Gruppo Editoriale D and M III-VII-MMXIII
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a Franceensc Arg tati esentare pr di to lie è M d an D e al Il Gruppo Editori rivista lla de io gg sa as un , ta is M a m l’anteprima di Ani te e interis rv te in lie og cc ra se fa a im che in questa pr importanti e ar al gn se a e tr ol , ri to au venti dei nostri sile, che en m Il e. on zi za iz al re a m si iniziative di pros prossimae e in az ag m eb w e m co sarà disponibile ra naziotu ra ti a ea ac rt ca ne io rs ve mente anche in cchiudere ra e re lie og cc ra di to en nt l’i nale, nasce con spazio a re da r pe i, nt re ffe di a st vi pareri e punti di a specifica un e ar os sp a nz se , ro ie ns diversi fili di pe teoria o posizione. tura eterona la e rn ca di in a a st i, tt fa Il suo nome, in opinioni di ix m un da a st po m co a, genea, variegat llecitare il so r pe , ro lo a tr o st ra nt co anche in netto r dar spape o tt tu at pr so a m , ne io ss fle confronto e la ri ne questo po si ta is M a m ni A i. tt tu zio alla voce di logiche in di a di pe lo ic nc ’e un re se es obiettivo: vuole ronto. “La nf co a ee id di ile rt fe o en rr contrasto, un te iamo farne ss po n no i no a m , te is es a realtà oggettiv e possiamo ch llo ue Q . n) an hm Lu s la ik esperienza” (N , ascoltanva ti et gg so tà al re ra st no la e fare è esprimer i altri. gl de la el qu po em nt co al o do e rispettand
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Sara Bindelli
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Silviai Baldin
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Mariali Pipo
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Wilsollin Santine
Tommaso Occhiogrosso e le verità nascoste
Maurizio Donte e i suoi canti leggendari
Le parole di Michele, un successo preannunciato
20 eventi dal 20: raduno di cultura a Cartoceto
Alessia Pisiconi, giù la maschera
Qui, dove cammina la solidarietà: l’antologia in memoria di Sara
Il nuovo romanzo di Sara Cerri: un libro, una danza
Emilio rega, un aforista di successo
Elvira Tonelli e il coraggio delle donne
Poesia e fotografia: Alberto Bonomo le ha racchiuse nel suo ultimo lavoro
La “vera” magia di Susanna Tagliaferro
La natura secondo Mario Cipollone
L’insegnamento di Giuseppe Frassinelli
Lucia Collo e il lavoro precario
L’amore passionale di Giorgio Torzini
I mille volti di Evelyn Storm
La luce e il buio di Elisabetta Bagli
Gianluca Frangella e la sua talpina
Andrea Leonelli: il nuovo simbolismo
Francesca Marano: la Fata Cantastorie
Il resoconto esistenziale di Oliviero Angelo Fuina
La maestra Rita e la bottega dei sogni
Le parole evocative di Sebastiano Impalà
A cura di Francesca Argentati
Vi presentiamo Tommaso Occhiogrosso, uno degli autori più affermati di ArteMuse Editrice. Il suo stile ricercato e l’onestà della sua scrittura, la capacità interpretativa priva di prova empirica, la ricerca costante di ciò che si cela al di là della superficie, fanno dei suoi scritti veri e propri capolavori in grado di spogliare l’animo umano e di conquistare anche il più scettico dei lettori. Tommaso, sei tra gli autori “deluxe” della casa editrice ArteMuse. Presentati ai nostri lettori e parlaci di te. Riassumere in poche righe “vita, opere e omissioni” genera sempre un grande imbarazzo per me e dunque, inizio da quest’aspetto: di natura sono una persona introversa, timida e schiva ai complimenti. Coltivo con passione e testardaggine un “vizio”, quale la scrittura, come vera compagna di vita, sin da quando sono stato capace di reggere una penna in mano. Gli studi classici e l’intensa attività teatrale in una compagnia locale hanno favorito la curiosità di cimentarmi nella stesura di storie che col tempo sono divenu6
te una vera e propria terapia personale, dal momento che solo attraverso esse, riesco a esprimere appieno emozioni e sentimenti. Quanto sia “deluxe” non spetta certo a me dirlo e, in fondo, ha poca rilevanza: trovo gratificante la condivisione, sapere cioè che in una stanza lontana da casa mia, anche un solo lettore, trae giovamento e spunti di riflessione leggendo qualche riga delle mie pagine. Sei comunque fra gli scrittori di punta della casa editrice, è un dato di fatto. Cosa ti ha portato a questo risultato? Questo bisognerebbe chiederlo ai lettori. In
realtà, credo che ogni autore debba dedicarsi a una fetta precisa di utenti, individuare un proprio percorso, scavare con decisione per affermarsi con uno stile determinato, per essere una vera novità, per essere unico insomma. Per ArteMuse hai pubblicato i racconti Matrioske, Come una cosa e l’altra e L’abito non fa il morto, e il romanzo Metà carne, metà ricordo. A quale di questi lavori sei più legato? Questa è facile! Metà carne, metà ricordo. Di cosa parla? È la storia di un personaggio insolito, Hektor, un artista che produce candele in una bottega nella quale si avvicendano storie e anime provate. La vita stessa di Hektor è una prova: è un borderline, orfano, cresciuto grazie alle cure dei nonni materni. Con la sua arte, Hektor vuol lasciare un segno anche sui suoi clienti, non solo sulle candele, per conoscere il buio, per illuminare anche quegli aspetti della vita poco gratificanti. È un percorso attraverso il quale lo stesso protagonista giungerà a illuminare la sua verità, quella che l’ha reso orfano non solo di una famiglia, ma di un luogo sicuro nel quale non aver paura delle paure stesse. Il finale… non lo racconto: è tutto da scoprire! Che origini ha la storia? Ha origine da un’esigenza semplice che risponde a una domanda, una ricerca che probabilmente caratterizza tutti i miei lavori e che volutamente ho voluto citare nel romanzo: chi si prenderà cura degli ultimi? “Se tutti scelgono il meglio, io voglio il peggio”. In Matrioske ti sei cimentato nell’interpretazione di un personaggio femminile, mentre in Metà carne, metà ricordo il protagonista è un borderline. Quale delle due rappresentazioni ha richiesto maggior impegno? Ogni storia ha il suo tempo, le sue neces-
sità, le sue espressioni. Scrivere Matrioske nel momento in cui ero pronto a raccontare la storia di Hektor sarebbe stata un’impresa impossibile. E viceversa. Ogni personaggio comporta studio, dedizione e persino “svuotamento”: tradurre in romanzo la precisa volontà di raccontare una determinata cosa inevitabilmente assume i contorni di impegno e sacrificio, perché altrimenti la storia stessa non sarebbe credibile. Metà carne, metà ricordo è legato al Quaderno L’abito non fa il morto da un filo concettuale: le trame sono differenti, ma in entrambi lo scopo è ricercare la verità dietro i sipari dei volti, scovare l’anima e contemplarne la nudità. Trovi corretta questa definizione? È l’autore che vuole andar oltre la superficie delle storie, o un’esigenza di Tommaso Occhiogrosso in quanto persona? Uno stile narrativo o un riflesso dei propri pensieri? Ogni mia storia racconta “nudità”: spogliare i personaggi per mostrare l’anima, i peccati, le volontà. È certamente un bisogno che mi viene naturale forse perché io stesso cerco verità nella mia quotidianità. Anche se raccontassi una storia d’amore, sceglierei di raccontare l’anima, perché essa regge il cuore. Metà carne, metà ricordo e L’abito non fa il morto senza dubbio viaggiano sugli stessi binari, verso un’unica direzione e credo non sia un caso che il destino li abbia uniti in questo senso, come “l’uno l’altra faccia della medaglia dell’altro”: storie diverse ma mirate verso lo stesso scopo. Parliamo di Matrioske, la tua prima pubblicazione con ArteMuse Editrice. Come è nata l’idea di scrivere un’opera che parla di donne? L’idea e il merito sono di ArteMuse Editrice, che ha proposto attraverso un concorso letterario il tema “Tu donna, la vera essenza”. Il resto l’ha fatto Brigitte: la mia protagonista è venuta fuori da sola, quasi fosse stata chiamata per nome. La sua storia è nata senza troppe costruzioni. Il fatto stesso che abbia scritto il racconto in soli tre giorni spaventa 7
anche me a volte: è probabile ci sia sempre stata una matrioska da scomporre nelle mie corde, e alla prima occasione è saltata fuori. Che cosa significa per te il termine matrioska? A cosa si riferisce? “Matrioska” è l’universo che ci vive dentro: sono quegli spazi nei quali incastriamo pezzi di vita, esperienze. Da una parte, questi strati ci rendono forti, quasi ci proteggono, dall’altra celano l’essenza, il “seme” che solo taluni sono in grado di cacciar fuori. Descrivi la giornata di Brigitte, una giovane ragazza che cela in sé numerose sfaccettature, tipico aspetto femminile. La protagonista rispecchia il tuo modo di vedere le donne? Brigitte rappresenta il mio modo di sentire l’universo femminile: è l’algoritmo attraverso il quale è scomposta la sua complessità, la reminiscenza, il rancore, la tenerezza, l’imperturbabilità e, infine, la passione per le piccole cose. In alcuni di questi aspetti, noi “maschietti” certe volte siamo carenti. Nel creare il suo personaggio, ti sei ispirato a qualcuno? Brigitte è il frutto degli incontri e delle conversazioni con una persona a me cara: Adry, fonte inesauribile di confronto. Un autore che dà vita alla voce di una donna, scrivendo in prima persona. Una sfida che puoi dire di aver vinto. Qual è la chiave di questo successo? Non so se si possa definire un successo, tuttavia è stata una bella esperienza anche per me. In realtà, solo a lavoro ultimato ho realizzato di aver parlato con voce di donna. Devo confessare però che questa espressione al femminile si è fatta largo da sola: non avrei potuto fare altrimenti, dovendo ritenere e trattare alcuni argomenti, quali la maternità per esempio.
spunto da conoscenze reali? Direi da esigenze reali: paure, speranze, debolezze, sogni. Fra quelli raccontati finora, chi tra essi è Tommaso Occhiogrosso? C’è un po’ di me in ogni storia, a seconda del tempo e del momento. Un mio romanzo non vedrà mai la parola “fine” se non avverto un coinvolgimento emotivo: i personaggi da me inventati sono il disegno letterario delle mie stagioni. I tuoi lavori avranno un seguito o hai progetti nuovi in programma? In genere preferisco cimentarmi in storie diverse. Ho diversi progetti, uno fra tutti una storia che racconti dell’impegno sociale ed etico. Hai scritto la prefazione di Parole che avrei voluto dirti di Michele Gardoni, col quale hai stretto un ottimo rapporto di stima e affetto reciproci. Due punte di diamante della stessa casa editrice che fanno amicizia anziché sfidarsi a colpi di penna. Avete preso in considerazione l’idea di un progetto da realizzare insieme? Ho scoperto in Michele un amico dalle grandi risorse, oltre che una persona eccezionale. Ogni volta che ci fermiamo a chiacchierare, riesce a trasmettermi positività: è questo che mi ha spinto a scrivere la prefazione del suo romanzo, Parole che avrei voluto dirti. È nata un po’ per gioco, ma quando ho aperto la pagina bianca di Word, tutto è scivolato come se fosse già scritta. Credo davvero che il lavoro di Michele rispecchi la sua personalità, la sua voglia e il suo desiderio di felicità, con la ricerca costante dell’amore. Come posso essere o ritenerlo un mio “concorrente”?! Quando una persona dona gratuitamente un “motivo in più”, non c’è altro da fare se non dire “grazie!” a cuore aperto.
I tuoi personaggi, di solito, prendono 9
A cura di Francesca Argentati
Michele Gardoni, il 28 maggio 2013, ha pubblicato con ArteMuse Editrice il suo primo romanzo, Parole che avrei voluto dirti, ottenendo un boom di prenotazioni ancora prima della data di uscita ufficiale del libro e continuando tuttora a mietere cifre da capogiro. Michele, sei un autore al tuo primo libro. Cosa ti ha spinto a scrivere Parole che avrei voluto dirti? A spingermi è stato un folle, un amico con cui ho condiviso molte avventure e una parte importante del mio passato. Mi chiama un giorno e mi fa: “Sai che pensavo faresti bene a pubblicare quel libro che mi hai fatto leggere una volta? L’hai più finito?”. In realtà io lo avevo abbandonato da una vita, ma sapere che era rimasto nei suoi pensieri per tutto quel tempo (parliamo di oltre dieci anni) mi ha dato una scossa incredibile, così mi ci sono messo sotto e in pochi mesi l’ho terminato. Il tuo libro ha superato le 600 copie prenotate ancora prima dell’uscita ufficiale. Un’ottima premessa che lascia prevedere risultati eccezionali. Qual è la chiave di questo successo? Premetto che non capisco nemmeno io come qualcuno possa decidere di comprare il mio libro. A parte gli scherzi, è vero, non abbiamo fatto pubblicità per la vendita prima della stampa, ma io tramite il blog ne ho riportato alcuni pezzi, spesso quelli che correggevo attualizzandoli alla giornata in corso. Mi auguro che davvero lo abbiano ordinato perché piace quel che scrivo, sarebbe la soddisfazione più grande.
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La storia che racconti è autobiografica. Cosa sveli di te? Parte dalla mia Milano, ma in fondo è il mio diario di bordo. Mi aspetta ogni sera per sapere quel che mi è successo nella giornata e io racconto. Un tempo scrivevo al mio futuro amore, ora l’amore ce l’ho e lo tengo ben stretto a me, scrivo direttamente a lei perché il mio libro come dico in un punto “l’è come il Dom de Milan”, sempre in lavorazione e credo lo sarà sempre, anche ora che è stato pubblicato. A chi avresti voluto dire le tue parole? Alla mia amata sicuramente, ma non solo, chi mi leggerà capirà bene cosa intendo. Diciamo che spesso mi trovo in situazioni dove mi rendo conto che il tempo che ho per rispondere o esprimere una mia opinione è troppo breve rispetto a quanto me ne servirebbe per essere chiaro, quindi non dico quel che vorrei, poi la sera mi vengono in mente ottime risposte fuori tempo che avrei potuto usare. Come quest’intervista, rileggendola tra un paio di mesi dirò “avrei potuto dire questo…”. Cosa rappresenta per te questo traguardo? Essere riuscito a pubblicare il libro è sicuramente un grande traguardo, più che altro perché ero davvero bloccato al pensiero che
se ne andasse da solo fuori dalle mie mura e lontano dalle mie mani in casa di estranei che potevano leggerlo distrattamente. Mi ci ero attaccato come un genitore ossessivo, specialmente nella settimana prima della distribuzione avevo iniziato a sentire una crisi fortissima a tal proposito, la paura dell’abbandono. Hai convissuto col tuo diario, oggi diventato romanzo, per oltre vent’anni. Come hai vissuto questo cambiamento? Ho iniziato a scriverne un altro. Ci ho messo quasi un mese a convincermi, ma alla fine l’ho fatto. È dura e a volte mi domando: ma questa cosa non c’è già scritta nel capitolo precedente? Poi mi ricordo che non esiste un capitolo precedente al primo e ricordo che questo è un nuovo libro, un secondo figlio in pratica. Cambiamento in me ce n’è sicuramente uno, non sono più ossessivo come prima. Chi è Michele Gardoni? Descriviti in tre parole.
nel romanzo diciamo che sono come una parte del libro che si intitola proprio “Scrivo scrivo, ma non arrivo”, che lascia intendere questa mia passione per lo scrivere che non sempre si tramuta in qualcosa di compiuto o concreto. Ora grazie alle insistenze del mio editore e amico tutto sta prendendo una svolta diversa. Detto questo, penso che almeno un altro romanzo riuscirò a scriverlo, visto che i miei tempi “matusalemmici” si stanno assottigliando. A chi dedichi il tuo capolavoro? Ci sarebbero tantissime persone, ma più di tutti lo dedico al mio dolce amore, che per motivi professionali sta lontano da me. Viviamo una storia d’amore intensa anche se a volte è dura essere solo in una camera d’albergo e doverla sentire solo al telefono per augurarle la buonanotte o chiedere come stanno andando le cose da lei. Viviamo una storia molto riservata, chi ha letto il mio libro sa cosa intendo, ma siamo contenti così, io e lei sappiamo cosa vogliamo e quanto vale il nostro amore.
Innamorato, felice, riflessivo. Hai voluto che la tua prefazione fosse scritta da Tommaso Occhiogrosso, autore come te di ArteMuse Editrice. Come mai questa scelta? Ho scoperto Tommaso grazie alla casa editrice, è una persona fantastica, ma soprattutto un grandissimo scrittore. Dopo averlo letto in Matrioske è diventato il mio scrittore preferito, uno di quelli che tutti dovrebbero leggere, poi con Metà carne, metà ricordo mi ha letteralmente mandato in estasi. Tra noi è scoppiata una grande amicizia oltre che una grande stima e ci sentiamo regolarmente con grande piacere. Quando mi è arrivata la sua prefazione me la sono riletta forse una decina di volte e non sapevo davvero come ringraziarlo per il grande dono che mi aveva fatto. Il tuo libro avrà un seguito? Io sicuramente non smetterò di scrivere, lo faccio da sempre ed è la cosa che più mi allieta. Tranne che nel mio lavoro di cronista,
La scelta compiuta da parte dell’editrice di creare mistero e curiosità intorno all’opera e l’efficacia dello stile e della voce di Gardoni hanno sancito il trionfo del suo primo libro divenuto un best seller. Parole che avrei voluto dirti ha superato le 600 copie prenotate dopo pochi giorni dal lancio dell’anteprima e la casa editrice si è vista costretta ad anticipare l’apertura dello store dedicato all’acquisto del libro. Parole che avrei voluto dirti è stato un diario di bordo che ha aspettato il suo autore alla fine di ogni giornata per ascoltarne i racconti, le confidenze, le preoccupazioni, i dubbi, le incertezze, le paure e le speranze. Un compagno di vita, che Gardoni descrive così: “Mi sento come se io fossi il padre, e il mio libro un figlio scapolo. Ci eravamo promessi reciproca compagnia per sempre, ora invece lui deve partire perché ha un viaggio da compiere, la possibilità che gli spetta di una carriera che merita. Io so che devo lasciarlo andare, ma è davvero dura visto che fino a oggi è stato solo mio. Un padre però lo deve fare, anche se mi mancherà.” 11
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A cura di Sara Bindelli
A pochi mesi dall’uscita del libro Se questo è un lupo, ora disponibile nella terza edizione, abbiamo scoperto che chi si cela dietro lo pseudonimo Fabio Di Giulia, è in realtà una donna, Alessia Pisiconi. Partendo dal libro sono nati diversi e interessanti spunti di riflessione sui ragazzi di oggi, sulla società, sulla condizione della donna. Alessia, è stata una vera sorpresa sapere che chi ha scritto Se questo è un lupo è una donna. Sì, la più gran figa che puoi conoscere. Sai non è colpa mia, è che mi disegnano così… Io amo Jessica Rabbit, è il mio personaggio preferito, un essere innocente e buono, che prova un gran piacere nel provocare, messa in un corpo ben differente dal suo carattere. E perché ti sei travestita da uomo? Potrei dirti per l’invidia del pene, ma in realtà amo l’essere donna. Non mi sono travestita da uomo, ma volevo vedere come reagisce la gente in due momenti diversi, come commenta quando lo scrive un uomo e come poi dopo aver scoperto che dietro tutto c’è una donna.
Che impressioni hai raccolto alla prima uscita del libro nel lontano 1996? Allora la gente si preoccupò principalmente di capire che collegamento avesse con l’altro Cappuccetto Rosso (è il soprannome della protagonista del romanzo, N.d.R.) e diciamo che la storia divertiva molto. In fondo la mia idea nasceva proprio dal voler dare indicazione a qualche genitore che ancora si preoccupava di tenere i bimbi lontani dai lupi invece di spiegare chi erano sti benedetti lupi. E sei riuscita nell’intento di aprire gli occhi a qualche genitore?
Interessante, una specie di esperimento sociologico.
Diciamo che ho cambiato mire… Nessun genitore vuole che gli fai notare gli errori, ma solo le cose buone che fa e se ti permetti di insistere prima sembra compiacerti poi passa all’attacco, spiegandoti come non è lui a sbagliare, ma tutti gli altri, e che nessuno ha il diritto di intromettersi.
Sì, oppure è solo il mio essere dissacrante che mi spinge a non dare mai punti di riferimento.
Dove hai trovato il “materiale” del tuo libro? Immagino ci siano molte esperienze personali in tutto questo.
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Prima dell’inizio della scrittura, in un tragico incidente due miei cari amici, Fabio e Giulia, morirono. Pensai a Giulia, una ragazza che aveva avuto un’infanzia travagliata e che era sempre stata esclusa dalla vita in famiglia, perché suo padre era molto burbero e distaccato, la madre una gran noiosa. Così dopo vari alti e bassi finalmente trovò la felicità con Fabio, un ragazzo sfigatissimo secondo tutti, che invece non appena ebbe modo di non doversi mettere in mostra, riuscì a tirare fuori il suo potenziale, fatto di dolcezza e premura in gran quantità.
se non sente la vita scorrere, quindi sarebbe diverso ogni volta.
L’hai scritto quando avevi 20 anni questo libro. Come sarebbe adesso?
Abbiamo cambiato la copertina al libro anche perché poteva essere fuorviante e attirare i bambini. Per che età consiglieresti la lettura?
So per certo che non faccio niente allo stesso modo nemmeno due giorni consecutivi. Sono una che si annoia facilmente
Parlami del linguaggio utilizzato, molti l’hanno trovato piuttosto scurrile. Io in realtà ho solo scritto quello che gli altri dicevano. Non ho fatto altro che mettermi di fronte al mondo e ascoltare, e mentre ascoltavo riportavo. Prendevo le lettere ricevute da Giulia (ai tempi non esistevano le e-mail o, meglio, non erano di moda) e leggevo quel che lei diceva di sua madre… Diciamo che ho limato parecchio…
Io penso che sia qualcosa che possa essere letto da un qualsiasi adolescente.
