ANNO 5, NUMERO 2
FEBBRAIO 2013
PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA UILTRASPORTI CAMPANIA
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale” (art. 16 Cost.)
Editoriale
Una task force per i trasporti: Authority, regole, risorse
Confermato Capodichino come infrastruttura strategica del Paese Approvate le condizioni per lo sviluppo di Costa d’Amalfi a scapito di Grazzanise
Una legge per decidere gli investimenti
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e scelte da fare per il sistema trasporti sono quelle di puntare innanzitutto al "sistema" attualmente latitante o meglio completamente assente in ogni parte del Paese. Non vi è un settore o un assetto merceologico che, alla fonte, in qualche modo interagisce, con altri con cui poi impatta per la produzione dell'offerta sui diversi territori. Oramai quelli che erano luoghi e operatori guardati con rispetto e educazione sono distanti dai cittadini utenti e visti come responsabili, se non come confacente esemplificazione, della crisi di un Paese che arranca e arretra ogni giorno di più. Il sistema ferroviario nazionale, locale per conseguenza, concentrando tutto sul mercato della AV ha sostanzialmente abbandonato a se stessa ogni altra forma di produzione di servizi, siano essi di lunga percorrenza che di rilievo regionale. Appare evidente che il sistema di AV fa registrare una buona qualificazione dell'offerta, anche in un regime di concorrenza con l'unico vero operatore privato del settore che ha investito in proprio, ma che ciononostante sconta una discrasia costituita dal fatto che il gestore della rete RFI nei fatti ė sottoposto allo stesso controllo del concorrente Trenitalia, ambedue del gruppo FS, cosa che fa nascere più di un dubbio sulla terzietà del gestore rispetto agli operatori che sulla sua rete si confrontano. Il sistema di offerta pubblica fatto da un'azienda pubblica di proprietà dello Stato, non può negare servizi ai cittadini abbandonando intere comunità e lasciando alle Regioni le decisioni circa la sostenibilità economica dei servizi regionali, non è questo che si deve ai cittadini contribuenti, non si possono in nessun modo giustificare vere e proprie negazioni di diritti solo perché l’inefficienza diffusa e l’incapacità di allocare opportunamente beni e servizi creano fallimenti di mercato. Superare, o quantomeno operare per superare un fallimento di mercato, non è un’operazione automatica, richiede una strategia condivisa e complessa alla ricerca di una soluzione che traguardi il superamento di tutti quei fattori che determinano la criticità. Cattiva allocazione delle risorse, inefficacia degli strumenti per muoversi nel mercato, concorrenza inesistente o basata sul costo del lavoro e sui livelli di servizi, in assenza di un sistema di regole in grado di individuare soluzioni organizzative operate localmente, ma pensate nella globalità in cui siamo immersi, non fanno altro che perpetrare il fallimento di mercato con l'assurda condizione in cui si trasferiscono oneri e competenze, senza mai aver disegnato le norme e gli strumenti, per far funzionare il settore, che negli anni è passato da un regime assistito in ogni caso, ad uno abbandonato alle disponibilità degli enti locali, che sono sempre economicamente minori e che segnano diffuse incapacità programmatiche e gestionali. Aver pensato ad un decentramento senza una legislazione di sostegno che ne definisse le caratteristiche, e affidando al solo cambio della titolarità la ricerca delle economie e delle efficienze, è stato per il settore dei trasporti un errore devastante ed irresponsabile. Lo stato comatoso in cui versa il comparto era abbondantemente annunciato e scritto, ma i saggi registi non avevano però immaginato che la realizzazione di questo increscioso disegno sarebbe coincisa con la crisi economica più forte dal dopoguerra, che da sola avrebbe già prodotto danni, ma che ha potuto affondare i suoi devastanti effetti in quella che è senza dubbio la più catastrofica delle scelte gestionali operate nel Paese. Per anni il settore ha dato linfa all’industria: a quella metalmeccanica con punte di eccellenza nella produzione di mezzi di trasporto, treni e bus, a quella per la realizzazione di sistemi di controllo dell’esercizio ferroviario e non ultima a quella delle costruzioni per la realizzazione di infrastrutture, il tutto connotato sempre da una esasperante e diseconomica visione slegata da un progetto complessivo tale da tendere ad un sistema. La parcellizzazione degli interventi non sostenuti da un dato di relazione comune ha fatto sì che una volta cambiati i centri decisionali, e Pag. 2 sopravvenuta la crisi economica,
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a macchina “tripolare” pensata e studiata un tempo per la Campania, “Capodichino, Grazzanise e Pontecagnano”, è diventata e resterà solo a due ruote. Nessun terzo aeroporto: lo scalo di Napoli viene confermato come infrastruttura strategica nazionale, decolla lo scalo di Salerno mentre la struttura di Grazzanise è ritenuta di difficile realizzazione perché occorrono troppi soldi e c’è poca voglia di misurarsi in una stagione di tagli e, soprattutto, di poche certezze. La parola d’ordine del Piano Nazionale Aeroporti è lontana dai sogni e dalle ambizioni fin troppo campanilistiche: quindi meno aeroporti, minori interventi pubblici con più efficienza ed efficacia per gli scali. Chi sperava che l’aeroporto militare di Grazzanise potesse diventare il nuovo scalo per il traffico civile della Campania, inizialmente pensato “intercontinentale” poi “internazionale”, dovrà abbandonare questa idea ambiziosa, mai veramente supportata da scelte strategiche ed industriali tali da metterla nella rete delle stra-
Consorzi di Bacino. Il futuro che non viene mai Pag. 3
tegie economiche della Regione. Sarebbe occorso un miliardo di euro per realizzare questo scalo destinato per alcuni a sostituire, sulla carta, l’aeroporto di NapoliCapodichino, per altri invece destinato ad una incomprensibile coesistenza specialistica, ma sta di fatto che, dopo anni di stallo, adesso non è più strategico e non sa da fare! Capodichino per alcuni è considerato saturo e pericoloso, situato com’è nel mezzo della città e finanche ingombrante, forse solo per avvalorare altre location, pensando che sarebbe stato utile chiuderne una per aprirne un’altra. Appare evidente che tutte queste teorie non sono mai state supportate da dati e valutazioni di merito, se solo nello scorso mese di agosto, proprio nel mezzo della massima concentrazione di movimenti aerei, l’aeroporto avrebbe consentito tranquillamente anche la gestione di molti altri voli: tale da indurre una ben diversa considerazione circa l’impegno degli enti locali, per un’attività di rilancio del territorio tale da attrarre altro volato ed inte-
Quale riforma per il Anm: in attesa della sistema di trasporto fusione, continua lo su ferro in Campania? stato di crisi Pag. 4
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ressi commerciali di nuove compagnie per incrementare i voli durante tutto l’anno. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha indicato 31 aeroporti come scali di interesse strategico per lo sviluppo del Paese, scali che avranno quindi la concessione nazionale e potranno usufruire di fondi pubblici per il loro ammodernamento. Spazio per nuovi scali purtroppo non c’è più, vanno piuttosto potenziati quelli di interesse nazionale, a partire dai grandi scali che hanno bisogno di infrastrutture e servizi. Per gli scali italiani, che non rientrano nel piano strategico nazionale, saranno le Regioni a decidere se metterli in rete, specializzarli o addirittura chiuderli, cosa possibile per alcuni mini terminal che faticano ad avere conti economici in equilibrio ed oggi, sperare in generosi aiuti pubblici che puntellino i bilanci in rosso, è quasi utopico. È arrivato quindi il momento di ristrutturarsi o altrimenti si chiudono i battenti, visto che senza sostePag. 2 nibilità economica va via la
L’utilizzo dei controlli difensivi sul lavoratore
Una super detrazione per l’efficienza energetica
Sicurezza negli ambienti di lavoro
Napoli, quante sfumature di grigio...
