In dialogo #2 - Marzo Aprile 2018

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Il Sinodo indetto dall’Arcivescovo Delpini ha innescato un processo che, in questi mesi, sta facendo incontrare persone diverse (nelle parrocchie, tra gli operatori della carità, nei luoghi di studio, nelle associazioni, nel mondo della cultura e delle istituzioni locali, tra le persone impegnate nel dialogo ecumenico e interreligioso) per scambiarsi esperienze, attese, sogni sul futuro della Chiesa e dell’umanità in cammino. Sono molti coloro che desiderano cogliere nei problemi le sfide che possono riaprire l’orizzonte; nelle fatiche, le doglie del parto di un mondo capace ancora di umanità; nelle ferite, le feritoie che possono generare vita nuova non solo per chi viene accolto ma anche per chi accoglie, dunque non solo per chi è in cerca di una nuova patria ma anche per chi, a ben vedere, è in sé homo viator. Il messaggio che emerge dalle tante testimonianze è questo: coloro che si trovano a varcare i confini non sono un problema che accresce la paura del domani, bensì «degli avamposti del futuro». L’esilio, qualunque sia la sua forma, può infatti essere incubazione di azioni creative, il focolaio del nuovo. E forse per questo nell’esiliato viene spesso vista una minaccia: egli rovescia ciò che è abituale, diventa l’epicentro di un terremoto. Ma se questo processo viene risolto positivamente, allora può sorgere qualcosa di creativamente nuovo per tutti. A ciò vuole contribuire il processo sinodale nell’edificare la cattolicità della chiesa, il suo essere ab origine “Chiesa dalle genti”: la Chiesa della Pentecoste, popolo di popoli in cammino, comunione nella diversità. Il processo è già il frutto del Sinodo che invia a vivere come «Chiesa in uscita», imparando a pensare e ad agire insieme: Chiesa chiamata a stare dentro la vita e a discernere i segni della presenza di Dio nell’umanità gravida della Pasqua del Figlio di Dio.

“ coloro che si trovano a varcare i confini non sono un problema che accresce la paura del domani, bensì degli avamposti sul futuro „ L’Arcivescovo, nel suo discorso di apertura del Sinodo, così si è espresso: «Il metodo sinodale vorrebbe essere uno stile abituale per ogni momento di Chiesa, sfidando la tendenza all’inerzia, l’inclinazione allo scetticismo» che, come sappiamo, spesso paralizzano la possibilità di rigenerare la vita secondo lo Spirito. Il desiderio di cambiare va nella direzione di superare le forme e i linguaggi divenuti inadeguati rispetto alla convivenza plurale, dando spazio al futuro che si svela. La presenza di persone che emigrano apre finestre sul mon-

do, su questioni che vanno affrontate e non nascoste: si tratta di ripensare il proprio essere ‘civili’ sulla base non tanto dell’efficienza o della sicurezza per alcuni, ma della capacità di prendersi cura della comune aspirazione a un

approfondimenti

In cammino come “Chiesa dalle genti”

futuro vivibile per tutti, futuro per il quale i giovani vorrebbero poter dire la loro, offrire il proprio contributo senza sottrarsi alla responsabilità. Certamente, il Sinodo costituisce un momento prezioso per la Chiesa, ma il suo valore si allarga: in un tempo in cui il benessere economico produce nella metropoli (come in molte parti del mondo) tante forme di solitudine e depressione, mentre la deprivazione delle periferie (sociali, geografiche e esistenziali) produce disperazione nelle notti di un’umanità che fatica a ritrovare se stessa, divenuta fragilissima, forse ci si salverà dall’isolamento, dai muri e dalla violenza attraverso l’ascolto reciproco e gesti di condivisione della vita. Dalle tante testimonianze emerge il desiderio di «sentirsi a casa in una Chiesa che ascolta, cammina con le persone, sta dentro la realtà»: una Chiesa che corre il rischio dell’incontro, che esprime la dimensione fraterna del Vangelo in cui la vita chiama altra vita. A questo sogno fanno eco le parole di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium: «Oggi sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di partecipare a questa marea un po’ caotica», che è anche l’incontro dei popoli, il quale «può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87). Monica Martinelli Membro della Commissione per il Sinodo e docente in Università Cattolica

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