PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA UILTRASPORTI CAMPANIA
ANNO 5, NUMERO 10
OTTOBRE 2013
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale” (art. 16 Cost.)
Il peso delle responsabilità che grava sulle sorti del tpl campano
Editoriale
Accordi e istituti giuridici per offrire una soluzione alternativa al collasso
Il Sud dimenticato ...con la sua complicità
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a legge di stabilità consegna il Paese ad un declino inesorabile connotato dall’incapacità della politica e dal governo, sempre più distanti fra essi e dal mondo reale, di traguardare obiettivi credibili e sostenibili. La legge di stabilità s’inserisce con la sua inossidabile insipienza, nella drammatica crisi diventata sempre più italiana, contraddistinta dalla insostenibile incapacità di declinare ciò di cui il Paese ha bisogno, a favore invece di ciò che la politica rivendica per posizionamenti e strumentalizzazioni, più che per convincimenti ed analisi. Sono molti i figuranti e come tali si muovono indistintamente e insignificativamente sulla scena politica cambiando posizioni e schieramenti, solo fidando, a torto, sulla inconsapevolezza dei cittadini che invece, consci di ciò che accade, mal contengono il teatrino dell’IMU, dell’IVA, dei finti tagli ai costi della politica, della politica sui tetti di Montecitorio, di governi minacciati dalle storie personali, dell’indecente ipotesi (perché di questo si tratta) del taglio del cuneo fiscale, e dell’inevitabile aumento della pressione fiscale che si determinerà a fronte dei minori trasferimenti agli enti territoriali e soprattutto con la introduzione di nuovi tributi che dovrebbero sostituire quelli vecchi che sicuramente, come è sempre successo, saranno più pesanti. Come in tutte le crisi c’è chi la paga più volte e con diversa moneta, ed il Sud e la Campania sono, come sempre, più esposti di qualunque altro territorio. I dati Svimez dicono di un Sud del Paese devastato nell’aspetto economico e nella prospettiva delle future generazioni, prima ancora che nell’animo di una terra distrutta dall’incuria, dalla desertificazione industriale, dalla negazione di ogni servizio pubblico e sfregiata dalle azioni criminali di quanti dal Nord fino al Sud del Paese l’hanno ridotta ad una grande discarica. Il dato che solo ora si è voluto far emergere, circa la quantità di sostanze tossiche sversate impunemente, ha trasformato quella che fu “terra di lavoro del Regno delle due Sicilie” in quella che è diventata “terra dei fuochi” di questa Italia riunita che troppo è costata e ancora tanto dovrà pesare sui destini delle genti del Sud. Si registra ancora la ludica discussione sull’incapacità della classe dirigente del meridione di utilizzare nel tempo le risorse, che come sempre vengono definite “aiuti” . Di analisi questo Paese sta morendo, di valutazioni ex post se ne trovano ovunque, talvolta su labbra incompetenti, ma di responsabilità che indubbiamente hanno segnato negativamente il Mezzogiorno d’Italia se ne possono cercare ovunque e molte di queste sono al Nord e nei governi che hanno determinato il gap tra il Sud ed il resto del Paese, con la complicità di quella classe dirigente che sosteneva politiche discriminatorie probabilmente solo per poter utilizzare con familismo, e nel peggiore dei modi, quelle poche risorse che arrivavano come “aiuti”. A fronte dell’ennesima analisi, questa volta addirittura ad opera del ministro della Coesione Sociale, da cui ci si aspetterebbero fatti e atti piuttosto che ancora analisi accademiche oramai buone solo per le Pag. 2
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ome spesso avviene nel nostro Paese, i drammatici eventi accaduti negli ultimi anni hanno prevalso sulla più nefasta delle previsioni, e tra tagli nazionali e i bilanci in rosso delle società, la situazione del tpl in Campania è a dir poco esplosiva, connotata da gravi disservizi e continue proteste dei lavoratori e dell’utenza. Fare trasporto pubblico nella nostra regione è indubbiamente difficile, ma arriva il momento in cui la politica deve passare dalle parole ai fatti ed il risanamento delle società partecipate che si occupano di mobilità sul territorio è diventato uno dei cardini della credibilità della Regione che dovrà in ogni caso rispettare gli impegni presi col Governo e garantire ai propri cittadini adeguati livelli di servizio pubblico, tagliati drasticamente a causa della precaria situazione finanziaria ed economica in cui versano le società di tpl. E così, tra i tagli ai contratti di servizio e i mancati introiti tariffari, tra un piano di
riorganizzazione deficitario e uno di risanamento ancora da valutare, si è scientificamente provveduto al depotenziamento delle società di trasporto pubblico, allo svuotamento delle loro funzioni interne e ad un graduale regresso di tutto il sistema di mobilità regionale, reso ancora più precario dal fallimento di alcune delle società pubbliche su gomma. L’inevitabile dissesto delle aziende di trasporto e l’insostenibilità finanziaria del comparto, venutasi a creare dopo anni di sprechi e di tagli indiscriminati ai corrispettivi da contratto di servizio, ha spinto la Regione Campania a dichiarare lo stato di crisi del tpl, con l’amara consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima, soprattutto perché per la prima volta si doveva affrontare il problema del sovradimensionamento delle società partecipate, ormai considerate troppo onerose per le esigue casse regionali. La presa di coscienza dello stato di dissesto delle aziende di tpl e le difficoltà a
R.S.U.: Rappresen- Nasce la nuova tanze (Speriamo) holding dei Unitarie trasporti... Pag. 3
Ctp alla ricerca di nuove soluzioni per uscire dalla crisi Pag. 4
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ricorrere al credito bancario per la loro spesa corrente hanno reso necessario il ricorso a politiche di sostegno finanziario che accompagnassero, nel miglior modo possibile, la progressiva riorganizzazione e razionalizzazione dei servizi, che nel frattempo venivano già decurtati prima ancora di capire quali erano i livelli minimi di servizio da garantire all’utenza. Il tutto anticipato da continui confronti tra le parti sociali e la giunta regionale, che in breve tempo ha portato non solo alla firma dell’accordo quadro del 16 dicembre 2011 con l’individuazione di un costo del lavoro omogeneo, funzionale a facilitare la mobilità interaziendale ed endosettoriale, ma anche alla costituzione del Fondo Regionale del TPL con l’intento di fornire sostegno economico a strumenti innovativi come i contratti di solidarietà difensiva, diretti a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e allo stesso tempo ad Pag. 2 agevolare i processi di risa-
No al demansionamento? Impossibile licenziare
Fisco più generoso per le donazioni
Una passeggiata di 50 minuti a Capodimonte La “Santarella” dei Quartieri Spagnoli
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Il peso delle responsabilità che grava sulle sorti del tpl campano Accordi e istituti giuridici per offrire una soluzione alternativa al collasso namento delle società di trasporto, grazie anche alla riconversione della manodopera attraverso un processo di riqualificazione del personale che andasse nella direzione di spalmare gli esuberi verso categorie più utili ai fini del servizio pubblico. Inoltre, grazie alla legge 92 del 2012, che obbliga la costituzione di fondi di solidarietà bilaterale per quei settori sprovvisti di integrazione salariale per le aziende superiori ai 15 dipendenti, l’8 luglio scorso è nato, con grave ritardo per responsabilità delle associazioni datoriali che dovrebbero rappresentare le aziende e gli stessi enti proletari, l’accordo per procedere alla costituzione del Fondo di Solidarietà per gli autoferrotranvieri, con l’obiettivo di potenziare ed estendere gli strumenti a tutela del lavoro relativamente ai processi di riorganizzazione aziendale, oramai in corso e considerati inevitabili in un momento di crisi acuta come quella che sta attraversando il tpl italico. Più precisamente, il Fondo, istituito presso l’INPS e privo di personalità giuridica ha la funzione di integrare il salario in caso di riduzione o sospensione temporanea dell’attività lavorativa, offrendo in questo modo un sostegno economico a quei lavoratori licenziati poiché in esubero rispetto alla produzione aziendale. Allo stesso tempo contribuisce economicamente ai programmi di formazione del personale, al fine di permettere una riqualificazione o una riconversione professionale più efficace e funzionale all’azienda. Strumenti normativi e contrattuali, visti con scetticismo dalla maggior parte dei lavoratori, ma che oggi dimostrano la lungimiranza di un confronto sociale leale, grazie da pag. 1
al quale è possibile alleviare le pesanti ripercussioni salariali e occupazionali degli indigesti piani di ristrutturazione avviati a malo modo in un comparto in affanno come quello del trasporto pubblico. Ed è proprio per questa stessa logica di razionalizzazione e di risanamento che il decreto legge n. 101/2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 agosto, riconosce alle società controllate direttamente o indirettamente dalla medesima amministrazione pubblica, la possibilità di avviare pro-
cessi di mobilità di personale in esubero, in relazione al proprio fabbisogno, previa informativa alle rappresentanze sindacali, senza ulteriori oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Pertanto, laddove le società partecipate rilevano eccedenze di lavoratori o qualora l’incidenza delle spese del personale sia pari o superiore ad almeno la metà di quelle correnti, alle stesse è riconosciuta la possibilità di avvalersi dell’istituto della mobilità, per mezzo del quale un dipendente viene trasferito da un datore di lavoro ad un altro, mediante cessione del contratto, in applicazione
analoga all’articolo 30 del d.lgs. 165/2001. Una soluzione tampone, che potrebbe offrire al personale a rischio di esubero, e quindi di espulsione dal ciclo produttivo, la possibilità di essere trasferito verso aziende in sotto organico e forse meno coinvolte nel dissesto delle finanze pubbliche. Questo istituto giuridico, insieme a tutti quanti gli altri, potrebbe però essere solo una cura momentanea per un malato grave come quello del trasporto pubblico locale. Dove in assenza di risultati concreti dalle politiche di risanamento in atto, c’è il rischio che si aprano scenari a dir poco raccapriccianti per migliaia di lavoratori. È indispensabile quindi, capire che i servizi pubblici non possono continuare ad essere fonte di sprechi e di politiche clientelari, così come la ceca politica di tagli alle risorse non può condannare le società di trasporto al dissesto certo se si cerca di lasciare in piedi le vecchie logiche gestionali. Le contraddizioni di un sistema pubblico logoro e ormai antiquato ai tempi moderni devono essere affrontate con serietà e coraggio, anche con il rischio di essere impopolari, ed i problemi economici vanno risolti attraverso piani di ristrutturazione efficaci che mirano alla salvaguardia del trasporto pubblico, nell’interesse dell’utenza e soprattutto dei lavoratori, già da troppo tempo bistrattati per colpa di una crisi senza fine e di una politica poco disposta ad accollarsi il peso delle proprie responsabilità, che vanno realmente rappresentate così come le incapacità di interpretare non solo il momento che vive il comparto, ma soprattutto il futuro che deve essere restituito ai cittadini. A. Aiello - F. Di Palma