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Confermato Capodichino come infrastruttura strategica del Paese Approvate le condizioni per lo sviluppo di Costa d’Amalfi a scapito di Grazzanise concessione. E dopo 26 anni di lacuna, il ministero per lo Sviluppo economico decide di accelerare per la gestione ai privati: il piano guarda infatti anche alla futura gestione e sottolinea esplicitamente l’esigenza di un riequilibrio economico-finanziario, con la progressiva dismissione di quote societarie da parte degli enti pubblici. Il messaggio per le Regioni e Comuni è preciso: in tanti anni di deregulation non hanno resistito alla tentazione di battezzare nuovi terminal, spesso di formato bonsai ed ora l'obiettivo per tutti dovrà essere quello di pr oceder e al l a “progressiva dismissione di quote societarie da parte degli enti pubblici per favorire l'ingresso di capitali privati” e, a guardare anche l’esperienza di Napoli, bisogna dire che può funzionare. Si attende ora solo il beneplacito delle Regioni che hanno vagliato e condiviso il lavoro. Si dovrà dunque capire quale sarà il destino di quella miriade di aeroporti, talvolta piccole cattedrali nel deserto, strutture fantasma frequentate da pochi passeggeri, bisognerà ridurne il loro numero e riorganizzarli e puntare su quegli scali di interesse nazionale che costituiranno l’ossatura su cui fondare lo sviluppo del trasporto aereo nei prossimi anni. Da qui gli interventi strutturali prioritari, cioè investimenti pubblici e privati che potenzieranno i terminal e miglioreranno i collegamenti. E tra i “grandi” viene ripescato l’aeroporto di Pontecagnano, ultimo asse del sistema regionale: si punta quindi su Salerno e sulla possibilità di utilizzare il suo scalo, rinunciando a Grazzanise, considerata l’attuale capacità dell’aeroporto di Napoli di sostenere ulteriori aumenti di traffico nel medio periodo. Considerato eccessivo l'aeroporto (civile) di Grazzanise, che avrebbe teorico senso solo come scalo intercontinentale, ma tale tipo di da pag. 1
aeroporto non ha senso se si pensa ai meno 200 km di strada, ed un'ora di treno da Roma e comunque ad una inesistente domanda di tali tipi di collegamenti transoceanici. Per il sistema regionale campano si è deciso quindi di investire su un aeroporto chiamato “Costa d’Amalfi”, che in realtà dista più di 50 chilometri da Amalfi; si è deciso di dare una chance ad una struttura finora colpevolmente isolata, in realtà mai nata, e distante e mai sinergica con quella di Napoli, anzi nata e pensata, per alcuni, proprio in contrapposizione, come se fossero due squadre di calcio anche se operanti in campionati diversi. Uno scalo troppe volte annunciato in maniera trionfale, in pompa magna, ma che necessita di 100 milioni di euro di denaro pubblico e che
ospita pochi passeggeri e 3 voli quotidiani. Una visione di corto respiro ha fatto si che non si determinassero le indispensabili sinergie per far decollare l’aeroporto, troppi localismi e gelosie anche politiche hanno privato Salerno, la Campania e l’intero Sud di un’infrastruttura che sarebbe risultata, come potrà ancora essere, determinante per lo sviluppo, il turismo e il lavoro per la città di Salerno e la sua provincia. Un mistero a cui nessuno trova risposta. Possibile che Pontecagnano sia un altro bluff, un altro spreco di denaro pubblico? Nel documento del ministero si parla anche di mission specifiche da attribuire agli scali e Pontecagnano, ma è solo un’ipotesi, potrebbe diventare punto di riferimento per i charter, per i cargo e, non ultimi, per i low cost, che assicurano ottima redditività, mobilitando numerosi passeggeri. Non si tratta quindi di delocalizzare il traffico aereo di Capodichino verso lo sca-
lo di Pontecagnano: l’aeroporto Costa d’Amalfi non ha voli di linea, ha gravi carenze infrastrutturali, ha una pista di dimensioni ridotte; bisogna quindi puntare ad un suo completamento ma soprattutto ad una gestione unica con quello di Napoli, così da realizzare convergenze e non concorrenze. Non c'è dubbio che l'aeroporto possa essere una grande risorsa per il turismo ed il commercio della Campania ma necessita di investimenti oculati e, soprattutto, zero sprechi. Non è il momento di investire in nuovi aeroporti ma di valorizzare ciò che abbiamo e Salerno rappresenta un’opportunità anche in termini d’investimenti che occorrono. È un aeroporto da valorizzare e da integrare con Capodichino, solo così questo scalo, in una visione integrata campana legata anche allo sviluppo di Napoli, può avere un ruolo importante. È quel fare sistema che probabilmente manca: ipotizzare un aeroporto locale in concorrenza con Napoli Capodichino è ipotizzare una fandonia e Pontecagnano deve far sistema con Capodichino. Con grandi responsabilità della politica locale è sfumata invece l’idea di realizzare un nuovo scalo a supporto del meridione; l’aeroporto di Grazzanise non è più considerato necessario per lo sviluppo del Sud, con la crisi che viviamo è importante sostenere spese non enormi per un sistema aeroportuale di buon livello. Grazzanise nell’immediato non sarà un grande aeroporto commerciale, legato anche al sistema del trasporto su ferro, bisogna prenderne finalmente atto e andare avanti con quello che adesso si può fare, aspettando tempi migliori ma non stando fermi. L’importante è non sprecare occasioni di crescita economica e di sviluppo dei territori, l’importante è individuare nuove prospettive industriali in materia aeroportuale ma ciò che preoccupa è che spesso le soluzioni più intelligenti non sono attuabili in questo Paese. Da noi, purtroppo, esistono solo gli entusiasmi strabici. Paola Arrighini
La telefonata inattesa che risveglia le altrui aspettative L’incomodo di essere “membro” del Consiglio di Disciplina, un organismo poco efficace La telefonata è giunta inaspettata, non gradita come tutte le cose “fastidiose”, insinuandosi nel tuo mondo, alterandone gli equilibri faticosamente raggiunti. La voce che esce dalla scatoletta di plastica ferendomi il timpano mi comunica la volontà espressa dal Presidente del Consiglio di Disciplina di riunire l’organismo al più presto. Tanta urgenza è dovuta al fatto che il tempo a disposizione del Presidente è aumentato, pertanto, liberato da altri impegni nei vari Consigli di A mm i n i str az io ne (essendo stato coordinatore dell’ Assessorato Trasporti della Regione Campania), ha deciso di far diventare primario quest’altro incarico fino ad oggi trascurato. Improvvisamente tutto l’arretrato accumulato dal Consiglio diventava importante, era prioritario smaltirlo, tutti quei ricorsi giacenti (alcuni da anni miracolosamente diventavano motivo di imbarazzo). Ma essendo uno dei “membri” effettivi di questo “organo”, il “fastidio” è venuto legittimamente ad infastidirmi. Ma perché questa insofferenza per una responsabilità non certo ordinatami dal medico curante, ma affidatami da persone che mi ritenevano idoneo per questo compito? Che Dio maledica gli idealisti! Non il comporta-
mento del Presidente mi dava disagio, in fondo l’ipocrisia riguarda la coscienza di chi la pratica. La condizione di “sofferenza” era ed è data dalla filosofia pregnante l’operato del Consiglio di Disciplina, organismo, dispensatore di equità tra due entità, una tradizionalmente forte (l’Azienda), l’altra per oggettività debole
(i dipendenti). Da qui la necessaria capacità di saper essere “giusti” nella valutazione dei fatti per garantire un equilibrato responso. Se basta una “denuncia” anonima, una telefonata, affinché un lavoratore si veda decurtato il salario, senza una reale possibilità di replica. Se basta uno scambio di opinioni con toni accondiscendenti
tra “superiori” e “sottoposti” per sapere aprioristicamente dove è il torto. Chi non si genuflette ed ha la folle pretesa di lavorare con dignitosa serenità, anche se osserva tutte le norme. Guai ad avere un contenzioso sul quale il Consiglio debba dirimere. La motivazione è che se l’amministrazione si “disturba” nel segnalare la presunta infrazione al codice deontologico dell’autoferrotranviere (legge 148 Real decreto 1931), nonostante in alcuni casi sia palese la inconsistenza della colpa, l’amministrazione non si può deludere. Forti di questa illogica equazione la maggioranza dei “membri” del Consiglio crede “giusto” punire i dipendenti. Anche perché si deve dimostrare l’utilità di questo apparato, che in realtà non è super partes, ma “partes”e basta. Dio stermini gli idealisti! In realtà questo è il vero motivo del “disagio”. Forse dovrei cambiare approccio, forse dovrei addivenire ad un compresso. Forse avrei dovuto parlare delle elezioni, magari quelle a Sindaco di Avellino, ma sono un leopardo troppo vecchio per cambiare le macchie. Piero Loggia
sono venuti meno gli elementi di sostegno allo sviluppo e alla produzione sia diretta del settore che dell'indotto. Per troppi anni e in troppi luoghi decisionali si è colpevolmente confuso “Infrastrutture e Trasporti” facendo credere che investire in infrastruttura avrebbe significato necessariamente ed automaticamente miglioramento dell’intero sistema. Non è mai stato così, la scelta degli investimenti non è mai stata accompagnata da un’analisi e confronto sulle opportunità e sulle priorità vere e sentite come tali dalla collettività, preferendo scelte isolate e calate sui cittadini senza che questi ne avessero conoscenza né coscienza. Le scelte sono diventate bandiere politiche da difendere o da abbattere, e così si è assistito ad accelerazioni e stop mai dettati da fatti bensì da presupposti di parte. L’elenco delle opere inutili e mai terminate sarebbe lungo, e come tale non ha risparmiato nessun territorio, si pensi alla SA/RC, al Ponte sullo Stretto, alla stazione AV di Afragola o all’aeroporto di Grazzanise, tutti esempi che hanno segnato il ritardo con cui il nostro Paese si presenta nello scenario continentale e che danno il segno dell'inaffidabilità del nostro sistema decisionale. Un’infrastruttura deve dire della sua utilità alla collettività, se non ne sono noti i presupposti e le utilità rischia di essere vissuta come un’imposizione non sempre sopportabile e sostenibile, per poi diventare logicamente di interesse politico, tale da essere sostenuta o avversata senza cognizione di causa, a fasi alterne a seconda della colorazione politica di chi governa, suscettibile quindi di blocchi e sperpero di risorse con grave nocumento per l'impiego di risorse anche europee. In Campania siamo al collasso e niente lascia pensare che si stia per invertire la rotta, il prossimo governo sarà chiamato ad una sintesi straordinaria per il comparto, non ci sono tempi lunghi a cui riferirsi, non abbiamo più margini di gestione di quello che è oramai diventato il fenomeno dei diffusi fallimenti nel settore e nell'indotto. Ripensare al sistema di decentramento del TPL, visti i risultati, è inderogabile, non immaginiamo il ripristino della centralità del Fondo Nazionale Trasporti, ma sicuramente senza la certezza di flussi economici per il finanziamento dei servizi minimi essenziali non si va da nessuna parte, gli strumenti per la gestione dei servizi qualunque essi siano non possono immaginare il mantenimento di 1200 aziende nel Paese, con 123 in Campania. Con tale frammentazione qualunque iniziativa sarà destinata a naufragare con lo sperpero di risorse, sempre e solo pubbliche, in mille rivoli non più sostenibili. Il Governo ha ripensato alla titolarità in materia di Porti e Aeroporti riportandoli alle prerogative centrali, sottraendoli a quelle locali. Recentemente è stato adottato il Piano Nazionale degli aeroporti, classificando quelli di interesse generale da sostenere e salvaguardare a discapito anche di altri, a volte pensati con campanilismi