fare, orientandosi verso nuovi fornitori che consentivano loro risparmi importanti sui costi dell’energia. E, come succede in tutti i mercati del mondo, l’aumento della concorrenza cominciò a far male a più di un produttore. Da queste righe abbiamo già ricordato il caso dell’Alpiq che, ormai, sta infilando un deficit d’esercizio dopo l’altro. Da un paio d’anni la mancanza di concorrenzialità ha cominciato a far soffrire anche l’Axpo, l’azienda elettrica dei Cantoni della Svizzera del Nord-Est che sta pensando di chiudere le sue centrali nucleari. Queste due aziende sono colossi nel mercato svizzero dell’energia idroelettrica. Ma anche alle piccole aziende cantonali le cose non vanno molto bene. L’azienda
grigionese Repower, per esempio, sta pensando addirittura di abbandonare il mercato e di concentrarsi in futuro solo sulla fornitura di servizi. L’AET, ossia la nostra azienda cantonale, per ora tiene, ma ha visto i suoi profitti diminuire sensibilmente, riducendosi dai 40 e più milioni di franchi del periodo immediatamente precedente alla liberalizzazione ai poco più che 10 milioni di oggi (si veda il grafico). In Europa, attualmente, vi è sovrapproduzione di energia elettrica. Da otto anni il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica non fa che scendere. Il problema di fondo sembrerebbe essere quello che, con i bassi prezzi che vigono attualmente sul mercato, le aziende di produzione svizzere non riescono più a far quadrare il bilancio. I Cantoni alpini, primi produttori di energia idroelettrica, che, ancora
un paio di decenni fa, discutevano di creare una OPEC della produzione di energia idroelettrica per far salire i prezzi, rischiano oggi di vedersi esclusi dal mercato. Sul perché la produzione di energia elettrica delle aziende svizzere non è più concorrenziale le risposte sono diverse e non tutte sembrano chiare. Da un lato sembrerebbe che per il produttore elvetico esista veramente un problema di competitività. In particolare il prezzo dell’energia prodotta dagli impianti idroelettrici svizzeri sarebbe notevolmente superiore a quello che possono offrire i concorrenti stranieri, in particolare le aziende tedesche. Dall’altro vi è però ci dice che il prezzo dell’energia elettrica tedesca è basso perché la sovrapproduzione è dovuta ai sussidi che lo Stato continua a concedere ai produttori
di energie alternative nonché alle centrali a carbone. Nell’industria svizzera della produzione di energia elettrica c’è perciò chi, dopo appena pochi anni di mercato parzialmente libero, già invoca l’aiuto statale per la produzione di energia idroelettrica. Altri, come l’Alpiq, con la forza della disperazione, cerca invece di sbolognare gli impianti al miglior offerente. Dovesse generalizzarsi, questa situazione potrebbe rivelarsi interessante per il Canton Ticino che, tra poco, sarà chiamato a pronunciarsi sul rinnovamento delle concessioni della Maggia e del Brenno. Chissà che non sia venuto il momento buono per l’AET per riscattare a buon prezzo questi due impianti? A condizione naturalmente che i futuri costi di produzione degli stessi non siano però inferiori ai possibili ricavi.
tico a essere diviso al suo interno, in una discussione che si sta avvitando su toni sgradevoli, mentre i repubblicani si stanno ricompattando attorno alla candidatura di Donald Trump. Al momento Hillary resta favorita. Ma va detto che gli americani tra il vecchio e il nuovo hanno sempre scelto il nuovo. E il nuovo, piaccia o no, in questo momento ha la frezza riportata di Trump, dal colore introvabile in natura che in
effetti ricorda certe sfumature della capigliatura posticcia di Berlusconi. È difficile però paragonare le due figure. Berlusconi era il monopolista delle tv private. Ed era il padrone del Milan, la più forte squadra d’Europa negli anni tra la fine degli Ottanta e l’inizio del Novanta. Era una sorta di padrone delle anime. Incarnò in Italia il riflusso e la ritirata nel privato – «torna a casa in tutta fretta c’è un Biscione che ti aspetta» fu il primo, fortunato slogan delle sue televisione – ben più profondamente del suo uomo in politica, Bettino Craxi. Trump è diverso. È un outsider. È un uomo molto famoso, ma non fa parte dell’establishment (che a dire il vero in Italia aveva rifiutato anche Berlusconi). È stato un intrattenitore tv, ma non ha mai posseduto una tv. È del tutto impreparato al ruolo di presidente. Ma gli americani – un popolo irrequieto, ottimista, ribelle, imprevedibile – si sono spesso mostrati nella storia capaci di tutto. Nel bene e nel male. Sarà interessante capire quali saranno i candidati vicepresidenti. Trump sta cercando di trattare con la classe diri-
gente e soprattutto con i finanziatori tradizionali del partito repubblicano; e quindi potrebbe indicare un nome non sgradito a quel coacervo di Wall Street e neoevangelici, di petrolieri e clan politici che rappresenta storicamente l’establishment conservatore. Trump potrebbe puntare su un moderato come il governatore dell’Ohio Kesich, che gli porterebbe in dote uno Stato decisivo. Potrebbe mandare un segnale di pace ai latinos offrendo una chance al cubano Rubio (con cui però ha avuto scontri durissimi nella campagna per le primarie). Oppure potrebbe ricucire con la destra religiosa che lo considera un libertino newyorkese. Hillary di sicuro non coopterà Sanders. Ha il problema di coprirsi a sinistra, in una campagna in cui inevitabilmente si proporrà come l’alternativa ragionevole all’inaffidabile Trump, e quindi convergerà al centro. La partita è molto aperta. E l’allarme terrorismo che si respira qui in America è un’incognita da non sottovalutare: se gli islamici colpissero da qui a novembre, per Trump sarebbe – orribile da dirsi – un vantaggio.
rio della vita politica regionale (Ovpr) dell’Università di Losanna, indagine volta a scoprire le motivazioni del voto contrario dell’elettorato della Svizzera italiana alla nuova legge su Radio e tv, sottoposta al popolo per avallare il canone tv obbligatorio. Rileggendo i risultati del capitolo «Risorse della Rsi» (pag. 62, cap. 15) di quel documento, presentato dall’Ovpr in febbraio, ho avuto la conferma che da noi una forte maggioranza (addirittura il 79%) già allora era favorevole a trasmissioni radio e tv con costi più elevati dettati dalla qualità e dal servizio pubblico. Ma non è tutto: alla domanda precedente un 48% degli stessi utenti aveva affermato, chiaramente e in controtendenza, di ritenere la RSI incapace di gestire i soldi che riceve dalla SSR(solo il 12% degli interrogati respingeva la tesi)! È la prova che non sono i costi a creare insoddisfazione nell’utenza e sarebbe bastato prendere atto di quei due contrastanti esiti dell’indagine
dell’Uni losannese per capire che critiche, richieste di cambiamenti e ostilità verso la RSI sono imputabili piuttosto a incapacità di conduzione e di management. Dovrei fermarmi qui, ma mi troverei in mezzo al guado, perché incombe la prova finale, quella che vedrà il sovrano presto alle urne per affari di radiotelevisione. Ancora una volta si tratterà di canone, di soldi, di tasse improprie, anche se (o proprio perché?) sarà l’antipasto del dibattito sul servizio pubblico della SSR. Per questo lascio prevalere lo scetticismo e arrivo a pensare che l’operazione mediatica avviata dalla SSR fosse volutamente mirata a «sdoganare» soltanto i costi del fare radio e televisione, senza riguardare dubbi e riserve sulle capacità della RSI di gestire i mezzi che riceve. Prioritario era «mostrare ciò che ciò che si deve mostrare», arrivare al nuovo ostacolo elettorale accendendo i riflettori solo su chi spende e non su chi spande.
In&outlet di Aldo Cazzullo Agli americani piace il nuovo Mancavo da New York (foto) da quattro anni e l’ho trovata di uno strano umore. L’amministrazione De Blasio si è concentrata sui distretti periferici e, al di là o forse a causa dei mille cantieri aperti, ha lasciato Manhattan peggiore di quanto non fosse, con aree degradate (Canal Street non è mai stata un posto elegante, ma non avevo mai visto decine di senzatetto cercare un riparo per la sera). È possibile che le amministrazioni repubblicane di Giuliani e Bloomberg si fossero limitate al maquillage; e forse è salutare che i segni dell’immensa e crescente disparità sociale americana diventino visibili anche a un passo da Wall Street e dal nuovo complesso di edifici che sta sorgendo a Ground Zero, con la Freedom Tower che svetta come una sfida al terrorismo islamico. Resta il fatto che New York appare paradossalmente più inquieta oggi che nei giorni della grande crisi cominciata nel 2008 e ora superata, almeno nelle statistiche. L’America ha ripreso ad arricchirsi. Ma la ricchezza non è mai stata distribuita in modo tanto ineguale. Gestori di fondi che guadagnano un miliardo
all’anno e un ceto medio che si sta impoverendo. Anche questa inquietudine spiega una campagna elettorale affascinante ma irrazionale. La candidatura di Hillary Clinton è debolissima. Nel 2008 l’ex first lady fu sconfitta alle primarie da Obama. Stavolta è stata messa a dura prova da un candidato altamente improbabile, il socialista Sanders, che però ha saputo parlare ai giovani. E ora paradossalmente è il partito democra-
Zig-Zag di Ovidio Biffi Mostrare in modo da non mostrare Ora alla RSI dicono: «Siamo il servizio pubblico più trasparente». Perché hanno annunciato: questa trasmissione costa «tot», quest’altra costa il doppio, su su fino a quella che costa dieci volte di più. Come se nessuno finora sapesse che c’è la carne per il lesso, lo spezzatino e persino il filetto a tre cifre. Ma giudicare qualcosa dal solo prezzo, che sia carne, opera d’arte o trasmissione di radio o tv, non è operazione chiara e razionale. Lo confermano le domande di un mio amico di Cham (fedelissimo, mi fa la rassegna stampa svizzerotedesca, mi informa anche sulle fughe ciclistiche delle dirette tv e indovina a quanti chilometri dal traguardo acciuffano chi sta fuggendo). Telefona il giorno della campagna sui costi della RSI e chiede lumi sul costo dell’ora di talk politico («forse sono compresi i cachet degli ospiti», «forse li riversano ai partiti», «ciao core, dicono a Roma»); mi interroga su cosa sia quello S-Quot per «quotare» così tanto; e perchè mai,
dato che c’è in atto una «campagna risparmio», cuochi e gente di cambusa ora in tv costano il 20% in più rispetto prima. Alla fine gli prometto altre spiegazioni, pur sapendo che sarebbe stata impresa ardua (la conferma giunge qualche giorno dopo, quando un simpatico cuoco-libraio di Cugnasco se ne infischia dei costi e alleggerisce le casse della RSI di 58’000 franchi, vincendo a «Zerovero»). Inutile tediare con le cifre. Prima di tutto perché, a bocce quasi ferme, l’ufficialità dei costi delle nostre trasmissioni televisive e radiofoniche non ha sorpreso più di quel tanto (ah, se fosse stata pubblicata qualche suddivisione, del costo del lavoro o del valore aggiunto, «per dipendente»!). Poi perché alla fine dell’operazione quel che emerge già lo si sapeva: fare radio e televisione oggi ha un suo prezzo, e fare giornalismo radiotelevisivo costa molto più. Non a caso le trasmissioni – ammiraglia, oltre a reggere bene il confronto
