Artribune Magazine #30

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BIENNALI D’AFRICA: DA MARRAKECH A DAKAR Nel 2016 inaugurano due fra le più singolari ed estese biennali organizzate sul suolo africano, rispettivamente a Marrakech e a Dakar. Entrambe ospitano diverse mostre satelliti, progetti curatoriali site specific e ospiti internazionali, che riportano l’Africa al centro di una rinnovata attenzione mondiale. A livello culturale, estetico, ma soprattutto di rappresentazione del tempo umano. In Marocco, fino all’8 maggio, la sesta Marrakech Biennale (città dove peraltro opera l’unica galleria italiana con sede nel continente, ovvero la Voice Gallery diretta da Rocco Orlacchio). Fondata nel 2004, quest’anno la Biennale presenta per la prima volta un programma allestito – tra symposium, talk e performance – in spazi pubblici aperti gratuitamente. L’intenzione è quella di connettere, con maggior forza, i lavori esposti e le attività organizzate assieme al tessuto urbano circostante. Curata da Reem Fadda, con il titolo Not New Now, la Biennale diventa riflesso della storia fondativa di Marrakesch, ricostituendo una sorta di unità panafro-araba e investigando progetti socio-politici a confronto con movimenti artistici: dal mondo africano a quello arabo, alle rispettive diaspore [nella foto di Nicolò Degiorgis]. Performance, disvelamento di archivi, proiezioni di film, seminari e conferenze rendono primario l’obiettivo della Biennale di instaurare un dialogo oltre l’arte e la cultura, attraverso un approccio multidisciplinare, tra lavori di Sam Gilliam, David Hammons, Ahmed Bouanani, Sara Ouhaddou, ma anche Mona Hatoum, Adrián Villar Rojas e Kader Attia. A partire dal 2 maggio, invece, a Dakar, capitale del Senegal, avrà luogo la 12esima edizione di Dak’art. La Biennale dedicata all’arte contemporanea africana è supportata dal Ministero della Cultura senegalese, che ha costituito un comitato scientifico

LA SCENA SUDAFRICANA Se negli ultimi anni sono sorte in Africa, a nord e a sud dell’Equatore, importanti manifestazioni espositive, se alle collezioni storiche (oltre alle “occidentali” Jean Pigozzi e Jean-Paul Blachère, vanno segnalate le “africane” Sinda Dokolo, Shyllon, Ruth Schaffner, Adama Diawara, Murtala Diop, Idelphonse Affogbolo) cominciano ad aggiungersene di nuove, se case d’aste nascono qua e là – a Lagos e ad Abidjan –, le gallerie ancora scarseggiano. Soltanto in Sud Africa, già da tempo, le espressioni d’arte africana più originali sono state valorizzate da una rete di gallerie in grado di amplificare i loro messaggi in chiave internazionale, da un lato diventando trampolino di lancio per i giovani artisti, dall’altro sostenendo manifestazioni agguerrite come la Johannesburg Biennale, inaugurata nel 1995, o la Cape Town Art Fair, la cui quarta edizione si è tenuta dal 19 al 21 febbraio scorso. Particolare, dunque, e totalmente avulsa dallo scenario africano globale, la situazione dell’art system in South Africa che trova a Cape Town e a Joahnnesburg poli espositivi di notevole peso e internazionale autorevolezza: fra le varie gallerie attive in que-

di trenta membri – tra i quali si contano gli artisti Ndary Lo, Aissa Dione e Mauro Petroni Daouda Ndiaye. Proprio Ndiaye ha invitato i membri a considerare Dak’art 2016 un’edizione di ristabilimento, considerato il fatto che la precedente, avvenuta a maggio del 2014, ha presentato gravi manchevolezze nell’organizzazione, minando l’immagine dell’evento. Quest’anno, dunque, rigore, qualità, rilievo nelle scelte estetiche, nonché partnership culturali importanti mettono in risalto la diversità

nella selezione tra i partecipanti. Il suo direttore artistico, il camerunense Simon Njami, sta lavorando per creare nuovi stimoli, nuove sinergie, inedite, non solo con la città, ma con diverse istituzioni africane. GINEVRA BRIA marrakechbiennale.org | dakart.net

sti centri urbani, la Stevenson del mito di Narciso, metafora di Gallery (per citare qualche nome una profonda riflessione sull’idenfra i tanti, con Wim Botha e Nan- tità individuale e sulle diversità dipha Mntambo) e la Goodman culturali del popolo africano. La Gallery (per esempio, con Kudza- conoscenza di Wim Botha (South nai Chiurai, celebre per le pro- Africa, 1974) risale invece a tempi vocatorie immagini fotografiche antecedenti. In entrambi i casi ci dedicate al presidente dello Zim- colpì la ricchezza del linguaggio babwe, Robert Mugabe), tutte e visuale e concettuale”. due con sede in entrambe le città. Quest’ultima, in particolare, van- LA MANO ta tra i suoi artisti storici sudafri- DELL’URBANISTICA cani William Kentridge, un nome Le metropoli africane, con le che, insieme a quello di Marlene loro caotiche bidonville, sono Dumas, non lascia adito a diventate fucine creatiincertezze. ve per molti giovani A Joost Bosland, talenti. Qui si fordella sede di giano e traggono Rem Koolhaas dal Cape Town delstimoli creativi la Stevenson indispensabili 2000 lavora a un libro Gallery, abper sviluppasu Lagos, la più grande biamo chiesto re successivaconurbazione della come la gallemente la loro Nigeria poetica in altri ria sia giunta luoghi, in Eualla scelta di alropa come negli cuni dei suoi giovaStati Uniti, o ni artisti più rapprein America sentativi: “Individuammo i primi lavori di Nandipha Mn- Latina. E proprio le città, intimatambo (nata nello Swaziland nel mente lacerate dal punto di vi1982) a una mostra organizzata sta politico e sociale, ma anche dalla University of Cape Town. Nel dispensatrici di energia, tese alla 2005, a due anni dalla sua aper- conquista della libertà, al supetura, la galleria presentò in una ramento dell’isolamento cultucollettiva una sua opera. L’escala- rale e al progresso economico e tion di Mntambo fu rapida. L’arti- tecnologico (nel 2012 sono stati sta è diventata molto nota per le registrati più telefonini in Africa sue interpretazioni fotografiche che negli Stati Uniti e in Euro-

pa messi assieme: 650 milioni), cadono sotto la lente dei grandi architetti, che ne esaminano le caratteristiche per formulare interventi necessari a migliorare la loro complessa e problematica vivibilità. Rem Koolhaas dal 2000 lavora a un libro su Lagos, la più grande conurbazione della Nigeria e non solo, soggetta negli ultimi tempi a una rapidissima e irregolare crescita, sorte condivisa da altre metropoli africane (Kinshasa, Dakar, Luanda, Nairobi, Johannesburg…). A Cape Town, l’architetto statunitense Alfredo Brillembourg sta elaborando nuove strategie abitative con il progetto di townships Empower Shacks, allo scopo di riqualificare urbanisticamente aree ad altissima concentrazione umana. Intanto, sempre a Cape Town, il londinese Heatherwick Studio sta dando gli ultimi ritocchi al MOOCA – Zeitz Museum of Contemporary Art Africa, ricavato da silos per il grano in disuso: 9.500 mq espositivi affacciati sul Victoria & Alfred Waterfront, che saranno adibiti a esposizioni d’arte, africana in primis. Fra disagi sociali e forti pulsioni creative, gli immensi agglomerati africani, con le loro estese aree suburbane, diventano scenari dalle grandi potenzialità.

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