imbarazzanti. In Campania dopo anni incredibili di chiacchiere con perdite di tempo e risorse, è stata pressoché cancellata l'idea di Grazzanise e così dopo quasi venti anni di annunci si è arrivati alla determinazione che non vi sono le condizioni di sostenibilità di questa infrastruttura, tante volte annunciata, ma mai sostenuta, soprattutto in campagna elettorale. L'Authority dei Trasporti annunciata con grande enfasi dal governo tecnico, si è arenata sulla partitocrazia che non è riuscita a deciderne la formazione, ed in assenza di regole indipendenti da localismi e interessi di lobby si sta assistendo allo sfascio di servizi essenziali per l'economia del Paese. Una task force per i trasporti, con la partenza dell'Authority di cui bisogna definire bene le competenze, e soprattutto una legge per l’individuazione delle infrastrutture, con la definizione del percorso decisionale che coinvolga i cittadini e le comunità interessate, che una volta definito impegni tutti alla realizzazione senza intoppi o comitati che non avendo luogo formale dove esprimersi, troppo spesso anche strumentalmente bloccano la realizzazione di opere. Per ogni grande scelta si deve aprire una fase di confronto e di ascolto vero e codificato per tempi e modalità, a termine del quale se si addotta la decisione nelle forme e con le modifiche che il dibattito pubblico ha determinato, l'opera così definita si fa senza se e senza ma, e soprattutto senza possibilità che altri possano bloccarla, con fini e scopi che non hanno trovato spazio nella fase decisionale. Questo percorso, definito per legge, darebbe il senso di scelte che stanno a servizio di un sistema, che da esse deve trarne giovamento e non nocumento, evitando così che la realizzazione di nuove infrastrutture, pensate senza predeterminarne nemmeno i costi di gestione, diventi solo un ulteriore costo per le aziende, da cui poi essere soffocate, esattamente come è successo nel sistema ferroviario campano. Restituire normalità al Paese, vuol dire per i trasporti ripartire con tenacia ed efficacia, riformando senza stravolgimenti, convinti che le pagine non si possono strappare, l’importante è voltare pagina e ricominciare! Luigi Simeone da pag. 1
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Consorzi di Bacino. Il futuro che non arriva mai Fs Logistica, ecco il nuovo quadro aziendale In attesa della nuova legge regionale di riordino del ciclo dei rifiuti La mobilità dei lavoratori, una strategia di gruppo da giocatori di scacchi “Chi crede nel proprio lavoro vive meglio”. Non è vero… chi l’ha detto si sbagliava!!! Marzo 2000: assunzione degli operatori dei Consorzi di Bacino, addetti alla Raccolta Differenziata. Finalmente un posto di lavoro! Animati da un grande entusiasmo ci rimbocchiamo le maniche e contribuiamo al decollo di questo grande progetto. Sensibilizzazione, isole ecologiche, nascita di cantieri, acquisto di automezzi. Si organizzano turni, si dividono gli operatori in squadre, si assegnano zone di prelievo. Nel 2004 la percentuale di materiali raccolti in forma separati, rifiuti sottratti alle discariche, raggiunge il 40%. Alla fine di ogni mese il meritato stipendio ci gratifica come lavoratori e soprattutto come padri di famiglia. Il bel sogno, però, ad un tratto finisce! I Comuni, dopo la fase sperimentale che consentiva loro di utilizzarci a costo zero, decidono di continuare la raccolta differenziata con le ditte private. I Consorzi di Bacino cominciano a vacillare, i Comuni non versano le loro quote di adesione ai Consorzi, le attività mancano, dalla struttura del Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania non arrivano più i soldi per pagare gli operatori che restano per mesi senza stipendio. Ogni tanto ricevono soltanto qualche piccolo anticipo, con il quale non possono certo soddisfare i bisogni delle loro famiglie. A questo scempio contribuiscono anche i cattivi amministratori e si arriva al commissariamento dei Consorzi di Bacino. Tutto questo grava sulla pelle dei lavoratori. Improvvisamente ci sentiamo svuotati,
espropriati della nostra vita, senza lavoro e senza soldi. È possibile che vengano calpestati diritti sacrosanti, che facciano vivere tanta gente nell’incertezza del futuro e con tanti stipendi arretrati? I lavoratori, però, sanno che non devono arrendersi, devono fare qualcosa altrimenti sono fuori dal mondo del lavoro. Iniziano le mobilitazioni, i presidi, gli incontri con la Regione, con l’ANCI. Si presidiano le strade e le piazze, il freddo è intenso ma nulla ferma la determinazione di chi lotta per il proprio futuro. La Regione Campania chiede al Governo una proroga delle vecchie e mai applicate norme di “fine emergenza”, per avere il tempo di varare una nuova Legge Regionale di riordino del Ciclo Integrato dei Rifiuti. Il Governo risponde con il Decreto Legge n.1 del 2013 che proroga di 6 mesi la L e g g e n.26/2010, dando così tempo alla Regione Campania di varare e appl ic are le nuove n o r m e r e g i o n al i che dov ranno garantire la stabilità del lavoro e la certezza del reddito a tutti i lavoratori dei Consorzi di Bacino. Intanto inizia la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni politiche del 24 febbraio per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Passa altro tempo, occupato dalle inutili promesse della politica che fino ad oggi ha dimenticato i lavoratori dei Consorzi. Eppure le elezioni passeranno ed i lavoratori dei Consorzi saranno sempre lì, a lottare per il loro futuro e quello delle loro famiglie. Fino a quando quel futuro non sarà diventato, finalmente, il loro presente. Vincenzo Terracciano
Quando nel febbraio del 2007 i vertici della Holding FS presentarono il nuovo brand FS Logistica, si pensò da parte dello stanco uditorio del mondo ferroviario che forse c’era per davvero una scossa in arrivo, di quelle telluricamente utili al cambiamento, magari per avvenuta implosione del vecchio che resiste ma senza più convinzione. FS Logistica avrebbe dovuto, nel “paradigma morettiano”, ereditare dalla consunta Divisione Cargo ruolo e competenze e, semmai, il personale. Il trasporto merci su ferro si sarebbe dotato così di un nuovo volano e chissà, questa la scommessa, sarebbe alfine stato invertito il trend tutto a vantaggio della “gomma”. A distanza di 6 anni, il bilancio che ne è scaturito in termini di risultati economici è del tutto incomprensibile. FS Logistica si avvia verso il suo ridimensionamento, quasi obbligata dalle circostanze, avendo subito prima ancora che concordato le direttive dall’alto. Di sicuro essa abdica all’insieme delle funzioni per le quali era stata creata .Serbatoio di risorse umane prese in carico da esperienze imprenditoriali andate in malora, si è ritrovata con un deficit di bilancio insostenibile e mai che un piano industriale venisse portato avanti nella sua complessità. Nata come agglomerato di aziende con specialità da svolgere, suddivise in business unit, via via nel corso di un lustro vissuto con affanno malcelato, se ne è liberata come fardello sul groppone, fino ai giorni nostri, dove a dettar notizia sono gli scarni comunicati delle segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali, ancora una volta chiamate al suo capezzale. Una vita breve e tempestosa. Nelle intenzioni dell’azienda c’è la conclamata e, pare, indispensabile rinuncia alle attività della chimica e siderurgia industriale, restringendo il perimetro produttivo alle sole attività del “core”. In pratica finendo per dedicarsi unicamente al trasporto del collettame militare e ci112 (trasferimento di materiale ferroviario da impianto ad impianto). Un reticolo, quindi, ben limitato, una sorta di house della Holding che ha sempre forse pensato di utilizzare questa azienda a fisarmonica, col mantice in continuo movimento.
Il confronto con le organizzazioni sindacali snodatosi attraverso riunioni spesso slittate è stato aggiornato al 7 febbraio, data in cui FS Logistica ha mostrato l’elenco del personale cosiddetto eccedente e da ricollocare. I primi esiti della trattativa hanno individuato, in rapporto alle cifre comunicate dall’azienda, in 80 i dipendenti che, in ragione del venir meno delle attività cui erano stati assegnati, saranno trasferiti unitamente alle stesse con questa ripartizione: 8 con la branchia chimica in Trenitalia; 15 con la branchia siderurgica in Serfer, società controllata del Gruppo, 52 in RFI. Resterebbero così in FS Logistica 71 dipen-
denti. Su di loro verrebbe a pesare parte del gravame di lavoro lasciato dai lavoratori “in diaspora”, mentre le attività farebbero capo prevalentemente a quella della b.u.. Omniaexpress, quale vettore specializzato della Holding ed organizzate in 3 piattaforme soltanto e sostanzialmente svolte da terzi. Le società Ferlog e Stinga, da sempre corrispondenti privilegiati, in una realtà fortemente ristretta, giocheranno un compito indefettibile. Le organizzazioni sindacali, al tavolo della discussione, hanno richiesto che ai lavoratori rimasti in forza presso FS Logistica venga esteso, dietro sollecitazione dell’infaticabile sollecito delle RSA, il contratto aziendale FS, in pratica quello riservato alle società più importanti (le “icone del desktop del gruppo”), oltre alla clausola di salvaguardia occupazionale. Si ricorderà, infatti, che riguardo l’assenza di tutele del personale della società, gli esuberi vengono denunciati, spesso, come quota da licenziare non esistendo un fondo bilaterale. Arcangelo Vitale
Cesare Pozzo curerà i ferrovieri italiani grazie al nuovo contratto nazionale Interventi, diagnostica e perfino il dentista potranno essere gratuiti. Ma a quale costo? Tra le novità introdotte dal contratto siglato lo scorso luglio, destava particolare curiosità tra i ferrovieri la possibilità futura di accedere ad un’assistenza sanitaria integrativa. La formale assegnazione è avvenuta sul finire del 2012 con la firma della Convenzione per l'esecuzione delle prestazioni, avvenuta fra il Direttore Centrale Risorse Umane e Organizzazione delle Ferrovie dello Stato Italiane ed il Presidente della Società di Mutuo Soccorso “Cesare Pozzo”. Questa importante forma di welfare aziendale contribuirà in maniera notevole a garantire maggiore tranquillità e migliore qualità della vita ai ferrovieri, che, a partire dal 2013, potranno far riferimento alle prestazioni garantite dalla “mutua” Cesare Pozzo, nata 135 anni fa e che oggi può contare su una diffusione nazionale, raccogliendo l’adesione di 96mila famiglie di cui ben 18mila con almeno un componente che lavora nel settore dei trasporti ferroviari. L’iniziativa garantisce dal 1° gennaio 2013 a tutti i ferrovieri dipendenti del Gruppo FS un’assistenza sanitaria integrativa che coprirà diverse categorie sanitarie, dai grandi interventi chirurgici all’assistenza infermieristica domiciliare, dalle spese per la diagnostica e le terapie di alta specializzazione ad alcune prestazioni odontoiatriche, fino al rimborso dei ticket. L’assistenza potrà essere indiretta, ovvero attraverso la presentazione della richiesta di rimborso delle prestazioni effettuate, o diretta, attraverso la rete nazionale di strut-
ture sanitarie convenzionate. A completare le opportunità, il fornitore del servizio metterà a disposizione un’area internet dedicata, dove sarà possibile richiedere i rimborsi, prenotare le prestazioni, ottenere informazioni e moduli. Inoltre sarà attivato un numero verde indirizzato a
chi necessita chiarimenti in merito alle coperture previste e per richiedere prestazioni sanitarie secondo la formula della presa in carico in forma diretta. Attualmente sul sito “Linea diretta” è possibile scaricare un vademecum per conoscere ed eventualmente utilizzare i servizi offerti.