Efficacia ed efficienza amministrativa: il ruolo del CUG Un nuovo strumento contro le discriminazioni per il benessere dei lavoratori L’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa che guarda al benessere ed al miglioramento dei propri dipendenti passa anche e soprattutto attraverso il Comitato Unico di Garanzia cd. CUG. Eppure, se da un lato la legge ne impone la costituzione in tutti gli enti locali, dall'altro il funzionamento dei Comitati stenta a decollare. Si tratta senza dubbio di uno strumento innovativo che se utilizzato appropriatamente comporta un aumento del benessere di chi lavora e pertanto anche un amento della produttività. Facendo un passo a ritroso sulla normativa ricordiamo che a partire dal Collegato Lavoro (L. 183/ 2010) si prevede che al fine di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico si fa obbligo alle amministrazioni pubbliche di costituire al proprio interno il Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni. Il Cug quindi si sostituisce ai Comitati per le Pari Opportunità e a quelli sul Mobbing assumendone le funzioni e le competenze che gli derivano dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Con la direttiva n° 4/2011 emanata di concerto dal Dipartimento della Funzione Pubblica e il Dipartimento delle Pari Opportu-
nità vengono poi delineate le linee guida operative per il suo corretto funzionamento operando in un'ottica di continuità delle attività e progettualità degli organismi preesistenti. La composizione è paritetica e rispetto agli altri organismi che operavano nello stesso settore il CUG mostra un carattere innovativo anche in merito agli obiettivi che sono: assicurare e favorire la parità e le pari opportunità di genere contrastando ogni forma di violenza psicologica e morale rimuovendo dall'ambiente gli ostacoli e tutelando i lavoratori e le lavoratrici da qualsiasi forma di discriminazione; razionalizzare e rendere efficienti ed efficaci le risorse per l'organizzazione del lavoro mediante il principio di pari trattamento di lavoro ed opportunità di impiego. I compiti invece sono ti tipo propositivo, consultivo e di verifica sempre nell’ambito della promozione e tutela del benessere di chi lavora. Tra i compiti propositivi rientrano la predisposizione dei piani di azioni positive, per favorire l’uguaglianza sostanziale sul lavoro tra uomini e donne; la promozione e/o potenziamento di ogni iniziativa diretta ad attuare politiche di conciliazione vita privata/lavoro; la redazione del cd. bilancio
di genere. Tra quelli consultivi la formulazione di pareri in merito ai progetti di riorganizzazione dell’amministrazione di appartenenza; piani di formazione del personale; orari di lavoro, forme di flessibilità lavorativa e interventi di conciliazione; criteri di valutazione del personale, contrattazione integrativa sui temi che rientrano nelle proprie competenze. Infine tra i compiti di verifica rientrano quelli relativi ai risultati delle azioni positive, gli esiti delle azioni di contrasto alle violenze morali e psicologiche nei luoghi di lavoro – mobbing. Il dato sul funzionamento dei CUG in provincia di Avellino è abbastanza sconcertante se pensiamo che a tre anni dall’emanazione della norma ad oggi, dei 119 Comuni solo 30 hanno attivato operativamente il Comitato. Gli altri se lo hanno fatto è solo su carta. Questo non può non indurre ad una riflessione: oggi la lotta contro le discriminazioni sul luogo di lavoro si può davvero avvalere di uno strumento più efficace e completo come quello dei CUG se poi nella realtà non esiste un vero funzionamento e non viene percepito come un valore aggiunto nella Pubblica amministrazione? Di certo l’esperienza irpina induce a riflettere e affermare che purtroppo permangono ancora grandi difficoltà quando parliamo della sfera attinente al benessere di chi lavora e questo finisce senza dubbio per ripercuotersi negativamente sui lavoratori e lavoratrici. Vincenza Preziosi
da pag. 1 pubblicazioni,
si erge a valutatore di comportamenti anche il vicepresidente di Confindustria Laterza (amministratore di una casa editrice ispirata probabilmente invano da Benedetto Croce) che, dovendo rappresentare gli interessi delle imprese del Mezzogiorno di cui ha delega nella sua associazione, dovrebbe far seguire alla scontata valutazione di insipienza del Sud, quella ancor più grave di aggressione e devastazione da parte del resto del Paese che viene fuori dai dati Svimez. Per far ciò basterebbe guardare i dati di questi giorni, almeno per invertire la priorità della denuncia, che già sarebbe un segnale di coerenza; lo studio Svimez, infatti, dice che, tra il 2006 e il 2011, l’importo degli aiuti di Stato alle imprese è stato più che dimezzato, sia in valore assoluto, sia in rapporto al Pil, ma la cosa che andrebbe denunciata con forza soprattutto per porre al Governo un’ immediata inversione di rotta - cosa per la quale varrebbe bene una crisi (altro che condanne o commissione antimafia) - è che il taglio delle agevolazioni è stato estremamente asimmetrico, colpendo maggiormente le imprese localizzate nel Sud. Infatti, tra il 2009-2011 ed anche nel triennio precedente, la media annuale del totale delle agevolazioni erogate alle imprese è diminuita di oltre 500 milioni di euro nel Mezzogiorno (-25%), mentre nel Centro-Nord è aumentata di circa 150 milioni (+7,1%); per i Comuni del Mezzogiorno si è verificata negli ultimi tre anni: dal 2009 al 2012 una diminuzione delle entrate correnti del 6,1%, contro il -1,8% del Centro-Nord, e nel 2012, per la prima volta, il Centro-Nord ha superato il Sud in termini di importi complessivi delle opere ultimate: opere della “Legge Obiettivo” deliberate dal CIPE ammontano nel Centro-Nord a 47 miliardi, oltre sette volte l'importo destinato al Mezzogiorno, 5,7 miliardi. Ma se questa è l’attenzione verso il Sud vuoi vedere che lo sperpero, il familismo e i clientelismi sono veri, ma soprattutto utili per continuare a fare ben altro e in altre zone, che si giovano di un Sud ridotto in queste condizioni, a cui vogliono riservare regali da sversare e non attenzioni da versare. Negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud circa 2,7 milioni di persone e nel 2011 si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 114 mila abitanti, con in testa la Campania con i suoi 36.400 giovani emigranti il cui 64% aveva un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. Bisogna ricostruire il Mezzogiorno nel Paese, e non potendo partire dalle incapacità e dalle colpe dei padri, occorre partire necessariamente dalle capacità e dai diritti dei figli. La nuova classe dirigente, annunciata dalla stagione dei sindaci del secolo scorso, nel Sud non è mai partita e quelli che ci sono assomigliano tanto a quelli che li hanno inventati; la distruzione di tutto quello che hanno toccato sta nell’azzeramento dei servizi, della speranza di lavorare dove sei nato, nella negazione di un futuro per la tua terra mal celato dal mercato globale e dalla cittadinanza europea e mondiale, per questo e per tanto altro bisogna porre con forza la questione meridionale per quello che deve tornare ad essere, dentro la vertenza più generale del Paese il caso Campania. Se ne deve far carico la politica, quando è a Roma ed anche a Bruxelles, gli eletti e non solo in campagna elettorale, i partiti e non solo nei congressi, gli amministratori locali mettendosi veramente a servizio dei cittadini ed infine ma non in ultimo è il sindacato che deve farsi carico come in passato della tenuta del Paese a cominciare dal Sud, nell’interesse di tutti perché per dirla con il prof. Bellavista “A meno di non essere eschimesi, si è sempre meridionali di qualcuno”. Luigi Simeone
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R.S.U.: Rappresentanze (Speriamo) Unitarie Il 26 e 27 novembre gli election days nell’igiene ambientale Le elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie e dei Responsabili dei Lavoratori per la Sicurezza nel comparto dell’igiene ambientale, che si terranno in tutta Italia il 26 e 27 novembre, in Campania potrebbero risentire della generale instabilità del sistema rifiuti. Mentre le Province stanno per cedere le loro competenze, i Comuni non sembrano pronti a gestire l’intero ciclo dei rifiuti. Le vicende che hanno portato alla chiusura dell’impianto STIR di Tufino, con il rischio di riportarci in piena emergenza, suonano come un campanello d’allarme che ci auguriamo sia ascoltato soprattutto in Regione. La legge che ridisegnerà gli assetti territoriali e amministrativi del sistema rifiuti stenta a decollare, ampliando l’incertezza che pesa sulla stabilità di lavoratori e aziende. La crisi economica e finanziaria del comparto, intanto, continua a mietere vittime soprattutto tra le aziende pubbliche. Come la Regione per i Consorzi di Bacino, le Province lamentano che i Comuni non pagano i servizi prestati dalla SAPNA e dalle altre società provinciali con l’inevitabile conseguenza di altri stipendi non pagati, altri posti di lavoro a rischio. Una fase così complessa pone il Sindacato in una condizione critica, in cui diventa ancor più strategica l’esigenza di una rappresentanza efficace ed effettivamente rappresentativa. Per questo intendiamo inter-
pretare le elezioni delle RSU come un’opportunità, come l’occasione per rafforzare un rapporto con i lavoratori che può essere rivitalizzato da un esercizio di democrazia inedito per il comparto dell’igiene ambientale. Il 16 ottobre, come previsto dai regolamenti per le elezioni che sono parte integrante dei CCNL per i servizi ambientali, la UilTrasporti ha presentato le proprie liste alle Commissioni elettorali istituite presso gran parte delle aziende campane. Stiamo producendo uno sforzo senza precedenti, tra mille difficoltà procedurali e organizzative. Eppure l’impegno più grande è soprattutto politico, per offrire ai lavoratori la possibilità di partecipare liberamente alla scelta dei propri rappresentanti. La democrazia si difende anche così, favorendo la partecipazione al voto e offrendo a tutti la possibilità di essere padroni del proprio destino, protagonisti nel sindacato dei processi di riorganizzazione del comparto. Per questo abbiamo voluto comporre liste in cui i
nostri rappresentanti in carica, in continuità con un’azione sindacale che siamo pronti a valutare criticamente ma che rivendichiamo con orgoglio, sono affiancati da lavoratori che fino ad oggi non hanno trovato lo spazio per esprimere un contributo fresco e innovativo all’azione della UilTrasporti e di tutto il movimento sindacale. Vogliamo proporre ai lavoratori un rinnovam e n t o che, senza dare spazio agli arruffapopolo di organizzazioni autonome dall’etica della responsabilità, può dare nuova linfa a una rappresentanza logorata da anni di aspre