con analoghe offerte svizzero-tedesche e romande, praticamente non hanno avuto critiche per i loro costi elevati. Ma non si può certo pretendere che ufficializzare i costi mediani basti per avere la prova che ora la RSI funzionerà all’insegna di una maggior trasparenza. Ricavo il mio scetticismo dal sociologo francese Pierre Bourdieu e dal suo sempre attuale Sulla televisione in cui già venti anni fa si scoprivano i trucchi del fare televisione: «(…) si occulta mostrando, mostrando altro da ciò che si dovrebbe mostrare se si facesse ciò che si è chiamati a fare, cioè informare; oppure anche mostrando ciò che si deve mostrare, ma in modo da non mostrarlo affatto, o da renderlo insignificante, o costruendolo in modo tale da attribuirgli un senso che non corrisponde in alcun modo alla realtà». Avevo annotato queste asserzioni al momento della presentazione del rapporto che Corsi e direzione RSI avevano commissionato all’Osservato-
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Cultura e Spettacoli La follia al femminile Nel suo nuovo film Paolo Virzì racconta l’amicizia tra due donne solidali nella fragilità
Il ritorno dei Radiohead Con A Moon Shaped Pool, la formazione inglese ritorna finalmente sulla scena musicale
Grandi nomi, grande qualità Loach, Almodovar, Dolan, Jarmusch… la lista dei nomi in concorso sulla Riviera francese è da brivido
Sguardi proibiti La Fondazione Rolla propone una serie di scatti rubati alle donne dal ceco Miroslav Tichy
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L’oro del vero sapere Antichi mondi Il piacere in cambio della conoscenza: il giovane e bell’Alcibiade arrivò ad offrirsi a Socrate
– in cambio desiderava unicamente poterlo ascoltare
Maria Bettetini «Allora, credendo che prendesse sul serio il fiore della mia giovinezza, pensai che questo fosse un tesoro e una fortuna straordinari, se con il concedere a Socrate i miei favori, potevo in cambio ascoltare tutto ciò che costui sapeva». Il giovane, brillante, bellissimo Alcibiade spera di poter diventare amante di Socrate e quindi di poter avere accesso alla sua sapienza. Nell’antica Grecia si riteneva equo lo scambio che vedeva il giovane concedersi all’uomo maturo, un bel corpo in cambio della sapienza. Nel Simposio di Platone, scritto tra il 380 e il 370 a.C., è riportato con tinte vivaci il tardivo ingresso di Alcibiade alla festa in onore del poeta tragico Agatone: la vista di Socrate sul triclinio accanto al padrone di casa lo porta a una scenata di gelosia, che ci fa comprendere molto della sessualità nel mondo occidentale antico. Prima però di seguire la vicenda del militare destinato a morte prematura, qui consapevole di dire la verità in quanto ubriaco, è opportuna qualche considerazione. Nel passato si è già detto di quanto fossero colorate Atene e Roma, e tutti i territori ad esse legati. Dove noi immaginiamo bianchi marmi e candide vesti, dobbiamo inve-
ce pensare templi colorati e abiti ai limiti del pacchiano. Le donne si truccavano senza timore di eccessi (soprattutto a Roma), si adornavano con pettinature complesse, vestivano volentieri con luccicanti stoffe orientali. Lo stesso si può dire degli uomini, a eccezione dei militari. Inoltre, sia Atene che Roma non erano composte solo di agorà, palazzi del governo, tribunali e sontuose ville patrizie. Queste potevano essere in centro città o nelle vicine campagne, ma la gran parte delle polis e delle civitates erano composte da estesi bassifondi, dove le strade diventavano strette e non lastricate, le case erano stamberghe, anche a più piani, quindi più facili al crollo. Molti sono i testi sull’argomento, uno storico è il libro di Catherine Salles, I bassifondi dell’antichità. Prostitute, ladri, schiavi, gladiatori: dietro lo scenario eroico del mondo classico (Bur 1984), mentre molto recente è quello di Maurizio Bettini, Dèi e uomini nella città. Antropologia, religione e cultura nella Roma antica (Carocci 2016). Erano tempi in cui era normale la compravendita di esseri umani (fossero prigionieri, trovatelli, vittime dei pirati), non solo per il sesso ma anche per avere o scambiare personale di servizio senza passare per le avide mani dei venditori pro-
fessionisti. Qui si davano anche tutte le possibili forme di servizi sessuali a pagamento, le prostitute vecchie smettevano la professione per diventare a loro volta tenutarie di altri mercati di ragazze e bambini, facilmente riconoscibili per l’insegna e i dipinti. A Roma fuori dai lupanari (dal nome dato alle prostitute, le «lupe») erano appese un paio di lucerne a più becchi, accanto a un’insegna con le tre Grazie, nude, affiancate da una quarta donna corpulenta, a simboleggiare le prostitute e la mezzana. L’insegna era completata dalla scritta su marmo Ad sorores IIII (Alle quattro sorelle). Al posto di questa, si potevano trovare dipinti molto espliciti, come quelli di alcune case di Pompei (vedi l’immagine qui sopra). All’entrata, appariscenti donne dai capelli azzurri abbordavano i clienti, invitandoli a entrare attraverso una tenda che dava su uno stretto corridoio illuminato da lucerne. Ai lati del corridoio si aprivano stanzette spartane, chiamate cubicoli, dove venivano consumati i rapporti. Al piano superiore si trovavano le stanze private delle prostitute. Alcuni lupanari disponevano di un salone, dove spesso venivano serviti cibi e bevande e dove le ragazze giravano nude sotto la supervisione di un lenone (protettore).
A Roma come ad Atene, la collocazione di questa sorta di taverne non deve far pensare necessariamente a uno stato di indigenza: da una parte elementi anche sfarzosi di lusso negli abiti, nei trucchi, nei tendaggi, attraevano i clienti; d’altra parte si trattava di luoghi dove poteva girare anche molto denaro. Non erano ricchi fanciulli e fanciulle, poteva diventarlo la singola prostituta se oggetto di una richiesta esclusiva da parte di un ricco cliente, e certo poteva diventarlo anche la tenutaria della «casa». Il mercato in ogni caso consentiva un facile guadagno, perché il valore dello straniero, soprattutto se femmina, era nullo. Frequenti i casi di neonati o bambini abbandonati: alla nascita, a Roma, il padre doveva compiere espressamente il gesto di prendere in braccio e innalzare la creatura, con questo volendo dire che non aveva intenzione di lasciarla per terra, quindi per strada. In Grecia, poi, la cittadinanza non era concessa a nessuno che non fosse nato in una polis da famiglia di provata origine autoctona; a Roma col tempo si rese più facile diventare cittadino romano ovunque si fosse nati nell’Impero, ma gli schiavi dovevano prima essere liberati, e poi, con lo stato di «liberti» potevano aspirare alla cittadinanza.
Una curiosità: per i Romani, l’amore omosessuale era definito «greco», e spesso si davano nomi greci agli schiavi proprio allo scopo di non infangare un nome latino. Per i Greci, invece, l’unica forma di rapporto omosessuale ritenuto degno del nome di amore era quello tra uomini liberi, in particolare tra adulti maturi e giovanetti, da cui siamo partiti. Sembra, a quel che dicono i più recenti studi, che in ogni caso si intendesse non un vero e proprio atto sessuale (dove la necessaria passività di uno dei due implicava una sottomissione, quindi un’umiliazione), ma il raggiungimento del piacere attraverso pratiche su cui non è il caso di intrattenersi. A questo, dunque, avrebbe mirato il bell’Alcibiade, non certo a farsi sottomettere da Socrate: lo scambio doveva essere equo, piacere per sapere. Per tutti ma non per Socrate, che ad Alcibiade aveva risposto: tu pensi di scambiare armi d’oro con armi di bronzo (citando un passo dell’Iliade). In sostanza, il tuo bel corpo non vale la mia sapienza. Con questo indicando la fatica necessaria e non sostituibile per raggiungere il vero sapere, un oro che brilla anche per noi, se queste poche righe hanno dissipato qualche pregiudizio su Atene, Roma, e i loro bassifondi.
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Cultura e Spettacoli
Una gioia dal sapore folle Cinema A colloquio con il regista italiano Paolo Virzì, che a Cannes (Quinzaine des Réalisateurs)
ha recentemente presentato La pazza gioia, con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti Blanche Greco È una commedia avventurosa e buffa, che ti tiene col fiato sospeso; un film disperato, ma anche un film d’amore e un trattato sull’amicizia femminile sull’orlo di una crisi di nervi, è La pazza gioia di Paolo Virzì; protagoniste: Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti che vediamo immortalate sui manifesti del film, (presentato alla «Quinzaine des Réalisateurs» al Festival di Cannes), mentre, in fuga su una decappottabile rossa, capelli al vento e sorrisi incerti, sono alla ricerca della felicità perduta e di quel gusto per la vita che forse entrambe hanno sognato e mai assaporato veramente. «Era una storia importante per me, quasi una confessione, visto che nel cinema ho affrontato spesso i problemi della psicopatologia, nascondendoli nei film come se fossero dei casi umani e invece erano dei casi clinici. Così stavolta sono partito da due donne che le istituzioni sanitarie hanno sancito essere “matte e pericolose”, per raccontare quel confine, alle volte labile, tra “sanità e insanità mentale”, talmente indistinguibile che forse non c’è, ma che fa paura, come la diversità, o gli stranieri». Ci ha detto Paolo Virzì ridendo, con la sua consueta allegria e con ironia, perché in lui, il dramma e la commedia, sono strettamente legati, tanto che lo «humour» è l’ingrediente principe anche di film più bui, come Il capitale umano. «Raccontare il dolore con il sorriso e a volte la risata per
molti è sconveniente, invece per me» – ha continuato Virzì – «è il modo più autentico e sincero per suscitare la vera compassione per coloro che sono emarginati ed esclusi». Ma veniamo alla trama: Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi), giovane signora di ottima famiglia, bei vestiti ed eloquio forbito e logorroico, mitomane che dice la verità, dalla personalità prepotente e ingombrante all’eccesso, è confinata nella comunità psicoterapeutica di Villa Biondi. Niente la interessa al di fuori di se stessa finché non arriva una paziente «nuova», Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti), donna fragile e smarrita, chiusa nelle sue tristezze e nei suoi pensieri ossessivi che diventa il centro delle sue attenzioni e anche del suo affetto.
«Io sto alla Toscana come Philip Roth sta a Newark o Mario Merola al quartiere Sanità» «Il disagio mentale, la tristezza, il dolore, la fatica di vivere, nella nostra società vengono viste spesso come cose che vanno stigmatizzate; che impongono di tenere questi pazienti lontani dagli sguardi, chiusi nei manicomi, o comunque in un “recinto” dove intrecciano panieri o fanno giardinaggio, perché smuovono una paura che abbiamo
Ramazzotti e Bruni Tedeschi in una scena che ricorda Thelma e Louise.
