ASA Magazine Anno 2 – Numero 8 – Novembre 2018 – Rivista bimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Autunno d’oro per il Prosecco DOC
Una vendemmia memorabile e un avvincente calendario di attività
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ASA MAGAZINE n. 8 / 2018 – Novembre 2018 – Rivista Bimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N. 8 / NOVEMBRE 2018 Rivista Bimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore.asamagazine@asa-press.com
Redazione Centrale e Editing
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Comitato di Redazione e Controllo
Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero
Roberto Rabachino, Paolo Alciati, Carmen Guerriero, Jimmy Pessina, Gladys Torres Urday, Silvana Delfuoco, Giovanna Turchi Vismara, Franca Dell’Arciprete Scotti, Enza Bettelli, Settimia Ricci, Nicoletta Curradi, Paola Piovesana, Redazione Centrale.
Per la fotografia
Jimmy Pessina, Carmen Guerriero, Archivio GmbH, Archivio Slow Food, Archivio Vallese.
Sommario EDITORIALE Essere costretti a chiedere aiuto per mangiare a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
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APPROFONDIMENTO Autunno d’oro per il Prosecco DOC a cura di Redazione Centrale ASA
Il Vermouth, il prestigioso vino aromatizzato torinese apprezzato in tutto il mondo di Paolo Alciati
Amarone, Valpolicella e piatti d’autore di Carmen Guerriero
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TURISMO NAZIONALE Burano, il rosso esagerato di un tramonto di Jimmy Pessina
Imparare dalle piante a cura di Gladys Torres Urday
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TURISMO INTERNAZIONALE Algarve, la California d’Europa di Jimmy Pessina
Carinzia: dove il relax è d’obbligo di Silvana Delfuoco
La magia dell’inverno nel Vallese di Franca dell’Arciprete Scotti
Colmar, città d’arte e capitale dei vini d’Alsazia di Giovanna Turchi Vismara
Paradisi sull’acqua di Franca Dell’Arciprete Scotti
44 50 56 62 68
AGROALIMENTARE NAZIONALE
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Cappone, oca, tacchino: la tradizione sulla tavola di Natale di Enza Bettelli
Il Radicchio di Chioggia IGP celebra 10 anni: storia, eccellenze e biodiversità di uno splendido territorio di Carmen Guerriero
Dalla cura delle anemie alle diete dimagranti, la carne di cavallo ne ha fatta di strada! a cura di Settimia Ricci
NEWS DALL’ITALIA
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Terra Madre Salone del Gusto 2018 a cura di Gladys Torres Urday
Abruzzo, la Regione più accogliente d’Italia a cura della Redazione Centrale
L’andamento dell’economia agricola e le aziende agrituristiche in Italia a cura di Redazione Centrale
LIFE FRANCA, parte dal Trentino il progetto europeo per prevedere le calamità naturali di Nicoletta Curradi
Superfood e alimenti funzionali: tutto a “La salute nel piatto - Medici e chef a confronto” a cura di Paola Piovesana
NEWS DAL MONDO
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Conferenza della Vigna e del Vino a cura Redazione Centrale su dati OIV
Essere costretti a chiedere aiuto per mangiare Nonostante la timida ripresa economica che ha caratterizzato gli ultimi anni, crescono in Italia le persone che vivono in povertà assoluta. La realtà è tremenda e non è degna dei nostri principi e della nostra cultura.
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dati Istat ci dicono che nel 2017 gli Italiani in povertà assoluta sono 1 milione e 778 mila di famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui.
L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%). Due decimi di punto della crescita rispetto al 2016 sia per le famiglie sia per gli individui si devono all’inflazione registrata nel 2017. Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005. Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208 mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord. L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%). A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della
povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%). Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%. Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente). Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016. Si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza raggiunge il 34,5%, con forti differenziazioni sul territorio (29,3% al Centro, 59,6% nel Mezzogiorno). Contro la povertà si attiva la solidarietà con molte organizzazioni attive nella distribuzione degli alimenti, dalla Caritas Italiana al Banco Alimentare, dalla Croce Rossa Italiana alla Comunità di Sant’Egidio. E si contano ben 10.607 strutture periferiche (mense e centri di distribuzione) promosse da 197 enti caritativi impegnate nel coordinamento degli enti territoriali ufficialmente riconosciute dall’Agea che si occupa della distribuzione degli aiuti. Roberto Rabachino Presidente Nazionale ASA
Autunno d’oro per
il Prosecco DOC a cura Redazione Centrale ASA
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e il mese di settembre per il Consorzio del Prosecco Doc è stato caratterizzato dalla magia del cinema, ottobre è stato più incline allo sport e all’arte con eventi glam che si sono alternati alle tante iniziative
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più specificamente legate all’enogastronomia. Le attività promozionali non conoscono sosta nemmeno in agosto e il ricco calendario estivo ne ha offerto ampia dimostrazione come con il Festival Show, rassegna canora che attraversando le principali città della
Denominazione ha toccato i 250.000 spettatori in una serie di concerti dove il Prosecco Doc, sponsor ufficiale della manifestazione, ha trionfato sul palco, nei camerini e soprattutto tra il pubblico verso il quale ha portato messaggi di valore sociale.
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Con una vendemmia memorabile per qualità e quantità, nel rispetto dei pronostici elaborati dal Consorzio, l’autunno 2018 è avanzato a passi di danza alternando con nonchalance la propria presenza da un evento all’altro in un
crescendo di visibilità. Al Lido di Venezia la presenza del Prosecco Doc non poteva passare inosservata nei luminosi spazi dell’Hotel Excelsior gestiti in collaborazione con Regione del Veneto per la 75^ MOSTRA DEL CINEMA. Una
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presenza non stop di 10 giorni subito seguita dal SOLE LUNA DOC FESTIVAL che quest’anno ha inaugurato con successo la sessione ‘cinema in cantina’ e dall’EDERA FILM FESTIVAL: due manifestazioni di grande respiro internazionale che
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hanno scelto Treviso come headquarter e che vedono nel Prosecco Doc il partner principale, proprio a significare la grande importanza che il Consorzio guidato da Stefano Zanette riconosce a questa forma di espressione. Così, mentre infuriavano le inutili polemiche sul presunto esubero di produzione delle uve atte a Prosecco – prestamente sbugiardate dai fatti - arriva ottobre con un calendario di attività di tutto rispetto. Nel mondo dello sport si sono tenute le fasi conclusive del WSBK che nella tappa francese di Magny Cours ha visto incoronare per la quarta volta Jonathan Rea
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con il titolo di campione mondiale. Per festeggiare il recordman assoluto della Super Bike, il Prosecco, sponsor ufficiale del campionato e sincero ammiratore del campione, ha realizzato una bottiglia formato Jeroboam con etichetta speciale da stappare sul podio. Particolarmente meritevole di nota la BARCOLANA 2018 che nella sua 50^ edizione ha inanellato una serie incredibile di primati: la regata velica più partecipata del mondo quest’anno ha registrato ben 2.689 iscrizioni, includendo per la prima volta la più bella barca in assoluto, eccellenza e orgoglio made in
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Italy: l’Amerigo Vespucci alla quale è stato affidato il colpo di cannone che ha dato l’avvio alla gara impreziosita quest’anno da uno spettacolare passaggio delle Frecce Tricolori. La regata, vinta per la terza edizione consecutiva dalla triestina ‘Spirit of Portopiccolo’, ha contato sul Prosecco Doc come sponsor ufficiale della 50^ edizione a bordo dell’Ancilla Domini con la quale ha conseguito un onorabilissimo 8° posto assoluto. A bordo dell’imbarcazione: l’armatore Andrea Illy, il presidente Stefano Zanette, Anna Scafuri del TG1, Beppe Sala sindaco di Milano, Roberto Arditti e Adua Villa esperti di comunicazione. Alla 50^ Barcolana il Prosecco DOC è stato
presente anche nelle sacche di tutti i circa 2700 partecipanti alla regata e in un salottino all’interno del Salone degli Incanti dove le bollicine hanno sottolineato buona parte dei 400 eventi di particolare rilievo organizzati in città per il cinquantesimo. Ha inoltre partecipato a ‘Barcolana Chef’ l’evento enogastronomico che il 10 ottobre, anticipando la regata, ha animato Piazza Unità, cuore di Trieste. In questo contesto il Prosecco Doc si è visto abbinare al Baccalà Tre Colori, proposto dallo chef Franco Favaretto. La serata si è conclusa con un’importante asta benefica al cui ricavato, destinato all’ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste, hanno contribuito anche le tre bottiglie magnum di Prosecco
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DOC edizione speciale Barcolana 50 realizzate per l’occasione per essere destinate al miglior offerente. Il Presidente del Consorzio del Prosecco, Stefano Zanette, appena conclusa la regata dichiarava: “Barcolana è una grande festa della terra e del mare a cui ogni anno il Consorzio del Prosecco partecipa con grande soddisfazione. È stata una competizione particolarmente emozionante. Siamo infatti orgogliosi di questo 8^ posto assoluto tra tanti giganti della vela, conquistato grazie all’impegno di un equipaggio tutto nuovo e molto giovane, condotto da Stefano Cherin. Fa sempre molto piacere constatare l’accoglienza che il pubblico riserva alla nostra imbarcazione – sottolinea
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Zanette - tanti sorrisi e applausi spontanei. Grazie a tutte le persone che tifano per la nostra imbarcazione e ci dicono: siete la nostra barca”. Tra le iniziative del mese d’ottobre che hanno tenuto gli
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uffici del Consorzio sotto pressione, scorriamo l’elenco degli appuntamenti promozionali più particolari, in scena all’interno dei confini e all’estero. A Palazzo Caracciolo, nel cuore di Napoli dal 16 ottobre
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2018, Prosecco Doc coprotagonista dei #PIZZAWARD, i cui finalisti erano stati svelati lo scorso 11 settembre a Roma. Nella
Da sinistra, #PIZZAWARD - Il presidente Stefano Zanette, Alessandro Scorsone e il direttore Luca Giavi.
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competizione, con giuria presieduta da Anna Scafuri, sono stati annunciati i vincitori delle diverse categorie. Grande fermento autunnale anche in Germania per un ottobre all’insegna delle bollicine Doc. A partire dallo ‘STADT LAND FOOD FESTIVAL BERLIN’, di fatto il più grande festival tedesco di cibo e agricoltura sostenibile che, con i suoi 100.000 visitatori, dal 6 all’ 8 ottobre ha visto il Consorzio Prosecco Doc insieme a SCHLUCK (uno dei maggiori wine magazine tedeschi) in un grande mercato coperto nel cuore di Berlino, dove si sono alternati laboratori tematici e sessioni di discussione per dimostrare che il cambiamento nel rispetto dell’ambiente e della salute è possibile. Tema dell’evento: good food for everyone, buon cibo per tutti. Il Prosecco DOC, in qualità di “vino democratico”, si inserisce perfettamente in questo leitmotiv. La comunicazione si è sviluppata secondo le tematiche di understatement e below the line. Il concetto creativo dell’evento è stato basato sulla manifestazione, la protesta e la street art: “combattere” per garantire buon cibo per tutti. Gli espositori sono stati invitati ad osservare questa idea nella propria comunicazione e nell’ideazione dello stand. Il Prosecco DOC è stato
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servito a offerta libera presso lo Schluck Bar il cui ricavato è stato devoluto all’ONG “Share the Meal” del UN Food Programme. Il Bar, presieduto da sommelier esperti, vantava 12 etichette di Prosecco Doc sulle 25 complessive della carta vini. Il Consorzio, oltre alla degustazione guidata delle singole etichette, ha presentato le caratteristiche della Denominazione e del territorio di produzione anche mediante una masterclass B2C rivolta al pubblico partecipante. Una seconda Masterclass rivolta ad un
pubblico B2B (media e HoReCa di Berlino) ha posto il focus sulle diverse tipologie di Prosecco DOC: tranquillo, rifermentato in bottiglia. In aggiunta al programma originale, Prosecco DOC, come Partner ufficiale ha partecipato alla cena esclusiva e conclusiva rivolta a tutti i protagonisti dell’evento: chef, ristoratori, pasticceri, casari, fornai, contadini, commercianti di vino, attivisti della buona cucina, giornalisti, volontari, sommelier, ospiti esclusivi del
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food&wine, per celebrare tutti insieme la chiusura dell’evento brindando al lavoro svolto, al movimento e al futuro. Una cena su invito riservata a 300 partecipanti del Festival che credono nel buon cibo e a un corretto stile nutrizionale, in stile High Level Street Food con la presenza di Chef internazionali. Il motto dell’evento: “Volkskuche”, ovvero “Cucina del Popolo” nella medesima location del Festival, al Lausitzer Park di fronte a Markthalle 9. Gli Chef che hanno curato il menù sono Patrick Wodni, chef del ristorante stellato Nobelhart&Schmutzig, oggi impegnato in diverse attività sociali e benefiche, e la Chef Gamze Ineceli del ristorante stellato Pannonica di Istanbul, supportati da un gruppo di chef emergenti. Toccante il fine cena in cui Prosecco DOC ha consegnato agli organizzatori una donazione destinata a sostenere il loro progetto di beneficenza. Ancora da Berlino partiva lo scorso 11 ottobre la serie di incontri “ART NIGHTS”, prima edizione di un’inedita serie di workshop dedicati all’arte organizzati in bar e ristoranti delle principali città di Germania e Austria. Il Prosecco DOC ha caratterizzato ogni aspetto di alcune di queste art session: sotto la guida di un artista locale, gli artisti partecipanti
hanno realizzato la loro opera sul tema ‘Prosecco Doc’, lavorando a stretto gomito con gli esperti di vino che hanno fornito un’introduzione
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generale sulla Denominazione e alcune indicazioni specifiche sulle etichette di Prosecco offerte in degustazione.