lotte in difesa dell’occupazione e del reddito. Una linfa indispensabile per rafforzare la rappresentanza sindacale e il ruolo dei RLSSA, i rappresentanti per la sicurezza che i lavoratori dovranno eleggere insieme alle RSU. Ci auguriamo che tutte le organizzazioni sindacali si ispirino ai principi di democrazia e libertà che la UilTrasporti sostiene anche in questa delicata fase elettorale. Da più parti ci giungono notizie su iniziative strumentali messe in atto, a volte, persino da sindacati rappresentativi a livello nazionale e sottoscrittori dei Contratti Collettivi dell’ambiente. Considerare il consenso solo come uno strumento per perseguire i propri interessi, relegando i lavoratori al ruolo di semplice massa di manovra da usare per i propri obiettivi, sarebbe un suicidio per l’intero movimento sindacale. Per questo facciamo appello a tutte le Organizzazioni che parteciperanno alle elezioni affinché si impegnino a tutelare la democrazia del voto. Su questo impegno si misura oggi un’unità del Sindacato che deve essere compatibile con la ricerca del massimo consenso alla propria organizzazione, per dare vita a Rappresentanze Sindacali che dovranno saper essere unitarie, nel rispetto di soggettività e posizioni che possono essere diverse, nel comune obiettivo della tutela dei lavoratori. Fabio Gigli
Furti di rame in ferrovia, cala il trend Fs Logistica: nuovo accordo industriale con Cim Una task force dedicata a salvaguardia della circolazione Il tragico impatto economico e sociale che i furti di rame hanno sui servizi essenziali, in particolar modo energia, telecomunicazioni e trasporto ferroviario, ha reso necessaria una maggiore sensibilità da parte di tutte le entità impegnate nella prevenzione ed il contrasto del fenomeno. Secondo l’Osservatorio nazionale dei furti di rame (sorto nel febbraio del 2012) è necessario inasprire le pene per i ladri del prezioso metallo e favorire le sinergie tra le Forze dell’Ordine e le aziende più colpite dal fenomeno. Anche se il furto dei cavi non comporta rischi in termini di sicurezza per la circolazione dei treni, la necessità di attivare in maniera immediata i protocolli specifici e di garantire alle squadre tecniche i tempi necessari a ripristinare la ripresa della normale circolazione, obbliga i convogli a viaggiare a velocità ridotta e questo determina enormi disagi in termini di denaro e tempo. Nell’ultimo triennio il danno economico è stato di circa 30 milioni di euro, mentre nel solo 2012 sono stati oltre 100 i giorni di ritardo causati dai furti dell’oro rosso e quasi 8500 le vetture rallentate. Nel 2013 i dati raccontano di numeri altrettanto infausti, anche se negli ultimi mesi il trend ha subito una brusca frenata. Questo grazie soprattutto alle strategie di difesa adottate dalle squadre composte da Protezione Aziendale, Organi di Polizia e tecnici FS
volontari, che hanno garantito la sicurezza di oltre duemila depositi di rame, recuperato più di quarantamila chilogrammi di materiale trafugato ed indagato 189 persone (di cui 109 arrestate). Il triste primato dei furti di “oro rosso” lo detiene la Campania e questo fenomeno nel 2013 ha già interessato circa 4000 treni, causando 40 giorni di ritardo. Anche nella nostra regione, però, la task-force tra le squadre deputate a contrastare il fenomeno ha prodotto ottimi risultati. Questo mese, ad esempio, oltre ad un capannone sequestrato nel quartiere napoletano di San Pietro a Patierno con circa dodici tonnellate di rame, del valore di oltre settantamila euro, controlli in campi nomadi hanno permesso il recupero di diversi chili di rame di dubbia provenienza ed il sequestro di macchine “spelacavi”. Insomma, lungo i binari ferroviari si sta combattendo una vera e propria battaglia, con i tecnici RFI, gli uomini di Protezione Aziendale e le Forze dell’Ordine impegnati quotidianamente 24 ore su 24. Quando in gioco ci sono interessi così alti (per i ladri una notte “di lavoro” può pagare anche tremila euro), però, aumenta anche il rischio, ed è per questo che si auspica il pieno supporto da parte del Gruppo FS a tutti gli agenti impegnati, garantendo innanzitutto la sicurezza di chi combatte in prima linea. Umberto Esposito
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Dopo il dimagrimento dell’organico s attendono novità salariali È stucchevole che dopo la lista dei proscritti inviati su sponde meno incerte ed azzerato il carico di un organico diventato per scelte opinabili improvvisamente ingombrante - un macigno rispetto ai nuovi orizzonti disegnati a tinte fosche - FS Logistica non riesca ad approdare ad una intesa con i sindacati per la definizione del secondo livello di contrattazione, quello, per intenderci, che utilizza i parametri per le società del gruppo Fsi. Eppure sembrava cosa fatta; i sindacati avevano incalzato sull’argomento per vincere l’annosa partita con l’azienda. Restavano pochi aspetti da smussare negli angoli più frastagliati e taglienti (abolizione del CIMI da sostituire con il nuovo servizio sanitario integrativo previsto dal recente integrativo del gruppo; coeva verifica dei rol per addivenire alla sintesi più logica). Evidentemente l’omologazione alle consorelle più importanti nella scala gerarchica del gruppo, con la proprietà transitiva, obtorto collo, da acc e t t a r e , avrebbe reso FS Logistica una società meno duttile e le sue future politiche industriali ascritte alla totale gestione della holding, la quale si accontenta di disporne così come è, piccola, auto modificabile all’occorrenza, cuneo strategicamente rilevante nel mercato di competenza. Capace, inoltre, di aggregare attorno ai suoi fluttuanti progetti, della serie “fatti e rifatti”, altre società partecipate, rimanendo autonoma dal core business. L’eterna cenerentola, insomma. Avere dichiarato in “outing” che il suo reticolo industriale si sarebbe ridotto all’essenziale (in cosa poi, resta un altro arcano da svelare) è solo servito a disseminare sconcerto fra i lavoratori, quelli superstiti (circa cinquanta) e a confondere la controparte sindacale, creando un nuvolone che non aiuta a capire. Come può, allora, la
logistica industriale trovare spazio strategico fra gli obiettivi del gruppo? Come è possibile coniugare il risparmio ad oltranza con lo scopo di migliorare le attività? Andare ad individuare le vere fonti di spreco in FS Logistica costituirebbe il primo step per una ripresa sul cammino più virtuoso. Solo un attimo dopo, ecco che apparirebbe una realtà dall’aspetto più nitido per una lettura della sua autentica fisionomia: una tessera della logistica nazionale capace di assumere il ruolo che deve avere come ammiraglia del settore per riprendere il traino del traffico merci su rotaia rimasto assurdamente al palo, mentre quello su strada continua a crescere e, con esso, una serie di incongruenze e di pericoli sulle reti stradali tempestate di automezzi pesanti. FS Logistica aveva in programma un rilancio del merci sui carri, utilizzando le fasce di binari che, negli angiporti collocati nelle periferie della penisola, fanno da piattaforma per la movimentazione. Sono di luglio, e quindi recenti, gli accordi fruttuosi con alcune realtà del settore e con l’interporto di Novara che, con 500 camion al giorno e 196 treni alla settimana, è uno dei principali hub per l’afflusso di merci da tutta l’Europa. Il gruppo Cim, sulla scorta delle intese con il gruppo Fsi, ha iniziato il potenziamento dei binari all’interno dello scalo di Novara. Ciò consentirà collegamenti facilitati con i Paesi Bassi e la Francia incrementando i traffici delle merci. FS Logistica metterà a disposizione del consorzio Cim le aree di sua proprietà ma entrerà nella sua governance. Frattanto, è stata potenziata la hub di Bari e quella di Messina, mentre Marcianise è la nuova sede della Campania. Insieme alla piattaforma di Roma e Bologna, costituirà l’asse portante della dorsale Sud-Nord. Arcangelo Vitale
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Nasce la nuova holding dei trasporti: Metronapoli Anm e Napolipark Primo step: fusione di Metronapoli e Anm, la sfida per rilanciare il trasporto pubblico è partita Un’unica regia a valle di un processo di fusione che vede coinvolte le tre aziende di trasporto pubblico locale, Metronapoli, Anm e Napolipark, una regia che dovrà essere in grado di valutare l’economicità e la funzionalità della gestione del settore ferro e gomma, in un’ottica di spending review, in un processo di efficientamento e razionalizzazione del settore, perché era proprio arrivato il momento di ottimizzare le risorse umane, ridurre le spese ed ottenere migliori risultati. E c’è chi ancora non riesce proprio ad accettarlo, chi vorrebbe tornare indietro con una macchina del tempo, chi spera ancora che il processo non venga portato a compimento. Ma tutto è pronto o quasi; i sessanta giorni dall’approvazione della delibera in Consiglio comunale sono trascorsi e la nuova holding è così nata, la più importante riforma sui trasporti è così definita. Si sa, nei processi di fusione la criticità più importante è quella che potremmo definire il “paradigma dell’identità”. Esiste in tutti i lavoratori, finanche negli stessi amministratori, la paura di perdere l’identità, un eccesso di campanilismo, le unioni a volte si fanno per necessità, ma non sempre c’è piena convinzione, una spinta vera, perché c’è paura per il proprio ruolo, la propria funzione, c’è il terrore che il proprio “orticello” dopo tanti anni di lavoro venga deva-
stato. Cosicché, in questo primo step di fusione per incorporazione di Metronapoli in Anm, tra i lavoratori delle due aziende regna sovrana questa paura dettata dall’incertezza sul proprio futuro
so obbligato, ma il frutto di una scelta precisa, decisa e condivisa e per l’amministrazione comunale nasce anche dalla volontà di rispondere in modo sempre più adeguato alle esigenze dei
lavorativo, anche se nulla di catastrofico potrebbe accadere, i livelli occupazionali saranno garantiti e questo, al giorno d’oggi, è già una gran cosa. Questa fusione non è l’esito di un proces-
cittadini/utenti, migliorando ulteriormente l’efficienza e l’economicità del servizio di trasporto. Quello dell’unico soggetto gestore sarà davvero un compito arduo e di estrema
difficoltà, perché gli obiettivi dovranno essere raggiunti nella piena consapevolezza che il processo di aggregazione delle aziende non è solo una somma di competenze ma una crescita delle potenzialità economiche-finanziarie. La nuova azienda per essere davvero efficiente dovrà operare con caratteristiche di managerialità e dovrà agire come soggetto industriale a tutti gli effetti, come nella capacità di programmare gli investimenti. Sogni, speranze e grandi attese. La nuova holding è nata, la sfida per rilanciare il trasporto pubblico anche sul piano regionale è partita: ora sarà importante affrontare tutte le problematiche esistenti per il buon funzionamento del nuovo soggetto giuridico, sarà importante garantire il rispetto di tutti gli accordi relativi ai livelli retributivi e normativi, contrattuali ed aziendali, sarà importante lavorare affinché ci sia la riorganizzazione dei servizi, la valorizzazione delle competenze dei lavoratori, la garanzia dei servizi per gli utenti, gli investimenti per nuovi treni e bus. Questo è ciò che si spera dovrà accadere. La paura non c’è. Non deve esserci. E l’esperienza disastrosa della holding Eav non sarà ripetuta. Eav docet? No, non vogliamo crederci. Questa volta no. A. S.