tutti dentro: quella del nostro “io matto”, con il quale invece dovremmo forse imparare a convivere». Virzì ha immaginato il personaggio di Donatella «come una di quelle donne disegnate da Egon Schiele, ossute e muscolose, dagli occhi grandi pieni di sofferenza e di mistero», infine vi ha aggiunto un ciuffo arruffato, le braccia piene di tatuaggi e un terribile segreto. La sceneggiatura, scritta da Virzì insieme a Francesca Archibugi, durante la preparazione del film li ha
portati in una sorta di pellegrinaggio: «Volevamo raccontare la realtà, anche se trasfigurata in commedia, perciò abbiamo conosciuto medici e pazienti; abbiamo letto storie vere, vicende tragiche; visitato strutture cliniche: da quelle dedicate solo alla custodia anche fisica del paziente a quelle più lungimiranti, con progetti di riabilitazione, sino a quei vivai della provincia pistoiese che accolgono lavoratori che vengono da strutture di recupero», ha ricordato Virzì, «Una realtà composita
nella quale ci sono anche esempi luminosi, che ci sono serviti per “immaginare” la nostra Villa Biondi, comunità psicoterapeutica, sulle colline pistoiesi, dove medici e infermieri, perseguono un ottimistico progetto di riabilitazione praticando anche la botanica. E abbiamo amato i nostri due personaggi, quelle due donne “sbagliate”, dalla vita per niente virtuosa, o edificante, delle quali abbiamo mostrato l’innocenza e il bisogno d’amore». L’inaspettata intesa che si stabilisce tra Beatrice e Donatella, vista di buon occhio dai terapeuti, sfocerà in una fuga strampalata e rocambolesca, che porterà le donne a pareggiare i conti con quel mondo «normale» che le ha rifiutate. Vagando on the road un po’ alla Thelma e Louise, seppur a modo loro, ritroveranno sentimenti, affetto e fiducia reciproca, nello scenario delle spiagge della Versilia e della provincia toscana, luoghi d’elezione del cinema di Paolo Virzì, che vi ha girato molti film, da La bella vita a Ovo sodo, passando per La prima cosa bella. «Io sto alla Toscana, come Philip Roth a Newark, o Mario Merola al quartiere Sanità!», ci ha confessato Virzì con un sorriso, arrossendo un poco«È il mio “teatrino”, il mio territorio romanzesco: le ville dei ricchi sono a Lucca; gli operai a Piombino; i tentativi di suicidio al Romito; le discoteche degne di Las Vegas a Forte dei Marmi e a Pietrasanta. È un territorio per me speciale: dove avrei potuto girare un film come questo, che alla fine individua nell’amore forse l’unica vera terapia?». Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Un’edizione in crescita Festival di Cannes Molti sono i pretendenti della Palma confluiti sulla Croisette per partecipare
alla più importante kermesse cinematografica del mondo
Fabio Fumagalli A qualche giorno dalla chiusura di un’edizione indubbiamente sopra la media, si tratterebbe di uno sconsiderato eccesso di azzardo abbandonarsi al tradizionale «les jeux sont faits». Quando ancora non hanno superato il traguardo campioni come Xavier Dolan, Cristian Mungiu, Sean Penn, i Dardenne, Nicolas Winding Refn, Paul Verhoeven, Asghar Farhadi. Meglio, molto meglio, invitarvi a pazientare in attesa del bilancio, gustandovi le deliziose primizie che seguono. *** I, Daniel Blake, di Ken Loach
Il più grande fra i cineasti politici e sociali dopo il deludente Jimmy’s Hall di un anno fa l’aveva promesso: sarebbe stato il suo ultimo film. C’è voluto I, Daniel Blake perché cambiasse idea. Un film disperato, non solo indignato. I protagonisti di tutti i film di Ken Loach lottano per ritrovarsi ai piedi di un muro eretto dal sistema sociale. Daniel Blake è uno di questi. Falegname sessantenne, deve ricorrere all’assistenza per una rendita d’invalidità. Poiché si tratta della prima volta, la trafila burocratica non gli è chiara; né l’uso ormai imprescindibile del computer. Scadono così i termini ed eccolo, in attesa dei tempi d’appello, a fingere di cercare un lavoro. Ma come potrà accettarlo, ammesso di trovarlo, quando è il suo medico stesso a proibirgli di lavorare? Daniel è animato da una fede totale nelle istituzioni: ma si accorgerà presto di essere travolto in un circolo vizioso. Ogni sua iniziativa non farà che creare nuovi ostacoli. Mai miserabile e fino all’ultimo possibilista, a tratti addirittura comico per la straordinaria umanità del protagonista, l’atto di accusa di Ken Loach nei confronti di un sistema progressivamente fallimentare al quale non rimane che liberarsi dei pesi morti è terribile. Così come è terribile lo sconforto nell’animo dell’autore, sollevato unicamente dai piccoli immensi gesti di solidarietà che nascono fra i più derelitti. Un film encomiabile ma di un’altra epoca: uno stile dal realismo datato? No, un grido a sostegno della dignità umana, contro un liberalismo sfrenato che ha ormai superato ogni ipocrisia. Un film dai contenuti così forti da offuscare ogni svolazzo dialettico. ***(*) Ma loute, di Bruno Dumont
Il caso Bruno Dumont è sempre più straordinario. Film intransigenti, tragi-
ci, rispettati ma non proprio appetibili al vasto pubblico come La vie de Jésus, L’humanité o Flandres ci avevano abituati a personaggi estremi, rassegnati alla condizione immutabile di quel Nord della Francia incastrati in paesaggi di pietra, in balia della furia del vento nelle zone desertiche o annichiliti dalla calura estiva. Un universo personale, austero, sconsolante e animato da una specie di fede istintiva laica. Tanto da indurre lo spettatore a pensare che il naturalismo serva a rivelare l’animalesca brutalità e la violenza ancestrale dei personaggi. Tutto, o quasi, è rimasto identico. I paesaggi sono composti con un senso affascinante dell’armonia, gli ambienti risultano «normali», eppure sono stranianti, così come personaggi e temi, eternamente eccentrici. Allo stesso tempo, dopo la svolta e il successo della mini-serie televisiva Le P’tit Quinquin, tutto è cambiato. Capovolgendosi clamorosamente. Sebbene l’amarezza d’animo sia ancora presente, il tono ha subito una trasformazione radicale. A prima vista risulta comico, a tratti esilarante, per poi diventare delirante e infine surreale. Una farsa che però non rinuncia ai sottintesi sociali e politici su cui poggiavano i drammi precedenti. E tutto ciò anche se Ma loute è un film d’epoca (siamo negli Anni Venti) in cui una famiglia di ricchi borghesi di Tourcoing trascorre l’estate in una villa assurda in stile egiziano (sic) ai bordi della Manica. È vero che ogni membro della famiglia è una caricatura ambulante, ma non per questo gratuita; molte delle derive attuali sono riconoscibili nei segni premonitori di una degenerazione incombente. Agli attori, immersi in una specie di euforico stato di grazia, a un Fabrice Luchini in pomposo delirio e a una Valeria Bruni Tedeschi dall’isteria trattenuta, questo permette ogni sorta di fantasia e atteggiamento – e questo restando in linea con la geniale atmosfera sopra le righe che attraversa tutto il film. Vi sono continui ricorsi agli slapstick (grazie alle gag da cinema muto i due investigatori del film diventano emuli di Stanlio e Ollio), un uso parodistico dei suoni alla Jacques Tati, nonché sequenze burlesque e gore, fantastiche e visionarie, con tanto di riflessi felliniani e bergmaniani. Certo, tutti autori che non avrebbero fatto ricorso al cannibalismo della famiglia della porta accanto (composta da pescatori di cozze) per riflettere sul crescente baratro fra miseria e agiatezza estrema.
Un intenso momento di I, Daniel Blake, di Ken Loach.
Oggi, però, moralisti si può essere in tanti modi. ***(*) Paterson, di Jim Jarmusch
Non lo dimenticherete tanto facilmente questo Paterson, che guida il bus dell’omonima cittadina del New Jersey. Peraltro nota per aver dato i natali a Lou, dei mitici comici Abbott e Costello. Oltre che a uno scrittore come Allen Ginsberg; e a un altro poeta, William Carlos Williams, passato alla storia per la sua arte di «rendere straordinario l’ordinario: grazie alla semplicità e alla discrezione del proprio immaginario». Se il nuovo film di Jarmusch rimarrà fra i suoi più significativi è proprio perché riesce, nella sua infinita delicatezza, a ricreare in immagini questo concetto. I suoi due adorabili protagonisti, Laura (l’iraniana Golshifteh Farahani, in incantato stato di grazia) e suo marito Paterson (Adam Driver), si svegliano ogni mattina alle 6 per raccontarsi i sogni. Prima che lui esca, sempre seguendo un immutabile cammino, a guidare il suo bus. La monotonia assoluta? Per niente, poiché in ogni minuto di pausa Paterson annota in versi, sul suo taccuino, i dettagli minimi di ciò che gli si presenta innanzi. Mentre Laura prepara pasticcini, ri-
gorosamente in bianco e nero, come il cinema che non esiste più, Paterson discute di jazz e Iggy Pop con il proprietario del pub. E rientra dalla moglie con un bacio affinché lei gli ripeta quanto delizioso sia il suo gusto leggero di birra. Tutto così gracile da farci temere il peggio. Ma i versi leggeri del taccuino si sovrappongono sullo schermo alle immagini normali e pulite della cittadina. C’è un incontro delizioso con una ragazzina che Paterson scopre autrice di versi ancora più adeguati dei suoi; e un finale formidabile nella sua economia di mezzi. Con tanto di turista giapponese, anche lui alla ricerca degli angoli prediletti da William Carlos Williams. Sarà lui a fornire il miracolo minimalista come uno dei rari antidoti all’agitazione fracassona che ci sta attorno. **Julieta, di Pedro Almodóvar
Il grande spagnolo ritorna ancora a Cannes, nella speranza della Palma d’Oro sfuggita al meraviglioso Tutto su mia madre (a favore di Rosetta dei Dardenne), fra i pochi allori che ancora gli mancano. L’operazione non essendo riuscita con Gli amanti passeggeri (2013), deludente incursione nella commedia surreale, ecco Almodovar ritornare al
prediletto melodramma. Gli ingredienti tornano al loro posto; ma solo quelli. Adattando tre novelle della scrittrice canadese Alice Munro, ritrova i suoi temi di sempre: un rapporto sofferto improvvisamente spezzato tra madre e figlia, il complesso di colpa, il lutto, la famiglia. In perfetta padronanza, Almodovar vi aggiunge manciate di mistero; e un pizzico di thriller, un po’ tanto esplicitamente preso in prestito dal solito Hitchcock. Poco male. Se non fosse che da un maestro della provocazione barocca ci si poteva attendere qualcosa in più. Non l’energia folle degli anni della movida – che un cineasta di 66 anni ha il diritto di rifiutare – ma anche la trascendenza delle immagini, delle coreografie, dei colori o delle musiche che spedivano personaggi, e spettatori, in una dimensione incantata. Qui si arrischia una certa indifferenza. E ancora…: ****Juste la fin du monde, di Xavier Dolan; ***Loving, di Jeff Nichols; ***Toni Erdman, di Maren Ade; ***Ma’ Rosa di Brillante Mendoza; **(*)Sieranevada di Cristi Puiu; **American Honey, di Andrea Arnold; *Personal Shopper, di Olivier Assayas
Piero Zanotto, grazia e passione In memoriam Per decenni apprezzato collaboratore di «Azione», è mancato la settimana scorsa all’età di 86 anni
uno degli ultimi veneziani doc, Piero Zanotto, eternamente innamorato della sua città Simona Sala Ce l’ha raccontata per decenni, la sua Venezia, visitando mostre, parlando con operatori culturali, segnalandoci curiosità e incursioni aliene in città. Per «Azione» ha visitato i controversi cantieri del Mose, ha seguito le gesta dei separatisti veneti, ha incontrato gli attori di Beautiful, ma ha anche seguito la Mostra del cinema così come le attività del Centro culturale svizzero e tenuto d’occhio le isole della Laguna. Poi, c’era Pinocchio, la sua grande passione, quell’affetto alla fine quasi umano, che lo portò a collezionare rappresentazioni e interpretazioni collodiane da tutto il mondo. E ancora, la toponomastica, appassionante al punto da portare Za-
«Veneziani gran signori», recita un celebre proverbio – Piero Zanotto era uno di loro.
notto (con la collaborazione di Paolo Piffarerio) a realizzare la pregiata serie dei Nizioleti, tavole illustrate in cui al ritmo di una per pagina, si racconta l’origine dei nomi di calli, rughe e ponti veneziani. L’occhio attento, che ne faceva un critico cinematografico apprezzato (dal 1977 al 1986 fu direttore del Trento Film Festival) aggiunto all’innegabile perseveranza, portarono negli anni Zanotto ad occuparsi anche di illustrazione infantile o comica, in particolare a Sarmede e Marostica. Poi c’erano i numerosi aneddoti, mai volgari ma sempre curiosi, raccontati di volta in volta a chi di passaggio a Venezia si prendeva la briga di chiamarlo per un saluto o un piatto
di polenta al nero di seppia (che egli amava molto). In quelle occasioni Zanotto ricordava una lontana intervista a Vittorio De Sica in una stanzetta del prestigioso hotel Danieli o la mitica cucina lagunare dell’ostessa Tinta, affettuosamente chiamata così dagli amici del marito, il più celebre Tinto Brass. Oppure ecco che saltava fuori un suo ritratto realizzato anni or sono niente meno che da un altro suo grande amico, Hugo Pratt. Venezia di colpo è diventata un po’ più lontana, ora che una delle sue voci più autentiche si è spenta per sempre. E sarà difficile sostituirla, anche perché, come denunciava sempre Piero, il vero Veneziano è destinato ad estinguersi, sacrificato sull’altare del turismo.
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Cultura e Spettacoli
La realtà supera (sempre) la fantasia Basler Messe Basilea non entusiasma solamente gli adepti delle grandi mostre e degli eventi culturali di stampo
classico, ma ha buone probabilità di diventare una mecca del fantasy Davide Canavesi Alcune settimane or sono a Basilea ha avuto luogo Fantasy Basel: The Swiss Comic Con. Si tratta della seconda edizione della fiera dedicata al mondo geek e vuole essere una delle maggiori vetrine svizzere dedicate a questo argomento. Una tre giorni in cui albi a fumetti, film, serie tv, videogiochi, artisti indipendenti, cosplayer e molto altro l’hanno fatta da padrone.
Il mondo del fantasy è popolato da gente molto diversa, dal geek al doppiatore, passando per il creatore di games Migliaia sono state le persone che si sono riversate nella Basler Messe per ascoltare i vari ospiti VIP, per sfoggiare le proprie creazioni, per cercare qualche nuovo gadget o per semplice curiosità. Tuttavia, prima di addentrarci in questo universo, sarà meglio chiarire qualche termine usato dai visitatori. Non c’è ovviamente bisogno di spiegare cosa siano fumetti, cinema e televisione, ma se parliamo di geek, comicon e cosplay magari qualche dubbio può sorgere. Per prima cosa il termine geek viene solitamente usato per definire le persone fanatiche di una serie televisiva, di un videogioco, di una serie di libri e via dicendo. Si può essere geek di
La locandina ufficiale di Fantasy Basel, andato in scena all’inizio di maggio.