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E ancora estero. Questa volta in Svizzera, a Ginevra, dove il 15 ottobre presso l’Hotel Kempinski, si è svolto TASTE OF ITALY. Il Consorzio era presente con un desk istituzionale realizzato appositamente per la quinta edizione di questa manifestazione dedicata alla promozione dei vini italiani nel mercato della Svizzera francese. A disposizione del Consorzio, oltre a una postazione attrezzata per la degustazione delle etichette Prosecco DOC mediante la formula del walk around tasting, anche un desk presidiato da un referente consortile e un sommelier esperto. Inoltre, una masterclass condotta da un rappresentante del Consorzio e da un
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sommelier esperto per raccontare le caratteristiche della Denominazione e del territorio di produzione e per la degustazione delle varie etichette di Prosecco DOC in mescita. Tra i presenti, professionisti di settore, ristoratori, importatori,
dettaglianti, sommelier, giornalisti, opinion maker, wine lovers, pubblico selezionato della business community locale. Sempre a Ginevra l’indomani, all’interno del Ristorante Tosca, è andato invece in
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scena l’evento promosso da ‘LE STRADE DELLA MOZZARELLA’, un appuntamento dedicato alla degustazione del Prosecco
DOC in abbinamento a Mozzarella di Bufala Campana DOP in purezza, cui si sono aggiunti un piatto a base di mozzarella,
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pomodoro e melanzane e finger food realizzati dallo chef del Tosca. In Italia, ma con un chiaro
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respiro internazionale, è tornato a Malborghetto (UD) EINPROSIT al quale il Prosecco Doc ha partecipato dal 18 al 21 ottobre con due degustazioni guidate, organizzate da Vinibuoni d’Italia, la guida ai vini da vitigni autoctoni italiani. Nei ristoranti dei dintorni chef di eccezione hanno creato dei menù ad hoc per ottimizzarne l’abbinamento al Prosecco DOC. Cambiamo continente, il 22 e 24 ottobre, il Consorzio ha preso parte al tour mondiale organizzato dall’agenzia IEM alle due tappe destinate al mercato americano, New York e Las Vegas ed è stato servito in mescita durante il walk around tasting e nel corso delle masterclass dal
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titolo “Prosecco DOC: More than Just Sparkling”, condotte rispettivamente da Laura De Pasquale e da Lyn Farmer. Sempre in Nevada, presso il Luxor Hotel & Casino di Las Vegas, in concomitanza con il Simply Italian Great Wines, Federdoc ha organizzato un aperitivo a tema Prosecco DOC. A fine ottobre, in collaborazione con Casa Prosecco Cina, è stato organizzato un incoming di 11 operatori cinesi, tra importatori e rappresentanti di Consorzi di Vini e Spirits. L’esplorazione ai luoghi di produzione del territorio è stata preceduta da una presentazione dettagliata della denominazione che si è AP P RO FONDI M E NT O
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svolta a Treviso presso la sede del Consorzio. Sempre a fine ottobre si è svolto a Copenaghen un evento ancora in collaborazione con LE STRADE DELLA MOZZARELLA, per la promozione dell’abbinamento di Pizza e Prosecco DOC, presso il ristorante BRACE di Copenaghen; le degustazioni sono state moderate da Ole Udsen, esperto di vini italiani: il Prosecco DOC è stato abbinato alla Pizza in teglia, preparata da una nota pizzaiola proprietaria di un piccolo locale nel cuore della capitale danese. Concludiamo questa fitta carrellata di eventi con il Giappone, dove si è svolto a Tokyo il 30 ottobre l’appuntamento TRE BICCHIERI TOKYO, nell’ambito del “Tre bicchieri World Tour 2018”. Il
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Consorzio ha preso parte alla degustazione guidata secondo la formula del walk around tasting e al Seminario di approfondimento condotto da Marco Sabellico e dai curatori della guida Vini
d’Italia insieme ai rappresentati del Consorzio con l’obiettivo di far conoscere in modo approfondito la ricchezza del territorio e le caratteristiche dei vini a doc Prosecco. ▣
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Il Vermouth, il prestigioso vino aromatizzato torinese apprezzato in tutto il mondo Il nome straniero dovrebbe farci pensare ad un’origine al di fuori del Piemonte, infatti abbiamo nei testi molte testimonianze di produzioni di Vermouth, sin dalla metà del Cinquecento, localizzate in Germania, Ungheria e nel resto d’Italia. di Paolo Alciati
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’incontro con Fulvio Piccinino è all’ora dell’aperitivo, in quella meravigliosa bomboniera Liberty che è il caffè Mulassano in Piazza Castello - uno dei locali storici di Torino e d’Italia e il più piccolo del mondo - in cui venne inventato, nel 1926, il “tramezzino” (il nome glielo diede qualche anno dopo Gabriele D’Annunzio, come diminutivo di “tra-mezzo” per sostituire l’inglese sandwich). Classe 1967, insegnante nelle scuole alberghiere e a Pollenzo, sommelier, barman e studioso di merceologia e
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miscelazione italiana dei primi del 900, Fulvio è autore di numerosi libri come “Saperebere, la cultura del bere responsabile”, “La miscelazione futurista, la risposta autarchica italiana ai cocktail degli anni 30”, “il “Vermouth di Torino” e “Il gin Italiano” dove, grazie al ritrovamento di un documento del 1555 riporta in Italia le origini del distillato al ginepro ritenuto per anni patrimonio olandese ed inglese. La sua passione per il vino aromatizzato più famoso del mondo lo ha portato a creare il seminario “Esperienza Vermouth” in cui i partecipanti possono produrre e portare a
casa una bottiglia di Vermouth di loro invenzione. Il motivo di questo nostro incontro è proprio il Vermouth (o Vermut) che, come lo definisce la legge italiana, è un “prodotto composto da almeno il 75% di vino, dolcificato e aromatizzato con un’infusione alcolica composta da varie piante aromatizzanti, in cui il principale risulta essere l’assenzio romano”. Seduti ad un piccolo tavolino di marmo, entriamo subito in argomento. Fulvio mi spiega che finalmente il Vermouth di Torino ha avuto il suo disciplinare di tutela, firmato nel 2016, che lo distingue
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nettamente dal Vermouth prodotto nel resto d’Italia e nel mondo. Il Vermouth senza indicazione geografica ha quattro tipologie: bianco, rosso, rosé, con un grado alcolico non inferiore ai 14,5 gradi, dry ed extra dry, con non meno rispettivamente di 16 gradi e 15 gradi. Per il Vermouth di Torino, che mantiene le stesse cromie e declinazioni del precedente, si devono utilizzare esclusivamente vini italiani, nel caso del “Superiore” il 50% del totale deve essere
composto da vitigni piemontesi. Il grado minimo deve essere 16% mentre si sale a 17% nel Superiore con un massimo consentito di 22%. Le artemisie devono essere presenti con almeno 0,5 grammi litro e per le erbe, nel Superiore, deve essere data prelazione alla produzione piemontese. L’imbottigliamento, infine, deve essere in Regione. Un bel passo avanti per il legame e l’identificazione con il territorio. Veniamo adesso agli aspetti pratici. “Per la
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fabbricazione del Vermouth” – dice - “si usano solitamente vini bianchi secchi non aromatici appartenenti alla famiglia dei trebbiani, mentre in passato si faceva largo uso di Moscato, rimasto solo in poche ricette moderne. È permesso anche l’uso del vino rosso, che però viene aggiunto in piccole quantità sia nei Vermouth rossi di talune aziende sia per fabbricare il rosé. Recentemente qualche azienda ha lanciato prodotti 100% vino rosso usando i vitigni più conosciuti del Piemonte come Barbera e Nebbiolo. L’aperitivo a base di vino, di cui fa parte anche l’Americano, ha come principale differenza la composizione aromatica, in quanto il principio amaricante non è più l’assenzio ma la genziana. L’assenzio è sempre presente, ma in misura minore. L’Americano ha in aggiunta, come firma connotante principale, le scorze di arance amare, che
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però non hanno una funzione amaricante ma aromatica. Il metodo produttivo in sé non è difficile in quanto sono necessari pochi strumenti come una vasca di macerazione e il torchio. La difficoltà invece nasce nel centrare ed equilibrare la miscela di erbe e spezie; il tempo di estrazione e il vino da miscelare influenzano in maniera determinante la qualità e solo chi è in possesso di grande esperienza riesce ad averne una costante nel tempo. Vi sono almeno una decina di manuali scritti fra la fine del 1800 e l’inizio del ‘900 che riportano altrettanti metodi produttivi ed almeno una trentina di ricette. Ma tutti concordano con la qualità eccelsa del vino e delle
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spezie e sul rispetto dei tempi di lavorazione”. Quali sono le spezie utilizzate? “Le erbe e le droghe per la fabbricazione del Vermouth si suddividono in classi ben precise. Questa suddivisione era in auge soprattutto nei manuali di fine Ottocento ed inizi Novecento. Oggi si parla in genere di piante aromatiche ed i termini erbe e soprattutto droghe sono caduti in disuso. Ma vediamole insieme. Le erbe amare: Camedrio, Centaurea e Cardo Santo. Quelle aromatiche: Cerea, Dittamo, Maggiorana, Timo Pepolino, Timo Serpillo, Origano e Rosmarino. Le erbe amaroaromatiche: Achillea,
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Assenzio Pontico, Maggiore e Gentile e Veronica. Le droghe amare: Aloe, Angelica, China, Lichene Polmonario, Quassia amara e Rabarbaro. Quelle aromatiche: Anice Stellato, Camomilla, Cannella, Cardamomo, Coriandolo, Fava Tonka, Galanga, Chiodo di Garofano, Gaggiolo, Mandorle amare, Macis, Noce Moscata, Vaniglia. Infine le droghe amaro-aromatiche: Arancio amaro, Arancio dolce, Calamo aromatico, Enula, Genziana, Ginepro, Pepe, Sambuco (fiori), Salvia Sclarea, Zafferano e Zenzero”.
storia del Vermouth moderno. Come dico nel mio libro: perché mettere una denominazione di origine se sei tu l’inventore di qualcosa? Ad un certo punto la produzione torinese si staccò dal resto dell’Europa e divenne necessario distinguerlo. Infatti, il Vermouth prima del prodotto di Carpano era una medicina,
Ma perché questo nome così strano? “Il nome Vermouth o Vermut, come si era soliti chiamarlo in Piemonte a fine ‘700, deriva dal temine tedesco “Wermut” utilizzato per definire il suo principale aromatizzante l‘Arthemisia Absinthum. Il nome straniero dovrebbe farci pensare a un’origine al di fuori del Piemonte, infatti abbiamo nei testi molte testimonianze di produzioni di Vermouth, sin dalla metà del Cinquecento, localizzate in Germania, Ungheria e nel resto d’Italia. A Torino inizia la
nata per problemi digestivi, veniva somministrato alle balie, antidolorifico ed anti vermi intestinali. Hai parlato della fine del ‘700… “Sì, andiamo con ordine. La storia del Vermouth moderno per tradizione inizia a Torino
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nel 1786 ad opera di Antonio Benedetto Carpano, finalizzatore ed innovatore di un processo di aromatizzazione dei vini lungo secoli, creati quasi sempre a scopo medico, ricalcando la scuola degli enoliti di Galeno. A Torino c’era una prestigiosa Università degli acquavitai e liquoristi fondata nel 1739, ed era stato dato alle stampe nel 1736 la Farmacopea Taurinensis che conteneva ricette di vini all’assenzio. Essendo che per esercitare la professione di liquorista bisognava essere anche proto medico, onde evitare di avvelenare la gente con le piante, possiamo pensare che qui ebbe l’ispirazione. La storia vuole che Torino verso la fine del 1700, lavorasse Antonio Benedetto Carpano, di origini biellesi, nativo di Bioglio, garzone della liquoreria Marendazzo, sita in Piazza delle Fiere, l’odierna Piazza Castello. Come d’uso nel periodo liquoristi e pasticceri erano soliti prodursi in proprio le proprie bagne alcoliche da somministrare ai clienti, aromatizzare dolci o riempire
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incontrarci in questo storico Caffè non è stata fatta a caso.
cioccolatini, pertanto doveva essere sicuramente pratico d’infusioni di erbe e spezie. Iniziò ad elaborare un prodotto a base di vino Moscato seguendo i dettami dell’infusione di frutta e spezie secondo la tradizione
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della Valsesia, dove era residente. Grazie a questa miscellanea di concomitanze nacque il Vermouth, prodotto simbolo della nostra enologia”. Quindi la scelta di
“No, senz’altro. Oltre al fatto che Mulassano ancora oggi si fa produrre un suo eccellente Vermouth secondo una antica ricetta e ai lati dell’insegna all’ingresso del locale sono indicati proprio due marchi storici del Vermouth, si può proprio dire che in Piazza Castello il Vermouth è nato. Tutt’ora esiste una targa/ lapide all’angolo di via Viotti con Piazza Castello che testimonia la nascita in quel luogo del prodotto <<…che molto contribuì alla fama e al prestigio di Torino nel mondo>> e che diventerà la
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bevanda simbolo della città di Torino, facendo nascere all’ombra della Mole una vera e propria dinastia di produttori che, oltre a Carpano, conterà nelle sue fila Cora, Gancia, Martini & Rossi, Cinzano, Chazalettes, Bordiga e Cocchi, per citare alcuni tra i più famosi e storici marchi”. C’è qualche curiosità legata a questo prodotto? “Ti posso dire che in alcune antiche fabbriche, ad esempio Carpano, la ricetta era assolutamente segreta e la lavorazione veniva suddivisa su tre o quattro persone in modo che ognuno ne sapesse soltanto una parte, proprio per non svelare la formulazione delle spezie. Era proibito parlare fra dipendenti addetti alla produzione e nessuno sapeva esattamente cosa contenessero i sacchi con le erbe, visto che erano contrassegnati con dei numeri e non con il nome della pianta.
Alla Carpano dobbiamo anche l’invenzione del Punt e Mes, un Vermouth in cui la tendenza amarognola della china risulta ben presente, rispetto allo standard. La tradizione storica più in auge, ma ci sono anche altre storielle al riguardo, vuole che il suo nome lo si debba ad un agente di borsa che era solito ordinare un Vermouth ulteriormente amaricato con una mezza dose di china, un prodotto liquoristico molto in voga in quel tempo. Un giorno, preso da una discussione su un titolo di borsa, ordinò d’istinto il “cocktail”, usando la terminologia professionale, accompagnando la classica gestualità della mano, il tutto completato dall’uso del dialetto piemontese. Dopo quel giorno prese ad ordinare “An punt e mes” intendendo la dose del vermut dolce miscelato con la mezza amara di china, nome che verrà adottato nel 1870 come nome ufficiale del prodotto, elaborato nel frattempo nelle
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botteghe della Carpano, la cui etichetta attuale sarà disegnata soltanto nel 1960 dalla Armando Testa. Ancora oggi la grafica “della sfera e mezza” è oggetto di studio come una delle comunicazioni meglio riuscite del ‘900, in cui gioca anche l’influenza dell’arte futurista. A titolo di curiosità la sua preparazione era su ghiaccio tritato e non a cubetti, come insegna un famoso manuale del 1936”. A questo punto veniamo interrotti da Cristiano, lo storico gestore del Caffè che, approfittando di una pausa di quel fiume in piena che è Fulvio, ci porta alcuni dei suoi famosi tramezzini in perfetto abbinamento con due ottimi Vermouth della Casa, uno bianco, fresco e agrumato, e uno rosso, speziato e aromatico. Il brindisi è una logica conseguenza e quindi, riprendendo un vecchio “claim” di una pubblicità del Vermouth Cinzano… Cin Cin! ▣
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Amarone, Valpolicella
e piatti d’autore Alla scoperta delle eccellenze con le Famiglie Storiche dell’Amarone. di Carmen Guerriero
È
un impegno importante quello che le Famiglie Storiche dell’Amarone perseguono a favore dell’Amarone e della Valpolicella. Nata nel giugno del 2009 dall’unione di dieci storiche cantine della Valpolicella, l’associazione oggi vanta
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13 soci, prestigiose aziende vitivinicole che da generazioni sostengono e promuovono il territorio: Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato. Storicità e artigianalità sono gli elementi fondanti di un patrimonio di eccellenze condiviso e consolidato nel
tempo, attraverso un impegno costante delle Famiglie Storiche teso alla qualità, alla tradizione e all’innovazione per far conoscere e preservare non solo la qualità dei vini, ma anche una delle più strategiche zone di produzione vitivinicole italiane: la Valpolicella. L’evento “Amarone in vetta”, organizzato, insieme all’Antica Bottega del
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Vino, Simone Montagnoli di Soluzioni vino e il professor Andrea Sbarbati docente di Neuroscienze all’Università di Verona ed esperto di biodiversità, sul Rifugio Chierego, ai piedi della cima Costabella, tra Val d’Adige e il lago di Garda, è stata l’occasione per celebrare il legame importante fra la Valpolicella, il suo prestigioso Amarone e la grandiosa natura del monte Baldo. Per esaltare e valorizzare le infinite ricchezze del nostro territorio - ha precisato Maria Sabrina Tedeschi, presidente delle
Famiglie Storiche - attraverso un programma di speciali degustazioni in abbinamento ai pregiati vini dei soci. La prima degustazione di 13 vini Valpolicella e Valpolicella Superiore delle Famiglie Storiche si è svolta in abbinamento a piatti territoriali a Taverna Kus, in zona San Zeno di Montagna, alle pendici del Monte Baldo, uno fra i notabili ristoranti di Verona, un vecchio cascinale del Seicento splendidamente ristrutturato con una cucina stagionale e all’insegna della tradizione autentica,
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che spazia dalla pianura alle montagne fino al Lago. Fornitissima la cantina, tanto da realizzare anche qualche verticale unica, vanta oltre 600 etichette selezionate personalmente dal titolare Giancarlo Zanolli tra le migliori produzioni della regione del Garda, della riviera alla Valpolicella, dell’area del Soave e della Vallagarina. Accanto al ristorante la giasàra, un antico deposito interrato nel quale, sino a poco più di mezzo secolo fa, si conservavano neve e ghiaccio sino all’estate. Quella del ristorante Taverna Kus è l’ultima esistente sul Monte Baldo e consente una perfetta conservazione delle bottiglie a temperatura costante e in sensibile presenza di umidità, fattore ottimale per la corretta conservazione del vino. La seconda degustazione si è svolta il giorno successivo in alta quota, sul rifugio Chierego del Monte Baldo, a 1911 metri di altezza e in un contesto assolutamente affascinante, tra paesaggi sereni, natura incontaminata ed aria tersa. Qui 13 Amarone delle Famiglie Storiche sono stati degustati in abbinamento a piatti realizzati dalla brigata di cucina di Luca Nicolis dell’Antica Bottega del Vino di Verona: risotto al Monte Veronese Dop e tartufo, guancia brasata all’Amarone e cheesecake ai mirtilli.