Questa storica apertura alla mutualità da parte del Gruppo FS è di certo un segnale importante, ma restano delle perplessità in merito alle modalità con cui è stata condotta la gara europea. Da parte dei lavoratori sarebbe stato apprezzato un maggior coinvolgimento dell’azienda nella delica-
ai correlati oneri. L’intero contratto è nato con lo spirito di promuovere il metodo partecipativo come strumento necessario a rafforzare e meglio qualificare le relazioni tra le parti. Un coinvolgimento che dovrebbe essere garantito dai dettami contrattuali, non solo nell’assistenza sanitaria, ma in campi delicatissimi come le tematiche della sicurezza sul lavoro, della formazione professionale, della previdenza integrativa e delle pari opportunità. Tutti argomenti in cui andava rafforzata la bilateralità esistente, fino all’istituzione, dove necessario, di sue nuove forme. L’articolo 22 del CCNL relativo al welfare aziendale nasce da questi principi cardine che permeano l’intero contratto, ricordati e richiamati anche negli articoli 1,54 e 55. La mancanza di una bilateralità nella individuazione dei livelli di assistenza sanitaria diventa ancora più grave se si pensa che la stessa rappresenta a tutti gli effetti un costo contrattuale, una quota sottratta alla busta paga di ogni dipendente destinata al welfare. Per questo diventa incomprensibile come si possa pretendere di ripartire solo gli oneri e non anche poteri e controlli. L’esigenza di comitati misti è stata più volte esposta all’azienda, che fino ad ora ha ignorato suggerimenti e dettami contrattuali, ma si spera che la logica posta fase di costruzione del progetto e della sa presto prevalere, rimediando agli erroindividuazione delle prestazioni. Soprat- ri di valutazione passati e riportandosi su tutto per rispettare in maniera puntuale il binari più corretti, diretti a garantire parteCCNL. stipulato lo scorso luglio, che pre- cipazione e bilateralità, i valori su cui si è vedeva chiaramente il coinvolgimento retto il nuovo contratto e che fin troppo diretto di entrambe le parti nell’individua- presto sono stati dimenticati. Umberto Esposito zione delle possibili soluzioni in relazione
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Quale riforma per il sistema di trasporto su ferro in Campania? La necessità di un dibattito condiviso tra parti interessate per un processo di rinnovamento radica le Con le vicende ultime, il trasporto su ferro in Campania si è avviato verso un assetto completamente trasformato. Tuttavia la fusione delle aziende ferroviarie campane in un unico soggetto societario non esaurisce l’ esigenza di un progetto chiaro e preciso di riforma del sistema trasporto regionale. Allo stato attuale molti punti chiave rimangono ancora oscuri e non lasciano intravedere il modello verso il quale si intende veramente indirizzare una riforma, capace di garantire negli anni il miglioramento del servizio, l'aumento della domanda, la sostenibilità dei costi ed il mantenimento dei livelli occupazionali. Stenta a emergere un dibattito serio ed aperto che coinvolga e renda partecipe tutte le parti interessate, soggetti politici, sindacati e cittadini. Una visione calata dall’alto e presuntuosamente autosufficiente pretende di esaurire in stretti consessi quella che dovrebbe essere invece una riforma epocale, e oggetto quindi di un esteso dibattito. Si abusa con una certa facilità di concetti usati come feticci, come a seguire una moda, parlando con spocchiosa superficialità di liberalizzazioni e mercato, senza un approfondimento di merito che definisca con chiarezza le scelte politiche di fondo, rispetto alle quali si continua a mantenere un atteggiamento ambiguo. Ci si attarda su sterili proclami di separazioni rete/trasporto, liberalizzazioni e privatizzazioni, senza entrare mai nel merito di cosa si vuole separare e come, cosa si intenda per liberalizzazione e cosa si vuole davvero privatizzare. Gli esempi di altri paesi europei che prima di noi hanno praticato radicali riforme del sistema trasporto ci insegnano che non esiste un modello unico di riferimento e che le differenti opzioni creano scenari diversi, soggetti a continue verifiche e tra-
sformazioni in base ai risultati che producono. Alcune scelte sono determinanti e non esiste un manuale della liberalizzazione del servizio trasporti cui fare fedelmente riferimento, come invece lasciano intendere con maliziosa ambiguità coloro che oggi hanno la responsabilità politica del trasporto in
proprietaria e gestionale, del servizio. La scelta non si esaurisce con la separazione tra gestore della rete e operatore del trasporto. È importante definire, per esempio, se essa sia veramente netta e radicale o se resti nelle prerogative della proprietà della rete anche un ramo capace di erogare servizio di tra-
Campania e che hanno trasformato il confronto di merito in una contrapposizione ideologica, riconducendola ad uno scontro tra una presunta modernità ed un anacronistico retaggio culturale statalista. Gli aspetti su cui oggi bisognerebbe scegliere riguardano opzioni concrete come il tipo di separazione,
sporto, che non è propriamente una scelta insignificante. La separazione tout court di società di trasporti non ha mai determinato grandi risultati, in Inghilterra lo sanno bene, ma la sovrapposizioni di ruoli e funzioni non funziona come per esempio nel gruppo FS, quindi risultano determinanti
le scelte per le quali bisogna definire se ci si indirizza verso un difficile anche da immaginare sistema di “concorrenza nel mercato”, con l’adozione di un sistema open access in base al quale qualunque impresa ferroviaria può domandare al gestore della rete qualunque traccia, oppure se si adotta invece un sistema più credibile cosiddetto di “concorrenza per il mercato”, con l’adozione di gare per il diritto di esercizio in esclusiva di determinate linee per un definito numero di anni, con oneri ed onori chiari ed esigibili per il gestore e per l’affidatario. E bisognerebbe discutere circa quali soggetti possono partecipare alla gestione dei servizi che continueranno a necessitare di risorse pubbliche, questo nell’ipotesi che non si vogliano dismettere i servizi non remunerativi, quelli che comunque un paese civile deve in ogni caso garantire. Non sono che alcune delle domande che un dibattito serio dovrebbe affrontare in un tale momento di svolta epocale. Domande che dovrebbero aprire un confronto alto tra forze politiche disponibili a ritrovare la capacità di confronto e forze sindacali che sappiano dimostrarsi all’altezza dei temi in essere. L’assenza di questa discussione pone dubbi stratosferici sull’efficacia dell’intera operazione di riforma e crea disorientamento tra i lavoratori e diffidenza nei cittadini, alimentando fortemente il timore che scelte sbagliate, inappropriate, fatte per motivazioni oscure e slegate dagli obiettivi dell’interesse collettivo, compromettano seriamente quella che invece per essere percepita come una rivoluzione di sistema necessaria, deve allo stesso tempo costituire una grande opportunità, per il ripristino della normalità da troppo tempo assente nella nostra regione. Roberto Vallefuoco
La metropolitana della linea 1 la si realizza o la si cerca? La Regione investe sul doppio binario azzoppato ma non sui treni Tanti i dubbi per i cittadini se riusciranno mai a vedere completo l’anello ferroviario
Decisioni tecnocratiche che rischiano di non esser condivise dai cittadini
Quando si parla di completamento della linea 1 si pensa ad una storia infinita, un’opera tanto desiderata e voluta ma non ancora compiuta, una struttura metropolitana tanto decantata quanto mai completata. Manca un pezzo. Manca ancora quel tratto che consentirà alla linea 1 di Metronapoli di essere considerata un vero e proprio anello ferroviario. È ancora in costruzione infatti, da un lato, il tratto che da Università arriverà a Garibaldi nei pressi della stazione centrale e dall’altro, quello che da Piscinola arriverà all’aeroporto di Capodichino. Si è imparato ormai a contenere l’entusiasmo quando si parla di inaugurazione di nuove fermate, senza farsi trasportare da falsi annunci che fissano date mai rispettate, date importanti per l’intera città di Napoli che attende le sue stazioni disegnate e firmate da “archistar”. È dal lontano 6 febbraio 2009 che è stato depositato il progetto per l’ulteriore allungamento della linea dalla stazione Aeroporto fino a piazza Garibaldi, un disegno che prevede la realizzazione di un anello come la linea circolare della metropolitana di Mosca, la linea Yamanote di Tokyo e la Circle-line di Londra. Ma qui a raffreddare le aspettative sono purtroppo gli eventi che tutto fanno pensare tranne che alla realizzazione definitiva dell’opera. Basta riflettere sull’inaugurazione della stazione di Università, annunciata e rinviata almeno quattro volte, oppure a quella di Toledo, prevista per giugno scorso ma slittata a settembre. Sono stazioni queste che consentono il collegamento con piazza Dante su un solo binario, con un servizio navetta che viene erogato ogni 15 minuti; bisognerà aspettare l’apertura della stazione di Piazza Garibaldi per vedere la circolazione a doppio binario, che consentirà ad un unico treno di percorrere l’intera tratta. Per adesso invece bisogna accontentarsi di utilizzare gli scambi, ancora lontano quindi il senza stop, il senza cambi ed il senza navetta. Che si tratti di una realizzazione di
Eliminazione dei passaggi a livello, liberazione dei binari dall’area dell’attuale stazione per ridisegnare una nuova piazza ed un nuovo sistema di viabilità, grazie anche all’inaugurazione di percorsi ciclopedonali in grado di collegare il centro di Nola con le aree di periferia. Questo dovrebbe portare l’interramento della tratta ferroviaria della linea ex Circumvesuviana; un progetto ambizioso, parte di un’opera più complessa, che prevede il raddoppio di circa 5 km di ferrovia, a partire dal Comune di Scisciano fino a quello di Cimitile, passando per le stazioni di Strocchia (da realizzare), Saviano, Feudo (da realizzare) e Nola. Un evento di portata storica, che ripropone un progetto risalente agli anni novanta e che mai aveva avuto la sponda giusta fino all’estate scorsa, quando, in presenza dei media e di importanti autorità politiche, gli amministratori locali esaltavano la bontà del progetto e lo sforzo di aver canalizzato risorse economiche in un momento tanto avvilente per il Paese. Aver trovato le risorse per finanziare un’opera strategica che coniughi lavoro e sviluppo è sicuramente apprezzabile, ma se fatta con la tradizionale cieca politica di riaprire nuovi cantieri al solo scopo di creare occupazione temporanea, allora si corre il rischio di ricommettere gli stessi errori del passato. Stanziare 120 milioni di euro non garantisce, infatti, la riorganizzazione totale della linea ferroviaria, facendo addirittura ipotizzare la realizzazione di una sola “canna” ferroviaria, utile per l’unico binario, fino a quando non si troveranno altri fondi per completare organicamente l’intera opera. Il vero risultato è, quindi, la sola eliminazione di tre passaggi a livello del centro urbano e l’avvio della costruzione della nuova stazione di Nola, rinviando a data da destinare il completamento dell’intero progetto. Un caso analogo a quello della tratta Torre Annunziata – Pompei Santuario, i cui lavori di raddoppio, fermi da decenni, subirono una forte accelerazione negli ultimi anni dell’”egemonia bassoliniana”, per poi farne seguire un’inaugurazione azzoppata caratterizzata sì dalla costruzione di nuovi impianti, ma priva del secondo binario limitato a Boscotrecase, appena qualche chilometro prima di Pompei, dove lo stato di avanzamento dei lavori della galleria e di ampliamento della sede ferroviaria sono ancora in una fase indeterminata, che non fa ben sperare sulla fine dell’opera in termini relativamente brevi. Ciò a dimostra-
un’opera complessa è indubbio, che ci siano stati imprevisti e ritardi è incontestabile. Ma quanto tempo ancora bisognerà attendere per vedere l’opera completa? Rincuora poco sapere che se l’inaugurazione di uno dei collegamenti più attesi dai napoletani slitterà ancora, non è per mancanza di fondi: sono stati infatti di recente sbloccati i 172,71 milioni di euro utili per il completamento della linea 1 nella tratta Dante, Municipio, Garibaldi, Centro Direzionale, un altro contributo che si somma ai 401 milioni di euro già erogati dalla Regione Campania a valere sul Por-Fesr 2007-2013. In questo modo si potrà procedere in maniera spedita per la prosecuzione dei lavori per la realizzazione della tratta della metropolitana sino alla stazione Garibaldi che, secondo il fatidico cronoprogramma, dovrebbe aprire quest’estate. Una data da segnare, un appuntamento che non si può dimenticare. Doveva essere pronta a febbraio, ma cosa saranno mai sei mesi in più per un’opera così attesa? Oggi la navetta da piazza Dante a Università trasporta i viaggiatori bypassando ancora Municipio. All’appello mancano poi Duomo e Garibaldi e alla corsa senza fiato da Garibaldi all’area Nord si arriverà soltanto per gradi. Il progetto del tratto di completamento sino a Capodichino è stato annunciato che verrà completato in 5 anni ma in due fasi, con l’apertura di 4 stazioni: Centro Direzionale, Tribunale, Poggioreale e Capodichino. Dal centro della città si potrà così raggiungere l’aeroporto in appena 10 minuti. A fronte di questi progetti faraonici ci auguriamo che il prosieguo degli scavi per la realizzazione del collegamento su rotaie della linea 1 non subisca più arresti e che la Napoli dei collegamenti sotterranei, capace di rendere il capoluogo campano un po’ più europeo, possa essere realizzata in tempi brevi. Che siano progetti reali e concreti, non immaginifici. U. E.
