Segno n.8-2015

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Fatti

parole di Gianni Borsa

Abitare l’umano, essere Chiesa: e l’Ac si ripensa Cercare vie, sempre nuove e moderne, pur radicate nella storia associativa, per essere Ac oggi. In un tempo che impone sorprese a ritmo quotidiano, che mostra una realtà articolata e friabile, che mette in luce le tante fragilità dell’umano. Individuare sentieri coerenti e intelligenti – esattamente come sta facendo papa Francesco – per credere in Cristo e testimoniarlo nel presente: volendo bene a questo tempo con le sue sfide; amando i fratelli, tutti i fratelli, quelli accanto e quelli che vivono dall’altro capo del globo. Sentendosi una sola umanità, come suggerisce l’universalità della chiesa cattolica, la quale ha anticipato – e non nega affatto – la “globalizzazione” che ci avvolge. È un vivere pienamente immersi nell’attualità: avvertendone le contraddizioni (a partire dalle povertà diffuse, materiali e non), condividendone le angosce e le paure (dello straniero, ad esempio, o del “diverso”), riconoscendo al contempo le bellezze, le gioie, le opportunità (moltiplicatesi, se non si è miopi, rispetto al passato). Rivoluzione e moduli. Il Convegno presidenze diocesane dell’Azione cattolica dello scorso aprile ha posto sul tavolo queste sollecitazioni, assieme a innumerevoli altre. E il presidente Truffelli, poggiandosi sul patrimonio di idee e di esperienze consegnatoci dai suoi predecessori, ha rilanciato tale prospettiva di ricerca, con lo stile che gli è proprio. L’Ac – ha detto – è chiamata a un nuovo cambio di passo, così come si è abituata a fare nella sua vicenda ultrasecolare per aggiornarsi ed essere strumento duttile e utile alla causa del Vangelo (è sempre efficace il richiamo all’immagine della creta nelle mani del vasaio). Da qui la «rivoluzione copernicana» e la «squadra che gioca con un modulo d’attacco»: perché – ha suggerito Truffelli – è questo che chiede, oggi come ieri, l’essere cristiani. È la «chiesa in uscita» di Bergoglio, chiamata a percorrere, come dice il papa, le «periferie esistenziali» e a «portare il

sorriso di Dio»; non «cristiani con il muso lungo», i «cristiani da pasticceria», «sempre sicuri di sé» e «pronti a giudicare gli altri», ma i discepoli di Emmaus, un po’ tardi a capire, che ritrovano la via della missione nel momento in cui si mettono davvero sulla lunghezza d’onda di Gesù. Come tradurre, dunque, nella pratica feriale questa Azione cattolica che serve la chiesa locale, immersa, senza esaurirvisi, nelle parrocchie e nelle diocesi? Come ritrovare slancio valorizzando, ancora una volta, la vocazione laicale, presenza matura, propositiva e corresponsabile nella chiesa «popolo di Dio»? Alcuni recenti interventi in sede nazionale hanno richiamato questo abitare e stare nell’umano (con un occhio particolare alla famiglia e al prossimo Sinodo di ottobre) e l’essere nella chiesa (Convegno ecclesiale di Firenze a novembre), che offrono orizzonti originali e percorribili alla nostra associazione. Per ragioni di spazio si rimanda alla integralità di due testi che necessitano di una lettura approfondita: si tratta di Essere e fare Ac in una Chiesa che profuma di famiglia, articolo apparso sul sito dell’Ac a seguito del Consiglio nazionale di fine giugno; e dell’editoriale per la rivista Dialoghi, numero 2/2015, firmato dallo stesso Matteo Truffelli e intitolato L’Ac verso e “oltre” Firenze (entrambi i testi sono disponibili su www.azionecattolica.it). Amare senza misura. Il primo testo dà conto del «confronto schietto e ricco di sollecitazioni» emerso in Consiglio nazionale, massimo organismo democratico di Ac, al termine del quale è stato ribadito l’impegno «di recuperare la riflessione sull’uomo, di riporre al centro del dibattito culturale della vita della Chiesa e della vita civile un modo nuovo di guardare alla vita umana, di pensarla, di amarla». È urgente ricollocare «al centro la questione dell’autenticità della vita umana; della drammatica bellezza della storia dell’uomo; della bontà e della ricchezza della differenza sessuale; della centratura in Cristo della vita di ogni uomo e di ogni donna, in quanto creati a immagine e somiglianza del Padre». Ciò richiede di «accogliere e vivere la sollecitazione a farci prossimi, a esercitare nella pratica la cura, il rispetto, la promozione dell’uomo nella sua integralità, in tutte le dimensioni».

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sommario

la copertina In questa estate 2015 c’è ancora un tempo giusto per disegnare ponti di pace e tracciare rotte di geoumanesimo possibile. Il dossier di questo numero racconta l’abbraccio con l’Altro e questo respiro di Assoluto. Da un’ascesa sulle Alpi a una comunità monastica di Ostuni, dall’accoglienza di Este alla cetra di Myriam. E in estate anche un libro ti cambia la vita

fatti e parole

1 Abitare l’umano, essere Chiesa: e l’Ac si ripensa di Gianni Borsa

sotto i riflettori

5 Fino in cima, per guardare Oltre

sotto i riflettori

tempi moderni

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Un libro che ti cambia la vita

Castenedolo: mamme paladine dell’ambiente

di Marco Testi

di Gigliola Alfaro

le altre notizie

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Quel pentagramma ritrovato

Dall’Italia e dal mondo

di Livia Ermini

cittadini e palazzo

22 Corruzione? Possiamo vincerla intervista con Rocco D’Ambrosio di Gianni Di Santo

di Giovanni Grandi

8 La pace, lungo la via degli ulivi di Gianni Di Santo

10 Benvenuto, fratello migrante di Luca Bortoli

12 La cetra di Davide e il canto di Myriam di Gianni Di Santo

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ieri e domani

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Nosate: l’antico oratorio di Santa Maria in Binda

Il fascino dell’oltre

di Paolo Mira

famiglia oggi

24 Famiglia, partire dalla realtà

quale Chiesa

26 Il nuovo umanesimo fa tappa a Firenze di Franco Venturella

senza confini

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24 faccia a faccia

32 Laudato si’, o mio Signore di Giorgio Osti

spazio aperto

38 Le lettere

orizzonti di Ac

40 Per l’Ac è tempo di “andare” di Carlotta Benedetti

42 Marco Cè, il patriarca con il vocabolario dell’“Ac” di Silvia Madricardo

di Paolo Trionfini

chiesa e carità

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sommario

sulle strade della fede

In un altro mondo: i quattro vincitori di Maria Grazia Bambino

perché credere

46 La bellezza di stare e pregare insieme di Tony Drazza

la foto

48 Può esistere l'Europa senza la Grecia?

Un festival per conoscere l’Africa di Michele Luppi

30 Il secolo dei genocidi di Paolo Acanfora

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sotto i riflettori

Incontri estivi, tra cielo e terra In un’estate duemilaquindici diversa e, per molti versi complicata, messa a soqquadro da un Mediterraneo “in fiamme” e da una crisi economica che è anche crisi sociale e politica dell’Europa tutta, c’è ancora un tempo giusto per disegnare ponti di pace e tracciare rotte di geo-umanesimo possibile. Segno racconta l’abbraccio con l’Altro e questo respiro di Assoluto. Per sete di Dio e di altrove, i nostri incontri trovano rifugio sulle cime dolomitiche, dove “l’andare sempre più in alto” non è solo il dato pratico dell’arrampicarsi ma il senso di un’ascesi che mette insieme limite umano, dono e riconoscenza. Per poi approdare fino alle terre dell’est sognate e immaginate da una comunità monastica che a Ostuni celebra terra e cielo, con la frutta dell’orto e l’olio dell’uliveto che consolano l’uomo in ricerca. Gli incontri estivi fanno tappa a Este per ammirare come sia possibile costruire esperienze di cittadinanza responsabile con dei ragazzi stranieri, migranti per dolore e disperazione da terre natie che hanno ben poco da offrire loro. Ma ci dicono anche di una spiritualità dell’anima che sa ringiovanire il corpo attraverso il suono della cetra che una suora lascia fluire nel bosco di Camaldoli. Scoprendo, poi, che anche un libro ci cambierà. Un’estate “forse” diversa. Alla ricerca del silenzio e della contemplazione. Ma con il cuore aperto all’umanità che ci circonda – a partire dalle nostre famiglie fino alle genti più lontane – e alle vicende del nostro tempo. E la convinzione che la pace del cuore arriva attraverso l’incontro con l’altro. Per dire, alla fine di ogni giorno, “grazie, o Signore” 4

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sotto i riflettori

Fino in cima, per guardare Oltre di Giovanni Grandi*

on si finisce mai di stupirsi, a distanza di un secolo, di quel che gli uomini sono stati capaci di costruire sui monti dell’arco dolomitico. Non c’è itinerario che non incroci o non ripercorra sentieri e strade tracciati per issare sulle cime ogni tipo di strumento bellico. E non c’è complesso che non nasconda ancora i ruderi di piccole o grandi cittadelle, lungamente abitate, in un abbraccio con la pietra e la neve che per molti è risultato mortale. Tante cime, ancora oggi, sono segnate da una croce fatta di legna sottratta alle trincee e assemblata con qualche giro di filo spinato, quasi a voler ricordare l’eco ambigua che c’è nell’espressione “conquistare la vetta”. Una di queste è la Cavallazza, ultima propaggine del complesso dei Lagorai, osservatorio privilegiato sulle Pale di San Martino e – cento anni fa – sugli abitati della valle di Primiero, che si snoda guardando a sud. La cima si individua facilmente dal Passo Rolle, salendo da Predazzo: è la più alta della piccola conformazione che inizia con la cima Tognazza, riconoscibile per la presenza degli impianti di risalita invernali. Arrivando in quota con gli sci ai piedi tutto sembra vicino: la

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«Procedendo ancora si inizia a scorgere la cima, ma non si è arrivati. Le vette sono così, sembrano sempre a portata di mano e invece chiedono ancora un po’ di pazienza, qualche ultima prova. I monaci dell’antichità sapevano bene che la percezione di essere (quasi) arrivati al culmine espone alla più grave delle cadute, al pensiero di avercela fatta da soli e non per la misericordia di Dio». Nel racconto dell’ascesa verso la Cavallazza, nel complesso del Lagorai, in Trentino, il desiderio di Assoluto lascia spazio al dono e alla riconoscenza

Cavallazza è lì, a poca distanza dalla stazione a monte. Salire d’estate è un’altra cosa, nessuna linea diretta ma un lungo giro che si inoltra verso sudovest, nella parte alta della foresta di Panneggio, quasi a richiamare – come inizio – le esigenze di ogni “avvicinamento”: pazienza, pacatezza, attenzione agli ostacoli, disponibilità alle deviazioni… Il sentiero conduce delicatamente ai Laghi di Colbricon, due specchi d’acqua di origine glaciale che attirano in piena estate folle di turisti, anche per la presenza di un comodo rifugio. Attraversando la zona a fine giugno si incontrano solo i gestori che stanno finendo i preparativi per la stagione: non una voce, solo i richiami del vento e di qualche animale. Impossibile non pensare che spesso cerchiamo la montagna per questo suo silenzio, ma poi finiamo per portarle addosso il nostro rumore. Lasciata la conca la salita si fa impegnativa, la pendenza aumenta, il fondo ghiaioso chiede concentrazione. Si guadagna quota rapidamente. La prospettiva sui laghi cambia di continuo, mentre l’orizzonte si apre

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sempre di più e inizia a comparire la parete sud della Marmolada, che dal basso non si riusciva a scorgere. Salendo si guadagna in ampiezza di vedute e quel che ci si è lasciati alle spalle appare via via sempre più aderente ai tratti essenziali delle mappe, quasi a confermare che la visuale “dal cielo” è quella più fedele alla realtà. Viene da chiedersi se non sia quel che accade anche nel cammino della vita, sempre che ci si stia muovendo verso l’alto. Il sentiero ormai sale al di sopra della quota dei boschi, esposto al vento. Tira aria forte sui crinali erbosi, si cammina quasi sul ciglio, tra un precipizio e prati ripidi: il passaggio è obbligato, chiede cautela, equilibrio. Come quando occorre decidere come rivolgersi a qualcuno in frangenti delicati, sapendo che sbagliare anche di poco la misura – con una parola di troppo o una in meno del necessario – potrebbe compromettere un cammino. Procedendo ancora si inizia a scorgere la cima, ma non si è arrivati. Le vette sono così, sembrano sempre a portata di mano e invece chiedono ancora un po’ di pazienza, qualche ultima prova. Quasi per accertarsi di aver lasciato davvero a valle la spavalderia invernale dello sciatore. I monaci dell’antichità sapevano bene che la percezione di essere (quasi) arrivati al culmine espone alla più grave delle cadute, al pensiero di avercela fatta da soli e non per la misericordia di Dio. La Cavallazza, con modestia, richiama questo insegnamento: un ultimo tratto ripido chiede vigilanza, proprio prima di raggiungere la cima. Un panorama tra i più affascinanti, su uno dei complessi dolomitici più articolati, cattura finalmente lo sguardo: chi ancora immaginava di conquistare non può fare a meno di scoprirsi conquistato. Anche dire di


sotto i riflettori Nelle foto di Giovanni Grandi, uno dei più bei paesaggi dolomitici: il complesso del Lagorai

essere stati ricompensati per la fatica sembra fuori luogo: la bellezza non si misura in proporzione all’impegno, per quanto possiamo avercene messo. La bellezza sorprendente non è mai “in cambio di qualcosa”: è sempre un dono esuberante rispetto al nostro darci da fare e rispetto alle nostre attese. Che tutto questo sia una traccia di quel che i teologi chiamano “Grazia”? Anche la Cavallazza, sotto sotto solitaria come ogni cima, suggerisce di fare ritorno a valle. Vengono in mente i soldati obbligati a rimanere in quota e il loro

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desiderio di rientrare a casa, affidato a tante lettere. Ma, insieme, anche i discepoli pronti a fare tre tende sul monte, sopraffatti dalla luminosità della presenza del Signore Gesù. Persino loro però sono scesi. Sulle vette, per motivi diversi, non ci si può trattenere più del necessario. E, forse, è proprio la brevità della sosta, insieme al desiderio di ritornare lassù in alto, che aiuta pian piano ad abbandonare la logica della “conquista”, per far spag zio a quella del “dono” e della “riconoscenza”. ■ * presidente diocesano Ac di Trieste, alpinista