Quando protestare in tempo di crisi serve a poco SECO, la nuova area Security e Controlleria di Eav Considerazioni di una delegata sull’inefficacia delle lotte dei lavoratori
Con la riqualificazione del personale si sostanzia il nuovo team di lavoro
Si avvicina la scadenza dei nostri mandati di RSU ed RSA. Da delegata, posso considerare questi ultimi tre anni come interessanti ed istruttivi, ma anche profondamente frustranti. I tre anni peggiori del trasporto pubblico locale in Italia! Il momento è tale che al datore di lavoro non si chiede nulla, se non la conservazione dei livelli attuali di occupazione. Non si spuntano conquiste sul piano sindacale, ormai… se non la magra consolazione di vedersi ancora iscritti nei libri matricola dell’Azienda. Le abbiamo tentate tutte, per indurre la Dirigenza aziendale e la nostra attuale proprietaria - Regione Campania – a condividere un piano di risanamento e corrisponderci ciò che ci spetta. Eppure, ad oggi definirei “molto esigui” i frutti delle nostre rimostranze. In questa fase storica, ogni discussione con i vertici aziendali diventa un dialogo tra sordi, e i nostri interlocutori sembrano bloccati su posizioni di negatività, o quanto meno di “impossibilità finanziaria”. In tempi di assenza di liquidità, di incertezze sullo stesso futuro di EAV, pare che tutto il fattibile per un lavoratore, così come per un rappresentante dei lavoratori, sia ridotto ai gesti simbolici. Fonogrammi, scioperi, procedure di raffreddamento, sit-in… tutto ciò non è servito a portare nelle nostre buste paga il bonus stanziato per gli autoferrotranvieri d’Italia, non è servito a ottenere sei mesi di ticket arretrati, né tantomeno a sancire una volta per tutte che non falliremo. E il risultato ci deprime: se non c’è liquidità, continuerà a non esserci liquidità; se il
Detto e ridetto degli ingenti tagli alle risorse da destinare al trasporto pubblico locale, dell'esubero del personale cosiddetto "indiretto" e delle vacanze rilevate per la copertura di alcune mansioni, resta da inquadrare quali provvedimenti organizzativi l'Eav abbia attuato per farvi fronte al fine di perseguire il tanto agognato riequilibrio economico. Così, dalla necessità di non poter prescindere da un uso più flessibile lavoratori della forza lavoro, ecco che si assiste alla realizzazione della S E C O (Security e Controlleria), l'area dedicata alle specifiche operazioni di Analisi, Pianificazione e Relazioni istituzionali, di Controlleria e di Protezione aziendale, che vede appunto confluire al proprio interno gran parte del personale amministrativo in esubero di Sepsa, Circumvesuviana e Metrocampania NordEst. Affidata alla guida di un dirigente con alte competenze in materia di sicurezza e prevenzione, la SECO, seppur ancor in fase di definitiva formazione, vanta già azioni e numeri degni di importante nota: innanzitutto la palese decrescita del livello di evasione da parte dell'utenza nelle principali stazioni capotronco quali Montesanto, Porta Nolana e Piazza Garibaldi, dove la sola presenza degli agenti schierati già basta ad educare all'acquisto dei titoli di viaggio ed al corretto utilizzo dei varchi d'accesso (nuovamente operativi a pieno regime); poi, da una precisa volontà di chi è a capo del progetto, l'otteni-
piano di risanamento aziendale non è stato approvato, continuerà a non essere approvato. Da qui, la disaffezione e la sfiducia crescenti tra i lavoratori (soprattutto quelli che svolgono mansioni impiegatizie) verso i Sindacati. Da qui, anche il triste graduale sfoltimento di scioperi e manifestazioni di protesta. E da qui, forse… nascono quelle azioni spontanee, estreme e comunque assurde di una certa parte di colleghi. Un esempio tra tutti: bloccare ad oltranza e senza preavviso il servizio. E magari, nel farlo, attingere alle casse del Servizio Sanitario Nazionale (vedere alla voce “ci diamo ammalati tutti insieme e i treni non partono!”). E nonostante tutto, il corso degli eventi pare deciso nelle segrete stanze politiche, e a tali decisioni nessuno di noi lavoratori, per quanto agguerrito, potrà accedere. Dunque, a conti fatti, cosa ci resta da fare? Dove cercare quella forza contrattuale che ci consente di scalfire le scellerate politiche del nostro TPL? Di certo, ci resta ancora qualcosa: mettere al nostro fianco la collettività, la cittadinanza, l’elettorato. Fare fronte comune per i diritti di tutti: lavoratori ed utenti. Perché è l’opinione pubblica a fare la differenza. Sono i cittadini, che dovremmo coinvolgere in quanto affini, vicini, alleati… ed invece sta accadendo il contrario: paradossalmente, proprio nel momento di massimo bisogno, stiamo allontanando gli stessi cittadini. Rossella Fornaro
mento della presenza, seppur non costante, di agenti del corpo dei Carabinieri all'interno delle suddette stazioni, vero e proprio deterrente per qualsivoglia azione potenzialmente delinquenziale; infine, i primi e già palpabili segnali di "resa" degli utenti circa l'obbligo di acquisto e convalida del ticket di viaggio per usufruire dei servizi ferroviari. Ma, come sempre, non è tutto roseo come appare. Aspetti negativi ve ne sono e non hanno tardato a manifestarsi. Certo, intendiamoci, saranno anche poca roba rispetto alle serissime problematiche che inficiano oggi sulle sorti aziendali, ma comunque non per questo riescono ad esimersi da un'oggettiva critica. Infatti, la già lunghissima fase di transizione per il definitivo completamento dell'asset organizzativo e di tutte le dovute fasi di formazione del personale impiegato desta non poche perplessità. A tal riguardo, poi, ancor non si dissolvono tutte le ombre di una riqualificazione che nella fasi di pesca, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, ha lasciato liberi in mare i soliti noti. Una politica che di certo non può che far scemare il senso di appartenenza di chi invece forse ha avuto qualche santo in Paradiso in meno. Ad ogni modo, vogliamo comunque guardare a questo nuovo progetto con fiducia ed ottimismo, perché, chissà, magari volendo aspettarsi finalmente qualcosa di buono, forse davvero arriverà, basta controllare! Roberto Intermoia
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Ctp alla ricerca di nuove soluzioni per uscire dalla crisi e salvare l’azienda Pareggio di bilancio uguale meno spreco più biglietto monoaziendale Il dissesto del comparto trasporti, generato dalla riduzione dei corrispettivi, a seguito anche e non solo delle contrazioni nazionali alle risorse finanziarie, ha prodotto una crisi profonda in tutte le aziende del Tpl campano, con pesanti ripercussioni sul servizio e sulla mobilità dei cittadini, oltre che a determinare esuberi di personale in tutti i settori. Ctp, azienda che espleta servizio pubblico nell’ambito delle province di Napoli e Caserta, ancor prima delle altre, a fronte delle eccedenze di personale scaturite dalle suddette involuzioni, ha attivato tutte le misure utili a salvaguardia dell’occupazione e dell’unicità aziendale. Nell’Agosto 2012, infatti, onde evitare risoluzioni traumatiche dei rapporti di lavoro, ha aderito, con specifico accordo sindacale, a seguito di esame congiunto e relativa verifica degli effettivi esuberi, all’intesa regionale del 16/12/2011, scaturita dall’accertata sussistenza dello stato di crisi nel settore, ricorrendo all’applicazione del contratto di solidarietà difensivo di tipo B con riduzione dell’orario di lavoro. Tuttavia, a circa un anno di distanza, nonostante l’adozione di detti contratti, la drastica riduzione della pianta organica con conseguente abbattimento del costo del personale sul bilancio aziendale e gli interventi di razionalizzazione messi in atto dalla società, sotto il profilo organizzativo e gestionale, aleggia ancora,
sui malcapitati lavoratori, la tempesta furibonda. Difatti, sebbene la provincia di Napoli abbia effettuato, anche quest’anno, una corposa ricapitalizzazione per ripianare le
da destinare alla controllata azienda di Tpl. La domanda quindi sorge spontanea, quale altra misura adottare per recuperare il taglio di risorse previsto dalla Provincia? Se
perdite di bilancio accumulate da Ctp, lo stesso ente di Piazza Matteotti ha stabilito, nel bilancio previsionale 2014, con apposita delibera, un’ulteriore riduzione al badget
ascoltassimo le “mura parlanti” di Via Ponte dei Francesi avremmo pronta la risposta. Serpeggia, infatti, proprio nei meandri degli uffici direzionali, la fantasiosa idea di
abbattere ancora il costo del personale, mediante la revisione degli accordi di secondo livello. A dire il vero, tale concetto fu proposto proprio durante l’agosto “infernale” del 2012, quando attraverso l’abolizione dei contratti integrativi e dei ticket restaurant, ci sarebbero state pesanti perdite salariali per i lavoratori. Peraltro, semplicemente ripercorrendo la storia si può comprendere la derivazione degli accordi integrativi e le evoluzioni salariali determinatesi sempre a seguito delle continue variazioni all’organizzazione del lavoro e recuperi di produttività. La nefasta idea, malcelata, nata dall’esigenza di ridurre, a “loro dire”, l’alto tasso di assenteismo, che in realtà ha l’unico scopo di diminuire il costo del personale, ha già provocato svariate reazioni e malcontento tra i dipendenti, già precedentemente coinvolti nei processi di efficientamento messi in atto. Non ultimo, a dimostrazione di un marcato senso di responsabilità delle parti sociali, la presa d’atto del rinnovo, per un ulteriore anno, dell‘accordo per l’applicazione dei contratti di solidarietà, seppur in misura percentuale dimezzata, visto il ridursi del numero di esuberi, rispetto alla data dell’agosto 2012. Come dirimere allora la matassa? Ed è qui che subentra il nostro Pag. 6 estro in materia, e ci pregia-