zione dell’incapacità di completare un’opera ferroviaria strategica, che interessa un’area di rilevanza archeologica ed ecclesiastica mondiale, senza imbattersi negli allungati tempi di realizzazione di infrastrutture di pubblico interesse, sempre al centro di eterni contenziosi e di indiscutibili aumenti dei costi iniziali. Ma siamo davvero convinti che questa futura opera “dimezzata” sia la priorità assoluta per rilanciare l’economia del territorio nolano? Inoltre, a cosa serve aprire nuovi cantieri, inaugurare nuove stazioni, se poi non ci sono treni che vi circolano o personale all’interno degli impianti? Non possiamo ancora permetterci di pensare solo ed
esclusivamente alle infrastrutture se prima non troviamo il modo di far circolare più treni a condizioni più dignitose su quelle tratte di linee che possono rappresentare un’opportunità di rilancio economico e culturale per il territorio. Una volta per tutte, pur riconoscendo l’importanza di investire e quindi di far circolare risorse economiche, non bisogna dimenticare che qualunque opera che interessi la collettività deve essere prima condivisa dalla stessa, affrontando in modo coerente e partecipato una discussione sul futuro del Paese, evitando soluzioni tecnocratiche che lasciano ancora una volta i cittadini come semplici spettatori di opere incomprese. Alla Campania non servono infrastrutture amputate e le tante opere finanziate e poi incompiute, alla nostra terra servono decisioni concrete e condivise, con tempi di realizzazione certi ed investimenti sicuri per il funzionamento dell’attività che si intende rilanciare. Altrimenti continuiamo a commettere i soliti errori che non ci accumunano a nessuna grande civiltà europea e forse servono solo ad amplificare la nostra cattiva reputazione nel mondo. Francesco Di Palma
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Eavbus: un futuro da costruire partendo da un presente più sicuro Un percorso spinato, ma inevitabile se si vogliono salvare le sorti dell’azienda Il preaccordo che ha salvato i lavoratori della fallita EAV BUS è stato elaborato il 17 gennaio nella sede della Regione Campania in Roma, un accordo difficile da accettare, un’intesa che richiede un notevole sacrificio, seppur temporaneo, da parte dei lavoratori, in termini economici e di organizzazione. Ma quando la scelta è tra il bere e l’affogare, tra l’essere o il non essere, la soluzione, anche se dolorosa, è unica. Una soluzione condivisa dagli stessi lavoratori che, il giorno successivo al verbale di preaccordo, hanno votato, attraverso un referendum, favorevolmente alla preintesa scegliendo di condividere un momentaneo percorso spinato allo scopo di far ripartire l’azienda, preferendo un presente certo ad un futuro incerto che, nella migliore delle ipotesi, li avrebbe affidati ad un privato, come primo inevitabile atto, e avrebbe trasformato il contratto di lavoro ASSTRA nel meno conveniente ANAV, con un‘immediata perdita in termini economici e normativi, non più recuperabili. L’accordo prevede una diminuzione del costo del lavoro per un determinato periodo di tempo attraverso l’attivazione dei contratti di solidarietà e una decurtazione percentuale degli accordi di secondo livello; altri notevoli recuperi si otterranno attraverso un riequilibrio della forza lavoro nei vari im-
pianti e, a secondo delle peculiarità scolastiche o turistiche degli stessi, quindi con una flessibilità, in termini di mobilità, legata alla stagionalità dei servizi.
Inoltre saranno chiusi i depositi di Castellammare e Comiziano, prevedendo lo spostamento di mezzi e del personale al deposito di Torre Annunziata per Castellamma-
re, in un’area di proprietà della società Circumvesuviana, adiacente la stazione di San Vitaliano, per Comiziano. Anche altri depositi saranno interessati dal
Galileo Ferraris sarà chiuso e le attività saranno trasferite tutte nell’area, anche questa di proprietà Circumvesuviana, di via Parise, già in passato utilizzata per i servizi di ex Vesuviana Mobilità. Tutti provvedimenti che impattano sulla programmazione di vita dei dipendenti e che si sommano alle già inevitabili ripercussioni subite a causa della diminuzione di orario dei contratti di solidarietà e che si rifletteranno ulteriormente sull’organizzazione del lavoro. Peraltro il progetto industriale prevede un aumento di produttività che, in tempi non lontani, non sarebbe stato a costo zero per l’azienda. Una vera e propria rivoluzione, un progetto sostenuto quasi totalmente dal mondo del lavoro e che il sindacato con difficoltà ha portato avanti, una scommessa per cercare di garantire i livelli occupazionali in un’unica azienda pubblica, nelle more di una progettazione generale del sistema del trasporto pubblico locale, che potrebbe definire nuovi scenari con accorpamenti di aziende con caratteristiche simili, come l’ex EAV BUS, la CTP ed i servizi della provincia di Napoli di SITA, un futuro da progetto: per quello di Torre Annunziata è costruire partendo da un presente che, con previsto lo spostamento in un’area più spa- tutte le sue difficoltà, non avrebbe potuto ziosa, possibilmente da acquistare, situata esistere senza l’accordo del 17 gennaio. Antonio Aiello di fronte all’attuale deposito. Quello di
Ctp: bus pattumiera per un trasporto insalubre Anm: in attesa della fusione, continua lo stato di crisi Pulizie a bordo, un miraggio per tutti in attesa di una soluzione
Dopo il problema assicurazioni, si leva la grave emergenza carburante
Ci risiamo, la condizione dei mezzi pubblici verte in uno stato a dir poco pietoso. Oramai la pulizia, anche quella minima, è qualcosa che appartiene al passato. Siamo tutti d’accordo sul fatto che gran parte della nostra utenza oltre ad usufruire senza titoli del pur precario servizio, non si risparmia nell’insudiciare, devastare ed usare senza scrupoli i bus come dei veri e propri servizi igienici improvvisati. Ma pur restando palese la mancanza assoluta del senso civico, i pullman della CTP restano delle pattumiere e nessuno si preoccupa di ripulirli. Prendiamo ad esempio l’unico posto inaccessibile ai nostri viaggiatori, cioè l’angolo di guida. Sono incalcolabili gli strati di polvere e detriti storici che vi risiedono senza che nessuno abbia la bontà di spazzare via, nel rispetto almeno dell’agente preposto alla guida. Oramai passiamo per retorici, ripetitivi e ridondanti, lo sappiamo c’è la crisi! Ma ci chiediamo anche: è mai possibile che tutti siano bravi a gestire le aziende solo quando ci sono tanti soldi da poter spendere? Una buona dirigenza dovrebbe preoccuparsi di coordinare al meglio anche quando le risorse sono poche, soprattutto quando è sufficiente chiedere agli organi interni di provvedere alla risoluzione di un problema banale come quello delle pulizie all’interno delle vetture.. Purtroppo niente, la mattina è sempre
Che questi andati siano stati forse i giorni più freddi dell'anno in corso ben lo sanno tutti coloro che, in un modo o nell'altro, vuoi per lavoro, vuoi per altre incombenze, sono stati costretti ad affrontarlo tra le vie cittadine. Immaginiamo poi quanto ancor più arduo possa esser stato per tutti resistere, inermi, per ore alle fermate degli autobus negli ultimi giorni dello scorso gennaio, quando le pensiline digitali dell'Azienda Napoletana di Mobilità hanno indicato l'istantanea irregolarità del servizio sull'intera rete e la totale sospensione in zone di massima concentrazione dell'utenza, quali Chiaia, Vomero e Fuorigrotta. Motivo? Serbatoi a secco per indisponibilità di carburante. Per intenderci, sarebbe un po' come avere strutture ospedaliere senza letti e medicinali. A dir poco assurdo. In qualsiasi altro luogo di questo mondo l'imbarazzante accaduto non potrebbe che non vestirsi di triste incredulità, ma non qui, purtroppo, dove lo stato di crisi dell'intero settore trasporti pubblici ha raggiunto picchi tanto esponenziali da divenire quasi parte endemica della quotidianità cittadin a. L ' az i en d a si difende ed il solito ritornello del problema dei tagli governativi e r e g i o n al i viene fuori in via quasi automatica ed i mm ed iata. Niente più soldi, corse ridotte di circa il quaranta per cento, nessun fondo per la manutenzione, le assicurazioni ed infine, come già citato, sentenzioso, il carburante. È triste affermarlo e non è mai piacevole ridursi all'utilizzo di locuzioni metaforiche, ma si è giunti davvero alla frutta. Dei circa seicento autobus che circolavano fino a pochissimi anni fa oggi se ne contano a pieno regime meno di trecentocinquanta, davvero troppo pochi per un servizio di trasporto in grado di garantire
più frequente vedere autisti che pur di lavorare in condizioni di decenza minima spazzano o puliscono il proprio automezzo, e questo perché molti dipendenti delle ditte appaltatrici, per un motivo o per un altro, non prestano più servizio presso l’azienda, mentre quelle che sono rimaste non hanno sufficiente personale per provvedervi ,. Alla fine chi ne fa le spese sono sempre gli stessi, in primis chi deve espletare il servizio, poi chi deve usufruirne per spostarsi da un territorio all’altro, ma alla fine il cerchio si chiude ed a pagare ci siamo tutti. Molti dei mezzi in dotazione alla C T P avrebbero bisogno di una vera e propria disinfestazione generale, perché ci sono spazi dove forse non si è mai provveduto a pulire da quando i mezzi sono stati acquistati. Filtri del sistema di condizionamento saturi di micropolveri , tanto da emanare all’atto dell’accensione della ventilazione odori nauseabondi. I bus quindi versano in uno stato pietoso, basterebbe poco per provvedere a risolvere il problema, prima che ricorrano denunce o filmati che testimonino lo stato di degrado e che sbattano il mostro in prima pagina. E ne parliamo nella sola speranza di scuoter almeno le coscienze di qualche responsabile, affinché provveda a tutelare leggermente quel po’ di salute che ci resta. Vincenzo Pacella
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in via almeno sufficiente il diritto alla mobilità cittadina. Per fortuna, però, sembra che ci siano circa cento milioni in arrivo entro il prossimo mese per salvare l'azienda da questo stato comatoso. Questo, almeno, sembra (doverosamente lo ripetiamo) essere l'impegno che il Comune ha assunto nei confronti dell'Anm per consentirle di andare avanti, saldando i debiti con fornitori ed assicurando ricambi e gasolio, in questi giorni cruciali che anticipano di poco la fase iniziale di c o m p l e ta mento delle operazioni di fusione con Metronapoli, per poi essere controllata da Napolipark, società holding delle partecipate del Comune. Un passo fondamentale che dovrebbe portare a breve termine di certo efficientamento e risparmi significativi, oltre che nuova linfa nel ramo d'azienda targato Anm. Ovviamente, tutto in via teorica. Ai posteri, poi, l'ardua sentenza, sperando che non si ipotizzino ancora manine occulte, ma mani vere e forti per il rilancio di quella che fu un’azienda di trasporti. Roberto Intermoia
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Una super detrazione per l’efficienza energetica
L’utilizzo dei controlli difensivi sul lavoratore
Cosa fare per beneficiare dello sgravio fiscale