Harry Potter, del Trono di Spade, di giochi d’avventura eccetera. Una comicon invece è semplicemente una fiera (contrazione di comic convention in inglese) proprio come quella organizzata nella città renana. Per finire il cosplay è la pratica di indossare un costume ispirato al personaggio di un mondo fittizio. A differenza dei costumi di carnevale però il cosplay è un argomento trattato con estrema serietà e perizia dai suoi fautori. Si tratta di un mondo contraddistinto da grandi talenti, dedizione senza pari e grande cameratismo tra coloro che lo praticano. Quest’anno la fiera ha proposto
un nutrito cartellone di ospiti del calibro di Kevin Sussman (che interpreta Stuart Bloom nella popolarissima serie televisiva The Big Bang Theory) e Kristian Nairn (Hodor nella serie Il Trono di Spade) oltre che a giocatori professionisti, cosplayer, fumettisti e molti altri. Di particolare interesse per gli italofoni la presenza di Michele Gammino, doppiatore italiano di attori molto conosciuti quali Harrison Ford, Jack Nicholson e Steven Segal. Gammino ha partecipato alla fiera nella cornice di una mostra di oggetti tratti dai film di Indiana Jones, serie che gli sta particolarmente a cuore. Le confe-
renze tenute dai vari VIP sono state frequentatissime. I visitatori hanno avuto l’occasione di conoscere un po’ meglio le persone che si nascondono dietro ai personaggi. In questo modo abbiamo scoperto che Sussman è molto simile allo sfortunato proprietario del negozio di fumetti di Big Bang Theory e che Nairn sa dire più di una sola parola. Ma è stato il pubblico stesso che, grazie alla sua grande passione, ha trovato il proprio posto al centro dell’attenzione accanto ai personaggi famosi. Cosplay elaborati e fantasiosi hanno sfilato ininterrottamente per tre giorni: alcuni arrivavano dalla Svizzera ita-
liana, come i ragazzi di Ghostbusters Ticino, o dalla vicina penisola, come il gruppo Marvel Cosplay Italia. Altri visitatori invece hanno preferito i videogiochi, cimentandosi in tornei molto competitivi su computer o più rilassati sulle console casalinghe di Nintendo. Molto particolare la parte della fiera dedicata allo stile steampunk e a quello medioevale, dove si respirava un’aria d’altri tempi tra caffè a tema e degustazioni d’idromele svizzero. Degna di una visita anche la sezione dedicata agli sviluppatori di videogiochi svizzeri riuniti sotto l’associazione SGDA. In particolare abbiamo incontrato il team ticinese di Stelex Software il quale ha in cantiere ben due titoli: uno basato sull’universo descritto nel libro Le memorie di Helewen dello scrittore elvetico Sebastiano B. Brocchi, mentre l’altro è un’avventura dalle tinte horror. Si è vista anche molta innovazione tecnologica come ad esempio da parte del team friburghese di Oniroforge che sta lavorando su un gioco che sfrutta visori per la realtà virtuale. Lo slogan della fiera «the universe is the limit» (l’universo è il limite) è decisamente azzeccato. L’evento ha saputo davvero racchiudere in un solo luogo gli infiniti mondi della fantasia, siano essi ambientati nello spazio profondo, in lande fantastiche, in lontani passati o in improbabili futuri. Una cosa è certa, il popolo geek è vastissimo in Svizzera e l’incredibile energia dei partecipanti ha saputo contagiare tutti. Un’esperienza che ci sentiamo di raccomandare. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Radiohead, boccata d’ossigeno
Preparatevi per l’estate in tutta bellezza
Musica Il nuovo CD, nonostante le attese
e l’accoglienza, presenta tratti soporiferi
Non si può negare che, a ben cinque anni dall’ultimo album, molti appassionati di musica alternativa anglosassone avvertissero un certo senso di smarrimento davanti al silenzio discografico dei Radiohead, e al «vuoto emozionale» che, secondo molti, esso ha lasciato sulla scena internazionale. Del resto, ciò che più ha garantito alla formazione inglese il successo planetario è stata la sua capacità unica di creare atmosfere non solo ossessive e sottilmente inquietanti, ma ricche di suadenti risvolti onirici – in un amalgama che non manca mai di trasportare l’ascoltatore in un’altra dimensione. In tal senso, non è difficile immaginare come, nei primi anni 90 – periodo in cui la scena musicale inglese era dominata dagli arrangiamenti ammiccanti e a volte esageratamente caricaturali del britpop più commerciale – le suggestioni rarefatte e tese intessute da Thom Yorke e compagni abbiano davvero costituito un piccolo «terremoto» nell’ambito pop-rock; tanto che, dopo l’esordio di Pablo Honey (1993), il grande successo è arrivato già nel 1997 con il terzo album, il pluripremiato Ok Computer, comprendente brani destinati a divenire veri e propri classici, come l’inquietante Karma Police e lo struggente No Surprises. A distanza di quasi vent’anni da quel folgorante trionfo, la grande capacità dei Radiohead di suscitare reazioni emotive immediate quanto coinvolgenti si ritrova anche in questo nuovo A Moon Shaped Pool, per il momento disponibile al pubblico soltanto via web sotto forma di file mp3 (la pubblicazione su CD è prevista per giugno). E va detto che lo sforzo del download digitale è giustificato dal valore dell’opera in questione, senz’altro definibile come uno dei migliori album realizzati dalla band negli ultimi anni: ciò è principalmente dovuto al fatto che la fine capacità di sintesi stilistica in cui i Radiohead sono da sempre maestri brilla con particolare vigore lungo le undici tracce del disco, soprattutto in quanto Yorke e i suoi riescono qui a riproporre le suggestioni da sempre a loro care – senza, tuttavia, sfociare in una sperimentazione per certi versi un po’ ostica, come accaduto in alcuni recenti lavori della formazione. Così, la traccia di apertura di quest’album, Burn the Witch, tende a trarre in inganno l’ascoltatore, presentandosi come una riproposizione forse non troppo originale di melodie e arrangiamenti già sperimentati più volte nei primi dischi del gruppo (si veda un pezzo vintage come il bel Street Spi-
rit (Fade Out), del ‘95); tuttavia, per quanto apparentemente già sentito, il brano presenta una cadenza ossessiva quasi orwelliana – che, resa ancora più soverchiante dai vocals strascicati di Yorke, ha l’effetto di procurare immediata dipendenza nell’ascoltatore, come del resto da sempre accade con i brani più espressivi e rappresentativi della spietata e opprimente visione del mondo dei Radiohead. La situazione cambia con il secondo brano della tracklist, ovvero il lento Daydreaming, una sorta di dolorosa e inquietante riflessione intimista a base di angoscianti effetti e campionamenti elettronici, conditi da quella particolare ritmica quasi «da nenia» nella quale la band dell’Oxfordshire da sempre eccelle; più ammiccanti alla forma canzone vera e propria sono invece l’eccellente Decks Dark – ballata delicata e malinconica, nella migliore tradizione dell’indie rock anni 90 – e l’ipnotico Identikit, che mostra il lato più «rabbioso» e teso della poetica dei Radiohead. Brani come Present Tense e The Numbers rappresentano poi una felice variazione sul tema, offrendo all’ascoltatore un ritmo più sostenuto e variato – e perfino, nel caso di The Numbers, un accompagnamento orchestrale a base di archi, che segue con grazia gli strazianti vocalizzi di Thom Yorke (come accade anche nel toccante Glass Eyes). Purtroppo, il passato sembra però riprendere il sopravvento con Ful Stop, in cui ritroviamo la tendenza mai sopita dei Radiohead a lasciarsi catturare da lenti estremamente stiracchiati ed enfatici, che alla lunga assumono la cadenza di vere e proprie litanie; il che ci porta a dover constatare come quest’album non sia, ahimè, immune alla problematica che ha caratterizzato gli ultimi lavori del gruppo, ovvero una certa, inevitabile ripetitività stilistica, che tende a rendere l’abituale andamento «strascicato» delle melodie e delle soluzioni ritmiche a tratti soporifero: lo si avverte in pezzi pur intriganti, ma un po’ risaputi, quali Desert Island Disk e il coinvolgente ma lamentoso True Love Waits. Tuttavia, c’è da scommettere che i fan più affezionati dei Radiohead riterranno questo un punto di forza dell’album, proprio in virtù delle suggestioni particolarmente vivide che il disco ha la capacità di trasmettere; tanto che, sebbene a tutt’oggi la band ancora non accenni a esplorare nuovi lidi artistici, la professionalità e maestria mostrate da A Moon Shaped Pool rappresentano comunque una sana boccata d’aria fresca nel mezzo di tanta musica artificiosa e «senz’anima» dei giorni nostri.
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Leggermente paranoico: A Moon shaped Pool dei Radiohead.
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Benedicta Froelich
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Cultura e Spettacoli
Miroslav Tichy, ladro di erotismo e desiderio Fotografia Alla Fondazione Rolla di Bruzella fino al 28 agosto sono esposte le fotografie, spesso rubate,
di un artista ceco vissuto ai margini della società, attivo tra il 1960 e il 1985 Gian Franco Ragno La domanda, per il largo pubblico, è una sola: chi è Miroslav Tichy? Forse una sorta di Emilio Brentani, protagonista di Senilità di Italo Svevo, nutrito dalla stessa cultura mitteleuropea, dallo stesso desiderio? Un autore sulla scorta di Walker Evans o Vivian Maier, perennemente attaccato alla propria macchina fotografica per produrre una profusione di immagini? Esposto da Harald Szeemann alla Biennale di Siviglia nel 2004 e l’anno successivo al Kunstmuseum di Zurigo e poi al Centre Pompidou di Parigi, sempre destando un certo scandalo e molta curiosità, si tratta forse di un altro dei tanti artisti «inventati» dai critici, accostabili all’art brut? Senza dubbio, Tichy – nato, vissuto e morto nella Moravia del sud dal 1926 al 2011 – è, a una primissima analisi, un voyeur. Emarginato dal regime comunista cecoslovacco, appare come un uomo con un cappotto lungo e una barba folta che si aggira nei parchi della Moravia, nascondendo un apparecchio fotografico artigianale per riprendere di sottecchi giovani donne, modelle inconsapevoli di un artista marginale. Il risultato – sviluppato la sera – è quello di un’immagine ricordo, insieme eco e frammento di quel desiderio erotico trasferito su fragile carta, un’illusione
di possesso alla quale, alcune volte, viene aggiunta una piccola decorazione in matita o penna a guisa di cornice. Tuttavia, ed è questa l’impressione che si ha nelle sale dell’Asilo di Bruzella, spazio espositivo della Fondazione Rolla, tutti questi istanti rapiti dalla vita degli altri – in un opaco bianco e nero – non hanno nulla di osceno o immorale. I contorni del corpo, le pose, le curve tanto bramate non sono delineate da confini netti, bensì da tratti sfumati, ammorbiditi e stemperati dalla resa sgranata dei suoi mezzi autoprodotti: tutto ciò ci restituisce un’immagine più accostabile all’indefinito mondo dei sogni che a quello reale. Ma oltre l’apparenza da clochard, a uno sguardo più approfondito, Tichy è tutt’altro che ingenuo o näif. Negli anni Quaranta, finché fu possibile, ebbe una formazione artistica di buon livello in una Praga ancora immersa nel vivo della cultura europea: un dato riscontrabile in mostra nella piccola sala libreria, in cui è possibile valutare alcuni piccoli disegni di tendenza postcubista dell’autore, dalla cultura visiva ben aggiornata allo spirito del tempo. Fu proprio l’avvento del comunismo nel secondo dopoguerra a obbligare gli artisti ad adottare uno stile più retorico e allineato che Tichy – consegnando la sua vita alla scomoda condizione di dissidente emarginato e, a periodi, in-
ternato – rifiutò, vivendo fino al crollo del muro di Berlino ai confini della società. In una prospettiva storica più ampia la fotografia è sempre stata attratta dal proibito sin dalla sua nascita, misurandosi sempre con il senso del pudore. Si può addirittura dire che contribuì, in modo decisivo a spostarne gradualmente i confini. Nell’Ottocento qualcuno si tutelava con un’ambientazione classicheggiante o mitologica, situazioni in cui il nudo era permesso a precise condizioni. Altri, fornendo immagini meno artistiche, dovevano frequentare per un certo periodo le galere e non più le sale di posa – colpevoli di aver immortalato qualcosa che non era concesso dalla moralità vigente. Tichy invece operò alla luce del sole, facendo esercizio di mimetismo e cercando di rubare laddove si presentasse l’occasione, un riflesso di libertà e fantasia erotica. Ma questo, come ricorda nel testo introduttivo Francesco Zanot, curatore di Camera Torino, è solo l’inizio: «voyeurismo e cleptomania sono l’innesco del suo intero processo artistico.» Dove e quando
Miroslav Tichy. Fondazione Rolla, Ex Asilo di Bruzella. Fino al 28 agosto 2016. www.rolla.info Donne: uno dei soggetti preferiti di Tichy, come dimostra questo Untitled. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Attenti a quel Flavio Sala
Gatsby forever Letteratura&cinema Il romanzo culto di Francis Scott Fitzgerald
ha avuto diverse trasposizioni cinematografiche
In scena La solita süpa è la bella
dimostrazione della vivacità del teatro dialettale
Nicola Mazzi «A me piacciono le feste grandi. Sono così intime. Nelle feste piccole, non c’è intimità». È in questa frase, pronunciata da Jordan Baker, che risiede una delle chiavi di lettura de Il grande Gatsby scritto dall’americano Francis Scott Fitzgerald (1925). Il romanzo ha avuto diverse trasposizioni cinematografiche. La prima (purtroppo andata persa) era addirittura del 1926, la seconda del 1949, ma è sulle ultime due che vogliamo concentrarci. Quella dell’inglese Jack Clayton con Robert Redford e Mia Farrow (1974) e l’ultima del regista australiano Baz Luhrmann con Leonardo Di Caprio e Carey Mulligan (2013). Due film molto diversi tra loro, ma che hanno un obiettivo comune: portare sullo schermo un personaggio complesso e affascinante come Jay Gatsby. Il ricco vicino di casa di Nick (l’io narrante) che organizza feste tutti i fine settimana e che ha un desiderio: far rivivere, a distanza di molti anni, l’amore tra lui e Daisy.