Tentato sgambetto ai lavoratori ex EavBus L’ultima trovata dell’Anm? “Arrivano i nostri” Il Comune di Napoli reclama un diritto di prelazione che affossa la società Ci siamo salutati con la solita speranza di aver lasciato ormai alle nostre spalle il temporale. Come dei naviganti in cerca di sereno abbiamo sempre guardato avanti, abbiamo affrontato la tempesta del fallimento e il calore di un’estate immobile e bruciante. Ottobre doveva essere il mese in cui, mentre ci si leccava le ferite della battaglia, si potevano poi gettare le basi per una rinascita. Le condizioni c’erano tutte: il presunto imminente arrivo di 10 Milioni di euro destinati al parco macchine, l’attuazione della RTP e la conseguente ripresa del servizio. In realtà questi soldi promessi dalla Regione Campania, provenienti dai fondi PAC adibiti al ripristino del parco macchine, fanno sorgere non pochi dubbi sulla loro reale esistenza. Sembra infatti che questa somma sia pronta all’uso, ma dopo mesi di richieste insistenti ancora non si è visto un solo euro. Molte perplessità nascono anche dalla loro destinazione: dovranno infatti essere usati solo per riparare autobus guasti. In Eavbus ci sono pochissimi autobus nuovi e tanti vecchi, ultratrentennali che chiedono solo di essere rottamati. Spendere soldi per comprare costosi pezzi rigenerati da montare poi su mezzi che dopo poco tempo potrebbero presentare altri tipi di guasti, non sembra essere una mossa vincente. Non sarebbe meglio avere meno autobus nuovi ma dalla massima affidabilità, piuttosto che un numero maggiore di autobus riparati che prima o poi (più prima che poi) si fermeranno per altri problemi, magari riattivando il progetto di rinnovo del parco autobus? Abbiamo anche molte titubanze sui soggetti a cui dovrebbe essere affidato il lavoro. “A pensar male si fa peccato”, ma probabilmente i presupposti per avere fiducia in chi ha favorito il fallimento del TPL Campano sono oramai nulli; 10 milioni di euro possono essere tanti se vengono spesi in modo adeguato, e pochissimi se vengono messi nelle mani di persone non adatte a gestirli. Oltre a questo endemico problema c’è poi da non sottovalutare la spinosa questione della RTP. Sembrava ormai tutto definito: 150 autisti sarebbero stati spostati in ANM,
la quota solidarietà si sarebbe abbassata e la nuova azienda sarebbe partita. Purtroppo come sempre accade, quando “la politica” entra nelle nostre aziende, le questioni si complicano. Il Comune di Napoli appena viene a sapere di questa migrazione decide di approfittare della situazione: il Consiglio Comunale reclama infatti il diritto di prelazione su quei 150 posti che avrebbero tolto una gravosissima zavorra all’ex Eavbus; secondo il principio del “giocattolo è mio e ci faccio quello che voglio” il Comune ha espresso la volontà di sistemare 80 unità di conducenti con CQC, provenienti da partecipate comunali ormai improduttive, nell’Azienda Napoletana Mobilità. Possiamo solo confidare nel buonsenso del nostro sindaco, affinché faccia scelte che risanino il TPL campano. Lo spostamento dei conducenti ex Eavbus infatti è una “conditio sine qua non” per la messa in opera della RTP. Una mossa intelligente e veloce affinché due aziende trovassero una sinergia (cosa rarissima qui in Campania). Come un fulmine a ciel sereno, il Comune sta provando a distruggere un anno di lavoro atto a ristabilire l’equilibrio nelle nostre aziende: con la consapevolezza di non volerci mai schierare politicamente, esprimiamo tutto il nostro dissenso verso questa subdola mossa. Il diritto alla mobilità deve essere tutelato e sostenuto dalle istituzioni. I lavoratori non hanno auto blu per spostarsi e non tutti possono permettersi di pagare costosissime assicurazioni o carburanti dai prezzi esorbitanti; bisognerebbe invece difendere in primis le fasce deboli della cittadinanza che ha bisogno del TPL e allo stesso tempo i lavoratori che ogni giorno vorrebbero guadagnarsi “il pane” con lo svolgimento di un lavoro efficiente, al servizio della comunità. Se è vero che i trasporti sono la spina dorsale di un paese e cartina tornasole del grado di sviluppo, qui in Campania non abbiamo dubbi: c’è molto da lavorare. Giuseppe Carrara
L’azienda al limite del collasso: servizi scadenti e mancanza di bus Dopo un agosto d’inferno in attesa di autobus, con poche corse e mezzi sprovvisti di aria condizionata ecco che l’ANM pensa bene di avviare una campagna pubblicitaria denominata ‘Arrivano i nostri’ per mettere a conoscenza gli utenti dell’aumento di vetture in circolazione, a settembre 500 vetture, a novembre 600. Ad oggi questo “incremento” di mezzi non si è notato per le strade della città, anzi, è più evidente la netta diminuzione dei bus in circolazione. Sorge spontanea la domanda: ma “Arrivano i nostri” hanno sbagliato strada o non sono dotati di navigatore? La crisi che sta vivendo da tempo immemore l’azienda Anm è sotto gli occhi di tutti e, duole ammetterlo, è probabilmente l’unica cosa certa che si può dire quando si parla di questa azienda. Criticità che crescono con il passare del tempo, problemi endemici a cui non si riesce a trovare soluzioni, mancanza di vetture, mancanza di trasporto. Degli oltre 600 autobus che fino a qualche anno fa circolavano in città oggi ve ne sono appena 260. Gli altri sono fermi nei depositi: rotti, smontati o paradossalmente funzionanti ma senza assicurazione. Ad aggravare la situazione c’è lo stato di salute delle vetture abilitate al trasporto che non preoccupa poco: capita spesso che gli autisti sono costretti a rientrare in deposito per problemi di ebollizione del motore. Perché? Perché i motori sono obsoleti, non c’è manutenzione e non ci sono soldi per acquistarne dei nuovi. Ricercare le cause di questa grave carenza di servizio pubblico erogato ai cittadini è diventato impossibile: le vetture a disposizione dell’azienda sono pochissime, le attese alle paline lievitano senza limiti. Molte tratte, in alcune ore del giorno, restano quasi scoperte. Gli utenti sono stremati, e molti scelgono l’auto privata pur di evitare le attese infinite e i viaggi apocalittici. Nei depositi si intravedono decine di pullman fermi e impolverati. Per molti si attendono pezzi di ricambio che stentano
ad arrivare e che forse, se la situazione non cambia, mai arriveranno. Intanto i debiti dell’azienda nei confronti dei fornitori superano i 20 milioni di euro ed è evidente, sarà difficile colmare un “vuoto” del genere. Tra le problematiche dolorose si aggiunge la difficile situazione delle RC auto. I premi assicurativi, schizzati alle stelle hanno costretto i dirigenti dell’Anm a razionalizzare il parco macchine. In sostanza, dinanzi all’impossibilità di assicurare tutte le vetture a disposizione, sono state fatte alcune scelte, molte, anche sbagliate. Si aggiunge a ciò l’età avanzata dei mezzi; si mettono in strada macchine che superano in alcuni casi i 12 anni di vita a fronte degli 8 di vita massima prevista per esse. Questa è oggi l’Anm, questo è diventata la storica azienda della città partenopea, questo è il baratro in cui è inesorabilmente caduta. E sono ancora tanti i dubbi e le incertezze sull’operazione di fusione ormai portata a compimento con Metronapoli e Napolipark, su quello che sarà la nuova holding dei trasporti che avrà il compito di garantire maggiore efficienza e risparmio consentendo un miglioramento del servizio erogato ai cittadini, ma anche della qualità del lavoro dei dipendenti. La promessa fatta dai nostri amministratori è chiara a tutti: si proclama l’acquisto di bus e l’assunzione di nuovi autisti, si dice che verrà rilanciato il trasporto pubblico locale, che questa fusione è un atto che rappresenterà una svolta per il martoriato settore del trasporto; vogliamo crederci, vogliamo pensare che tutto questo sarà realmente così. Ma la gente è stanca di ascoltare parole, di sentire promesse e di attendere qualcosa che chissà se mai arriverà: alla gente serve il trasporto e si vuole rivedere in strada autobus che circolano e avere la certezza che le attese diminuiscano. Che si ridia il diritto alla mobilità ai cittadini napoletani. Eva D’Oriano
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Fisco più generoso per le donazioni alle ONLUS
No al demansionamento? Impossibile licenziare
Più si dona e meno si versano imposte allo Stato
Riconosciuto al lavoratore un risarcimento se prova il danno
Dal 2013 cambia l'aliquota di detrazione dalle imposte sui redditi per le erogazioni liberali alle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, che considerano le donazioni una vera e propria fonte di finanziamento per lo svolgimento delle attività istituzionali ed il raggiungimento del fine solidale stabilito dallo statuto. Per le erogazioni liberali, il donatore ha goduto, fino al 2012, di una detrazione dall’IRPEF pari al 19% di quanto versato, fino ad un tetto massimo di 2.065,83 Euro. Ora, grazie al terzo comma dell’art. 15 della Legge n°26 del 2012 che ha provveduto ad allineare le erogazioni a favore delle ONLUS con quelle effettuate ai partiti politici, sarà possibile portare in detrazione nella prossima dichiarazione dei redditi percepiti nel 2013, le donazioni effettuate fino al 24% dell’importo versato per poi passare negli anni successivi al 26%, ma sempre nel rispetto del precedente limite di legge. Un tetto ulteriormente ampliato con la legge “Più dai meno versi”, grazie alla quale l’erogazioni, effettuate a favore di ONLUS o di organizzazioni di volontariato che presentano determinati requisiti e che dispongono di una contabilità analitica, sono deducibili fino al 10% del reddito complessivo e per un valore massimo di 70.000 euro. Condizione necessaria per usufruire dei benefici fiscali è la tracciabilità dei pagamenti, cioè il versamento delle erogazioni liberali dovrà essere effettuato tramite banca od ufficio postale o con gli altri si-
stemi di pagamento previsti dall’art. 23 del Decreto Legislativo n° 241 del 1997, ovvero carte di credito, di debito, le prepagate, gli assegni bancari e quelli circolari. Resta invece invariata la detrazione del 19% delle erogazioni a favore di altre tipologie di enti, quali le associazioni di promozione sociale iscritte al registro nazionale e le associazioni sportive, quest'ultime con un minor tetto massimo pari a 1.500 euro, sempre che le stesse siano iscritte a Federazioni sportive o ad enti di promozione riconosciti dal CONI. La normativa in materia di donazioni, se pur carente su alcuni aspetti, appare comunque vantaggiosa per diversi soggetti: innanzitutto per il Terzo Settore, perché grazie ad un maggior sconto fiscale è possibile stimolare le persone a donare, i cui importi tendenzialmente dovrebbero essere superiori a quelli del passato; per i donatori che traggono un maggiore beneficio di tassazione dalle somme erogate a titolo di generosità e sostegno; infine per lo Stato, per il quale una modesta riduzione delle entrate dell’erario sarà comunque compensata da una minore richiesta di sostegno pubblico al Terzo Settore, sostituito per lo più da quello privato, grazie alle gratuite elargizioni che potrebbero davvero dare nuova linfa ad uno specifico settore che riempie i vuoti che il pubblico continua a lasciare alle spalle. A. S.