Quando occorre l'accordo con il sindacato
Il decreto legge n. 83/2012 ha prorogato fino al 30 giugno 2013 la detrazione fiscale del 55% per le spese sostenute per gli interventi diretti ad aumentare il livello di efficienza energetica degli edifici in possesso. Possono infatti usufruire della detrazione tutti i contribuenti residenti e non residenti, anche se titolari di reddito d’impresa, che possiedono, a qualsiasi titolo, l’immobile oggetto dell’intervento di riqualificazione energetica. Sono ammessi a fruire della detrazione anche i familiari, conviventi con il possessore o detentore dell’immobile sottoposto a ristrutturazione. Gli interventi ammessi all’agevolazione devono però rispondere alle specifiche tecniche riportate nel decreto succitato, e per fruire effettivamente dell'agevolazione fiscale sulle spese energetiche è necessario che il contribuente abbia: l'asseverazione, che consente di dimostrare la conformità degli interventi ai requisiti tecnici richiesti dalla normativa; l'attestato di certificazione o qualificazione energetica, contenente i dati relativi all'efficienza energetica dell'edificio; la scheda informativa relativa agli interventi realizzati. Tutti questi documenti devono essere rilasciati da tecnici abilitati alla progettazione di edifici e impianti nell'ambito delle competenze ad essi attribuite dalla legislazione vigente, iscritti ai rispettivi ordini e collegi professionali. Per fruire dell'agevolazione non occorre inviare alcuna comunicazione preventiva,
ma entro 90 giorni dal termine dei lavori, l'utente deve inviare telematicamente all'Enea la copia dei documenti attraverso il sito www.acs.enea.it, ottenendo ricevuta informatica, oppure a mezzo raccomandata quando la complessità dei lavori eseguiti non trova adeguata descrizione negli schemi resi disponibili sul sito. Solo quando l'utente sarà in possesso della ricevuta, potrà iniziare a detrarre il 55% di quanto speso dalle imposte a suo debito con la dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui ha sostenuto le spese. Pur non essendo stato previsto nessun obbligo informativo preventivo, quando i lavori proseguono oltre un periodo d’imposta è stato comunque previsto l’obbligo in capo al contribuente di inviare una comunicazione all’Agenzia delle Entrate relativa alla permanenza degli interventi oggetto dell’agevolazione fiscale. Attenzione: la detrazione d'imposta non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali previste per i medesimi interventi, come ad esempio con quella relativa alla detrazione riconosciuta per il recupero del patrimonio edilizio. Inoltre, dal 1° luglio 2013 l’agevolazione fiscale del 55% si ridurrà al 36%, stessa percentuale prevista per le spese di ristrutturazioni edilizie, salvo nuove modifiche legislative dirette ad incentivare la riqualificazione energetica degli edifici esistenti. F. D.
Sicurezza negli ambienti di lavoro Il lavoro nuoce alla salute se il lavoratore non è tutelato dall’azienda Circa un terzo della nostra giornata viene trascorsa nei luoghi di lavoro. Ne consegue che le condizioni del posto di lavoro sono un requisito fondamentale per garantire la salute del lavoratore. In qualunque settore lavorativo l'attenzione riversata sulle condizioni del lavoratore è importante per garantire una forza lavoro qualificata e motivata. Questo vale soprattutto nel settore dei trasporti se si pensa a tutti i pendolari ed i viaggiatori che usufruiscono di tale servizio, a partire dagli studenti e i lavoratori pendolari fino ad arrivare ai viaggiatori occasionali. Gestire i luoghi di lavoro in sicurezza consente di ottenere numerosi vantaggi dei quali beneficiano non solo i lavoratori, ma anche i viaggiatori e l'azienda stessa. In primo luogo la sicurezza sul posto di lavoro consente di gestire meglio il personale che risulta più motivato perché si sente tutelato e gratificato. Naturalmente occorre potenziare apparecchiature, garantire una buona manutenzione, aggiornare il personale, ecc. Ne consegue un miglioramento dei servizi, nonché del lavoro in senso lato, con l’inevitabile riduzione del numero di giorni persi a causa di infortuni, o assenteismi dovuti alla demotivazione del lavoratore. In secondo luogo lavorare in sicurezza garantisce il successo dell'azienda perché il clima positivo che si respira diventa il biglietto da visita dell'azienda.
Dal punto di vista psicologico un lavoratore tutelato dall'azienda per la quale lavora ha una marcia in più perché si sente protetto, sicuro. Ciò incide moltissimo sul suo umore ed è garanzia di una buona prestazione lavorativa. Quando un lavoratore eroga la sua prestazione con il sorriso sulle labbra attiva inconsapevolmente un processo psicologico in un'area del cervello deputata al piacere. In altre parole, il lavoratore si percepisce soddisfatto proprio nel momento in cui sta lavorando perché il cervello, attraverso un processo cerebrale definito condizionamento, associa il suo umore positivo a ciò che sta facendo, ovvero lavorare: quindi la persona sviluppa l’auto percezione positiva durante lo svolgimento del proprio lavoro. In un clima del genere, la stanchezza, che è uno dei principali motivi di infortunio sul lavoro, viene prevenuta a vantaggio sia del lavoratore che dell'azienda. Il buon umore in un ambiente di lavoro migliora del 55% circa il servizio fornito dal personale che si relaziona con i passeggeri, secondo quanto risulta da ricerche e indagini nazionali, e del 18% circa la prestazione erogata da autisti di autobus. Questi dati dovrebbero far riflettere sull'importanza della sicurezza lavorativa come garanzia di benessere personale e aziendale. Mara Porcaro
L'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta l’uso degli impianti audiovisivi e delle altre apparecchiature aventi finalità di controllo a distanza dell’attività lavorativa e disciplina le modalità di adozione di impianti ed apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive o dalla sicurezza del lavoro, subordinandola ad un accordo con le Rappresentanze Sindacali Aziendali o a specifiche disposizioni dell’Ispettorato del Lavoro. Con una sentenza del 2002 la Corte di Cassazione aveva, in un primo momento, ritenuto i “controlli difensivi” (ossia quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori che riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro) legittimi in ogni caso, a prescindere, cioè, dal loro grado di invasività. Con una successiva pronuncia, la Corte nel 2010 ha tuttavia superato tale impostazione, affermando che anche il c o n tr o l l o difensivo r i c h i e de il vaglio d e l l a procedura contrattuale con le organizzazioni sindacali o autorizzativa dell'Ispettorato del Lavoro, essendo “un controllo c.d. preterintenzionale che rientra nella previsione del divieto flessibile di cui all’articolo 4 comma secondo”. Tale nuovo orientamento è stato da ultimo confermato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia 1° ottobre 2012, n. 16622, la quale ha affermato che non rientra peraltro nel campo di applicazione dell’articolo 4 il controllo posto in essere dal datore di lavoro sulle strutture informatiche aziendali, qualora l’attività di controllo prescinda
dalla sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti e sia, invece, unicamente diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti dagli stessi posti in essere. In definitiva, alla luce del quadro giurisprudenziale citato, è prospettabile quanto segue: nel caso in cui il controllo del datore di lavoro avvenga in forma occulta e non sia cioè rilevabile dal lavoratore, avente unicamente ad oggetto l’attività lavorativa, la procedura sarebbe vietata dal primo comma dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori; nella ipotesi in cui la procedura di controllo abbia tra i propri fini quello primario di prevenire e/o proteggere la sicurezza dell'azienda, delle sue informazioni e , soltanto in via secondaria e sussidiaria quello di consentire pure il controllo della prestazione lavorativa che potrebbe essere consentito, ma nel rispetto delle modalità previste dal secondo comma dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (cioè con un accordo c o n l e R.S.A. o specifiche disposiz i o n i dell’Ispettorato del Lavoro). La procedura di controllo potrebbe essere invece legittima e non rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 dello Statuto qualora non riguardi invece in alcun modo l'attività lavorativa ma sia unicamente diretta ad accertare, seppur in modo occulto, eventuali condotte illecite del lavoratore e, in particolare, risulti indispensabile per la tutela del patrimonio aziendale. avv. Antonietta Minichino
Napoli, quante sfumature di grigio... Una squadra incolore prima della resa dei conti Da quel triplice fischio di sabato sera all'Olimpico, che sanciva la sconfitta della Vecchia Signora, non abbiamo fatto altro che agognare una domenica perfetta. Una di quelle intrise di colore, che soltanto qui si possono vivere. Ma la realtà, purtroppo, ancora una volta ci rammenta che non collima con la fantasia. Ed il grigio europeo che sembrava potersi annichilire al cospetto degli spalti nuovamente gremiti e di quel bagliore di sole che dal cielo terso donava quasi vita al rettangolo verde, pur in non perfette condizioni, si è invece protratto con cinismo fino al sogno tricolore, sempre più improbabile dopo il pari interno contro una più che mediocre Sampdoria. Certo, le pallide sfumature sportive quasi sembrano brillare se rapportate al buio totale del minuto di cordoglio per la scomparsa prematura dell'amico Imbriani, ma fatto sta che i successivi novanta mai sono riusciti a scrollarsi la mesta oscurità che dalle sberle di coppa continua ad aleggiare sull'undici biancoazzurro al pari di una maledizione. Vada pure per la figuraccia internazionale, anche se duole e non poco, ma l'assenza di attributi nel momento topico di una stagione davvero alla portata è sentenziosamente imperdonabile. Siamo
un popolo di cuore, propenso al perdono, ed è affar certo che un sol colpo di genio o fortuna che sia sarebbe bastato (ed avanzato anche) per dimenticare il nuovo scenario a tinte chiaro-scure. Ma della domenica perfetta nessuna traccia, nessun colore se non la sola pennellata biondo platino targata 85, davvero degna di menzione. Per il resto, grigio totale. Grigia la prestazione collettiva, grigio il gioco ed i lampi dei singoli. Grigio il centrocampo, l'apporto della panchina e lo smalto di chi tre giornate senza gol le fa apparire ormai quasi un'eternità. Ancor più grigio, infine, il risultato e quel “meno due” dall'odiata capolista non concretizzato ad un respiro appena dalla resa dei conti che poteva dire realmente sorpasso e molto di più per una città intera. Guardando il calendario, con l'insidiosa trasferta di Udine per noi e la loro sfida interna con il Siena, di certo non accadrà. Ma non è questo che davvero ci preme oggi. Al di là di numeri, reti e vittorie, ciò che davvero auspichiamo ritorni all'istante è tutto quel colore che contraddistingue le nostre domeniche. Anche perché di tutto questo grigio, qui a Napoli, davvero non sappiamo cosa farcene. R. I.