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Autentico sancta sanctorum del vino, la Bottega del Vino è un cult a Verona, simbolo della città stessa, al pari dell’Arena o del famoso balcone di Giulietta e Romeo, espressione dell’arte di vivere italiana e di una lunga e ricca tradizione culturale. Fondata nel 1500, la Bottega del Vino vanta una lunga storia fin dal XVI secolo, periodo della Serenissima Repubblica di Venezia, quando era Osteria lo Scudo di Francia, nome rimasto ancora oggi ad indicare la via dove ha sede. In seguito,
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è diventata la Biedermeier nel XVIII secolo con gli Austriaci a Verona e dal 1890 Bottega del Vino ad opera dei fratelli Sterzi. Nel 1957 il locale venne acquistato dalla famiglia Rizzo-Grigolo che fece soprattutto attività di ristorazione fino al 1987, quando entrarono in scena Severino Barzan (che portò il modello della Bottega a New York) e Giovanni Pascucci. Nel 1996 Wine Spectator concesse il riconoscimento d’eccellenza alla Bottega del vino per avere una delle più complete e straordinarie carte
del vino del mondo nonché segnalata, nel 2016, come uno degli 11 ristoranti degni di nota nel mondo. Luogo privilegiato di incontro, di idee e di dibattiti, ai tavoli della Bottega del vino si sono seduti poeti, pittori, artisti, musicisti, cantastorie, politici, nobili e giornalisti che attendevano l’uscita della copia fresca di stampa, sorseggiando un bicchiere di vino. Dal 2010 le Famiglie Storiche sono proprietarie dell’Antica Bottega del Vino che, oltre ad essere un vero
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A pagina 29, giasàra Taverna KUS. A pagina 30, Bottegacantina e tavolo degustazione. In questa pagina, dall’alto, Cantine Masi, Tedeschi, Venturini, Speri, Torre D’Orti e Begali, cena Taverna Kus;
tempio enologico con una straordinaria carta dei vini, è un luogo in cui godere pienamente della tradizione gastronomica veronese e veneta, con piatti e menù dove la qualità delle materie prime è sempre protagonista, anche quando si tratta di trasferte in alta quota, come quella conclusasi felicemente sul Monte Baldo. “La Bottega
è un punto di riferimento per i grandi amanti del vino di tutto il mondo, ma è anche un luogo dove vivere un’esperienza assolutamente veronese - ha sottolineato Luca Speri, Presidente dell’Antica Bottega del Vino. Eventi come questo ci permettono di allargare le vedute arricchendoci di esperienze”. ▣
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Sabrina Tedeschi, Presidente Famiglie Storiche Amarone con Andrea Sbarbati, docente di Neuroscienze dell’Università di Verona (a destra).
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BURANO, IL ROSSO ESAGERATO DI UN TRAMONTO
L’azzurro delicato dell’alba, il giallo acuto della luce, il blu profondo del mare, il verde squillante dei giardini; e poi gli stessi colori li ritrovi sulle facciate delle case e sulle barche dei pescatori. Testo e foto di Jimmy Pessina
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urano è tutta una sinfonia variopinta, da ascoltare senza fretta per non perdere neppure un accordo. E’ questo il suo fascino. L’opulenza di Venezia è a pochi passi, ma è come se fosse su un altro pianeta: qui ci sono pochi ponti, pochi canali, edifici senza firme illustri. E’ un luogo in cui bellezza non vuol dire arte ma rimane bellezza. Ci sono colori che ci aiutano a vincere la solitudine, la nebbia, la fatica, la paura. Di questi colori è Burano. Colori caricati, estremi come le sensazioni di ricordi sempre ravvivati. Il rosso fondo è il ricordo esagerato di un tramonto: man mano che la sera lo respinge, fino alla soglia dell’orizzonte, il sole si fa enorme, poi grida il suo rosso sempre più profondo e muore. L’azzurro più delicato è il cielo di un’alba che annuncia il sereno: sì, anche oggi tutto ricomincia, si rinnova il ricordo. E il blu definitivo, incrollabile, è il ricordo di come può essere un mare, lontano da queste isole di fango e di acqua, dove qualcuno lo ha veduto; oppure il blu è il colore assente che qui non si vede ma si sente protagonista di tutti i viola che sono nella luce lagunare. Poi, naturalmente, siccome le opinioni degli uomini discordano, ci sono tutti i rossi, tutti gli azzurri e tutti i blu. Non mancano i T URI S MO NAZ IONAL E
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verdi. Linee nette e nitidissime dividono il frontale di una casa e tra le case, a continuare i colori, mille vesti variamente disegnate e colorate si agitano nell’aria ad asciugare. I colori, qui, sono grida, sono le voci della gente che parla forte e schietto perché ogni angolo dell’isola è casa loro. Le case, qui, nacquero di legno, come le barche, perciò andavano dipinte in un unico modo. Le barche, le case degli stessi colori. Spesso inequivocabili. Perché no. Andavano in chiesa a Torcello, vedevano un immenso mosaico che racconta agli uomini del
giudizio universale e che è fatto di quei colori. Se ne dipinsero le case, le barche, le vele, catturando per il mondo di tutti i giorni la favola di un mondo veduto in una chiesa, promessogli da un Dio. I colori di Burano abitano in un’isola che per magia, in un giorno di festa o di fiera, potrebbe essere tutta sistemata in piazza del Duomo di Milano. Ci starebbe, non si sa quanto volentieri, ma ci starebbe. Bisognava un poco maltrattarla, per dire cosa sia oggi questa Burano; che è un luogo vivissimo, che non merita di essere ridotta a stucchevole mito.
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Vi si arriva in poco più che una trentina di minuti da Venezia. Bisognerebbe farlo scegliendo un orario sommesso, distante dal vociare e dalla fretta dei turisti ansiosi; allora il viaggio avrebbe luogo su un modesto battello giallastro e un poco antiquato e ognuno troverebbe il posto giusto: una piccola veranda scoperta, a poppa, per chi vuol stare solo; un ampio salone per chi non intende rinunciare alle abitudini dell’autobus; al centro del battello è zona aperta, dove si caricano le merci, di cui ha bisogno l’uomo che vive su un’isola. Più sopra, il comandante
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governa la nave e porta tutta quella umanità tra secche, isole e canali fino a Burano, fino alla conoscenza; che però, appunto, inizia già su quel battello d’altri tempi. E’ il caso di scendere a Mazzorbo, però: allora si costeggia la riva di un canale, si ammira un piccolo grazioso campanile, ancora si costeggia l’alto muro di un antico cimitero e si entra a Burano dal ponte; all’antica, a piedi. Venezia qui si è rimpicciolita e fatta umile. Pochi ponti e pochi canali, edifici che non hanno mai conosciuto architetti illustri. L’unico illustre di qui, Baldassare Galuppi, compose
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musica nel Settecento e qualche volta le parole gliele scriveva Carlo Goldoni. Gli altri vivevano di pesca. Oggi alcuni vivono ancora di pesca, di altri mestieri che li portano a Venezia e in terraferma e di turismo. Ma l’isola, bisogna riconoscerlo, non è del turismo; è ormai del benessere, dei consumi, del gusto discutibile di oggi, ma soprattutto è ancora la gente che abita qui. Gente solida, che parla volentieri ma non è di molte parole, che è cordiale ma di mano ruvida; gente con una vigorosa voglia di stare al mondo. Alla quale poco importa, tutto sommato,
se i “foresti” cercano l’intatto borgo lagunare abitato da genuini pescatori. Mentre Venezia fa del turismo e della cultura un sempre più volgare mercimonio, Burano vive di lavoro, di tanti lavori che, magari modesti, non hanno quasi mai a che vedere con lo sfruttamento dei “foresti”. Allora è rimasto un luogo civile, in cui è facile scambiare quattro chiacchere con tutti e forse tutti avranno cose interessanti da dire, perché umane, degne, piacevoli; ed è un luogo in cui bellezza non vuol dire arte ma rimane bellezza. ▣
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Imparare dalle piante L’Orto Botanico di Pavia, enciclopedia vivente sul mondo vegetale, apre le sue porte ad appassionati e curiosi. A cura di Gladys Torres Urday fonte Ufficio Stampa Orto Botanico di Pavia
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iardini, serre e arboreti diventano luoghi prediletti del sapere e della conoscenza in cui intraprendere un percorso di alto valore formativo ed emozionale, a partire dall’open day del 3 ottobre scorso. L’Orto, aderente alla Rete
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degli Orti Botanici della Lombardia, propone alle scuole di ogni ordine e grado un’offerta educativa di alto livello con tante novità per la stagione 2018 – 2019. Nei suoi spazi, infatti, convivono discipline come la botanica, le scienze, l’architettura, la storia, l’arte e l’innovazione tecnologica che con approcci diversi ne caratterizzano
l’identità. I Giardini botanici sono aule a cielo aperto in cui è possibile conoscere e scoprire, con la guida di educatori formati, i segreti delle piante e delle loro affascinanti strategie. A Pavia è possibile farlo passeggiando tra il platano monumentale dello Scopoli, i roseti storici, il magico arboreto con diverse specie
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arboree ed arbustive, le ricche serre del Piermarini in cui vivono piante esotiche da frutto, aromatiche, da legno e ornamentali e le aiuole dedicate alle specie spontanee native. Le attività non si svolgeranno solo nel giardino ma anche alla Banca del Germoplasma vegetale, nella Riserva Naturale Integrale “Bosco Siro Negri” con il Centro Didattico Divulgativo, e nella Biblioteca della Scienza e della Tecnica. La proposta educativa è attiva per tutto l’anno e ne ha avuto un assaggio chi ha partecipato all’open day del 3 ottobre, presenti i referenti e gli educatori in postazioni interattive a tema in cui insegnanti, dirigenti scolastici e genitori hanno potuto confrontarsi sui contenuti e cimentarsi con alcuni materiali e strumenti, come mortai, lenti contafili, mapstiks, schede di campo, materiali vegetali e molto altro
ancora. Con l’occasione è stato illustrato il catalogo dell’offerta formativa che comprende proposte per tutti i gusti: le classi che si iscriveranno alle attività potranno infatti frequentare il laboratorio di “giardinaggio intelligente” seminando specie autoctone, osservare e rappresentare microMacro paesaggi naturali, imparare a riconoscere gli alberi e gli arbusti con una speciale “caccia a squadre” o analizzare gli habitat dell’Orto, studiando i fiori e il processo di impollinazione. Ancora, si imparerà a identificare i “segni particolari” degli alberi e a ricostruirne la storia, si potranno estrarre i pigmenti da fiori, frutta e verdura per realizzare acquerelli naturali e si visiterà la Banca del germoplasma per approfondire due importanti filoni di ricerca quali la
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tutela della biodiversità delle piante autoctone e la biodiversità delle piante alimentari coltivate. E uno spazio speciale sarà dedicato alla Riserva Naturale Integrale “Bosco Siro Negri”, ecosistema preziosissimo che sarà analizzato con un laboratorio di ricostruzione del paesaggio e con un’escursione dedicata. Una novità riguarda inoltre l’offerta di visite in lingua inglese sotto il Platano ed infine, ma non ultimo per importanza, la Rete degli Orti Botanici della Lombardia e l’Orto botanico di Pavia sono a disposizione per concordare percorsi tematici personalizzati e corsi di aggiornamento per docenti su metodologie e contenuti specifici come il metodo IBSE – Inquiry Based Science Education - e l’approccio esperienziale hands-on nell’apprendimento attivo. Vie diverse, coinvolgenti e
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interattive, per immergersi completamente in un sapere «verde» e biodiverso. La nostra vita dipende dalle piante, per questo è importante conoscerle. La Rete degli Orti Botanici della Lombardia, è una Associazione non profit, che opera per favorire e promuovere le azioni degli Orti botanici aderenti. Ne fanno parte: l’Orto Botanico
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di Bergamo “Lorenzo Rota”; il Giardino Botanico Alpino “Rezia” di Bormio (SO); gli Orti Botanici milanesi di Brera e Città Studi; l’Orto Botanico di Pavia; il Giardino Botanico “G.E. Ghirardi” di Toscolano Maderno (BS); Villa Carlotta Museo e Giardino Botanico a Tremezzina (CO). La Rete, nata nel 2002 per valorizzare e mettere in comune le reciproche
esperienze, e costituitasi in Associazione nel 2009, si occupa inoltre della tutela, della conoscenza, della promozione e della valorizzazione del patrimonio culturale vegetale degli Orti Botanici, con particolare attenzione alla conservazione delle piante, alla divulgazione scientifica e alle attività educative. ▣ www.reteortibotanicilombardia.it
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ALGARVE, la California d’Europa Clima mite, spiagge meravigliose e un entroterra verde e rigoglioso, punteggiato da piccoli villaggi dove il tempo sembra essersi fermato. Testo e foto di Jimmy Pessina
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envenuti in Algarve, la California d’Europa per le sue scogliere a picco sul mare, non a caso amata dai surfisti che qui vengono a cavalcare le onde dell’oceano. Questa regione è la più visitata del Portogallo, grazie alla presenza di ottime strutture ricettive e per il rapporto qualità-prezzo imbattibile. Le spiagge dell’Algarve sono tra le più belle d’Europa: oltre a quelle dotate di ombrelloni e sdraio, ci sono una miriade di cale nascoste e incontaminate tutte da scoprire lungo il suo litorale. Nei villaggi le
atmosfere sono vagamente arabe, nelle architetture e nei tipici azulejos, ricordo delle passate dominazioni. Ogni zona dell’Algarve ha qualcosa da offrire. L’interno è caratterizzato dal paesaggio agricolo delle colline del Monchique, con villaggi dalle casette bianche e i vicoli acciottolati. Qui si assaggia il tipico piri piri, un piatto a base di pollo piccante. Totalmente opposta è la vita lungo la costa, caotica, frenetica e turistica, con alcuni angoli dove le falesie si gettano a capofitto nell’oceano, l’acqua si abbatte sulle rocce e i surfisti fanno a gara a catturare l’onda migliore.