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sotto i riflettori

La pace, lungo la via degli ulivi ungo la costa del Levante del mare italiano, dove la terra brucia arsa dal sole e gli ulivi danno forza con la loro storia millenaria. Una masseria antica, messa lì sulla piana di Ostuni a controllare le rotte geografiche e umane dei popoli che sbarcano per fame e miseria, con una piccola chiesa che dà silenzio e offre le braccia allo spirito. La Comunità di Bose di Ostuni, in provincia di Brindisi, è l’avamposto monacale dei destini orientali della casa madre di Magnano. Qui, nella Puglia più bella e ospitale, si coltiva il gusto del tempo e i ritmi della natura. Corsi di ebraico antico, di greco, approfondimenti biblici, convegni spirituali, meditazione e cura dell’anima. Ma anche, per fortuna, cura dell’orto, della frutta e delle olive che Dio dona ogni giorno. L’entrata alla Comunità, vicinissima alla litoranea, è contrassegnata da ulivi secolari giganteschi, gli stessi che oggi la Comunità europea vuole abbattere per via del batterio xylella che ha contagiato tutto il Salento. Portano con sé centinaia e centinaia di anni, e la memoria di una tradizioUn luogo di silenzio e di cura ne che qui nel Salento è del Creato. A Ostuni, in Puglia, cultura, storia, religione. la Comunità di Bose coltiva Una vera azienda agricola frutta e l’olio, e nello stesso la, quella di Bose a tempo organizza Ostuni, come se per approfondimenti biblici incanto frate cielo si sia e convegni spirituali. spostato più giù verso Per il monaco Sabino Chialà, sorella terra. Sabino «tutto intorno a noi ci ricorda Chialà, responsabile che apparteniamo a questa della comunità, esperto terra che ci sostenta, che di lingue antiche e di ci accompagna e che mondo mediorientale, fa ci è di insegnamento. da traghettatore tra queDirei che fa parte integrante sto cielo e questa terra. della nostra fraternità»

di Gianni Di Santo

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L’olio di Ostuni, vero nettare degli dei, che i monaci di Bose producono in abbondanza, accarezza il cercatore di Assoluto che all’improvviso piomba sulle assolate terre di levante. «Siamo in Puglia – ci accoglie fratel Sabino – perché è un ponte verso quell’oriente che tanto ci ha da sempre attirato e che tanto ci ha insegnato nella nostra ricerca monastica... pensiamo ai padri della Chiesa. Per i contatti con il mondo ortodosso e greco in particolare, ma anche per l’amicizia antica con questa regione: con il precedente arcivescovo di Bari, Mariano Magrassi, e poi con diversi gruppi che hanno preso a frequentare Bose già nella prima ora. E tra questi ce n’era anche uno di Ostuni, dove poi, dopo varie traversie, siamo approdati». «A Ostuni viviamo una vita semplice – continua Sabino –, fatta di lavoro, preghiera e accoglienza, come a Bose. Tutto ovviamente molto più in piccolo, siamo cinque fratelli. Per mantenerci coltiviamo il nostro uliveto dal quale ricaviamo l’olio, abbiamo un orto e un frutteto dal quale produciamo frutta che poi trasformiamo in marmellate. Queste sono le due attività principali. Accogliamo anche ospiti che cercano un luogo di solitudine e di approfondimento della Scrittura e dei padri. Le giornate mensili e le settimane estive sono molto frequentate, facciamo anche dei corsi di ebraico antico». C’è un silenzio “assordante” in questo lembo di terra levantina. Sembra di essere in un monastero in cima a una montagna, invece il vento poggia appena al livello del mare. Ed è proprio al mare che si aggrappano qui a Bose di Ostuni, sognando ogni giorno l’est oltre questo mare. Sanno che il grimaldello giusto per aprire la porta della storia prossima, capire gli sbarchi degli immigrati, le guerre, e il possibile abbraccio tra religioni sorelle, percorre la via del mare nostrum con una fragile barca “di legno e di rosa”, direbbe Ivano Fossati. Eppure, oggi, l’abbraccio possibile con l’umanità per-


sotto i riflettori Un’antica masseria è la porta di ingresso della comunità. Sopra, un ulivo secolare nel frutteto. A sinistra, fratel Sabino Chialà

duta e disperata, è proprio in questo tentativo di costruire ponti tra nord e sud, est e ovest. L’ulivo è segno di pace. L’ebraico antico lo eleva a carta democratica popolare. E mentre Sabino ci fa assaggiare quei suoi miracolosi fagiolini che non esistono in nessuna parte d’Italia, capisco che le mani dell’uomo delle volte fanno dei miracoli e tracciano

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rotte di geografia sacra. «Il rapporto con la terra qui è essenziale: tutto intorno a noi ci ricorda che apparteniamo a questa terra che ci sostenta, che ci accompagna e che ci è di insegnamento. Direi che fa parte integrante della nostra fraternità». Sabino si congeda così. C’è tanto da fare, anche questa estate. A Bose, a Ostuni, il crocevia di fedi e le storie degli uomini si confondono. Contadini e immigrati, monaci e laici, teologia della terra. Ne abbiamo bisogno di questi segni profetici, nella nostra ricerca di un cielo misericordioso che ascolti i lamenti della terra del dolore. g La pace è dietro l’angolo, lungo la via degli ulivi. ■

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Benvenuto, fratello migrante

mmaginate una sera di tardo inverno. Nei locali dello sterminato patronato (una sorta di sinonimo veneto di oratorio) del Redentore, venticinque giovani sono riuniti per la preghiera. Sono liceali, studenti di altre scuole superiori, ma anche universitari e lavoratori più vicini ai trenta. Tra loro, educatori di Azione cattolica e membri di altri gruppi e aggregazioni che nella parrocchia di Santa Tecla, il Duomo di Este, nella Bassa Padovana, hanno trovato terreno fertile. Sono sei giovani d’età Balza subito agli occhi una compresa tra 19 e 27 anni: presenza inconsueta. quattro africani e due pakistani. Hanno attraversato Tutt’altro che disarmonica, ma certo non ordinaria in una il Mediterraneo su un settimana di fraternità che barcone, in fuga dalla Libia. questi giovani hanno scelto di Dopo aver percorso l’Italia vivere assieme nel patronato facendo tappa in vari centri di accoglienza, hanno trovato senza interrompere di giorno le proprie attività quotidiane. rifugio a Este, in Veneto, Si tratta di sei giovani, comnell’appartamento posti, compìti verrebbe da che la parrocchia ha messo dire. Si vede che hanno una a disposizione, di concerto spiritualità spiccata, un senso con la Caritas diocesana di Dio innato, ma non pregadi Padova. E con l’aiuto no come tutti gli altri. E qualdi tutti, ora si sentono cosa, sulla loro provenienza, finalmente “cittadini” di Luca Bortoli

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lo dice una pelle più scura, per alcuni olivastra, per altri nera, senza mezzi termini. Sono sei migranti, sei profughi, forse – la commissione territoriale addetta ancora non ha deciso il loro status. Due senegalesi, due gambiani e due pakistani, un’età compresa tra i 19 e i 27 anni. Ciò che li accomuna, oramai per sempre, è la terribile esperienza della traversata del Mediterraneo sul barcone, in fuga dalla Libia messa a ferro e fuoco dal Daesh (la versione magrebina dell’Isis) e da novembre scorso, dopo aver attraversato l’Italia facendo tappa in vari centri di accoglienza, hanno trovato rifugio proprio qui, a Este, in un appartamento che la parrocchia ha messo a disposizione, di concerto con Caritas diocesana di Padova, sotto la regia della cooperativa Villaggio globale e grazie all’impegno intenso dei volontari della San Vincenzo parrocchiale. Qui a Este si realizza il modello di accoglienza per “piccoli numeri” che proprio la Caritas ha coniato e ha portato anche molti privati a mettere a disposizione appartamenti sfitti per l’accoglienza. Un fatto che il primo cittadino del capoluogo, Massimo Bitonci, ha fatto capire senza mezzi termini di non gradire affatto. Eppure il limitato impatto di gruppetti di cinque, massimo sei persone, facilita l’integrazione di questi giovani migranti.


sotto i riflettori Nell’altra pagina: insieme con i migranti, educatori di Ac e altre aggregazioni, nell’oratorio di Santa Tecla a Este. Sopra, la facciata principale del Duomo

Il parroco di Santa Tecla, don Franco Rimano, un passato da assistente diocesano dell’Acr, lo ha scritto con chiarezza anche in un editoriale di fine aprile nel settimanale diocesano: «Perché ogni parrocchia della diocesi non può chiedere a qualche parrocchiano frequentante di mettere a disposizione un appartamento sfitto, col parroco che fa da garante e una cooperativa che così può dare lavoro a qualche giovane operatore, che magari nel vicariato segue due o tre di queste micro accoglienze? Non serve chiedere il consenso ai cittadini, basta avere il coraggio di organizzarsi». Già, basterebbe avere il coraggio. E ancora: «Facendo un po’ di conti, circa duemila immigrati la nostra diocesi potrebbe accoglierli diventando così un esempio per tutta l’Italia. Certo avremo una parte dei nostri cittadini contro, ma credo che serviremmo il vangelo in

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maniera concreta, chiedendo alla politica sostegno a queste micro iniziative». E la mobilitazione della parrocchia di Santa Tecla in favore di questi sei giovani in questi dieci mesi gli ha dato ragione. La partecipazione dei migranti alla settimana di fraternità dei giovani, dal 15 al 22 marzo, infatti, era stata preceduta da una serie di corsi di italiano, di igiene personale e della casa, di conoscenza delle persone e delle realtà della città di Este: il tutto frutto della buona volontà di parrocchiani e cittadini che si sono avvicinati proprio per sostenere l’azione della comunità. Il patronato del Redentore adesso è, per cinque di loro sei, un luogo di servizio; uno dei due pakistani infatti lavoricchia nei mercati: «Di loro mi ha impressionato anzitutto il racconto – ci pensa un po’ su Federico Toninello, 22 anni studente di ingegneria, che si sta preparando al campo estivo con i suoi giovanissimi di terza superiore –. Non immaginavo affatto che fossero stato costretti con la forza e con la violenza a salire su quei barconi, proprio quand’era il momento per i libici di pagarli per il loro lavoro. L’alternativa sarebbe stata un colpo alla testa…». Tutti musulmani questi migranti, eppure non hanno disdegnato di pregare con i cristiani: «Anzi – riprende Federico – ci hanno ringraziato per quei momenti e ci hanno chiesto di ripeterli al più presto». Un desiderio che si è realizzato per Paul, senegalese, che più degli altri si è integrato, ha imparato l’italiano e dal 20 al 26 luglio è stato con Federico e i suoi ragazzi a Rimini per un campo di servizio con la Comunità Papa Giovanni XXIII: da bravo aiuto cuoco, testimone di servizio, ha messo in tavola le sue specialità senegalese anche per questi 17enni padovani. «L’integrazione si sta verificando da noi grazie all’esperienza che stiamo condividendo – riflette don Michele Majoni, giovane vicario parrocchiale –. La presenza di questi giovani tra i nostri giovani li sta provocando, con la loro voglia di fare e con la facilità con cui si sono messi davanti a Dio nella settimana di fraternità». Sono storie che si intrecciano, legami che rinsaldano i brandelli di una società e fanno della Chiesa quell’”ospedale da campo” figurato da papa g Francesco. ■

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intervista con Myriam Manca di Gianni Di Santo

La cetra di Davide e il canto di Myriam oco più su del monastero di Camaldoli c’è una casa di accoglienza gestita dalle Pie discepole del Divin Maestro. La foresta intorno, qui in provincia di Arezzo, ascolta ogni giorno il suono della cetra che prende vita dalle mani di suor Myriam. La musica accompagna la Parola.

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Suor Myriam, chi sono le Pie discepole? Faccio parte delle Pie discepole del Divin Maestro, una congregazione della Famiglia Paolina fondata dal beato Giacomo Alberione. Mi piace rilevare che lui è stato un profeta del Nella foresta di nostro tempo: infatti, prima ancora Camaldoli, in Toscana, che il Concilio Vaticano II ripristinasse si ode il suono della la Bibbia per tutti, lui già da tempo l’acetra. Accompagna, veva fatta stampare in italiano (a un nel silenzio della costo bassissimo) e fatta diffondere natura, il salmo nelle famiglie, perché voleva che la e la preghiera. Sacra Scrittura, come Buona notizia, Una suora racconta entrasse in ogni casa. A noi discepole come la musica possa di Gesù Maestro ha dato la missione essere terapeuta per di annunciare Lui attraverso la liturgia, il fisico e per l’anima la preghiera, la cura dei sacerdoti, ispirandosi alle prime donne che seguivano Gesù e lo assistevano con i loro beni. L’icona che ci contraddistingue è quella di Marta e Maria a Betania. E Camaldoli? Io mi trovo a Camaldoli da qualche anno, perché abbiamo una casa di preghiera chiamata Oasi del Divin Maestro, una vera e propria oasi di silenzio e pace e come in tutte le nostre case, le responsabili di comunità si alternano per un certo numero di anni. Questa volta è capitato a me il ruolo di prendere in mano la gestione di questa casa e della comunità. Camaldoli, luogo primario di preghiera... Mi ha sempre attirato la bellezza del bosco con gli abeti così lunghi che cercano il cielo. Qui cielo e terra s’incontrano, si respira armonia, unità, anche perché

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questo bosco l’hanno piantato i monaci Camaldolesi. E poi mi appassiona molto l’accoglienza. Personalmente godo molto quando vedo realizzarsi in quest’Oasi un luogo d’incontri di amicizie vere che possono instaurarsi perché hanno in comune la ricerca di Dio. Qui tutto favorisce all’esperienza del silenzio, all’ascolto della natura e della Parola, dove anche attraverso una bella liturgia si può essere aiutati a ritrovare se stessi e ritemprarsi nel corpo e nello spirito. Siete molto attente all’arte. Sì, l’arte è il veicolo attraverso il quale cerchiamo di far passare l’annuncio della Buona notizia del Vangelo. L’arte è l’espressione di un’intuizione, di un pensiero, di una meditazione, di un’esperienza profonda con Dio. Attraverso la creatività e le varie espressioni artistiche come la pittura, la scultura, l’architettura, la musica, la ceramica, l’iconografia e ogni forma di artigianato serviamo la Chiesa perché crediamo che la bellezza sia uno strumento che arriva direttamente ai cuori mettendoli in contatto con l’unico Bello e Bene che è Dio. A leggere le vostre iniziative, c’è da stare occupati tutto l’anno... Effettivamente, la casa è aperta tutto l’anno perché in tutte le stagioni c’è da imparare e contemplare qualcosa di bello. Il paesaggio invernale con la neve è particolarmente poetico, il passaggio dall’inverno alla primavera come dalla morte alla vita è sorprendente, da un giorno all’altro le tenere gemme verdoline si moltiplicano e si percepisce la vita che irrompe, la foresta che rinasce. L’estate poi si sta benissimo perché la foresta dona tanta energia, ma l’autunno è qualcosa di particolare, non solo per il ruggito dei cervi, ma per il ventaglio di colori meravigliosi delle foglie che sono indescrivibili e veramente incantevoli. A questa bellezza naturale noi associamo delle iniziative spirituali, come settimane o weekend di spiritualità incentrate sulla Parola di Dio, su percorsi itineranti o altre attività strutturate come laboratori, tra questi anche quello dell’arte floreale a servizio


sotto i riflettori Credo che la cetra sia uno strumento molto adatto per la liturgia, lo constato continuamente con le persone che lo ascoltano. Devo dire che a me la cetra fa impazzire. Quando la suono (in realtà adesso suono molto di più il salterio, che è un’evoluzione a più accordi della cetra tradizionale), mi sembra di nuotare nel mare aperto. Anche il suono degli accordi mi richiama l’onda che sbatte in se stessa o sulla spiaggia

Nella foto: suor Myriam mentre suona il salterio (evoluzione della cetra tradizionale)

della liturgia e corsi d’iconografia e di cetra.

Una suora specializzata in uno strumento particolare. Che sensazioni le dà suonare la cetra? La musica è un altro canale che aiuta a sintonizzarsi con il trascendente. Il musicista Lucien Deiss diceva che la musica è l’ancella ma la Parola è la Regina, quindi la musica serve la Parola, la valorizza, la esalta, se la musica non fa questo servizio è meglio che non ci sia. Credo che la cetra sia uno strumento molto adatto per la liturgia, lo constato continuamente con le persone che lo ascoltano. Devo dire che a me la cetra fa impazzire. Quando la suono (in realtà adesso suono molto di più il salterio, che è un’evoluzione a più accordi della cetra tradizionale), mi sembra di nuotare nel mare aperto. Anche il suono degli accordi mi richiama l’onda che

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sbatte in sé stessa o sulla spiaggia. Quando suono la cetra, m’immergo in me stessa, mi sintonizzo con lo Spirito, m’incontro in profondità, mi commuovo e direi mi nutro del suono della Parola. Fate anche dei corsi di cetra? Sì. Organizzo corsi durante l’anno ma per varie circostanze li faccio anche personalizzati. La cetra è uno strumento che attira molto per il suo suono melodioso. Davide la suonava al re Saul quando era assalito dagli spiriti maligni e questi subito sparivano. In effetti, credo che la cetra sia terapeuta, ha un effetto rilassante e aiuta la concentrazione e la meditazione. La cetra la paragono alla vigna d’Israele, perché è umile, piccola, non ha il suono poderoso dell’organo a canne o di altri strumenti più potenti. Come la vigna d’Israele, che è una pianticella piccola e fragile ma dà un frutto buonissimo e significativo, così la cetra è uno strumento piccolo ma armonioso e dolce come l’uva, il frutto di questa pianta biblica e simbolica per eccellenza. Mi auguro che da questo suono si possa essere semg pre guariti, pacificati, rigenerati. ■