ANNO 5, NUMERO 2
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Dreaming Australia: vivere l’estate a 16.000 chilometri di distanza Tra metropoli smisurate ed isole incontaminate, un affascinante viaggio alla scoperta del sud del Paese Nel freddo delle nostre case è facile abbandonarsi a sogni di fughe alla ricerca di un relax che l’anno appena iniziato, con le festività ormai alle spalle, non può più prometterci. A migliaia di chilometri dal nostro inverno, in Australia vivono le loro vacanze estive ed il sole illumina prepotentemente le seducenti baie dei territori del Sud. Un viaggio in queste regioni regala emozioni uniche, soprattutto a noi europei abituati a paesaggi e stili di vita completamente diversi. Il territorio australiano meridionale si offre ad appassionanti traversate in auto, da una punta all’altra della nazione, e tra le tappe consigliate è possibile elencare Perth, Adelaide, Melbourne ed ovviamente Sydney. Perth è tra le città più vivibili al mondo, dominata dal verde e da spiagge sconfinate e punto di riferimento per indimenticabili escursioni, come l’impressionante deserto dei Pinnacoli e Monkey Mia, una baia in cui è possibile nuotare fianco a fianco con i delfini. Adelaide, elegante capitale dell’Australia Merdionale, offre indimenticabili passeggiate lungo i mari del golfo di San Vincenzo ed è tappa obbligatoria per chi volesse affrontare la “wildlife” di Kangaroo Island. Quest’isola offre la piena consapevolezza di come la natura sia la vera regina dell’Au-
stralia e guidare tra le deserte ed inconta- delle boutique, una città sempre in movi- del mare rende ancora più magici i simboli minate strade di questa terra regalerà ri- mento ed a servizio del turista. Il nostro di questa città, a cominciare dalle candide cordi memorabili ed i racconti di viaggio viaggio si conclude nella città simbolo del vele dell’Opera House, per finire alle onde cavalcate dai surfisti delle affollate spiagge di Bondi e Manly. Sydney si offre ai turisti in tutte le sue sfaccettature, figlia di una società multirazziale capace di perfetta integrazione. Le passeggiate tra i quartieri simbolo, come The Rocks e Circular Quay, e le cene sul lungomare e la romantica Darling Harbour, magari accompagnate dai famosi vini australiani, regaleranno emozioni autentiche ed indelebili. L’Australia è una terra lontana, non solo in termini chilometrici. Tutto ciò che a noi sembra quotidiano, traffico, smog, disoccupazione, arroganza, lì sembra essere sconosciuto e questo si riflette sul modo di affrontare la vita. Saremo sempre accolti da un sorriso perché lì turista è una risorsa preziosa. Anche se quello che colpisce di più è il modo in cui la natura si impone su questa terra; non sarà improbabile vedersi attraversare la strada da un cammello e dover scansare un echidna (buffo riccio australiano) mentre guidiamo. Tra canguri, koala, leoni marini, pellicani ed otarie in piena libertà, saremo noi a sentirci più emozionanti. Seguendo le curve mozza- paese: Sydney. Questa metropoli, domina- ospiti, razza curiosa abituata a vivere in fiato della Great Ocean Road si raggiunge ta dalle baie più scenografiche del mondo, enormi zoo di cemento. U. E. Melbourne, la capitale dello shopping e offre panorami e scorci esaltanti. L’azzurro
Maratona di Napoli 2013: una città che non va… di corsa!
Anni ’90: ritorna l’elettronica
Atleti delusi dall’accoglienza, amministrazione distratta da altro
Il Rock tra il Dub e la Techno Music!
Domenica 27 gennaio si è svolta la XVI edizione della Napolicitymarathon, gara podistica internazionale sulle distanze di 21 km per la mezza maratona e di 42 km per la prova regina, la maratona; prevista inoltre anche una staffetta a quattro frazioni sui 42,195 km della distanza olimpica. Percorso duro e nervoso con tanti saliscendi che si è sviluppato, nella prima parte, attraverso le vie del centro storico per estendersi attraverso tre passaggi per il lungomare Caracciolo, verso la zona flegrea. Da qui dopo un suggestivo circuito all’interno della Mostra d’Oltremare e vari passaggi lungo le strade dei quartieri Fuorigrotta e Bagnoli, ci si è diretti di nuovo sul lungomare per poi concludere la fatica nella splendida Piazza del Plebiscito. Al di là dell’aspetto meramente agonistico, ciò che ha contraddistinto – purtroppo in negativo – la manifestazione, è stata l’assoluta disorganizzazione che l’ha caratterizzata. I circa duemila corridori hanno dovuto infatti scontrarsi con difficoltà di ogni genere, organizzative, logistiche e ambientali. Complice un esiguo numero di VV. UU. messi a disposizione dal Comune, il tracciato della corsa è stato scarsamente presidiato e, cosa ancor più grave, transennato e delimitato, tanto che per lunghi tratti della gara i concorrenti hanno corso tra pedoni poco rispettosi che attraversavano incuranti il tracciato, motorini e auto che, in barba persino al blocco della circolazione veicolare, maramaldeggiavano impuniti. Ma il paradosso si è verificato in coincidenza dell’ultimo passaggio della maratona sul lungomare, quando i corridori giunti ben oltre il 35° km e con le forze ormai ridotte al lumicino, hanno dovuto fare i conti con lo struscio domenicale. Una folla brulicante, complice anche la bella giornata, aveva infatti preso possesso dell’ampia sede stradale tanto che ‘e poveri scieme – questo l’appellativo più gentile che è stato rivolto agli atleti –
hanno dovuto dribblare carrozzini, vecchietti, palloni, cani al guinzaglio e non e ogni sorta di ostacolo: indecente! Una città che non ha alcuna cultura sportiva e rispetto dei diritti di chicchessia, anche dei poveri scieme. Poco hanno potuto i volontari dell’organizzazione e quelli della Protezione Civile anch’essi travolti e ingiuriati ma, come accennato in precedenza, lo scandalo vero è stata la totale e colpevole assenza del Comune che si è trincerato dietro la mancanza di VV UU (140 contro i 330 garantiti lo scorso anno quando le cose andarono decisamente meglio) che hanno manifestato il proprio dissenso per i tagli agli stipendi, non garantendo, in vario modo, la presenza in strada, tanto che il Questore ha dovuto far intervenire i propri uomini per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico. A questo punto sorge legittimo il dubbio che non trattandosi della Coppa America o della modaiola Coppa Davis, al sindaco De Magistris una gara podistica come questa non interessi per niente. Sfugge però al nostro Primo Cittadino, che manifestazioni del genere – noi giriamo l’Italia e il mondo per partecipare alle maratone – veicolano, se organizzate degnamente, interesse, visibilità e non ultimo un indotto derivante dal turismo, per nulla trascurabile. Basti pensare ai 7.000 partecipanti di Firenze, ai 12.000 di Roma, ai 7.000 di Venezia senza spingerci ai 45.000 di New York piuttosto che ai 30.000 di Londra e così via, che spesso sono accompagnati da parenti ed amici che hanno bisogno di pernottare, mangiare, divertirsi eccetera eccetera, eccetera. Quindi Signor Sindaco, Staff della Napolimarathon non trascurate quest’evento e cercate di farlo crescere organizzandolo degnamente, facendolo divenire appetibile all’esterno e sensibilizzando i nostri concittadini. Gianni Biccari
Negli anni ’90, mentre il Rock stava vivendo una seconda vita, grazie alla nascita del Grunge, la parte più “artificiale” della musica non stava a guardare. Infatti, durante la metà degli anni ’90, esplosero diversi generi musicali suonati completamente da strumenti elettronici. Ma questi, non avevano niente a che fare sia con l’elettronica suonata negli anni ’70, quella d’ambiente o sperimentale, sia con quella con cui i deejay facevano ballare i giovani di tutto il mondo, cioè la Disco music. Si parte dalla musica “Drum’n’bass”, ovvero “Batteria & Basso”, genere nato in Gran Bretagna, che in breve tempo si sviluppò in tutto il vecchio Continente. Il basso, è l’elemento caratterizzante della musica del periodo, tanto forte da farlo entrare intensamente nei corpi di chi lo ascolta e lo balla. I brani “drum’n’bass” prevalentemente non sono cantati, ma rappati. Stella del genere fu il Djattore Goldie, inglese. Contemporaneamente, sempre in Inghilterra, si afferma un genere meno famoso del “d’n’b” il “Jungle”, un tipo di musica con ritmiche altissime, con una forte presenza di bassi. Meno noti gli artisti che suonavano questo tipo di musica. L’unico grosso artista che si fece catturare dal “Jungle”, anche se per un solo album, fu David Bowie con l’album “Earthling”. L’album fu il disco meno venduto in tutta la carriera dell’artista inglese. Ci fu un interesse maggiore invece verso il “Dub”, che tradotto significa “doppiare”,