Se questo è un lupo, terza edizione con sorpresa La prima edizione risale al 1996, quando l’autrice raccolse le esperienze di una ragazza, Giulia, per trasporle su carta ricalcando lo stile adolescenziale trasgressivo e un po’ trash che riflette la tipicità di quella fascia d’età. Nel febbraio 2013 il libro viene pubblicato da ArteMuse Editrice, che oggi ne propone una terza edizione. Le immagini poste in copertina, che hanno già subito una variazione per evitare di attirare i più piccoli, sono accompagnate da un ulteriore e significativo cambiamento. Alessia Pisiconi, ex Fabio di Giulia, non esaurisce la scorta di novità e ci presenta una terza edizione più ricca rispetto alla precedente: la storia, sempre la stessa, viene amplificata e approfondita con maggiori dettagli, che scavano e penetrano nelle viscere della trama rivestendola di un significato ancora più profondo, conferendo uno spessore sdrammatizzato da un linguaggio perfettamente ricalcato dal mondo giovanile e dall’inconfondibile e tagliente sarcasmo dell’autrice. Perché, in fondo, la medicina per sopravvivere al male e coabitare insieme al dolore, è l’umorismo. 14
In Italia è molto forte la censura, fomentata da alcuni movimenti in particolare. Cosa ne pensi? Credo sia soltanto un modo per pulirsi la coscienza. Se vogliamo censurare per non doverci occupare di alcune questioni io non sono d’accordo. Se questo libro è davvero tanto volgare, mi domando perché non vengono censurati gli intervalli scolastici, i tragitti verso e dalla scuola, i luoghi di incontro degli adolescenti, le chat su internet ecc. Credo che i genitori debbano ricordarsi che il confronto con i propri figli non parte soltanto dal dire “tu non fai quello che a me non va”, ma dovrebbe essere “parliamo del perché lo fai”. Inoltre, se diciamo sempre “questa cosa fa male a mamma e papà” non otteniamo che i figli non facciano la tal cosa, ma solo che sentendosi in colpa la facciano lontano dai nostri occhi, per non ferirci. E le cose fatte di nascosto sono poi quelle che portano a mentire i figli. Ecco perché ci sono genitori che si vantano della perfezione delle proprie “creature” e ti domandi se davvero parlano di chi conosci, visto che tu sai perfettamente che chi hai di fronte è ben differente. Parli di dialogo e comprensione, sempre più rari nelle famiglie. Abbiamo necessità di avere figli perfetti per potercene vantare, invece di preoccuparci di essere genitori validi per poter aiutare i figli. Genitori che hanno costretto ad abortire le proprie figlie, perché altrimenti la gente le avrebbe considerate delle poco di buono; questo significa far del male a una figlia per non essere criticato dalla gente. La situazione delle ragazze, delle donne in generale, è sempre quella più problematica. Fin dalla nascita la donna subisce un condizionamento: se fai questo sei una poco di buono, se succede questo butti fango su di te e su di noi, se ti vesti così rischi di 16
essere violentata, se parli in questo modo pensano che sei facile ecc. Nasciamo condizionate e nel tempo siamo cattive se non accettiamo di condizionare i nostri eredi. Si dovrà pur spezzare questo circolo vizioso. Si può, se no non insisterei a espormi. Se vivo da anni nascosta e con un nome modificato dal tribunale per evitare che quell’essere che per qualche tempo è stato mio marito possa trovarmi e finire l’opera iniziata e nonostante tutto mi godo a pieno la vita è perché so che si può cambiare. Se, al “ragazzo” che quando avevo 17 anni ha deciso di farmi in macchina indipendentemente dalla mia volontà, qualcuno avesse insegnato cos’è il rispetto per una donna e se a me avessero insegnato che se uno abusa di te sei vittima e non colpevole di averlo provocato, io forse non avrei cercato il più grande figlio di buona donna per sposarmi, ma avrei capito tante cose. Ecco perché oggi insisto a volerle spiegare. Sì la cronaca ci riporta quasi quotidianamente omicidi e abusi commessi sulle donne, un vero e proprio bollettino di guerra. Eppure parlano di omicidi passionali, per troppo amore. Troppo amore? Da quando l’amore può essere troppo o poco? L’amore è amore e non esiste niente che soffochi o uccida che possa essere sinonimo di amore. Grazie Alessia per questa analisi, lucida e intelligente, della società. Grazie a voi.
A cura di Sara Bindelli
Un sorprendente ritratto di donna quello raccontato da Sara Cerri in Isadora Duncan, stella della danza in America e in Europa tra la fine dell’800 e gli inizi del 900. Abbiamo intervistato l’autrice per farci svelare i particolari del suo libro appena uscito per ArteMuse Editrice. Come ti sei appassionata alla storia di Isadora Duncan e quando è nata l’idea di dedicarle un libro? Ho lavorato a Isadora Duncan per molti anni, non continuativi certo, nel frattempo uscivano altri miei libri. Due anni sono serviti solo per la documentazione. Ricordo di averla scoperta e di essere rimasta attratta da lei, proprio da una sua bellissima immagine trovata in internet. Era una foto bellissima, Isadora che guarda in macchina con piglio sicuro e volitivo, mostrava già il suo carattere, un personaggio per nulla facile, un carattere molteplice, una vita vissuta in viaggio, con una forte idea di arte, innovativa, ispirata alla natura e al movimento del mare – io sono nata al mare e adoro il mare. Ecco, me ne sono innamorata. La tua ricerca sarà stata approfondita e dettagliata per poter raccontare così tanti aneddoti e per calarti appieno nei panni della ballerina. Come ti sei documentata? Alla stesura del romanzo sono stati utili, oltre ai numerosissimi libri e le scuole visitate, anche film rari e introvabili, come Isadora di Karl Reisz, e The Biggest Dancer in the
World di Ken Russell. Mi piace inoltre raccontare la conoscenza personale di David Lees (figlio naturale di Gordon Craig, compagno di Isadora) rintracciato dopo lunghe ricerche, e ripensare ai pomeriggi e i pranzi trascorsi con lui parlando del padre Gordon e della sua personale conoscenza di Isadora e della sua famiglia circo, i ricordi della grande attrice Ellen Terry, nonna di David Lees, cara amica di Isadora anche dopo la rottura con Craig. Voglio citare la fitta corrispondenza con Jeanne Bresciani, Artistic Director of Education dell’Isadora Duncan International Institute di New York, fondato nel 1977 da Jeanne e Maria-Theresa Duncan (altra figlia adottiva di Isadora). Devo ringraziare Jeanne per il materiale affidatomi, i libri, i film girati nella scuola e le interviste preziose. Ringrazio anche Riccardo Pegoretti, responsabile dell’Archivio di cinema e storia del Museo di Trento per le numerose informazioni. Ti sei immersa così tanto nella vita di Isadora che non puoi non averne ricavato degli insegnamenti. Cosa ti ha trasmesso questo personaggio così eccentrico? La tenacia, l’attaccamento al proprio lavoro 17
creativo che è un modo nobilissimo di esprimere se stessi, l’amore per la vita, l’amore per la natura e per il mare. Questi sono gli aspetti che ho subito sentito di avere in comune con lei, e che interpretare la sua vita mi ha dato modo di rafforzare in me. La tua scrittura in questo libro procede come una danza. C’è stata una ricerca di stile appositamente per questo genere di romanzo? Il ritmo… ritengo che sia importantissimo nella scrittura. Lo cerco sempre, mi piace prendere il lettore per mano e fargli attraversare con me le mie parole. Scrivere è costruire un mondo con gli occhi dell’autore. Lo sguardo è il ritmo ed è per me essenziale nell’elaborare un testo. Il lettore deve viaggiare con l’autore, deve essere preso per la mano e viaggiare con lui e per lasciarlo giocare, per lasciarlo immaginare, deve coinvolgerlo, non attraverso concetti ma tramite le azioni del personaggio, come in una danza. Scrivendo di lei è stato facile applicare tutto questo. Il ritmo faceva parte della sua vita, e quanta musica ho ascoltato per avere Isadora sempre vicino a me. Ovviamente attraverso la scrittura passa inevitabilmente il modo unico di vedere le cose da parte dell’autore. A proposito di questo si parla molto della scrittura legata al “vedere”: si dice che in un libro fino a che le cose si possono vedere funzionino, io la penso così, è così che si instaura un gioco piacevole tra scrittore e lettore. Ritmo e visione, il binomio è in ogni attimo della vita di Isadora. Come mai hai scelto di utilizzare la prima persona per raccontare la sua storia? Amo la prima persona immersa e dopo tanto tempo trascorso a documentarmi, Isadora mi ha spinto a provare con lei questo tipo di scrittura. Per completare la sua conoscenza ho anche ripreso a danzare dopo anni che non lo facevo! Hai pubblicato per altre case editrici e ora 18
sei approdata in ArteMuse. Come l’hai conosciuta? L’ho conosciuta in rete, attraverso il sito. Credo che sia stato un amore a prima vista e sono felice di essere approdata al suo porto. Abbiamo insieme buoni progetti ed è bellissimo, anche solo pensando a questo momento di crisi in cui l’editoria si abbraccia stretta evitando di pubblicare troppe novità. Mi è piaciuto in ArteMuse che il centro d’interesse fosse l’universo femminile e anche tutto ciò che riuscivo a capire del rapporto dell’editrice con gli autori. Siamo come una grande squadra che porta avanti grandi idee e questo spirito dovrebbe esistere in tutte le case editrici, invece non è così. ArteMuse Editrice è appunto incentrata sulla figura femminile e il tuo libro aderisce pienamente alla filosofia che anima queste pubblicazioni. Hai già pronto un racconto inedito, la donna sarà sempre la protagonista? Vuoi svelarci qualcosa in anteprima? La donna con i suoi sentimenti, le contraddizioni, le sue crescite, la voglia comunque di andare avanti, la donna con il suo universo è da sempre al centro dei miei interessi. E a tutte le età. Amo particolarmente l’adolescenza, la voglia di scoperta, di ribellione tipica di questa età, il mondo vecchio dell’infanzia che si infrange e il nuovo che avanza nelle creature femminili. Credo che nella vita quel momento di cambiamento, quel momento di grandi scelte si riproponga in molte età e se ben compreso può aiutare ogni donna nel suo personale cammino di continua crescita. Parlaci di te ora. Cosa ti piace fare, oltre a scrivere naturalmente? Mi appassiona il cinema e ho avuto una grande passione prima della scrittura, il teatro d’ombre cinesi. Sai, quel teatro formato da uno schermo bianco – una tela illuminata da una luce radente – contro cui si muovono figure nere snodate. È un effetto magico,
Con le mani raccolgo gli ultimi raggi di sole e me ne cospargo, come delle nuvole, dell’odore del muschio che abbraccia gli scogli, il profumo del piccolo fiore, il suono maestoso del vento e delle onde: tutto deve essere parte della mia danza‌
meraviglioso. Il teatro di figure – in questo tipo di teatro rientra il teatro d’ombre cinesi continua ad affascinarmi, non mi perdo uno spettacolo, spesso ne vado a caccia. Dunque la tua prima passione è stato il teatro di figure. Raccontaci di questa esperienza e di come sei poi diventata un’autrice. Una grande esperienza. Giravo per strada con il mio teatro piccolo facendo spettacoli. Naturalmente le storie erano di mia invenzione e la regia era mia. Una scuola di vita, quel periodo, veramente ricco di conoscenze, di viaggi, di persone. Tante esperienze raccolte e la voglia di continuare a raccontare storie in altre forme ha fatto sì che un giorno, seduta al mio tavolo di lavoro, ho scritto una storia e ho vinto il primo premio a un importante concorso. Era una storia breve ma l’ispirazione si è approfondita, allungata e ho fatto nascere altre storie, fino ai primi romanzi. Da un tuo libro, Rossana Casale ha tratto un cd e uno spettacolo teatrale. Com’è nata la collaborazione con la cantante? Era da molto tempo che cercavo di racchiudere il mondo del teatro di figure in un mio libro, assieme all’esperienza del mare. Ecco come è nato il romanzo Circo immaginario. Sofia gira il mondo come artista di strada accompagnando il suo papà e “per caso” arriva in una cittadina di mare, lontana nel tempo e nello spazio, dove ha inizio una vacanza che segnerà il principio di una nuova storia. Un luogo vagheggiato, sognato, un posto dove le persone trascorrono l’estate, un paese di passaggio, una striscia di terra sospesa tra il cielo e il mare. Sofia nell’arco di un’estate capisce, cresce, si confronta e ricorda; ed è proprio nell’atto del ricordare che si riappropria del suo passato, della radice che la lega ai luoghi e alle persone. Rossana Casale si è innamorata di questo libro e ha voluto fortemente creare ciò che non è solo un album, più o meno un concept, ma un progetto vero 20
e proprio, comprendente quattordici canzoni e sei brani strumentali divenendo uno dei migliori dischi dell’intera storia della musica italiana. La prima traccia dell’album, La bella confusione, è una vera a propria ouverture di un disco perfetto arrangiato da Andrea Zuppini, che ne è il co-autore. C’è il jazz, ci sono pianoforte e mandolino ma anche archi e fiati, c’è il tango, c’è la musica gitana del primo Goran Bregović, c’è la malinconia di certe canzoni francesi. Ma c’è soprattutto il pop, inteso nella sua accezione più nobile, quella che tocca il cuore. Quanto è importante la memoria del passato per la crescita di una persona? La memoria del passato è necessaria per ogni presa di coscienza individuale. Ciò che ci circonda, ciò che è stato, ciò che è memoria personale o storica, viene sempre poi filtrato dallo sguardo e dalla percezione soggettiva, serve a formare un bagaglio, i puntelli per un salto in avanti, per una eventuale crescita futura. È ciò che siamo stati, la base di un divenire e la vita deve, dovrebbe essere, una continua rielaborazione e trasformazione. Una parola sulla scrittura, Sara? Leggerezza. Prediligo una scrittura che non faccia trapelare tutta la fatica che esiste dietro alla costruzione di una pagina. Una scrittura che appaia facile e pulita, che prenda il lettore per mano e lo trascini con sé fino alla fine. Che progetti hai per il futuro? Aspetto le uscite dei miei libri per ArteMuse con grande gioia, accompagnerò i miei lavori con la disciplina che mi distingue e con la gioia di incontrare le mie creature. E poi… spero di scrivere molte storie, due ne ho già in mente, mi metterò al lavoro dopo l’estate.
A cura di Francesca Argentati
Conosciamo Elvira Tonelli, autrice de Il sorriso innocente dell’amore e Il sole ora splende, due storie molto diverse tra loro ma legate da un filo comune che parla di violenza, amore, paura, rivincita e rinascita. Elvira, sei una delle più apprezzate scrittrici di ArteMuse Editrice e vogliamo presentarti ai nostri lettori. Raccontaci qualcosa di te. Come ti sei avvicinata alla scrittura? Che dirvi di me? Sono una ragazza normalissima, con tanti sogni. Testarda e permalosa a detta di molti, timida e introversa. Amo la compagnia, ma a volte sento l’esigenza di stare da sola, di ascoltare il silenzio. Mi piacerebbe vivere in un paesino di montagna, in una casa immersa nel verde, lontana dal traffico cittadino, godermi le bellezze della natura e rilassarmi leggendo un bel libro… Credo in un mondo migliore, seppur sia molto difficile visti gli accadimenti giornalieri. La violenza e la cattiveria dell’uomo stanno prendendo il sopravvento sulla bontà e sulla pace, ma non dobbiamo mollare, per poter offrire ai nostri figli e alle future generazioni un ambiente vivibile. Vorrei svegliarmi un giorno e non sentire più parlare di violenza, di egoismo, di arrivismo, di protagonismo. Sogno troppo? Forse… ma smettere di sognare significa chiudere il proprio cuore alla speranza e non possiamo permetterlo. Sin da quando ero più piccola ho sempre senti22
to l’esigenza di scrivere i miei pensieri, ciò che mi succedeva durante il giorno, le mie emozioni… insomma una sorta di diario che aggiornavo saltuariamente, quando volevo confidarmi con me stessa. Come ho già detto prima ho un carattere piuttosto chiuso e tendo a tenermi dentro tutto, i pensieri belli e quelli brutti, i problemi, i progetti… Sapere che la carta e la penna mi possono aiutare a stare meglio con me stessa mi ha sempre rincuorato. Per me la scrittura è un piacere e, nello stesso tempo, una terapia. Inutile negare che, nonostante le storie che racconto siano frutto di pura fantasia, qualcosa di me nei personaggi traspare. Soprattutto nel carattere delle protagoniste. Scrivere, secondo me, è bellissimo. E la cosa che più mi piace e che cerco di fare sempre è trasmettere ogni volta un messaggio di speranza. Ciò che - credo non riuscirei a fare, è terminare un racconto, un libro, senza un lieto fine… È più forte di me! Il 21 marzo hai presentato i tuoi libri, Il sole ora splende e Il sorriso innocente dell’amore presso la libreria Sognalibro di Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo. Com’è andata la serata? Cosa ha
significato per te questo traguardo? La serata è andata molto bene! Non nascondo che sin dal mattino ero molto agitata. Per me, che sono timida, parlare di “cose” mie in pubblico è molto difficile. In ogni caso, grazie soprattutto alla presenza dell’editore Giovanni Fabiano, è stata davvero una piacevole serata. Dopo, appunto, un po’ di tensione iniziale, anche io mi sono sciolta ed è stato bello poter raccontare come sono nati i libri, come ho sviluppato le storie, ecc. Il pubblico era attento e partecipe. Insomma… è stata una grande soddisfazione! Questo traguardo è davvero molto importante per me, in quanto mi permette di realizzare un sogno: quello di vedere nero su bianco i miei pensieri e le emozioni che trasmetto attraverso i vari personaggi. Come e quando hai deciso di scrivere queste due storie? Il sorriso innocente dell’amore è nato un po’ per caso, come del resto tutto ciò che scrivo. Mi alzo un giorno con la voglia di scrivere, appena ho tempo cerco di imprimere i miei pensieri su carta e poi rileggendo quanto scritto posso capire se potrò dare un seguito oppure no. Con questo romanzo è successo così… Ho scritto una paginetta e poi mi sono resa conto che questi personaggi avevano tanto da raccontare e così, pian piano, con momenti di “blocco” assoluto e momenti produttivi, ho portato a termine il romanzo che ho costruito man mano, senza una vera e propria scaletta precisa. Diciamo che immagino mentalmente una storia, cerco di scriverla e mentre “produco” decido come procedere. Forse anche in base all’umore della giornata faccio sviluppare gli eventi in un modo piuttosto che in un altro. E la cosa strana è che quello che scrivo così deve essere. Difficilmente cancello un pezzo di storia, per modificarla. Insomma… deve essere “buona la prima”. Riguardo, invece, a Il sole ora splende, è nato su richiesta dell’editrice. Mi è stato proposto di scrivere un racconto per la collana I Quaderni delle Matrioske e così è stato. In questo caso la stesura è stata molto più veloce, in circa quindici giorni l’ho terminato. A quale dei due ti senti più legata?
È difficile rispondere, in quanto ogni cosa che scrivo la sento mia in tutto e per tutto, ma forse mi sento più legata a Il sorriso innocente dell’amore, perché è nato nell’arco di un anno e mezzo e mi sono affezionata ai personaggi e poi perché, pur non essendo un romanzo autobiografico, ci sono alcuni stralci rivisitati della mia vita. Nei tuoi libri si parla di violenza e paura, coraggio e rinascita. Come mai hai scelto di trattare questi argomenti? Ho scelto di affrontare questi argomenti perché, anche se se ne parla molto ultimamente, non è mai abbastanza. La violenza sulle donne che io affronto in entrambi i libri, sia fisica sia psicologica, non deve più esistere, come del resto qualsiasi tipo di violenza. Purtroppo però non è così. Trattare di questi argomenti significa dunque mantenere sempre alta l’attenzione su questi temi delicati. In ogni caso, nei miei romanzi, il bene vince sempre. Le trame, molto diverse tra loro, racchiudono lo stesso pensiero. Ci dicono che, in qualche modo, il passaggio dalle ombre alla luce, anche se difficile, è sempre possibile. Condividi questa interpretazione? Qual è il messaggio che vuoi mandare? Certo, la condivido pienamente. Non è facile, ma ogni caso, ogni situazione, anche la più difficile e apparentemente senza via d’uscita, in realtà può trasformarsi da negativa a positiva. È necessario, però, trovare le persone giuste, che ci indirizzino a intraprendere la giusta via. Una volta toccato il fondo, non c’è più nulla da perdere, allora tanto vale ricominciare a risalire. Piangersi addosso non aiuta, è una fase che comunque bisogna vivere, ma poi è necessario superarla. Il messaggio che voglio far passare attraverso i due romanzi, infatti, è proprio questo: non bisogna mai arrendersi di fronte alle avversità della vita. E, nello stesso tempo, non dobbiamo mai chiuderci in noi stessi, ma dare l’opportunità a chi ci è vicino, a chi ci vuol bene, di aiutarci. C’è sempre qualcuno disposto a tenderci la mano, siamo noi che dobbiamo allungare la nostra e afferrare “l’ancora di salvezza”. 23
Quanto c’è di te in ciò che hai scritto? Come ho già detto, non c’è nulla di autobiografico, ma nel romanzo Il sorriso innocente dell’amore ci sono alcuni richiami alla mia vita. Ad esempio il matrimonio, il viaggio di nozze in Portogallo, il weekend in Costa Azzurra. Diciamo quindi che ho preso spunto dalla mia vita per ambientare alcune parti del romanzo. E poi traspare anche qualcosa di me nel carattere delle due protagoniste, Jessica e Noemi: la determinazione, la timidezza, la paura e l’ansia nell’affrontare determinate situazioni. Come hai dato vita ai tuoi personaggi? Sono nati senza pensarci troppo… Volevo parlare della grande forza delle donne, della nostra capacità di reagire a qualunque situazione, anche la più difficile. E così è nata Noemi, la protagonista del libro Il sorriso innocente dell’amore, questa giovane ragazza seria, cresciuta senza troppi fronzoli per la testa, proveniente da una famiglia umile che le ha insegnato i veri valori della vita, ciò che conta davvero. Noemi ama alla follia il suo lavoro che per lei diventa una vera e propria missione e ama tantissimo la famiglia, tant’è che quando riesce a crearne una sua, sposando Lorenzo, è felicissima. Purtroppo, però, non si trattava di un matrimonio alla “e vissero per sempre felici e contenti” e lei se ne accorgerà presto. Avrà comunque la forza di rialzarsi a testa alta e riprendere in mano le redini della propria vita. Stesso discorso per quanto riguarda Jessica, la protagonista de Il sole ora splende. Lei, al contrario di Noemi, è cresciuta in fretta, non amata dalla propria famiglia. Ha avuto un’infanzia e un’adolescenza difficili, ma è comunque riuscita a costruirsi una vita. Le riesce difficile staccarsi dal padre violento, in quanto è l’unico affetto rimastole, ma anche in questo caso, quando la vita sembra remarle contro, seppur dopo un percorso lungo e non poco faticoso, Jessica si rialzerà più forte di prima. Riguardo, invece, ai personaggi maschili, ne Il sorriso innocente dell’amore ho voluto mettere a confronto due realtà diverse: la prima, rappresentata da Lorenzo, l’uomo che non deve chiedere mai: bello, potente, importante, che poi, però, si rivelerà vuoto,
senza valori saldi. La seconda, rappresentata da Marco, l’uomo buono, legato alla sua missione di vita - il lavoro - agli affetti, all’essenzialità che aiuterà Noemi a voltare pagina. Ne Il sole ora splende, invece, i personaggi maschili sono rappresentati da Luigi, il papà di Jessica, violento, alcolizzato, e da Raffaele, il ragazzo perbene, che riesce a leggere l’animo di Jessica nel profondo. Insomma, anche qui, due figure contrapposte. Se ti trovassi all’interno delle trame, come ti comporteresti nei panni delle protagoniste? Beh… mi piacerebbe avere il loro coraggio e la loro forza ma, conoscendomi, non so se ne sarei capace. Sicuramente, in entrambi i casi, sarei piena di sensi di colpa perciò non so se riuscirei a voltare pagina come hanno fatto loro! La cosa più difficile sarebbe sicuramente riuscire a riprendersi dagli episodi di violenza di cui entrambe sono state protagoniste… Quali sono i sogni nel cassetto di Elvira Tonelli come scrittrice? Premetto che io vivo la scrittura come un piacevole hobby, un modo per riversare nero su bianco i miei pensieri, le mie ansie, le mie paure, ma anche le gioie, le bellezze della vita. Questo per dire che non mi pongo mai degli obiettivi del tipo: “ora mi metto a scrivere un altro libro”. I miei libri nascono sempre così… per caso. Inizio a buttare giù qualche pensiero e se vedo che può nascere qualcosa di interessante ci lavoro sopra. Al momento non ho nulla che bolle in pentola, ma chissà che prima o poi scatti di nuovo nella mia testa quella scintilla che mi porta a concludere qualcosa di piacevole. Detto questo, il mio attuale sogno nel cassetto è quello di sapere che la gente apprezza i miei scritti, che si emoziona leggendoli, che rimane rapita dalle storie. Al momento non ho alcun progetto in corso. Credo che continuerò a scrivere quando ci sarà l’ispirazione e spero, intanto, che i lettori possano apprezzare i miei lavori, frutto di una vera e propria passione!
