Argo XVI / ID La Materia che amava chiamarsi umana

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il corpo in primo piano

luce e dignità per il fotografo Eikoh Hosoe di Daniela Shalom Vagata

Prima c’era la donna e dalla donna Dio trasse una costola e formò l’uomo. Poi la donna disse: questa volta sì, l’uomo è ossa delle mie ossa, e carne della mia carne. Sarà chiamato dalla donna, perché fu tratto dalla donna. Nella successione delle fotografie di Otoko to onna (Man and Woman), l’album degli esordi di Eikoh Hosoe, prima compare la donna, poi l’uomo. In calce la traduzione letterale del versetto della Genesi, 2: 23. Hosoe mi ha chiesto perché nella Bibbia Eva sia stata creata da una costola di Adamo. Non ho saputo rispondergli. Otoko to onna è l’album che ha fatto conoscere Hosoe al grande pubblico, risale al 1961 e mette insieme una serie breve di fotografie in bianco e nero: contrasti forti e grani grandi. Tra il bianco e nero delle immagini, versi di Taro Yamamoto e pagine e spazi ritagliati in giallo e bordeaux. Otoko to onna è un libro di fotografie di corpi nudi o appena vestiti che giocano, si desiderano, si accostano e si separano. Corpi viventi che amano: corpi sensuali. Sono ballerini e ballerine, e attori di teatro. Le fotografie compongono un’immaginaria trama narrativa e intrecciano le differenze tra la donna e l’uomo, la fragilità e la forza, l’abbandono passivo e il gesto attivo, senza violenza, seppure il magnetismo degli scatti trasporti nell’immaginario di una violazione, l’erotismo. Embrace, invece, l’altro lavoro di Hosoe sul quale si concentra questa intervista, è il suo terzo libro fotografico. Ancora il contrasto tra la carne bianca e brillante della donna e quella nera e muscolosa dell’uomo, ma verso l’astrazione, ossia verso l’idea originaria della differenza tra i sessi. Profili che s’intrecciano e s’incontrano, linee che s’intersecano e creano immagini di pure forme fisiche. Le differenze tra l’uomo e la donna si traducono in spazi vuoti e pieni, concavi e convessi, nelle vene sporgenti di lui e nelle curve dolci di lei. Tutte le immagini sono attraversate da un forte desiderio e da una tensione, dal pathos scrive Mishima, ricordando nell’introduzione di Embrace che il corpo umano, sempre proteso agli altri, irrimediabilmente ne rimane separato. Seppure l’obbiettivo tagli il corpo in frammenti ed escluda il volto, l’uomo e la donna sono lì, sulla pagina bianca, a ricordarci la loro integrità fisica. Privi di volto, quei corpi appartengono a ognuno di noi, sono ognuno di noi. Otoko to onna e Embrace sono legati: più chiaramente degli altri album essi mo-


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