Azione 16 del 18 aprile 2016

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 18 aprile 2016 ¶ N. 16

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Cultura e Spettacoli

Giochi erotici in un soggiorno middle class Teatro L’amante di Harold Pinter, regia di Lorenzo Loris Giovanni Fattorini L’amante (The Lover) – rappresentato per la prima volta nel 1963 – è un atto unico con tre personaggi, uno dei quali è un lattaio che pronuncia solo sei battute. Gli altri due sono Richard e Sarah: una coppia del ceto medio che abita una villetta nei pressi di Windsor (a una trentina di chilometri da Charing Cross). L’azione si svolge nell’arco di due giornate estive. Prima scena: è mattina. Richard (abito serio, cravatta, bombetta e borsa da ufficio) bacia sulla guancia la moglie, e prima di uscire le chiede sorridendo: «Viene, oggi, il tuo amante?». Ultima scena: crepuscolo del giorno dopo. Lui e lei sono inginocchiati sul pavimento del soggiorno. Richard – ancora in giacca e cravatta: è rientrato da poco – dice a Sarah: «Cambiati. (Pausa). Cambiati. (Pausa). Cambia vestito … (Pausa). Adorabile sgualdrina». Richard e Sarah sono sposati da dieci anni. Per ravvivare un rapporto insidiato dall’abitudine assumono identità fittizie e fingono una relazione adulterina. In altre parole: al mattino si lasciano – lui per andare al lavoro nella City, lei per sbrigare le faccende domestiche – e al pomeriggio, due o tre volte la settimana, si ritrovano in casa come amanti, con altri nomi, altri abiti, una diversa personalità. L’amante di Sarah, Max (cioè Richard, che nel tardo pomeriggio del primo giorno ha replicato all’affermazione della moglie dicendo di non avere un’amante ma di frequentare saltuariamente una prostituta), compare alle tre del secondo pomeriggio. Il primo gioco erotico dei finti adùl-

Roberto Trifirò e Cinzia Spanò, protagonisti della pièce di Pinter.

teri consiste nell’intrecciare e battere le dita sulla pelle di un tamburo africano. (Vicieux, pas?). Poi Max finge di essere un tale che in un parco pubblico abborda e palpeggia una signora, nonché il custode che prontamente viene in soccorso della donna, la quale, dopo averlo ringraziato, tenta vanamente di sedurlo (l’uomo dice di essere sposato; lei si stizzisce e sibila: «Pappa fredda!»). Dopo altri due bruschi cambiamenti di situazione, la scena si conclude sotto il tavolo del soggiorno, coperto da un lungo tappeto di velluto. Un lungo silenzio. Poi si sente la voce di Sarah che dice: «Max». Si spengono le luci. Si riaccendono le luci. Suscitando lo stupore e la rabbia di Sarah, Max dice che la loro storia deve

finire: non può ingannare più a lungo sua moglie, deve provvedere ai suoi figli. Inoltre: a lui piacciono le donne enormi; lei è pelle e ossa. Rientrato all’ora del crepuscolo, Richard dice di aver preso una decisione: la vita depravata di Sarah deve finire. Lui ha liquidato la sua sgualdrina. Se l’amante di Sarah si ripresenta gli romperà la faccia. Le parole di Richard sembrano davvero serie, minacciose. Ma abbastanza rapidamente prendono un’altra piega. Il gioco erotico ricomincia. Naturalmente, sia le scene tra Richard e Sarah in quanto marito e moglie, sia quelle «a soggetto» (o «all’improvviso» che dir si voglia) da loro interpretate in veste di personaggi

Morte, follia e karaoke In scena Tre soggetti particolari per il palco regionale nel segno

di una vitalità in costante crescita

Giorgio Thoeni Con l’arrivo della primavera molti artisti scelgono la via della collaborazione. Può nascere una sintassi interessante, anche se talvolta claudicante. In coda di stagione ecco alcuni recenti debutti che si sono contraddistinti in tal senso. Iniziamo dalla compagnia CambusaTeatro che ha scelto il palcoscenico del Foce di Lugano per debuttare con La palla rossa, una produzione della compagnia locarnese che ha deciso di misurarsi con una drammaturgia «fatta in casa». L’idea, nata da una proposta della pedagogista Sonia Lurati, parte dall’esigenza di spiegare/raccontare la morte ai bambini attraverso il teatro: un argomento difficile, soprattutto se si vogliono evitare luoghi comuni. CambusaTeatro ha coinvolto il giovane regista e autore genovese Marco Taddei, che già aveva collaborato nel 2012 con la compagnia locarnese per l’adattamento del romanzo Il più grande uomo scimmia del pleistocene di Roy Lewis. La pal-

Il lancio dello spettacolo ideato da Anahì Traversi e Camilla Parini.