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Il modo migliore per visitare l’Algarve è noleggiare un’auto, per poi partire alla scoperta delle piccole città dove la gente è accogliente e l’offerta gastronomica deliziosa. Iniziamo il nostro viaggio da una piccola cittadina a pochi chilometri dal confine con la Spagna: Tavira. Anche se poco conosciuta, è una piccola perla: il centro storico è interessante, belle spiagge e rappresenta uno dei principali porti di pesca della regione. Da Tavira, partono i traghetti per l’Ilha de Tavira. Questa isola, distante poche centinaia di metri dalla costa, offre 11 chilometri
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di spiagge. Rammento che l’acqua è limpida ma molto fredda, non c’è da meravigliarsi visto che si tratta dell’oceano! A Faro, merita una visita al centro storico. Si lascia l’auto in un grande parcheggio gratuito nei pressi di “Largo de São Francisco”, si prosegue a piedi entrando nella città vecchia che è circondata dalle mura. La tappa successiva è Albufeira, una fra le più note località turistiche dell’Algarve, dista circa 40 minuti da Faro. Appena arrivati basta poco per capire che ci si trova nel regno del turismo anglosassone, che ha preso possesso di questa località che nulla ha di portoghese: scale mobili T U RI S M O I NT E RNAZ IONAL E
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che portano alla spiaggia, ristoranti e negozi di ogni tipo, tantissima gente: a mio avviso è una tappa evitabile. Proseguendo si raggiunge Praia da Marinha, spiaggia considerata fra le 100 più belle del mondo, per percorrere il sentiero di trekking denominato “Percurso dos
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Sete Vales Suspensos”. E’ un meraviglioso itinerario costiero sulla cresta delle falesie lungo circa 6 chilometri, permette di arrivare fino a Praia Carvoeiro ammirando le varie spiagge dall’alto. Il percorso tecnicamente non è impegnativo, ma ci sono una serie di sali e scendi che,
sommati al caldo, possono creare qualche difficoltà alle persone non allenate. Lungo il sentiero non ci sono molti ripari dal sole, arrivati a Benagil ci sono alcuni ristoranti e bar per chi si vuole concedere una pausa. A Praia do Carvalho, la spiaggia molto bella che si raggiunge tramite una suggestiva scala
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scavata dentro la roccia. E’ qui che ho fatto il mio prima bagno nell’oceano! Il primo impatto è traumatico, poi subentra una sensazione strana: sembra che l’acqua scotti talmente è fredda… si è quasi anestetizzati!! Il problema sono le mani che si raffreddano subito e bisogna continuare a muoverle. In una delle falesia che circondano la spiaggia è stato scolpito un piccolissimo sentiero, molti bambini si divertivano a percorrerlo… peccato che fosse a 15 metri di altezza senza alcuna protezione. Praia do Vale, il paese è sì turistico, ma comunque caratteristico e vivibile, la spiaggia è una piccola caletta racchiusa fra le rocce. A differenza di
Albufeira, Carvoeiro è una cittadina più tranquilla “per famiglie”. Continuando il nostro viaggio si arriva alla bellissima Praia de Dona Ana, vicino al centro di Lagos. Poco più avanti troviamo Praia Do Camillo, che si raggiunge tramite una lunga scalinata in legno, molto caratteristica; in realtà sono due spiagge, la seconda è raggiungibile da un tunnel scavato nella roccia. Grazie alle alte scogliere si creano delle zone in ombra, dove è possibile ripararsi dal sole nelle ore più calde. A Segres, si notano subito i molti negozi marchiati Quicksilver, Rip Curl, a testimonianza dei numerosi appassionati di surf e windsurf che vengono in questa zona. Lasciate le
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valigie siamo andati a vedere la spiaggia di Martinhal... spettacolare! Sabbia bianca finissima e mare caraibico, ma purtroppo il vento solleva la sabbia e rende quasi impossibile rimanere a godersela a lungo. Per questo motivo ci siamo spostati a Praia do Beliche verso Cabo de Sao Vicente; questa spiaggia è più riparata perché racchiusa da falesie altissime, per raggiungerla bisogna percorrere una lunga scalinata. Alla sera non bisogna mancare una visita al faro di Cabo de Sao Vicente, la locaità estrema dell’Europa verso l’Oceano Atlantico, per vedere il tramonto, il panorama è mozzafiato uno dei luoghi più belli e suggestivi dell’Algarve. ▣
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CARINZIA:
dove il relax è d’obbligo Un clima mite e soleggiato, grazie alla sua posizione geografica sul versante meridionale delle Alpi, è il primo biglietto da visita che la Carinzia offre ai suoi visitatori. di Silvana Delfuoco
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na regione che non ha confini…
Conosciuta soprattutto per i suoi magnifici
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laghi, dalle calde acque purissime e quasi sempre balneabili, la Carinzia, Kärnten in tedesco, è la più meridionale delle regioni federali d’Austria, cuore
dell’Alpe Adria e punto d’incontro interculturale della Mitteleuropa. I suoi confini meridionali con Italia e Slovenia ne fanno un luogo dove le tracce di un comune
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passato sono ancora assai riconoscibili. Furono infatti gli architetti italiani che in epoca rinascimentale modellarono il volto di città come Klagenfurt am Wörthersee, capoluogo regionale dal bel centro storico ottimamente conservato. E difficile è resistere al romantico fascino del suo Lendkanal, che collega il centro cittadino con la baia del Wörthersee, sulle cui sponde sorgono numerose ville in stile fin de siècle. Uno scenario ideale da cui partire per scoprire la varietà dei paesaggi di una regione unica, straordinariamente adatta per far vivere una vacanza di tutto relax.
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asso dopo passo…
Un clima mite e soleggiato, grazie alla sua posizione geografica sul versante meridionale delle Alpi, è il primo biglietto da visita che la Carinzia offre ai suoi visitatori. Il secondo è una particolare attenzione al turismo italiano, dalle informazioni in lingua alla premura da parte degli albergatori verso nostre abitudini, orari dei pasti compresi! E poi questo è un territorio davvero adatto a tutte le esigenze, dove la magia dei luoghi è senza confini. Dai ghiacciai eterni della Carinzia ai piedi del
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maestoso Großglockner, passando per la Slovenia fino a giungere al profondo azzurro dell’Adriatico in terra italiana, a Muggia, poco più a sud dell’antico porto imperiale di Trieste. E, per gli amanti dello sport, si va dalla pista ciclabile della Drava, che costeggia il fiume dalla fonte fino a Dobbiaco per ben 366 chilometri, allo sci alpino che comprende quasi 900 chilometri di piste, al fondo, al pattinaggio su ghiaccio naturale e altre offerte ancora. Per finire con il totale relax offerto dalle terme carinziane, aperte tutto l’anno e completate da ampie oasi saunistiche e naturalistiche, come il Parco nazionale
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Alti Tauri: l’area protetta più estesa delle Alpi, oltre che la dimora di numerose specie di animali minacciate.
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a sosta a tavola
Ma un viaggio attraverso la Carinzia vuol dire anche incontrare i sapori locali, le conoscenze tramandate di generazione in generazione, gli antichi mestieri mai dimenticati. Ed è anche in questo caso l’incontro tra tre culture – quella austriaca, quella slovena e quella italiana – a dar vita a ricette tradizionali che vanno dai Kärntner Käsnudel, ravioloni al formaggio, come quello
a latte crudo dei caseifici alpini; ai piatti di pesce appena pescato, come quelli a base di Kärntner Läxn, una particolare varietà di trota alpina che vive nelle limpide acque dei laghi sparsi per tutta la regione; per
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finire col Reindling, il dolce tipico d’obbligo sulla tavola di Pasqua ma che ormai viene preparato tutto l’anno. Morbidissimo e ripieno, come vuole la tradizione, di uvetta e cannella, meglio gustarlo con l’ottimo vino carinziano,
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come quello dei vigneti che crescono intorno al lago Längsee o intorno alle rocche Taggenbrun e Hochosterwitz. Un vino che ha anche lui una storia antica, visto che i primi documenti lo datano intorno al IX secolo. Una tradizione che, anche in questo caso, ci accomuna… pur nel fascino di una differenza tutta da scoprire. ▣
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La magia dell’inverno nel Vallese Un paradiso invernale tra cielo e terra, tra acqua e ghiacciai. di Franca dell’Arciprete Scotti - Foto Archivio Vallese
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uarantacinque maestosi Quattromila, oltre 2800 chilometri di piste con innevamento garantito e infinite opportunità per chi non pratica gli sport invernali. E’ questo il paradiso del Vallese svizzero, un paradiso
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di rara bellezza. Autentici e incantevoli paesini di montagna, stazioni sciistiche di fama internazionale, i comprensori sciistici più alti della Svizzera con migliaia di chilometri di piste, tra i 1500 e i 3000 metri di altitudine. Passo dopo passo attraverso la neve intatta e scintillante,
con la vetta all’orizzonte e la valle in basso: in inverno il Vallese è un autentico paradiso per gli escursionisti. E, soprattutto, ci si sente in un ambiente puro, tra cime coperte di neve e boschi verdi, al riparo da inquinamento, tubi di scarico, fumi grigi all’orizzonte. Sembra un sogno da
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A pagina 56, Saas-Fee. In questa pagina, Saas-Fee: percorsi invernali e statua del Pioniere. A pagina 58, Leukerbad, terme. A pagina 59, Leukerbad: terme e Apentherme Roman Irish Bath. A pagina 60, Zermatt ergbahnen Bergbahnen e Raclette AOP. A pagina 61, Discesa nella regione dell’Aletsch.
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cartolina. Eppure è possibile, in un territorio molto vicino a noi, raggiungibile in poche ore di macchina, perfetto per chi è attento all’ecoturismo. In Vallese andiamo alla scoperta di Saas Fee, un posto speciale formato da quattro comuni, su un altopiano a 1800 metri, circondato da cime altissime, che ha inventato una soluzione geniale per preservare l’ambiente. Nel 1951 il Comune dichiarò il villaggio zona senza traffico e la decisione è stata rispettata all’insegna di un turismo armonioso e duraturo. Come realizzare
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tutto ciò senza troppi sacrifici? Semplice, si lascia la macchina nell’autosilo o nel posteggio all’entrata del paese, poi con un elettrotaxi o con un carrello messo a disposizione dall’ufficio del turismo si trasporta il bagaglio nell’appartamento in affitto, mentre l’albergo viene a prenderlo gratuitamente. D’altronde Saas è stata per molto tempo chiusa al turismo: solo nel 1856 è stato costruito il primo albergo, l’Hotel Monte Rosa, e nella piazza centrale è stata dedicata addirittura una statua al parroco Johann Josef Imseng, il primo
sciatore che nell’800 percorse la tratta da Saas-Fee a SaasGrund su tavole di legno che lui stesso aveva fabbricato. Tempi remoti, questi, che potremmo non riconoscere oggi nella curata eleganza di alcune strutture di Saas, come il famoso ristorante girevole, il più alto del mondo, posto in cima al ghiacciaio dell’Allalin, dove si arriva con il Metro alpino, anche questo il più alto del mondo. A due ore di autobus da Saas ci attende Leukerbad, un altro bellissimo paesino a 1400 metri, che attrae soprattutto chi ama lo sport e chi vuole dedicarsi al proprio
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benessere. Con 3.9 milioni di litri al giorno ad una temperatura di 51 °C, Leukerbad ha la più ricca produzione di acqua termale di tutta Europa, un’acqua benefica di preziosi sali minerali, già conosciuta
dai Romani. Qui il bagno nell´acqua termale è l´attività e l´attrazione principale in ogni stagione: un fantastico scenario montano per 22 piscine adatte ad ogni gusto e ad ogni scelta, con le più originali possibilità, come la
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prima colazione nell´acqua o i bagni sotto la luna. Anche i trattamenti benessere permettono di scegliere ampiamente, dall´offerta Ayurveda di bagni aromatici al bagno romano irlandese, dalla terapia con il suono al bagno di rose, da impacchi e bendaggi Talasso ai trattamenti di Vinoterapia vallesana. Accanto al settore benessere Leukerbad presenta tante e piacevoli offerte per lo sport e tour alpini guidati immersi tra splendidi panorami, come il famoso passo del Gemmi, che aveva conquistato in passato Mark Twain, Jules Verne e Pablo Picasso. Una invitante opportunità è il Pass montagna e terme che offre il trasporto gratuito su tutti gli impianti che portano alle cime del Gemmi e del Torrent, l´accesso gratuito alle piscine termali del Burgerbad e
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della Lindner Alpentherme, l´uso gratuito del bus locale: così, dopo una giornata avventurosa nel mondo alpino, ci si può rilassare liberamente nell’acqua termale, concedendosi un momento di benessere.
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Non dimentichiamo, anche, che il Vallese è un sito Patrimonio Mondiale UNESCO. L’Unesco, infatti, ha nominato la regione delle “Alpi Svizzere JungfrauAletsch” quale primo Sito Alpino Patrimonio
Mondiale nel 2001, premiando un paesaggio dalla bellezza unica. Nel cuore di questo sito, infatti, ci sono i celebri Eiger, Mönch e Jungfrau, che fanno da cornice al Grande Ghiacciaio dell’Aletsch, 23 chilometri, il più lungo delle Alpi. E chi direbbe che il Vallese si distingue, pure, per la varietà di uve? Con oltre 5.300 ettari di vigneti, infatti, differenti per la varietà di suoli, esposizione, microclima e terroir, il Vallese è la principale regione vitivinicola della Svizzera. Sono circa 50 i vini DOC di produzione vallesana: varietà autoctone come Arvine, Cornalin e Humagne Rouge, e poi Fendant, Heida e Syrah e i deliziosi assemblages di petite arvine, pinot noir o
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gamaret. Il Vallese è come un vasto museo del vino a cielo aperto da esplorare a piacere. Ovviamente ottimi vini da abbinare a otto prodotti vallesani DOP (AOP, Appellation d’Origine Protégée) e IGP (Indication Géographique Protégée):
Raclette del Vallese AOP, carne secca del Vallese IGP, prosciutto crudo del Vallese IGP, lardo secco del Vallese IGP, pane di segale vallesano AOP, zafferano di Mund AOP, Abricotine AOP, distillato di pere del Vallese AOP. Per l’inverno 2018/2019 qualche iniziativa particolare,
come i pacchetti per safari sugli sci, incluso il noleggio di un’auto e di un equipaggiamento da sci di alta qualità. Per chi lo desidera, è inoltre possibile lanciarsi nell’avventura dello ski safari in compagnia di un maestro di sci o di una guida alpina. ▣
P E R A R R I VA R E L’autostrada A9 è l’arteria principale che attraversa il Vallese. Da sud, il cantone si raggiunge attraverso il passo del Sempione (trenoauto) o il Gran San Bernardo (tunnel). Da nord, il cantone è accessibile da Berna, la capitale, attraverso il tunnel del Lötschberg (treno-auto); da ovest, passando per Losanna, e, da est,
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percorrendo il passo del Furka (treno-auto). Il Vallese ha ottimi collegamenti ferroviari diretti, ogni 30 minuti, dalle principali città svizzere quali Basilea, Berna, Zurigo e Ginevra. Il Glacier Express collega St. Moritz a Zermatt. Info: www.valais.ch - www.svizzera.it
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COLMAR, CITTA’ D’ARTE
capitale dei vini d’Alsazia Colmar in Alsazia, situata alle falde sud-orientali dei Vosgi e alla sinistra del Reno, non è una grande città ma è incredibilmente ricca di storia, di fascinose sorprese e di gioia di vivere. di Giovanna Turchi Vismara
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olmar, come le altre vitalissime città dell’Alsazia, Strasburgo la capitale, Molhouse e Sélestat, ben sa combinare legami tra storiche tradizioni e vita contemporanea.
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Addentrandosi nelle sue strette vie si ammirano i tipici edifici a graticcio di stampo medievale o del primo Rinascimento. Nella Piazza della Cattedrale si erge la grandiosa Collegiata San Martino del secolo XIII, ispirata alla
Cattedrale di Reims. Nel cuore della città, è in stile rinascimentale tedesco uno degli edifici più rappresentativi, la Maison des Têtes, ovvero la Casa delle Teste. E’ un edificio a tre piani costruito nel 1609 che conta sulla facciata ben 106
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teste e sulla parte terminale presenta la statua di un bottaio, opera di Auguste Bartholdi, voluta dalla Borsa dei Vini a significare quanto importante fosse per il territorio la produzione del vino. Collegato alla Maison
è stato recentemente aperto il ristorante gastronomico Girardin. In una sala ultracontemporanea si possono gustare raffinatissimi menù, a scelta Mari&Oceani o Viaggio nel Mondo Vegetale, preparati dallo chef Eric Girardin e
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dalla moglie. Girando per il pittoresco centro si arriva alla Petit Venice, o Piccola Venezia, quartiere che si snoda lungo la riva della Poissonerie, un tempo centro nevralgico del mercato del pesce. Da qui si
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dirama una serie di canali sui quali si possono effettuare piacevoli gite in barca tra rive verdeggianti ricche di piante e di fiori. Ma ciò che regala a Colmar un fascino particolare è la sua posizione legata ai grandi e spettacolari vigneti inondati di sole e poggiati sulle pareti degradanti delle colline dei Vosgi. Estendendosi da Nord a Sud, la famosa Strada dei Vini d’Alsazia si snoda per 170 chilometri tra colline letteralmente coperte di vigneti, dalla porta di Marlenheim fino a quella di Than. Inoltrandosi nei territori si incontrano panorami di incantevole bellezza, inframezzati da borghi medievali e antichi castelli. E’ particolarmente interessante il Castello di Haut-Koenigsbourg dai cui
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bastioni si può ammirare tutta la pianura d’Alsazia. Lungo il percorso, tra sentieri più o meno ampi, soffermandosi presso accoglienti cantine e winstubs, si viene a contatto con i vitigni alsaziani specializzati in Riesling e Gewürztraminer e si possono fare interessanti degustazioni accolti con grande affabilità dai viticultori. Sono gli stessi viticultori che curano con amore e passione quei vitigni che producono i grandi crus e continuano una tradizione che conta oltre dieci secoli di storia. Oltre alle bellezze artistiche e paesaggistiche Colmar offre altre meraviglie e opportunità di divertimento nei vari periodi dell’anno. E’ noto a livello mondiale il Festival Internazionale di Musica Classica che si svolge ogni anno nel mese di luglio.