Addio a Nino Musella La scomparsa di un idolo nato a pochi passi dal San Paolo Tra le tante notizie di cronaca che hanno rattristato questo inizio d'autunno, una ha colpito particolarmente la vasta platea di tifosi del Napoli: la scomparsa di Gaetano "Nino" Musella, protagonista della squadra azzurra nei primi anni ottanta. Nino, figlio del popoloso quartiere di Fuorigrotta, mosse i primi passi da calciatore in erba negli spazi dell'antistadio – ovvero for' 'e distint' - all'epoca insieme agli oratori, unica palestra per gli aspiranti eroi della italica pedata (le scuole calcio erano ancora di là da venire o erano esclusivo strumento dei club più importanti). Per lui il salto dall'asfalto del piazzale all'erba del "tempio" fu naturale ed invidiato da tutti i ragazzetti che portavano in dote lo stesso sogno, persi tra ginocchia sbucciate, pali di porta fatti con cumuli di giacche e sane scazzottate per un goal contestato. Nino non è stato, in termini di presenze e goal, uno che ha fatto la storia del club ma in quella storia vi è entrato, vi è rimasto, sempre attaccato a quell'invisibile fil-rouge che lega il campione all'immaginario del tifoso. Nino era un talento - qualcuno ne parlava come l'erede di Rivera - ma non ha avuto la carriera che ci si aspettava, il suo percorso è stato condizionato da vari fattori che non esulano anche da una gestione non proprio
ottimale (stando ai rumors ricorrenti dell'epoca) della propria sfera privata, cosa che comunque non tocca a noi giudicare. A Nino mi legano alcuni ricordi personali legati principalmente ad una trasferta degli azzurri a Firenze che io ebbi la fortuna di seguire insieme al suo compianto papà, Don Vitale, persona garbatissima. Andammo a trovarlo la mattina in ritiro e io potei vedere da vicino, Marchesi, Krol, Pal e fierr! Che emozione! Nell'autunno 81 - il Napoli era atteso dal ritorno del turno di Coppa Uefa a Nis nell'ex Jugoslavia io seguii la trasferta viaggiando in aereo con la squadra -. Nelle stive, insieme al materiale tecnico, erano stivati in contenitori di plastica, diversi chilogrammi di mozzarelle che un tifoso aversano aveva destinato alla squadra ed al suo entourage. Bene, all'arrivo all'aeroporto, chissà chi (!) fece in modo che il prezioso carico prendesse la strada dell'hotel di Sofia dove erano ospitati i tifosi lasciando i calciatori, alloggiati a Belgrado, senza mozzarella ma al contempo salvandoci in quanto il cibo in Bulgaria era immangiabile! Al ritorno, in aereo, con un sorrisetto ammiccante e furbo, Nino mi disse. "Mah! Chissà comm' evan esser' chelli muzzarell.." Che avesse capito tutto? Addio Campione. Gianni Biccari
Secondo la sentenza n.22625 del 3.10.2013 della Corte di Cassazione è illegittimo il licenziamento del lavoratore che si rifiuta di svolgere le nuove mansioni assegnategli se dequalificanti. Il lavoratore, secondo l’art. 2103 del codice civile Libro V ha, infatti, diritto ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso in cui il datore di lavoro decida di modificare tali mansioni, esse devono essere equivalenti o superiori, ma mai inferiori rispetto a quelle originarie se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. L’assegnazione alle nuove mansioni deve tener conto della professionalità acquisita dal dipendente nel corso degli anni, pertanto se le stesse sono per il lavoratore dequalificanti, cioè ne degradano la sua posizione costituita da competenze, conoscenze ed esperienza, allora il lavoratore può liberamente rifiutarsi di svolgerle senza per ciò essere licenziato. Principio giuridico già ribadito nella decisione n.1693 del 24 gennaio 2013, in cui i giudici della Corte, sezione lavoro, hanno precisato, che il rifiuto da parte del lavoratore, di svolgere la prestazione lavorativa, ad esempio in caso di demansionamento, può essere legittimo, e di conseguenza non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazio-
ni corrispettive (art.1460 c.c.), sempre che il rifiuto sia proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede. In tal caso, secondo il giudizio della Cassazione, il giudice chiamato a decidere nel merito della questione, sarà tenuto ad imporre una valutazione comparativa dei comportamenti di entrambe le parti (datore di lavoro e dipendente), al fine di accertare la congruità tra le mansioni svolte dal prestatore di lavoro nella sede di provenienza e quelle assegnate nella sede di destinazione. In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, è bene specificare che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, bensì il lavoratore dovrà fornire la prova ex art.2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (Cass. 23 novembre 2011, n.24718, in Lav. nella giur. 2012, 191). Cosicché, se il dipendente riesce a provare l’effettivo danno all’immagine professionale generata dallo svolgimento di nuove mansioni dequalificanti, il datore di lavoro sarà tenuto al risarcimento per il danno arrecato al lavoratore nell’ambito del suo valore di mercato. Avv. Antonietta Minichino
Ctp alla ricerca di nuove soluzioni per uscire dalla crisi Pareggio di bilancio uguale meno spreco più biglietto monoaziendale mo dunque di suggerire dei percorsi alternativi alle “malcelate esigenze” per la soluzione dell’enigma. In primo luogo, nessuna ulteriore decurtazione salariale per i lavoratori già abbondantemente vessati dalla tassazione nazionale e locale tra le più alte del Paese, ma la previsione per gli stessi di essere incentivati e coinvolti nei futuri processi aziendali per il raggiungimento di risultati comuni. Ed è in tal senso che va affrontato il tema del premio di risultato, unico strumento, in ogni caso, esigibile e incentivante, in grado di abbattere l’alto tasso di assenteismo denunciato, ma allo stesso modo, unico sistema per l’azienda di eludere le penali applicate dagli enti concessionari, sui chilometri non eserciti. È evidente che tali misure non avrebbero l’effetto auspicato quale rientro dalle ingenti passività di bilancio, ma nell’ottica di una seria riorganizzazione della società per un rilancio immediato, anche nell’ambito del tpl regionale, l’unico sistema che ridarebbe da pag. 5
linfa vitale e ristoro economico alle casse aziendali è l’applicazione della delibera regionale per l’utilizzo di nuovi titoli di viaggio. Difatti, con l’entrata in vigore del biglietto unico aziendale su tratte esclusive, fermo restando il sistema di tariffazione integrata che in ogni caso ha recato dei vantaggi all’utenza, vi è la possibilità per l’azienda di stampare e distribuire i nuovi titoli di viaggio, secondo le proprie esigenze, con il vantaggio di introitare direttamente l’incasso dei prov e n t i . Allo stato attuale con gli avvenuti adempimenti burocratici relativi alla disdetta dell’accordo di programma e successiva recessione del contratto Unico Campania, a partire dal 1 Gennaio 2014, Ctp avrà le condizioni adatte per un’inversione di rotta che consentirà, si spera, in maniera indelebile, una contrazione delle passività di bilancio e nel tempo forse di avverare il “sogno ricorrente” di pareggiare i costi con i più rilevanti ricavi. Pierino Ferraiuolo
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Una passeggiata di 50 minuti a Capodimonte
Con le app il risveglio non è più un problema
Un’occasione per visitare la splendida Reggia
Software stravaganti per addolcire il momento più duro
Sembrano tanti eppure per un’iniziativa del genere bisogna ammettere che probabilmente sono anche pochi; 50 minuti di incontri flash dedicati ai capolavori da non perdere che sono presenti nelle collezioni del Museo di Capodimonte. Un’iniziativa che ha riscosso grande successo di pubblico e che proseguirà sino al 15 novembre e darà quindi la possibilità ai visitatori di prendere parte a delle visite guidate nella Stanza del-
le Meraviglie: un viaggio imperdibile tra ori, pietre dure, cristalli e bronzi. Visite che si svolgeranno tutti i giorni alle 11.00, alle 13.00, alle 16.00 e alle 18.00. Una iniziativa organizzata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dalla Soprintendenza speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli. Poco meno di un’ora da dedicare ad un viaggio in un tesoro di inestimabile valore, un’occasione da non perdere che consentirà agli amanti dell’arte di visitare collezioni di enorme importanza che non andrebbero mai negate agli occhi del pubblico. Ricchezze d’arte e di cultura che rappresentano un’eccezionale testimonianza dei grandi maestri italiani dal Rinascimento al Barocco, oggetti gelosamente custoditi nelle stanze delle meraviglie, che fanno invidia anche al Prado e al Rijksmuseum. Inutile dirlo, 50 minuti sono pochi per questo viaggio nella cultura che potrebbe
continuare alla scoperta del bosco che circonda la splendida Reggia di Capodimonte, senza dimenticare la pinacoteca in cui sono raccolte importanti collezioni come quella Farnese e la collezione dei Borbone, raccolte preziose di armi e porcellane a cui si è aggiunta una sezione dedicata all’arte contemporanea, caso più unico che raro per un museo d’arte antica, dove, fra le altre opere, è possibile ammirare il noto dipinto "Vesuvius" di Andy Warhol. Sarà l’occasione inoltre per poter ammirare tutte le opere delle grandi scuole della pittura italiana ed europea dal Medioevo sino al Seicento, opere come la “Flagellazione di Cristo” del Caravaggio, “Il ritratto di Francesco Gonzaga” di Andrea Mantegna, “La Danae” di Tiziano, “La Madonna del Rosario” di Luca Giordano, capolavori che è impossibile non ammirare almeno una volta nella vita. Oltre alla collezione Farnese è possibile visionare opere di grande fattura provenienti dalle chiese di Napoli e del Regno delle due Sicilie (Simone Martini, Colantonio, Caravaggio) e le prestigiose collezioni D’Avalos e Borgia. Quest'ultima contiene oggetti d'arte occidentale ed orientale in prevalenza di epoca medioevale oltre a antichità egizie, etrusche, volsce, greche e romane. Da altri musei e chiese napoletani sono giunti nel tempo a Capodimonte importanti opere di Caravaggio e Tiziano, la celebre Tavola Strozzi, rappresentante la Napoli del 1400 ed oggi trasferita nel Museo di San Martino. 50 minuti a Capodimonte è un’esperienza artistica da non perdere; approfittare di queste visite guidate tra i tesori del museo e riscoprire un luogo così ricco di arte è un’opportunità irrinunciabile, perché è davvero un peccato vivere non lontano da grandi capolavori e non averli mai ammirati, sfruttare questa immensa ricchezza che apre un universo nuovo alla nostra immaginazione, una dimensione artistica parallela in cui ci si può tuffare e uscirne rigenerati. A. S.
