Il Calciatore Gennaio-Febbraio 2020

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l’intervista

di Pino Lazzaro

Portiere e capitano dell’Inter

Samir Handanovic: impegno, serietà, dedizione Fine gennaio, Inter lì nella parte altissima della classifica. I meriti di Conte, una “scossa” un po’ a tutto l’ambiente. Incontro allora con Samir Handanovic, portiere e capitano nerazzurro. Lui che spulciando in rete è dietro solo all’inarrivabile Buffon nella classifica dei giocatori in attività con più presenze in Serie A. Già, un portiere davanti a un altro portiere. Primi complimenti dunque a Samir, che non possono che continuare visto quel suo possibile/probabile record legato ai rigori parati, dato che ora come ora (fine gennaio 2020) nella apposita classifica è in testa, appaiato a Pagliuca, a quota 24. Le statistiche ci dicono che ne ha così parati 24 su un totale di 79: facendo il conto siamo al 30% e non è certo poco. Bravura, preparazione e pure, dalla sua, probabilmente proprio questa sua ben conosciuta fama di para rigori che di sicuro qualche preoccupazione in più la dà al rigorista di turno, come dire insomma che con lui sembrano magari un po’ più lunghi sti famosi 11 metri. Tanti e tanti anni qui da noi: impressionante e significativa – per capire di che pasta è fatto – la media presenze con cui ha viaggiato da quando (a Rimini, in B ed era il… 2006/2007) è entrato in pianta stabile da titolare fisso. Ebbene, dopo Rimini, tra Udinese e Inter la media-presenze è superiore a 36 a stagione. Ancora complimenti, per forza. Samir, come tutto è cominciato? “Anch’io da bambino, lì vicino a casa, giocando con gli altri bambini del quartiere. Sempre poco lontano c’era e c’è tuttora un club, lo Slovan, credo siano adesso in Terza o Quarta Divisione, allora erano conosciuti soprattutto per il settore giovanile. Ho cominciato ad andarci che avevo 7-8 anni, a cominciare

dai 10 s’era bel tempo s’andava anche in bicicletta, assieme in quattro-cinque, non era lontano, un paio di chilometri. All’inizio non giocavo in porta, stavo fuori, lo stesso quando si giocava calcio a cinque e non facevo comunque solo calcio, anche basket e pallavolo. È stato più avanti, sugli 11-12 anni, che sono andato in porta ed è stata quella una scel-

ta mia e l’ho fatta vedendo mio cugino Jasmin Handanovic, più grande di me di 6 anni, lui faceva il portiere, pure lui è venuto a giocare in Italia (con Mantova ed Empoli; ndr)”. Fare il calciatore era “il sogno” da bambino? Con gli occhi di adesso pensi di averne fatti di sacrifici? Se c’è, uno più grande degli altri? “Sì, ce l’avevo anch’io quel sogno che hanno tanti bambini, per dire anch’io lì a riempire l’album delle figurine e la mia grande fortuna è stata comunque che i miei genitori mi hanno educato insegnandomi il valore dei sacrifici, intesi come impegno e costanza: lavorare duro è l’unico mezzo che conosco per raggiungere un risultato o traguardo. Con mia moglie, spero d’insegnarlo adesso anche ai miei figli”. Dura magari andar via da casa? “Io ci credevo nel calcio e quella chiamata per un provino con l’Udinese infine arrivò, mi avevano visto nell’Under 19 e nell’Under 20 della Slovenia. Per quel che riguarda i miei a casa, in fondo non è nemmeno servito chiedere loro cosa pensassero, ero abbastanza grande per decidere e ho deciso: sono andato. Il calcio italiano lo seguivo e la mia fortuna è stata quella di andare lì a Udine: c’era tutto, giocatori forti, staff e preparatori forti. M’hanno insomma aiutato a crescere, ho trovato delle persone perbene che mi hanno dato dei consigli preziosi ed è stata insomma un’esperienza di crescita importante. Specie i primi tempi, quando mi capitava di essere in una giornata un po’ storta e qualcosa mi mancava, facevo in fondo presto, Udine non è molto lontana da Lubiana, sono 170 km, non sono proprio tanti, anche in questo sono stato fortunato”. E la scuola? “In Slovenia è un po’ diverso che qui,

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