la rossa del titolo è quel peso sul petto che avvertiamo quando vogliamo dire qualcosa che stenta ad uscire. Ma come parlare della morte ai bambini? Il binomio Lurati-Taddei inventa la visita di un nonno (Mariano Zerbin) che si presenta a casa della figlia (Margherita Saltamacchia) perché sta per morire. Verrà a prenderlo la morte in persona (Elisa Conte) che, per l’occasione, conoscerà anche il resto della famiglia: il marito (Paolo Livolsi) e la figlia (Anna Lurati). È a lei che dovranno spiegare perché il nonno deve partire/morire. Una situazione paradossale e un dialogo leggero accompagnano il pubblico verso un lieto fine. Una scenografia ridotta al minimo circonda una commedia piacevole, a tratti umoristica, dove il tenore della recitazione lascia però spazio a guizzi interpretativi dal sapore filodrammatico. Un altro soggetto molto teatrale ma altrettanto complesso è quello della follia. È il tema scelto da Monica Muraca per La perfezione del dolore, un monologo voluto per raccontare sulla scena il personaggio di Alda Merini. L’allestimento fa parte del Progetto Generazioni, appendice creativa dedicata alle proposte personali degli attori e collaboratori del Teatro delle Radici. Una straordinaria e generosa possibilità di veder concretizzare un’urgenza teatrale ma sotto la direzione di un’artista della statura di Cristina Castrillo. Che già si manifesta nella scenografia esposta in scena prima dell’ingresso dell’interprete: un cerchio di libri e un lungo foglio nascosto fra di essi (come fosse la pergamena di On The Road di Kerouac) conducono lo sguardo a una vecchia

macchina per scrivere. Una pittura murale conserva tracce di volti e numeri. Il suono della voce della poetessa ci ricorda l’ironica e drammatica lucidità con cui racconta la sua follia, il manicomio, i momenti crudeli di una vita regalata alla malattia mentale. La Muraca, senza possedere la prosopopea dell’attrice navigata, ci guida nella sua personale avventura come fosse un atto liberatorio. Dopo alcune repliche alle Radici, lo spettacolo sarà in scena al Teatro Centro sociale dell’OSC di Mendrisio (14.5). Il terzo esempio di collaborazione l’abbiamo visto al Teatro Sociale di Bellinzona con Princess Karaoke or something like that di e con Camilla Parini e Anahì Traversi: una produzione Azimut e Collettivo Ingwer in co-produzione con il Teatro Sociale. Nato per l’edizione 2015 del festival «Territori», lo spettacolo (già finalista al Premio Schweiz) traduce sul palco lo zapping della società contemporanea: una sorta di karaoke, appunto, che omologa il pensiero e i sogni di ognuno attorno a modelli stereotipati, a immagini di consumo dove l’esibizione e il narcisismo si confondono con le principesse delle fiabe, con sogni collettivi privi di identità e travolti dai messaggi dei «persuasori occulti». Con un allestimento audio-visuale (Roberto Mucchiut) e light-designer (Giovanni Vögeli), il duo Parini-Traversi ci porta in una liquidità autoironica dalle divertenti declinazioni. Nonostante una drammaturgia imperfetta (c’è parecchio da rivedere), l’originalità dell’idea e la bravura delle attrici sono piaciute. E si potranno rivedere al Teatro Foce dal 22 al 24 aprile.

immaginari, dando libero corso a pulsioni e fantasie latenti, sono molto più particolareggiate e ambigue (aggettivo che viene spontaneo pronunciare ogniqualvolta si tratta di Pinter) di quanto possa descrivere e suggerire un breve riassunto dei fatti. Forse il dato meno ambiguo della commedia – che non è tra le più importanti del drammaturgo inglese – è la netta divisione degli spazi. A destra c’è il soggiorno: luogo delle separazioni mattutine e dei ricongiungimenti serali di marito e moglie, nonché spazio scenico delle loro performance pomeridiane. A sinistra, un po’ più in alto, la camera da letto, a cui si accede dal soggiorno salendo alcuni gradini: è il luogo dei risvegli e dei col-

loqui che precedono il sonno, un luogo di intimità esclusivamente coniugale, dove non hanno fisicamente accesso gli attori delle trasgressioni consumate fra le tre e le sei del pomeriggio. Nella scena disegnata e sobriamente arredata da Daniela Gardinazzi, entrambe le stanze hanno pavimenti di materiale nero specchiante e veneziane sempre abbassate, attraverso le quali filtra uniformemente la luce del giorno: un luogo che non si apre mai verso l’esterno, anche quando i due – stando alle indicazioni di Pinter – guardano il tramonto dal balcone (nello spettacolo dell’Out Off il balcone è il proscenio e l’esterno è la platea), o quando la luna illumina la camera da letto. Lorenzo Loris ha saputo dare il giusto ritmo scenico alla peculiare artificialità della partitura drammatica di Pinter, interpretata con varietà e finezza di toni da Roberto Trifirò e Cinzia Spanò. (Le poche battute del lattaio sono pronunciate da Vladimir Todisco Grande). E con intelligente misura ha distribuito qua e là dei tocchi di sottile umorismo: ad esempio, quando Richard fa la sua comparsa travestito da Max, e avanza verso Sarah con andatura vagamente scimmiesca – accentuata da una folta parrucca nera che gli fa più bassa la fronte – dopo aver cavato da un armadio dell’anticamera un bongo, esotico strumento d’eccitazione per finti primitivi occidentali. Dove e quando

Milano, Teatro Out Off, fino all’8 maggio. Annuncio pubblicitario

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