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A cura di Francesca Argentati
Giovane e piena di talento, Susanna Tagliaferro dà vita a una divertentissima e avvincente saga per adolescenti dal titolo Aiuto, mamma è una strega. Il manuale perfetto per ogni teenager che sogna una vita piena di magia. Susanna, sei molto giovane e hai già pubblicato tre libri. Quando hai iniziato a scrivere? Ho iniziato a scrivere da bambina, alle elementari mi divertivo a inventarmi delle storie che spesso usavo anche nei giochi, ho tanti vecchi quaderni pieni di racconti scritti in quel periodo, con tanto di illustrazioni. Ricordo che a scuola ci fecero fare una raccolta di racconti, una sorta di libro in cui c’erano le storie di tutti gli studenti, credo fosse un regalo per i genitori o qualcosa del genere, si può dire che quella sia la prima antologia a cui ho partecipato. Inoltre adoravo i temi, mentre gli altri si lamentavano perché non avevano voglia di farli o non sapevano cosa scrivere, io ero contenta quando c’era la verifica di italiano, soprattutto quando c’e26
ra il tema libero perché potevo sfogare tutta la mia fantasia. Oltre alla scuola, ho sempre tenuto un diario segreto fin da piccolissima, tutto iniziò quando mi regalarono uno di quei piccoli diari con il lucchetto, forse per il mio settimo o ottavo compleanno, da allora presi l’abitudine di annotare tutti i miei pensieri e continuai fino alla maggiore età. Fu alle medie comunque, che scrissi il mio primo libro, parlava di due cugine che dovevano scoprire il loro destino ed era ispirato all’amicizia che c’è sempre stata tra me e mia cugina. Quel libro comunque non provai neanche a farlo pubblicare perché scrivevo essenzialmente per me stessa, perché mi piaceva farlo e basta, non ho mai avuto il sogno di fare la scrittrice. Tutto è iniziato molto casualmente, all’età di diciannove anni iniziai un diario che non parlava di me stessa ma di come sa-
rebbe potuta essere la mia vita se avessi fatto determinate scelte, e fu così che si creò la prima bozza, scritta rigorosamente a mano, di quello che poi divenne il mio romanzo di esordio, un urban fantasy di ben 500 pagine, pubblicato nel 2010. Che origini ha la tua passione per la scrittura? Naturalmente dalla passione per la lettura, non si può essere scrittori senza essere prima degli accaniti lettori, e questo lo può confermare qualsiasi autore. Oltre alla passione per i libri, comunque, credo che tutto sia scaturito dalla mia fervida immaginazione. Ho sempre avuto una gran fantasia e non solo da bambina, anche adesso ho sempre mille idee che mi frullano per la testa e quando ho un’idea, se la reputo buona, non posso semplicemente passare oltre, devo assolutamente metterla su carta. Scrivere per me è un’esigenza, non posso farne a meno, dovrebbero legarmi le mani per impedirmi di scrivere. Ormai ho perso l’abitudine di scrivere a mano perciò con carta e penna non riesco a fare molto, ma quando le mie dita si appoggiano sulla tastiera vanno praticamente da sole, mi immergo talmente tanto nella storia che divento parte di essa e mi estraneo completamente dalla realtà, so che forse non è la migliore cosa da fare ma in fondo è questo che mi ha permesso di andare avanti nonostante la mia vita non sia stata proprio facile. Vivo attraverso i miei personaggi, respiro la loro aria, forse per questo tutti sono sempre convinti che i miei libri siano autobiografici. Nel tuo Aiuto, mamma è un strega, che racconta le vicende di una tredicenne alle prese con l’adolescenza e la magia, ti rivolgi a un pubblico di giovani. Come mai hai scelto questo argomento? Mi piace scrivere per i ragazzi perché sento di poter trasmettere qualcosa, è risaputo che il soprannaturale cattura la loro attenzione ma alla loro età è facile scambiare la magia per un gioco. Nel mio libro cerco di spiega-
re più nel dettaglio di cosa si tratta e quali sono i rischi in cui si può incorrere. Inoltre se si legge il libro tra le righe, lasciando per un attimo da parte la storia, c’è un insegnamento di fondo, una riscoperta dei valori quali la famiglia, la lealtà, la fedeltà, il rispetto, che si stanno perdendo nella società di oggi. Noto con rammarico che i ragazzi sono sempre più esposti a modelli negativi e cattivi insegnamenti, perciò nei miei libri, in particolare questo che è proprio rivolto agli adolescenti, cerco di fargli apprezzare quelle piccole cose che al giorno d’oggi vengono accantonate a dispetto di divertimenti folli e questa precoce voglia di essere grandi. Com’è stato per te dar vita a questa saga? E cos’hai provato nel vedere realizzato il tuo primo libro? Come ho già detto prima, per me scrivere è un piacere, si può dire che questa saga sia nata praticamente da sola, doveva essere un solo libro ma poi ogni volta che ne terminavo uno mi veniva l’idea per quello successivo e insomma… per me un libro tira l’altro come le patatine. Non ho ancora ben realizzato di essere diventata scrittrice perché è accaduto tutto così naturalmente… Per me è naturale scrivere romanzi, certo c’è molto lavoro dietro, perché poi sono anche accurata nella ricerca di informazioni, soprattutto quando devo descrivere luoghi in cui non sono mai stata; tutta la saga è ambientata in Scozia ma io non mi sono mai allontanata dall’Italia, come pure per le leggende di antichi popoli o altro, ma la storia si scrive da sé. Io mi limito a mettere su carta le immagini che fluttuano nella mia mente come in un film, è come se i miei personaggi, una volta creati, prendessero vita e facessero tutto da soli, non so come ma è così, racconto quello che fanno ed ecco pronto un nuovo libro. Sono quasi inconsapevole di ciò che scrivo ed è probabilmente per questo che ogni volta che prendo tra le mani un mio nuovo libro è un’emozione grandissima, perché vedo il mio nome stampato sulla copertina e i miei pensieri tra le pagine e non riesco a credere che sia proprio 27
opera mia. Il primo libro è stato ancora più emozionante non solo perché era il primo, ma perché quando mi sono resa conto di quanto avessi scritto non potevo crederci, se mi avessero detto che un giorno avrei potuto fare tutto questo non ci avrei mai creduto, mi sembra di vivere un sogno ogni giorno. Nel tuo libro, madre e figlia si raccontano attraverso un diario segreto. La tua età si colloca a metà strada fra quella dei due personaggi principali. Pensi sia per questo che sei riuscita a interpretare entrambi i ruoli con successo? Io penso che l’età sia relativa, a volte sento più anni di quelli che ho, in parte per le esperienze vissute e in parte perché ho già due figli. Sicuramente l’essere madre mi ha aiutata a calarmi nella parte della mamma di Vera e a rivivere le difficoltà di conciliare figli, marito e carriera. Per quanto riguarda la ragazza invece... beh, siamo stati tutti adolescenti, mi è bastato fare un tuffo nel passato. In questo libro ho voluto alternare i pensieri della madre a quelli della figlia per trovare un punto di incontro tra le due generazioni. Per far comprendere ai genitori che forse a volte i ragazzi si ribellano alla disciplina perché non si sentono apprezzati o capiti, magari dietro a un comportamento sbagliato c’è un malessere emotivo o una delusione d’amore, forse a scuola vengono presi in giro e sfogano perciò la frustrazione a casa. Il mio incoraggiamento verso i genitori è che provino a parlare sinceramente con i propri figli prima di infliggere regole e punizioni, per comprendere veramente come si sentono. Per quanto riguarda i ragazzi, invece, attraverso le esperienze catastrofiche di Vera ho voluto insegnar loro che forse se i genitori dicono di fare o non fare una certa cosa un motivo c’è e che lo dicono per il loro bene. È vero che anche i genitori possono sbagliare, ma sicuramente hanno più esperienza dei figli e qualunque regola impongano lo fanno esclusivamente per impedire che commettano i loro stessi errori del passato.
La “vera” protagonista, però, è la giovane Vera. A quale delle due somigli di più? Per certi aspetti assomiglio più a Vera, anche se non sono così lunatica e irriverente. Difficile a dirsi comunque, perché Eva, la mamma di Vera, è un po’ il mio alter ego, rappresenta quel lato ribelle e determinato che rimane un po’ nascosto dentro di me ma che faccio emergere attraverso di lei, invece Vera è il mio lato insicuro e impacciato, quello che si manifesta di fronte agli altri. In sostanza entrambe mi rappresentano, ma al tempo stesso non sono completamente come nessuna delle due perché io sono molto più equilibrata e tranquilla. A chi ti sei ispirata per creare il suo personaggio? Prima di cominciare a scrivere Aiuto, mamma è una strega ho riletto il mio diario scritto all’età di dodici-tredici anni, quindi in parte mi sono ispirata a me stessa. Anche se Vera, come dicevo, non mi rispecchia completamente perché io non sono così impertinente, non mi sarei mai sognata di rispondere male a mia madre per esempio, mentre Vera lo fa praticamente ogni giorno. Comunque molti dei suoi tratti, la timidezza, la difficoltà a interagire con i coetanei, fanno tutti parte di me adolescente. Nel tuo libro parli di emarginazione e delusioni, di prime scoperte e di magia. C’è qualche tratto autobiografico? Nella storia non c’è niente di autobiografico, ogni vicenda e situazione è puramente frutto della mia fantasia, ma mi sono comunque ispirata alla mia adolescenza difficile. Gli anni delle scuole medie, in particolare, sono stati molto duri perché non riuscivo proprio a integrarmi con i miei compagni di classe e mi sentivo veramente emarginata e per niente apprezzata; venivo spesso presa di mira dagli spiritosi del momento, ricordo che mi prendevano in giro praticamente per tutto, capisco che per loro fosse solo un gioco ma 29
a me quelle frasi poco carine ferivano profondamente. La scuola era un vero incubo ma a casa la situazione non era migliore, mia madre non riusciva a capirmi perché siamo davvero troppo diverse e inoltre io vivevo un po’ nel mio mondo fantastico e questo lei non lo accettava. Comprendo adesso che lo faceva per il mio bene, ma avevo tanti sogni e lei cercava di dissuadermi dal realizzarli per evitarmi delle delusioni che erano inevitabili alla fine. La magia, insieme all’immaginazione, era un mezzo per evadere da questa realtà difficile, ha iniziato ad attirarmi tramite un telefilm che in quegli anni andava molto di moda, trovavo divertente giocare a fare la strega, ma era solo un gioco. Sappiamo che le avventure di Vera continueranno. Svelaci un’anticipazione. Chi si affezionerà a Vera sarà felice di sapere che questo è solo il primo di una saga emozionante e ricca di sorprese. Nel prossimo episodio vedremo la nostra eroina alle prese con un’importante missione da compiere e un nuovo amore da vivere. Vorrei dirvi altro ma non voglio togliervi il gusto di scoprirlo pagina dopo pagina, quindi vi anticipo solo che c’è ancora tanto da scoprire e che potrete crescere insieme a Vera che passerà gradualmente da ragazzina viziata e impertinente a giovane donna intelligente e matura, la quale finalmente scoprirà qual è il vero scopo della sua vita. Hai altri lavori in programma, dopo la saga di Aiuto, mamma è una strega? Sì, innanzitutto ho un importante libro che vedrà presto la pubblicazione e che si discosta completamente dal mio genere. È un libro che ho scritto con uno scopo preciso, infatti tratta la difficile tematica della violenza domestica sulle donne, e nello specifico risponde alla domanda: perché alcune donne denunciano il proprio aggressore solo dopo anni di sevizie? Si sente spesso parlare di questi casi in cui la moglie denuncia il marito solo dopo aver subito violenze di ogni 30
genere per anni, oppure donne che sono ancora innamorate del loro aggressore, e può accadere che si pensi male di loro, o che si arrivi al punto di pensare che se la sono cercata. Lo scopo del mio libro, dal titolo Schiava per amore, è ridare dignità a queste donne spiegando tutto ciò che è implicato in queste storie che non sono poi così semplici come sembrano. Attraverso un romanzo entro nella psicologia della protagonista raccontando una storia d’amore che come tante si trasforma in un incubo. Oltre a questo nuovo libro, che ho già terminato, ho un nuovo progetto a cui sto lavorando e che è perciò ancora dal contenuto segretissimo, posso solo dire che mi rivolgerò di nuovo ai giovani per riscoprire con loro i vecchi valori di un tempo facendo un tuffo nel passato. Cosa diresti ai nostri lettori per invogliarli a leggere il tuo libro? Se amate i misteri, se vi appassionano gli intrighi amorosi e gli intrecci da sciogliere e volete sapere come mai il mondo non è finito nel 2012, se amate le storie frizzanti e divertenti, se siete adolescenti o genitori e volete scoprire cosa si nasconde dietro alle misteriose mosse dei vostri avversari, se volete visitare la Scozia e altri posti bellissimi e suggestivi senza spendere soldi e prenotare voli, se volete sapere tutto sulla vita segreta di una lunatica, testarda, timida, romantica, impacciata ragazza che oltre a preoccuparsi delle prime cotte deve anche fare i conti con magici amuleti e terrificanti leggende, se anche vostra madre è una strega o forse lo siete voi, se volete ridere a crepapelle e piangere ed emozionarvi e lasciarvi trasportare dalla fantasia per evadere dalla realtà o se volete semplicemente chiudere gli occhi e aprire le porte dell’immaginazione, questo libro fa per voi.
A cura di Sara Bindelli
Incontriamo l’autore di Gocce di vita, uno che ha fatto della sua disabilità il suo punto di forza. Con la sua raccolta di pensieri ha voluto trasmetterci la sua forza e l’amore per la vita. In Gocce di vita Giuseppe ti metti a nudo e racconti molto della tua vita. Perché hai sentito l’esigenza di scrivere questo libro? Inizialmente non credevo di arrivare a tutto ciò! Poter trascrivere emozioni di chi mi è vicino, di chi mi apprezza, è per me una cosa importantissima, perché scrivere mi permette di aprirmi al mondo, aprendo me stesso. Ho la possibilità di comprendermi, di migliorarmi, di vivere la mia quotidianità amando la vita, amando il mondo che mi circonda, amando gli altri. Non è assolutamente una vergogna mettersi a nudo, parlare dei miei problemi. Cosa rappresentano per te queste “gocce”? Sono le mie gocce! Rappresentano il mio pensare, i miei sogni, la mia quotidianità. Trovare ottimismo e forza da delle “gocce di vita” è il mio obiettivo e spero che lo sarà sempre. Hai “catturato” i pensieri di persone a te care, durante le conversazioni e gli scambi di e-mail. Forse per loro erano parole qualsiasi, mentre per te rivestono un’importanza notevole. Cosa significano per te? Lo faccio tutti i giorni! Che significato ha? Immedesimarmi in loro ascoltandoli, imparando attraverso il loro modo di fare o di dire determinate cose mi permette di capire cos’è la “normalità”. Perché desideri capire cos’è la “normalità”?
Quelle parole o riflessioni rivestono un’importanza grandissima perché mi permettono quotidianamente di cercare con costanza e raggiungere un’autostima sempre nuova, necessaria per vivere le giornate all’insegna dell’ottimismo. Cercare la normalità, la propria normalità, ci permette di allontanare tante insicurezze. Per noi diversamente abili è un’insicurezza capire la normalità e con molta facilità ci fa cadere in depressione, nella negatività, nell’essere persone “sbagliate”, contrariamente a quello che vorremmo. Troppo spesso la nostra negatività oltrepassa l’amore per la vita. Quando hai deciso di raccogliere queste frasi in un libro e aggiungerci i tuoi pensieri? Il desiderio di pubblicare tutte queste riflessioni, e-mail e pensieri da sempre fa parte di me. Aver conosciuto chi ha reso possibile questo è stato importantissimo. Parallelamente a questa nuova esperienza di vita, ho potuto conoscere un Giuseppe nuovo, un Giuseppe che tutti i giorni si butta in nuove realtà, un Giuseppe che si migliora attraverso nuove e splendide amicizie. Questo mi aiuta moltissimo! Com’è stata l’esperienza di scrivere? Divertente o logorante? Esperienze così le auguro a tutti credetemi! Fanno crescere, rafforzano sempre più. Scri31
vere mi dà tanto, ma tanto orgoglio e parallelamente cerco un continuo insegnamento da parte di tutti per fare del mio meglio. Questa intervista è una nuova via che mi porta a un nuovo miglioramento. A detta di tutti, la presentazione del tuo libro, lo scorso dicembre, è stata un grande successo. Come ti sei sentito di fronte a tutta quella gente? Dentro di me in quel determinato momento sono arrivate emozioni, paure, nuove sensazioni che per certi versi non posso descrivervi, perché ancora non le ho “assemblate”. È stata per me una giornata indimenticabile in compagnia di molti amici e della mia splendida famiglia. Scherzi molto sulla tua disabilità, hai sempre la battuta pronta e il sorriso non manca mai di illuminare il tuo viso e di mettere allegria a quelli che ti sono vicini. Sembra che la disabilità sia diventata il tuo punto di forza. Voglio che sia un punto di forza. Soltanto così posso far uscire da me stesso il giusto carattere per affrontare i miei problemi e quelli degli altri. In fin dei conti non posso e non voglio fare diversamente, perché credo sia importante mettere allegria usando le mie difficoltà. Dopo aver letto il tuo libro mi sento di dire che sei innamorato della vita. Ti ci ritrovi in questa definizione? Innamorato della vita bisogna esserlo il più possibile, altrimenti le difficoltà a cui dobbiamo far fronte non possono essere superate con serenità. Amare se stessi e la vita è l’unica medicina per sconfiggere la negatività e il pessimismo. Poter mettere allegria, illuminare chi mi è accanto, sono per me motivi di orgoglio indescrivibile, ma soprattutto costituiscono un ulteriore passo per raggiungere la felicità. Sei alla tua seconda esperienza come autore, ti senti cambiato rispetto al tuo primo libro? Sicuramente sì. Sono cambiato in tante cose. Rispetto alla mia prima pubblicazione, ho più esperienza, ho una visione di vita molto più serena e soprattutto mi sento più sicuro. Fer32
mo restando che la strada per il mio miglioramento è ancora molto, ma molto lunga. Hai già qualcos’altro in cantiere? Svela qualche anteprima ai lettori di Anima Mista. Innanzitutto a tutti voi, lettori di Anima Mista, do un caloroso benvenuto. Che questa nuova pubblicazione porti nuovi stimoli, una nuova visione di vita, una nuova sensibilità. Cos’ho in cantiere? Ho il desiderio di imparare tante cose ancora. Scrivere articoli per questa nuova rivista è già un altro grande progetto. Mi impegnerò a riportare su queste pagine tante realtà legate al mondo dell’handicap e non solo. Cosa ti piace fare nella vita? Mi piacerebbe dirigere un’ampia organizzazione socio-culturale che dia aiuto a tutti. Stare vicino alle persone in difficoltà, aiutare a vivere meglio una quotidianità sempre più complessa e difficile, esaminare nuove idee per poi metterle in atto concretamente. Ricordatevi, si è brave persone quando aiutiamo noi stessi aiutando chi ne ha bisogno. Hai sempre un pensiero gentile e una parola per tutti. Dove prendi tutta questa forza e serenità? Non la prendo da qualche parte, mi viene donata da Dio. Ognuno di noi ha scritto il proprio destino, il proprio “chi essere” e “il cosa fare”. Essere corretti, gentili, onesti prima di tutto con noi stessi e poi verso gli altri è l’insegnamento che ci viene dato. Basta solo impararlo! Cosa diresti a un ragazzo che si trova ad affrontare una disabilità simile alla tua? Chi sono io per poter dire a un ragazzo con i miei stessi problemi qualcosa? Non voglio ma soprattutto non posso dirgli nulla perché penso la disabilità sia infinita. Ogni disabilità ha la sua storia ed è difficile dare suggerimenti. Quello che posso dire a tutti però è di amare la vita sempre, perché il Signore ce lo chiede.
A cura di Francesca Argentati
Presentiamo Giorgio Torzini, autore de Lo scriba e la principessa, travolgente romanzo tra eros e pathos ambientato sulle sponde nel Nilo, edito da David and Matthaus Edizioni Letterarie. Buongiorno Giorgio, parlaci di te. È da molto che scrivi? Buongiorno, direi di sì, sono ormai anni che scrivo articoli sui miei due blog magazine che trattano di politica e attualità e su un’altra decina di social network e siti di settore. Scrivere per me non è un mero esercizio didattico, bensì un vero e proprio bisogno primario. Chi è Giorgio Torzini? La tua carta d’identità. Bella domanda. Posso solamente ribadire che sono solo un umile scriba toscano che adora riportare su carta i propri intendimenti e pensieri. Hai esordito in David and Matthaus Edizioni Letterarie con il romanzo Lo scriba e la principessa. Come e quando hai deciso di scrivere quest’opera? L’idea di scrivere questo racconto egizio, che avevo già pubblicato con il nome I racconti dello scriba prima di approdare in David and 34
Matthaus Edizioni Letterarie, è nata per caso. A una mia cara amica blogger servivano dei contenuti per il suo magazine che trattava di passioni e io ho scritto per lei alcuni miniracconti erotici ambientati nell’antico Egitto. Il successo di pubblico è stato tale che alla fine ho deciso di farne un libro vero e proprio. Di cosa parla? È la cronistoria di un legame indissolubile, di un amore proibito e clandestino tra una aristocratica tebana e uno scriba di corte, consumato sulle antiche sponde dorate del dio fiume Nilo e sullo sfondo suggestivo di un Egitto scevro da guerre in cui sono rifiorite come gigli d’acqua le arti. Più specificamente il romanzo è ambientato nel periodo detto Medio Regno, ai tempi in cui regnò un grande faraone mai dimenticato dagli egiziani chiamato Sesostri I. L’ambientazione nell’antico Egitto avrà richiesto lunghi e accurati studi in merito. Appassionato di egittologia o vero esperto?
Sì, certamente! Ritengo sia doveroso per chi scrive un libro di un certo genere narrativo corredare e impreziosire il racconto con dati e cenni storici riconducibili al contesto temporale nel quale questo si colloca, in modo che il lettore possa immergersi totalmente nella storia descritta. Più che un appassionato di egittologia mi considero un appassionato di storia antica in generale. Adoro i contesti del passato, soprattutto Roma antica, i periodi bui del Medioevo europeo, la Grecia antica, il periodo dinastico egiziano, il Giappone e la Cina antiche, la storia dei popoli mesopotamici e naturalmente la travagliata millenaria storia del regno di Israele.
la trama, la raffinatezza dei testi scritti, un’efficace forma descrittiva che al di là di ogni immaginazione riesce a catapultare il lettore sulle assolate e suggestive sponde del Nilo! Lo scriba e la principessa è uno spaccato dell’antico Egitto, un viaggio verso la libertà e l’ignoto e allo stesso modo una storia di uomini e di donne, nonché l’occhio indiscreto di un immaginario periscopio fissato su una civiltà scomparsa e oltremodo affascinante... l’Egitto dei grandi faraoni.
Scrivendo la storia de Lo scriba e la principessa ti sei ispirato a precedenti letture o è frutto della tua fantasia? Sono presenti cenni autobiografici, seppur rivisitati?
Questo romanzo è stato scritto per “appassionare” il lettore a prescindere dall’età. L’erotismo, come anche l’azione, l’ironia, i riferimenti al sesso e infine la puntuale ricostruzione storica, sono tutti elementi funzionali al racconto. No, non lo definirei un libro prettamente erotico o ascrivibile a uno specifico target. Lo scriba e la principessa è un racconto che si avvale di una costruzione articolata e quindi direi fruibile da un ampio spettro di lettori.
Ovviamente Lo scriba e la principessa, come altri miei racconti, contengono spunti, suggestioni e contaminazioni che derivano dalle tante letture di genere e più in generale da ogni libro di narrativa che ho letto in quasi tre decenni. Ed è altresì comprovato che in ogni racconto o libro risiedano cenni autobiografici, proiezioni interiori e istanze dell’autore più o meno celati tra le righe. I protagonisti si rifanno a personaggi reali? Lascio al lettore scoprire quanto i protagonisti del libro si rifacciano a personaggi reali. Come definiresti il tuo stile di scrittura? Non spetta a me catalogare, inserire in uno specifico casellario lo stile di scrittura da me adottato. Tuttavia se proprio devo dare un giudizio, direi che il mio stile è più simile al modello anglosassone che a quello italiano. Perché questo libro avrà successo? Qual è il suo punto di forza? I punti di forza di questo libro sono molto semplicemente gli ingredienti che lo compongono: azione, intrigo, passione, erotismo, pathos. La cornice storica che impreziosisce
Lo scriba e la principessa può essere definito un romanzo erotico. A quale target indirizzi la lettura?
