Argo XV / Oscenità

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giorni lo tieni e ti sposti fin dove devi arrivare. Poi lo butti, è l’unico modo per rimanere in Italia [...]» «Ma cosa succede se la polizia ti scopre?» «No, è difficile che ti scoprano. L’importante è fare come mio cugino. Andare a casa subito dopo il lavoro, non rimanere in giro fino a tardi la sera. E non frequentare altri immigrati»6. Di fatto, opera solo il buon controllo su Bilal e sui suoi compagni, per inserirli efficacemente nel circuito di sfruttamento, per farne delle vite-ombra utili economicamente, e degli spettri minacciosi, utili politicamente. Nel viaggio si sovrappongono diversi livelli di violenza, che tessono la realtà complessa della migrazione: la violenza brutale dei manganelli militari nel deserto nigerino e in Libia dove gli stranieri vivono nascosti come esseri braccati, e che certe notti si materializza anche a Lampedusa; la violenza sociale che rende impossibile l’esistenza quotidiana e che ossessiona alla partenza in Marocco o in Mali, ma che forgia anche la vita dei raccoglitori di pomodori. La violenza della guerra che ci ricorda un autista del deserto sopravvissuto al genocidio in Darfur. E poi la violenza specifica delle nostre democrazie, una violenza bianca, meno spettacolare: la gestione segreta, i centri chiusi ed isolati, una esclusione orchestrata attraverso leggi sicuritarie e molto silenzio. Ma quello che abbiamo chiamato viaggio è in effetti una deambulazione fatta di un’infinità di andate e ritorni, nella quale uomini e donne sono paradossalmente rinchiusi. Il paradosso è che questi viaggiatori non sono liberi di circolare e questa non-libertà si traduce in una circolazione senza fine. Testimoni di questa condizione che separa i due mondi, i fratelli liberiani, di cui Gatti incrocia il cammino, si trasformano in spettri elettronici: la loro realtà è ridotta al formato irregolare ed ellittico, anonimo e familiare, delle e-mail che si spediscono, restano presi in un altrove assurdo. Come dice il filosofo sloveno Žižek,«they dwell in a psychotic outside»7. Il libro si chiude con un ritorno nel deserto, nel tentativo di ritrovare le traiettorie percorse e perse. In questo prologo amaro e brusco del ritorno, l’autore tace e lascia parlare una realtà difficile da contemplare. Una realtà che, ben oltre l’indignazione, ci mette di fronte ad una questione di speranza e di disperazione, là dove prende forma la politica come impegno, nella misura in cui implica un’idea di umano. Parlando dell’eroismo dei clandestini, descrivi persone che mettono in gioco la loro vita non secondo una logica di sopravvivenza, come per la categoria 6  Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini, 2008, p. 377 7  Trad. it: «Abitano in un al di fuori psicotico»: Žižek, S.,From Politics to Biopolitics . . . and Back, South Atlantic Quarterly. Vol. 103, No. 3, 2004, p. 514.

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