La musica non porta più soldi? Cambia il metodo di acquisto dei brani musicali Le attuali tre maggiori multinazionali del disco, la EMI, la Warner Bros e la Sony/ Universal, denominate “Majors”, progettano ed hanno investito molti soldi per far sì che il mercato discografico, alla voce profitto, rimanesse sugli stessi livelli delle decadi precedenti, avendo previsto e/o intuito prima degli altri che, con l’avvento del mercato online, sarebbe avvenuta la fine della musica da riproduzione “fisica”, ovvero tramite disco analogico (33 o 45 giri) o digitale (compact disc), fenomeno già avvertito all’inizio degli anni ’90 grazie all’avvento di internet. E nel corso di questi anni l’ascesa dei “download”, grazie al rafforzamento delle
connessioni ad internet, è stata talmente inarrestabile che da un’apposita statistica redatta negli USA è emerso che un 70% dei profitti deriva appunto proprio da internet. Questo sta a significare che il mercato classico, almeno in America, fatto di vendite di materiale analogico/digitale, al momento non arriva al 30%. Di questa minoranza fanno parte gli irriducibili, cioè quelli che proprio non riescono ancora ad accettare l’idea di comprare musica ”via etere”. È un pubblico che appartiene ad una fascia di età prevalentemente over 35, quelli che da adolescenti compravano prima i 33 giri e poi i Cd. Non tutti gli artisti però hanno l’opportunità di pubblicare un cosiddetto album “fisico”, quelli che possono permetterselo sono solo quelli riconosciuti ed affermati a
livello nazionale ed internazionale. Discorso diverso per la musica online, dove il profitto risulta di gran lunga superiore a quello “fisico”. A tal riguardo ci sono alcune considerazioni da fare: la prima è che per i costi bassi rispetto alle produzioni discografiche analogiche/digitali apre a tantissimi artisti l’opportunità di pubblicare o vendere i propri prodotti musicali. La seconda è che il pubblico, a differenza dei dischi, non è tenuto a comprare il prodotto per intero. Infatti, tutte le canzoni sono scaricabili separatamente ed un singolo brano costa circa 90 centesimi di Euro. Un album contiene mediamente 12/15 brani inediti, quindi “scaricare” online tutto l’album costerebbe tra gli 11 ed i 14 Euro. Quindi per gli amanti delle discoteche casalinghe ovviamente è preferibile spendere intorno ai 20 Euro per un Cd o un Long Playing e custodirlo gelosamente a casa, come si fa coi libri nella propria biblioteca personale. Ma in questi tempi di crisi, non tutti hanno la possibilità di spendere queste cifre per 50 minuti di musica. L’industria discografica, malgrado tutte queste opportunità per arrotondare i propri introiti, si è tutelata ancora di più. Infatti, ci sono artisti internazionali che hanno costi talmente elevati per la realizzazione di un lavoro discografico (per le scelte di produttori, musicisti di sala, registi di video altamente professionali, oltre al proprio contratto faraonico) che i discografici, per recuperare tutti i soldi investiti e guadagnarci anche, sono costretti ad imporgli lunghissime tournèe mondiali. Chi non è d’accordo, anche se trattasi di vere e proprie star che hanno venduto milioni di album in tutto il mondo (come è capitato a George Michael quest’ultima estate) non vedrà mai il proprio lavoro artistico pubblicato. Dopo tutte queste osservazioni, si invita il pubblico a riflettere quando si sente spesso dire che il disco non vende più come una volta. È solo cambiato il modo di vendere la musica, ma la somma è sempre la stessa. Rosario Mammola
Dormire bene per recuperare le forze ed affrontare con energia la giornata successiva, è sempre un buono proposito per iniziare la mattinata con il piede giusto. Ma quante volte, l’ansia di non svegliarsi la mattina ha prodotto disturbi nel sonno, se non anche l’insonnia in alcuni soggetti particolarmente apprensivi. Per fortuna oggi è possibile, grazie all’ausilio di alcune applicazioni, istallare sui propri smartphone sveglie intelligenti, per mezzo delle quali milioni di persone si svegliano riposate, senza preoccuparsi di come alzarsi dal letto. Seppure tutti i cellulari sono dotati delle proprie funzioni di orologio a sveglia, la presenza sugli app store di applicazioni simili, spingono a pensare che sempre più utenti ricercano nei programmi maggiori funzionalità diverse da quelle tradizionali, forse anche per la sola voglia di provare qualcosa di alternativo rispetto alla banale suoneria con vibrazione dell’apparecchio telefonico. Molte sono, quindi, le applicazioni per svegliarsi la mattina ed iniziare la giornata con lo spirito giusto. Tra le tante proposte per il sistema del robottino verde, abbiamo AlarMe, che unisce un’interfaccia semplice e intuitiva ad un’idea tanto utile quanto originale, ovvero la possibilità di associare le condizioni meteorologiche ad orari di risveglio differenti. Ci sono poi le app tradizionali di sveglia, quelle alternative e quelle realizzate apposta per tirarci giù dal letto dolcemente, senza il dramma del risveglio brutale. Una di queste è Sleep As Android che tiene traccia dei cicli del sonno per poi far suonare l’allarme nel momento in cui questo è più leggero, rendendo il risveglio meno drammatico rispetto al
solito. Altra applicazione intelligente è 6th Sense, un programmino in grado di controllare che la persona si sia realmente svegliata sfruttando tutti i sensori di cui è munito lo smartphone. Comodissima per quelli che la mattina non riescono proprio ad alzarsi dal letto, l’applicazione sviluppata in Italia, anziché posticipare la sveglia grazie ai principali sensori del dispositivo, è in grado di riconoscere il mondo esterno facendo suonare la suoneria a seconda di quello che gli accade intorno, ad esempio, il sensore di luminosità aiuterà l’app a capire i piccoli cambiamenti di luce nella stanza per poter suonare la sveglia alle prime luci dell’alba. Passando invece al sistema più in trend del momento, anche se iOS offre già un valido timer, di certo non potevano mancare le applicazioni sveglia. Tra le più diffuse abbiamo la bizzarra Waku Free che permette di utilizzare la musica dell’iPad e iPhone come suoneria per un risveglio a ritmo di musica, proprio come si faceva con le vecchie radiosveglia. Invece, un’app alternativa è Ambient Alarm grazie alla quale per fermare la sveglia è necessario agitare con forza il dispositivo. Un metodo strampalato ma che risulta decisamente efficace per chi fatica a svegliarsi al mattino. Queste sono solo alcune delle applicazioni che si possono trovare in giro, tutte realizzate per dimenticare il tradizionale canto del gallo, le scatole d'ottone e i ticchettii delle lancette, che per anni hanno scandito i ritmi di vita di milioni di persone e che invece oggi vengono accompagnati da software fantasiosi per addolcire l’atto più doloroso della giornata: il risveglio. A. A.