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sotto i riflettori

Un libro che ti cambia la vita gio d’estate che sembrava non a domanda irrequieta «Ho passato che si affaccia nei ter- interminabili pomeriggi avere più senso umano, nell’assenritori scoscesi del contando i miei giorni za totale di amici e di affetti, come nostro cuore è spesso con i cucchiaini di caffè capita talvolta a chi rimane solo ad questa: c’è un rapporto tra la alla ricerca di qualche agosto, può cambiarti la vita. realtà e la lettura? Quando si cosa che è già stato mio» Perché ci dice che la salvezza sta anche nel riappropriarsi di momenti pone questa questione dimentipositivi della nostra esistenza. Riandare alle radici per chiamo molte cose di cui dovremmo fare memoria, ed riscoprire il nostro diritto di essere felici. è probabile che a “ordinarci” la rimozione siano le racE c’è una ulteriore sorpresa che apre un mondo comandazioni – ripetute per tanti anni e generazioni – nuovo, come il coniglio con l’orologio per Alice nel che bisogna essere realisti nella vita, badare alle cose paese delle meraviglie. Quei versi non sono di una concrete. Ma intimamente legato a questa sfera vi è il poesia, ma di una canzone. Segno ne ha parlato lo mondo dei valori, che si estende dalla fede all’etica scorso anno: alcune canzoni sono poesie, altrimenti laica. E questo è un passo avanti, senza il quale non ci sarebbero stati Tenco, De Andrè, Dylan, Cohen, saremmo animali che cercano darwinianamente solo il Battisti-Mogol, De Gregori e tanti altri, nuovi trovatori proprio utile. I due elementi, quello alla corte dei video e delle piazze post-moderne. La della realtà e quello legato ai valori, Leggere, soprattutto canzone era all’interno di un disco del gruppo di rock diventano tutt’uno, grazie all’azione di d’estate, può essere un cammino di guarigione. molti fattori, dall’educazione all’am- italiano, gli Osanna, colonna sonora del film Milano calibro 9, firmata dal grande Luis Enriquez Bacalov biente alle interrelazioni e, i laicisti mi Sapere che un grande (quello della colonna sonora del film Il postino e del scuseranno, all’imponderabile che non autore o uno Concerto Grosso dei New Trolls), e dal duo Baldazzisi può quantificare scientificamente. sconosciuto hanno Bardotti. Ma quelle parole vengono da molto lontano, Non si può rimuovere il fatto che sperimentato le ombre e qui entra in ballo la letteratura che aiuta a vivere. Bibbia, Corano e altri libri abbiano che un attimo prima Perché arrivano da Eliot, dal suo Canto d’amore di J. cambiato radicalmente e realmente la pensavamo essere solo A. Prufrock, dalla sua constatazione di aver “misurato vita di milioni di persone. ed esclusivamente in noi, significa non essere Il fatto è che quello da noi considera- la vita con cucchiaini di caffè”. Tutte e due le composizioni hanno in comune anche una frase ricorrente: to “non reale” ha più influenza sulla più soli. Ecco perché “there will be time”, “ci sarà tempo”, che non è invennostra vita della materia. Una carezza, occorre, ogni tanto, riandare alle radici per un pensiero gentile, una frase, il con- zione di Eliot, ma viene direttamente dalla Bibbia, precisamente dall’Ecclesiaste, il quale ci ricorda che «c’è tenuto di una lettera – oggi chiamiariscoprire il nostro un tempo per nascere e un tempo per morire, un mola mail – un sorriso, la scena di un diritto di essere felici tempo per amare e un tempo per odiare». Se si pensa film, la scoperta che l’autore di un che uno degli inni delle marce dei pacifisti americani romanzo o di una poesia sta attraversando le stesse era Turn turn turn, di Pete Seeger, che cantava come nostre difficoltà, cambiano la vita più di una macchina «per ogni cosa/ c’è un tempo/ un tempo di guerra, un super-accessoriata, di una villa al mare, dei soldi in tempo di pace/ un tempo d’amore e un tempo d’odio» banca. sarà chiaro che le verità delle Parole hanno le loro Sapere, come nel caso dei versi qui sopra riportati, strade per giungere al cuore degli uomini. che un altro ha attraversato il labirinto di un pomerigdi Marco Testi

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sotto i riflettori cent’anni urtiamo inavvertitamente, ed essa si apre». Leggere un libro può essere un cammino di guarigioNon c’è niente da fare: è vero che la bellezza da sola ne. Sapere che un grande autore o uno sconosciuto non è la verità, ma quando nelle parole si sente la hanno conosciuto le ombre che un attimo prima pennascosta, sofferta, solitaria realtà di qualcuno che è savamo essere solo ed esclusivamente in noi, signifistato salvato da una parola e ca non essere più soli. Sono cerca di comunicare quella salsempre più diffusi cammini di Non c’è niente da fare: è vero psicoterapia che adottano che la bellezza da sola non è la vezza anche agli altri, si avvercome metodo essenziale la verità, ma quando nelle parole te il soffio della vita che schiude le sue porte. lettura. si sente la nascosta, sofferta, Il mondo reale è pieno di paroAlcune parole hanno una forza solitaria realtà di qualcuno le scritte che cambiano la vita, spaventosa, capace di risolle- che è stato salvato da una da Agostino di Ippona che rivovarti dagli abissi più profondi parola e cerca di comunicare dove ci si illudeva di non esse- quella salvezza anche agli altri, luziona il suo cammino grazie alla lettura di un passo di San re più trovati. Come scrisse si avverte il soffio della vita Paolo, al grande attore uno che di parole se ne inten- che schiude le sue porte Carmelo Bene che ha sempre deva, Marcel Proust, «a volte, riconosciuto all’Ulisse di Joyce di avergli indicato una proprio nel momento in cui tutto ci sembra perduto, nuova strada, fino a tutti coloro che nelle prigioni, nelle giunge il messaggio che ci può salvare: abbiamo busprivazioni fisiche e psichiche, sui letti di dolore, hanno sato a porte che davano sul nulla, e nella sola in cui g avuto in dono dalla lettura un segno di speranza. ■ si può entrare e che avremmo cercato invano

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Cammino di pace

le altre notizie

Santa Sede e Palestina più vicini. Con un occhio a Israele... n nuovo passo, da parte del Vaticano, sulla via del riconoscimento di Israele e Palestina come Stati indipendenti e sovrani. È l’Accordo globale firmato il 26 giugno scorso tra Santa Sede e Stato di Palestina. L’intesa, che regola la collaborazione tra le due parti e affronta aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina (libertà di azione della Chiesa, giurisdizione, statuto personale, luoghi di culto, attività sociale e caritativa, mezzi di comunicazione sociale e questioni fiscali e di proprietà), è frutto del lavoro di una Commissione bilaterale nata a seguito dell’avvio, nel 1994, dei rapporti ufficiali tra Santa Sede e Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), che già nel 2000 aveva portato a un Accordo di base. Ora il passo avanti, riconoscendo come interlocutore proprio lo Stato di Palestina, «segno del cammino compiu-

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to dall’Autorità palestinese negli ultimi anni e soprattutto dell’approvazione internazionale culminata nella risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu, del 29 novembre 2012, che ha riconosciuto la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite», ha evidenziato mons. Paul Richard Gallagher, segretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati, augurandosi che l’Accordo «possa in qualche modo costituire uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israeliano-palestinese» e che «l’auspicata soluzione dei due Stati divenga realtà quanto prima». Non una novità ma piuttosto conferma di una linea: già altre volte, come nel Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente (ottobre 2010), la Santa Sede si era pronunciata in maniera ufficiale a favore di tale soluzione come via per g la pace e la giustizia. ■

Centro studi Azione cattolica

Convivialità delle differenze. Contributo alla riflessione sul gender nterrogarsi sulla questione “gender”, «sapendo di essere in un contesto ecclesiale e culturale che ha bisogno come l’aria di confronti profondi e seri in grado di divenire un aiuto per donne e uomini coinvolti nell’avventura imprevedibile della vita». Così Valentina Soncini, coordinatrice del Centro studi dell’Azione cattolica italiana, presenta la scelta compiuta dalla presidenza nazionale di Ac – «anche grazie all’ascolto della sua capillare rete di responsabili nonché delle tante sollecitazioni provenienti dal contesto ecclesiale e socio-culturale» – di «attivare un processo» sul tema, riecheggiando l’indicazione di papa Francesco nell’Evangelii Gaudium a «dare priorità al tempo» occupandosi «d’iniziare processi più che di possedere spazi». Per la convivialità delle differenze – un contributo alla riflessione sul gender è il titolo del testo, prodotto dal Centro studi avendo come elemento fondante il «valore delle differenze la cui cancellazione, afferma il Pontefice, è il problema, non la soluzione».

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In questa cornice, prosegue Soncini, si collocano «convincimenti fondamentali» come «la decisività della cura dello stile con il quale procedere nel dialogo su questi temi, nei quali vengono toccate le dimensioni più delicate del nostro essere persone, desiderose di riconoscimento, impaurite dall’esperienza della solitudine, animate dall’anelito di vita e di pienezza», «la promozione della famiglia come unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio, aperti alla vita», nonché «il rifiuto metodologico di posizioni acriticamente ideologiche». Il contributo (che si può richiedere a centro.studi@azionecattolica.it) si propone di attivare o riattivare processi capaci di accompagnare e alimentare una profonda e diffusa mobilitazione culturale nei diversi territori, negli ambiti che si ritengono più urgenti e bisognosi di rinnovate energie morali e intellettuali: i percorsi educativi, la formazione degli g adulti, l’educazione all’affettività e tanti altri temi. ■


E dopo il rincaro delle tariffe, la posta arriva a giorni alterni

Il disservizio colpisce il cittadino che vuole informarsi ella rincorsa a essere sempre più banca, gestore telefonico, rivenditore di gadget e cancelleria, Poste italiane dimentica... la posta. Dopo aver cancellato la consegna a domicilio della corrispondenza il sabato, dopo l’improvviso rincaro – nell’aprile 2010 – delle tariffe per la spedizione dei periodici (che ha pesantemente colpito anche le testate associative), con un servizio troppo spesso costellato da ritardi e disguidi di vario genere, ora è in campo l’ipotesi – ahinoi concreta – di recapitare la corrispondenza a giorni alterni nei “piccoli” centri, ovvero ad almeno un quarto dei cittadini italiani. Con buona parte del principio di uguaglianza, chi abita nelle grandi città riceverà la posta ogni giorno, dal lunedì al venerdì; gli altri solo “a singhiozzo”. Un disagio per tante parti d’Italia acuito dal fatto che, praticamente, sarà la pietra tombale per la consegna in abbonamento postale di tanti giornali che devono arrivare a destinazione in un giorno preciso. Un quotidiano che arriva il giorno dopo (se va bene...) è da buttare, come pure un settima-

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nale diocesano con tutti gli appuntamenti per il fine settimana che, anziché il venerdì, arriva dopo la domenica. Nell’ambito di un disservizio generale, anche Segno e le altre pubblicazioni di Azione cattolica stanno pagando ritardi nelle consegne domiciliari (o addirittura mancate consegne), con problemi segnalatici dai lettori. Non è servito, finora, neppure il monito dell’Unione europea, secondo la quale il servizio postale universale, in quanto tale, va garantito a tutti i cittadini almeno cinque giorni a settimana. Per non parlare del fatto che una situazione del genere potrebbe facilmente portare a un aumento dei disservizi in zone del nostro Paese già gravate da non indifferenti disagi, per esempio per i trasporti o altri servizi essenziali. L’impressione è che, nella rincorsa del mercato, l’unico obiettivo sia l’utile di bilancio, dimenticando che vi sono servizi che vanno garantiti ai cittadini al di là dell’immediato tornaconto economico. Perché rappresentano un diritto di tutti, non un g privilegio di pochi. ■

Povertà? Nel nostro Paese è in via di cronicizzazione

Tutti più poveri. E uno su dieci non mangia in maniera regolare

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cronicizzazione nel nostro Paese, dove nel 2014 il 47% degli Enti non ha segnalato persone uscite dalla condizione di bisogno, percentuale che sale al 57% nelle aree del Sud dove la povertà è quantitativamente più diffusa e più persistente». All’Expo, in due mesi Banco Alimentare ha recuperato, con la Fondazione Cascina Triulzia, oltre 5.000 chili di alimenti, distribuiti alle g strutture caritative milanesi. ■

le altre notizie

na persona su 10, in Italia, vive in una situazione di “povertà alimentare” e non può mangiare in maniera regolare. Tra costoro, 1,3 milioni sono minorenni. Crescono, inoltre, coloro che non possono permettersi un pasto con una componente proteica ogni due giorni: un dato più che raddoppiato dal 2007, passando dal 6% delle famiglie al 14%. A lanciare l’allarme è la ricerca Food Poverty Food Bank. Aiuti alimentari e inclusione sociale, curata da Giancarlo Rovati e Luca Pesenti ed edita da Vita e Pensiero, presentata all’Expo di Milano dalla Fondazione Banco Alimentare. Il 65% degli Enti convenzionati con il Banco ha dichiarato un aumento «moderato» o «forte» dei propri assistiti, in particolare adulti italiani, persone disoccupate, indebitate e separate o divorziate che chiedono di poter ricevere un pacco alimentare. E nel 2014 la principale causa di povertà è stata la perdita del lavoro, relativa all’80% dei casi. «La povertà – rileva Banco Alimentare – sembra una condizione in via di

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tempi moderni

Castenedolo: mamme paladine dell’ambiente

ra coloro che «vorrebbero abbracciare forte forte il Papa per l’enciclica Laudato si’» ci sono dieci donne di Castenedolo (Brescia), meglio conosciute come le “mamme volanti”, come ha dichiarato una di loro, Mara Galanti, al Forum dell’informazione per la salvaguardia del creato, promosso di recente a L’Aquila da Greenaccord. Donne che si definiscono «cittadine reattive» perché «da alcuni anni riflettono su quali strade possibili intraprendere, Le dieci protagoniste di questa impresa sono di età come comunità e come cittadicompresa tra i 40 e i 50 anni ni, verso un futuro migliore». «La nostra storia - spiega una delle e vivono in provincia mamme volanti, Rosa Cerotti – di Brescia. Hanno documentato, con un video nasce dalla preoccupazione per alcuni tagli alle ore di assistenza caricato su youtube, per i diversamente abili nelle come il loro territorio scuole, poi l’attenzione si è sposia devastato da cave, stata alla battaglia contro il discariche, impianti degrado ambientale, visto lo impattanti, che hanno scempio costante subito dal cambiato il paesaggio. nostro territorio sempre più L’obiettivo: stop a nuove compromesso». Le dieci protaautorizzazioni. goniste sono di età compresa Impegno ecologista per tra i 40 e i 50 anni, con diverse tutelare la salute pubblica di Gigliola Alfaro

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esperienze professionali o anche casalinghe, tutte mamme - tranne una - di ragazzi tra i 4 e i 18 anni. Il motore della loro azione, infatti, è «l’amore per i propri figli e per la propria terra». Un volo per aprire gli occhi. «Ci hanno ribattezzato mamme volanti – chiarisce Raffaella Giubellini – dopo il volo che abbiamo effettuato il 9 giugno 2014, con l’aereo di un nostro amico, per vedere la nostra terra da un’altra angolazione e anche per promuovere una sensibilizzazione verso i temi del degrado ambientale. I giovani soprattutto, che sono nati in un ambiente già compromesso, non ci fanno neanche caso. Noi che abbiamo qualche anno in più e abbiamo trascorso l’infanzia in un ambiente meno contaminato, cogliamo la differenza legata alla cementificazione e particolarmente alle cave, alle discariche, agli impianti impattanti, che hanno cambiato il paesaggio». Oramai «siamo assuefatti alle collinette ricoperte di teli verdi, sotto cui ci sono rifiuti di tutti i tipi, inerti, ma anche tossici. Noi siamo circondati da criticità ambientali molto forti e con il video realizzato durante il volo e caricato su YouTube volevamo far vedere alle persone la devastazione del nostro territorio per suscitare anche un impatto emotivo». Giubellini parla degli «immensi cra-


tempi moderni teri che oramai contraddistinguono il paesaggio di una terra che era una delle più fertili d’Europa. Inizialmente sono nate come cave di ghiaia e di materiali per l’edilizia e poi sono diventate discariche. In tutta la provincia abbiamo più di cento discariche autorizzate, a cui si aggiungono altre illegali». Su questo «sta lavorando la magistratura. Da noi la gestione dei rifiuti è uno degli assi portanti anche a livello economico. C’è una pressione ambientale fortissima. Noi l’abbiamo ribattezzata la terra dei buchi». A Berzodemo «ci sono dei rifiuti tossici che sono arrivati dall’Australia», ricorda Cerotti.