Le avventure di Anouke e Ahmes continueranno? Ci sarà un seguito? Certamente! La mia collaborazione col Gruppo Editoriale D and M non si esaurisce con questa prima pubblicazione. Sto finendo la stesura de Il Guardiano degli Unguenti, sequel e racconto che sarà ambientato in Palestina, Siria, Libano e naturalmente Egitto… vent’anni dopo gli eventi narrati nel primo libro. Hai in progetto altri lavori? Seguirà in tempi distinti una seconda pubblicazione di cui non posso svelare nulla… solo una piccola anticipazione: si tratta di un racconto dai ritmi sincopati, un thriller medioevale ambientato nel cupo periodo dell’Inquisizione, al tempo del papato di Avignone. Grazie per la bella chiacchierata, un saluto ai numerosi lettori di Anima Mista!
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A cura di Sara Bindelli
Approfondiamo la conoscenza di questa poetessa italiana trasferitasi a Madrid, che ha di recente pubblicato Dietro lo sguardo, una silloge moderna che penetra a fondo nell’animo umano per portare alla luce ogni sentimento, anche il più nascosto. Elisabetta Bagli è anche responsabile della collana Castalide di ArteMuse Editrice dedicata alla poesia. Iniziamo con una domanda difficile: cos’è la poesia? E quale significato ha per te? Non è affatto semplice rispondere. Innanzitutto, penso che sia necessario avere un’idea intuitiva forte della poesia, in quanto il poeta, pur ricercando originalità, non propone ma traduce con la sua sensibilità quanto già viene espresso dal mondo che lo accoglie. Il poeta è un grande osservatore dell’ambiente e del proprio intimo e, scrivendo versi, instaura delle relazioni tra l’Io, lo spazio e il tempo, oltre che con le persone. La poesia è espressione sintetica e immediata dell’animo del poeta e per me una poesia è una creazione che integra parola, silenzio, suono e significato, che non rinuncia ad avere una dimensione vocale e, pertanto corporea, con la quale raggiunge la pienezza delle sue possibilità estetiche. Ogni poeta lo fa in modo del tutto personale, crea la propria voce unica, intrasferibile, con la quale parla al lettore o a chi l’ascolta. Penso che il poeta si trovi ad
agire in piena libertà quando crea le sue poesie, esplorando le risorse della lingua con la quale si esprime e servendosi correttamente di tutti gli strumenti a propria disposizione per poter stabilire quell’empatia necessaria e giusta con il proprio interlocutore. Per quel che mi riguarda, mi sento un semplice veicolo della poesia, come una voce attraverso la quale far vivere e fluire sentimenti, passioni e giochi. Cosa cerca un poeta quando scrive? Un poeta è tale se almeno un solo lettore riesce a comprendere il significato dei suoi versi, perché è soltanto in quel momento che si è riusciti ad arrivare dentro l’anima di chi legge e a far comprendere l’amore che si nutre per tale forma di arte. Il talento del poeta quindi deriva sia dalla sua sensibilità nel cogliere i fatti del mondo esterno o di quello interiore, sia dalla sua capacità linguisticoverbale, perché come disse il poeta messi37
cano Jaime Sabines: “La poesía sirve para sacar la flor de las cenizas” (la poesia serve per far crescere fiori dalle ceneri). Come giudichi il panorama poetico italiano attualmente? Oggi la poesia è soprattutto rivolta verso la descrizione dell’intimo e la contemplazione degli eventi che ci colpiscono, assumendo spesso anche il ruolo di veicolo di tematiche sociali. Molti sono i personaggi di spicco nel nostro panorama poetico, ma sono veramente pochi i giovani che, pur essendo promettenti e talentuosi, riescono a emergere. Attualmente ci sono delle realtà locali molto accentuate, fuori dai circuiti editoriali classici e anche di gruppi telematici di varia qualità, ma che possono nascondere delle vere e proprie perle che non possono essere opache e hanno necessità di poter brillare insieme alle altre. Da ciò si evince che chi vuole abbinare cultura a qualità ha assoluta necessità di toccare con mano le problematiche di queste realtà che stentano a emergere. Secondo me, accade ciò perché manca loro il sostegno necessario per poter fare il salto e la poesia porta molto dispendio di energia, ma poco denaro nelle tasche degli investitori e dei poeti. Per tale motivo, spesso, i poeti sono i maggiori fruitori del “self publishing”. Io stessa lo sono stata con la mia prima silloge poetica, Voce. È da poco uscita la silloge Dietro lo sguardo, pubblicata da ArteMuse Editrice. Cosa rappresenta per te questo libro e cosa hai provato a sfogliare le “tue” pagine? Dietro lo sguardo è una silloge moderna, nella quale sentimenti universali si intersecano facendo scaturire versi che spesso sono in contrapposizione tra loro, ma che rendono esattamente il mio sentire. Scrivere Dietro lo sguardo è stata una sfida perché i versi a volte sensuali e passionali, a volte duri e incisivi, rispecchiano in pieno la mia anima e mostrare ciò che si è senza filtri è un’esperienza che libera ma è oltremodo pericolosa: si è indifesi e, per questo, è necessario essere consapevoli dei propri limiti per non cadere e farsi male. Sfogliare le “mie” pagine è sfo38
gliare la mia anima, sentirla di nuovo entrare in me, comprenderla e viverla. Sono due le sezioni che compongono il tuo libro, Luce e Buio, una divisione netta che però lascia spazio a contaminazioni, a influenze: nella luce si intravedono le tenebre, così come nel buio si scorge qualche spiraglio di sole. A tal proposito mi è venuto in mente il simbolo del Tao… Non avevo pensato si potesse far riferimento al Tao, ma sono ben felice di conoscere le diverse chiavi di lettura delle persone che si avvicinano ai miei versi. Riflettendo sulla tua interpretazione noto che la mia silloge è proprio strutturata in questo modo. C’è una sorta di dualità che potrebbe essere considerata solo in contrapposizione, ma così non è. In realtà, le due sezioni sono complementari e l’una non potrebbe esistere se non ci fosse l’altra e viceversa. Le speranze, i sogni, i desideri d’amore esistono in quanto luce dell’anima, nonostante spesso non si realizzino secondo le proprie aspettative. Spesso, l’amore non viene interpretato nella sua accezione primaria e diventa ossessione e desiderio di sottomettere l’altro. A volte, si riesce a tornare indietro, a trovare un punto di equilibrio e nel buio a trovare la luce. A volte, ciò non accade e, purtroppo, il buio rimane quell’oscurità dell’anima che non guarisce. Le intersezioni tra le due sezioni sono evidenti, come nel concetto del Tao. Mi fa piacere che abbia evidenziato la tua riflessione in tal senso. In Dietro lo sguardo l’amore viene sviscerato in tutte le sue sfumature, emozioni, percezioni. Come nascono questi componimenti così “sofferti”? Nascono dall’osservazione della realtà che ci circonda. I miei versi sono l’interpretazione di quel che vedo, che faccio mio interiorizzandolo e che poi, spesso anche amplificando il mio sentire, si trasforma in immagini da trasporre in versi. Scrivi soltanto le emozioni che vivi personalmente o ti lasci ispirare dalle storie degli altri?
Leggo e interpreto anche le storie degli altri, non solo le mie. Dentro Dietro lo sguardo ci sono delle liriche che non riflettono in modo assoluto la mia esistenza, ma che derivano da profonde riflessioni dovute all’immedesimazione che opero quando mi trovo a leggere e a sentire determinati fatti reali. Ci sono poesie forti che descrivono soprusi e oppressioni che, spesso, vedono protagoniste le donne. Ma parlando d’amore e di disamore, di sentimenti universali, anche molti uomini, nell’attualità, possono riscontrarsi nei miei versi. Anche a loro, spesso, capita di essere dominati psicologicamente e non solo. C’è una poesia che preferisci su tutte le altre? In realtà, sono tutte figlie mie. Non posso preferire l’una all’altra. Sono legata a tutte in ugual misura essendo scaturite da momenti particolari nei quali ho sentito l’esigenza di scrivere. Ma forse, L’addio è la lirica che più rappresenta il senso dell’intera silloge. Come scrivi le tue poesie? E cosa ti spinge a scriverle? Le scrivo senza un metodo ben preciso. Non mi posso mettere davanti al computer e dire “ecco, questa è l’ora della poesia!” e, così, iniziare a suonare forsennatamente la tastiera come un compositore matto folgorato dall’ispirazione. Assurdo. L’ispirazione c’è o non c’è e, quando c’è, tento di assecondarla in ogni maniera. Alcune mie poesie o scritti sono nati in cucina sulla lavagnetta della spesa, sul mio cellulare dentro la metro o per strada, o anche sul block notes in aereo, da sogni fatti e ricordati, da sensazioni e stimoli che provengono dall’esterno ma anche dalle mie più intime riflessioni. Scrivo sempre, di giorno, di notte, di pomeriggio. A volte, è necessario ritornare sui propri scritti, altre volte, invece, bisogna solo limarli. Scrivo perché ho dentro inquietudini che devo mettere nero su bianco per poterle affrontare, ricordare, amare. Non ho una fonte di ispirazione ben precisa. Il mio atteggiamento nei confronti della poesia è di tipo intimista, ovvero mi rivolgo all’Io nell’enunciazione dei versi e, nel contempo, è anche di tipo, oserei 40
dire, appellativo, in quanto spesso mi indirizzo a un soggetto fittizio (Tu) al quale sono diretti la totalità dei miei sentimenti. Lo amo e lo odio, mi ferisce e mi coccola, mi cerca e mi allontana, ma è sempre lui a muovere le mie passioni, le mie pulsioni, i miei giochi e le mie lacrime. Immaginare determinate situazioni e viverle mentre si scrive è un’esperienza del tutto eccezionale. Mi trovo a emozionarmi come una bimba, a piangere come un’adolescente lasciata dal suo primo amore o come una donna consapevole di aver afferrato un momento d’amore che non tornerà più nella sua vita. Il potere della poesia è ampio e sconfinato e scrivere mi ha aiutato a scoprire me stessa. Continua ancora a farlo. Oltre a essere una scrittrice per ArteMuse, curi anche la collana Castalide, dedicata alla poesia. Come sta andando questa esperienza? È un’esperienza davvero unica e stimolante. Castalide è una collana di poesia che si rivolge agli autori che scrivono tutti i generi di poesia e che vogliono emergere con un prodotto curato e di qualità. L’obiettivo che vogliamo perseguire è la ricerca di una poesia attuale che dialoghi con la tradizione italiana e con l’avanguardia poetica, una poesia adatta anche alla recitazione e all’ascolto, che sia meditativa e induca alla riflessione, di vasto interesse e che possa apportare qualcosa di nuovo ai lettori. Castalide, come una sorgente di poesia viva, è diretta a tutti coloro che amano la poesia e che vogliono scoprire i nuovi autori che saranno il futuro nel panorama italiano. Sono fiera di far parte del Gruppo Editoriale D and M, così eterogeneo nelle competenze e così omogeneo negli intenti. Ogni componente mette a disposizione dell’intero gruppo la propria esperienza e professionalità per accrescere le conoscenze di tutti sia a livello professionale che a livello umano. Ho conosciuto persone che, con grande umiltà, mi aiutano e mi insegnano quotidianamente come proseguire nel mio percorso. Ringrazio ogni suo membro, iniziando dall’editore, per aver reso possibile il mio sogno.
A cura di Sara Bindelli
Abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Andrea Leonelli, voce poetica molto apprezzata nel panorama italiano, di cui è uscita per ArteMuse Editrice la silloge Penombre. Disagio esistenziale, emozioni intense, inquietudini, angoscia ma anche speranza sono i concetti su cui ruotano le sue poesie. Cosa significa per te scrivere poesie? Scrivere per me ha diverse valenze: terapeutica e liberatoria, ma anche di comunicazione, condivisione. Quando scrivo esterno e metto “fuori da me” un disagio che ho dentro, posso vederlo e “lavorarci su”, guardarlo da un’ottica diversa da quella che avrei tenendolo dentro, aumento i possibili punti di vista. Mi serve per comunicare un qualcosa che per me ha un valore e un significato, condividendolo con altri. Parlaci della “gestazione” di Penombre. Com’è nato e come l’hai cresciuto? Penombre è la mia ultima creatura, probabilmente il mio lavoro più curato e accura-
to. Contiene pezzi dalle mie diverse fasi di scrittura, ma soprattutto materiale “di ultima generazione”, almeno dal mio punto di vista. Contiene molti miei stati d’animo. I pezzi nuovi della mia anima ritrovata. Le tue poesie sono sofferte, scavano a fondo nel tuo animo e ne tirano fuori sensazioni ed emozioni molto intime. Scrivi solo quello che ti appartiene o attingi da esperienze altrui? Scrivo quasi sempre cose che mi appartengono. A volte sperimento cose diverse, parlando di argomenti differenti, ma la cosa che decisamente preferisco è scrivere di quello che sento, di quello che provo. E decisamente mi riesce più facile parlare di esperienze 41
dolorose, o per contro, di andare nel carnale. Sono comunque sensazioni intense e quello che ho vissuto lo scrivo e lo descrivo nelle mie poesie. Scegli una poesia contenuta in Penombre particolarmente importante per te e sviscerala per noi. Io direi Orologi fermi che ha vinto il premio della critica al Primo Concorso Internazionale di Poesia “Quelli che a Monteverde”. Lascio defluire le musiche sulla pelle, canti di mani persi nel buio. Coscienze fluiscono come fulmini. Attimi di vuoto riempiti da sensazioni. Carne stretta fra le dita esaltate dai sensi. Attimi folli, tensioni che s’infrangono come onde, come specchi. Libri lanciati su scaffali una volta pieni. Vuoti d’anima, a riempire ore. Attese in sospensione. Orologi fermi come dipinti sul muro. Chiodi nelle mani a bloccare gesti corde nei pensieri a imprigionare parole. Domande negli occhi che chiusi non guardano. Vieni domani a pormi quesiti. Risponderò per versi a perversioni oniriche, a scomparse attese, a dolorosi abbracci per dipartite dovute. Parla di attese, e di ricordi, di esperienze vissute e che nel momento mancano. Parla di ciò che succede a chi attende, attende anche solo un messaggio, una telefonata, un qualsiasi segno. Sono attimi vissuti in una relazione a due, quando la distanza e le situazioni legano le mani costringendo all’inazione, a riempire in qualche modo le assenze, rese più vive dalle presenze che sono state comunque troppo brevi, sempre troppo brevi 42
per chi vuole vivere un amore. Chi sa che questo amore è reale e solido e lo desidera, ma sa che comunque c’è anche se non può stringerlo in quel momento, e attende che il momento torni. E altresì sa già bene che il momento poi passerà e attenderà ancora il ritorno. È, si può dire, un concentrato d’attesa. Aggiungendo un aneddoto devo dire che in casa ho appeso un orologio dallo strano comportamento: va a intervalli, sta fermo per giorni, poi improvvisamente riparte. Quando ho scritto la poesia era fermo e la luce che avevo in casa in quel momento lo faceva apparire come fosse disegnato. Dall’immagine dell’orologio dipinto e dallo stato d’animo è nata Orologi fermi. Elisabetta Bagli, che ha curato la prefazione di Penombre, fa notare che ricorri frequentemente a simboli e chiama in causa i poeti francesi del XIX secolo. Un’eredità importante, cosa ne pensi? Penso che Elisabetta sia decisamente troppo buona e lusinghiera. Per quel che riguarda l’utilizzo di immagini simboliche è vero, fra l’altro è una tecnica che secondo me aiuta a comunicare meglio le cose che ho da dire. Dà una dimensione visuale allo scritto imprimendo qualcosa nell’immaginario del lettore, magari a volte sono immagini e concetti in contrapposizione l’uno all’altro, altre volte si rafforzano sinergicamente, ma devo dire che non sto a studiare troppo sulle cose che scrivo. Normalmente scrivo di getto, sfruttando l’ispirazione del momento, poi magari le ritocco, ma mai troppo perché mi verrebbe da pensare che sto cambiando ciò che sentivo. Se in quel momento ho scritto una determinata cosa era esattamente quella che provavo e metterci troppo le mani, modificarla, mi pare quasi sacrilego. Però un minimo di ritocchi “estetici”, ma non contenutistici, li ammetto come riguardo a chi poi andrà a leggere. Che emozione hai provato a ricevere e sfogliare Penombre?
Dico sinceramente che sono stato felice di vederlo. Ho visto materializzarsi il frutto del lavoro svolto. Il mio e quello di tutta la casa editrice. Mi ha dato uno stimolo in più a realizzare ancora scritti, poesie. Sono orgoglioso di Penombre. È bellissimo e sono davvero molto contento.
dando corpo così a una selezione di scritti eterogenea e di buona qualità per quanto riguarda sia l’antologia della Ragunanza, Sulle orme di Christina di Svezia (organizzata in collaborazione con ArteMuse editrice e Giuseppe Lorin), sia quella che uscirà dal concorso Liber@rte, L’anima delle parole.
Cos’è cambiato rispetto alle prime due sillogi, La selezione colpevole e Consumando i giorni con sguardi diversi?
Dopo le tue esperienze nei diversi concorsi letterari a cui hai preso parte, sia come poeta che come giudice, come valuti il panorama poetico in Italia?
Moltissimo, soprattutto la mia vita. Ho cambiato casa, compagna, ho trovato nuovi equilibri interiori e nuovi punti di vista. Adesso sono sereno e felice. Vivo in una situazione più adatta al mio modo di essere e più vicina al mio modo di vivere. Ho rimosso l’apparenza per badare più ai contenuti. Vivo le situazioni con maggior chiarezza, più libertà espressiva e tranquillità. Diciamo che adesso mi sento più vicino alla felicità di quanto lo ero prima. Fai parte del team Liber@rte, com’è nato il progetto e quali sono gli obiettivi che persegui insieme ai tuoi colleghi poeti? Liber@rte nasce da un progetto precedente. Ci piace promuovere altri poeti attraverso varie iniziative, non ultimi i concorsi che organizziamo e di cui siamo giudici. Soprattutto collaboriamo alle iniziative che ideiamo e lanciamo assieme ad ArteMuse Editrice, con cui siamo in stretto contatto. A proposito di concorsi, si è da poco concluso il I Concorso Internazionale di Poesia Liber@rte e alla fine di aprile si è tenuta la I Ragunanza di Poesia del III Millennio. Come sono andate queste esperienze? Direi bene. Abbiamo ricevuto moltissimo materiale e ci siamo organizzati in maniera ottima. Fra noi di Liber@rte c’è stata una gran sinergia e, dato che siamo persone diverse, abbiamo espresso ognuno il proprio parere in maniera completamente autonoma 44
Diciamo che ha un forte potenziale e che spero si sviluppi dall’embrione in cui è dando vita a un ampio ventaglio di nuovi artisti. Ci sono molte nuove voci interessanti con un gran bagaglio di possibilità di fioritura. Bisognerebbe, a parer mio, dare maggiore risonanza a questo ribollire e trarre gli elementi migliori fuori dal mucchio, curandoli e sbozzandoli per ottenerne un raccolto di creatività. Il periodo in cui viviamo ci avvicina a diversi estremi. Nei vertici e nelle commistioni si possono trovare elementi che esprimono l’anima del momento da punti di vista nuovi e inconsueti. Nella biografia ho letto che hai vissuto un’esperienza traumatica che ti ha fatto cambiare radicalmente. Vuoi parlarcene? Nessun problema. Nel luglio 2010, il giorno 21, esattamente una settimana dopo il mio 40° compleanno ho avuto un infarto. A detta dei medici, brutto, molto brutto. Ma ho avuto fortuna. Sono stato trattato nei tempi e nei modi corretti e non ho riportato conseguenze. Ho ripreso il mio lavoro, seguo un minimo di terapia come è ovvio, ma sto bene. Un cambiamento però c’è stato. Nel mio punto di vista sul vivere. Spesso pensiamo di avere tempo per fare le cose e non ci rendiamo conto appieno di quanto effimera possa essere la vita, o di quanto possa cambiare da un momento all’altro. Non c’è poi molto tempo da perdere ed è meglio non rimandare troppo le cose da fare o da dire. Ho capito anche che vivere per poi morire senza lasciare un
qualcosa può essere uno “spreco” della propria esistenza. Abbiamo una possibilità per realizzarci. Usiamola. Dopo l’infarto però è venuto un periodo di depressione. Orribile. Si sta uno schifo. Non si ha la forza e la voglia di reagire. Non si vede il domani. Non esiste un domani a cui guardare. Ho avuto amici che mi hanno aiutato e mi sono anche fatto sostenere dai farmaci. Ne sono uscito e adesso mi sento più forte, ma è anche stato uno dei periodi in cui ho scritto di più. La selezione colpevole e parte di Consumando i giorni… escono da quel periodo. Quali sono le tue passioni e i tuoi interessi? Mi piace molto leggere e spazio in vari generi, in primis mi piace la fantascienza, ma anche la poesia ovviamente, i fantasy, i gialli… Un po’ tutti i generi, sono abbastanza onnivoro. Mi piace scrivere, ma solo poesie o racconti brevissimi, non riesco a utilizzare troppe parole su uno stesso concetto. Mi piacerebbe un giorno scrivere anche un romanzo, ma dubito che riuscirò a farlo. E poi mi ritengo fortunato a svolgere il mio lavoro, infermiere in rianimazione, perché mi dà modo di tenere il cervello sempre acceso per cogliere i vari segni e “unire i puntini” per arrivare a vedere il quadro generale, registrare un sintomo e pensare perché si manifesta e poi capire cosa succede a livello fisiologico e come porvi rimedio se necessario. Ho inoltre la possibilità di passare le conoscenze (preferisco questa espressione al posto di “insegnare”) agli studenti di scienze infermieristiche che talvolta fanno tirocinio in reparto. Naturalmente, tutto il dolore, multiforme, che si respira sul luogo di lavoro ha anche influenzato il mio modo di scrivere.
sempre, qualcosa ogni giorno magari in luoghi diversi, sia fisicamente che “dell’anima”. Sperimentare: comporre poesie in modo diverso, magari anche solo come esercizio. Accettare le critiche che ti vengono mosse sperando che chi critica motivi anche il suo punto di vista, in questo modo si potranno capire le proprie mancanze e provare a porvi rimedio. Ricercare uno stile: mettere per iscritto le idee a modo proprio, crearsi uno stile personale che sia naturale. Chi legge con attenzione può capire se il modo di scrivere è spontaneo o “ricercato”, se è costruito. Spesso leggendo si vede che una cosa spontanea è stata ritoccata e ricostruita cercandone la forma e perdendone il significato. Se è troppo “artificiale” c’è il rischio che, per quanto soddisfacente sia il lavoro di ricerca estetica della forma, questa finisca poi per sopraffare il contenuto emozionale. Ci vuole equilibrio. Poi servono sempre pazienza e passione. Pazienza nel proporsi finché non si trova qualcuno che creda nell’autore e nel suo lavoro, e passione in ciò che si fa come autori. Infine, quali progetti hai per il futuro? Svelaci qualcosa in anteprima. In questo momento, oltre a scrivere, mi sto concentrando sulla promozione di Penombre. Ovviamente continuerò a lavorare e a livello letterario, magari proverò nuovi stili di scrittura e a scrivere in modo diverso. Voglio crescere e migliorare il mio stile e le mie poesie. Intanto ho messo in cantiere una raccolta tematica che vorrei arricchire di poesie nuove a tema scientifico e fantascientifico. Camminare ogni giorno verso il futuro e cercare di lasciare impronte in questo oggi che domani sarà il passato.