Ma c’è un tempo dell’anno in cui Colmar con tutte le altre città dell’Alsazia vive e fa vivere giornate della più viva festosità. E’ il periodo dell’Avvento, caratterizzato dai tradizionali coreografici mercatini di Natale dal 25 novembre al 6 gennaio. Non solo le storiche città dell’Alsazia, ma anche i piccoli villaggi brillano di luci e di suoni, l’aria è piena di aromi legati a tutte le più golose specialità gastronomiche, dai nomi talvolta improponibili, che riempiono tutte le bancarelle. Si respirano i buoni odori delle spezie e del vin brûlé e gli alberi di Natale, vanto del territorio, sfoggiano gli addobbi più luminosi. E’ proprio l’Alsazia, una regione ricca di foreste di fantastica bellezza, con faggi, querce, pini e abeti rossi, che vanta l’allestimento del primo
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albero di Natale, nel 1521, secondo la citazione ufficiale nei registri di Sélestat. Invece è legato a Strasburgo, capoluogo principale della regione e sede di una delle più belle cattedrali gotiche europee, il più antico mercatino di Natale d’Europa,
allestito nel 1570. Ogni località fa a gara nel trovare ogni anno le decorazioni più belle e ogni visitatore non può non essere contagiato e coinvolto da quella atmosfera magica che si respira nelle strade, tra le bancarelle colme di cibi
o di tipici manufatti, tra le botteghe aperte al pubblico illuminate e coloratissime, nei ristoranti ove si possono gustare le specialità del territorio e i dolciumi creati per l’occasione. ▣
PER SAPERNE DI PIU’ www.tourisme-alsace.com oppure www.france.fr
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BEVI RESPONSABILMENTE
www.lambrusco.net
www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net
PARADISI SULL’ACQUA Paesaggi verdi e boscosi, città pittoresche Patrimonio Unesco, isole fiorite e clima mite tutto l’anno sulle sponde del Lago delle Quattro Nazioni. di Franca Dell’Arciprete Scotti - Foto Archivio GmbH
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’è un lago, nel cuore d’Europa, su cui si affacciano quattro nazioni: Germania, Austria, Svizzera e il Principato del Liechtenstein. È il Bodensee, o lago di Costanza, il terzo lago più grande d’Europa, famoso
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per abbazie e castelli, fiori e festival musicali. La città che gli dà il nome, Costanza, in BadenWürttemberg, il land nel sudovest della Germania tra i più popolosi e più ricchi del Paese, è stata protagonista della storia europea. Qui si svolse, esattamente 600 anni fa, il famoso
Concilio, il più grande convegno del Medioevo: dal 1414 al 1418 arrivarono a Costanza i potenti d’Europa, trasformando il volto della città con la presenza di famosi studiosi e professori universitari, un fitto scambio di merci e sapere. Si può cominciare da qui, dunque, l’itinerario nella
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Regione Internazionale del Lago di Costanza, che riserva sorprese intriganti. Oltre Costanza ci porterà la Ciclabile del Lago che, con i suoi 273 km di percorso, quasi tutti in riva, è uno degli itinerari più famosi fra gli appassionati di cicloturismo. Questo enorme bacino d’acqua riceve il Reno maestoso che proviene dalle montagne svizzere, impiega 60 giorni per attraversare tutto il lago ed esce formando le spettacolari cascate di Schaffausen. Al centro la deliziosa isola di Mainau, che appartiene alla Fondazione dei Conti Bernadotte, imparentata con la casa reale svedese. Il battello parte da Meersburg,
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una incantevole cittadina medievale, tutta case a graticcio, balconi fioriti, torri merlate e un antico castello, e porta a questa isola che è un unico giardino fiorito. Secondo i mesi dell’anno e il tempo della fioritura, prevalgono i narcisi, i tulipani, i giacinti, le azalee, le dalie, le rose, e poi banani, palme, aranci, mandarini, limoni, in una festa di colori e profumi. L’altra isola imperdibile del Lago di Costanza è l’isola monastica di Reichenau, inserita nel 2001 tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO: tre chiese, magnifici esempi di architettura monastica tra il IX e l’XI secolo, testimoni del ruolo religioso e culturale che ebbe questa grande comunità benedettina nel Medioevo,
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specializzata nelle miniature di manoscritti ed affreschi. E, per affinità, l’itinerario ci porta a un altro monastero antichissimo sul lago, anche questo Patrimonio Unesco, collocato in Svizzera: è San Gallo, nel Cantone omonimo, legato al nome del monaco irlandese che nel 612 lo fondò, facendolo diventare uno dei centri culturali più importanti dell’Occidente. Tutta l’area che comprende il monastero di San Gallo, la cattedrale barocca e la biblioteca rococò, è uno straordinario complesso storico, di strepitosa bellezza e incredibile valore per i suoi
oltre 170.000 libri e 2.000 manoscritti originali medievali. La sponda austriaca del lago è quella del pittoresco Vorarlberg, la regione più occidentale dell’Austria, ancora poco conosciuto da parte del pubblico italiano. Bregenz, il capoluogo, ai piedi del monte Pfander, è una eccellente tappa culturale per merito del suo famoso Festival musicale che attira melomani da tutta Europa, anche per la spettacolare struttura del teatro sull’acqua, il più grande palcoscenico galleggiante su lago al mondo, così spettacolare che fu scelto dal regista del film “Agente 007. Quantum of Solace” per girarvi una scena fondamentale.
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ttrazioni invernali
Anche dopo l’estate la Regione del Lago di Costanza continua ad attrarre turisti, sportivi e amanti della cultura: la natura si scopre anche con le ciaspole ai piedi, l’arte e la cultura non conoscono stagione, la gastronomia è sempre valida in ogni periodo dell’anno. Qui all’incirca 300 musei sono dedicati alle tematiche più diverse – dall’arte alla tecnica, dalla tradizione locale alla fabbricazione della birra. Tra i più famosi lo Zeppelin Museum e il Museum Dornier di Friedrichshafen, dedicati alla storia dell’aviazione e a T U RI S M O I NT E RNAZ IONAL E
Ünteruhldingen, Patrimonio Unesco dal 2011, il Museo delle Palafitte, il museo archeologico più antico d’Europa. Il Principato del Liechtenstein ha musei grandi e piccoli che spaziano dalla storia Walser a quella della posta, all’architettura locale, oltre che naturalmente all’arte. Dalla fine di novembre comincia il periodo più suggestivo, quello dei Mercatini di Natale, allestiti attorno al lago e nelle vicine regioni alpine, che offrono oggetti d’artigianato, prodotti regionali ed anche un bel programma di intrattenimento. Un momento magico anche per degustare le specialità locali. ino e gastronomia
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Il vino del Bodensee ha una storia millenaria di eccellenza, per merito del clima dolce sulle rive del lago. Non tutti sanno che il Müller-Thurgau è nato proprio qui, circa 130 anni fa, oggi fra i vitigni più coltivati in assoluto in Germania e uno degli incroci moderni che riscuotono più successo in tutto il mondo. La birra ha un posto di rilievo e in particolare nell’Alta Svevia si contano circa 23 birrifici. Decisamente diversificate sono le specialità culinarie, frutto delle tradizioni gastronomiche di quattro
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Paesi: strudel dalla pasta finissima austriaci, specialità sveve come le Maultaschen (ravioli ripieni), i celebri Kartoffelrösti (tortini di patate) svizzeri e i Käsknöpfle (gnocchetti di formaggio) del Liechtenstein.
Ingrediente imprescindibile della cucina regionale è il pesce di lago, in particolare il lavarello, il pesce persico e il luccioperca, serviti spesso con patate, spuma di barbabietola rossa e porri. Tutto da degustare in mille
ristoranti, fattorie, taverne che offrono i piatti della tradizione, oppure in una crociera gastronomica a bordo di una elegantissima nave a vapore. ▣
C O M E A R R I VA R E Dalla stazione di Milano Centrale, Trenitalia e Ferrovie Federali Svizzere offrono otto collegamenti giornalieri diretti per Zurigo, da cui poi si raggiungono in meno di un’ora diverse mete nella Regione del Lago di Costanza. www.trenitalia.com I Paesi della regione sono collegati fra loro anche da frequenti servizi di autobus e corse in treno: con la Carta Giornaliera Euregio Bodensee si può viaggiare sui bus, i treni e su due collegamenti in traghetto per muoversi fra Germania, Austria e Svizzera evitando lo stress della guida. Le vette Pfänder in Austria e Säntis in Svizzera, infine, possono essere
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comodamente raggiunte in cabinovia. Si può anche organizzare il proprio viaggio in treno con la rete capillare europea Interrail: info e prenotazioni su www.interrail.eu. BodenseeErlebniskarte: la Carta dei servizi del Lago di Costanza Inverno dà accesso a oltre 60 destinazioni da scoprire gratuitamente o con uno sconto. Per tutte le informazioni turistiche: www.germany.travel www.tourism-bw.com www.svizzera.it www.bodensee-vorarlberg.com/it www.vacanzeinaustria.com
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Cappone, oca, tacchino: la tradizione sulla tavola di Natale Arrostiti o in brodo, con o senza ripieno sono da sempre gli indiscussi protagonisti del menu natalizio. di Enza Bettelli
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n molte delle nostre regioni il momento più atteso del pranzo di Natale è quello in cui arrivano in tavola il cappone o l’oca o il tacchino, maestosamente adagiati sul piatto di
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portata e circondati da una serie di invitanti contorni. E non importa se le ricette sono sempre le stesse poiché questo è il periodo dell’anno in cui la tradizione è più sentita e rispettata.
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l cappone, soprattutto nella Pianura Padana
Il cappone è un gallo di circa 5 mesi, castrato con il giusto anticipo perché le sue
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carni possano diventare bianche e morbide in tempo per il periodo natalizio. Questa antica pratica risale all’epoca dei Romani, e se per loro i grassi e teneri capponi erano una portata piuttosto usuale, con il tempo sono diventati cibo per ricchi mentre i meno abbienti si limitavano a ingrassarli per le feste e per un eventuale dono a persone di riguardo, come fa Renzo in “I promessi sposi” che li portava all’avvocato Azzeccagarbugli. In Lombardia, e a Milano in particolare, il cappone era d’obbligo oltre che per il pranzo di Natale anche per gli altri tre menu tradizionali del periodo festivo: il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio patrono di Milano, Capodanno ed Epifania.
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’oca, apprezzata in tutto il mondo
L’oca domestica è una discendete di quella selvatica, ormai addomesticata da secoli e sempre molto diffusa nelle aie perché redditizia come il maiale, ma molto più facile da allevare e, come per il maiale, non si butta via nulla, a cominciare dalle morbide piume. Gli allevamenti italiani più famosi sono A GROAL I ME N T ARE N AZ I ONAL E
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certamente quelli della Lomellina, nella zona compresa tra Mortara e Casale Monferrato, una tradizione che risale ai tempi di Ludovico il Moro che diede a una comunità ebrea del luogo il permesso di allevare le oche. L’oca è molto versatile. Non solo si cucina come gli altri volatili, ma in
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più le sue cosce si trasformano in deliziosi prosciuttini, il collo in un sapido salame, con la carne più magra si ottiene una delicata mortadella, il petto affumicato è una vera prelibatezza, mentre le zampe sono un insolito e saporito boccone. E poi c’è il fegato, eccellente anche se non è stato fatto ingrossare a dismisura.
Si sottraggono così le povere oche alle sofferenze inflitte loro per ottenere la crudele raffinatezza del foie gras, un prodotto conosciuto e molto apprezzato già dagli antichi Romani. Le ricette dedicate all’oca provengono da tutto il mondo e la preparazione più diffusa, oltre a quella natalizia, è oggi quella di origine anglosassone per la ricorrenza di San Martino (11 novembre). Nelle nostre regioni è tradizione portare in tavola l’oca in Lombardia anche il giorno di San Siro (9 dicembre) e di San Silvestro, mentre in Centro Italia è più frequente per Ognissanti. L’oca si può cucinare in molti modi: in umido, con verze o fagioli, cotta e conservata nel suo grasso (confit). Tuttavia il metodo più apprezzato
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è probabilmente in forno, farcita con un ricco ripieno di frutta (mele, susine, castagne o frutta secca) che la rende ancora più spettacolare.
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l tacchino d’oltre oceano
Il tacchino è entrato più recentemente di cappone e oca a fare parte della nostra tradizione gastronomica poiché è arrivato in Spagna e poi nel resto d’Europa solo dopo la scoperta dell’America, divenendo una pietanza molto ricercata anche se inizialmente per pochi fortunati gourmet. Ancora oggi alcuni boschi e praterie americane sono
popolati dai tacchini selvatici, più simili ai loro antenati che a quelli di allevamento. Difatti, mentre il tacchino domestico ha carne bianca e delicata, quella degli esemplari che vivono in libertà è scura, definita nera come quella della selvaggina, e di gusto assai più deciso. E, soprattutto, il tacchino selvatico è ben lontano dal somigliare a quello destinato al pranzo della festa americana del Giorno del Ringraziamento, il quarto giovedì di novembre, che è a dir poco enorme dato che normalmente il suo peso va ben oltre i 10 chilogrammi. Il tacchino si prepara di
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A pagina 74, tacchino. A pagina 75, terrina di cappone, melagrana, passatelli. A sinistra, oca farcita, foie gras. In alto, oca stufata. A pagina 78, petto d’oca.
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IN NEGOZIO Siamo sempre più spesso abituati ad acquistare i volatili già sezionati, in vaschette con i tagli suddivisi per tipologia e in quantità calibrate per le normali esigenze di famiglia. Perciò, acquistarne uno intero e per una ricorrenza così importante come le feste natalizie diventa a volte impegnativo. Può quindi essere utile conoscere i normali parametri validi per l’acquisto di ogni tipo di pollame, e cioè carne soda e asciutta; pelle sottile, umida ma non bagnata, liscia ed elastica; grasso ben distribuito e visibile sotto la pelle. Nel caso di esemplari integri, controllare che le zampe non siano rigide, mentre la testa deve avere becco flessibile e occhi
solito con le stesse ricette del pollo, ma in alcuni tagli ricorda maggiormente il vitello, per esempio nel petto che è molto sviluppato e si cuoce in tegame o al forno come un
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lucidi e non infossati. In più, il grasso del cappone deve partire dal portacoda e non presentarsi a grumi, tipico dei volatili a ingrassamento forzato. Il peso ideale dell’oca è di circa 3 chilogrammi, adatto per ogni preparazione e indicativo di un esemplare giovane. Se il volatile fosse intero, il becco deve essere arancio e flessibile e le zampe lisce e delicate. Anche per il tacchino il peso ideale è intorno ai 3 chilogrammi poiché avrà carne più tenera e impiegherà meno tempo a cuocere, e senza problemi, nel forno di casa. Inoltre deve avere il collo corto e la trachea elastica.
normale arrosto bovino. Dai fusi si ricavano invece gli ossibuco, ovviamente più piccoli di quelli di vitello ma cucinati allo stesso modo. Per il periodo natalizio
il tacchino è preparato arrosto, farcito con le castagne o con salsiccia. In genere si preferisce la femmina, più piccola del maschio e anche più tenera e succosa. E’ molto popolare la ricetta veneta con i chicchi di melagrana, che aggiungono al piatto un festoso tocco di colore oltre che un piacevole gusto asprigno, una variante utilizzata anche per gli altri volatili natalizi. Se invece si vuole seguire la ricetta americana, il contorno sarà di zucca e la salsa di accompagnamento di mirtilli rossi palustri (cranberry). ▣
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Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese
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#ILTUOFUORIPORTA
Sai che esiste un luogo ricco di natura, emozione, cultura e gastronomia a pochi passi da te? L’Oltrepò Pavese con le sue colline, i fiumi, i borghi storici, le terme, i vini e la buona tavola ti invita per una gita fuori porta o una lunga vacanza. Grazie alle sue strutture ricettive, l’Oltrepò Pavese è il posto ideale per trascorrere meravigliosi momenti con la tua famiglia e i tuoi amici. Lasciati ispirare dai numerosi percorsi che si snodano tra le colline o lungo il Grande Fiume, goditi una passeggiata tra i verdi filari di vite, concediti una piacevole pausa sotto il bersò di un ristorante con i piatti tipici della zona, accompagnati dagli ottimi vini per cui l’Oltrepò è famoso e conosciuto da sempre. E adesso rilassati, sei in Oltrepò Pavese.
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Così vicino, così sorprendente.