L’uomo Fitzgerald fu un assiduo frequentatore del mondo che narra nel suo romanzo Ed è proprio partendo dalla citazione iniziale di questo articolo, pronunciata dall’amica Jordan durante una delle feste di Gatsby, che inizia il confronto tra il romanzo e i due film. Fitzgerald descrive molto bene quel periodo. Lui, proveniente da una famiglia agiata, ha toccato con mano l’età del jazz. Insieme alla famosa moglie Zelda (alla quale si ispirò per creare Daisy) fu un assiduo frequentatore di quel mondo. E Jack Clayton, ma soprattutto lo sceneggiatore Francis Ford Coppola, hanno cercato di creare le stesse atmosfere narrate nel libro da Nick, nel film del 1974. I balli e la musica a cui partecipano Redford e Farrow sono esattamente quelli del romanzo. La ricostruzione è stata molto fedele allo spirito voluto da Fitzgerald. Più libero è invece stato il lavoro di Luhrmann. Il regista non ha utilizzato la musica dell’epoca, ma ha attinto dall’attualità con brani di Lana del Rey, Jay-Z e Beyoncé. Per citarne alcuni tra i più conosciuti. E ci ha aggiunto le luci. Tante luci e tanti colori smaglianti. Se infatti la pellicola del 1974,
Giorgio Thoeni
Una versione meno celebre del film con Alan Ladd e Betty Field. (Keystone)
sotto questo profilo, è molto delicata e giocata sui toni bianchi e i colori pastello, quella del 2013 è invece roboante. Le luci, i fuochi d’artificio e le paillettes sono il leitmotiv delle feste in casa Gatsby. A ciò si aggiunge un continuo movimento della macchina da presa, la quale, come se stesse ballando con loro, avvolge i protagonisti. Se Luhrmann ha bisogno di cambiare continuamente prospettiva all’interno di un flusso di movimenti (e così facendo si mostra allo spettatore), Clayton è molto più classico e diventa quasi trasparente a vantaggio dei personaggi. Il risultato, tuttavia, non è quello che ci si potrebbe attendere. La frase di Jordan, che abbiamo riportato all’inizio e che sicuramente è una delle caratteristiche principali di Jay Gatsby, si concretizza in modo più efficace nell’assordante circo di Lurhmann; regista, non dimentichiamolo, di quella baraonda musicale che è Moulin Rouge. In mezzo a questo eccesso c’è lui: Gatsby-Di Caprio. Estraneo alle feste e solo con il suo desiderio d’amore non corrisposto. Il Gatsby-Redford, invece, pur solitario è molto più integrato in quel mondo e partecipe del suo universo. Un secondo momento chiave del libro è l’agognato incontro tra Gatsby e Daisy. Qui, nel confronto tra i due film, i ruoli si invertono e Luhrmann, il regista di Romeo+Giulietta, a sorpresa, rimane più fedele all’originale. Infatti Redford, nella sua serafica e impassibile recitazione, attende nella casa di Nick l’arrivo di Farrow. Per contro Di Caprio non ce la fa. E se ne va pochi minuti prima dell’arrivo di Daisy,
per poi ritornare subito dopo (come descritto da Fitzgerald). «Gatsby, mortalmente pallido, con le mani tuffate come pesi nelle tasche della giacca, era ritto in una pozza d’acqua e mi fissava tragicamente». Esattamente quello che ha messo in scena il regista australiano. Leonardo Di Caprio, in una delle scene più belle del film, è spaesato, nervoso, agitato e bagnato: in altre parole innamorato. Il classico primo appuntamento con la sua amata. L’umanità di Gatsby, resa molto bene dalla recitazione di Di Caprio, emerge in tutta la sua fragilità e solitudine. Sentimenti che invece sembrano essere assenti nella recitazione monocorde di Redford. Non basta imperlare di sudore una fronte per rendere il personaggio più verosimile. Alla fine Daisy sceglie Tom e Gatsby resta solo. Come era prevedibile e giusto. Solo Nick gli rimane vicino e riesce a dimostrargli amicizia: «Sono un branco di porci» grida attraverso il prato. «Tu da solo vali più di tutti quanti messi insieme». Il grande Gatsby è un libro di grande attualità. La sua delicata presenza, ma anche la sua tenacia nel guardare il futuro, malgrado il peso del passato, si avvertono ancora oggi, 90 anni più tardi. E leggendo la frase conclusiva del romanzo ce ne rendiamo perfettamente conto: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato». Ed è emblematico e anche ironico – in questo gioco col tempo – che Gatsby non sia mai riuscito a invecchiare, pur chiamando tutti «vecchio mio».
Ma chi ha detto che la commedia dialettale ha fatto il suo tempo? Recentemente abbiamo assistito a La solita süpa della Compagnia Flavio Sala, uno spettacolo scritto dal giovane Gionas Caldelari che ha debuttato i primi di aprile a Mendrisio con repliche a Faido, a Manno e a Minusio, dove ha concluso una piccola tournée registrando ovunque il «tutto esaurito». Un’esperienza che merita alcune riflessioni. Innanzitutto considerando gli ingredienti che decretano il successo e che c’erano tutti. A cominciare dal capocomico. Flavio Sala ha dalla sua indubbiamente il talento, ma soprattutto una popolarità conquistata con il personaggio di Roberto Bussenghi dei Frontaliers, la fortunata serie radiofonica che è poi passata al video e successivamente al cinema, una pellicola che nel 2011 è diventata il fenomeno dell’anno richiamando ben 18’000 spettatori. A ciò va aggiunto che la neonata compagnia, al suo esordio vero e proprio, nella distribuzione ha inserito protagonisti del glorioso teatro dialettale radiotelevisivo, come le amatissime Sandra Zanchi e Leonia Rezzonico a cui si aggiunge Orio Valsangiacomo. Accanto a loro c’erano due «star» nostrane che non hanno bisogno di presentazioni come la sorprendente Rosy Nervi e un pacioccone Fabrizio Casati con tre altri attori di matrice più amatoriale come Beppe Franscella, John Rottoli e Moreno Bertazzi. Insomma, tutti elementi ideali per smuovere la curiosità, bonariamente
morbosa, di un pubblico popolare. Ma c’è anche un altro elemento da non sottovalutare. E chi va a teatro lo potrà confermare. Nel cosiddetto paese reale si avverte una gran voglia di intrattenimento intelligente, senza pretese, ironico e non volgare, con una prospettiva territoriale dove riconoscersi. Ovviamente deve essere ben fatto. A ciò si aggiunga anche la struttura della storia che deve avere una dinamica tradizionale e rassicurante, tipica del genere popolare. Se questi presupposti sono rispettati il successo è in gran parte garantito. Con La solita süpa si parte dall’interno di un negozio del villaggio, con una coppia dove lei coltiva hobby originali, una suocera invadente, un’anziana alternativa, mascotte del paese, un nipote impacciato, un ladro, un poliziotto e pochi altri. All’apertura del sipario la prima scena riesce a spiegare tutto quel che serve per creare aspettative, prima che la trama si complichi, fra numerose risate e applausi a scena aperta e una scenografia a pannelli disegnati con cambi a vista. Una catarsi liberatoria grazie alla regia che ha curato il ritmo della recitazione e in certi casi sfiora la dimensione professionale. Grazie soprattutto a Flavio Sala, mattatore che ha fatto man bassa di tempi comici, controscene e improvvisazioni di grandi maestri come Mazzarella o Govi. E che dire della straordinaria bravura di Sandra Zanchi e dell’energia recitativa di Leonia Rezzonico? Azzeccate. La solita süpa è molto digeribile e qualcosa ci dice che finirà in televisione. Palinsesto natalizio?
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Il simbolo della Costiera Amalfitana Novità Il Limone Costa d’Amalfi è un prodotto IGP rinomato in tutto il mondo.
Non trattato dopo la raccolta, è ora disponibile presso Migros Ticino La Costiera Amalfitana, situata a sud di Napoli, con il suo splendido litorale montuoso e le amene località a ridosso del mar Tirreno, è uno dei posti più suggestivi e scenografici non solo della Campania, ma di tutta l’Italia. Questa regione è anche un luogo privilegiato per la coltivazione dei limoni, dove vengono coltivati da secoli su terrazzamenti grazie all’ottimo soleggiamento e al clima clemente di cui può godere tutta la costa. Il limone Costa d’Amalfi – o Sfusato Amalfitano – è il simbolo per antonomasia del territorio e si fregia del marchio di qualità europeo IGP (Indicazione geografica protetta) che ne garantisce la provenienza e i criteri di raccolta e lavorazione. Questo limone dalla forma affusolata di medio-grosse dimensioni (non inferiore a 100 g), si distingue per le sue caratteristiche organolettiche uniche: moderatamente acido nel gusto, ha una polpa succosa e povera di semi, un profumo particolarmente pronunciato, un bel colore giallo chiaro e una buccia di medio spessore ricca di oli essenziali. Le piante sono coltivate sotto impalcature di legno di castagno e protette dalle intemperie con delle reti. La raccolta dei frutti è fatta a mano onde impedire che i limoni tocchino il terreno e avviene tra febbraio e ottobre. Oltre ad essere apprezzato per il suo elevato valore vitaminico e per gli infiniti usi culinari sia dolci che salati, il Limone Costa d’Amalfi è naturalmente l’ingrediente ideale per la produzione dei tipico limoncello. Limone Costa d’Amalfi IGP conf. da 2 pezzi Fr. 4.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros I Limoni Costa d’Amalfi IGP sono apprezzati in tutto il mondo.
Spaghetti con salsa di limone e zucchine Piatto principale per 4 persone Ingredienti 2 limoni (p.es. Amalfi) 1 zucchina di ca. 250 g 1 dl di brodo di verdura 1.5 dl di panna semigrassa sale, pepe 400 g di spaghetti Preparazione Tagliate in quattro la zucchina prima per il lungo, poi a cubetti di ca. 1 cm. Fate sobbollire nel brodo per ca. 5 minuti finché la zucchina è morbida. Unite la panna e frullate. Grattugiate finemente la scorza dei limoni e unite alla salsa. Condite con sale e pepe. Cuocete gli spaghetti al dente in abbondante acqua salata, scolate e fate sgocciolare bene. Mescolate gli spaghetti con la salsa e servite. Dimezzate i limoni e adagiateli accanto alla pasta. Condite con pepe.
I limoni sono coltivati sotto impalcature di legno di castagno.