Quali consigli daresti a un giovane poeta che vorrebbe pubblicare il suo primo libro? Leggere prima di tutto, magari non soffermandosi su un solo genere che, a mio parere, “restringe la visuale”. Scrivere: scrivere 45
A cura di Sara Bindelli
Oliviero Angelo Fuina ci ha concesso una lunga e interessante intervista in concomitanza con l’uscita di Orme sull’acqua per ArteMuse Editrice. Scopriamo insieme un poeta che mette su carta la sua musicalità interiore e lo fa con versi di elevata qualità. Quando hai deciso di prendere la penna e trasporre su carta i tuoi pensieri? Banalmente mi verrebbe da rispondere da quando ho imparato a scrivere, a scuola. La magia della parola mi ha da subito conquistato e nei primi temi scolastici, scoprire che potevo rendere tangibili i miei pensieri, i miei ricordi e le mie fantasie fu come scoprire il giocattolo più bello del mondo. Parlando però di un prendere la penna in mano più consapevole, è stato nel mio tredicesimo anno di età. In un diario personale che scrivevo tutte le notti prima di andare a dormire, nato per l’esigenza di poter dire la mia in un contesto spesso sordo alle domande e alle riflessioni di un “bambino”. Quel diario lo scrissi per ben sette anni ininterrottamente e ancora conservo i quattordici quaderni fittamente riempiti. Le prime poesie, o come così pomposamente io volevo definirle, le scrissi circa a quattordici anni, per esternare un disagio e una inadeguatezza che non riuscivo a esprimere diversamente, anche se era un esternarle sempre a me stesso, unico lettore dei miei versi. Da allora, con pause 46
più o meno lunghe, non ho mai smesso di fare “outing d’anima”, di ascoltarmi e mostrare a me stesso i luoghi – il più delle volte inaccessibili – che il mio sguardo “dentro” mi portava a scrutare. Il tuo ultimo lavoro, pubblicato per ArteMuse Editrice, si intitola Orme sull’acqua. Cosa rappresenta per te? Come per un genitore con il proprio figlio, rappresenta l’ultimo nato che si consegna al mondo, con il conseguente carico di apprensione, speranze, timori e comprensibile desiderio di continuare a tenerlo per mano come a proteggerlo a oltranza. Orme sull’acqua è il mio ultimo resoconto esistenziale, il comprendere che ogni passo è perfetto per quello che è, perché l’unico viaggio che valga la pena vivere è quello che somma tutti i singoli passi con la consapevolezza che la meta è il viaggio stesso. Si percepisce nelle tue poesie, come è stato ben delineato da Elisabetta Bagli nella prefazione, una spiccata musicalità e per
questo Orme sull’acqua è stata inserita nella sottocollana Euterpe, musa della poesia lirica e della musica. È vero, la musicalità è per me parimenti importante alle immagini che desidero mostrare con le mie parole. Il mio decodificare emozioni con le parole, in poesia, avviene tramite gabbie metriche che altro non sono che il mio naturale respiro poetico. Quando mi si detta un pensiero che chiede di essere scritto, quasi immancabilmente mi si detta in endecasillabi o dintorni, probabilmente per il ritmo che pulsa in me e che trova riscontro nelle accentazioni, più o meno regolari. Tutto è musica, tutto è ritmo. Anche i silenzi. Quando mi ritrovo alla fine di un foglio con mie parole che si sono distese sopra, la prima cosa che faccio è rileggerle più volte per vedere se il ritmo e la musicalità mi appagano. Più raramente per cambiare concetti e immagini emotive: su quelle non ho mai voce in capitolo dal momento che nemmeno scelgo di cosa parlare quando l’urgenza di scrivere mi solletica la mano. E dato che hai citato la bravissima Elisabetta Bagli, permettimi di ringraziarla un’ennesima volta per la sua splendida sensibilità e la sua capacità di accogliere che ha sempre saputo donarmi. La mia poesia esiste grazie alle persone come Elisabetta che se ne sanno vestire, dandole ragione di esistere oltre i confini dei miei cieli di carta. Cosa viene impressionato maggiormente dalla tua retina poetica? Fondamentalmente i riflessi di me stesso negli accadimenti apparentemente esteriori. Tutto ciò che può indurmi riflessioni personali di un proprio percepire di qualsiasi panorama cattura il mio sguardo. Tutto appare per come io vivo quel guardare, quel momento. Ed è questo che amo catturare in ogni mio eterogeneo sguardo. Quanto peso hanno i ricordi del passato nei tuoi versi? Lo stesso che ogni mio passato ha avuto, di volta in volta, nel mio presente. E questi ricordi si sono vestiti di abiti spesso diversi tra loro per un’unica ricorrenza. Moltissime mie poesie hanno avuto come comune denominatore un passato foriero di rimpianti per aspettative deluse che svanivano in ogni mio
presente vissuto, tra l’altro, solo in teoriche proiezioni. Acquisendo maggiore consapevolezza che ogni passato, svolto il suo ruolo di personale maestria, semplicemente smetteva di esistere, anche le mie scritture hanno cominciato a dare più risalto all’infinito presente come unico tempo narrante capace ancora di mostrare insegnamento, o raccoglierlo da un’esperienza conclusa tempo prima. L’amore ricorre spesso nelle tue liriche, declinato in tutti i sensi, con i suoi profumi e sapori. L’Amore è l’ingrediente imprescindibile di ogni esistenza ricevuta in dono. È ciò che dalla nascita ogni individuo ricerca costantemente fuori da sé, come elemento essenziale per farci sentire completi. È un percorso necessario che proprio nelle cadute rivela un percorso obbligato, pur se doloroso, per farci riappropriare di un qualcosa che già vive in noi. La ricerca dell’amore – e l’amare – nascono invariabilmente come merce di scambio per chiedere a nostra volta di essere amati, accettati, approvati. Discernere e comprendere questo, infine, porta auspicabilmente a ricercare questo amore in noi, imparando a perdonarci e accettarci per tutto quello che siamo. Dopo una vita spesa a cercare la mia “donna ideale” forse sto imparando a comprendere che è “l’uomo ideale” che dovrei ricercare e dovrei farlo dentro di me perché è lì che esiste da sempre. Per tutti. Cosa ti ha spinto a pubblicare? E perché hai scelto ArteMuse Editrice? È una domanda molto complessa. O meglio, presuppone risposte multiple tutte valide nella loro sfumatura. Da piccolo l’unica certezza che nemmeno confessavo è che sapevo di voler diventare uno scrittore, proprio per l’amore, il rispetto e l’idolatria verso il libro che da sempre ho provato. E questo senza nemmeno considerare che per diventare scrittore avrei dovuto saper scrivere e avere qualcosa da raccontare. Era un incantamento fine a se stesso. Le scelte scolastiche subite, e non volute, mi hanno quasi subito allontanato da una possibilità reale di avere a che fare con la parola scritta, senza per questo farmi desistere dal riportare pensieri e riflessioni sui fogli. Pubblicare penso comunque sia un modo sottile per ribadire il mito di ognuno dell’immortalità, del lasciare tracce 47
di sé in questo cammino nel mondo. Questa almeno una delle motivazioni per le mie precedenti autopubblicazioni. Questa con ArteMuse Editrice la considero in effetti la mia prima e reale pubblicazione in assoluto, per ciò che comporta e per la valenza che questa opportunità ha in sé. ArteMuse Editrice è principalmente un gruppo di grandi e capaci professionisti che pongono in primo piano la persona e l’autore e tendono a valorizzare un lavoro collettivo che coinvolge in prima persona ogni scrittore e ogni responsabile editoriale. Far parte di questa grande famiglia (qualitativamente parlando) è altamente gratificante e stimolante e ti rende partecipe di ogni singolo, e sempre meritato, successo. In questa mia prima esperienza ancora in essere sto imparando a conoscere e apprezzare la vera ricchezza di questa casa editrice: le splendide risorse umane. A partire da Giovanni Fabiano, il cui entusiasmo e l’indubbia professionalità sono fortunatamente contagiosi. ArteMuse l’ho conosciuta tramite Elisabetta Bagli, la direttrice responsabile della collana Castalide, quando mi propose e mi invitò a far parte di Liber@rte. Pubblicare quindi con ArteMuse è stata una scelta obbligata, oltre che felicissima, per il percorso che attualmente sto intraprendendo. Stai già lavorando alla tua prossima opera? Ovviamente sì. Nel senso che non c’è mai un momento in cui posso dire che non sto scrivendo a “qualcosa d’altro”. Per quello che riguarda le poesie quasi ogni notte una di esse viene a trovarmi per essere catturata nel mio recinto di carta a righe. In questo senso ho già più di una silloge ancora inedita che sta decantando nei soliti cassetti ora aggiornati. Ho anche in cantiere due romanzi, che parlano di un percorso di consapevolezza da comprendere nelle strade dei vari accadimenti che l’esistenza pone in maniera sincronica davanti ai propri passi, e tre o quattro racconti lunghi, nati da una personale esigenza di decodificare le grandi domande esistenziali nell’utopia di riconoscere un universale senso della Vita. La tua produzione infatti non si limita alle poesie, ma spazia dai racconti ai calembour, al romanzo vero e proprio. Senti di appartenere a tutti questi stili oppure la poesia rimane sempre la prediletta?
Non è nemmeno questione di scelte o preferenze. È vero che amo cimentarmi nelle più svariate espressioni letterarie, ma quasi più per sondare personali limiti e trovare nuovi traguardi da raggiungere, in un costante muovermi dove le parole vogliono portarmi, rivelandomi in controparte sfumature di me stesso che ancora non conosco. I calembour li trovo divertenti proprio nel confezionarli, lasciandomi sorprendere dai significati e dalle sonorità di parole che tendono a rincorrersi per ricongiungersi in una sintesi finale sempre sorprendente e dai variegati significati che tendono ad accorparsi ed escludersi in vita propria. La poesia però è l’espressione che più sa corrispondermi, in un mostrarmi sicuramente più incisivo. Se nella prosa tendo a essere logorroico e a incartarmi in periodi grammaticali lunghissimi, nella poesia questo non può succedere, perché le “gabbie metriche” che uso naturalmente danno un limite certo al mio volare espressivo più libero. In poesia, più che in prosa, non devo dire ma soltanto mostrare e far percepire. Mi si detta un’immagine rivelatrice di uno stato d’animo e devo disegnarla in una struttura predefinita che il primo verso ha già suggerito e imposto. Paradossalmente in questo limite dato mi sento libero di avvalermi di sintesi e sinestesie e gli azzardi che ne derivano sono quasi sempre gli afflati più sorprendenti. Cosa fa Oliviero quando non scrive? Raccontaci qualcosa di te. Fino a un anno fa avrei risposto che Oliviero è un ristoratore e lo è da sempre, cioè dai suoi undici anni. Da un anno a questa parte sono lavorativamente disoccupato. Ho chiuso il mio locale e ho messo in liquidazione l’attività. Da un anno a questa parte finalmente ho potuto svolgere il mio ruolo di padre, dopo 12 anni di quasi latitanza obbligata. Mio figlio ha infatti 13 anni. Cosa faccio davvero quando non scrivo? Cerco di imparare a vivere. La strada è ancora lunga anche se penso di essere nella giusta direzione. Nella direzione che non parte e non arriva da nessuna parte, ma che rimane ferma nell’unico istante che si può vivere: l’adesso.
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A cura di Sara Bindelli
Il poeta siciliano ha debuttato con la sua silloge, Ossigeno e Pensieri, in ArteMuse Editrice, nella collana Castalide. In questa intervista ci racconta come nascono le sue composizioni e delle sue muse ispiratrici. In Ossigeno e Pensieri metti a nudo il tuo animo, i tuoi ricordi, le tue sensazioni più intime. Com’è nata questa silloge? E cosa rappresenta l’ossigeno? La mia silloge è nata nell’arco di circa trent’anni. Vi sono presenti poesie degli anni ottanta e poesie recenti. Il titolo nasce da un’esigenza quasi fisiologica, ovvero il pensiero unito all’aria, nella fattispecie l’ossigeno. Questo elemento è a me caro anche a causa dei miei studi universitari nell’ambito della chimica. Senza ossigeno non si vive, così come senza scrivere io non 50
riuscirei a esternarmi completamente. L’amore per la tua terra, la Sicilia, è forse una delle prime sensazioni che balzano agli occhi leggendo la tua silloge. Raccontaci di quei profumi e di quelle immagini a cui sei tanto legato. Ho scritto tanto sulla mia terra amata, la Sicilia, ma non solo. Ci sono nato e vissuto fino a 24 anni per poi partire alla volta di Milano. La Sicilia possiede qualcosa di speciale. Ciò si avverte nell’aria, nello sguardo intenso dei siciliani, nella cultura
che si respira attraverso gesti atavici di greca memoria. Sento la Sicilia nel mio dna, nell’amore, nel mare, nel vento, nel sentire la vita. Profumo di zagara, visioni d’incantevoli tramonti, l’odore della salsedine dentro le narici.
scelta stilistica?
Anche la donna è una figura ricorrente nelle tue poesie.
Di te hai scritto che all’inizio ritenevi che le tue poesie fossero una questione strettamente privata, poi hai iniziato a pubblicare qualche scritto, a partecipare ad alcuni concorsi e ora sei molto attivo sul web con una pagina Facebook in cui scrivi quotidianamente, Fotogrammi di pensieri di Sebastiano Impalà. Cosa ti ha fatto cambiare idea?
Per quanto concerne l’universo femminile, ci sarebbe da aprire un capitolo a parte. Data la ricchezza dell’intelletto femminile e le sensazioni che le donne hanno prodotto in me, non posso che ringraziarle a vita per avermi fatto conoscere sensazioni fisiche e mentali tali da scrivere centinaia di poesie dedicate a loro. La mia vera musa è la donna!
Ho scritto anche in inglese in quanto lingua da me parlata e pensata in alcune circostanze particolari. Nella silloge, in realtà, l’anglofonia è limitata solo a qualche titolo.
Io scrivo di tutto ciò che mi attrae, mi colpisce, mi desta! Pertanto, se vivo una situazione sociale particolare, un periodo politico poco felice, io lo traduco in versi, cercando di dare una cadenza più forte alle mie poesie.
Come dicevo prima, scrivo da circa quarant’anni, da piccolissimo, con piccole pubblicazioni locali su giornali e vari premi vinti ma mai con quella prosopopea e vanità di pubblicare a ogni costo. Negli ultimi anni, anche attraverso i social network, ho iniziato a far conoscere i miei versi quasi per gioco, riscontrando consensi da ogni dove e intessendo nuovi rapporti socio-letterari che mi hanno condotto in ArteMuse. Così sono nati la mia pagina Facebook e un gruppo letterario, denominato come la silloge, da me amministrato. Sono anche presente in svariati gruppi con i quali collaboro costantemente e in diversi blog.
C’è una poesia in particolare che ti rappresenta più delle altre in questa silloge?
Progetti per il futuro? Immagino continuerai a scrivere…
Le poesie che mi rappresentano sono tante e diverse fra loro. In questa silloge, quella a cui sono molto legato è Sangue di fiume, scritta in totale abbandono alla natura con immagini di luoghi e situazioni tipiche da me fotografate attraverso ricordi e sensazioni vissute.
È ovvio che continuerò a scrivere, non potrei farne a meno... è una necessità fisiologica come respirare! In definitiva, Ossigeno e Pensieri non è altro che un piccolo atomo nell’immensità delle molecole poetiche da me alimentate!
Altre si potrebbero invece definire impegnate, dove prendi di mira la società e metti in luce le sue contraddizioni. Quanto vieni influenzato dalla realtà che ti circonda?
Si nota l’utilizzo di parole straniere, soprattutto inglesi. Da cosa deriva questa 51
A cura di Francesca Argentati
Il più grande esperto di cultura celtica, un appassionato di storia antica: Maurizio Donte ci racconta di sé e dei suoi Canti di Erin, riproposti in una chiave nuova, moderna e alla portata di tutti. Maurizio, hai scritto un libro davvero interessante e di nicchia, rivolto a un pubblico di lettori poco tradizionale. Raccontaci, come ti sei avvicinato alla mitologia antica e ai poemi epici? L’avvicinamento a questi argomenti è la diretta conseguenza della mia passione per la poesia epica. Il mondo dei Celti, poi, è affascinante e cruento, in un certo senso romantico, parla d’amore e di morte, di guerra e coraggio. Di eroi e di bellissime donne guerriere o amate da re e dei. Non dimentichiamo, poi, che al crollo dell’Impero d’Occidente, dalle province come la Britannia e la parte settentrionale della Gallia, la cultura celtica sopravvissuta rinacque dalle sue ceneri, con il ciclo bretone, quello di Artù e dei cavalieri della
tavola rotonda. E anche quella è epica... Come nascono I Canti di Erin? Parrà strano... del tutto casualmente. Avevo postato su Facebook la poesia “Come le pietre” che in seguito è diventata una dei cantici del poema. Un amico nel commentarla la definì “ossianica” ed è stato questo ad “accidere ex una scintilla, incendia passim” come dicevano i Romani. Da una scintilla si è scatenato l’incendio. Ossian era un bardo leggendario dell’antichità britannica, ricordato come l’Omero del nord. In particolare, un poeta scozzese di nome James Mac Pherson, scrisse, fingendosi lui, un’importante opera epica - purtroppo ormai fuori catalogo, ma che spero di trovare prima o poi - dal titolo I 53
Canti di Ossian, in cui narrava le gesta di antichi guerrieri gaeli, tra cui Conall e Cù Chulainn, appunto. Ciò non è strano, se si tiene conto che gli scozzesi attuali, non i Picti con cui si confrontarono le legioni di Roma, provengono dall’Irlanda del Nord, l’Ulster. E il Mastino di Cullan (o di Cullen) era appunto l’eroe del regno dell’Ulster. Come mai hai scelto di parlare proprio del Mastino di Cullan e della civiltà celtica? Per il fascino che emana quella leggenda antichissima (risale almeno al sesto secolo a.C.), più antica dell’altra, forse più famosa da noi, conosciuta come Beowulf, da cui è anche stato tratto un film. Poi di Celti si parla tanto e si sa poco, sorrido quando vedo quelle folkloristiche adunate di pseudodruidi a Stonehenge: i megaliti non c’entrano nulla con il popolo celtico, preesistendo e di parecchi secoli. Tento di far rivivere il loro mondo poetico, il canto dei Bardi, i loro poeti, in chiave moderna e credo di esserci riuscito, anche se non seguo in quest’opera la vera leggenda di Cù Chulainn (Cù Ollin è la pronuncia).
magari in collane un po’ datate, ma ritengo che l’interesse sul mondo dei Celti, che derivavano a loro volta dalla più antica cultura di La Tène, sia tale da giustificare un significativo ritorno dei fari del mondo della cultura. Non furono solo le vittime predestinate di Giulio Cesare e dei Romani, ebbero una cultura propria molto interessante ed erano innamorati del bello, i loro gioielli sono straordinariamente raffinati e le loro armi erano un capolavoro di metallurgia e di abilità artigianale. Sfondare in campo editoriale con questo generale letterario è una sfida. Come pensi di affrontarla? Quali le tue aspirazioni per il futuro?
In molti si interessano a questo tipo di studi, ma sembrano argomenti poco diffusi. Pensi che se ne parli a sufficienza?
Talvolta è bene percorrere sentieri aspri, terre lontane e trovare oasi perdute. Se nel deserto percorri sempre le stesse strade, trovi i pozzi, è vero, ma dissetarsi è vano dove l’acqua è torbida per via dei mille passaggi delle carovane: nuove strade o antiche possono illuminare i paesaggi e consentire di vedere nuovi panorami, o chissà, nuovi miraggi. Questo cerco e ho cercato, cose vecchie e insieme nuove, strade perdute da rintracciare. Penso che la sfida in realtà non ci sia, la fascinazione antica che permea le parole dei Canti parla direttamente al cuore di chi si ferma e legge. I valori dell’amicizia e della lealtà, l’amore che cerca di superare ogni ostacolo, anche laddove la morte è venuta e sembra perdere ogni speranza nell’uomo, ecco l’eroe che non s’arrende, combatte e raccoglie sfide arcane, magiche. Il Mastino di Cullan e il suo epos (“epica” in greco antico), una storia risalente al I secolo a.C. è ancora capace di far vibrare l’essere stesso del lettore. Aspirazioni... poche in realtà, attendo alle mie scritture, vedo crescere l’attenzione dei lettori attorno a quest’opera prima, preparo altre cose e osservo lo svolgersi del tempo nell’attesa che il destino, quale che sia, si riveli.
Volendo fare studi seri i testi si trovano,
Tu sei uno dei più grandi esperti del set-
Ti senti in qualche modo legato a quelle leggendarie vicende? Correva l’anno 1613, in Inghilterra regnava Elisabetta I Tudor: in Porto Maurizio, il giorno 12 febbraio, Peter Dunt de Flandria sposava Marietta Villeri, figlia del nobile portorino Giovanni Battista Villeri. Da lì originano i Dunt-Donte. Dunt, in antico gaelico, vuol dire “percossa, colpo al cuore”. Le mie radici più antiche sono là. Io sono un celta... per parte di padre. Basta per un: “sì, mi sento legato a quel mondo”?
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tore. Con chi ami confrontarti? C’è un modello a cui ti ispiri? Devo quasi tutto a Morgan Llewellyn, scrittrice irlandese di immensa cultura, autrice di numerosi romanzi, tra cui uno, documentatissimo, sul Mastino di Cullan. Pensate che ha una biblioteca comprendente decine di migliaia di testi. Io mi fermo a qualche centinaio... per ora! Nei prossimi lavori lo stile letterario rimarrà fedele alla tua passione celtica o spazierai in altri generi? Ho scritto tante cose: un rifacimento dell’Iliade, un altro poema sul Mastino di Cullan, il Prometeo, il Parsifal, ora lavoro al Beowulf... sono tutti temi epici, provenienti da diverse culture, tutto ciò che è antico m’affascina, ciò che siamo stati si proietta sempre in quel che saremo. Non ci sono interruzioni: la storia è un fiume e tutti ne facciamo parte, come tante molecole d’acqua. Non direi il vero interamente, però, se tacessi le altre cose. Ho scritto anche romanzi e sillogi poetiche, persino una favola e articoli di giornale, libri di critica politica sui temi d’attualità. Donte non è solo poeta epico... buffo, ho usato la terza persona come Cesare, un vezzo che a volte riemerge, per essermi così a lungo identificato con lui nei miei romanzi, che lo vedono quasi sempre protagonista. Perché i lettori dovrebbero lasciarsi conquistare da I canti di Erin e acquistare il tuo libro? Perché, mi chiedi? Notte di guerra Brillano i fuochi nella notte stellata, nella valle riposa, del Ramo Rosso, l’armata. Sorge il sole e di luce inonda la Terra: gli eroi, risorti dal sonno, cantan la guerra. [...] 56
Erin era giovane allora e i fuochi caldi e le donne meravigliose e la terra e la guerra pulsavano ardenti come l’amore stesso dell’eroe per la sua amata. È un mondo magico e al tempo stesso, vero! […] Strinse Gae Bolga nella sua mano, brillò la spada, sotto il sole lontano; rifulse nell’aria, sui fuochi languenti: d’echi d’acciaio risuonò il vuoto spazio ed ecco la valle si riempì di lamenti. [...] [...] Scendeva nel buio, il disco di fuoco... suo padre emanava gli ultimi raggi, sfiorava le chiome degli alti faggi, meditava l’eroe sui fati arcani su quello che compì in paesi lontani; sull’ombra di morte che gravò nel suo cuore [...] Introspezione ed eroismo, amore e vita, questi sono i Canti, leggeteli e poi, parliamone. Quale sarà il tuo prossimo lavoro? Hai qualcosa in cantiere? Il prossimo non lo so ancora, ho tante opere iniziate (tre romanzi e un libro di poesia) da portare avanti. Se vuoi ti posso accennare al lavoro che ho appena terminato e che sto revisionando in questi giorni: la vera leggenda del Mastino di Cullan, un poema epico di ben più ampio respiro, dal titolo Cù Chulainn... Il mito. Ve ne do una piccola anticipazione sul mio blog: www. mauriziodonte.altervista.org.