Il Radicchio di Chioggia IGP celebra 10 anni: storia, eccellenze e biodiversità di uno splendido territorio Chioggia, città d’arte italiana fra la Laguna Veneta e il Delta del Po, vanta una storia millenaria scolpita nelle pietre delle Chiese, delle torri, delle calli e dei ponti, con la stessa grazia e bellezza della vicina Venezia, a cui, da sempre, è accomunata. Testo e foto di Carmen Guerriero
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invenimenti archeologici datano la fondazione di Chioggia a circa quattromila anni fa, ad
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opera dei Pelasgi, un popolo di navigatori originario dell’aspra regione della Tessaglia a nord di Atene, provenienti da Oriente, di lingua non greca. I Pelasgi,
secondo anche lo storico Dionigi di Alicarnasso, giunsero in Italia sette generazioni prima della guerra di Troia e avrebbero colonizzato numerose città
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lungo le coste adriatiche. Sotto la dominazione romana, che impresse all’urbanistica il tipico reticolato geometrico delle strade in “Cardus” e “Decumanus”, Chioggia visse un periodo di grande prosperità economica grazie anche alle sue saline: il suo centro di produzione del “Sal Clugiae” era considerato uno dei più pregiati e redditizi, poiché il sale era indispensabile mezzo di scambio commerciale, tanto quanto un bene dello Stato. Con la caduta dell’Impero Romano, l’avvento delle orde barbariche indusse le popolazioni dell’entroterra a trasmigrare verso le più sicure isole lagunari, come Chioggia, nonché fondare città nuove come Rivo Alto, la futura Rialto, poi divenuta A GROAL I ME N T ARE N AZ I ONAL E
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l’odierna Venezia. Successivamente, Chioggia fu parte della diocesi di Malamocco, antica capitale della Repubblica Veneta, che però, a causa di vari disastri ambientati, finì sommersa determinando così il naturale spostamento della sede vescovile a Chioggia, insieme alle reliquie dei santi martiri Felice e Fortunato, ancora oggi patroni della città. Cuore pulsante di Chioggia è il delizioso centro storico che sorge su un gruppo di isolette divise da canali e collegate fra loro in un intreccio suggestivo di ponti, calli, campi e canali, tra cui il Canal Vena, attraversato da nove ponti, per molti versi simili a
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quelli presenti a Venezia. Il Ponte Vigo chiude il canale a ridosso della laguna e l’omonima piazza, stazione dei battelli, dov’è situata un’alta colonna sormontata dal leone marciano, simbolo dell’orgoglio veneto, qui ironicamente chiamato dai veneziani “el gato”, il gatto, date le dimensioni ridotte rispetto a quelle del leone di Venezia. Il ponte dell’Unione unisce il centro urbano alla vicina Sottomarina, situata nel tratto di terra che divide la laguna del Lusenzo dal mare, grazie alla creazione dell’Isola dell’Unione. Passeggiare nelle calle del centro storico sembra un tuffo nella storia e nelle ricchezze artistiche ed
architettoniche che fanno di questa città una delle realtà storiche più belle del Veneto. Percorsi ancora più affascinanti se illustrati da una guida esperta, come l’Associazione La Bricola, per ottimizzare il tempo della visita cittadina in un concentrato di preziose informazioni e racconti. Il “salotto” di Chioggia si snoda dal principale Corso del Popolo, una piazza-strada maestosa (840 metri di lunghezza), cuore pulsante dove si concentrano negozi artigianali, ristoranti, caffè, bar e gelaterie e i principali monumenti della città, tra cui il Duomo di Chioggia, a tre navate, croce latina. Il
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Duomo, intitolato a S. Maria Assunta in Cielo, opera dell’architetto Baldassare Longhena (secolo XVII), è di mirabile armonia con due ordini architettonici corinzio e ionico, costruito sulle fondamenta di un antico tempio intorno all’anno 1000 (risalente probabilmente al secolo VIII e intitolato a S. Maria Madre di Dio), distrutto da un incendio tra il 25 e il 26 dicembre 1623. Fuori, il Sagraeto (piccolo sagrato) con il Refugium Peccatorum, la statua della Madonna con Bambino sormontata da una cupola dorata, ultima tappa dei condannati a morte per l’estrema preghiera. Alle spalle, la piazza con la Torre campanile, in stile
romanico e alta 64 metri, sormontata da una copertura a cupola ottagonale e, a pochi metri, il Battistero (Chiesa di San Martino) e di fronte la piccola Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, che chiude da est il rettangolo dell’ampia piazza del Duomo. Edificata nel 1431 in seguito a un lascito testamentario di Pietro Mazzagallo, ricco cittadino di Chioggia, la piccola chiesetta in stile gotico è dedicata all’adorazione del santissimo Crocifisso in stile tardorinascimentale che si trova all’interno, al centro dell’arcata principale dell’altare. Proseguendo, la Chiesa di San Francesco, ospita opere
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d’arte di alto livello, recentemente restaurate, come le tele “S. Francesco d’Assisi in estasi” del secolo XVIII e “S. Francesco d’Assisi con la croce” (secolo XVII) attribuita a Van Dyck. Nella parte opposta della strada, la celebre casa storica di Carlo Goldoni, ora un B&B nel centro cittadino. Poco più avanti, in piazza del Popolo, il Palazzo della Loggia (sede Polizia Municipale), seguita dallo storico palo dello stendardo di Chioggia quindi a pochi metri più in là il Municipio, la Torre dell’Orologio, ovvero di Sant’Andrea, il più antico del mondo. Da qui, una piccola traversa sbuca alla Fondamenta Marangoni, uno
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spiazzo tra il Ponte di Sant’Andrea e l’uscita della Pescheria, il caratteristico mercato del pesce rifornito direttamente dai pescatori che rientrano di prima mattina dal mare. Il Canal Vena è uno spettacolo con i “bragozzi”, le tipiche imbarcazioni dai colori vivaci attraccate al molo. Lungo la sponda, una sorpresa è una sorta di Gelateria che produce la Crema Fritta, un dolce caldo da passeggio che ormai fa parte della tradizione chioggiotta. In Canal Lombardo, la trattoria Al Capitello interpreta con semplicità e cura i piatti della tradizione lagunare. Il mare Adriatico, di fronte alla costa di Chioggia, ideale per il turismo balneare, vanta uno degli arenili più profondi, un
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lungo litorale sabbioso ben attrezzato per vacanze familiari, perfetto per la Talassoterapia con le spiagge di Sottomarina e Isolaverde. Non manca una ricca offerta di lidi attrezzati anche con ristorante, come Minerva di Sottomarina, nonché una buona proposta di hotel come Le Tegnue a Sottomarina, un moderno quattro stelle con belle camere affacciate sul mare il cui nome deriva dalla riserva marina delle Tegnùe (sottoposta a Tutela Biologica), estese formazioni rocciose di alghe rosse calcaree, chiamate “Corallinacee”, piene di una grande varietà di forme di vita. Chioggia è famosa anche per la ricca tradizione gastronomica derivata dalla
pesca, principale risorsa del territorio, che ne fa uno dei porti marittimi più importanti dell’Adriatico, seguita a ruota dalla produzione agricola dell’entroterra, in particolare quella del pregiato radicchio di Chioggia IGP. Rosso, tondeggiante e compatto, leggermente schiacciato all’apice, il radicchio di Chioggia IGP, sia nelle tipologie “precoce” che “tardiva”, è un ortaggio croccante e leggermente amarognolo, ricco di fibra, vitamine, calcio, fosforo e magnesio, con proprietà antiossidanti e antiradicali, diuretiche e depurative. La zona di produzione del Radicchio di Chioggia IGP Precoce, cioè raccolto da aprile a metà luglio, con una quantità di prodotto ottenuto
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dopo toelettatura non superiore alle 18 tonnellate per ettaro, comprende l’intero territorio dei comuni di Chioggia, in provincia di Venezia, e Rosolina, in provincia di Rovigo. Per la tipologia Tardiva (raccolto da settembre a marzo, con una quantità di prodotto ottenuto dopo toelettatura non superiore alle 28 tonnellate per ettaro) sono interessati i comuni di Chioggia, Cona e
Cavarzere, in provincia di Venezia, di Codevigo e Correzzola, in provincia di Padova, e di Rosolina, Ariano Polesine, Taglio di Po, Porto Viro e Loreo in provincia di Rovigo. A ottobre il Radicchio di Chioggia IGP ha festeggiato dieci anni di Indicazione Geografica Protetta «Radicchio di Chioggia», denominazione riservata solo al radicchio che risponde ai
A pagina 81, canal Vena ed i bragozzi, Torre Orologio Sant’Andrea. A pagina 82, canal Lombardo. A pagina 83, Rosolina, parco del Po. A pagina 84, risotto con radicchio Chioggia igp e guanciale croccante. In questa pagina, chef e Radicchio di Chioggia IGP. A pagina 86, locandina Consorzio Tutela Radicchio per 10 anni IGP. A pagina 87, Birramisù con marmellata di radicchio Chioggia IGB.
requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione. Per questo speciale compleanno, il Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP ha organizzato un convegno, moderato dal giornalista Mauro Gambin, dedicato agli studi sulla “Caratterizzazione della qualità dell’ortofrutta veneta e dell’ambiente di produzione”, raccolti nel “Quaderno scientifico – studi e risultati sulla caratterizzazione del Radicchio di Chioggia IGP” a cura di dottor Paolo Sambo, professore ordinario DAFNAE A GROAL I ME N T ARE N AZ I ONAL E
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Università di Padova; dottoressa Roberta Tardugno, Università Ca’ Foscari di Venezia; dottoressa Daniela Berto, ISPRA di Chioggia; dottor Paolo Fontana, presidente Word Biodeiversity Association. La pubblicazione dimostra che “con le buone pratiche in campagna e il lavoro di generazioni nel migliorare il proprio prodotto, la qualità che ne deriva non è semplicemente un’etichetta sulla confezione, ma si traduce in salute e benessere per il corpo” - ha sottolineato Giuseppe Boscolo Palo, Presidente del Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP - “Il Radicchio
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di Chioggia IGP è riassumibile in un concetto semplice ed efficace “Il buono che fa bene” – ha, poi, rimarcato - “Dietro al valore di un prodotto c’è anche l’identità di chi lo produce: noi agricoltori siamo custodi e valorizzatori della terra, ne tramandiamo la cultura e le secolari pratiche che sono state necessarie per ottenere il massimo dai nostri prodotti”. Una bella storia quella del Radicchio di Chioggia Igp, una storia di imprenditorialità contadina con un risultato di eccellenza ed un prodotto straordinario, che trova concordi nutrizionisti ed imprenditori che trasformano il prodotto, come il Pastificio
Artusi, azienda di Casalserugo (Padova), che utilizza il Radicchio di Chioggia IGP come principale ripieno speciale per alcuni formati di pasta all’uovo, tra cui i “cappellacci con radicchio di Chioggia IGP e Crucolo”, un tipo di formaggio Asiago più saporito, senza uso di glutammato e con estrema attenzione alla selezione dei prodotti utilizzati. L’azienda Taflo AROMY, a Poiana Maggiore (VI), specializzata nella lavorazione ed essiccazione di molti vegetali, ha brevettato un innovativo metodo di essiccazione del Radicchio di Chioggia IGP, da cultivar selezionate di pregio. Il
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birrificio artigianale San Gabriel di Busco di Ponte di Piave (Treviso), riprendendo l’antica tradizione delle “birre medicate” a base di erbe e frutta, ha brevettato La Rossa di Chioggia, una birra con Radicchio di Chioggia IGP. A Rosolina, gli amanti del trekking e delle escursioni possono seguire il suggestivo percorso panoramico su via Valli, alla scoperta di uno degli angoli più suggestivi del Delta Polesano, l’area umida più grande d’Europa. Poco distante, a Taglio di Po (Rovigo), la Società Agricola O.P. Cultiva SpA è leader in
Europa nella produzione e lavorazione di insalate, tra cui il Radicchio di Chioggia IGP, in quarta gamma, ovvero già imbustate, per diversi marchi della grande distribuzione. Socio fondatore del Consorzio di Tutela, Giancarlo Boscolo Presidente di Cultiva, è definito il “Pioniere del Radicchio”, primo imprenditore a esportare il radicchio in USA, rendendolo un prestigioso simbolo del made in Italy. L’azienda è partner d’eccellenza globale per la I gamma e la IV “fresh cut”, ossia le insalate in busta, con
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produzioni che si estendono su tutto il territorio Italiano dalla Lombardia alla Sicilia - e sedi in Usa e Regno Unito. Un business model che fonde tre mercati di successo (Usa, Europa, Italia) in un unico modello globale: sicurezza alimentare, continuità delle forniture e qualità del prodotto, pilastri su cui, sin dall’inizio, la società Cultiva ha costruito il gruppo, adottando standard elevatissimi e metodi di lavoro di puro stampo anglosassone. “Il racconto delle nostre origini parte dal 1982, quando con i miei fratelli decisi di riprendere l’attività di mio padre, ovvero la produzione di radicchio – sottolinea, con orgoglio, Giancarlo Boscolo Il resto ormai è storia, dall’evoluzione che abbiamo vissuto in Florida ai progetti che stiamo tuttora portando avanti anche oltreoceano”. Poco distante, nel cuore del parco regionale del Delta del Po in località Riva, Villa Ferri è un casolare di campagna di fine 800 immerso nel verde e nel silenzio, ristrutturato nel 1997 da Dario Ferri, Francesca Beltrame e Paola Vetri, titolari dell’Azienda Agricola di cereali tipo orzo da malto per la produzione di birra artigianale, grano per panificazione e verdure da agricoltura integrata. Al suo interno, la Taverna del Cavaliere è un ristorante con piatti della tradizione Polesana con Radicchio di Chioggia IGP. ▣
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Dalla cura delle anemie alle diete dimagranti, la carne di cavallo ne ha fatta di strada! Le alterne vicende di una carne dal sapore particolare oggi di nuovo alla ribalta. a cura di Settimia Ricci
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ota da sempre per il notevole apporto di ferro, la carne di cavallo è tradizionalmente ritenuta la carne degli anemici. Oggi, invece, la sua riscoperta è dovuta principalmente a dietologi e nutrizionisti che l’hanno introdotta a pieno titolo nelle diete dimagranti. Può essere quindi interessante conoscerla un po’ più da vicino. La carne equina è presente nel ricettario di molte regioni italiane, dal Nord (Veneto)
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al Sud (Puglia). Nonostante ciò, la sua diffusione si può definire a macchia di leopardo perché il suo consumo ha risentito a lungo della antica diffidenza che caratterizzava le macellerie equine, rigorosamente separate da quelle bovine e, fino a tempi recenti, soggette a controlli sanitari differenti. La motivazione era molto semplice, in quanto il cavallo che un tempo era destinato alla tavola era l’esemplare anziano ormai inservibile come forza lavoro, oppure l’animale infortunato o, peggio ancora, malato e quindi abbattuto per pietà o per necessità. Oggi tutto questo è solo un ricordo del passato e le carni equine presenti nelle macellerie specializzate sono provenienti da allevamenti predisposti proprio per il consumo
alimentare. Non si tratta più, in altre parole, della carne dei poveri, perché venduta a basso costo in quanto di qualità inferiore, ma di una carne capace di costituire una valida alternativa, sia per il suo sapore sia per le sue peculiarità. Sotto il profilo nutrizionale, la carne equina si distingue per la sua magrezza e per la tipica e inconfondibile sapidità dal sottofondo dolciastro. Il contenuto lipidico molto limitato rende i tagli freschi degli animali giovani particolarmente teneri e digeribili. Per il suo elevato contenuto di ferro è ritenuta una carne nobile consigliata agli sportivi, ai bambini in crescita e agli anemici. Basti pensare che in ogni 100 grammi di carne di cavallo sono presenti 4 milligrammi di ferro, ovvero più del doppio
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rispetto a quello presente nei tagli di carne bovina. Inoltre, contrariamente a quello presente nei vegetali, spinaci in testa, il ferro contenuto nella carne di cavallo risulta altamente biodisponibile e cioè viene assorbito in proporzioni tre volte maggiori. Quanto al contenuto vitaminico consiste principalmente in tiamina (B1), riboflavina (B2), niacina (PP), piridossina (B6), acido pantotenico e vitamina B12. Il colesterolo è presente in proporzioni di circa 60 mg/100 g di carne. E, infine, la carne di cavallo si distingue per un modesto contenuto in glicogeno (0,5-1 grammi) cosa che le conferisce il caratteristico e inconfondibile sapore dolciastro. Fra le ricette della tradizione regionale italiana, la più famosa è sicuramente quella