Cumulo di rifiuti. «Alcuni pensano che questo è il prezzo da pagare per avere benessere, invece noi riteniamo che ci sia stata anche tanta voracità da parte delle amministrazioni, che hanno beneficiato di compensazioni per la concentrazione di discariche che non ha eguali in Lombardia – sostiene ancora Giubellini –. Basti pensare che noi abbiamo solo nel raggio di dieci chilometri quadrati 14 discariche. Tra l’altro, noi viviamo in una zona sismica. Questo rende ancora più esplosiva la situazione, se consideriamo che la nostra terra è piena di rifiuti». E sul fronte delle malattie? «Stiamo avviando un dialogo con i medici di base, che hanno il polso della storia sanitaria delle comunità – risponde Raffaella Giubellini –. Innanzitutto, vorremmo far comprendere che il campanello d’allarme non deve essere solo l’aumento delle patologie gravissime come quelle tumorali. Crescono, ad esempio, le malattie respiratorie e croniche. Inoltre, non ci sentiamo sicure neppure dei risultati degli studi epidemiologici perché vengono usati strumenti obsoleti. Noi come cittadine abbiamo constatato un aumento dei tumori, tanto che ci sono stati nel nostro paese di 12mila abitanti 4 bambini ammalati l’estate scorsa; tra l’altro, i dati dell’Asl di Brescia non sono nemmeno aggiornatissimi. Ci sono, d’altro canto, medici che si espongono come quelli dell’Isde, ma che sono molto soli quando denunciano correlazioni pericolose». Fare rete. «Per noi non è etico autorizzare tante discariche sacrificando tutto sull’altare del guadagno – prosegue Giubellini –. È necessario ritrovare il rispetto dell’ambiente, altrimenti non cambierà mai niente: la politica e le istituzioni non danno mai risposte e i cittadini sono distratti, ma tutto questo lo stiamo pagando caro». La “mamma volante” racconta il prossimo obiettivo: «Ora stiamo cercando di arrivare a un tavolo di lavoro a livello provinciale che unisca tutte le realtà ambientaliste della provincia di Brescia. Per ora siamo 25 associazioni che hanno iniziato a camminare insieme. Vogliamo fare rete per produrre un manifesto comune per ottenere dalle istituzioni una moratoria contro le nuove autorizzazioni di cave, discariche, impianti impattanti sulla salute. Attualmente ce ne sono altre sette in via di autorizzazione, ma noi vorremmo arrivare a uno stop definitivo perché la nostra proving cia è arrivata al livello di saturazione». ■

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tempi moderni

Quel pentagramma ritrovato l Verdi avrebbe bisogno di cambiare la posizione della mano» sulla tastiera del pianoforte, la qual cosa, a 18 anni «si renderebbe difficile». Poche, inequivocabili parole bastarono nel 1832 a decretare la bocciatura del giovane Giuseppe all’esame di ammissione a quello stesso istituto Con il progetto Afam, entro ottobre che, solo qualche anno dopo, avrebbe 2015 sarà pronto un database, preso il suo disponibile alla consultazione pubblica via internet, contenente nome. Respinto: in parte per la tecnica averi immobiliari, bibliografici, organologici, artistici e archivistici, pianistica già consolidata e in parte perinclusi reperti fotografici ché non c’era posto e materiali multimediali nel dormitorio. dei Conservatori italiani. Parole contenute in Perché l’arte non vada perduta di Livia Ermini

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un carteggio tra insegnati che oggi, insieme al diploma di Puccini, la bacchetta di Arturo Toscanini e altri documenti, costituisce il patrimonio storico artistico del Conservatorio di Milano. Ma, insieme al Verdi, tutti i conservatori italiani sono pieni di spartiti, opere, testimonianze spesso dimenticate e, fino a non molto tempo fa, gestite con superficialità e imperizia. Per evitarne la dispersione è partito il progetto di censimento dell’Afam, la sezione per l’Alta formazione artistica, musicale e coreutica del ministero dell’Università. Di più: entro ottobre 2015 sarà pronto un database, disponibile alla consultazione pubblica via internet, contenente averi immobiliari, bibliografici, organologici, artistici e archivistici, inclusi reperti fotografici, memorabilia e materiali multimediali. Ogni istituzione sta già scegliendo e documentando i beni da inserire nel database perché siano portati alla


tempi moderni conoscenza degli studiosi e dei responsabili amministrativi. L’importanza dell’operazione, infatti, non sta solo nel fatto di rendere pubbliche le informazioni, ma nella possibilità di evitare che, come in passato, molto vada perso o peggio. Che si ritrovi, buttato tra le scope in uno sgabuzziInsomma, un’operazione a tutto tondo che permetterà no, un prezioso contrabbasso di di evitare l’errore, commesso Vincenzo Panormo, liutaio tra i più quotati del ‘700. O che, come a molte volte in passato, Palermo, vengano rubati 25 pezzi di restauri arbitrari e pericolosi che non tengano unici risalenti al 1600 e 1700. Violini, viole, contrabbassi di proprietà conto della delicatezza del Conservatorio Vincenzo Bellini e delle caratteristiche trafugati, probabilmente da personadi alcuni pezzi e di le interno, per alimentare il commerintervenire per assicurare cio di ricchi collezionisti statunitensi. gli strumenti più preziosi Un violino aveva addirittura spuntato e garantirne la fruizione il prezzo di 300mila euro all’asta lonfatta salva l’incolumità dinese di Christie’ s. In lungo e in largo nella penisola il viaggio si snoda tra bellezze di genere diversissimo. Partendo da Venezia che potrà includere l’antico palazzo Pisani, affacciato sul Canal Grande, con le sue pareti affrescate, le tele e

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i decori contenuti. Fermandosi a Napoli, città della musica per eccellenza, dove un museo ben organizzato è attivo da tempo. Nello storico Conservatorio di San Pietro a Maiella sono conservati 200 dipinti dell’800, un ritratto di Paisiello insieme al suo pianoforte, strumenti antichi come l’arpetta di Stradivari, o gli splendidi archi della scuola napoletana di liuteria, il cembalo di Caterina di Russia, i pianoforti di Mercadante, Cimarosa. E come non fare riferimento a Firenze? Dove tra il Conservatorio Cherubini e la Galleria dell’Accademia si è instaurata una fruttuosa collaborazione che le altre istituzioni culturali dovrebbero prendere a modello. L’esposizione dell’antichissima collezione dei granduchi Medici-Lorena., infatti, inaugurata dai primi nove strumenti di Ferdinando de’ Medici, oggi raccoglie oltre 400 esemplari che si possono visitare nelle salette attigue a quella del David di Michelangelo. Pezzi unici come il primo pianoforte esistito, inventato proprio per i Medici da Bartolomeo Cristofori o un rarissimo violino Stradivari. Per trovare una vera curiosità però dobbiamo andare al Rossini di Pesaro dove, fra l’altro, hanno studiato artisti del calibro di Renata Tebaldi e Mario Del Monaco. Qui la storia ha giocato con l’intuizione di un musicologo di fama come Mario Fara. Mentre era bibliotecario del Conservatorio, Fara si fece inviare da un gerarca fascista di stanza in Africa diversi strumenti autoctoni: tamburi, flauti, sistri da Eritrea, Somalia e Tripolitania che, se all’epoca testimoniavano di una Italia coloniale, oggi rimangono come documenti preziosi per la ricerca comparativo tra culture. Insomma, un’operazione a tutto tondo che permetterà di evitare l’errore, commesso molte volte in passato, di restauri arbitrari e pericolosi che non tengano conto della delicatezza e delle caratteristiche di alcuni pezzi e di intervenire per assicurare gli strumenti più preziosi e garantirne la fruizione fatta salva l’incolumità. Soprattutto se verranno superati alcuni limiti dati dall’eterogeneità dei partecipanti. Dal mancato accordo sui metodi tecnici di catalogazione e sull’uniformità delle categorie da inserire, alla disparità del patrimonio tra g Conservatori più e meno antichi. ■

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cittadini e palazzo

Corruzione? Possiamo vincerla intervista con Rocco D’Ambrosio di Gianni Di Santo

orruptia è un comune italiano medio-grande, con un sistema economico-finanziario molto strutturato, culturalmente vivace, con una forte attenzione al benessere dei cittadini. Attraverso un lavoro certosino di analisi dei dati e delle attività nel settore finanziario, ambientale, sicurezza urbana, pubblica amministrazione e controlli, urbanistico e cultura e sport, Rocco D’Ambrosio cerca di comprendere i percorsi di corruzione che vanno al di là del caso di studio e fotografano diversi

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I disonesti di ogni razza si muovono quando intravvedono un volume di affari rilevante. E oggi gli affari si celano anche nel welfare state, nella gestione degli immigrati, oppure fra i servizi sociali: la povertà, paradossalmente, fa fare soldi. «Penso che si debba lavorare sulla formazione delle coscienze – spiega a Segno uno studioso dei fenomeni di malaffare –, su una cultura della legalità che dica ai cittadini che la mafia e la corruzione politica non sono invincibili» 22

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comuni italiani. Corruptia. Il malaffare in un Comune italiano, è dunque un libro, (Ed. La Meridiana – Cercasi un fine, Molfetta, 2014), che si presta a più di una riflessione. Professor D’Ambrosio, il suo studio è stato pubblicato durante l’inchiesta “Mondo di mezzo”, relativa al Comune di Roma, travolto dalla corruzione... Dal 2012, da quando c’è Giuseppe Pignatone a capo della Procura di Roma, tanto è cambiato. Si è cominciato a fare sul serio, visto le sue esperienze antimafia in Sicilia e Calabria. L’ultima inchiesta, “Mondo di mezzo”, quella di cui tutti parlano, non è solo che l’ultima di una serie di inchieste che stanno letteralmente rivoltando la capitale. Innanzitutto c’è stato e c’è un grandissimo lavoro investigativo, realizzato con l’aiuto di Guardia di finanza e delle forze dell’ordine. Poi, ed è quello che ci interessa maggiormente, è una delle prime inchieste che mette in evidenza gli accordi tra mondo della corruzione e mondo della criminalità organizzata, che a Roma viene equiparato alla Banda della Magliana.


cittadini e palazzo Corruzione e mafia insieme? Attenzione. Secondo me è stato fatto un errore da parte di autorevoli commentatori. La corruzione per quanto ne so io non è mafia. La corruzione è solo corruzione, perché hanno codici di comportamenti e comunicazione diversi. L’inchiesta di “Mondo di mezzo” dimostra semmai che i due mondi sugli affari sono contigui. Così continuano a produrre profitti in modo illecito. Però i due mondi si sono saldati, spesso con l’aiuto della politica. Nei sistemi criminali italiani noi abbiamo sempre avuto le trait d’union tra un mondo e l’altro. Se da una parte c’è la regia della corruzione, d’altra parte c’è la regia amministrativa. Quindi c’è sempre qualcuno che lega i due mondi. Non è un elemento nuovo. Io credo che l’evento importante che collega corruzione e criminalità organizzata sia il volume di affari, di denaro pubblico veicolato. Un invito, molto evidente, a dire: «qui c’è da mangiare». I corruttori si muovono quando vedono un volume di affari importante. E oggi gli affari sono, ahimè, il welfare state, quindi la gestione degli immigrati, i servizi sociali... La povertà fa fare soldi.

A lato: don Rocco D’Ambrosio

Ricette per vincere la corruzione? Noto come i giornali si siano appassionati solo al gossip, al racconto della semplice cronaca di questa ondata di nuova corruzione. Manca una seria riflessione a riguardo. Perché realtà sane si sono corrotte? Un’amica giornalista che si occupa di terzo settore ed è coinvolta in una cooperativa, è stata minacciata proprio nel momento in cui ha espresso in un comunicato stampa

che serviva proprio questo genere di riflessione. I delinquenti, d’altra parte, preferiscono che passi presto la bufera. Meno se ne parla, meglio è. Il problema vero è l’assuefazione all’idea che alla corruzione non ci sia scampo, che non possa essere vinta. Ci siamo abituati un po’ tutti. È triste constatarlo, ma è così. E allora come se ne esce? Non con l’inasprimento delle pene. Non serve a niente. Tutti gli studi fatti dimostrano quanto sto dicendo. L’effetto della pena è breve. Invece penso che si debba lavorare sulla formazione delle coscienze, su una cultura della legalità che dica ai cittadini che la mafia e la corruzione politica non sono invincibili. Non lo diceva già Giovanni Falcone? La Chiesa di Roma, ad esempio, ha un pastore come papa Francesco che parla contro la corruzione ogni settimana. Mi auguro che anche la Chiesa di Roma, fedeli e pastori, al più presto possa promuovere un momento di riflessione perché esistono anche responsabilità dei credenti. Qualche altro suggerimento? La rotazione dei dirigenti. E la semplificazione dei processi amministrativi. Questo serve. I corruttori invece vogliono che la pubblica amministrazione sia di suo complicata. Ricordo che un ex sindaco di Roma portò da venti a quattro gli atti amministrativi per ottenere una concessione edilizia. Meno dirigenti a decidere, meno persone da corrompere. La lotta alla corruzione dalla criminalità organizzata passa anche da questi piccoli cavilli burocratici che, ovviamente, non dovrebbero essere così difficili da far assimilare all’amministrag zione pubblica. ■

Identikit

Cercasi un fine, per la formazione all’impegno sociale e politico occo D’Ambrosio è sacerdote della diocesi di Bari ed è stato assistente diocesano per i giovani dell’Azione cattolica. È ordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana (Roma), dove è responsabile della Didattica. Docente di Etica della pubblica amministrazione presso la Scuola superiore dell’Amministrazione del ministero dell’Interno, ha pubblicato diversi saggi sui temi politici. Tra gli ultimi: Il potere e chi lo detiene (2008), con R. Pinto, La malpolitica (2009), Come pensano e agiscono le istituzioni (2011), La storia siamo noi. Tracce di educazione politica (2011), Luoghi comuni. Un tour etico a Roma (2013), con P. Pellegrini, Una Chiesa al passo con i tempi. Riflessioni sul magistero sociale cattolico (2013). Si occupa di formazione all’impegno sociale, politico e nel mondo del lavoro. Dirige il periodico di cultura e politica Cercasi un fine e il suo relativo sito web (www.cercasiunfine.it). Coordina e dirige alcune scuole di formazione all’impegno sociale e politico, a partire dal 2002.

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Famiglia, partire dalla realtà n «nuovo passo» per un «accompagnamento differenziato» delle famiglie, particolarmente quelle ferite e fragili, tramite il «discernimento prudente e misericordioso» e «la capacità di cogliere nel concreto la diversità delle singole situazioni». È l’Instrumentum laboris per la XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, reso pubblico il 23 giugno. Il testo è frutto della “Relatio Synodi” – di cui ampie parti vengono confermate – integrata dalle 99 risposte ai “Lineamenta”, oltre alle 359 osservazioni «inviate liberamente da diocesi e parrocchie, associazioni ecclesiali e gruppi spontanei di fedeli, movimenti e organizzazioni civili, numerose famiglie e singoli credenti», come ha spiegato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, presentando il documento. Conoscere la realtà di oggi. «Per la Chiesa si tratta di partire dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi, L’Instrumentum laboris che tutte bisognose di misericoraccompagna la preparazione del Sinodo di ottobre presenta dia, cominciando da quelle più sofferenti», si legge nel sfide, punti fermi e qualche novità. Scoprire la “vocazione” testo, che si articola in tre parti: l’ascolto delle sfide e il vissuto familiare. L’icona sulla famiglia, il discernidi Gesù che accompagna i discepoli di Emmaus: «A volte mento della sua vocazione, la riflessione sulla sua misoccorre rimanere accanto sione. Tra le sfide da raccoe ascoltare in silenzio; altre, gliere anche quella porsi davanti per indicare dell’«ecologia integrale», la via su cui procedere; altre appena proposta nella ancora, stare dietro per nuova enciclica del Papa, sostenere e incoraggiare»

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per superare «inequità ed esclusione sociale». Ci vuole una «morale della grazia», per far «scoprire e fiorire la bellezza delle virtù proprie della vita matrimoniale» e far passare ai giovani la paura di sposarsi per il timore di fallire. Altra verità da riproporre, quella della “differenza” tra uomo e donna; sulla contraccezione, il riferimento imprescindibile resta l’Humanae vitae. L’icona è quella di Gesù che accompagna i discepoli di Emmaus: «A volte occorre rimanere accanto e ascoltare in silenzio; altre, porsi davanti per indicare la via su cui procedere; altre ancora, stare dietro per sostenere e incoraggiare». Il ruolo delle donne. «Può contribuire al riconoscimento del ruolo determinante delle donne una maggiore valorizzazione della loro responsabilità nella Chiesa: il loro intervento nei processi decisionali»; la loro partecipazione «al governo di alcune istituzioni»; «il loro coinvolgimento nella formazione dei ministri ordinati». È una delle novità dell’Instrumentum, in cui è inserito un paragrafo sul ruolo delle donne. Per le coppie in crisi. «Ampio consenso», tra i padri sino-


famiglia oggi

Veglia di preghiera il 3 ottobre Una “Lettera a chi crede nella famiglia”: a inviarla per chiedere di partecipare alla Veglia di preghiera per il Sinodo, organizzata dalla Chiesa italiana il 3 ottobre prossimo, alla vigilia della fase conclusiva, è l’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei. L’obiettivo è chiamare a raccolta il “popolo cattolico” - l'Ac aderisce - per rispondere all’invito del papa nella lettera scritta alle famiglie alla vigilia della prima fase del Sinodo in vista. Per aderire all’iniziativa è sufficiente convergere in piazza San Pietro a Roma, dalle 18 alle 19.30, oppure accendere una piccola luce sulla finestra della propria casa.