A cura di Francesca Argentati
Sabato 20 e domenica 21 luglio, il Comune di Cartoceto (PU) ospiterà uno di quegli eventi di cui è impossibile non parlare e che difficilmente passano inosservati. L’occasione che ha dato vita a questa doppia giornata di cultura è la premiazione del Concorso Internazionale di Poesia “L’anima delle parole” istituito dal gruppo Liber@rte. Il concorso, a tema libero, non prevede quote di iscrizione né contributi alle spese di segreteria ed è aperto a tutti i maggiorenni residenti in Italia e all’estero, purché le poesie siano redatte in lingua italiana. Liber@rte, il cui team è composto da personalità come Elisabetta Bagli, (“poetessa dall’animo gentile che scrive per dare vita”), Andrea Leonelli (“poeta che fa della vita uno specchio da cui attingere bellezze infinite”), Michela Zanarella (“che con le parole costruisce sogni di carta”), Gino Centofante (“giovane poeta che non è mai stanco di conoscersi e far conoscere attraverso i suoi versi un po’ di sé”), Monica Pasero (“che attraverso i suoi pensieri ravviva le emozioni della gente comune”) e Oliviero Angelo Fuina (“che si diverte attraverso le parole a presentarci mondi sconosciuti”), si propone l’o-
biettivo di promuovere l’arte dando spazio e voce al talento degli autori emergenti, permettendo loro di esprimere il proprio genio artistico e lasciare un’impronta nel mondo, sulle orme del motto: “È dalle piccole cose che nascono i grandi successi”. La prima edizione del concorso, a tema libero, vedrà la sua proclamazione nelle calde sere di fine luglio, organizzate interamente dallo staff del Gruppo Editoriale D and M in onore delle espressioni artistiche, una grande festa a cui è impossibile mancare e che terminerà con la premiazione degli artisti vincitori selezionati dalla giuria, composta dai membri di Liber@rte. La due giorni a Cartoceto prevede iniziative di grande rilievo artistico e culturale, quali mostre fotografiche e pittoriche, presentazione di poeti e scrittori e relativi titoli, presen57
tazione delle antologie L’anima delle parole e Qui, dove camminano gli angeli, entrambe edite da ArteMuse Editrice, e del progetto inerente il prossimo ingresso delle fiabe targate Edizioni Il Villaggio Ribelle all’interno delle scuole elementari, interventi di artisti vari e molto altro. Un’unica grande manifestazione di talenti che raccoglie numerosi eventi che rendono imperdibile e fondamentale la partecipazione a entrambe le giornate. Sabato 20 luglio, dalle ore 18:30, verranno presentati i partecipanti alla realizzazione dell’antologia L’anima delle parole, mentre domenica 21, dalle ore 20:30, si terrà la premiazione dei vincitori del concorso di poesia. Il primo classificato riceverà una targa personalizzata e la possibilità di pubblicare una silloge con l’editore ArteMuse Editrice sotto la collana Castalide, dedicata a questo genere di opere; anche al secondo e al terzo classificato verrà consegnata una targa personalizzata. Sono previste tre segnalazioni come premio della critica che riceveranno un diploma in pergamena. “Il team di Liber@rte - scrivono gli organizzatori - con passione e voglia di fare, è riuscito a scrutare dietro ogni singolo componimento quella luce, quel sentimento che muove le fila dell’essere umano. Scrivere non è un semplice divertimento. Scrivere è vita, è passione, è fatica, è far brillare gli occhi di chi legge, è riuscire a far volare alta l’immaginazione del lettore, è ricordare eventi passati o soavemente perdersi nella semplicità dei pensieri, galleggiando tra sogno e realtà. Non si deve mai perdere la voglia di credere nei sogni, nessuno può e deve togliere agli altri quella speranza, quella trepidazione, quel desiderio di percorrere la vita di getto. Partecipare a un concorso è alimentare quel sentimento interno di non annullamento, far vivere e dare sfogo alle proprie intime riflessioni, cibarsi della realtà per trascendere nel magico. È necessario ringraziare ogni singolo autore che ha messo anima e corpo partecipando a questa nostra iniziativa, ringraziandolo per ogni singolo componimento che ci ha deliziato, che ci ha turbato, che ci ha fatto riflettere, che ci ha fatto vedere la realtà sotto un’altra prospettiva. Dietro un concorso c’è sempre una ricompensa che, giustamente, va a premiare l’au58
tore più meritevole. In un mercato editoriale sempre più intricato, strano, instabile, comandato da logiche che danno poco spazio agli autori emergenti, che vengono visti come le ultime pedine da prendere in considerazione, coloro che fanno poesia, genere letterario di nicchia, partono svantaggiati. Per questo motivo il team di Liber@rte offre una pubblicazione della propria silloge poetica, grazie alla collaborazione con la seria e meritevole casa editrice ArteMuse. […] Dietro a un concorso c’è anima, amore, rispetto e dietro Liber@rte ci sono autori che hanno la voglia di crescere insieme a voi, di emozionarsi, di sorprendersi, di non voler sottostare a logiche editoriali già decise. Tutti insieme abbiamo coordinato il concorso divertendoci insieme a voi, sorprendendoci e confermandoci come non ci sia nulla di più bello delle parole, che sono creatrici di tanti mondi immaginari, di emozioni irrinunciabili, di sogni che dovete continuare sempre ad alimentare.” Abbiamo raccolto i commenti dei membri del team Liber@rte, entusiasti di far parte di questo progetto e di veder realizzato il primo grande evento che riunirà autori e professionisti dello staff del Gruppo Editoriale D and M e non solo. «Che dire di Liber@rte? - dice Gino Centofante, autore della silloge poetica La guerra degli amori distanti. Dietro questo nome c’è molto di più di quello che può sembrare, c’è la voglia di dare spazio all’arte in tutte le sue sfumature, c’è la collaborazione costante di ognuno con tutti i membri, ci sono la voglia e la forza di accogliere sempre il pensiero dell’altro, c’è quel pizzico di follia che ci spinge sempre alla ricerca di cose nuove, non dette, non banali. Rivalutando l’arte, si rivaluta se stessi, si cresce, ci si scopre, si evolve insieme a tutto ciò che acquista valore solo dopo avergli dato la giusta attenzione. Noi crediamo nella libera espressione, nella potenza dell’arte ed è per questo che ci siamo messi in prima fila per ridonarle il suo degno nome.» «Far parte di Liber@rte è stata ed è un’esperienza di crescita personale fantastica - racconta Monica Pasero - in cui ho potuto confrontarmi e maturare insieme ai miei amici del team. In questi mesi di stretta collaborazione ci siamo scambiati pareri e
conoscenze e dall’unione delle nostre idee e capacità si è creata una buona affinità tra noi. Personalmente essere membro di questo team mi ha portato a conoscere persone meravigliose degne di stima e affetto e soprattutto amici, con i quali condividere questa passione comune e diffondere il messaggio che l’arte è di tutti e come tale va liberata.» «Liber@rte per me rappresenta la grande opportunità e le infinite possibilità di potermi immergere a tutto tondo nell’arte - afferma Oliviero Angelo Fuina, autore della silloge poetica Orme sull’acqua - accogliendo parole dai mille accenti e i tanti raccontar d’anima, nel privilegio di sentirmi in una prima fila affacciata sul proscenio di ondate emotive delle più eterogenee. Liber@rte è anche la splendida esperienza di un percorso, ancora in atto, con meravigliosi compagni di viaggio che, nel confrontarci e condividerci, mi hanno arricchito enormemente, soprattutto grazie alle nostre unicità che ci contraddistinguono e che contribuiscono a offrire uno sguardo completo, senza pregiudizi, sui mille e variegati orizzonti artistici. Liber@rte è un biglietto di viaggio sempre valido verso nuovi incontri, nuove iniziative e nuovi traguardi da scoprire ma soprattutto, in questo stesso viaggio, Liber@rte è il finestrino sempre aperto per imparare nuovi panorami e spettinarmi il cuore.» «Il progetto è una collaborazione fra persone per altre persone - continua Andrea Leonelli, autore della silloge poetica Penombre. È formato da sei individualità diverse che lavorano assieme, siamo poeti, soprattutto, ma siamo anche persone nel vero senso della parola, non ci limitiamo a interazioni fra artisti, ma fra individui diversi che collaborano. In Liber@rte ho trovato colleghi decisamente validi da ogni punto di vista e sono contento di far parte di questa realtà. Organizziamo iniziative per la promozione della poesia, ma non solo, e collaboriamo con ArteMuse Editrice per quel che riguarda i concorsi. Siamo un bel gruppo e lavoriamo bene assieme, ognuno mettendo in campo le proprie diversità che si integrano e completano allo scopo di formare un’entità che si arricchisce delle peculiarità dei singoli elementi.» «Essere un membro attivo di Liber@rte mi ha dato la possibilità di condividere esperienze emozionali e culturali di grande inten60
sità - confida Michela Zanarella, presidente di giuria e autrice de L’Estetica dell’Oltre. Tanti i progetti che in questi mesi ci hanno visto insieme a confrontarci e a proporre idee, punti di vista. Poter dare voce alle iniziative, realizzare concorsi di qualità, contribuire allo sviluppo e alla crescita comune mi ha permesso di esprimere maggiormente la mia creatività personale. Con passione ed entusiasmo noi di Liber@rte abbiamo cercato di concretizzare delle realtà letterarie originali, interessanti per gli autori e tutto questo è stato possibile grazie al sostegno del Gruppo Editoriale D and M, che ha creduto nelle nostre idee e nella nostra voglia di proporci. Il 20 e il 21 luglio a Cartoceto si terrà la premiazione del concorso Liber@ rte e avremo modo di conoscere gli autori che hanno partecipato al premio, rendendo davvero unica questa esperienza. Mi auguro che questo sia solo l’inizio di un lungo percorso. L’emozione più grande è vedere realizzato un progetto e stiamo cercando di renderlo speciale per tutti coloro che ci seguono con affetto e stima.» «Far parte di un progetto così innovativo e fresco com’è Liber@rte mi ha dato l’opportunità di crescere dal punto di vista professionale - conclude Elisabetta Bagli, direttrice della collana Castalide di ArteMuse Editrice e autrice della silloge poetica Dietro lo sguardo - ma soprattutto dal punto di vista umano. Ho condiviso con i miei amici scrittori momenti di intensa gioia e so che continueremo a condividerne tanti altri. Il 20 e il 21 luglio ci sarà la premiazione del nostro concorso di poesia che avverrà a Cartoceto (PU), organizzata con grandissima professionalità dal Gruppo Editoriale D and M che ci ha sostenuto in pieno in questa nostra iniziativa. Incontreremo gli autori selezionati e i finalisti, conosceremo persone che ci hanno aiutato a crescere e che ci dedicano sempre attenzione e sorrisi. Sarà il culmine di questa straordinaria esperienza che rimarrà per sempre incisa nella nostra anima. Chiunque voglia parteciparvi è benvenuto.» Per partecipare all’evento e ricevere informazioni relative alle strutture convenzionate per il soggiorno e il pernottamento, è possibile contattare lo staff attraverso l’indirizzo e-mail info@animamista.it.
A cura di Francesca Argentati
Una raccolta di pensieri dedicata agli angeli volati via troppo in fretta. Sembra impossibile, eppure è reale. Troppo spesso ci troviamo di fronte a eventi che hanno dell’incredibile, nonostante siano sempre più frequenti. Di fronte a essi ci sentiamo impotenti e l’unica cosa che possiamo fare è agire concretamente attraverso il ricordo. Uno strumento potente, che ci permette di rendere onore e mantenere vivo chi ha smesso di vivere ma non di esistere. È strano come la morte sia l’unica certezza che abbiamo della vita e al contempo l’unica cosa che ci è impossibile comprendere e accettare. Soprattutto quando arriva insolente a portarsi via anime che non hanno ancora avuto il tempo di aprire gli occhi sul mondo. Anime che, però, nel breve spazio di pochi respiri, hanno insegnato, ricevuto e donato amore incondizionato, imprimendosi per sempre nel cuore di chi le ha vissute il tempo di un battito d’ali. È quello che è accaduto alla piccola Sara, scomparsa il 4 maggio 2013 a un solo mese dalla nascita per una malformazione cardiaca. Sara è figlia di Simona Viani, collaboratrice e socia fondatrice del progetto ArteMuse. A seguito del tragico evento i componenti dell’intera squadra del Gruppo Editoriale D and M, i professionisti e gli autori tutti, hanno deciso di partecipare attivamente al suo dolore dando vita a un’importante iniziativa: un evento letterario intitolato “Qui, dove camminano gli angeli” in onore della piccola Sara e di tutti gli angeli che sono passati velocemente sulla terra.
ArteMuse condivide la dedica che Silvia Albieri, anche lei socia fondatrice, ha espresso a Simona Viani e al suo piccolo angelo, volato via a causa di altri impegni: “Un sorriso su quel visino dolce, il sorriso che terremo sempre nel nostro cuore. Sei venuta da noi solo per mostrarci che gli angeli esistono, e mamma Simo ne ha avuto prova in quei pochissimi istanti in cui le sei stata appoggiata al petto. La tua manina debole è riuscita a stringere il ditino di mamma e papà e con quella piccola stretta hai raccontato loro del paese da dove vieni, il paese delle anime dolci. Un mese con noi può sembrare poco, ma tutto l’amore che hai saputo far crescere nei nostri cuori in questo periodo è quasi un miracolo. Purtroppo dovevamo immaginarlo che al tuo paese non potevano privarsi di una come te e che ti avrebbero richiamata presto, ma oggi vogliamo essere forti, vogliamo essere felici di sapere che un giorno potremo raggiungerti e che tu ci sarai, pronta ad accoglierci con tutto il tuo amore. Ora grazie a te sappiamo che di là ci aspetta qualcosa di importante, sei andata via serena, salutandoci con quel sorriso dolce. Ciao Sara.” L’evento, aperto a tutti, è istituito sul social network Facebook con lo scopo di raccogliere e selezionare poesie, racconti, citazioni e pensieri volti a interpretare il proprio personale concetto di “angelo”, che dopo attenta valutazione saranno inseriti all’interno di un’antologia pubblicata da ArteMuse Edi61
trice in ricordo della piccola grande Musa che ha ispirato questo progetto. Il ricavato ottenuto dalla vendita dell’opera sarà interamente devoluto in beneficenza a enti e associazioni di natura sociale. «L’antologia ha una funzione precisa - dice Nicoletta Letta, socia fondatrice del Gruppo Editoriale D and M, ideatrice e organizzatrice del progetto dedicato agli angeli - non dimenticare un piccolo angelo che non ha avuto molto tempo per stare con noi sulla terra. Fare in modo che la gente ricordi non solo lei ma tutti quei bimbi che non sono diventati grandi e che nel cuore dei propri genitori rimangono come una ferita aperta per sempre. L’antologia vuole essere anche un metodo per raccogliere, attraverso la sua vendita, denaro da donare a chi si occupa dei meno fortunati. Splendida l’adesione che oggi vanta più di cento scrittori, ognuno dei quali ha dedicato uno o più pensieri alla piccola Sara. La presentazione dell’anteprima si svolgerà nelle giornate del 20 e 21 luglio a Cartoceto nel corso della due giorni di cultura intitolata “20 eventi dal 20”. Dall’anno prossimo non mancherà il ripetersi dell’avvenimento che sarà celebrato il 4 aprile.» Non vi sono limiti di partecipazione o di espressione: gli unici parametri da tenere in considerazione sono la lunghezza dei racconti, che non devono superare le 6 pagine Word in carattere Arial 12, e il rispetto del tema scelto. È possibile inviare una o più opere, nel medesimo stile letterario o scegliendo forme di espressione differenti, e si possono allegare immagini o fotografie in bianco e nero di propria appartenenza a supporto dello scritto, purché insieme alla parte testuale non venga superato il limite di lunghezza prefissato. I partecipanti possono esprimersi a propria discrezione, optando per la forma letteraria che prediligono, mantenendosi coerenti all’argomento indicato. Per inviare il proprio pensiero è sufficiente compilare il form che trovate nell’apposita sezione intitolata “Qui, dove camminano gli angeli” sul sito www.artemuse.it, dove è possibile allegare il file e concedere l’autorizzazione alla pubblicazione e al trattamento dei dati personali. Il termine ultimo per presentare il materiale è stabilito per sabato 20 luglio 2013. Numerosi sulla bacheca dell’evento i pensieri comparsi pubblicamente (e che non saran-
no dunque inseriti nell’antologia): “Se ti capita di incontrare un Angelo su questa terra, sappi che ha un tempo limitato, quindi non sprecare il tuo tempo. Presto lo rivorrà Dio per salvare il Paradiso dai demoni anche per te” scrive Bettina Bartalesi; “Limpidezza di un mare senza argini, un mare che rincorre, ora, l’orizzonte; lì dove ogni cosa è auspicabile, tra un cielo appeso agli astri e una coscienza che convive con l’immensità dei Sogni” afferma lo scrittore Pablo T; “Un angelo insegna a volare, a raggiungere i nostri sogni, ad amare la vita indistintamente, senza pregiudizi, senza falsità, senza egoismo. Seguire un angelo significa seguire i nostri ideali, i nostri sogni, le nostre emozioni attraverso l’intelligenza e l’umiltà. Molto spesso parliamo di quanto sia difficile questa vita, di quante problematiche incontriamo nel nostro percorso, di quanta fatica facciamo per arrivare al domani, ma quasi mai pensiamo a quell’angelo che si trova al nostro fianco, che ci protegge e ci unisce agli altri. La vita è bella!”, dice Giuseppe Frassinelli, autore di Gocce di vita; “Nessuna lacrima qui dove vivono, nessun dolore. Gli Angeli aspettano una falce di luna su cui salire a cavallo per mandare di nascosto i baci ai loro amati” è la dedica di Sara Cerri, autrice di Isadora Duncan; “La piccola Sara vive con noi e per sempre vivrà grazie a iniziative come queste, perché chi resta nel ricordo, vive nel cuore degli altri e per questo è immortale” annuncia Michele Gardoni, autore di Parole che avrei voluto dirti. Sono solo alcuni dei numerosi commenti postati nell’ultimo mese, parole e dediche che nascono da un sentimento comune che, nel dolore, esprime il suo lato più nobile: la solidarietà. Chiunque desideri contribuire alla realizzazione di quest’opera non riceverà un premio in denaro, ma ne guadagnerà molto di più: avrà donato una parte di sé in onore di un sorriso che non si spegnerà mai e che, con questa antologia, vogliamo ricordare per sempre. Il premio più grande che si possa ricevere. Un bacio a Sara, un abbraccio alla mamma Simona, un grazie di cuore a tutti coloro che vorranno partecipare.
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A cura di Sara Bindelli
È stata da poco pubblicata per egoEdizioni, Sussurri e silenzi, raccolta di aforismi scritti da Emilio Rega; abbiamo conosciuto meglio l’autore in questa intervista, in cui si racconta e ci spiega come nascono le sue frasi illuminanti. I tuoi aforismi toccano diverse tematiche, dall’arte alla religione, passando per la società. E si denota una forte critica verso i personaggi e le tendenze di questo mondo. Da cosa sei più ispirato? In effetti la mia visuale sul mondo è la più ampia possibile: ogni minima cosa o accadimento può suscitare in me un’emozione, mi può coinvolgere, affascinare e, nei casi migliori, mi può portare a quell’estasi contemplativa che caratterizza in modo determinante la mia psiche. Di qui il mio interesse per l’arte e per la religione. Per quanto riguarda la forte critica verso la società in cui vivo, se me lo concedete, vorrei citare Erich Fromm che, in modo illuminante, scrive: “nel diciannovesimo secolo il problema era che Dio è morto; nel ventesimo secolo il problema è che l’uomo è morto”. Purtroppo viviamo in un’epoca in cui, come diceva Robert Musil, l’intelligenza non è più intelligente, in un mondo dominato dalla fretta e dall’approssimazione, dove il disincanto si 64
è impadronito delle coscienze degli uomini rendendoli schiavi del loro egoismo e per questo anche disperati. Sussurri e silenzi è il tuo sesto libro di aforismi. Come sei cambiato in questi anni e come è cambiata la scrittura? Gli inizi della mia produzione aforistica sono soprattutto legati a uno stile di scrittura di tipo diaristico, doveva cioè essere il più possibile aderente a tutto ciò che poteva esaltare o perturbare il mio animo. La scrittura per me era come gettare luce sulle zone d’ombra della mia psiche, nasceva da un impulso chiarificatore ma anche demistificatore alla ricerca di una verità anche impietosa ma che fosse effettivamente tale. In tal modo si capisce che tutte le mie invettive rivolte al mondo esterno non potevano prescindere da questa radicale resa dei conti con me stesso e con le mie aspirazioni. La mia scrittura ha attraversato varie fasi e direi che quella per me più interessante e anche più emozionante
è stata quando sono pervenuto alla percezione del substrato magico-simbolico su cui si reggono le nostre azioni quando sono vissute in modo partecipe e totalizzante. E quindi la scrittura, il segno, da nota diaristica, descrittiva, è diventata sempre più simbolica, oserei dire cifra dell’Assoluto.
Novecento Rainer Maria Rilke, che scrive: “è la terribile prerogativa dell’arte che più si fanno passi avanti, più essa costringe all’estremo, quasi all’impossibile”.
Come sottolinei anche tu, l’osservazione del mondo che ci circonda è fondamentale per un aforista. Tutto può essere materiale utile. Come e dove nascono le tue righe?
Non c’è mai stata da parte mia la precisa volontà di diventare uno scrittore. Ho cominciato a scrivere direi quasi per necessità, nell’urgenza di esprimermi facendo chiarezza sui miei dissidi interiori, poi, anche a seguito di giudizi favorevoli di scrittori di fama internazionale come Claudio Magris e Giuseppe Pontiggia, ho cominciato poco a poco a prendere coscienza della qualità dei miei mezzi espressivi, ma ho sempre mantenuto un concetto sacrale dell’opera d’arte, tale che l’ho sempre considerata come qualcosa rispetto alla quale non ci si può permettere distrazioni o confidenze.
Ho cominciato a scrivere aforismi lavorando in un ufficio postale. La scrittura mi ha aiutato a superare il disagio di vivere in un ambiente notoriamente alienato e alienante e direi che, nonostante la lotta fosse impari, l’aforista, con le sue armi affilate, acuminate, alla fine ha vinto la sua battaglia. Effettivamente qualunque punto d’incontro come bar, librerie, biblioteche, musei ecc. può essere un luogo dove trovare ispirazione per la propria scrittura, ma tutto deve accadere in modo naturale e senza forzature. In questo senso l’aforisma non perdona ed è in questo che consiste il bello e il difficile di questo genere. Scrivi che per ottenere un aforisma efficace “occorre prima pensarne almeno altri due o tre privi di nerbo”. Quindi molti versi vengono scartati. L’aforisma lo considero come fosse un dono di Dio che serve a rischiarare, a far riflettere, a denunciare, a far sorridere, ma tutte queste cose riesce a farle solo nella sua misura assoluta, dove ogni parola è necessaria ed è perfettamente correlata alle altre. C’è un aforisma, tra quelli inseriti in Sussurri e silenzi, che meglio rappresenta la tua personalità? O quello a cui tieni di più? “Quell’andare sull’orlo del precipizio da cui sgorga il tuo genio” perché descrive in modo secondo me efficace la condizione di estremo rischio in cui vive l’artista e a questo punto mi viene da citare il grande poeta del
Quando hai iniziato a scrivere e hai deciso di pubblicare i tuoi pensieri?
Come hai conosciuto egoEdizioni e cosa ti ha fatto scegliere di pubblicare con questa casa editrice? Ho conosciuto egoEdizioni grazie alla bella intervista rilasciata dalla rappresentante, Veronica Frassi, ad Anima Mista, che ho ammirato al punto di decidere di pubblicare il mio libro con questa casa editrice, per l’entusiasmo con cui affronta il suo lavoro e per le sue idee innovatrici. Immagino la scrittura di aforismi sia un “lavoro” quotidiano e che continuerai a pubblicare. Hai già dei progetti precisi? Ho già iniziato una nuova raccolta ma, come del resto è successo anche per le altre volte, non c’è da parte mia un’intenzione precisa a scrivere o a pubblicare. Tutto dipenderà dalle condizioni in cui mi troverò a operare avendo cura di evitare inutili ripetizioni o forzature.