Tempo di preparazione ca. 20 minuti
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Idee e acquisti per la settimana
Unione perfetta tra gusto e tradizione Attualità La piadina con squacquerone
e prosciutto crudo di Parma: un irresistibile classico della cucina romagnola La piadina
Specialità romagnola per eccellenza, la piadina risveglia in noi lo spirito delle vacanze balneari. Detta anche piè, è conosciuta fin dal Medioevo. Serve soprattutto per accompagnare prosciutto, formaggio e verdure. Si ritiene che il suo nome derivi da «piadena», che sta per ciotola larga, vaso piatto e basso. La piadina deve essere servita imperativamente morbida e pieghevole: per questo va riscaldata solo per pochissimo tempo – 1 minuto – in una teglia o padella ben calde. Piadine Artigianpiada IGP 600 g Fr. 4.40* invece di 5.50 20%
Prosciutto di Parma 24 mesi
Il Prosciutto di Parma DOP 24 mesi stagiona nelle cantine di Lesignano de’ Bagni, in provincia di Parma. Cosce di suini italiani attentamente selezionate, sale, passione per le più antiche tradizioni e l’aria delle colline del territorio sono gli unici ingredienti di questa specialità tanto apprezzata da tutti buongustai per il suo dolce e inconfondibile gusto. Coloranti, conservanti o additivi sono banditi. 100% naturale, è ideale per un’alimentazione sana ed equilibrata, ed è privo di glutine e lattosio. Prosciutto di Parma 24 mesi Ferrarini DOP 2 x 90 g Fr. 13.–* invece di 18.80 30%
Lo squacquerone di Romagna
Flavia Leuenberger
Formaggio molle prodotto con latte intero, è un prodotto DOP di tutto l’Appennino Romagnolo. Privo di conservanti, ha un sapore delicato e dolce, di latte acidulo, mentre la sua consistenza è cremosa. La crosta non esiste. È un formaggio dalle origini antiche. Antonio Mattioli, nel suo Vocabolario romagnolo italiano, ricorda che lo scrittore del I secolo d.C. Petronio Arbitro, nel suo noto romanzo Satyricon, menzionava un certo «caseum mollem», fomaggio morbido, simile a quello che oggi potrebbe essere lo squacquerone. *Azione dal 24 al 30.5
Squacquerone di Romagna Comellini DOP 280 g Fr. 3.60* invece di 5.20 30%
Festa di compleanno fortunata per … Attualità Assegnato il montepremi di 30’000 franchi, messo in palio per il concorso organizzato
in occasione del 30° del Centro S. Antonino
Lo scorso 26 aprile ha avuto luogo l’estrazione del grande concorso promosso nell’ambito dei festeggiamenti per il 30° anniversario del Centro S. Antonino svoltisi domenica 24 aprile. Un evento che ha convogliato migliaia di persone molte delle quali non hanno mancato di imbucare nella classica urna il tagliando del concorso che poteva essere ritagliato anche dalle pagine del nostro giornale. Il premio principale costituito da una sfavillante Skoda Fabia Monte Carlo del valore di 26’000 franchi è andato al signor Omar Massera di Locarno. Le 40 carte regalo Migros del valore di 100 franchi l’una se le sono aggiudicate visitatori che risiedono nelle località di: Giubiasco, Locarno, Cugnasco, Roveredo (GR), Bellinzona, Camorino, Castione, Riva S. Vitale, Cadenazzo, Origlio, S. Antonino, Massagno, Osogna, Novaggio, Lumino, Mezzovico,
S. Vittore, Gordola, Rivera, Quartino, Contone, Colla, Bedano, Caslano, Cadempino, Bironico, Grono, Sementina e Minusio. La festa continua…
La ricca agenda delle animazioni e delle esposizioni presso il Centro S. Antonino prevede per i prossimi mesi interessanti appuntamenti; fra questi segnaliamo i più imminenti: dal 20 al 25 giugno il classico «parco dei bambini» nell’area verde del centro, dal 30 giugno al 9 luglio giochi e curiosità dedicate ai Campionati Europei di calcio e dal 25 luglio al 6 agosto un’interessante mostra dedicata all’artigianato ticinese. Un centro commerciale, questo di S. Antonino, che nel corso degli anni ha sempre saputo rispondere con dinamismo ai bisogni della clientela e delle famiglie come luogo di shopping ma anche di svago.
A destra, in primo piano Ferdinando Massera in rappresentanza del figlio Omar vincitore della Skoda Fabia Monte Carlo, Simon Treichler (Responsabile Skoda Giubiasco – AMAG Ticino), Pino Parisi (Gerente di Migros S. Antonino) e, a sinistra, una rappresentanza dei commercianti del Centro S. Antonino. (Vincenzo Cammarata)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 maggio 2016 ¶ N. 21
Idee e acquisti per la settimana
Carne Migros: la scelta degli chef Gastronomia Il ritratto dei ristoranti: Ristorante Da Gina di Ascona
Se anche i ristoranti guardassero allo zodiaco, il Ristorante da Gina sarebbe certamente nato sotto un segno di fuoco. Gina e Christoph Eichenberger gestiscono da sette anni questo delizioso locale sul Viale Monte Verità di Ascona, puntando molto, sin dall’inizio, sulla griglia e sul forno a legna che offre al pubblico pizze speciali e tradizionali. Nonostante la giovane età, i proprietari sono da tempo nel settore e hanno portato ad Ascona le loro esperienze maturate all’estero e in Svizzera interna. Dalle 17 si apre con gli aperitivi, con golosi stuzzichini che accompagnano cocktail alla frutta, una buona selezione di birre e vini al bicchiere. I vini vengono selezionati sia per la qualità che per la loro storia. Di ogni cantina, i coniugi Eichenberger conoscono i proprietari e hanno visitato i vigneti. Sotto il pergolato dove si arrampica una colorata vite americana si trova «il pezzo forte» del ristorante, lo smokegrill, in funzione in estate e in inverno, usato per grigliare, affumicare o per le cotture di carne a fuoco lento. Golosità della casa sono il vitello affumicato con salsa tonnata, la bistecca alla fiorentina, i gamberoni marinati piccanti o la classica tagliata. La specialità del forno a legna è la Pizza Gina, con gamberoni e salmone. Il podio va però alle Spare Ribes con marinata BBQ del campione, soprattutto perchè il campione è di casa: Christoph è stato il vincitore del 13° campionato svizzero di grigliatori e il suo tocco pare essere proprio speciale! www.carnemigros.ch
Christoph Eichenberger, titolare e chef del Ristorante da Gina di Ascona, e alcune sue irresistibili proposte culinarie. (Flavia Leuenberger)
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DAL 24 MAGGIO AL 30 MAGGIO
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PUNTI
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Idee Idee ee acquisti acquisti per per la la settimana settimana
Un dispositivo con le informazioni salvavita Attualità Presso gli SportXX di S. Antonino e Serfontana è disponibile l’innovativo sistema d’emergenza Ice-Key.
Grazie ad un accordo tra Migros Ticino e «Ticino Soccorso 144», i servizi ambulanza della Svizzera Italiana sono equipaggiati con uno speciale smartphone per poter accedere alle informazioni sanitarie personali
In caso di situazioni di emergenza che richiedono l’intervento tempestivo dei soccorritori, ora esiste un dispositivo che può contribuire a facilitare i soccorsi: Ice-Key. Grazie ad uno speciale smartphone messo a disposizione da Migros Ticino, i soccorritori possono leggere immediatamente i dati personali e sanitari dell’utente e, di conseguenza, agire con piena cognizione di causa. L’Ice-Key è pensato per tutti coloro che nello sport o nella vita di tutti i giorni desiderano sentirsi più sicuri e tranquilli in caso di bisogno sanitario. Il sistema è ottenibile sotto forma di bracciale in diversi colori, come etichetta adesiva applicabile su vari materiali o nel formato carta di credito. Il funzionamento è semplice: l’utilizzatore scarica sul proprio smartphone o tablet l’apposita app gratuita per Ice-Key. Sulla stessa vengono caricate le informazioni cliniche, i risultati di analisi, le indicazioni su allergie e intolleranze, le terapie in corso e il grup-
po sanguigno; come pure informazioni su assicurazioni malattia, infortuni e recapiti telefonici delle persone da contattare in caso di emergenza. Un volta completati, i dati vengono trasferiti dal supporto utilizzato a uno dei dispositivi Ice-Key grazie alla tecnologia NFC (Near Field Communication). Ice-Key funziona senza batterie e permette inoltre di effettuare tramite smartphone chiamate di soccorso al 144 o inviare sms con le proprie coordinate GPS. Infine, segnaliamo che coloro che non fossero dotati di smartphone NFC, grazie ad uno speciale tablet possono farsi caricare le informazioni presso gli SportXX dal personale appositamente formato.
Stefano Scricciolo, responsabile di SportXX Migros Ticino (a destra) e Paolo Fasana, soccorritore professionale diplomato, testano il dispositivo salvavita Ice-Key tramite lo speciale Smartphone in dotazione ai servizi di soccorso ticinesi. (Vincenzo Cammarata) Annuncio pubblicitario
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Idee e acquisti per la settimana
Tortine di fragole Per 8 pezzi
D’attualità
Ingredienti 2 cucchiai di gelatina, ad es. di mele cotogne o ribes 8 fondi per tortine da ca. 14 g 500 g di fragole 350 g di quark alla panna 1 bustina di zucchero vanigliato 1 ½ cucchiaio di zucchero 3 rametti di menta
È ormai da un sacco di tempo che aspettiamo le fragole svizzere! Da noi, la regina delle bacche viene coltivata su circa 500 ettari di superficie. Quasi la metà del raccolto annuo proviene dalla Svizzera orientale, mentre il resto dall’Altopiano, dal Vallese e in minima parte dal Ticino. Quest’anno i produttori nazionali si aspettano un buon raccolto, che ci porterà in tavola molti di questi dolci e gustosi frutti.
Preparazione Scaldate la gelatina. Spalmate i fondi delle tortine con la gelatina, lasciate asciugare. Affettate le fragole. Mescolate il quark con lo zucchero vanigliato e lo zucchero e rimestate, finché ottenete una crema. Distribuite la crema nelle tortine. Guarnite con le fragole. Decorate con foglioline di menta strappate e servite. Tempo di preparazione ca. 30 minuti
Le fragole sono il primo frutto estivo svizzero.
Per persona ca. 5 g di proteine, 8 g di grassi, 21 g di carboidrati, 750 kJ/180 kcal
Le fragole si abbinano bene a qualche fogliolina di menta piperita fresca.
Nicola Richina è capo marketing del settore agrario per Migros Ticino.
Nicola Richina
Dal campo alla tavola
Il gusto leggermente acidulo del rabarbaro si combina perfettamente con quello dolce e fruttato della fragola.
Attualmente Migros Ticino propone fragole ticinesi e, fra qualche giorno, quelle del resto della Svizzera
L’alta stagione dura da metà maggio a fine giugno. Dopo di che ci sono ancora fragole svizzere da coltura tardiva fino ad ottobre. Cosa contraddistingue le fragole svizzere?
Siccome i trasporti sono più brevi, le fragole arrivano ai consumatori fresche e mature. I tragitti brevi consentono di coltivare varietà dalla polpa non troppo soda, che perciò sono più saporite. Quali varietà si comprano alla Migros?
Oltre alle comuni fragole, ci sono quelle Extra e quelle inserite nelle gamme Sélection e Bio. La raccolta delle fragole è laboriosa. Come avviene?
Tutt’oggi le fragole vengono raccolte una ad una a mano. Si richiede molta attenzione, perché sono sensibili alla pressione.
Lo sapevate?
Come si svolge una giornata di raccolta, dalle piantine alla vaschetta?
La raccolta sul campo inizia all’alba. I frutti maturi vengono riposti direttamente in vaschette e portate via da campi all’interno di casse. Una volta portate nel reparto imballaggio, le vaschette vengono subito refrigerate, tarate e sottoposte al controllo di qualità. A cosa bisogna fare attenzione durante il trasporto di questi delicati frutti?
Le fragole vanno trasportate con tutta la delicatezza possibile. Per conservarle nelle migliori condizioni, sono immesse nel ciclo del freddo fino al loro arrivo nelle filiali della Migros.
Suggerimento
Le fragole sono una buona fonte di acido folico e forniscono preziosi sali minerali. Con 60 milligrammi ogni 100 grammi di polpa, hanno un contenuto di vitamina C superiore ad arance e limoni. Questi frutti contengono pochissimi grassi e calorie e rappresentano perciò un cibo sano anche per le persone attente alla linea.