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dali, «sull’opportunità di rendere più accessibili e agili, possibilmente gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale»: una proposta innovativa, in questo senso, è quella di «istituire nelle diocesi un servizio stabile di consulenza», in cui devono essere «garantiti, in maniera gratuita, i servizi di informazione, consulenza e mediazione collegati alla pastorale familiare, specialmente a disposizione di persone separate o di coppie in crisi». Accoglienza per i divorziati risposati. Nessuna esclusione dei divorziati risposati: anzi, «sempre maggiore

integrazione nella comunità cristiana», tramite «cammini» preceduti «da un opportuno discernimento da parte dei pastori circa l’irreversibilità della situazione e la vita di fede della coppia in nuova unione». «Accoglienza» e «integrazione» le due parole-chiave, nell’ottica di «una legge di gradualità rispettosa della maturazione delle coscienze». «C’è un comune accordo – si legge ancora nell’Instrumentum laboris – sull’ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del vescovo, per i fedeli divorziati risposati civilmente che si trovano in situazione di convivenza irreversibile». Alcuni padri suggeriscono «un percorso di presa di coscienza del fallimento e delle ferite da esso prodotte, con pentimento, verifica dell’eventuale nullità del matrimonio, impegno alla comunione spirituale e decisione di vivere in continenza». Quanto alla prassi matrimoniale delle Chiese ortodosse di benedire le seconde unioni, è di per sé «una celebrazione penitenziale», e va intesa «come condiscendenza pastorale nei confronti dei matrimoni falliti, senza mettere in discussione l’ideale della monogamia assoluta, ovvero dell’unità del matrimonio». La “questione” omosessuale. «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». È la posizione della Chiesa sulle unioni gay, ripresa dalla lettera in materia della Congregazione per la dottrina della fede, citata sia nella “Relatio Synodi” che nell’Instrumentum laboris. «Ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società». «Sarebbe auspicabile – è la proposta – che i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di g queste stesse persone». [Sir] ■

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quale Chiesa

Il nuovo umanesimo fa tappa a Firenze a Chiesa italiana si avvia a celebrare a Firenze, dal 9 al 13 novembre 2015, il quinto Convegno ecclesiale nazionale. Il tema scelto, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, intende affrontare le sfide imposte da una società che presenta i segni evidenti di una crisi di natura etica e antropologica che investe il senso stesso della vita, le relazioni con gli altri e con il mondo. Ma, contemporaneamente, vuole fornire una mappa di orientamento al cammino della comunità dei credenti per i prossimi anni. Nella foto: il IV Convegno ecclesiale Il “convenire” da tutte le realtà del paese a Firenze che si è tenuto a Verona, vuole far riscoprire, pur in anni difficili, la «voglia di nell’area della Fiera (ottobre 2006) camminare insieme, di assaporare il gusto dell’essere Chiesa, qui e oggi, in Italia». In questa fatica siamo aiutati anche Manca poco a novembre, dal dinamismo profetico di papa quando la Chiesa italiana si ritroverà nel capoluogo Francesco. Il Convegno, dunque, toscano per celebrare il suo ci chiama a una profonda converquinto Convegno ecclesiale sione per comprendere come possano le comunità cristiane nazionale. Ai laici incarnare gli stili di vita propri di un impegnati è richiesto di vivere “in prima linea” umanesimo integrale che trova nel Vangelo delle Beatitudini il la prossimità, la proprio orizzonte: come rinsaldare partecipazione, il dono e ricucire i legami fragili delle relagratuito verso i fratelli, zioni, intessendo rapporti di prosperché si realizzi il bene simità; come vivere la gratuità, comune e ogni persona l’accoglienza al di là delle ingiustivenga rispettata e promossa nella sua dignità. ficate paure della diversità e degli sterili egoismi. Con coraggio, e osando strategie inedite e creative Nuovo umanesimo. Mettere al

di Franco Venturella

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centro la questione antropologica significa inserirsi in uno scenario reso più complesso da nuovi saperi e da uno sviluppo straordinario delle scienze e dall’introduzione di nuove tecnologie. Ma gli strumenti offerti dalla tecnologia non sempre sono neutri; anzi spesso la scienza si propone come ultima frontiera, pretendendo di fornire la parola definitiva, pur in presenza di zone d’ombra e margini di ambiguità. Man mano, infatti, che la ricerca si approfondisce e va alla radice delle cose, riemerge con sempre maggiore evidenza il mistero dell’uomo, assieme a una profonda e radicale nostalgia di infinito. Di un uomo che si scopre persino “mistero” a se stesso, la cui fragile identità è sottoposta a flussi incessanti generatori di precarietà. In quest’età dell’incertezza invano si cercano rotte sicure, o almeno mappe di orientamento. Per questo motivo, se non si vuole correre il rischio di una progressiva compressione degli spazi di autocoscienza, occorre recuperare quelle dimensioni dell’essere che fanno parte essenziale dello statuto ontologico del soggetto: la libertà della coscienza, il giudizio critico sulle cose, la responsabilità delle decisioni e delle scel-


qualc Chiesa Sopra, il logo ufficiale del V Convegno ecclesiale di Firenze

te, la relazione con se stessi e con gli altri, la creatività, il senso dell’alterità, l’adesione ai valori di solidarietà, fraternità, uguaglianza. Una libertà che sappia coniugarsi con la responsabilità, perché altrimenti si finisce per compromettere il futuro delle nuove generazioni, generando precarietà, inquinamento, distruzione delle risorse naturali ed energetiche, sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In verità, la ricerca di una “libertà che insegue una speranza” si annida nel cuore dell’uomo: è l’aspirazione a una libertà che non delude, all’incontro con l’Altro, a una relazione capace di restituire significato alle scelte e ai gesti quotidiani, inserendoli in un orizzonte di senso. Anche il Vangelo va in questa direzione: «cono-

scerete la verità e la verità vi farà liberi». Proprio per questo, in Cristo il nuovo umanesimo trova il suo fondamento e la sua vera incarnazione. Uno sguardo nuovo. Di fronte alla complessità del mondo e delle sue sfide, al disorientamento e all’impossibilità di utilizzare formule che semplifichino e risolvano i problemi, la comunità è chiamata a guardare, con strumenti e sguardo nuovi, la realtà e a vivere come tempo di grazia l’appuntamento con la storia nella quale Dio ci vuole corresponsabili. La conversione comporta riuscire a vincere la tentazione del ritorno al paese d’Egitto per camminare insieme verso la Terra promessa. Per questo è necessario leggere i “segni dei tempi”, interpretarli con discernimento e agire con coerenza perché i semi di verità, di giustizia, pace, amore, solidarietà possano diventare pianta e dare frutti. Ciò richiede di vivere “in prima linea” la prossimità, la partecipazione, il dono gratuito verso i fratelli, perché si realizzi il bene comune e ogni persona venga rispettata e promossa nella sua dignità. Significa anche percorrere vie nuove, con coraggio e g osando strategie inedite e creative. ■

Proposta educativa, la rivista del Mieac

Riflessione che prepara il Convegno ecclesiale ranco Venturella, già dirigente scolastico provinciale di Vicenza, è direttore responsabile di Proposta Educativa, la rivista curata dal Movimento di impegno educativo di Ac (Mieac). È rivolta a quanti, adulti e giovani, sono educatori nella Chiesa, nella società, in Azione cattolica. Proposta educativa ha dedicato al Convegno di Firenze un intero numero: Germogli di un’altra umanità. Riflessioni educative in preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze 2015. I lettori di Segno nel mondo che volessero ricevere gratuitamente, via mail, una copia digitale del numero, potranno farne richiesta a impegnoeducativo@gmail.com – previa registrazione al sito del Mieac http://www.impegnoeducativo.it/2014/registrati/

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senza confini

Un festival per conoscere l’Africa accontare il volto di un’Africa diversa, più vera, dove non ci sono solo guerre, fame e carestie, con il conseguente esodo di uomini e donne, ma una ricchezza culturale coniugata nelle sue varie forme, dal cinema alla musica, passando per la letteratura e la moda. Senza dimenticare le opportunità commerciali e un patrimonio storico da riscoprire. Sono È arrivato alla sua queste le motivazioni che tredici anni fa, tredicesima edizione nell’estate del 2002, spinsero tre migrane avrà la cantante Fiorella Mannoia come ti africani, provenienti da Senegal, Burkina madrina e testimonial. Faso e Ruanda, incontratesi quasi per caso a Parma, a dare vita alla prima ediSi chiama Ottobre zione del Festival dell’Ottobre africano. africano, toccherà diverse città italiane, Sono passati anni e, da quell’intuizione, è nata una rassegna che quest’anno tocParma ma anche cherà con le sue iniziative non più solo Milano, Roma, Parma ma anche Milano, Roma, Bologna, Bologna, Reggio Emilia, Napoli e Varese. Reggio Emilia, Napoli e Varese. «Mi viene da sorridere se penso a quando presenIl titolo di questa tammo a Parma il primo progetto e non edizione è Saperi e avevamo nemmeno un nome per la sapori e si ricollega nostra iniziativa. Era settembre e l’impieal tema di Expo. Il cibo per valorizzare gata che ci stava seguendo ci disse: perché non lo chiamate Ottobre africano? E l’incontro e la così è stato. Probabilmente se avessimo tolleranza di Michele Luppi

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presentato il progetto in primavera, oggi avremmo il maggio o il giugno africano», racconta con un sorriso a Segno il direttore del Festival, Cleophas Adrien Dioma, scrittore burkinabé. «Allora – continua Dioma – avevamo iniziato a frequentare la realtà di Parma per cercare di evitare di chiuderci in un ghetto di soli africani. Incontrando realtà e associazioni del territorio ci siamo accorti dei tanti preconcetti che circondavano l’Africa e di quante volte si tendeva a omologare tutto, a considerare una situazione di crisi che riguardava un paese o una regione come qualcosa che interessava il continente intero. Da lì è nata l’idea di provare a mettere in mostra quella che era realmente l’Africa, la realtà che noi come immigrati conoscevamo: la sua diversità, la sua ricchezza culturale, la sua storia. Questo era anche un modo per farci conoscere e per far cadere gli steccati che spesso tendevano a dividere gli immigrati dagli italiani. Ci siamo resi presto conto di come questo piacesse, di come si creassero occasioni di incontro e di scambio che permettevano di eliminare i pregiudizi e di uscirne entrambi arricchiti. Avevamo trovato una strada per fare integrazione». Da allora l’Ottobre africano ne ha fatta di strada per arrivare a questa tredicesima edizione che avrà, come già avvenuto negli scorsi anni, la cantante Fiorella Mannoia, come madrina e testimonial. Il titolo scelto


senza confini per il 2015 Saperi e sapori si ricollega al tema di Expo Nutrire il pianeta. Energie per la vita provando a rilanciare il cibo come elemento culturale e di incontro. «Ci piaceva l’idea – continua il direttore – di riscoprire il valore della convivialità e dell’etnicità dei cibi. Organizzeremo una sorta di concorso culinario che toccherà diverse città italiane in cui chiederemo, non solo agli africani, ma a tutti, italiani compresi, di cucinare piatti tipici della propria cultura. Un modo per valorizzare le differenze». Accanto a questo si articolerà il tradizionale calendario di appuntamenti con presentazione di libri, mostre, film, seminari e convegni dedicati all’Africa, alla multiculturalità e all’incontro. «Come per le passate edizioni – continua Dioma – l’idea è quella di puntare sui piccoli eventi, quelli in cui la gente ha maggiore possibilità di interagire e conNelle foto: le precedenti edizioni di frontarsi». Ottobre africano Un’edizione, quella di quest’anno, che arriva in un con la partecipazione di momento delicato e per l’Italia che si trova a confronFiorella Mannoia tarsi con l’aumento dei flussi migratori e con l’immancabile Per informazioni sulla XIII polemica politica sul tema deledizione del Festival l’accoglienza. «Purtroppo – Ottobre africano è possibile spiega Dioma – quando si pensa ai richiedenti asilo che consultare il sito internet arrivano nel nostro paese si finiwww.ottobreafricano.org

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sce sempre per pensare all’Africa, senza accorgersi di come la maggior parte di loro siano siriani, mentre altri arrivano da Pakistan e Afghanistan. Certo ci sono anche eritrei, somali, nigeriani, maliani, ma non bisogna cadere nell’errore di cui parlavamo prima, nella generalizzazione. Quello che noi stiamo tentando di fare è un lavoro culturale di lungo periodo e, siamo convinti, che alla lunga questo darà dei frutti. Questo nonostante politici che cercano di fomentare la contrapposizione a scopi elettorali. C’è un’Italia che guarda verso l’Africa con una prospettiva diversa rispetto a qualche anno fa: non più come terra da aiutare, ma come luogo di opportunità. Credo che la recente visita del primo ministro Renzi in Africa sottolinei questo g cambio di prospettiva». ■

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Il secolo dei genocidi ra le tante etichette che hanno caratterizzato le interpretazioni del ‘900 (il secolo delle ideologie, “armato”, “breve” o, per contrasto, “long century”, etc.), lo storico francese Bernard Bruneteau ha recentemente proposto quella di “secolo dei genocidi”. In gran parte di queste letture decisivo è l’elemento della violenza politica esercitata contro un nemico, esterno o interno, individuato di volta in volta su basi etniche, nazionali, religiose, classiste, ideologiche. In particolare, grazie all’opera del giurista polacco Raphael Lemkin, nel 1944 si è giunti a definire una specifica forma di violenza politica, quella del genocidio. Nella sua elaborazione, Lemkin aveva in mente soprattutto la terribile esperienza del genocidio armeno perpetrato dai turchi. Generalmente le violenze genocidiarie contro gli armeni vengono fatte risalire alla primavera del 1915 ma si tratta di un fenomeno Shoah, armeni. Questi due drammatici eventi radicato nel tempo che aveva trovato una eco nell’opinione pubblica eurodella prima metà del pea sin dall’800, in modo particolare secolo XX non hanno dal congresso di Berlino del 1878 con posto termine ai il quale si provò a dare soluzione ai fenomeni genocidiari. Con la fine della guerra problemi sollevati dalla guerra tra la Russia zarista e l’Impero ottomano. fredda nuovi piani di La mancata soluzione della questione sterminio si sono concretizzati. Dall’Africa armena portò a un aggravarsi delle condizioni sino alla incontrollata esploall’Europa sino alle sione di violenza che raggiunse i suoi attuali condizioni del Medio oriente, massacri, vertici tra il 1894 e il 1896. Nonostante i molti e gravi precedenti deportazioni, pulizie fu solo con il 1915 che si impostaroetniche hanno no le condizioni per un vero e proprio segnato una nuova piano di sterminio degli armeni, con stagione di violenza violenze, deportazioni, massacri. Le ragioni furono, in estrema sintesi, due: la rivoluzione dei giovani turchi che radicalizzò e diffuse il nazionaliNella foto: smo panturco – con i suoi obiettivi di assimilazione e Memoriale dell’Olocausto, omogeneizzazione; lo scoppio della prima Guerra di Kenneth Treiser (Miami, Usa) mondiale, in cui gli armeni vennero identificati come il

di Paolo Acanfora

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nemico interno, poiché sospettati di simpatie per la nemica potenza russa (nei cui territori vi era un’ampia presenza armena). L’esito fu tragico. Gli armeni sopravvissuti apparivano ormai una minoranza in quei territori in cui avevano per secoli rivendicato autonomia e indipendenza. Alcuni di questi elementi si ritrovano in altri eventi genocidiari del XX secolo. Il più noto, è senza dubbio quello degli ebrei. La Shoah ha rappresentato il punto più alto della violenza contro un popolo, considerato


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Per saperne di più

Una infinita mappa del terrore... Genocidio Armeno Luogo: Asia minore, Anatolia. Data: generalmente l’inizio del piano genocidiario si fa risalire alla primavera del 1915. Il 24 aprile è il giorno della commemorazione. Numero di morti: il numero è assolutamente controverso. Le cifre variano molto. Si va dal milione di morti complessivi secondo le fonti turche ai circa 5 milioni secondo le ipotesi armene. Una stima approssimativa ritenuta da molti affidabile calcola più di 2 milioni di morti. Genocidio degli ebrei Luogo: Europa Data: nel caso degli ebrei, l’evento cui si fa riferimento è la Shoah. Un piano di sterminio che inizia con l’affermazione del nazismo nel 1933 in Germania e che ha la sua fase apicale con la cosiddetta “soluzione finale”, generalmente databile tra il 1941 e il 1942. Numero di morti: generalmente si ritiene siano morti tra i 5 e i 6 milioni di ebrei. Genocidio Tutsi Luogo: Africa centrale Data: a partire dall’aprile del 1994 prendono avvio i piani genocidiari da parte degli Hutu contro la minoranza dei Tutsi ma le tensioni tra i gruppi etnici hanno una lunga storia e le violenze risalgono ad almeno trenta anni prima. Numero di morti: il numero complessivo è incerto. Nel punto più alto di tensione tra i gruppi etnici, tra l’aprile e il luglio del 1994, si contano dai 500 mila al milione di morti. Guerre Jugoslave e caso Kosovo Luogo: Europa Balcanica Data: tra il 1991 e il 1995 si combattono delle guerre tra gli ex stati jugoslavi, in cui i due fronti principali furono la guerra serbo-croata e quella bosniaca. Si verificano in entrambi i fronti piani di pulizia etnica. Tra il 1996 e il 1999 la guerra si sposta sul versante kosovaro a maggioranza albanese. Numero di morti: il numero è stato grosso modo definito intorno ai 250 mila morti per le guerre jugoslave, tra i quali si contano dalle 25 alle 100 mila vittime in Bosnia-Erzegovina. Ad essi va aggiunto un numero imprecisato di morti, spesso calcolato tra i 15 e i 20 mila, relativi alla guerra del Kosovo.