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A cura di Sara Bindelli
Determinato, autentico e profondo, così potremmo descrivere Alberto Bonomo, che per egoEdizioni ha pubblicato L’eremita tra la folla, un volume che alla poesia affianca fotografie scattate dallo stesso autore. Ci ha spiegato cosa c’è dietro i suoi versi e le sue immagini in questa intervista. Quando hai iniziato a scrivere? Ho cominciato a scrivere relativamente tardi, nei primi anni di università per la precisione. Non per un motivo particolare, ma semplicemente perché fino a quel momento tutto vagava nella testa, senza tradursi in parole fatte d’inchiostro su un foglio o in un file salvato con nomi improbabili sul 66
pc. Vent’anni è un’età in cui cominci a fare le prime “scelte coscienti”, cominci seriamente a pensare al futuro, a interrogarti; per la prima volta nell’arco della vita mi sono seduto un attimo per fare un piccolo resoconto guardando dietro, accorgendomi poi stupito che stavo già scrivendo. Nel periodo che ha coinciso con il mio trasferimento a Milano quella che ormai era divenuta un’e-
sigenza si è trasformata nel mio primo fotolibro, Il respiro di un pensiero. Questo è il mio personalissimo big bang. Si legge nelle tue poesie un disagio esistenziale, un’incapacità ad accettare il mondo così com’è. Cosa vorresti cambiare? No. Ti posso assicurare, di questo sono certo, che io non voglio cambiare nulla del mondo. Non penso di avere o volere questo potere. A me piace osservare il mondo, mi piace viverlo, condividerlo, cercarlo, allontanarlo, criticarlo, maledirlo, amarlo cosi com’è. Quando ami qualcuno lo ami per quello che è, non cerchi di cambiarlo. Raccontarlo, ecco sì, mi piace raccontarlo, dal mio punto di vista e senza remore di usare una parola piuttosto che un’altra. La vera lotta, il disagio o, meglio, io la definirei l’inadeguatezza è molto più legata al concetto di tempo e quindi all’esistenza stessa andando poi a riflettersi come una lente sopra un foglio creando il fuoco. Il mondo è il foglio. La morte ritorna spesso nei tuoi versi. Cerchi di esorcizzarla scrivendone? La vita di ognuno di noi è singola e irripetibile. Le nostre esistenze sono segnate da eventi che influiscono su quello che siamo e saremo, sul nostro modo di pensare. Ho conosciuto la morte presto, tra i banchi di scuola. Ho visto un banco vuoto e poi un altro. Ho visto e poi non ho visto più due ragazzi come me, Davide in un lampo, Barbara lentamente. Ho assistito all’ingiustizia subita da due ragazzi che hanno incontrato la morte proprio quando la vita stava sbocciando, ho visto il dolore sul viso delle loro famiglie. Ho visto tanti piccoli ragazzi unirsi e farsi forza in un momento in cui l’unico vero dilemma doveva essere il compito di latino, la cotta di turno, fare sega o no il venerdì. Qualcosa forse ti cambia dentro, in un verso o nell’altro. Quindi oggi parlo della morte, non la esorcizzo ma piuttosto
la osservo incuriosito e la uso come monito. Come monito alla vita. Qual è la poesia che preferisci di quelle racchiuse ne L’eremita tra la folla? In realtà non saprei risponderti perché potrei darti una motivazione su ognuna. Non voglio annoiarti quindi ti dico Preludio. Il suo ritmo cavalcante mi ricorda quando l’ho scritta e il periodo connesso. Vuoi spiegarci perché hai scelto questo titolo? Quasi ossimorico, direi. Perché l’eremita di solito è una persona che vive lontano dalla società, magari in un posto remoto. Anni luce distante dai meccanismi, dai modi di pensare e agire, condivisibili o meno, della civiltà. A volte mi capita di sentirmi così, anche se poi nella realtà dei fatti sono immerso in quella folla che in qualche modo mi è propedeutica. Un rapporto di amore odio, due concetti speculari; l’uno prende linfa e spunto dall’altro. Il tuo libro è composto sia di versi che di immagini. La fotografia è la tua seconda passione? Non esiste una gerarchia tra la macchina fotografica e la penna, stanno sul medesimo piano. A volte camminano di pari passo, a volte ognuna cammina per i fatti suoi, ma una cosa è certa: quasi sempre poi s’incontrano. Senza appuntamento ma s’incontrano. Due grandi forme di libertà assoluta e incontaminata. Come hai scelto e accostato alle poesie le tue fotografie? C’è un nesso tra loro? È un sistema a doppio binario. A volte lascio raccontare gli occhi con l’intento di creare immagini come fossero parole, altre volte tramite le parole provo umilmente a rievocare e impressionare immagini di vita, fotogrammi a volte sconnessi e/o deliranti, ma reali. La camera oscura è la mente, il 67
cuore l’ingranditore e le sensazioni gli acidi reagenti. Due modi diversi per esprimere il medesimo pensiero. La fotografia de L’eremita tra la folla è intimamente legata alla poesia. Per alcuni testi il rapporto con l’immagine accostata era già scritto, per altre invece è venuto a crearsi in seguito, quando per caso sono riuscito a riprovare contemporaneamente la medesima sensazione leggendo le parole dietro un’immagine e guardando intensamente attraverso delle parole. Premeditazione e casualità dunque.
ma italiano attuale. Sto parlando di Michela Zanarella che oltre a essere una brava scrittrice è anche una cara amica. Quando ho parlato con i responsabili della casa editrice sul progetto che avevano in mente per questo mio libro, ho capito subito che viaggiavamo sulla stessa onda e da lì alla firma il passo è stato breve.
Sei nato a Messina, ma ora vivi a Roma dopo aver abitato per diversi anni a Milano. Che rapporto hai con la tua terra d’origine?
Il respiro di un pensiero l’ho creato di getto, d’istinto; in questo ho affondato la pianta del piede dal tallone alla punta per bene. Più che di miglioramenti, che lasciano immaginare una scala di valore gerarchica, parlerei di evoluzione del mio concetto di poesia. Non credo ci sia un traguardo da raggiungere, bensì una strada da percorrere nel cammino di chi scrive. Sperimentando si affina la vita e di conseguenza le parole. E io sperimento.
Goethe ha scritto: “L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: soltanto qui è la chiave di tutto.” Sciascia dal canto suo: “La Sicilia è difficile. Lacera persone e sentimenti e invade chi, per nascita o per scelta, si lega a lei. […] La Sicilia è bellissima e dura col suo sole titanico e tirannico, la sua luce violenta, il suo mare che dipinge e colora l’aria e la rinfresca. Bellissima e morbida nelle sue lente sere odorose, ridondanti di brezze lievi e vestiti leggeri e di chiacchere indolenti, di luci lungo le coste, di cibi sensuali. La Sicilia è scomoda, ma viverla è possibile con orgoglio antico e altero.” Tutti possono leggere queste parole, molti possono comprenderle, in pochi possono avere la fortuna di viverne il significato nell’anima. Detto ciò casa mia è il nucleo di tutto, la radice che affonda sottoterra. Linfa per ogni mio singolo movimento. Ogni tanto parlo da lontano con la mia terra e lei sa, fantastichiamo parlando di progetti che riguardano una casetta vicino al mare, un cane e un’amaca. Come hai conosciuto egoEdizioni e perché hai deciso di pubblicare con questa casa editrice? Ho conosciuto egoEdizioni grazie a una delle poetesse più promettenti del panora68
Sei alla tua seconda pubblicazione, dopo la prima del 2010. Come sei cambiato da allora e in cosa vuoi migliorarti?
Cosa fai nella vita, oltre a scrivere e fotografare? Dopo la laurea in Giurisprudenza e il master di specializzazione in Criminologia ho cominciato a collaborare come consulente criminologo in strutture che operano in questo ambito, porto avanti la pratica forense e sono responsabile della rubrica “Delitti in prima pagina” del giornale telematico www.altriconfini.it. Poi faccio molte altre cose ma sono molto riservato e non voglio svelarle.
A cura di Sara Bindelli
L’autore abruzzese ci ha regalato un interessante spaccato di vita quotidiana in una fattoria, in cui convivono e combattono per la sopravvivenza cani, gatti, topi, ratti e altri animali. Sullo sfondo la supremazia dell’uomo e la difesa della natura. Ecco cosa ci ha raccontato del suo ultimo lavoro, All’ombra della fattoria. Com’è nata questa storia in cui i protagonisti assoluti sono gli animali e l’uomo è relegato a qualche sporadica battuta? Il mondo degli animali, con tempi e linguaggi da noi incompresi, mi ha affascinato fin da bambino. La prima stesura di All’ombra della fattoria risale a quando avevo dodici anni. Ricordo ancora, rientrando a casa da scuola, una bellissima serie di documentari di Quark sugli animali delle nostre campagne e delle nostre case. La loro quotidiana lotta per la sopravvivenza appariva in tutto simile a quella delle specie che abitano la savana africana o le paludi del Bengala. La realtà di All’ombra della fattoria è vista con gli occhi degli animali che ci circondano ed è naturale che l’uomo sia posto sullo sfondo di vicende strettamente legate alla vita animale. Il libro è ambientato in una fattoria e narra la quotidianità degli animali che vi abitano. La tua è un’esperienza diretta o ti sei documentato sulla vita in campagna?
Sono cresciuto in campagna, circondato da animali da cortile, con un cane, alcuni gatti e tanti topi, attirati dal mangime dei polli. Un anno in particolare c’è stata una vera e propria “esplosione” di topi che per poco non entravano in casa, tanto erano diventati audaci. Naturale che io abbia simpatizzato per i gatti in quella lotta numericamente impari. Peccato che nei cartoni della Walt Disney i nostri felini domestici recitino quasi sempre la parte dei “cattivi”, per via della loro natura di predatori. Casa mia non è mai stata una vera e propria fattoria, ma frequentavo spesso i poderi e le fattorie vicine e ho sempre ammirato la vita degli animali, che sembrava scorrere parallela alla nostra, assecondando le leggi di una natura che noi umani potevamo rinchiudere in stalle e aie, ma senza riuscire a dominare completamente. Era questa “indipendenza” che mi affascinava negli animali domestici e ancora più in quelli selvatici. Tra le righe si legge una critica all’uomo e 69
alla supremazia che impone alle altre specie. È un messaggio che volevi far passare attraverso questo libro? Ho cominciato a scrivere questo libro, come altri, spinto da un’idea che ha preso forma in maniera quasi autonoma – miracolo della letteratura – man mano che mi addentravo nella trama. Allo stesso modo, la critica alla supremazia umana è sorta spontanea, mentre inventavo le “mire espansionistiche” di alcuni animali sugli altri. Posso affermare che la prepotenza con cui noi umani pretendiamo di dominare la natura ha sempre scosso la mia coscienza ecologica. Per questo la mia scrittura si è posta più di una volta al servizio della difesa dell’ambiente. Oltre a cani e gatti, ormai inflazionati nella narrativa contemporanea, All’ombra della fattoria dà spazio anche a topi, ratti, volpi, tassi… insomma hai dato voce anche ad animali “minori” e spesso sterminati dall’uomo. Si tende a dare agli animali sembianze e sentimenti umani quando li si rappresenta, tanto più se sono vicini a noi come cani e gatti. In questo libro mi sono sforzato di rispettare il più possibile la natura dei protagonisti e per questo il racconto è talvolta un po’ crudele perché descrive, a volte in tono epico, la lotta per la sopravvivenza. Si può dire che gli esseri più “umani” dell’opera sono quelli che hanno sfidato maggiormente le leggi della natura. Gli animali selvatici, più lontani al nostro sentire dei loro simili domestici, sono stati perseguitati dall’uomo proprio perché considerati estranei o antagonisti. Per questo motivo il cane è il miglior amico dell’uomo, mentre la volpe, anch’essa un canide, è stata cacciata accanitamente. Una volpe ha procurato danni anche al nostro pollaio, quando ero un ragazzino, ma l’evoluzione della specie uomo deve passare necessariamente per la comprensione e l’accettazione degli altri esseri viventi. È proprio la presenza di animali selvatici a rendere l’ambiente più vario e sano. All’ombra della fattoria non è ambientato solo in un contesto agricolo e antropizzato ma, come suggerisce il titolo, anche nei recessi più oscuri e misteriosi delle siepi, 70
dei boschi e dei fossi che limitano i campi: regno di tassi, volpi, gufi e falchi. Hai scelto uno stile ricercato con il ricorso a volte a vocaboli poco comuni. È questo lo stile che ti contraddistingue o è stata fatta una ricerca specifica per questo libro? Quando ero bambino leggevo i classici della letteratura mondiale e i poemi epici. Il mio stile è stato influenzato da queste letture auliche. Mi è valso qualche lamentela da parte di amici e parenti, anche se ha incontrato i favori della critica più erudita. Oggi, però, la mia scrittura è più semplice e diretta, anche se ho cercato di mantenerne l’eleganza formale e la potenza espressiva. Quando hai iniziato a scrivere e quando hai deciso che fosse arrivato il momento di pubblicare? Ho cominciato a scrivere alle elementari dei racconti brevi che ho smarrito. Il mio primo libro si intitolava Gatti, topi e ratti, l’attuale All’ombra della fattoria. L’ho scritto a dodici anni. Il momento di pubblicare è arrivato intorno ai vent’anni, più in risposta alle esortazioni di amici e parenti che riconoscevano le mie capacità letterarie e mi esortavano a rendere pubblici i testi che avevo scritto o che stavo scrivendo. Hai già pubblicato un altro libro, Insetti della mente. Cos’ha in comune con l’ultimo tuo lavoro? Sei cambiato nel frattempo? Insetti della mente descrive il rapporto tra uomo e animali, ma dal punto di vista dell’uomo, mentre All’ombra della fattoria è un’epopea animale in cui i personaggi umani sono posti volontariamente in secondo piano, per rendere più completa l’immedesimazione con l’universo dei protagonisti a due e quattro zampe. Le opere sono accomunate dal tema della natura e degli animali, ma la condanna della tirannia umana sulle altre forme viventi si delinea in tutta la sua durezza nella prima, mentre nella seconda è espressa solo in forma allegorica, nello stile della favola. I racconti della silloge Insetti
della mente risalgono allo stesso periodo in cui ho revisionato All’ombra della fattoria per la partecipazione a un concorso letterario, quindi lo stile di entrambi gli scritti è quello ricercato di quegli anni. Oggi non sono molto cambiato. La mia produzione letteraria più recente, anche se tocca perlopiù temi “umani”, riflette ancora un profondo legame con la natura. Hai partecipato a diversi concorsi letterari di rilevanza nazionale. Come giudichi il panorama dei concorsi in Italia? Partecipare ai concorsi letterari è senza dubbio uno stimolo e un banco di prova per lo scrittore, ma il consiglio che do a chi scrive è di non limitarsi a questo e, soprattutto, di non scoraggiarsi se il responso delle giurie non è favorevole. La mia impressione è che le giurie il più delle volte siano orientate nella scelta del vincitore da “sponsorizzazioni” o simpatie personali. Con questo non voglio screditare i concorsi letterari in quanto tali, che restano un’occasione per confrontarsi con altri autori, valutare le proprie capacità e il modo in cui la propria produzione letteraria è recepita dai giudici che, in fondo, sono i nostri primi lettori ufficiali. Personalmente preferisco i concorsi a tema libero e senza eccessive restrizioni, mentre quelli che ricordano i “compiti in classe” contraddicono, secondo me, l’essenza stessa della letteratura che dovrebbe essere libertà di espressione alla massima potenza, senza limiti di sorta. È chiaro che non ho mai avuto successo in questo secondo genere di concorsi letterari. Però bisogna riconoscere che le opere più “mature”, quelle sulle quali si è lavorato più a lungo e meglio, di solito non passano inosservate. Hai vissuto all’estero per un certo periodo. Cosa hai imparato da questa esperienza? Ha influito anche sulla scrittura? Vivere all’estero ha contribuito ad “allargarmi la mente”, spingendomi al confronto con altre culture e stimolandomi all’apprendimento o al miglioramento delle lingue straniere. La necessità di esprimermi in una lingua diversa dalla mia, per esempio, ha reso
il mio pensiero più lineare. Dall’inglese, soprattutto quello scritto, ho imparato a essere più pratico e diretto, a costruire periodi meno lunghi e complessi e con meno subordinate. Infatti, si può dire che il mio stile “aulico” risalga al periodo precedente i miei ventitré anni, prima che cominciassi a viaggiare per studio, lavoro o spirito d’avventura. Hai altri libri in cantiere? Ho almeno tre libri in cantiere, senza contare quelli già scritti e in attesa di trovare una casa editrice che li pubblichi. Uno è quasi finito, mentre gli altri due premono per essere riportati su carta. Purtroppo ho sempre meno tempo per scrivere, ma conto di riuscire a soddisfare questo bisogno insopprimibile. Intanto le due trame stanno prendendo forma nella mia immaginazione e spero che lo stallo imposto da altri impegni contribuisca alla maturazione delle opere ancor prima della loro realizzazione. Fai parte di un’associazione che tutela l’orso marsicano. Qual è il tuo impegno a favore degli animali? Sono uno dei soci fondatori e segretario dell’Associazione Salviamo l’Orso che, ormai da quasi un anno, difende l’animale simbolo dell’Appennino Centrale e della regione Abruzzo: l’orso bruno marsicano. La passione per gli animali mi accompagna fin dall’infanzia, ma con gli anni ho preso sempre più coscienza dei danni che l’uomo arreca all’ambiente, delle tante specie animali e vegetali e di interi ecosistemi che sono scomparsi e rischiano di scomparire per meschini interessi economici o per l’indifferenza generale. L’orso bruno marsicano incarna la resistenza della natura selvaggia alla realtà artificiale in cui vogliamo confinarla. La tutela dell’orso è una sfida di civiltà che gli amici di Salviamo l’Orso e io abbiamo deciso di accettare per far sì che anche le generazioni future godano di questo monumento vivente delle nostre montagne. Il mio impegno in difesa della natura, delle piante e degli animali è quotidiano e sono contento di dedicarmi a questa causa.
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A cura di Francesca Argentati
L’autrice di egoEdizioni ci parla del suo romanzo, Lavoratore per caso, dove affronta l’attuale e delicato tema del precariato attraverso la storia di un cuoco che perde il lavoro dopo anni di onorata carriera. Può esserci un lieto fine? Lucia, hai pubblicato il romanzo Lavoratore per caso con egoEdizioni. Si tratta del tuo primo libro? Buongiorno, sì, Lavoratore per caso è il mio romanzo d’esordio. Un mio piccolo/grande traguardo che rende palpabile il fatto che nonostante tutto e tutti, i sogni, se inseguiti e perseguiti, possono realizzarsi; che non bisogna arrendersi e farsi trasportare dalla massa, che con l’impegno e un pizzico di fortuna tutto diventa possibile. Scrivi da molto tempo? Scrivo da quando ero bambina, la lettura e la scrittura mi hanno da sempre affascinato, stimolato e accompagnato. La scrittura mi ha permesso di evadere e di creare un mondo magico solo mio dove potevo calare le mie pene, i miei dubbi ma anche le mie speranze e le mie aspirazioni, a partire dai primi temi a scuola. Via via ho cominciato a scrivere su quaderni e diari e tutt’oggi ho un diario virtuale/ blog che curo con grande passione. Scrivere fa parte del mio essere… non posso farne a meno. Come ti sei avvicinata all’arte della scrit72
tura? Cosa rappresenta per te? Mi sono avvicinata alla scrittura nel modo più semplice possibile: leggendo. Adoro i libri, li ho da sempre ritenuti “sacri” e anche a scuola litigavo con quelli che li maltrattavano. Sono rimasta folgorata dal primo romanzo che ho letto (La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher) e da subito ho sperato che un giorno potessi anche io produrre negli altri lo stesso effetto. Come un po’ tutti si ha sempre paura di far leggere i propri scritti, perché è inevitabile che in ogni parola venga impresso il proprio modo di essere, il proprio modus vivendi, ma ho capito che non importa fallire ma provarci e mettersi in discussione, e oggi sono qui. La scrittura rappresenta tante cose: un modo per andare oltre il proprio essere, un modo per viaggiare tra i lati più nascosti di se stessi; per condividere gioie e dolori; un modo per sentirsi unici e diversi allo stesso tempo; un modo per riflettere e crescere; un mezzo di scontro e di incontro: un mondo che ci arricchisce e che ci fa scoprire quanto possono essere varie le espressioni e le impressioni. Come mai hai scelto di pubblicare il tuo libro con egoEdizioni?
In verità non ho scelto, mi è stata proposta e ho accettato volentieri perché credo lodevole la missione di questa casa editrice. Troppo spesso si pubblicano libri in base all’autore/ personaggio famoso e non in base alla bravura o a ciò che un autore normale (o sconosciuto come nel mio caso) possa o riesca a dare. Come hai conosciuto l’editrice? Ho conosciuto questa casa editrice tramite il Circuito Editoriale. Se potessi tornare indietro, pubblicheresti ancora con egoEdizioni? Certo, reputo l’editore una persona eccezionale. In Lavoratore per caso parli di Alberto, un cuoco cinquantenne che dall’oggi al domani si ritrova disoccupato. La storia del protagonista è realmente accaduta? Sì e no. Inevitabilmente questa storia ha una base reale e nasce dalla valutazione della situazione lavorativa attuale, dalla sofferenza che mi circonda e che circonda un po’ tutti ma al tempo stesso è stata arricchita ed estremizzata per spingere il protagonista allo stremo. Nel protagonista vivono mio padre, mio marito, il mio vicino e forse anche il mio futuro lettore. Hai voluto riflettere sull’attuale situazione di crisi e precarietà. Come mai questa scelta? La scelta dell’argomento è venuta da sé, come risposta a quello che io stessa sentivo ed è nata come un pensiero o meglio una paura fermata su carta; una riflessione dolorosa su tutto quello che stiamo vivendo, sull’incertezza e sull’instabilità del lavoro che non riguarda solo i giovani ma anche le persone di mezza età che non vengono tutelate per nulla. Un grido silenzioso che spero possa far riflettere e possa dare la speranza che il domani sia migliore. Una storia che rappresenta lo specchio del presente e la situazione di molti lavoratori.
Il tuo romanzo ha un lieto fine: dopo innumerevoli umiliazioni, Alberto riesce a risollevarsi. Quali sono le doti necessarie per non arrendersi in una situazione come la sua? Le doti necessarie sono indubbiamente il coraggio, la fede e il non arrendersi nonostante le innumerevoli difficoltà, il cercare di rialzarsi sempre dopo ogni caduta, affrontando ogni dolore con grande sopportazione e dignità. Il tuo protagonista sembra saper reagire a ogni sconfitta senza mai ribellarsi. C’è da chiedersi: troppo ingenuo o molto furbo? Sinceramente nessuna delle due cose. Viviamo in una società dove tutto deve essere catalogato e tutto diviso in bianco o nero ma esiste un mondo in cui il senso delle cose vive anche di sfumature. Non vedo né furbizia né ingenuità ma forti motivazioni che lo spingono a superare tutte le prove che la vita gli pone davanti, senza né esaltarsi né mostrarsi superiore, ma anzi rimboccandosi le maniche con tanta umiltà. Parlaci di te. Chi è Lucia Collo e quali sono le sue aspirazioni? Lucia Collo è una persona semplicissima: una donna, una mamma con tantissimi sogni; un’aspirante scrittrice o forse un semplice “giocoliere” di parole. Una persona comune che ha tanta voglia di comunicare un messaggio positivo: che nella vita nonostante le difficoltà bisogna essere coraggiosi e ottimisti perché i problemi esistono dovunque e comunque. Saperli affrontare o, meglio, sforzarsi di affrontarli ci distingue dagli altri e ci rende dignitosi e degni di emulazione. Le mie aspirazioni più grandi sono quelle di portare avanti la mia famiglia e di ammaliare le persone coi miei scritti. Con l’esordio di questo romanzo ho realizzato un sogno e spero che questo non sia un punto di arrivo, quanto un punto di partenza che possa farmi crescere e migliorare sempre più.