Lavate e pulite le fragole appena prima di prepararle. Non staccate il picciolo, altrimenti la fragola assorbe l’acqua perdendo sapore. Illustrazioni Olivia Aloisi
Signor Richina, finalmente sono arrivate le fragole nostrane e svizzere. Quanto dura la loro stagione?
www.migros.ch/frutta-verdura
Ricette di
www.saison.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 maggio 2016 ¶ N. 21
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Idee e acquisti per la settimana
Due anni fa Yves (47 anni) e Isabelle (44) Quartenoud sono passati all’agricoltura biologica. Il motivo per cui gli animali devono muoversi all’aperto è lampante. Pollo biologico
Aria fresca e programmi radio Nel Canton Friburgo, Yves Quartenoud alleva 10’000 polli all’anno per la Migros, seguendo le severissime direttive biologiche. Ed ogni giorno accende la radio… Testo Anne-Isabelle Aebli; Foto Mathieu Rod
Nel paesaggio collinare di Treyvaux (FR), un paesino ai margini della regione della Gruyère, pascolano tranquillamente i manzi. Guardando in lontananze, lungo i ripidi pendii che digradano nel verde dei prati punteggiati dal giallo dei denti di leone, saltano all’occhio alcune macchioline marroni: sono galline che razzolano e svolazzano all’aperto, scaldandosi le piume al sole di primavera, con un sottofondo musicale proveniente dalla radio. Dalla radio? «Proprio così, è un deterrente sonoro contro gli uccelli rapaci», spiega Yves Quartenoud. I suoni della radio dovrebbero proteggere le galline dagli attacchi provenienti dal cielo. Da due anni Yves Quartenoud è un contadino biologico, uno dei 27 produttori Bio-suisse certificati che rifornisce di pollame la Micarna e riceve un sostegno diretto da questa industria Migros. Gli esperti della Micarna lo consigliano sui metodi di allevamento e sull’applicazione delle direttive Bio. Quartenoud ha costruito quattro capannoni, circondati da altrettanti recinti con le reti mobili. «Ogni recinto deve misurare almeno mille metri quadrati. Ce ne vogliono tre, affinché le rotazioni di superficie rispettino le direttive biologiche. Ciò significa che attorno a ogni capannone devono esserci almeno 3000 metri quadrati a disposizione», calcola Quartenoud. Qui, in ogni pollaio trovano posto 500 tra galli e galline, mentre gli allevamenti di polli tradizionali sono molto più affollati. «La produzione bio è un po’ più faticosa, ma è innanzitutto una questione di organizzazione», spiega l’agricoltore. Sotto la tettoia del pollaio è stato ricavato un giardino d’inverno, dove i volatili possono comodamente razzolare quando i prati sono innevati. Racconta Quartenoud: «Ogni mattina
li nutriamo con chicchi di grano integrale. Dopodiché gli animali possono muoversi in libertà fino al calar delle tenebre, quando ricevono ancora del mangime completo che compro dallo stesso mulino biologico al quale consegno i miei cereali». Nel biologico con convinzione
Da Yves Quartenoud passano di continuo curiosi, attirati dalle galline che razzolano all’aperto e dal suo metodo di produzione. «Gli adepti del biologico sono pronti a pagare qualcosa di più per gli alimenti bio», osserva. D’accordo con sua moglie Isabelle e i loro tre figli, Yves Quartenoud ha chiuso con l’allevamento convenzionale dopo 20 anni, decidendo nel 2014 di convertirsi al biologico. «Mi sono convinto personalmente di dover evitare tutto quello che ha a che fare con i pesticidi». Da allora, la sua fattoria rifornisce Micarna con manzo da pascolo biologico, oltre che con 10’000 polli all’anno. È il numero massimo raggiungibile con i quattro pollai, se si vogliono rispettare i requisiti del marchio Migros-Bio. Il peso di riferimento dei polli si attesta sui due chilogrammi. «Siccome i nostri polli non crescono più di 27,5 grammi al giorno, il loro all’allevamento dura il doppio rispetto a quello convenzionale. Significa che restano in fattoria anche 80 giorni», indica Quartenoud. Nella comune produzione di pollame i giorni d’allevamento sono spesso solo 37, durante i quali gli animali raggiungono un peso perfino superiore. «La carne dei polli biologici non è solo compatta e ricca di fibre, ma anche particolarmente saporita», precisa Yves Quartenoud. «Però si secca anche più velocemente. Ecco perché bisogna cuocerla con attenzione». Il suo consiglio: «Cuocetela lentamente e a bassa temperatura».
Come responsabile del settore Ambiente & Benessere animale della Federazione delle Cooperative Migros, Bernhard Kammer è un grande esperto delle prescrizioni concernenti i marchi di qualità.
Bernhard Kammer
«Tutti questi contadini si impegnano per un maggior benessere degli animali» Signor Kammer, cosa hanno in comune i marchi Migros Bio e TerraSuisse?
La carne Migros-Bio e TerraSuisse arriva dalla Svizzera. Quella Migros-Bio giunge da contadini che gestiscono le loro aziende secondo le direttive di Bio Suisse; mentre nel caso di TerraSuisse i contadini producono secondo le linee IP-Suisse. Tutti questi contadini si impegnano per un maggior benessere degli animali. La Migros ha lanciato TerraSuisse nel 2008. Com’è cambiato nel frattempo questo marchio?
TerraSuisse si sviluppa costantemente. Alcuni cambiamenti importanti sono stati, ad esempio, l’introduzione di uno spazio sul quale i vitelli possono uscire o il divieto di usare certi antibiotici. Assieme ad un’alimentazione equilibrata con fieno e puro latte vaccino, questi provvedimenti sono stati importanti al fine di rafforzare sensibilmente la salute dei vitelli. Come viene accertata l’applicazione delle direttive in materia di protezione degli animali?
Nei programmi come quelli dei marchi Migros Bio e TerraSuisse, il rispetto delle direttive viene verificato regolarmente da organismi di controllo indipendenti. Invece, per la parte che non riguarda espressamente le etichette, i controlli sono di competenza delle autorità legislative. C’è un’organizzazione per i diritti degli animali che si batte affinché sulle confezioni della carne siano stampate le immagini delle condizio
ni d’allevamento. Cosa ne pensa?
Non lo riteniamo fattibile, anche per ragioni di spazio. D’altronde, i clienti si possono informare in ogni momento sul nostro sito Internet riguardo ai requisiti in vigore per la produzione dei prodotti dei marchi. Vi sono esposte con trasparenza le prescrizioni applicate. Inoltre, informiamo regolarmente con articoli e pubblicazioni, anche su «Azione». Come si impegnerà la Migros in futuro per aumentare il benessere degli animali in Svizzera?
In linea di massima continueremo ad impegnarci affinché un’alta percentuale di materie prime provenga da aziende agricole che garantiscono il benessere degli animali. Inoltre, sovvenzioniamo lavori di ricerca della facoltà di veterinaria dell’Università di Berna e dell’Istituto di ricerche di agricoltura biologica FiBL. Entrambi gli organismi studiano metodi atti a migliorare la salute dei giovani animali, come maialini e vitelli. La Migros promuove anche all’estero gli standard svizzeri per il benessere degli animali. Com’è la situazione?
Abbiamo raggiunto i primi traguardi di questo ambizioso progetto. La produzione all’estero di carne di pollo e tacchino è già stata allineata alle prescrizioni elvetiche. Grazie agli sforzi di molti partecipanti, continueremo a raggiungere altri traguardi fondamentali. Per esempio, nella produzione di latte di bufala. Intervista: Thomas Tobler
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Idee e acquisti per la settimana
TerraSuisse e Migros Bio
Grigliare in modo sostenibile
I marchi TerraSuisse e Migros-Bio propongono molti prodotti particolarmente adatti alle grigliate.
TerraSuisse Scaloppine di vitello per 100 g al prezzo del giorno Migros-Bio Cosce superiori di pollo per 100 g* Fr. 2.20
Migros Bio Entrecôte di manzo per 100 g al prezzo del giorno
Migros-Bio è sinonimo di un’agricoltura in sintonia con la natura. L’assortimento vanta oltre 1300 prodotti.
Il marchio TerraSuisse promuove un’agricoltura svizzera rispettosa della natura e degli animali e si attiene alla direttive IP-Suisse.
TerraSuisse Costoletta di vitello* per 100 g al prezzo del giorno
Parte di *Nelle maggiori filiali
Azione 20%
40%
Azione assortimento
1.90 invece di 3.20
Tutti i tipi di frutta secca, di noci o miscele di frutta secca e noci (prodotti Alnatura esclusi), per es. pinoli Migros Bio, 100 g, 5.80 invece di 7.30
30% 13.– invece di 18.80 Prosciutto crudo di Parma Ferrarini 24 mesi Italia, affettato in vaschetta da 2 x 90 g/180 g
Peperoni misti Spagna / Paesi Bassi, 500 g
Hit 14.90 Parmigiano Reggiano DOP in conf. da 700 g/800 g, a libero servizio, al kg
20% 1.40 invece di 1.80 Appenzeller surchoix per 100 g
35% 20%
20%
2.90 invece di 3.65
6.85 invece di 8.60
Minifiletti di pollo Optigal Svizzera, per 100 g
Carne secca dei Grigioni, affettata finemente Svizzera, 97 g
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli giĂ ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.5 AL 30.5.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
2.50 invece di 3.90 Pere Abate Fetel Sudafrica, al kg
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30% 11.80 invece di 16.90 Phalaenopsis, 2 steli in vaso da 12 cm, per es. di colore rosa, la pianta
Hit 13.50 Bouquet di rose Fairtrade lunghezza dello stelo 40 cm, in diversi colori, mazzo, 30 pezzi, per es. giallo, arancione e rosso
25%
25%
4.95 invece di 6.90
5.90 invece di 7.90
Ciliegie Italia, imballate, 500 g
Albicocche Spagna, sciolte, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.5 AL 30.5.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
20%
2.90 invece di 4.20
4.80 invece di 6.–
Pomodori a grappolo Ticino, sciolti, al kg
Mozzarella in panetto Alfredo in conf. da 2 2 x 300 g
20%
20%
1.75 invece di 2.20
22.40 invece di 28.10
Rucola Ticino, imballata, 125 g
Caseificio Canaria prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg
20% Azione assortimento Tutto l’assortimento di Piadine e Cascioni Artigianpiada per es. Piadina classica, in conf. da 600 g, 4.40 invece di 5.50
20% Azione assortimento Tutti i dessert Tradition per es. Crème Chocolat au lait, 175 g, 1.– invece di 1.30
20% Azione assortimento Tutti i cake o biscotti M-Classic per es. nidi alle nocciole, 360 g, 3.90 invece di 4.90
30%
40%
3.60 invece di 5.20
2.85 invece di 4.80
Squacquerone di Romagna in conf. da 280 g
Mezza panna UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
I nostri superprezzi. 25%
M-consiglia
5.40 invece di 7.20
GRIGLIATE VEGETARIANE Mentre le gustose bistecche di quorn al pepe cuociono sul fuoco, preparate un’insalata estiva croccante e aromatica, mescolando fette di avocado con rondelle di cipollotti, ravanelli e foglie di spinaci novelli. Il tutto condito con una spruzzata di limone. Da gustare possibilmente al sole. Tutti gli ingredienti sono in vendita alla Migros. La ricetta per l’insalata di spinaci e ravanelli al limone su www.saison.ch/ it/consigliamo.