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della “pastissada de caval” legata a una leggenda molto diffusa nella cultura popolare, secondo la quale questa antichissima ricetta veronese risale al quinto secolo dopo Cristo, ed esattamente al 30 settembre del 489, giorno in cui, nelle campagne circostanti alla città di Verona ci fu una furiosa battaglia tra il Re d’Italia Odoacre ed il Re degli Ostrogoti Teodorico. Al termine dello scontro, che vide vincitore Teodorico, rimasero sul campo di battaglia innumerevoli cavalli morti che il popolo, stremato dalla fame, recuperò e trasformò in preziose scorte alimentari inventando un ingegnoso sistema di conservazione. Per disporre a lungo della grande quantità di carne, infatti, la tagliarono e la lasciarono macerare nel vino rosso, arricchito da spezie ed erbe aromatiche. Successivamente, la cottura a fuoco lento portò alla nascita della succulenta pastissada, la cui ricetta, di generazione in generazione, è arrivata pressoché intatta fino ai nostri giorni. Ingrediente insolito ma versatile, la carne equina si presta a innumerevoli ricette e altrettanti tipi di cottura. Prima di parlare delle ricette va però ricordato che, diversamente dalla carne di altri animali, la carne equina è priva di grasso, perciò si indurisce facilmente durante la cottura. E’ preferibile quindi una cottura al sangue
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per le ricette ai ferri, al forno e in padella. Inoltre va sempre salata a fine cottura subito prima di servirla in tavola. Ed è infine possibile sottoporre la carne di cavallo al processo di marinatura, per renderla più tenera. Con il macinato si può fare un ottimo ragù per condire primi piatti di polenta, pasta e riso. Oppure si possono fare deliziosi hamburger o sfiziose polpettine da cuocere nel sugo oppure da friggere. La tartare di cavallo è un’altra idea per gustare un antipasto fresco e facile da preparare. Così come il carpaccio di cavallo servito con rucola fresca e scaglie di parmigiano e condite con olio e aceto. Al posto del carpaccio si può utilizzare anche la bresaola di cavallo. Al pari del manzo, la carne di
cavallo può essere utilizzata per un bollito da servire con la salsa verde e le patate lesse. Mentre stufata a lungo con altre verdure in un tegame di terracotta è ottima da servire con la polenta. E che dire degli sfilacci di cavallo? Si tratta di filamenti sottili di carne equina essiccata e affumicata pronti all’uso. Dalla cultura salentina arrivano i pezzetti di cavallo alla pignata. Il nome della ricetta deriva dalla pignata, un contenitore in terracotta con due manici, tipico dell’Italia meridionale, nella quale si faceva e si fa ancora oggi cuocere la carne. Infine, per ottenere una perfetta cottura al forno o alla griglia è opportuno coprire il taglio di carne equina con fettine di lardo che, sciogliendosi, la
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ammorbidisce. Al pari di quello di asina, anche il latte di cavalla è ottimo per sostituire il latte materno e trova largo impiego nel campo della cosmesi. Non si tratta certo di una scoperta di oggi, in quanto in Cina già 3000 anni fa il latte di giumenta veniva usato per curare varie malattie e gli imperatori della dinastia Ming lo chiamavano il “nettare divino”. Kublai-Khan, sovrano della Mongolia, beveva ogni sera il kumis ottenuto dalla fermentazione del latte di cavalla. E per tutti i popoli asiatici, in particolare quelli della steppa della Mongolia e i nomadi del Siberia, il latte di giumenta serviva a rafforzare il sistema immunitario e quindi a proteggersi dalle malattie. ▣
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TERRA MADRE
Salone del Gusto 2018
Si chiude la XII edizione dell’evento torinese: ma la sfida continua con la nuova campagna internazionale di Slow Food. a cura di Gladys Torres Urday con Ufficio Stampa Slow Food Immagini Archivio Slow Food
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La mia comunità alleva vacche, pecore e capre. Ma se negli anni ’70 la siccità era un fenomeno raro, ora dobbiamo affrontarla ogni due o tre anni. Il cambiamento
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climatico non è qualcosa di lontano e teorico, per noi è un problema quotidiano quando fatichiamo a trovare cibo selvatico o acqua per i nostri animali». Così racconta Amina Duba Tende, pastora indigena della
comunità Waso Boran del Kenya, portando immediatamente l’attenzione su Food for Change, la nuova campagna di Slow Food lanciata durante la conferenza di chiusura di Terra Madre Salone del
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Gusto. «Questa è Terra Madre, una rete che forma anche parte della classe dirigente a livello planetario che si occupa di ambiente e sviluppo rurale. Spesso però sono proprio le popolazioni più povere a pagare il dazio più pesante del cambiamento climatico, ricevendo in cambio desertificazione e povertà», rilancia Carlo Petrini, presidente di Slow Food. «È giunta l’ora di cambiare il passo, di dare il via a una mobilitazione dal basso che diventi elemento attivo e sia recepita dalla politica e dalla società civile. Dobbiamo partire dalle scelte quotidiane, che, se realizzate da una moltitudine di persone in ogni angolo del mondo, si trasformano nel vero cambiamento». E riferendosi all’evento che si avvia alla conclusione, continua: «Ventidue anni fa, quando
abbiamo iniziato questa avventura, non immaginavamo che le scelte che operiamo in questo contesto avrebbero potuto avere una rilevanza politica e internazionale, e questo carica l’avvenimento torinese di responsabilità». «Il nostro obiettivo da oggi in avanti è che le azioni su cui ci siamo confrontati in questi cinque giorni diventino quotidianità». È l’auspicio espresso da Daniele Buttignol, direttore generale di Slow Food Italia: «A metà dell’ultima giornata – ha proseguito – quando i dati non sono ancora definitivi, il numero di passaggi qui a Lingotto è in linea con il 2014, che ne ha registrati 220.000. Significa che dopo l’edizione in centro città del 2016, tornare al Lingotto ci ha portato ad accogliere di nuovo tante persone che vogliono intervenire e attivarsi
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sulle nostre tematiche». Si chiude così la XII edizione di Terra Madre Salone del Gusto, che ancora una volta ha riunito nel capoluogo piemontese 7000 delegati da 150 Paesi che con le loro storie, tradizioni e prodotti hanno animato i padiglioni di Lingotto Fiere. Come ha sottolineato Buttignol, «la prima parola chiave di questo evento è rete: sono i 7000 delegati da tutto il mondo che rendono unico Terra Madre Salone del Gusto e fanno sì che da qui partano nuovi progetti per il futuro del nostro movimento e soprattutto la nostra proposta per una società migliore». La seconda è educazione: tutto esaurito per i Forum e le Conferenze, sia a Lingotto Fiere che alla Nuvola Lavazza, a cui hanno partecipato relatori internazionali del calibro di Amitav Ghosh, Sunita Narain,
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John Ikerd e Barry Lynn. Il pubblico si è confrontato con i delegati di Terra Madre su temi come allevamento, cambiamento climatico, cibi naturali e il futuro delle api. Mille i bambini che si sono divertiti con i percorsi preparati nelle aree tematiche, dai giochi da tavolo alle attività sensoriali per riconoscere i vari semi. E poi non può mancare il dialogo, che ha permesso
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scambi straordinari tra culture diverse, in cui popolazioni geograficamente lontanissime prendono spunto le une dalle altre per trovare soluzioni a problemi molto simili. «Abbiamo assistito a scambi tra produttori e visitatori, il tutto coronato dalla parata di ieri sera che ha riunito delegati e famiglie ospitanti, senza barriere di sorta. Come sempre vogliamo ringraziare tutte le realtà che hanno reso
possibile questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto». Oltre 1600 delegati sono stati ospitati nelle 120 Città di Terra Madre, «e non è scontato aprire la porta a sconosciuti che portano nuove culture e nuove tradizioni. Questo significa dare concretezza alla cura dell’altro, significa impegnarsi per comprendere storie diverse dalla nostra»,
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continua Buttignol. «Per la Regione Piemonte anche questa edizione di Terra Madre è motivo di grande soddisfazione e orgoglio. Ancora una volta la capacità di far rete nell’accoglienza ha avuto conferme importanti, e questo anche grazie a quel sigillo di garanzia rappresentato da Slow Food. La nostra soddisfazione è anche per aver messo al centro del
dibattito temi fondamentali per il futuro del pianeta: l’uso del suolo, dell’acqua e dell’aria, i cambiamenti climatici, la necessità di vedere il cibo non tanto come un insieme di elementi chimici, quanto come cultura, occasione di crescita e libertà di tutti, come garanzia di buona salute per tutti», ha aggiunto Giorgio Ferrero, assessore all’agricoltura della Regione Piemonte.
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Ancora una volta Torino è stata protagonista e ha accolto oltre 350 eventi entrati a far parte del programma Terra Madre IN, che ha coinvolto decine di associazioni locali e 7000 persone. «Siamo molto soddisfatti di questa edizione: un appuntamento ormai simbolo della Città di Torino. Rete, dialogo ed educazione sono i temi intorno a cui ha ruotato
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l’evento. Ringrazio Slow Food e tutte e tutti coloro che lo hanno reso possibile», continua Chiara Appendino, sindaca di Torino. «È importante ribadire come solo l’azione quotidiana di ognuno di noi possa davvero fare la
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differenza per un futuro in cui l’accessibilità al cibo, la qualità, e la sostenibilità siano una realtà». Oltre 1000 anche i volontari, pensionati, giovani e migranti che hanno reso l’evento un successo. «Con i 4000
Barachìn abbiamo condiviso la grande festa di Terra Madre anche con chi non è riuscito a venire alla manifestazione. L’esperienza è stata talmente positiva che non si chiude oggi, ma continuerà in futuro: i ristoratori con cui abbiamo
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collaborato hanno infatti già espresso la volontà di ripetere l’esperienza». Cala il sipario sulla manifestazione, ma non finisce qui: «Siamo alla fine dell’evento e all’inizio della campagna Food for Change. E questo è possibile grazie alla magia che si ricrea durante Terra Madre: popoli diversi che si incontrano, si scambiano esperienze, consigli e stringono legami e amicizie. È questa idea tutta italiana che ispira il mondo intero, riconoscendo che il cibo dà un immenso senso di gioia, restituendo importanza ai singoli ingredienti. Terra Madre è vedere chef israeliani e libanesi che cucinano insieme, delegati russi e statunitensi che
discutono di un futuro comune, in cui è il cibo a rappresentare la soluzione; è ascoltare agricoltori sudafricani e islandesi che si scambiano consigli sul cibo migliore per le loro galline», aggiunge Richard McCarthy, direttore esecutivo di Slow Food Usa, presentando Food for Change, la nuova campagna di Slow Food. Food for Change si concentra sulla relazione tra cibo e cambiamento climatico. Con questa iniziativa Slow Food chiama a raccolta la rete globale per invitare tutti a riflettere e modificare anche di poco quelle abitudini che sommate hanno un pesante impatto negativo sul pianeta. La prima sfida è dal 16 al 22 ottobre: «una settimana
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senza spreco ma piena di gioia», continua McCarthy. «L’attivismo verso il cambiamento climatico non può aspettare; è un problema che va oltre qualsiasi confine. Ognuno di noi può fare la propria parte scegliendo tra consumo sostenibile e non sostenibile. Ognuno può fare la propria parte attraverso la campagna Food for Change», aggiunge Francesco Sottile del Comitato Esecutivo di Slow Food Italia. Alice Waters, vice presidente di Slow Food, ha condiviso invece il suo piano per il futuro delle mense scolastiche californiane. «Vogliamo fornire un pasto scolastico sostenibile e gratuito a tutti i bambini della California dalla primaria alle
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medie, acquistando il cibo per le scuole direttamente da chi coltiva la terra e alleva gli animali. Questo non sarà solo un motore di cambiamento ma permetterà di fornire pasti nutrienti a tutti i bambini». È intervenuto, poi, Matteo Baronetto, cuoco del ristorante Del Cambio, che ha voluto ricordare: «I miei nonni erano contadini quindi la campagna Food for Change per me è un fattore culturale
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che sento nell’anima. Sono solo un cuoco ma oggi sento una forte responsabilità nell’educare i clienti e i ragazzi che lavorano con me». «A livello globale la produzione di cibo è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra (21%): un numero che dipende in larga parte da metodi produttivi che hanno perso qualsiasi contatto con
la natura e rispetto per l’ambiente. Ecco perché aiuti e sostegno dovrebbero andare a modelli agricoli più naturali, mentre oggi dei 62,5 miliardi di euro di fondi europei e italiani destinati all’agricoltura, solo 1,8 miliardi, che corrispondono a meno del 3% delle risorse totali, sono destinati all’agricoltura biologica. La restante parte va a finanziare modelli agricoli basati sull’utilizzo di concimi e pesticidi» continua McCarthy. «Non scordiamoci che se il cibo è causa del cambiamento climatico, ne è anche la soluzione. Ecco perché è fondamentale che tutti ci impegniamo in Food for Change. Per ottenere grandi risultati basta poco, è sufficiente cambiare leggermente le nostre abitudini alimentari». ▣
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Abruzzo, la Regione più accogliente d’Italia Il Premio Italia Destinazione Digitale ha visto trionfare la regione più ricca dell’Italia meridionale. a cura della Redazione Centrale con AIGO Media Contact
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n occasione della prima giornata del TTG Travel Experience 2018 di Rimini, la più grande fiera italiana del turismo B2B, si è tenuta presso l’Italy Arena la terza edizione del Premio Italia
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Destinazione Digitale che ha visto trionfare l’Abruzzo in qualità di ”Regione più accogliente d’Italia”, in gara con le regioni italiane che nell’ultimo anno hanno registrato le migliori performance di reputazione
online. Il prestigioso riconoscimento è stato conferito da Travel Appeal, startup specializzata in Data Science e Intelligenza Artificiale al servizio della Travel Industry, in base
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all’analisi di oltre 13 milioni di recensioni online pubblicate su canali come TripAdvisor, Booking.com, Google, Expedia, Hotels.com, Facebook, Airbnb, Homeaway e Wimdu. Negli ultimi anni la reputazione digitale è difatti divenuta un elemento chiave nei processi di promozione del territorio e rappresenta un’importante opportunità di business per definire le strategie di successo di una destinazione turistica. Il giudizio degli ospiti è un dato fondamentale per influenzare le scelte dei turisti
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che, maggiormente connessi e digitalizzati, si affidano al web per scegliere la prossima meta delle vacanze e le strutture ricettive in cui alloggiare. Nell’ultimo anno le recensioni pubblicate dagli ospiti relative alla propria esperienza di soggiorno in Italia sono cresciute del 15%, tendenza trainata in particolar modo dal settore degli appartamenti e affitti a breve termine (+20%). Con un sentiment positivo in crescita rispetto al 2017 e attestato all’86,4%, il Bel Paese risulta sempre più amato e apprezzato dai turisti
stranieri, specialmente dai Tedeschi che si confermano i primi recensori e il principale mercato di provenienza estera in Abruzzo e in Italia. Travel Appeal ha inoltre presentato DestinazioneDigitale.it, l’osservatorio permanente dedicato al turismo digitale in Italia che, grazie al contributo di importanti player di settore, presenta una nuova interfaccia e un portale dedicato a ricerche mirate relative a destinazioni in generale e all’offerta ricettiva di una città specifica. ▣
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Livorno
L’ a n d a m e n t o dell’economia agricola e le aziende agrituristiche in Italia I risultati dell’ultimo report Istat. a cura Redazione Centrale su dati Istat
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’andamento dell’economia in agricoltura, silvicoltura e pesca ha registrato una crescita del 3,9% a prezzi correnti e un forte calo in volume (-4,4%), dovuto in buona parte al crollo delle produzioni vinicole (-14,0%) e frutticole (-6,1%), in un contesto di rilevante incremento dei prezzi di vendita. I prezzi dei prodotti agricoli
venduti sono risultati in forte rialzo (+6,2%) mentre i prezzi dei prodotti acquistati hanno segnato una crescita molto meno marcata (+1,6%); ne è derivato un deciso recupero dei margini rispetto al 2016. Il valore aggiunto del comparto agroalimentare, che oltre al settore agricolo comprende quello dell’industria alimentare, è cresciuto dell’1,2% in termini correnti, ma
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è diminuito dell’1,5% in volume. A causa dell’andamento negativo dell’output, condizionato dalle avverse condizioni climatiche, le Unità di lavoro sono diminuite complessivamente dell’1,2%. L’incremento delle Ula dipendenti (+1,5%) non è stato sufficiente a compensare la flessione di quelle indipendenti (-2,5%). Risultati positivi si sono registrati, invece, per