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nella visione mitica nazionalsocialista, il nemico per eccellenza, l’impuro elemento estraneo alla nazione tedesca e alla razza ariana che doveva essere definitivamente sradicato. Questi due drammatici eventi della prima metà del secolo XX non hanno posto fine ai fenomeni genocidiari. Con la fine della guerra fredda e dell’ordine tendenzialmente bipolare che essa imponeva, nuovi piani di sterminio si sono concretizzati. Dall’Africa all’Europa sino alle attuali condizioni del medio oriente, massacri, deportazioni, pulizie etniche hanno segnato una nuova stagione di violenza. Dal Ruanda insanguinato dalla guerra etnica condotta tra Hutu e Tutsi (che insieme al minoritario gruppo dei Twa costituivano le diverse etnie presenti sul territorio) sino alle esplosioni della violenza nazionalista nella ex Jugoslavia, con il tragico conflitto tra croati, serbi e bosniaci con le sue propaggini albanesi e kosovare, l’approssimarsi al secondo millennio appariva terribilmente infausto. Il secolo dei genocidi, in realtà, non si concludeva. Le precarie soluzioni trovate al caso ruandese e l’intervento internazionale nei Balcani placarono sul finire del ‘900 i conflitti in corso. Ma la storia dei genocidi è proseguita ed è entrata in modo dirompente nel XXI secondo. La radice è ancora una volta etnico-religiosa. Il terrorismo islamico ha trovato nell’Isis la sua attuale forma più radicale e violenta ed il baluardo identitario antioccidentale ed anticristiano . Ma è anche allo stesso tempo l’espressione di un conflitto infraislamico. Una dinamica che riguarda non solo la zona tra la Siria, l’Iraq, la Turchia (l’area occupata dall’Isis) ma anche l’area caucasica. Le polemiche connesse al centenario del genocidio armeno hanno dimostrato ancora una volta la profonda incapacità di divincolarsi da letture politiche ed ideologiche della storia. Il negazionismo, la minimizzazione e la banalizzazione dei conflitti, l’imposizione di “narrazioni” guidate da esigenze istituzionali rappresentano il miglior viatico per una drammatica ripropog sizione dei fenomeni genocidiari. ■

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faccia a faccia con l’Enciclica

Laudato si’, o mio Signore

di Giorgio Osti*

enciclica Laudato Si’ rappresenta l’ennesimo segno della capacità di papa Francesco di parlare un linguaggio che può essere capito da chiunque. Non è una pura dote comunicativa, ma una sensibilità che si è affinata nei suoi anni di pastore ai confini del mondo. È una sensibilità che scorga dalla sua fede mista a

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Un’enciclica per tutti, cristiani e non. Papa Francesco abbraccia il mondo, l’ambiente, il clima, chiedendo ai suoi residenti rispetto e benedizione. Il contributo base riguarda la teologia della creazione. Con i suoi significati di cura, dono, riposo, riconoscenza essa fornisce straordinari motivi a sostegno di un urgente impegno da parte di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Perché sia festa in cielo e in terra 32

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un singolare modo di interpretare l’uomo contemporaneo. Dote straordinaria, vera benedizione dal cielo e motivo di grande gioia per i cristiani che sentono di avere un portavoce che arriva al cuore della gente. Qualcuno confonde questa sensibilità con eccessiva accondiscendenza con il mondo, una volontà di piacere, dopo decenni di incomprensioni e qualche scandalo. Sbagliato. Se si legge l’enciclica, ci si imbatte subito in un’opera che non banalizza i problemi, che non nasconde le incongruenze, che non indulge a facili moralismi. È un lavoro lungo, 246 capoversi, a volte anche con rimandi tecnici che lasciano stupiti, tanto è riuscito il papa, evidentemente aiutato da persone sagge, a parlare di ecologia con la precisione dell’esperto.


faccia a faccia

con l’Enciclica

Questa mia non è una guida alla lettura. Per altro ve ne sono già diverse in rete, testimonianza di reazioni che stanno emergendo in ogni parte del mondo (l’Ave ha appena pubblicato un’edizione commentata da esperti, a cui rimandiamo per un approfondimento; vedi box, ndr). A buon diritto, perché il papa salta nelle citazioni da un episcopato a un altro, dando così risalto alle Chiese locali e non solo alla dottrina dei suoi predecessori. Vorrei invece mettere in luce la struttura narrativa. L’enciclica è come la costruzione di una piccola torre, che aggiunge solidi argomenti (mattoni) fino ad arrivare a una prospettiva nitida, ampia e integrale sull’ecologia; una costruzione che negli ultimissimi mattoni posati (numeri 243246) esplode con il registro del meraviglioso e gonfia il petto di speranza. L’enciclica tratta con grande equilibrio le tante dicotomie tipiche dell’ecologia. In primis, la contrapposizione fra uomo e ambiente. Rifugge dalle due tentazioni tipiche della modernità: il dominio assoluto del primo sul secondo o la fusione totale, la completa immersione di uomini e donne nelle interdipendenze degli ecosistemi. Entrambe le posizioni sono irrealistiche e dannose: il dominio non può essere assoluto e inoltre produce molti side-effect indesiderati; la fusione con la natura non rispetta le differenze e l’autonomia dei soggetti. La risposta dell’enciclica è duplice: da un lato riconosce un lieve primato all’uomo, una sorta di antropocentrismo dolce (la cura dell’ambiente), dall’altra, indica un metodo, che va sotto il nome di approccio relazionale.

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Un atteggiamento autentico verso la natura tiene conto delle relazioni fra gli uomini, delle relazioni uomo-natura e anche delle relazioni con Dio. Armonizzandole, tenendo conto dei feed-back e della reciprocità, si costruiscono equilibri più alti, più consoni verrebbe da dire, alla natura trinitaria della fede cristiana. Qui emerge la laicità di un’enciclica che chiaramente vuole parlare a tutti, credenti e non credenti, seguaci di altre fedi. Il papa affronta il problema ribadendo che la tecno-scienza – questo il termine che usa e che appare più corretto attualmente – è parte integrante dell’umanità; è essa stessa una manifestazione della bellezza del vivere. Quindi, nessun atteggiamento pregiudizialmente contrario. Ma neppure accettazione acritica di tutto ciò che in fin dei conti deve essere strumento, sempre al servizio di un’armonica relazione con l’ambiente, l’uomo e Dio creatore. Per farsi un’idea di come il papa cerchi un difficilissimo equilibrio trinitario si guardi a come tratta il tema degli organismi geneticamente modificati. Sicuramente, ha scontentato fautori e critici degli ogm, ma la strada è quella tracciata nell’enciclica (dialogo). Non tratta l’energia nucleare; per la quale fornisce però una risposta indiretta. Non siamo contrari alle tecnologie più sofisticate e aggiungerei io “irreversibili”, ma se c’è una via più semplice perché non privilegiarla? Se il sole è disponibile in larga parte del globo perché non aguzzare il nostro ingegno in quella direzione per l’approvvigionamento energetico invece di usare sostanze che creano dominio e inquinamento? Una seconda dicotomia che l’enciclica cerca appassionatamente di superare è quella fra giustizia sociale e ambientale. Qui i toni si fanno categorici ed emerge tutta la sapienza accumulata nei barrios delle città latino americane. Il mondo è spartito male prima ancora che per il reddito per l’accesso ai beni primari, cibo, acqua ed energia. Guarda caso sono anche quei beni che stiamo depauperando in nome del profitto, assurto a fine ultimo dell’agire umano. Il messaggio dell’enciclica è chiaro: non può esservi tutela dell’ambiente senza una redistribuzione forte, decisa fra chi ha e consuma molto e chi rischia ogni giorno di morire di fame e sete. Rispetto alla giustizia ambientale – fattore che anima le lotte in molte parti del mondo – il papa dimostra di superare un’altra delle tipiche dicotomie occidentali: quella fra impegno personale e cambiamento politico.

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faccia a faccia con l’Enciclica

L’Enciclica in pillole

Perché questa terra e questo creato hanno bisogno di noi he tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: a che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra».

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(estratto dal punto 160 dell’Enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune)

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*Giorgio Osti, La stagione degli stili nella foto a pag. 32, di vita ci ha conseè sociologo gnato un efficace dell’ambiente e del mandato: i microterritorio dell’Università cambiamenti della di Trieste vita quotidiana, la sobrietà, la temperanza, la riduzione dei consumi servono alla causa ambientale. Danno senso allo sforzo personale, spingono per un’autentica conversione ecologica. L’enciclica ha parole di fuoco contro il consumismo esasperato; cita la derisa decrescita, nobilitandola. Tutte queste micro-azioni hanno senso compiuto solo se si accompagnano a una vigorosa azione politica su scala regionale, nazionale e mondiale. In tal senso, un intero capitolo viene dedicato all’educazione ambientale, vista dai fautori del conflitto a tutti i costi come una inutile perdita di tempo. Lo è se non accompagnata da azioni micro di contenimento dei propri consumi e da azioni macro sulle scale istituzionali prima menzionate. Questa multiforme azione trova alimento in una fede. È questo il valore aggiunto dell’enciclica rispetto a un


faccia a faccia

con l’Enciclica

Una pubblicazione Ave

Abiterai la terra: commento a Laudato si’ enciclica Laudato si’ di papa Francesco sta suscitando molta attenzione nell’opinione pubblica. I temi in essa contenuti fanno parte del vivere quotidiano. Se l’uomo si oppone al ritmo della natura e del creato, il mondo va incontro a disastri ambientali e a uno sviluppo economico non corretto. Per riflettere su questi temi l’Ave pubblica Abiterai la terra, un testo promosso dall’Azione cattolica italiana (a cura di Giuseppe Notarstefano, vicepresidente nazionale di Ac ed economista) che raccoglie commenti qualificati intorno ai temi sollevati dall’enciclica Laudato si’. Una pubblicazione che vede diversi contenuti (Beatrice Draghetti, Flaminia Giovannelli, Fabiano Longoni, Luigi Alici, Sandro Calvani, Pablo Canziani, Luigi Fusco Girard, Giuseppe Notarstefano, Gianmaria Polidoro, Stefano Zamagni, Matteo Truffelli), per dire ancora una volta quanto il “cantico delle creature” di papa Francesco sia una risposta molto concreta ai temi dello sviluppo, dell’ambiente e della salvaguardia del creato. Una risposta e uno stimolo che vengono offerti all’attenzione di fedeli, agnostici e non credenti, nella convinzione che cielo e terra non appartengono solo a Chiese e religioni.

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onesto e preciso manuale di ecologia. Questo può essere proposto con garbo anche ai non credenti. Il contributo base, certamente già patrimonio dei movimenti cristiani più attenti all’ambiente, riguarda la teologia della creazione. Con i suoi meravigliosi significati di cura, dono, riposo, riconoscenza essa fornisce straordinari motivi a sostegno di un urgente impegno verso la tutela, rivolto, mi ripeto, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Ma è il finale dell’enciclica e se vogliamo il nostro futuro che ci interpella e ci dà speranza allo stesso tempo. Capoverso 214: «Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo». Ogni briciola del nostro impegno trinitario sarà occasione di g festa qui e in cielo. ■

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sulle strade della fede

Nosate: l’antico oratorio di Santa Maria in Binda ià nel Duecento, lungo la direttrice del Naviglio grande che con le sue acque provenienti dal Ticino mette in comunicazione il lago Maggiore con Milano, sono documentati numerosi oratori campestri, che nella maggior parte dei casi affondano le proprie radici in epoca longobarda; anche la loro dedicazione può essere un indizio a suffragare tale ipotesi, come pure i ritrovamenti archeologici avvenuti su territorio durante tutto il Novecento. Uno di questi è proprio la chiesetta di Santa Maria in Binda di Nosate - il più piccolo Comune della Provincia di Milano - della quale vi è una prima attestazione scritta attorno al 1289, contenuta nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani dove l’autore, Goffredo da Bussero, redigendo un inventario delle chiese e degli altari della diocesi ambrosiana, cita una ecclesia sanctae Mariae nel luogo di Noxate. Poi, fino al 1566 non vi sono altri documenti. In realtà la ridipintura settecentesca di due ex voto del Cinquecento, colma un vuoto di informazioni: la data degli affreschi riportata nel cartiglio è, infatti, quella del 1512. Nel documento del 1566 il reverendo Francesco Cermenate, delegato per la visita pastorale, affermava che la chiesa era immersa nei boschi e “picta cum pluAffreschi ed ex voto rimis imaginibus beatissime in una piccola chiesetta Virginis Marie”. Di pochi in terra lombarda. anni più tardi è la pianta delInteressante l’intera l’edificio, allegata agli atti di lettura iconologica degli Visita di San Carlo affreschi che conduce Borromeo, mentre un docuil credente alla capacità mento del 1581 ribadisce di “ben morire”, attraverso che l’oratorio si trovava “in una serie di simboli magni nemoris medio”, cioè e di giochi di sguardi nel mezzo di un grande tra la Vergine, il Bambino bosco, la porta non era e l’osservatore di Paolo Mira

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chiusa e vi entravano sovente anche gli animali. Posta prima sotto la giurisdizione di Castano e poi di Turbigo, solo nel 1586 l’arcivescovo Gaspare Visconti istituiva ufficialmente la parrocchia di Nosate: piccola, povera, ma indipendente. Ancora nel 1720 la situazione era di estrema necessità tanto da non consentire di tenere accesa la lampada del Sacramento. A partire dal 1726, però, si registrava una svolta, grazie al concreto interessamento dell’abate Gaspare Visconti, fratello del feudatario locale Scaramuzza Visconti. In questi anni l’oratorio subiva rilevanti modifiche: si costruiva il nuovo presbiterio, veniva realizzato l’affresco della Nascita di Maria, alzati mura perimetrali e tetto, aperte nuove finestre e un ingresso più ampio. Dimenticata l’etimologia del termine “binda”, proveniente dalla lingua longobarda a significare “striscia di terra tra i boschi”, si iniziò a pensare alla “benda”, cioè fascia - quelle utilizzate appunto per “fasciare” i neonati - e, da qui, anche il passaggio della dedicazione da Maria addolorata a Maria nascente. Per tutto l’Ottocento si assisterà, infine, alla lunga diatriba tra il collerico parroco Eugenio Sironi e la casa nobile Litta-Borromeo circa il possesso dell’oratorio, risolta solo nel 1915 dalla contessa Elisa Borromeo che, con atto notarile, lasciava alla fabbriceria parroc-


sulle strade della fede Nelle foto: la chiesetta di Santa Maria in Binda con alcuni dei suoi affreschi

chiale la proprietà dell’edificio. Entrando nell’antica chiesetta, si notano subito due ex voto settecenteschi, riproducenti altri analoghi soggetti di datazione cinquecentesca. Sia i cartigli parlanti, sia i tondi raffiguranti la grazia ricevuta a sinistra e l’immagine implorata a destra, oltraggiano i sottostanti affreschi, dei quali però ancora si apprezzano le fattezze.