ovvero “dubbing instrumental”: nacque come musica di lato “B” dei vecchi 45 giri Reggae. In effetti una versione strumentale dei lati “A” dei singoli della musica giamaicana. Negli anni ’90 invece, diventò un vero e proprio stile musicale. I più noti artisti del Dub sono stati i Massive Attack e Bill Frisell. Infine, il genere più diffuso nell’ambito della Electronic-Music fu la “Techno”, termine abbreviato di Tehnologic. Nata in contemporanea negli Usa ed in Germania negli anni ’80. Allora fu accolta con diffidenza. Ma negli anni ’90, la Techno fu considerata dalla critica specializzata positivamente. A differenza dell’House Music, la Techno si avvicina più ad una cultura Rock che Disco. Basta ascoltare i dischi usciti negli anni ’90 dei Chemical Brothers , Daft Punk, ed Underworld per farsi un’idea. Questi gruppi diventarono la colonna sonora quotidiana delle giovani generazioni europee di quell’epoca, la cosiddetta AcidGeneration, rappresentata dal filmmanifesto Trainspotting. Non solo musica ma anche ecstasy. La Techno raggiunse l’apice della creatività verso la fine degli anni’90 con la band inglese “The Prodigy”. Infatti, dopo 2 album Techno-Rave, la band pubblicò l’album “The Fat of the Land”. Un cocktail di Techno, Rap e Rock. Un album capolavoro, grazie anche ai videoclips, tra l’altro censurati, cui riscosse un successo planetario. Rosario Mammola
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Mamma, quanti “isti”
Le sigarette elettroniche, un futuro incerto Tra i dubbi sugli effetti della salute, c’è chi intanto specula
Di questi tempi si trova di tutto, alludo al materiale umano in circolazione e in particolare a tutte quelle situazioni in cui si deve prendere una decisione collettiva. Per arrivare a questo, lo sanno tutti, è necessario che ci sia un momento di confronto, non importa il numero degli interessati, quel che conta è la possibilità di dire la “propria”ad ogni soggetto presente. Come vanno queste cose lo si sa, sia essa una riunione di condominio, oppure una convocazione in ufficio sul da farsi, un’assemblea sindacale, o politica, partitica o di sacrestia. Tutte quelle occasioni in cui si radunano più persone, con le necessità di prenotare posizione, su un argomento che fissi il presente con la probabilità di incidere sul futuro. Di solito, in questi consessi non la si pensa tutti allo stesso modo. Magari dopo ore di concitati ragionamenti, ponderate riflessioni, inviti alla moderazione, con inutili tentativi volti ad afferrare l’arte divinatoria, non si trova una posizione univoca. A quel punto grazie alla stanchezza ed all’esaurirsi delle risorse nervose, si formano dei gruppi di pensiero, i quali condividono almeno parzialmente la stessa logica. I gruppi si assemblano e si scindono, allungando ulteriormente i tempi perché possa formarsi una maggioranza legittimata a decidere. Il tempo ulteriore affinché ciò avvenga incide pesantemente sulle corde nervose e sulle leve della stanchezza di tutti. Si diventa insofferenti. Nonostante il travaglio vissuto non sempre la parte legittimata a decidere è cosi ampia da poter procedere speditamente. Anche per il semplice motivo che le maggioranze espresse sono frutto di tangenti assunte dai singoli pur di andar via, ormai stroncati da tanto argomentare, sfibrati, vogliono solo allontanarsi, respirare, fuggire. Ed ecco che maggioranze “risibili”, non solo per numero ma spesso anche per contenuti, pur di “liberare” dall’impiccio utilizzano in maniera leggera e disinvolta una micidiale raffica di “…ista”. I non del tutto convinti della decisione paventata si vedono bersagliare da termini lanciati come coltelli e di volta in volta si sentono dare del “qualunqu-ista” o del “massimal-ista”. Sempre più in alto nella graduatoria dell’insulto politicamente corretto segue lo “sfasc-ista”, al top invece dell’insulto civile si contendono il primo posto i due termini che lasciano indelebile tracce sanguinose come “fasc-ista” e “comun-ista”. Pensandoci bene, quanti “ista” ci sono in giro! Sarebbe meraviglioso poterli sostituire con “intelligen-za”, “lungimiran-za”, “giusti-zia” magari anche in “equità” e, visto che ci siamo, in “solidarietà”. Scusatemi sono un inguaribile ottimista. Vi saluto e sono l’Autoferroagricolo
Let's do it Italy al Parco Nazionale Vesuvio L’appuntamento è previsto in primavera per ripulire il vulcano simbolo d’Italia Cosa intendiamo quando si parla di rete? Sono tante le accezioni che possiamo donare a questa parola e sono tanti gli ambiti nei quali è presente; ci sono le reti telefoniche, quelle per pescare e perché no quelle nelle quali fare goal. Nonostante gli ambiti diversi, il concetto di rete è accomunato dalla stessa essenza, ovvero quella del collegamento. E se associassimo il concetto di rete a quello di società? Una società è pur sempre una rete fatta di persone che si uniscono, magari per raggiungere un obiettivo o un bene comune, come ad esempio l’ambiente. E proprio partendo da questo concetto che nasce il movim e n t o “Let’s do it Italy”, la versione italiana di un progetto ancora più ampio denominato ” Let’s do it world ”. Un’organizzazione nata in Estonia nel 2008 con l’intento di realizzare un progetto molto ambizioso: ripulire il proprio paese in un solo giorno. 50.000 persone in sole cinque ore liberarono allora le strade, le città e le foreste da 10.000 tonnellate di rifiuti illegali. Da quel momento in poi prese vita la missione di Let’s do it! Ha viaggiato prima in tutta l’Europa, poi in tutto il mondo: ad oggi in circa novanta paesi è presente una delegazione che tenta di condividere il messaggio ed i valori che sono alla base di questo progetto. Per questo motivo, ogni anno, in ogni paese viene organizza-
to un gran Clean Up Day in cui, con l’aiuto di tutte le forze raccolte, si tenta di riportare all’attenzione di tutti l’importanza della salvaguardia di un luogo simbolo di ciò che si intende come Bene Comune. Il fine di questo innovativo progetto è quello di lavorare in modo da diffondere nella cultura dei cittadini un nuovo modo di pensare la produzione, l’uso e lo smaltimento delle risorse, nell’ottica della riduzione dei rifiuti, del riuso dei prodotti, del riciclaggio dei materiali e della riprogettazione delle dinamiche di produzione dei beni di consumo. Insomma un’iniziativa che uni sce davvero tutti per il perseguim e n t o d e g l i ob i e ttiv i comuni. “Let's Do It Italy” per il 2013 vuole ricominciare proprio dal Vesuvio, dal vulcano simbolo dello Stivale, in quello che chiamano Parco Nazionale, un'area che dovrebbe essere protetta ma che invece giace abbandonata completamente dalle istituzioni, soccombendo mestamente lo sversamento di ogni genere di rifiuto: littering, rifiuti ingombranti, sostanze speciali ed anche altamente tossiche. Allora Let’s do it Vesuvius! L'adunata è prevista in primavera, ma già sono tante le persone che fanno parte di questa rete, tutte collegate ed accomunate dallo stesso scopo. La bonifica del Parco Nazionale del Vesuvio. Martina Mignano
La parte del leone nel mercato del fumo ancora la fa la sigaretta tradizionale, sebbene noti sono gli effetti nocivi alla salute e le pesanti accise imposte dallo Stato sulle intramontabili bionde, in grado di garantire un entrata erariale stimata intorno ai 12 miliardi di euro l'anno. Una cifra considerevole ma comunque minore di quella che lo Stato stesso spende per curare le patologie derivanti dal fumo. I fumatori lo sanno e forse anche per questo stanno migrando verso le sigarette elettroniche che consentono di inalare un mix di sostanze vaporizzate sulla cui pericolosità le autorità sanitarie nazionali non hanno ancora preso una posizione definitiva. Di certo è che in Italia il mercato delle sigarette elettroniche cresce velocemente, per un giro d'affari stimato intorno ai 90 milioni di euro all'anno per circa 400 mila consumatori , che nel giro di poco tempo potrebbero addirittura triplicare. Una previsione stup ef acen te che ha spinto all’apertura di migliaia di negozi specializzati spuntati come funghi negli ultimi mesi e all’invasione nel mercato di decine di marchi, più o meno sconosciuti, in grado di offrire sigarette elettroniche a qualunque tipologia di consumatore. L’alternativa alla sigaretta è quindi un dispositivo che grazie ad una batteria ricaricabile, in grado di produrre vapore, consente di provare un sapore ed una sensa-
zione simile a quella provata inalando il fumo del tabacco di una tradizionale sigaretta. Non essendovi combustione, però, il rischio cancerogeno è teoricamente più basso per la mancanza dei residui dovuti a questo processo. Ma al momento, vista la recente affermazione sul mercato di questo prodotto, non esistono grossi studi che descrivono potenziali effetti tossici derivati dall'inalazione delle sostanze contenute nelle sigarette elettroniche, anche se i principali dubbi sulla sicurezza di questi articoli nascono proprio dalle tracce di nicotina presenti nelle ricariche. Le associazioni dei consumatori, intanto, chiedono una regolam e n tazio n e del settore con gli stessi limiti imposti alle industrie del tabacco, in quanto la sigaretta elettronica, priva di studi certi, potrebbe addirittura rivelarsi dannosa alla pari della sigaretta tradizionale. Che l'affare sia ghiotto lo dimostrano gli ingenti investimenti che le multinazionali del tabacco stanno effettuando nella produzione di questi nuovi prodotti, fin dalle origini osteggiati perché considerati pericolosi per i profitti economici più che per la salute. Infatti, non dimentichiamoci che un altro target di mercato è rappresentato dai soggetti che hanno intenzione di smettere di fumare, soprattutto con l’accentuarsi della crisi e la diminuzione reale del reddito procapite. F. D.
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