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l’industria alimentare, in cui le Unità di lavoro sono aumentate del 3,0%. Per il secondo anno consecutivo gli investimenti nel settore agricolo hanno registrato un recupero (+3,3% in valori correnti e +1,7% in volume) dopo la pronunciata contrazione degli anni precedenti il 2016. Nel 2017 quasi tutte le componenti della produzione agricola hanno subito una marcata contrazione in volume. Il calo è stato più forte nelle coltivazioni legnose (-5,4%), foraggere (-5,4%) ed erbacee (-5,1%). Solo le attività secondarie hanno segnato una
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dinamica favorevole (+3,5%). Stazionarie quelle di supporto. Per quanto riguarda invece le aziende agrituristiche in Italia continua il trend di crescita del settore agrituristico registrato negli ultimi anni, sia per il numero di strutture che per le presenze dei clienti e il suo valore economico. Nel 2017 sono 23.406 le aziende agrituristiche autorizzate, 745 in più rispetto all’anno precedente (+3,3%). L’incremento è dato dalla differenza tra le 2.121 nuove autorizzazioni e le 1.376 cessazioni. I comuni nel cui territorio
sono localizzate le aziende agrituristiche sono 4.893, rispetto all’anno precedente sono 27 in più (+0,6%). Le presenze dei clienti negli agriturismi ammontano a 12,7 milioni (+5,3% rispetto al 2016), come emerge dall’indagine Istat sul movimento dei clienti negli esercizi ricettivi. I conti economici dell’agricoltura consentono di misurare la dimensione economica del settore agrituristico che è pari nel 2017 a 1,36 miliardi di euro, in crescita del 6,7% sul 2016. Prosegue la tendenza a differenziare la tipologia
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delle attività agrituristiche offerte con pacchetti integrati: 8.225 aziende svolgono sia alloggio sia ristorazione, 10.757 offrono oltre all’alloggio altre attività agrituristiche e 1.987 propongono tutte le quattro tipologie agrituristiche (alloggio, ristorazione, degustazione e altre attività). Nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno è localizzato il 60,5% degli agriturismi con alloggio, il 56,3% di quelle con ristorazione, il 60,4% di aziende con degustazione e il 63,9% con altre attività. L’84,2% delle aziende agrituristiche è situato in
aree montane e collinari, il restante 15,8% in pianura. La crescita del numero degli agriturismi, registrata in tutto il Paese, è molto più decisa nel Centro (+6,3%) rispetto al Mezzogiorno (+3,9%) e al Nord (+0,8%). In Toscana e nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen, l’agriturismo si conferma una realtà consistente e radicata, rispettivamente con 4.568 e 3.187 aziende autorizzate, una elevata presenza di turisti e un consistente valore economico del settore. Più di un’azienda su tre (36,2%) è a conduzione femminile. La maggiore
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concentrazione si rileva in Toscana con 1.789 unità, pari al 39,2% del totale degli agriturismi regionali e al 21,1% di quelli nazionali a conduzione femminile. Risulta significativa la crescita delle strutture agrituristiche produttrici di prodotti di qualità (DOP e IGP) che passano, fra il 2011 e il 2016, da 791 a 2.533 unità. Sempre fra il 2011 e il 2016, l’incremento del numero dei comuni con agriturismi DOP e IGP si sviluppa secondo una traiettoria che evidenzia lo spostamento del baricentro della crescita verso il Centro del Paese. ▣
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LIFE FRANCA, parte dal Trentino il progetto europeo per prevedere le calamità naturali Un progetto europeo nato a luglio 2016 per promuovere l’anticipazione e la comunicazione del rischio alluvionale nelle Alpi. di Nicoletta Curradi
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cambiamenti climatici sono diventati oramai argomento quotidiano, anche perché molto spesso provocano eventi calamitosi che sconvolgono intere comunità, con effetti devastanti. Basti pensare alle alluvioni di Firenze, ma anche di Trento, del novembre 1966. Ma purtroppo anche in tempi recenti si sono
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avute quella di Genova del 2014 e quella di Livorno di appena un anno fa. Sarebbe auspicabile poter prevedere i disastri idrogeologici o almeno esserne consapevoli per poter gestire al meglio l’emergenza. Con questo scopo è stato concepito LIFE FRANCA, un progetto europeo nato a luglio 2016 appunto per promuovere l’anticipazione
e la comunicazione del rischio alluvionale nelle Alpi. Grazie al contributo LIFE, lo strumento finanziario dell’Unione Europea che supporta le azioni di conservazione della natura, di protezione dell’ambiente e di mitigazione del cambiamento climatico, il progetto, che si concluderà il 31 dicembre 2019, si è posto l’obiettivo di favorire la crescita di una
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cultura dell’anticipazione e prevenzione degli eventi alluvionali nelle Alpi, attraverso l’analisi e la modifica mirata dei comportamenti socioculturali collettivi, della percezione degli abitanti nei confronti dei rischi del proprio territorio. FRANCA è un acronimo
inglese che significa Flood Risk ANticipation and Communication in the Alps. Il progetto è coordinato dal Prof. Roberto Poli, Cattedra UNESCO sui sistemi anticipanti e direttore del master in previsione sociale. Altri partner sono l’Università degli Studi di Trento, quella
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di Padova, la Provincia Autonoma di Trento, le autorità di bacino nazionale del fiume Adige e il MUSE, Museo delle Scienze di Trento. Il rischio idrogeologico nelle Alpi è dovuto sia alle caratteristiche geomorfologiche, idrografiche e climatiche del territorio, sia al forte incremento delle aree urbanizzate, avvenuto spesso senza una corretta pianificazione territoriale. In particolare, il pericolo alluvionale rappresenta una minaccia reale per molte località del territorio trentino, caratterizzato da numerosi piccoli torrenti montani e da grandi corsi d’acqua di fondovalle. Gli eventi di piena nella Provincia di Trento sono infatti tutt’altro che rari. Nonostante questo, la consapevolezza dei rischi nella popolazione è scarsa e la corretta comunicazione della gestione dei fenomeni di piena è sporadica. L’efficacia della prevenzione e mitigazione dei rischi dipende dalla collaborazione di tutti i soggetti interessati. Per questo LIFE FRANCA promuove una cultura dell’anticipazione e prevenzione dei rischi del territorio in Trentino e nelle Alpi, pur sapendo che la sicurezza totale non può essere garantita. E’ necessario preparare la popolazione ad affrontare gli eventi alluvionali, attraverso un processo partecipato
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tra cittadini, tecnici e amministrazioni. Abitanti, agricoltori e quanti vivono in zone a rischio idrogeologico devono essere consapevoli delle conseguenze dei loro comportamenti nella vita quotidiana e in quella lavorativa. LIFE FRANCA intende diventare un progetto pilota, i cui risultati potranno essere applicati sia ad altre regioni, sia ad altri rischi naturali connessi ai cambiamenti climatici. Nella consapevolezza che il rischio zero non può essere garantito, il progetto promuove una cultura del rischio alluvionale,
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per anticipare gli eventi calamitosi e migliorare la sicurezza del territorio e dei cittadini. Il progetto coinvolge ogni categoria interessata: per esempio docenti e studenti, attraverso laboratori sperimentali e attività educative; residenti, con la produzione di scenari strategici di future alluvioni; tecnici, amministratori e giornalisti grazie a seminari specifici. Sarà realizzato un portale online sul rischio alluvionale, punto di riferimento per avere informazioni sulla situazione idrogeologica del territorio trentino, che sarà aggiornato dai servizi della Provincia
Autonoma di Trento, ma tutti i cittadini potranno segnalare ogni anomalia notata sul territorio. Trento, Borgo Valsugana e la Val Rendena sono le tre località al centro del progetto, individuate in base alla pericolosità alluvionale, alla vulnerabilità del territorio e alle attività economiche prevalenti (industria, agricoltura, turismo). In queste zone sono stati attuati esempi concreti di gestione e prevenzione del rischio alluvionale e idrogeologico in area montuosa, come sul fiume Brenta che attraversa Borgo Valsugana. ▣
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CONSORZIO TUTELA VINI DELLA MAREMMA TOSCANA
diversificate che incidono profondamente sulle caratteristiche della
Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana nasce nel 2014
Attraverso la partecipazione a manifestazioni internazionali o la
dopo il conferimento della DOC con l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoi vini e garantire il rispetto delle norme di produzione previste dal disciplinare, dedicandosi, inoltre, alla tutela del marchio
ricca e variegata gamma di vini proposta.
presenza presso sedi istituzionali sia in Italia che all’estero, il Consorzio è inoltre impegnato nella valorizzazione della Denominazione Maremma Toscana e del territorio da cui essa proviene con l’obiettivo
e all’assistenza ai soci sulle normative che regolano il settore.
di far conoscere la peculiare produzione della Maremma Toscana
Oggi il Consorzio conta 269 aziende associate, di cui 193 viticoltori
risalgono ai tempi degli Etruschi.
(per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), 1 imbottigliatore e 75 aziende “verticali” - che vinificano le proprie uve e imbottigliano i propri vini - per un totale di 5,5 milioni di bottiglie
DOC e la storia di questa originale zona vitivinicola, le cui origini
Importanti azioni di incoming destinate a operatori del settore italiani e stranieri, oltre a un ricco programma di eventi, tavole rotonde e
prodotte all’anno.
convegni, permettono al Consorzio di presentare l’eterogenea realtà
Il Consorzio opera nell’intera provincia di Grosseto, una vasta area
storica e culturale, promuovendo al contempo le migliori tecnologie
della Maremma non solo enologica, ma anche turistica, agricola,
nel sud della Toscana che si estende dalle pendici del Monte Amiata e raggiunge la costa maremmana e l’Argentario fino all’isola del Giglio, corrispondente alla zona di produzione della DOC Maremma Toscana, dove sono presenti 8.770 ettari di vigneto. Un’area geografica caratterizzata da condizioni pedoclimatiche molto
nel rispetto della natura. Lo scopo della DOC Maremma Toscana è oggi quello di affascinare e stupire gli amanti del bello e del buono di tutto il mondo, valorizzando le diversità di questo sorprendente territorio e ampliando gli orizzonti del gusto toscano attraverso la varietà e la qualità di questi pregiati vini.
www.consorziovinimaremma.it | info@consorziovinimaremma.it
M SUPERFOOD E ALIMENTI FUNZIONALI Tutto a “La salute nel Piatto - Medici e Chef a confronto”. a cura di Paola Piovesana
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etti in tavola Scienza e Superfood! La Natura li ha creati, Scienza e Tecnologia li hanno riscoperti, potenziati e sublimati nell’alimentazione, nella nutraceutica, nella cosmesi e anche, soprattutto, nella salute. Sono gli alimenti funzionali, connubio di salute ed energia, con sorprendenti qualità e poteri nutrizionali, appaganti, curativi. E’ risaputo ormai che una dieta prevalentemente vegetariana basata su macrogruppi alimentari quali cereali (preferibilmente integrali), legumi, verdura, frutta (fresca, secca, oleosa) e i loro derivati sia ottimale per conquistare il benessere a tavola e favorire uno stato di salute migliore. Oggi si può fare di più: riscoprire alcuni prodotti o tecniche per inserire nel quotidiano anche i cosiddetti SUPERFOOD. Il 18 novembre, a Milano, si svolgerà “La Salute nel Piatto
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- Medici e Chef a confronto - Body Energy, Food Energy!”, terza edizione, una giornata di informazione ad accesso gratuito dove nutrizionisti, medici, esperti di alimentazione naturale e cultori della cucina si affiancheranno per svelare curiosità e piccoli segreti e promuovere stili di vita corretti, in grado di prevenire o in parte contrastare l’insorgenza di patologie e favorire il benessere, ad ogni età. Sul palco ci saranno medici, chef e nutrizionisti che, durante accattivanti show cooking, racconteranno le novità del settore, proponendo piatti gustosi ed eccellenti dal punto di vista nutrizionale, mentre espositori selezionati proporranno prodotti di grande qualità per
arricchire il proprio quotidiano e, perché no, proporre idee regalo salutari e di tendenza per le prossime feste. Dal
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riso migliore ai cereali antichi, dall’olio evo al miele, dal succo di melograno all’avocado, dall’erba medica
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alla moringa oleifera, dalla medicina quantistica come disciplina di cura alternativa alle acque potenziate. Si potranno provare piatti deliziosi preparati dai professionisti con insoliti abbinamenti, menù e cocktail insoliti, scoprire metodi differenti di approccio alla cura e acquistare elisir di benessere. Tutto secondo il motto: Body Energy, Food Energy! Il panel degli ospiti è ricco e prestigioso: Vasco Merciardi, Marco Missaglia, Alessandro
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Scorba, Piergiorgio Spaggiari, Claudio Viacava, Anna Villarini, Edy Virgili, Silvia Criscione, Marcello Ghiselli, Manuela Ravaglioli. Tra gli chef Dario Beluffi, Paola Bertini, Claudio Di Dio, Tiziana Vitale. Dove e quando: domenica 18 novembre, Novotel Milano Nord Cà Granda, viale Suzzani 13, Milano, zona Bicocca – Niguarda, facilmente raggiungibile con la MM5 fermata Cà Granda. “La Salute nel piatto - Medici e Chef a confronto”
è una kermesse ideata da Rossella de Focatiis con il format Sapere. Il Sapore del Sapere, incontri consapevoli di cultura, scienza e alimentazione. I visitatori riceveranno alcuni omaggi offerti da sponsor. Ingresso gratuito su registrazione. ▣ A questo link ogni informazione: http://www.saporedelsapere. it/domenica-18-novembre2018/
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Conferenza della Vigna e del Vino La terza edizione della Conferenza della vigna e del vino in Libano si è tenuta a Beirut. a cura Redazione Centrale su dati OIV
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rganizzata dal ministero dell’Agricoltura libanese sul tema “nuove strategie e tecnologie per l’industria vinicola libanese” presso l’Università Saint Esprit di Kaslik (USEK),
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all’evento erano presenti le principali aziende del settore associate all’Unione vinicola del Libano e diversi esperti del settore. I relatori, provenienti da diversi paesi quali Francia e Italia, hanno contribuito a fare
luce sui recenti progressi in ambito tecnico, scientifico ed economico. Il direttore generale dell’OIV e il suo assistente hanno partecipato a questa giornata e Jean-Marie Aurand ha colto questa occasione per
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sottolineare che sin dal 1995, anno dell’adesione del Libano all’OIV, i rapporti sono sempre stati molto stretti e fruttuosi. Nel 1997, su consiglio dell’OIV, venne creata l’Unione vinicola del Libano. Nel 2000, il Libano adottò la legge sul vino, ai sensi della quale nel 2013 fu creato l’Istituto nazionale della vigna e del vino. Negli ultimi sei anni, grazie al dinamico impegno del direttore generale Louis Lahoud, i rapporti tra OIV e Libano si sono ulteriormente rafforzati. Aurand ha inoltre ricordato il successo delle giornate dei vini del Libano che si sono svolte a Parigi nel 2010 e 2013, a Berlino nel 2014, negli USA nel 2016 e 2017 e in Svizzera quest’anno,
su iniziativa del ministero dell’Agricoltura. La giornata di quest’anno in Svizzera, che ha visto la partecipazione di un vasto pubblico di specialisti, i quali hanno avuto l’opportunità di scoprire la diversità e la qualità della produzione libanese, è stato reso possibile grazie all’impegno del direttore generale dell’Agricoltura Louis Lahoud e al sostegno del ministro degli Affari esteri Gebran Bassil. Durante questa visita, il direttore generale dell’OIV è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica, il generale Michel Aoun, e dal primo ministro Saad Hariri, che hanno ribadito il sostegno del proprio paese alle attività dell’Organizzazione.
incontri ad alto livello con il ministro dell’Economia Raed Khoury, il ministro della Giustizia Salim Jreissati, il ministro dell’Informazione Melhem Riachi e quello del Turismo Avedis Guidanian, a riprova dell’importanza attribuita da questo paese alla filiera vitivinicola. Da un paio di decenni a questa parte, la vitivinicoltura libanese vive una crescita notevole e annovera oggi quasi 50 aziende viticole rispetto alle 8 di venti anni fa. Il Libano produce circa 80.000 hl di vino l’anno e ne esporta la metà. La filiera valorizza i vitigni autoctoni, quali l’Obeidy o il Merweh, con l’obiettivo di recuperare le radici della sua viticoltura millenaria. ▣
Inoltre, ha tenuto degli
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