Arskey Magazine 4

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AL MUSEO

arskey/al Museo | Palazzo delle Esposizioni

Aleksandr Rodčenko, “Knigi” (Libri), pubblicità della Casa Editrice di Stato, 1925 © A. Rodčenko - V. Stepanova Archive © Moscow House of Photography Museum

inevitabilmente accompagna l’apprendimento in quella fase della vita. Quella foto riproduce, intimamente, la tenera determinazione e la forza spirituale che disegnano il carattere di quella donna anziana. Ispirandosi allo stile costruttivista Rodčenko prediligeva le inquadrature dal basso e dall’alto per descrivere lo spazio urbano e la vita che in esso si svolgeva. Ne è espressione emblematica e formalmente asettica, e proprio per questo incredibilmente compiuta e autosufficiente, la prospettiva di “Gradinata”, del 1930. Allo stesso tempo aveva una drammatica e ironica consapevolezza dell’effimerità della vita. Ecco allora le rappresentazioni del circo e del teatro concentrate negli anni Quaranta quando era già stato redarguito dal regime -, clown goffamente sorridenti e calvi come lui, quasi ironici autoritratti, attori di una dimensione in cui l’immaginazione muoveva dal parterre l’obiettivo dell’inseparabile Leica, con un’ottica a fuoco morbido thambar (a focus lungo, con la possibilità di produrre immagini ‘velate’ ed evanescenti giochi di luce). Giocolieri, acrobati e funamboli appaiono sfocati e avvolti da eterei aloni, vivificati dalla precisione formale desunta dal costruttivi-

smo, e dal romanticismo, uniti a comporre la magica e impalpabile architettura di quelle immagini. Aperto a tutte le novità offerte dalla tecnologia - il suo amico e collega Boris Ignatovič lo chiamava “l’esploratore del futuro” - Rodčenko fu molto colpito anche dalle possibilità offerte dal colore. Si ispirò così alla frammentazione delle superfici colorate degli impressionisti francesi, servendosi della fotografia come mezzo meccanico da contrapporre alla mano dell’artista, con altrettanta arte, pregnanza concettuale e apporto poetico. Negli anni Trenta le restrizioni imposte dal regime staliniano si fecero incalzanti. Ci fu chi, come Majakovskij, si sparò un colpo al cuore - era l’aprile del 1930 - e chi, come Malevič, accettò il compromesso per continuare a creare le forme pure della propria pittura, seppur indirizzandola verso rappresentazioni figurative. A Rodčenko, personaggio ormai ‘troppo pubblico’, il regime inflisse amarezze e delusioni, fino a condurlo a riconsiderare formalmente gli aspetti più radicali del proprio pensiero creativo e ad abbandonare la fotografia. Ma non abbandonò mai la sua Leica, dalla quale si separò solo alla morte, nel dicembre del 1956.

“Mi piacerebbe fare fotografie incredibili, che nessuno ha mai fatto prima, immagini della vita stessa, assolutamente reali, capaci di stupire e travolgere”, scriveva Rodča nel suo diario, nel 1934. Il patrimonio delle immagini di Rodčenko è confluito nella House of Photography of Moscow, diretto da Olga Sviblova, che insieme ai famigliari ha promosso una significativa campagna di studi, di cui questa mostra può considerarsi uno dei risultati. Organizzata con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Ministero della Cultura della Federazione Russa, promossa da Roma Capitale - Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico, Azienda Speciale Palaexpo, Fondazione Roma, in collaborazione con Moscow House of Photography Museum e 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE. Merita di essere sottolineato l’allestimento curato da Lucio Turchetta, che, con la messa in opera di separé rosso lacca disposti in posizione incrociata, ha saputo creare una dimensione rigorosa e cristallina, tipicamente costruttivista, una splendida architettura a sostegno delle immagini fotografiche in bianco e nero.


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