Nel cartiglio a sinistra si legge la volontà di Carlo di Nosate (Corvolo de Nossa) di far dipingere le figure al Magistro Gio Maria de Lione della Castelanza il 26 giugno dell’anno 1512. Il ciclo pittorico comprende nel registro superiore della parete sinistra una teoria di Vergini in trono, tra cui tre (o forse quattro) Madonne del Latte, sovrastanti una rara e interessante “danza macabra”; sulla parete di destra il racconto evangelico presenta l’adorazione dei pastori e dei magi, il compianto su Cristo morto, un galeone in acque tumultuose, simbolo della Chiesa, seguito da Santo Stefano protomartire; nel registro inferiore le opere di misericordia, tra cui ben leggibile un pellegrino romeo. L’intera lettura iconologica degli affreschi conduce il credente alla capacità di “ben morire”, attraverso una serie di simboli e di giochi di sguardi tra la Vergine, il Bambino e l’osservatore. Senza mai venire rappresentata, la figura temibile di Satana viene sottintesa da elementi di forte valenza simbolica per la protezione del cristiano dalla nefasta influenza del Male, qual ad esempio il corallo, la cicogna, le acque tumultuose. La “danza macabra” ricorda, invece, all’osservatore la caducità di tutte le cose terrene e l’impossibilità di un pentimento dopo la morte. Ecco allora che gli esempi da seguire vengono suggeriti dalle opere di misericordia e dal primo martire Stefano, santo invocato anche per una “buona morte”, quasi a confermare che la piccola chiesa campestre fu pensata proprio per proteggere i fedeli da una morte improvvisa, che non lascia g tempo al pentimento. ■

Come arrivare a Nosate L’antico oratorio di Santa Maria in Binda, situato nella parte inferiore di Nosate, è facilmente raggiungibile in auto utilizzando l’autostrada A4 Torino-Milano, uscendo al casello Marcallo-Mesero, quindi imboccare la Strada Statale 336 Boffalora-Malpensa fino all’uscita Castano sud e proseguire lungo la Provinciale direzione Novara; dopo circa svoltare a destra seguendo l’indicazione Nosate. Alla Statale 336 è collegata anche l’autostrada A8 Varese-Milano. L’oratorio di Santa Maria in Binda è visitabile tutti i giorni della settimana. Per ulteriori informazioni, approfondimenti sulla storia e sul ciclo pittorico cinquecentesco che orna l’edificio o per richiedere (nei fine settimana) una visita guidata alla chiesa si rimanda g al sito internet: http://gruppostoricodonbossi.altervista.org. ■ I 082015

Santa Maria in Binda


spazio aperto

■ Giovani di Ac, sempre

■ Italiani e democrazia

Caro Segno, domenica 31 maggio scorso ha avuto luogo a Mondovì, presso la parrocchia del Sacro Cuore, un riuscitissimo convegno di ex soci delle associazioni giovanili di Azione cattolica “Sant’Agnese” e “Contardo Perrini”. Oltre un centinaio di ragazzi e di ragazze che negli anni ‘40, ‘50 e ‘60 del “secolo breve” hanno vissuto intensamente gli ideali dell’Ac si sono ritrovati per trascorrere insieme una giornata di preghiera, di incontri e di festa. Dopo la santa messa ha interpretato per tutti il clima spirituale della giornata il professor Francesco Marocco, con un intervento che fa testo nella gloriosa storia del laicag to cattolico monregalese. ■ Rocco Leuzzi, Torino

Gentile redazione, ho letto delle riforme della scuola italiana. E poi della questione greca, degli immigrati, della fame e povertà nel mondo (Expo aiuta a suo modo a riflettere). Mi domando solo se qualche volta noi italiani – pur nel chiaroscuro della politica nostrana – sappiamo apprezzare ciò che

abbiamo. Soprattutto se riconosciamo il valore essenziale e costante della democrazia, quella vera, che ti consente di tenerti una classe politica se ti va, o di cambiarla se agisce male o in maniera non confacente alle sfide attuali. Grecia, migrazioni, Europa, ... g dovrebbero farci riflettere. [...] ■ Rosa Bistri, Teramo

segue da pagina 1 - editoriale In questa chiave di lettura, il Consiglio nazionale ha confermato, «con convinzione, l’impegno dell’Azione cattolica a promuovere e ad accompagnare lungo tutte le stagioni della vita, attraverso i cammini ordinari nelle comunità, i bambini e i ragazzi, i giovani e gli adulti ad andare dentro di sé e a scoprire che la misura dell’amore, come diceva San Bernardo, è amare senza misura, e tutti». Si tratta, di fatto, di «continuare a investire sul tema educativo, costruendo ogni giorno relazioni significative e formando le coscienze». Sono solo alcuni assaggi: il rimando al testo integrale è semplicemente l’invito a gustare una riflessione ben più ampia ed esigente. Convegno di Firenze - Educare ancora. Ugualmente denso il testo apparso su Dialoghi. «Se un’associazione come l’Azione cattolica ha un compito in relazione al Convegno – vi afferma il presidente – esso consiste in primis nel lavorare per fare in modo che non si risolva tutto nell’adozione di un ennesimo slogan: “il nuovo umanesimo” e “le cinque vie”, per intenderci, in luogo della “pastorale integrata” e degli “ambiti”», parole d’ordine dello scorso Convegno ecclesiale di Verona. «Si tratta invece di fare il possibile per contribuire a mettere in moto un processo che, in continuità con il cammino indicato dal Concilio e scandito in Italia dal succedersi dei convegni ecclesiali, aiuti la Chiesa a ripensare se stessa nella logica del

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Vangelo. Per divenire sempre più Chiesa estroversa, amante dell’uomo come il suo Signore, preoccupata unicamente della possibilità che ogni uomo trovi la pienezza alla quale è chiamato e che non smette di cercare». Per l’associazione si tratta di «una grande sollecitazione a ritrovare il cuore del proprio impegno formativo». Il che vuol dire accompagnare le persone a «trovare nella relazione al Signore la radice della propria umanità, perché maturino un atteggiamento di responsabilità che è nel riceversi come dono e nella capacità di farsi dono». Per questa via l’Ac, fedele alla sua “vocazione” e creativa nell’interpretarla nel tempo nuovo, torna a rimboccarsi le maniche per «alimentare e far crescere quella testimonianza di fedeltà alla pienezza dell’umano che deve impregnare di sé la vita di tutta la comunità ecclesiale». Testimonianza «da lasciar trasparire nella vita delle comunità e, al tempo stesso, nell’ordinarietà dei gesti dell’esistenza quotidiana di ciascun credente». Appunto: abitare nell’umano ed essere nella chiesa con una fedeltà che dev’essere quanto meno pari alla capacità di innovare, di cambiare, di procedere in avanti. C’è il dovere e il gusto di tornare nei box per un pit-stop, una revisione e un cambio gomme. Per poi riprendere la corsa. Gianni Borsa


Testi: il pensatoio - Illustrazioni: Francesca Assirelli

Qual è la casa sicura?

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l Parabole n co

Questa è la storia di due uomini che vogliono costruire la propria casa. Il primo uomo la costruisce sulla sabbia pensando che sia più facile scavare: è orgoglioso d’averla finita così in fretta! Ma comincia a scendere la pioggia, a soffiare il vento e la casa crolla. L’altro uomo la costruisce sulla roccia; è un posto sicuro. Scava con fatica nella roccia e alza la casa. Quando comincia a cadere la pioggia e a soffiare il vento la casa resta salda. Luca 6,46-49

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orizzonti di Ac

Per l’Ac è tempo di “andare” i alzò e andò in fretta: lo slogan del prossimo anno associativo racchiude in sé tutte le coordinate su cui l’Azione cattolica è chiamata a muoversi nei prossimi mesi. Il secondo anno del triennio è, infatti, l’anno dell’andare: andare incontro all’uomo nella concretezza della vita quotidiana, animati da una passione per la città, come sottolineato anche negli Orientamenti per il triennio. Maria, si alza e sceglie di “andare” verso la città. Lei porta dentro di sé la “buona notizia” e incarna il motivo della gioia con il Magnificat. Maria diventa icona del cammino che Dio compie, attraverso di lei, verso la città. A partire da questa attenzione alla città e al territorio, si snoda il cammino associativo, con lo sguardo fisso ad alcuni importanti appuntamenti della Chiesa che si svolgeranno in autunno: il Sinodo ordinario sulla famiglia nel mese di ottobre e il Convegno nazionale ecclesiale di Firenze nel mese di novembre. All’interno di questo quadro, la Presidenza nazionale ha scelto, nel secondo anno del triennio, di incontrare tutti i presidenti parrocchiali, per continuare quel percorso iniziato con l’incontro con papa Francesco del 3 maggio 2014, con particolare attenzione alle conUn anno di lavoro intenso, con alcune coordinate precise: segne del papa, alle indil’attenzione e il sostegno alla cazioni dell’Evangelii gaudium e alla riflessione in promozione dell’Ac, alla atto sulla nostra identità formazione e alla cura dei associativa per tradurre responsabili educativi e associativi. E l’attenzione alla sempre meglio la scelta missionaria. società civile e al bene Gli incontri saranno particomune, e al modo in cui colarmente legati ai terriabitiamo le nostre città e i tori: questo il senso dei 16 nostri paesi. Voler bene al momenti regionali che proprio paese per servire vedranno impegnata la meglio la Chiesa universale

di Carlotta Benedetti*

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Presidenza da ottobre 2015 a giugno 2016, per mettersi in ascolto e dialogare con tutti i presidenti parrocchiali d’Italia, per farci raccontare il bello che la nostra associazione oggi può fare, per condividere le fatiche e le speranze di chi vive con passione l’impegno a servizio della Chiesa. Sarà l’occasione per conoscere e raccogliere in un “Libro bianco” le esperienze più significative delle diocesi: un modo per valorizzare le buone prassi delle associazioni diocesane e per raccontare quanto di bene l’Azione cattolica è oggi capace di fare. Sarà il modo per rendere i presidenti parrocchiali protagonisti della storia dell’Ac, riscoprendo l’importanza e il valore di quei luoghi associativi dove cresce e si sviluppa la nostra scelta democratica. Sarà il momento per le presidenze diocesane per interrogarsi sul modo in cui abitano il territorio, su come promuovono l’Ac nei vari contesti della vita quotidiana e su come vivono il rapporto con il collegamento regionale. Sarà infine l’occasione per le delegazioni regionali per verificare il cammino fatto e ripartire con più slancio, a partire già dall’incontro di fine settembre dedicato proprio al livello regionale. Si apre quindi davanti a noi un anno di lavoro intenso, che offre sin dall’inizio alcune coordinate precise: l’attenzione e il sostegno alla promozione dell’Ac, a parti-


orizzonti di Ac

Bologna

L’Ac ricorda il card. Giacomo BIffi «Amore infinito per la Chiesa diocesana» i è spento l’11 luglio a Bologna il card. Giacomo Biffi. Teologo, catecheta – suoi i “corsi inusuali di catechesi” al Veritatis splendor, centro culturale della Chiesa di Bologna da lui voluto come “frutto permanente” del Congresso eucaristico nazionale del 1997 – e uomo dal giudizio chiaro e deciso. Nato a Milano il 13 giugno 1928, era stato parroco e docente nei seminari milanesi prima di diventare, nel 1976, vescovo ausiliare della diocesi ambrosiana, allora guidata dal card. Giovanni Colombo. Poi, nel 1984, la nomina ad arcivescovo di Bologna (e, nel 1985, la porpora cardinalizia), diocesi nella quale restò fino al dicembre 2003, quando si ritirò dopo il compimento dei 75 anni. «In ogni istante della sua vita il nostro arcivescovo ha testimoniato la sua fede nella forza del messaggio evangelico»: così lo ricorda l’Azione cattolica bolognese, memore dell’«acutezza intellettuale», come pure della «severità con cui a volte ha esortato l’Ac a essere più attiva e meno contemplativa». «Sempre, nelle sue parole – prosegue Donatella Broccoli Conti, presidente diocesana di Ac –, si percepiva l’amore infinito per la sua Chiesa bolognese, radicata in un territorio difficile, spesso lontano dall’annuncio del Vangelo ma proprio per questo ancora più bisognoso di essere raggiunto da una parola diversa da tutte le altre, o meglio da un “fatto”, come il card. Biffi ha sempre ricordato: l’incontro con il Signore Gesù, che cambia la vita di chi è capace di aprirgli la porta del suo cuore».

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re dalle nostre parrocchie, riscoprendo il senso dell’identità associativa, anche in vista dei 150 anni dell’associazione; l’attenzione alla formazione e alla cura dei responsabili educativi ed associativi; l’attenzione alla società civile e al bene comune, a cui più volte ha richiamato anche il papa, e al modo in cui abitiamo le nostre città e i nostri paesi; l’attenzione alla Chiesa universale. Siamo quindi chiamati ad andare, ad uscire per riscoprire sempre più il nostro essere Chiesa missionaria: ci aiuterà in questo anche l’esempio del testimone scelto per il secondo anno del triennio, Alberto Marvelli, giovane riminese che ha concepito tutta la sua vita «come dono d’amore a Gesù per il bene dei fratelli» (Giovanni Paolo II, omelia in occasione della beatificazione). C’è una missione, dunque, che attraversa lo spazio e il tempo: parte dalla “casa” luogo intimo e quotidiano dove “accade la salvezza”, come ci testimonia Maria, e attraversa le strade andando incontro all’altro e facendo memoria delle grandi opere del Signore nella nostra vita e nella storia. In questo anno l’Ac è chiamata a percorrere quelle strade, che porteranno in tante parti d’Italia, per essere un’associazione davvero missionaria, che racconta la buona novella spinta dalla gioia del Vangelo. * segretario generale di Ac

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orizzonti di Ac

Marco Cè, il patriarca con il vocabolario dell’“Ac” arco Cè arriva patriarca a Venezia ai primi di gennaio del 1979 da Roma, lasciato l’incarico di assistente generale dell’Azione cattolica; di quell’Ac che, attraversato il Concilio, muoveva i suoi passi sulle tracce del rinnovamento concretizzatosi nella riforma dello Statuto nel 1969 durante la presidenza di Vittorio Bachelet; dell’Azione cattolica della scelta religiosa. Una sola richiesta aveva avanzato preparandosi a venire a Venezia: che fosse individuato un sacerdote che, per un primo limitato periodo, potesse accompagnarlo e introdurlo alla conoscenza della diocesi per il tempo necessaA un anno dalla morte rio a individuare il suo segretario. del cardinale, che fu La scelta cadde su don Valerio Assistente generale Comin, allora assistente dei giovani dell’Azione cattolica dell’Azione cattolica diocesana: dal 1976 al 1978, non per requisiti “ideologici” quanto la diocesi di Venezia ne ricorda il tratto umano perché – e ancor più in quei tempi – vivere l’associazione significa e l’azione pastorale

di Silvia Madricardo

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conoscere e percorrere la diocesi in lungo e in largo. La scelta fu così indovinata che don Valerio è rimasto con il patriarca da quel momento in poi. Ma al di là di questi elementi biografici, l’azione pastorale del patriarca Cè ha la caratteristica di tenere alto un profilo diocesano “ordinario”. L’azione in diocesi. Ciò significa in primo luogo una maggior strutturazione della curia funzionale a una migliore articolazione della pastorale; risalgono al suo arrivo a Venezia l’organizzazione di uffici pastorali, la sistematica stesura e pubblicazione di un piano pastorale condiviso con il presbiterio e con il laicato e la costituzione di un Centro pastorale diocesano Secondo elemento: l’avvio di iniziative per la formazione del laicato che potessero dare sostanza vera ad un radicamento spirituale teso alla vita, in prosecuzione con le intuizioni e le indicazioni conciliari; sono figlie di questa visione di Chiesa l’avvio della scuola di preghiera per i giovani; la realizzazione dei gruppi di ascolto che ancor oggi costituiscono un tessuto diocesano di ascolto ordinario della Parola e di radicamento nel Signore; la ristrutturazione della Casa di spiritualità diocesana al Cavallino. Terzo: l’attenzione ai poveri e agli ultimi che si è resa concreta nella realizzazione di alcuni centri di ospitalità per poveri, tossicodipendenti, malati terminali, ragazze madri e altre situazioni di sofferenza e fragilità personale. Quarto punto: l’affetto e la cura spirituale e culturale per i sacerdoti a lui affidati: «Ho amato molto i miei sacerdoti: essi hanno portato anche il peso dei miei limiti», scrive nel suo breve testamento spirituale, «Ho ringraziato il Signore per il loro amore». Pluralità è ricchezza. Nessuna particolare “corsia preferenziale” a priori né per l’Azione cattolica né per alcun movimento, nella convinzione che la pluralità è ricchezza per la Chiesa; ma al contempo un forte radicamento in questo orizzonte di Chiesa che cammina nella storia e dalla storia e dal Signore è interrogata e chiamata a rispondere. In questo contesto, e per la sua specifica vocazione a


orizzonti di Ac

Pastore, testimone e guida, definiva l’Azione cattolica «una proposta semplice in sé ma impegnativa»; ed esortava a essere «un laicato cristiano consapevole e responsabile, pienamente partecipe della vita di tutti gli uomini»