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Alex Non vorrei rovinarvi questo inizio d’autunno, se riuscissi a turbare una sola persona sarei contento! Ho conosciuto Alex a casa del mio vicino, nella seconda metà di giugno, era stato chiamato per un lavoretto. Sapete, quei piccoli “servizi” che la cinematografia americana ci ha abituati ad associare ai ragazzi, sul tipo di tagliare l’erba del prato di mister Samuel, oppure che so, imbiancare la staccionata del giardino di miss Rose. Alex era giunto alle nove di mattina su di una bici (piena di adesivi, fornita di due specchi retrovisori, una vera e propria macchina a trazione muscolare) ed aveva il compito di cogliere “bulicine” (amarene), il compenso pattuito era di cinque euro. Il ragazzo magrolino, forse è meglio dire gracile, indossava una maglia della “Juventus” di Torino, con tanto di sponsor in bella vista ed il numero dieci sulle spalle. Il mio vicino, uomo buono, ma dai modi aspri, introdusse Alex all’albero da cogliere all’interno del giardino, gli fornì una scala, i secchi per riporre la frutta colta, quindi tornò da me a servire il caffè del mattino. Dopo un po’ il sole cominciò a picchiare, l’informazione che ero venuto a cercare sarebbe giunta verso le quattordici. Mi stavo congedando dal mio ospite allorquando suonò il telefono all’interno dell’abitazione. Per pura forma di cortesia attesi la fine della conversazione all’esterno. Per ingannare il tempo mi accostai all’albero sul quale Alex stava cogliendo. Era magro, scuro di pelle con due occhioni grandi tipici dei bambini, troppo grandi rispetto al volto, di un verde così cangiante da confondersi col colore delle foglie. Appresi così che Alex non aveva gli anni che dimostrava (circa nove), bensì quattordici, non andava a scuola da quattro anni, lavorava rigorosamente in nero presso una segheria ingegnata nella cura dei boschi demaniali. Non mostrai il mio stupore, ma osservandolo meglio notai sul suo fisico i segni di un lavoro gravoso. Le mani erano già gonfie, si sarebbero deformate di lì a poco, le nocche grandi, gonfie, la schiena curva sotto il peso di un lavoro improbo. Lo sguardo disilluso, come di occhi che non hanno avuto il tempo di sognare. Non abituato alla considerazione degli altri, “il ragazzo” mi raccontò di sé, della sua vita, di quel che sperava, di qualche rimpianto (la scuola), poi si fece ardito. Mi chiese se il caso volesse che io fossi in possesso di un cellulare, magari che non utilizzavo più, non regalato ma venduto a lui per un giusto prezzo. In effetti c’era qualcosa in fondo ai miei cassetti, gli promisi l’oggetto. Fu allora che il padrone di casa m’informò che non prima delle 16 sarebbe stato in possesso dell’informazione che mi premeva. Tornai alla mia abitazione, in quelle poche decine di metri non feci che pensare alla promessa fatta ad Alex, cercando nella memoria, in quale angolo e di quale cassetto era stato riposto un vecchio cellulare (fateci caso, solo quando si cerca qualcosa da tempo conservata ci rendiamo conto di quanti cassetti dispongono le nostre abitazioni). Poi fui preso dalle cose del quotidiano, dai notiziari televisivi, dai caduti nei vari teatri di guerra, dalle bollette di gas, luce, acqua, dal detersivo della lavatrice da comprare, dal rubinetto che gocciolava, dall’erba troppo alta nelle aiuole davanti casa. Fu allora che mi scossi, pensai al ragazzo, alla promessa fatta, alla notizia che doveva procurarmi il vicino. Guardai l’ora, erano già le 17, recuperai un vecchio telefonino, il caricabatterie, mi precipitai fuori, avevo nella mente lo “sguardo” di chi non ha sognato. Appena varcato la soglia di casa, vidi Alex che, finita la sua incombenza, a cavalcioni della sua bici pedalava rigorosamente, per quanto gli consentissero le esili gambe. Mi feci innanzi alzando la mano, egli si fermò con gran stridio di freni. Lo guardai negli occhi e gli porsi la promessa garantendo sul suo funzionamento. Il luccichio del suo sguardo mi fece capire quanto apprezzasse il gesto. Nonostante ciò mi chiese quanto denaro dovesse darmi. Gli dissi che nulla mi era dovuto, che ero contento che usasse quell’oggetto per me superfluo, mi rispose di poter accettare, almeno se non in cambio di denaro, quale compenso di qualche lavoretto atto a mantenere la mia abitazione. Risposi di sì, mi stava bene, fui lesto a girarmi, non volevo si vedesse sul mio volto la commozione. Alzai la mano in segno di saluto e quasi fuggii. Non ho più visto Alex, non l’ho cercato, mi sento in colpa, come adulto e cittadino rumeno, di aver visto quel ragazzo macilento, al quale è stata negata l’infanzia e l’adolescenza. La consapevolezza dell’impotenza di agire in favore per le migliaia di Alex che per cinque euro sgobbano per nove ore sotto il sole rovente. Tutto questo per rimpinguare un magro “salario” elargito in nero, a quanti Alex è stata e sarà prosciugata la vita, e tutto questo dove avviene, nel Burundi? Lontano dalle nostre coscienze? No! Questo episodio (vero) è accaduto in Europa, la U.E. dell’euro, della civiltà, dell’eguaglianza e del benessere, della democrazia. Anche del consumo delle giovani vite come quelle di Alex. Cosa farai da adulto? Senza istruzione, sfruttato, senza il conforto del confronto con gli altri, impegnato fino allo spasimo per “sopravvivere” non per vivere. Ogni sforzo per quanto grande servirà solo per restare ai margini e non padroni del proprio destino. Così avremo fatto un altro bruto. Quanti “bruti” nel primo mondo crescono, quanti Alex in questa Europa. Europa “campione” di democrazia, che rivendica il primato della “civitas”. Questa Europa che si accapiglia per sapere se essere ad una o due velocità. L’Europa di Alex a quale velocità è, sesta, settima, ventesima? Vi saluto e sono l’Autoferroagricolo
Questo numero è dedicato ad un nostro caro amico
Ciao Alberto
La “Santarella” dei Quartieri Spagnoli Santa Maria Francesca e la sedia della fertilità A pochi passi dalla famosa Via Toledo di Napoli, in uno di quei vicoletti che introducono a quel labirintico quartiere una volta assegnato alle truppe spagnole del viceregno di Napoli, c'è un posto speciale, dove si respira ancora oggi odore di santità, dove lunghe code di fedeli, per lo più donne, attendono per chiedere una grazia, per poter realizzare il proprio sogno di maternità. È proprio lì, al civico 13 di Vico Tre Re a Toledo, che ha vissuto per 38 anni, fino alla sua morte nel 1791, la “Santa dei Quartieri”, Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe. La vita di questa Santa è un susseguirsi di sofferenze: digiuni, veglie, flagellazioni e cilici. Per tutta la vita cercò l'ascesi attraverso la via del dolore. Ebbe il dono della profezia, predisse sia l'epidemia del 1764 che la rivoluzione francese. Un'abitazione diventata Santuario, accanto alla piccola cappella laterale, al pian terreno, una stretta rampa di scale porta alla casa della Santa, dove il visitatore è subito colpito dalla particolarità degli ex voto: centinaia di fiocchi rosa ed azzurri, spesso corredati da foto di neonati, adornano le pareti della casa, segni di gratitudine di chi ha ricevuto il miracolo della fecondità. Ed è nella stanza attigua che attira l'attenzione la “Sedia”. Quella sedia miracolosa su cui da oltre 200 anni migliaia di donne si sono sedute ed hanno aperto il proprio cuore ed invocato l'aiuto alla Santa. Ancora oggi è su quella Sedia che si parla con la suora alla quale si confidano le proprie richieste; è su quella Sedia che la devota recita le preghiere e riceve, da parte della suora, la benedizione con le reliquie ed il Crocifisso di Maria Francesca. Nella coscienza popolare il sedersi sulla sedia della Santa è un atto di fede nel po-
tere miracoloso di Maria Francesca. Questa è la dimensione antropologica del culto, ossia il tratto particolare della tipologia umana che s'avvicina a questo culto e che lo pratica. Proprio come accadeva negli antichi rituali pagani dove le devote offrivano la propria verginità e non poi così diverso da quello delle ragazze di campagna in età da marito che esponevano i propri organi genitali alla magica rugiada della notte di san Giovanni, le donne condannate alla sterilità posano le terga sul legno che Maria Francesca occupò per una vita. Secondo alcuni antropologi, suor Maria Francesca ripropone il modello del femminino sacro che si manifesta nella figura della dea madre, la femminilità sacra quale principio cosmico, come forza sovrumana, impersonale, che, nella religione romana, si manifesta e si concretizza nelle specifiche figure di dee con differenti sfumature e funzioni. Tutto ciò non basta a spiegare come nei secoli la Santa abbia assunto il ruolo di dispensatrice di fertilità e non è sufficiente neppure a motivare la coda di signore che aspettano di avvicendarsi per rappresentare il gesto rituale, sedersi sul miracoloso “trono” della Santa col proposito di chiedere in dono il figlio che la natura non ha voluto concedere. Tra le vie dello shopping, tra un negozio e l'altro, in un angolo di Via Toledo c'è la casa della prima santa napoletana, una donna semplice che quasi quotidianamente compie miracoli, basta provare a contare le Maria Francesca ed i Francesco battezzati negli ultimi due secoli a testimonianza di una fede tutta partenopea. Annalisa Servo
Viaggio tra i colori e i sapori delle spezie C o m e p r e p a r a r e i l Ta j i n e l a h m b i b a r k o k A fronte delle ondate migratorie recenti, in un’epoca fortemente orientata alla realizzazione di una società multietnica, dopo il boom della cucina cinese, pare che,a conquistare un posto privilegiato tra le preferenze culinarie dei giovani, vi siano piatti legati alla gastronomia arabomediorientale. Non di rado, infatti, si sente parlare di Kebab (in arabo: spiedino), Falafeel e Cous Cous. Oltre all’aspetto materiale, è altresì fondamentale considerare il cibo quale elemento di rappresentanza identitaria di massa, ove la tradizione arabo-musulmana meglio esplicita il binomio cibo-socialità come imprescindibile. E per rendere omaggio all’ospitalità che contraddistingue i nostri “vicini”, si propone la ricetta di un piatto tipicamente magrebino, il Tajine, che, per tradizione, viene servito in un unico grande piatto posto al centro della tavola da cui attingono tutti i commensali. Mangiare nello stesso piatto, infatti, è un’usanza che rende l’invitato parte integrante della famiglia. L’origine del nome Tajine deriva dal piatto di terracotta in cui viene cotto e servito. Per i più curiosi e gli audaci in culinaria ecco le indicazioni per tentare di preparare la ricetta che, per coloro che non sono in possesso dello “strumento adatto”, suggeriamo cuocere nella pentola a pressione. Questi i consigli per la preparazione: ingredienti per 8 persone: Carne di manzo 2 kg (circa) - Miele 2 cucchiai Prugne secche ½ kg - Mandorle 200 gr. (circa) - Cipolle 3 - Noci (per decorazione) - Prezzemolo tritato 1 cucchiaino - Olio extravergine 2 cucchiai - Ginger 1 cuc-
chiaino - Olio (per frittura) 2 cucchiai Zafferano puro 1 cucchiaino - Sale - Cannella 2 cucchiai Pepe. Unite nella pentola l’olio, la carne, lo ginger, lo zafferano, il sale e il pepe. Lasciate rosolare il tutto per alcuni minuti , aggiungete poi l’acqua e coprite. Cottura: 30 /45 minuti circa. Nel frattempo, immergete e lessate nell’acqua bollente, le prugne ed un cucchiaino di
sale (15 min. circa). A fine cottura scolatele ed unitele al miele e alla cannella. Lasciate amalgamare gli ingredienti su fuoco per pochi minuti , mescolando continuamente. In un pentolino a parte, lessate in acqua bollente le mandorle (prive della buccia) per 5/6 minuti circa e successivamente friggetele nell’olio fino a quando non avranno acquisito un colorito dorato. Al termine di cottura, adagiate la carne su un grande piatto da portata, insaporita del suo sugo e aggiungetevi le prugne, le mandorle e le noci (precedentemente sbucciate) per abbellire. Il Tajine è servito. Buon appetito. Corinne Bove