Biberli d’Appenzello in conf. da 2 2 x 225 g
20% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. bistecca di quorn al pepe da grigliare, 2 x 200 g, 8.80 invece di 11.–
30% Cappelletti M-Classic in conf. da 3 per es. con funghi, 3 x 250 g, 9.– invece di 12.90
20% 5.40 invece di 6.80 Formentino Anna’s Best in conf. da 2 2 x 100 g
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30% Pizza Anna’s Best in conf. da 2 per es. al prosciutto, 2 x 395 g, 9.60 invece di 13.80
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20%
Azione assortimento
Branches ai cornflakes, Fruit Branches Mango Maracuja o Fruit Branches Raspberry Frey in conf. da 3 per es. ai cornflakes, 3 x 135 g, 6.45 invece di 8.10
Tutto l’assortimento aha! per es. Farmer Crunchy Corn Flakes, 156 g, 3.60
30%
40% 6.–
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 4 invece di 10.– o da 10, UTZ Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 per es. al latte finissimo in conf. da 10, 10 x 100 g, 4 x 150 g 14.– invece di 20.–
20% Zucchero fino cristallizzato Cristal o Migros Bio, 1 kg per es. Cristal, –.80 invece di 1.–
20% Azione assortimento Tutto l’assortimento Wasa per es. Original, 205 g, 1.35 invece di 1.70
30% Azione assortimento Tutti gli spalmabili alla frutta Extra Fit & Well per es. all’albicocca, 365 g, 1.45 invece di 2.10
20% 33% Spaghetti M-Classic in conf. da 3 per es. all’uovo, 3 x 750 g, 4.30 invece di 6.45
Azione assortimento Tutti gli aceti o condimenti Ponti per es. aceto balsamico di Modena, 50 cl, 3.40 invece di 4.25
20% 2.65 invece di 3.35 Olio di colza TerraSuisse 50 cl
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20% Azione assortimento Tutto l’assortimento El Mundo a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
Tutte le noci Party per es. noci miste tostate e salate, 200 g, 2.15 invece di 2.70
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Tutta la frutta o tutte le bacche surgelate per es. lamponi M-Classic, 500 g, 6.20 invece di 7.80
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20% Azione assortimento Tutto il gelato Coco Ice-Land per es. Coco & Caramelized Almonds, 170 ml, 2.– invece di 2.50
20% Azione assortimento Tutto l’assortimento di alimenti umidi Exelcat in bustina a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione
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20% Azione assortimento Tutti i detergenti Migros Plus a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
Tutto l’assortimento Mimare, per es. insalata di tonno Mexico, MSC, 250 g, 2.80 invece di 3.50 20%
Altre offerte. Pesce, carne e pollame Salametti di cervo, prodotti in Ticino, in conf. da 2 x 90 g, per 100 g, 3.05 invece di 3.85 20% Spiedini di gamberetti marinati al limone e al pepe, 4 pezzi, d’allevamento, Vietnam, per 100 g, 2.95 invece di 4.95 40% offerta valida dal 26.5 al 28.5.2016
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Fiori e piante
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Tutti i tipi di Coca-Cola in lattina, in conf. da 6, 6 x 33 cl, Classic o Zero, per es. Classic, 3.60 invece di 4.50 20%
Tutti i tipi di birra senz’alcol, per es. Feldschlösschen, 10 x 33 cl, 7.60 invece di 10.90 30% Chips e Snacketti Zweifel in conf. speciale, chips alla paprica da 90 g, chips al naturale da 100 g, Snacketti Paprika Shells da 75 g e Snacketti Bacon Strips da 75 g, 6.50 invece di 8.50 20%
Tutto l’assortimento Namaste India, per es. chutney di mango, 250 g, 3.30 Novità ** Caffè in chicchi Sélection, per es. Lungo Costa Rica, 250 g, 5.20 Novità *,**
Tutto l’assortimento di rasoi Gillette Venus (esclusi lame di ricambio, rasoi usa e getta e confezioni multiple), per es. Venus, il pezzo, 7.25 invece di 12.10 40% **
Bramata TerraSuisse, 500 g, 1.40 invece di 1.80 20%
Contenitore per patate fritte, di ceramica, 9.80 Hit
Rösti TerraSuisse, all’appenzellese o al burro, per es. rösti al burro, 400 g, 2.20 invece di 2.80 20%
Tutti i tipi di olio di colza M-Classic, per es. olio di colza svizzero, 1 l, 3.40 invece di 4.30 20% Gran Pavesi in conf. da 2, per es. sfoglie classiche, 2 x 190 g, 4.60 invece di 5.80 20%
Vaschette di alluminio n. 54 Tangan, 28 x 22 cm, 16 pezzi, 6.90 Hit Calze da donna Rohner in conf. da 3, per es. nere, numeri 35–38, 9.90 Hit ** Detersivo Total Color o Classic in confezioni speciali, Limited Edition, per es. Color, 7,5 kg, 24.10 invece di 48.20 50% Tutto l’assortimento di rasoi da uomo Gillette (esclusi lame di ricambio, rasoi usa e getta e confezioni multiple), per es. rasoio Pro Shield, il pezzo, 10.05 invece di 18.80 40% **
Tutto l’assortimento di cereali Actilife, per es. Crunchy Mix Fibre, 600 g, 5.– invece di 6.30 20% Tutti i tipi di pasta TerraSuisse, per es. tagliatelle Tradition, 500 g, 3.15 invece di 3.95 20%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 maggio 2016 ¶ N. 21
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 maggio 2016 ¶ N. 21
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Idee e acquisti per la settimana
20X Punti Cumulus su tutti i prodotti Léger
Léger
fino al 30 maggio
Leggero piacere quotidiano Consapevolezza delle calorie e buongusto si sposano a meraviglia con Léger. Rispetto ai prodotti convenzionali, i prodotti Léger contengono almeno il 30% in meno di grassi, calorie o carboidrati. Le indicazioni dettagliate si trovano su ogni confezione. L’assortimento include più
Léger Panna semigrassa UHT 500 ml Fr. 3.80 Léger French Dressing alle erbe 700 ml Fr. 2.80
di 90 articoli, tra cui numerosi latticini per una colazione leggera, un pranzo bilanciato oppure un delicato dessert. Chi segue un’alimentazione consapevole potrà gustarsi dolci come gelato o budino al cioccolato senza troppi rimorsi per la linea.
Con i prodotti Léger si preparano colazioni molto variate.
Léger Sciroppo di lamponi 75 cl Fr. 2.80
I bastoncini di formaggio Rustique nell’insalata sono a ridotto apporto calorico, così come il dressing e le chips.
Anche gli amanti di un’alimentazione equilibrata troveranno nell’assortimento Léger ciò che cercano.
Léger Rustique per 100 g Fr. 2.05 Nelle maggiori filiali
Léger Yogurt alle fragole 180 g Fr. –.60
Léger Flan Choco UTZ 4 x 125 g Fr. 1.95
Léger Chips Nature 75 g Fr. 1.80
Léger Gelato Vanille 1000 ml Fr. 6.30
Concorso: mostraci i tuoi
baffi di latte più belli.
Vinci premi per un valore complessivo
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VALFLORA: IL MEGLIO DEL LATTE SVIZZERO. Dato che ci sta tanto a cuore il latte svizzero, in occasione della Giornata del latte del 1° giugno 2016 Valflora cerca i più bei baffi di latte della Svizzera. Tra i vincitori saranno estratti a sorte premi del valore complessivo di fr. 7700.–. Immortala i tuoi baffi di latte insieme alla confezione di latte Valflora che preferisci e carica la foto sul nostro sito web. Il formulario d’iscrizione e le condizioni di partecipazione sono disponibili su www.migros.ch/baffi-di-latte. In bocca al lupo!
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Idee e acquisti per la settimana
Bischofszell
Ingredienti fruttati Con le composte della Bischofszell si possono preparare in poco tempo golosi e rinfrescanti dessert. Ma anche come snack fruttato, come ingrediente per piatti dolci o a colazione nello yogurt, ad esempio con granola o porridge, sono particolarmente indicate. Per la produzione delle composte Bischofszell viene utilizzata esclusivamente frutta coltivata in Svizzera.
Composta di albicocche, yogurt e granola sono gli ingredienti principali per un dessert fruttato e croccante.
Granola su composta di albicocche e yogurt Per ca. 10 porzioni di granola, ricetta per 2 müesli Preparazione Per la granola, tritate grossolanamente 100 g di mandorle e mescolatele con 50 g di sesamo, 300 g di fiocchi di 5 cereali e 0,5 dl di sciroppo d’acero in una padella antiaderente. Tostate la miscela a fuoco medio per ca. 8-10 minuti, finché assume un bel colore dorato. Versate la miscela su carta da forno e lasciatela raffreddare.
Tritate grossolanamente 75 g di cranberries e mescolateli con la miscela tostata. La granola, in un barattolo ermetico di vetro, si conserva per ca. 2 settimane. Per i 2 müesli, prendete 2 vasetti da ca. 3,5 dl e versatevi prima 200 g di composta di albicocche, poi 360 g di yogurt greco al naturale e completate con ca. 50 g di granola per vasetto.
*Nelle maggiori filiali Ricette di
www.saison.ch
Bischofszell Mousse di mele Braeburn 300 g* Fr. 2.50
Bischofszell composta di rabarbaro 310 g* Fr. 2.90
Bischofszell composta di albicocche 310 g* Fr. 3.–
Bischofszell composta di prugne 310 g* Fr. 2.90
L’M-Industria produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche le composte della Bischofszell.
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Idee e acquisti per la settimana
Qui l’amore è passato e passa dallo stomaco: la torta che hanno gustato nel 2009 al loro matrimonio nel bosco (foto piccola) piace sempre ancora a Marina e Stefan Ziltener.
Raccontaci la tua storia e vinci Anche tu hai trovato l’amore della vita grazie a un prodotto della Migros? Oppure con lui hai vissuto qualcosa di speciale, insolito o divertente? Condividi la tua storia con altri clienti e collaboratori della Migros sul sito Internet momenti-migros.ch e potrai vincere una delle dieci carte regalo Migros del valore di 50 franchi.
Funziona così Online: descrivi il tuo momento Migros sul sito momenti-migros.ch. Via social media: Condividi il tuo momento Migros su Twitter o Instagram. Basta caricare il testo, una foto o un video e pubblicarli con l’hashtag #MomentiMigros.
Noi firmiamo. Noi garantiamo
Una torta Migros per il matrimonio nel bosco La scorsa settimana, Marina (29 anni) e Stefan Ziltener (44) hanno festeggiato il settimo anniversario di matrimonio. Si erano detti sì il 16 maggio 2009, in mezzo al bosco. Un modo piuttosto insolito di scambiarsi le fedi, così sotto i rami e le foglie invece della navata di una chiesa. «Mi ero già sposato una volta, e la seconda volevo fare qualcosa di diverso,
non nel modo classico», dice Stefan Ziltener. E la sua fidanzata era entusiasta dell’idea di un matrimonio nel bosco. «Il nostro budget era molto modesto, non potevamo permetterci grandi lussi», racconta Marina Ziltener. Un collega ha procurato le salsicce, la nonna ha portato la minestra d’orzo e un amico parroco ha celebrato il matrimonio. Mancava solo la torta nuziale. La scelta
è stata facile. «Siamo andati alla Migros e abbiamo acquistato la nostra torta preferita, il cake Generoso.» La torta è stata tagliata su un tavolo di legno quando era ormai già diventato buio. Sette anni più tardi, la coppia si gusta ancora volentieri la sua torta nuziale. Ma nel frattempo il cake Generoso ha acquistato una nuova fan: Virginia, la figlia di due anni di Marina e Stefan.
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Cake sempre diversi È il compleanno dei vostri figli e non avete tempo per preparare una torta? Ecco il motivo per cui esistono le torte pronte di M-Classic. La gamma comprende i cake al limone, al cioccolato e marmorizzato, che con pochissimi accorgimenti si trasformano in un’invitante torta di compleanno. Il cake al limone, per esempio, si può dapprima ricoprire con una glassa di limone e successivamente rifinire con delle decorazioni per torte, dei limoni di marzapane e delle candele – ed ecco fatto! L’importante è guarnire la glassa quando è ancora morbida, affinché le decorazioni si possano fissare bene e non si formino crepe.
*Azione 20% su tutti i cakes e biscotti M-Classic fino al 30 maggio
Glassa al limone Mescolate 50 g di zucchero a velo con 1-2 cucchiai di succo di limone fino a ottenere una glassa spalmabile. Spalmate la glassa sul cake e fatela asciugare prima di servirlo.
Una delizia ripiena: tagliare il cake per il lungo e prima di aggiungere la glassa spalmarlo con una crema al limone.
**Nelle maggiori fliali
M-Classic Cake al limone 700 g** Fr. 4.75* invece di 5.95
M-Classic Cake marmorizzato 700 g** Fr. 4.75* invece di 5.95
M-Classic Cake al cioccolato 700 g** Fr. 4.75* invece di 5.95
L’M-Industria produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche i cakes di M-Classic.
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- 32,1 %
R M AN E N T E RIBASSO PE
0.95 finora 1.40 Ketchup M-Classic 340 g
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2.45 finora 2.80 Salsa al curry M-Classic 250 ml
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- 12,5 %
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R M AN E N T E
2.45 finora 2.80
2.45 finora 2.80
Salsa tartara M-Classic 250 ml
Salsa cocktail M-Classic 250 ml
OGNI GIORNO LA MIGROS RINNOVA L’IMPEGNO NEI CONFRONTI DEI SUOI CLIENTI E PER QUESTO HA DECISO DI ABBASSARE IL PREZZO DI DIVERSE SALSE E KETCHUP M-CLASSIC.
R M AN E N T E
2.45 finora 2.80 Salsa per hamburger M-Classic 250 ml