A lato: il card. Marco Cè. Sopra, con l’Ac diocesana alla X Assemblea, e, sotto, in un campo famiglia di Ac nel 1982

collaborare all’azione pastorale e, in uno, per la forte affinità nella visione ecclesiale e complessiva, l’Azione cattolica diocesana ha costituito una parte significativa dello “zoccolo duro” di queste iniziative: non solo “prestando persone” al servizio della carità e della formazione; non solo dialogando con il presbiterio per un discernimento corale rispetto alla Chiesa e alla città; ma ancor più facendo naturalmente propria questa prospettiva e riconoscendosi in essa. Espressioni come “apostolato dei laici” e “scelta religiosa” hanno assunto per molti uno spessore vitale proprio in questo contesto. Nessuna corsia preferenziale; ma la presenza di un pastore-testimone e guida, come amava ripetere; non

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mancava di passare per un incontro ai campi scuola diocesani; non mancava alla celebrazione dell’Eucarestia in momenti importanti per la vita dell’associazione; non ha mancato di effettuare scelte forti anche per l’Azione cattolica: nella sinergia con la pastorale ordinaria che orientava la nomina dei sacerdoti assistenti; nella decisione nel 1982 di sostenere la ripartenza della Fuci che considerava strumento pastorale prezioso al servizio della formazione dei giovani nella prospettiva conciliare di dialogo anche culturale con il mondo. Definiva l’Azione cattolica «una proposta semplice in sé ma impegnativa»; ed esortava a essere «un laicato cristiano consapevole e responsabile, pienamente partecipe della vita di tutti gli uomini». È del 2003 la sua ultima “visita ufficiale” all’Azione cattolica italiana, in occasione della Assemblea straordinaria (12 settembre); nel corso della veglia di preghiera così si esprimeva: «L’Azione cattolica ha la peculiare chiamata alla missionarietà e anche la vocazione alla santità; tessendo la propria storia quotidiana nella famiglia, nella professione e nei più svariati ambiti di vita e del territorio essa deve aprire con la sua presenza ed il suo impegno tali ambiti alla speranza della resurrezione di cui ogni credente emana le energie… Tutto questo l’Azione cattolica è chiamata a fare con il genio del pensare e dell’agire in modo associativo, che è un modo particolarmente ecclesiale di pensare e di agire. Esso porta con sé la grazia di una singolare efficacia propria della comunione tra fratelli di fede. Comunione vissuta attorno al proprio vescovo partecipando alla sua sollecitudine per l’annunzio del vangelo, arricchendo l’intera comunità con il contributo proprio dell’esperienza di chi vive ed opera nel cuore del g mondo». ■

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ieri e domani

Il fascino dell’oltre i è spento a 102 anni Arturo Paoli. In molti, a caldo, hanno provato a catturarne il profilo sempre in movimento attraverso un’istantanea fulminante che provasse a racchiudere il senso della sua esistenza. Lo sforzo, tradotto nelle più disparate qualifiche, si è rivelato vano. Fratel Arturo, in vita come in morte, non si è lasciato mai incasellare dentro le genealogie rassicuranti solo per chi sta, appunto, fermo. Nella Premessa a un dialogo con Francesco Comina, pubblicato nel 2005 con il titolo non casuale Qui la meta è partire, il piccolo fratello del Vangelo, rievocando le mura della “sua” Lucca come se stesse sulla soglia della morte, aveva scritto: «Il partire raccontato a queste mura pare in certi momenti il rifiuto di un bene che non troverai altrove. In altri il tradimento di una responsabilità che trasmette la prossimità troppo prossima verso gli abitanti di questa grande casa. Queste sensazioni si sono rinnovate in me quando mi sono ritrovato ad attraversare spazi paurosamente immensi come Buenos Aires, Santiago, San Paolo, New York. Nonostante tutto, è troppo forte lo Paolo Trionfini stimolo a partire: il fascino dell’oltre, che queste mura è direttore dell’Isacemsembrano vietarti quasi severamente, diviene irresistibiIstituto per la storia dell’Azione cattolica le». In questa folgorante chiusa, è condensato l’itinerario e del movimento biografico di Paoli, che ha attraversato, nel senso etimocattolico in Italia Paolo VI logico del termine, esperienze anche contradditorie, riuscendo ad andare sempre «oltre». Nato a Lucca nel Nella foto in basso: 1912, dopo la laurea in Lettere, nel 1937 entrò nel fratel Arturo Paoli seminario della diocesi toscana, ricevendo l’ordinazione sacerdotale tre anni dopo. Il ripudio della guerra che segnò l’inizio del suo ministero accanto ai giovani come assistente della Giac, lo spinse, durante l’occupazione nazista, a prodigarsi per la salvezza degli ebrei. Per questa sua attività nel Si è spento a 102 anni fratel 1999 ricevette da Israele il titoArturo Paoli. Una vita spesa lo di «giusto tra le nazioni». Nel 2006 gli fu conferita anche la ad annunciare il Vangelo medaglia d’oro al valor civile nelle terre più lontane e dal presidente della Repubblica sempre a fianco dei più italiana Carlo Azeglio Ciampi. poveri. I suoi libri e i suoi Notato per le sue qualità, Paoli insegnamenti sono oggi fu chiamato nel 1949 a Roma un lascito importante per come viceassistente centrale credenti e non credenti

di Paolo Trionfini

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della Giac. Il ramo giovanile dell’Azione cattolica, prima sotto la presidenza di Carlo Carretto, poi sotto quella di Mario Rossi, grazie anche al suo contributo intraprese un coraggioso processo di rinnovamento per recuperare un timbro più spirituale nelle sfide che interpellavano particolarmente le giovani generazioni. Le aperture, che sollecitavano al distacco dall’esposizione politica dell’associazione, provocarono un dissenso con il presidente nazionale Luigi Gedda. La crisi toccò l’apice nel 1954, provocando le «dimissioni» dell’intero gruppo dirigente della Giac. Durante un viaggio oltreoceano come cappellano degli emigranti italiani in Argentina, incarico a cui era stato nel frattempo destinato, Paoli maturò la vocazione che lo spinse ad entrare nei piccoli fratelli di Charles de Foucauld. Durante il noviziato a El Abiodh, in Algeria, incontrò di nuovo Carretto, che aveva compiuto la stessa scelta. Nel 1957 aprì una fraternità a Bindua, condividendo la vita dei minatori dell’Iglesiente. Nella stessa logica, si iscrive l’esperienza successiva in Argentina, dove fu inviato nel 1960. L’opzione preferenziale per i poveri, affinata nell’effervescente clima del post-concilio attraverso la teologia della liberazione, lo rese inviso alla dittatura, che lo inserì nella lista dei «ricercati». Fratel Arturo si spostò allora in Venezuela, continuando la sua lotta accanto agli «ultimi». Come responsabile della comunità fondata da René Voillaume per tutto il continente, ebbe modo di conoscere a fondo il potente «fascino», per riprendere la sua espressione, dell’America Latina, immedesimandosi nelle sue aporie. Nel 1987 si trasferì in Brasile, animando progetti sociali di riscatto dalla «condizione di marginalità» della popolazione del barrio di Boa Esperança. Dopo diversi soggiorni prolungati in Italia, risiedendo a Spello, che lo portarono ad animare incontri sulle tematiche più brucianti che «intristivano» progressivamente il paese, il piccolo fratello del Vangelo tornò definitivamente a Lucca una decina di anni fa. Sollecitato a più riprese a riannodare i fili della sua movimentata esistenza, fratel Arturo non cessò di elevare, come la definì, una «lezione di amore»: «Su queste parole io spero, con tutto me stesso, che si alzi, come un segnale luminoso di pace, un pensiero che sappia collocarsi nelle spiagge assolate di un’etica del volto concreto, finalmente libera dall’assillo di un mondo delle idee lontano dal nostro, slegato dal corpo e dalla vita feriale che si muove nelle g periferie della terra». ■


chiesa e carità

8Xmille

In un altro mondo: i 4 vincitori Dopo un mese di volontariato e lezioni sul campo, la vita di alcuni giovani non sarà più la stessa. Tra i premiati 2015 anche un’educatrice di Azione cattolica di Maria Grazia Bambino

a Conferenza episcopale italiana in collaborazione con Caritas Italiana ad aprile aveva lanciato la seconda edizione del progetto In Un Altro Mondo, per contribuire ad avvicinare i giovani al mondo del Vangelo vissuto attraverso l’aiuto al prossimo. Il premio messo in palio consisteva in un mese di volontariato, equivalente a un corso “universitario” di solidarietà da dedicare agli ultimi, ai dimenticati, ai più fragili della terra residenti negli slum di paesi poveri e lontani. Anche qui sono arrivati i fondi

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dell’8xmille, a sostegno delle opere che ospiteranno i finalisti di questo “concorso” dove si vince lavoro e sudore. Ricompense immediate e molto gratificanti verranno distribuite direttamente nei luoghi di missione. Consistono in carezze, sorrisi, abbracci e lacrime di gioia. Lo assicurano i primi 4 volontari partiti lo scorso anno e che hanno dichiarato, al rientro in Italia, di avere arricchito il proprio curriculum. Pochi giorni fa sono stati scelti dal Servizio promozione della Cei – insieme a Caritas Italiana – i 4 ragazzi che partono tra agosto e settembre. «Dopo il succes-

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so del 2014, siamo ancora più motivati ad offrire esperienze controcorrente. Questo progetto di comunicazione mira a controbilanciare gli “effetti speciali” di una cronaca superficiale che oggigiorno cattura le persone a una esteriorità dietro la quale non c’è nulla», ha dichiarato Matteo Calabresi, responsabile del Servizio promozione sostegno economico. «Quindi chiederemo ancora una volta ai 4 giovani che partiranno la capacità di scrutare gli avvenimenti oltre le apparenze, per coglierne l’essenziale e colmare il vuoto di valori e contenuti spesso presente nel nostro quotidiano vivere». Tra i vincitori 2015 anche un’educatrice di Azione cattolica: Marta Moscardi di Lumezzane (Brescia), terapista di neuro e psicomotricità infantile, ha vissuto un anno come volontaria con il servizio civile in Tanzania. «Ho partecipato al concorso Cei – spiega – per la nostalgia dell’esperienza africana. Con il diario, in video e post, che invieremo sul sito www.inunaltromondo.it, vorrei mostrare i troppi pregiudizi sulla povertà: nel Terzo mondo essa non impedisce di vivere felici, tutti sono grati anche per le piccole cose, in un modo che noi, nei paesi sviluppati, non riusciamo più ad assaporare». Ad agosto lo farà dalla Little Home of Nazareth per l’infanzia di Manila, nelle Filippine (nella foto). Gli altri finalisti sono: Giovanni Ceccarelli di Mombaroccio (Pesaro-Urbino). Laureato in ingegneria energetica, vive a Bologna e lo aspetta la casa Cvm - Comunità volontari per il mondo, tra bambini orfani o in difficoltà, a Debre Marcos, una cittadina della Regione Amhara in Etiopia; Miranda Ventrella di Foggia, aspirante etologa, in partenza per la Casa della Provvidenza di Calcutta in India, che accoglie bambine di strada; Remark Temali, nato a Bra (Cuneo) di origini albanesi, andrà invece in Kenya presso il centro Kivuli dell’associazione Amani per i minori di Nairobi. In questi mesi, dunque, seguiamo i loro racconti all’ing terno dei progetti 8xmille su www.inunaltromondo.it. ■

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perché credere

6/Rimanere nella preghiera liturgica

La staree pregare

bellezza

di Tony Drazza

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di

insieme

essere i fratelli nella fede a completare le mie parole gosto di qualche anno fa. È un lunedì, ore quando io ne sono a corto. 16.00, in una parrocchia molto assolata del Poi, mentre penso e ripenso alla frase di quella donna Salento. E il caldo “salentino” non permette (che ringrazio perché mi ha riaperto un mondo in cui molte attività e tiene in casa le persone... ridare senso alle cose che ritenevo scontate), mi si Dopo aver aperto la chiesa, e mentre comincio a schiude dinanzi una realtà che spesso, forse per abisistemare alcune cose per la messa, mi accorgo che tudine, avevo lasciato correre. nel frattempo è entrata una donna che vedo “rapita” Preso dai miei pensieri, leggo questo passo di padre dalla sua preghiera. Ha gli occhi fissi sul bel crocifisRupnik: «La liturgia dei cristiani non è un luogo dove so dietro l’altare. Io continuo a sbrigare le mie faccensi va a chiedere, dove si va a strappare qualcosa a de; provo a mettere ordine dopo il passaggio dei Dio come controparte, non è il luogo dove ci accaragazzini del Grest del mattino. Mentre vado su e giù parriamo qualcosa che garantisca il domani; la liturper la chiesa, allineo le sedie e ogni tanto volgo lo gia è soprattutto il luogo in cui si rende grazie, il sguardo verso la donna. La vedo pregare prima in luogo dove, insieme, consapevoli di essere stati ginocchio e poi seduta, vedo i suoi occhi inumidirsi e amati da Dio, esprimiamo la gioia di questa esperienil volto che esprime la sua profonda fede. È assorta za, la gratitudine, la consapevolezza di avere un Dio nella preghiera. vicino. E lo diciamo ringraziando nella gioia e nel A un tratto la donna mi chiede di parlare. Mi siedo canto; lo diciamo soprattutto accanto a lei e, anticipandola, le nell’Eucarestia, che significa domando come mai sia lì. E mi bru- L’assistente nazionale precisamente rendere grazie, cia con una risposta che avevo sen- per il settore Giovani dire grazie, come espressione tito altre volte: «Vengo a pregare in presenta la sesta tappa della accoglienza del dono che Chiesa quando non c’è nessuno, del cammino spirituale abbiamo ricevuto». perchè la preghiera fatta con gli altri dell’anno che ruota mi distrae». attorno al verbo rimanere Questo «luogo dove insieme» mi entra nel sangue e non mi Colpito e affondato. (indicato da papa Cosa significa «gli altri mi distraggo- Francesco all’Ac assieme abbandona più. Ognuno di noi ha bisogno di un luogo e di no»? E allora tutta la vita di Gesù ad andare e gioire). parole per vivere. Luoghi diverche punta sulla comunione dei cuori «Ogni momento della si e parole del cuore che pere la bellezza dello stare insieme? E preghiera liturgica mettono di entrare in relazione. quel «se due o tre sono riuniti nel dovrebbe dare la mio nome là sono io» dei Vangeli, possibilità a ciascuno di E allora anche il “rimanere” che fine fa? intrecciare la Parola con diventa un modo nuovo per Non mi do tregua. Gli altri non mi la propria vita, il silenzio “rivedere” il mio luogo e le mie parole che, nella preghiera, possono distrarre dalla mia preghie- con le parole, il proprio ra – penso –, anzi dovrebbero cuore con il cuore di Dio» riservo a Dio.

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perché credere

Ma per permettere questo scambio di doni è necessario che la nostra vita diventi terra accogliente. Che sia pronta e disponibile ad accogliere la vita dell’altro, permettendo inoltre che Dio mi parli attraverso il cuore della persona che mi è vicina

Rimanere e trovare Dio nella preghiera liturgica significa riscoprire la bellezza di pregare insieme; riscoprire l’ebbrezza di avere vicino un’altra persona, perché con le sue parole e la sua presenza la mia preghiera si completa. Rimanere per incontrare Dio nella preghiera liturgica significa fare l’esperienza della gratuità. Sperimentare che Dio si avvicina a ciascun uomo e a ciascuna donna nella sua situazione di vita e per tutti conserva una parola di benedizione. Nessuno può ritenersi fuori da questo dono gratuito e continuo da parte di Dio. Ma per permettere questo scambio di doni è neces-

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sario che la nostra vita diventi terra accogliente. Che sia pronta e disponibile ad accogliere la vita dell’altro, permettendo inoltre che Dio mi parli attraverso il cuore della persona che mi è vicina. D’altro canto la preghiera liturgica deve essere “preparata”. Chi per servizio è chiamato alla guida della comunità dovrebbe avere a cuore la preghiera nella comunità. Ogni momento della preghiera liturgica dovrebbe dare la possibilità a ciascuno di intrecciare la Parola con la propria vita, il silenzio con le parole, il proprio cuore con il cuore di Dio. Perché davvero con il cuore pieno di gioia possiamo comprendere appieno che «dove due o tre sono uniti nel mio nome...». Lui, il Dio della vita, è presente. E g questa è la nostra gioia. ■

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la foto PUÒ ESISTERE L’EUROPA SENZA LA GRECIA?

LA “CASA COMUNE” È, ALLO STESSO TEMPO, RESPONSABILITÀ E SOLIDARIETÀ





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