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A cura di Francesca Argentati
Incontriamo Evelyn Storm, scrittrice versatile e personaggio folkloristico che sogna di far sognare con le sue fantastiche storie. Autrice della fiaba Ridolina si addormenta, edita da Edizioni Il Villaggio Ribelle, sta lavorando su numerosi progetti che spaziano tra diversi generi letterari, che la porteranno a crescere insieme ai suoi racconti... Evelyn, sei autrice professionista di ArteMuse Editrice e hai pubblicato un racconto per Edizioni Il Villaggio Ribelle. Vogliamo presentarti ai nostri lettori, iniziamo dalla decisione di farti conoscere con questo nome. È chiaro che si tratta di uno pseudonimo… Buongiorno a tutti e grazie per l’intervista. Evelyn Storm, come hai giustamente intuito, è uno pseudonimo. L’ho scelto per avere un nome “internazionale”, per mantenere alta l’attenzione più sui miei lavori che sulla mia vera persona, o di contro, per creare una sorta di mistero e per non rivelarmi troppo. Non serve che la gente sappia il mio vero nome, da dove vengo o quanti anni io abbia, non lo considero rilevante o di fondamentale importanza, ma non per presunzione. È che, avendo una famiglia, voglio mantenere la giusta privacy, e perché sono fatta così. In ogni caso, esclusivamente per i più piccoli, ho scelto un altro pseudonimo da unire al primo, ossia Fata Isabel. Come è ricaduta la scelta su Evelyn Storm? La scelta del nome è ricaduta su un cartone animato giapponese, Evelyn e la magia di un 76
sogno d’amore, mentre per il cognome ho mescolato insieme un po’ di cose. Ma, perlopiù, diciamo che è stato il nome “tempesta” a ispirarmi. La tempesta è un qualcosa che arriva all’improvviso ma che non si dimentica, e questo racchiude in sintesi il mio concetto di scrittrice professionista, ossia un’autrice che con i suoi scritti è capace di travolgere il lettore. O almeno, dovrebbe tentare con tutte le proprie forze di farlo. Tornando alla domanda, mi è poi bastato tradurre il termine in lingua inglese e ho trovato il mio cognome. Quando hai iniziato a scrivere? Una data precisa non la ricordo. So che fin da piccola adoravo ascoltare le storie che mi raccontava mia madre prima di farmi addormentare e da lì, con il tempo, ho sentito dentro di me il desiderio di scriverne di mie. Ti sei orientata su generi infantili e adolescenziali, come fiabe e fantasy. Perché questa scelta? All’inizio, quando con una mia compagna di scuola avevo pubblicato diversi numeri di un fumetto per bambini e non avevo ancora scelto di diventare Evelyn Storm, mi era sembrato
giusto proseguire con lo stesso genere di pubblico. Varie divergenze mi hanno poi allontanata dalla mia compagna e ognuna ha iniziato a lavorare per conto proprio. In quel periodo leggevo molto le storie rivolte ai più piccoli, che però ho lasciato ferme in attesa della casa editrice adatta. Ora che è arrivata, ho scelto di rimettere in gioco quelle stesse storie. In quanto al fantasy, è uno dei generi che mi piacciono di più. Per ora forse sono solo adolescenziali, ma nel futuro diventeranno sempre più adulte. Osservando il tuo profilo Facebook, si trovano foto molto stravaganti. Ti piace mascherarti? Dovrei dire di no ma è il contrario. Ci tengo però a sottolineare che per me tutto ciò ha una spiegazione che va oltre l’esibizionismo. Adoro i film in costume, ambientati in epoche storiche, e mi piacciono quelle creature note come fate, elfi e simili. Ritengo poi che un po’ di mistero non guasti, in un’epoca dove tutti sanno tutto di tutti, o almeno potrebbero riuscirci, se solo volessero. Infine, il mio sogno sarebbe quello di presentare una storia fantasy vestita e acconciata io stessa come la protagonista delle mie storie, cosa magari insolita per molti, ma per me originale e che potrebbe essere accolta positivamente sia dai più piccoli che dagli amanti del genere. Questo ha inciso sul fatto di voler “mascherare” anche il tuo vero nome, oltre ai motivi che hai già elencato? In realtà la scelta del nome è avvenuta prima. Volevo costruirmi un personaggio a tavolino, un po’ come dicevo per la privacy e un po’ per impersonare io stessa una fata che crea storie e disegni per gli altri. Anche se, con il passare del tempo, la vera me stessa a volte ha preso il sopravvento sulla “fata” che è in me. Poi, una volta scelto il nome, ho semplicemente contattato una fotografa professionista che potesse rendere in immagini visive le mie fantasie, ossia divenire una specie di personaggio magico di diverse epoche storiche. E per rendere omaggio al suo lavoro e a quelle stesse fotografie, le ho inserite in giro per il web. Alcune sono di qualche anno fa, in effetti, anche se mi piacciono sempre come la prima volta che le ho viste.
Una mamma e una moglie che, oltre a scrivere, leggere e disegnare, fa tutte le cose che le madri fanno in ogni parte del mondo. E che, con molta fantasia e voglia di sognare, vive una vita divisa in due. Da una parte la persona che ha delle responsabilità, dall’altra una che entra, quando ne sente la necessità, in un mondo tutto suo. Veniamo al libro che hai pubblicato con Edizioni Il Villaggio Ribelle, Ridolina si addormenta. Come nasce questa fiaba? È nata in modo strano, come particolare e insolita è la storia. Ero a Cortina d’Ampezzo di passaggio con i miei parenti e il caso mi ha portato in una libreria, ma poteva trattarsi di una cartoleria con annessi libri e articoli da regalo. Sono passati anni e non ricordo. Comunque, non so perché ma ho acquistato un libricino sulle erbe medicinali e da lì ho pensato a come potesse una bambina mettere insieme diverse di quelle erbe per uscire da un grosso problema. Ovviamente, la mia poi è una storia, una fiaba, nessun bambino dovrebbe mai mescolarle e ingurgitarle tutte insieme come fa Ridolina, ma d’altronde, ogni bambino non si addormenta quando ride e non ha tra le amicizie della madre una maga di nome Vernilla. Per la descrizione di Ridolina, invece, mi ha aiutato mia figlia, che poi ha il merito di averla anche disegnata. La parola chiave che ci siamo date è stata “stranezza”. Riconosco che la struttura non è quella classica che dovrebbe avere una fiaba che si rispetti. Noi abbiamo optato per l’originalità, che poi contraddistingue tutti gli altri strambi personaggi della storia. Ci sarà un seguito? Sicuramente sì, ma è presto per parlarne. Posso solo dire che la piccola biondina dovrà ancora mostrare al pubblico un po’ della sua vita. Hai altri progetti in cantiere? Ho in ballo e in mente tante cose. Preferisco però che siano i fatti a svelare poco per volta di cosa si tratta, almeno non saranno solo progetti o parole al vento, ma realtà.
Via la maschera, parlaci di te. Chi è Evelyn Storm? 77
A cura di Francesca Argentati
Gianluca Frangella è autore del libro per bambini Talpa Tolpino va nel deserto, pubblicato con Edizioni Il Villaggio Ribelle. Scopriamo quali sorprese riserva questa divertente e simpatica favola. Gianluca, hai pubblicato con Edizioni Il Villaggio Ribelle il libro per bambini Talpa Tolpino va nel deserto. Com’è nata l’idea di questa favola? Tutto nasce da una conversazione interessante avuta circa sei anni fa con una mia amica. Questa ragazza, maestra elementare, ancor prima di essere abilitata all’insegnamento, avrebbe dovuto insegnare il significato di “foggara” a degli alunni di quarta e quinta elementare. Le foggare non sono altro che gallerie sotterranee progettate nei deserti per condurre l’acqua da un’oasi all’altra e quindi negli acquedotti. Fu così che nacque Tolpino, una talpa maldestra che per errore si ritrova nel deserto, dove con spirito di sopravvivenza e iniziativa, progetterà la sua foggara in grado di aiutare i paesi con una forte siccità. Quindi il tuo libro non si limita a essere
molto divertente, ma contiene importanti insegnamenti. La favola rappresenta una metafora? Qual è la morale? Un po’ tutte le favole per bambini sono metafore. Servono a spiegare qualcosa di immensamente grande, utilizzando esempi immensamente piccoli, perché i bambini sono individui immensamente piccoli, ma con una mente immensamente grande. Il messaggio che si intende lasciare è che il divertimento pone a volte dei limiti. Gli sprechi e il benessere (per i Paesi sviluppati) non devono privare la coscienza del sapere che in molti posti lontani esistono bambini che giocano, ridono, muoiono di fame e sete. Concetto fortissimo, ma l’esame della mia amica prevedeva questo. Il protagonista della storia è ispirato a qualcuno? E gli altri personaggi?
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Tolpino non è ispirato a nessuno, se non a un simpatico scavatore in grado di fare gallerie lunghe anche centinaia di metri. Ovviamente, le talpe non costruiscono gallerie profondissime. Forse un tasso, o un altro animaletto che scava buche, sarebbe stato più adatto. Ma cosa di più simpatico potrebbe esserci di una talpa un po’ “miope”, maldestra e dispettosa? Gli altri personaggi sono nati tutti di getto. Scrivo solamente d’impulso e rare volte mi cimento nel modificare ciò che nasce spontaneamente, a meno che non si tratti di un totale fiasco, o qualcosa fuori luogo.
Consigli per l’uso: target e modalità di lettura. Suggerisci fascia d’età e fascia oraria per vivere le avventure di Talpa Tolpino. Prima di andare a dormire? All’interno delle scuole a scopo didattico?
Chi è Gianluca Frangella: la talpina maldestra, il falco dispettoso o lo scorpioncino inaffidabile?
Fin quando qualcosa non inizia, non ha né un seguito né una fine. L’importante è iniziare, poi si vedrà. Comunque c’è l’intenzione di proseguire con la saga di Talpa Tolpino.
Gianluca è uno spettatore che guarda la favola nella sua mente e la scrive. Indubbiamente maldestro delle volte, altre dispettoso. Inaffidabile spero di non esserlo. Favole a parte, come ti descriveresti? Sicuramente sognatore e impulsivo. Amo il quieto vivere e mi piace cercare il lieto fine. Poi descriversi è sempre come vendere il proprio vino. Sono di ottima annata. Chi è stato il primo lettore di Talpa Tolpino va nel deserto? E quale il commento? Il primo lettore è stata l’illustratrice, Valentina Virdis. Credo che lo splendido lavoro fatto basti a dire il suo pensiero a riguardo. Perché questo libro avrà successo tra i più piccoli? La semplicità rende tutte le cose, anche le più complicate, belle. Pensi che la lettura possa essere utile anche ai “grandi”? Insegna la realtà dei Paesi desertici raccontando delle foggare. Non credo siano molti gli adulti che conoscono le foggare, per cui penso sia interessante anche per loro.
A me è sempre piaciuto addormentarmi con le favole, per cui alla sera prima di dormire è un orario che consiglierei. Lo proporrei a una fascia di età tra i 7 e i 9 anni, anche se è stato letto a bambini anche più piccoli. Ci sarà un seguito?
Continuerai a scrivere per i più piccoli o hai altro in programma? Mi piacerebbe scrivere per tutti. Per il momento stiamo lavorando a un romanzo. Poi si vedrà.
L’illustratrice Valentina Virdis ci racconta come ha realizzato il personaggio di Talpa Tolpino. «La favola di Tolpino è un racconto che ho da subito trovato grazioso e scorrevole, con un protagonista buffo e assai distratto. Nonostante il racconto si presenti in una chiave divertente, racchiude una sua morale e tanti buoni sentimenti. Dare un volto a Tolpino e ai suoi amici è stato molto immediato, è bastato leggere la storia per avere già ben chiaro quale sarebbe stato il loro aspetto. Ovviamente poi c’è stata anche una ricerca fotografica per dare ai personaggi dei tratti somatici quanto meno vicini agli animali che rappresentano. Per la scelta cromatica ho deciso di utilizzare colori brillanti e luminosi per creare un’ambientazione magica, adatta a un pubblico di piccoli lettori.»
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A cura di Sara Bindelli
All’apparenza riservata e introversa, Francesca Marano è una delle Fate che animano il Villaggio Ribelle, lo raccontano e lo illustrano. Sono tre le fiabe già pubblicate e una quarta è in preparazione. Francesca ci ha concesso una lunga intervista in cui si racconta apertamente nella doppia veste di autrice e disegnatrice.
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Sei la Fata Cantastorie all’interno del Villaggio Ribelle e narri le vicende di tutti gli abitanti che lo popolano. Come sei entrata a farne parte?
Parlaci del Villaggio Ribelle. Sappiamo che dietro ogni personaggio c’è una persona reale. Quanto la vita delle persone influenza le tue storie?
Prima d’iniziare non credevo che sarei stata capace di rapportarmi con il genere della fiaba, oggi invece non riesco a farne a meno. Il Villaggio Ribelle è non solo un rifugio per me, ma anche la realizzazione di tutti i miei sogni. Un luogo in cui mi sento libera di essere me stessa e di portare avanti la mia più grande passione. Ho intrapreso la stesura della prima fiaba, Giada e la tavolozza magica, spinta da Giovanni Fabiano, mio agente letterario, che non ringrazierò mai abbastanza, non solo per i suoi insegnamenti, ma anche perché ha aperto la mia mente verso nuovi orizzonti. Scrivere fiabe è come immergersi nel mondo a colori di un bambino che, con l’innocenza nel cuore, si appresta a iniziare il lungo percorso della sua vita.
Credo che in fondo il compito dello scrittore sia proprio osservare il mondo e riportare su carta le proprie impressioni ed emozioni anche se non è tutto. Bisogna sempre riuscire a vedere oltre, senza mai fermarsi alle apparenze e, in alcuni casi, rendersi portavoce di esperienze altrui, la realtà che si mescola all’immaginazione: difficile capire dove finisca l’una e inizi l’altra. Sono già tre i titoli pubblicati per Edizioni Il Villaggio Ribelle, Giada e la tavolozza magica, Una Rosa senza spine e Oltre la porta dei sogni, e un’altra fiaba è quasi pronta per uscire. Ogni volta crei una storia originale e riesci a far affezionare i piccoli lettori ai personaggi. Dove prendi
l’ispirazione e come catturi la magia? So che può sembrare una frase scontata, ma la magia è già attorno a noi. Se i più piccoli restano incantati dai miei racconti è solo perché possiedono la chiave per riuscire a vederla. Essa si cela dentro un fiore che sboccia, nella scia di una stella cadente o anche semplicemente in un piccolo gesto di affetto. La magia vive tra di noi, il trucco è non privarla mai della sua libertà, ma lasciare che sia lei a catturare te. Forse è proprio lei a darmi la giusta ispirazione. Vuoi svelarci qualcosa sulla storia di prossima pubblicazione? La prossima fiaba in uscita s’intitolerà Milly - Storia di una farfalla equilibrista. Sarà ambientata sul Monte Quattro Stagioni e tratterà il tema della diversità come unicità, allontanando il termine dall’idea di difetto che si ha comunemente. Nel timore di svelare troppo non aggiungo altro, solo il mio più sincero “grazie” a tutti i lettori che continuano a seguirmi. C’è un personaggio che preferisci all’interno del Villaggio Ribelle? Non credo di essere in grado di esprimere una preferenza. Sono tutti straordinari nella loro unicità e soprattutto, da ricordare, tutti sono reali. Dallo sbadato Prosperius, all’intraprendente Prosperina, dal sincero e a volte un po’ ingenuo Gianlu, all’ironico Orco Michele. Tutti parte di una stessa, grande, famiglia. Cosa pensi piaccia di più ai bambini nelle tue storie? Riescono a immedesimarsi con i personaggi? Credo sia proprio il riuscire a immedesimarsi, oltre che il desiderio di immergersi in un mondo incantato in cui tutto diventa possibile, a piacere tanto ai più piccoli. Riuscire a far sbocciare un sorriso sui loro volti è davvero la più grande delle soddisfazioni.
Cosa vuole insegnare Fata Francesca ai bambini? In ogni fiaba provo a trasmettere insegnamenti di vita sempre nuovi, ma vi è uno che le accomuna tutte: credere in se stessi. Solo questo e nulla più. La vita ci metterà sempre di fronte a degli ostacoli da superare, ciò che conta è, però, non perdere mai la fiducia nelle proprie capacità e prendere eventuali errori commessi solo come opportunità per crescere e migliorare. Sei allo stesso tempo scrittrice e disegnatrice. Cosa ti piace fare di più? Amo la scrittura più di ogni altra cosa e dedico a lei quasi tutto il mio tempo libero, non per obbligo, ma per vero e proprio amore incondizionato. Quando per impegni lavorativi o universitari sono costretta ad allontanare la scrittura, infatti, provo un vuoto immenso, come se mi avessero privato di una parte integrante di me. Per il disegno non è poi tanto diverso. Disegno da sempre e credo che io sia la prova visibile di come, con impegno e passione, si possa sempre migliorare. Scegliere tra i due sarebbe come scegliere tra ossigeno e acqua, impossibile fare a meno di entrambi. Sono grata a tutti i collaboratori della casa editrice non solo per avermi accolta a braccia aperte, ma anche per aiutarmi giorno dopo giorno nella mia crescita sia in termini professionali che come persona. Com’è Francesca al di fuori del Villaggio? Cosa ami fare e quali sono i tuoi interessi? Francesca all’esterno del Villaggio Ribelle è esattamente come al suo interno. Ho un carattere piuttosto introverso e tendo facilmente ad allontanare da me le persone. Sono piuttosto silenziosa e uso questo lato del mio carattere per ascoltare la voce del mondo. Occupo quasi tutto il mio tempo libero scrivendo o disegnando. Ormai considero il Villaggio Ribelle una seconda casa e i suoi abitanti una seconda famiglia. Non importa dove io vada, il Villaggio Ribelle è sempre con me.
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A cura di Silvia Baldini
C’è un mondo, non troppo lontano da qui, popolato di folletti che si chiamano Prospi, fate e altri esseri magici, che anche gli adulti possono abitare. Perché “fiaba” non è solo sinonimo di “bambino”, ma qualcosa di più. Qualcosa che aiuta anche l’adulto a crescere. È quello che è accaduto alla Scuola Primaria di Tavernelle, con il Progetto “Genitori in classe”, che ha visto coinvolti 18 bambini di seconda elementare e che è stato gestito dalla maestra Rita Fabiani. Un’iniziativa svolta in collaborazione con ArteMuse Editrice e Twins Lab Cooperativa Sociale e che ha visto genitori e figli seduti assieme sui banchi di scuola, a creare fiabe e racconti poi raccolti nella pubblicazione Una bottega delle fiabe nel Villaggio Ribelle. È proprio il Villaggio Ribelle il luogo incantato dove si svolgono tutte le storie magiche, i cui protagonisti sono proprio i bambini, trasformati, assieme ai genitori, in folletti. Il ricavato della vendita del libro sarà interamente devoluto alla Onlus Twins Lab. La maestra Fabiani ci ha spiegato come è nata e si è sviluppata l’iniziativa. Quando è nato il progetto e da che idea siete partiti? “Genitori in classe” è un’iniziativa nata sei anni fa per creare un ponte tra scuola e famiglia al di là dei momenti istituzionali tradizionali di incontro, perché la missione della crescita dei bambini va portata avanti dalla scuola in sinergia profonda con i genitori. All’inizio eravamo partiti coinvolgendo nella
scrittura di fiabe e racconti la terza elementare, limitandoci a disegni di paesaggi e personaggi per la classe prima. Quest’anno abbiamo voluto provare a riproporre il discorso della scrittura creativa in seconda elementare, perché i bimbi erano cresciuti, e parlando con Giovanni Fabiano, ci è venuto in mente di creare una raccolta di racconti fantastici sul tema del Villaggio Ribelle, da pubblicare poi nell’omonima collana. Bambini e genitori venivano il sabato mattina, per due volte al mese, dalle 9 alle 11, mettendosi a lavorare a gruppi di quattro, composti da tre bimbi e un adulto. Che tipo di contenuti hanno sviluppato i bambini? Erano tutte fiabe ambientate nel Villaggio, dove loro stessi erano i protagonisti, trasformati in folletti. Abbiamo sempre chiesto loro anche di disegnarsi, per avere anche una sorta di appoggio visivo per il lavoro creativo che andavano a svolgere, puntato a sviluppare storie che non prevedessero l’esistenza dei classici “buoni” e “cattivi”, decisamente contrapposti e destinati a combattere gli uni contro gli altri, ma di dare vita a personaggi più sfumati, che potessero anche redimersi, 85
tramite azioni e comportamenti virtuosi. Quindi erano coinvolti anche gli adulti. Come siete riusciti a convincerli a partecipare? Sono venuti di loro volontà. Quando ho proposto l’attività, a settembre, nella riunione preliminare, non avrei mai immaginato che ci sarebbero state tante adesioni. Abbiamo avuto 20 genitori coinvolti, che hanno lavorato in gruppo assieme ai bimbi, e molte mamme e papà sono venuti assieme. Dunque un’iniziativa innovativa. Come si comportavano gli adulti e come sono usciti da questa esperienza? Il loro entusiasmo, l’impegno e la partecipazione sono stati davvero meravigliosi. Sono indubbiamente maturati, in qualche modo, io amo dire che si sono “elevati” all’altezza dei bambini, da cui si impara sempre molto. Sono maturati nella coscienza di quello che a scuola si fa con i loro figli e hanno imparato a vederli nella loro veste di “alunni”, inimmaginabile da casa. Si è creato anche un maggiore rapporto tra gli stessi genitori, che sono riusciti a fare gruppo, ritrovandosi spesso a confrontarsi, a parlare tra loro, prima e dopo il laboratorio. A proposito di fiabe e magia, qual è stata la formula magica che avete impiegato per far andare d’accordo adulti e bambini? Abbiamo usato il metodo dell’apprendimento cooperativo, in cui ognuno, all’interno di piccoli gruppi di lavoro, ha un ruolo definito. C’è una leadership diffusa, ognuno svolge un compito particolare e non esiste il concetto di “capo” unico dell’attività. C’era chi teneva il tempo, chi si occupava della comunicazione, e così via. Così i bambini hanno imparato a confrontarsi con gli altri e a gestirsi gli uni in relazione agli altri, sviluppando una maggiore empatia verso i compagni. Queste esperienze li aiutano a maturare un senso profondo di umanità, di vicinanza all’altro, che rischiamo di perdere al giorno d’oggi. I genitori in tutto questo erano complici o “autorità” per i figli? Sono riusciti a mettersi quasi sullo stesso piano dei bambini. Con il passare del tempo, 86
compattandosi i gruppi e procedendo il lavoro, i ruoli si sono sempre più sfumati e bimbi e genitori sono stati davvero in grado di fare squadra, di capirsi, di crescere assieme. Per i bambini partecipare a un progetto del genere cosa può significare? Loro fanno tutto per il piacere di fare, hanno vissuto questa esperienza creativa con una grande spontaneità, quella del “qui e ora”, pur conoscendone le finalità. Però ne sono usciti più maturi, sia nell’atteggiamento globale, sia verso i genitori. Hanno acquisito disciplina alla fine del progetto, apparivano più responsabilizzati nel loro ruolo di “scrittori” rispetto all’inizio. Hanno fatto esperienza di lavoro di gruppo, che significa relazionarsi agli altri, cooperare, maturare virtù come la comprensione e l’altruismo. Questo tipo di lavori aiuta i bambini a uscire dal loro piccolo mondo individuale e a guardare a chi sta loro intorno. I bimbi di oggi fanno più fatica a esprimersi, perché, a causa dei mille stimoli che ricevono dal mondo esterno, sembrano subire i contenuti, più che riuscire a produrli. Cosa si può fare per salvare le loro capacità creative? Fanno effettivamente più fatica delle generazioni passate a rimanere concentrati su un unico contenuto e su uno stesso argomento dobbiamo spesso stare più tempo, per consentire loro di memorizzarlo. Però i bambini rimangono bambini e se vengono stimolati con progetti come il nostro, spingendoli, per di più, a essere protagonisti delle loro storie, si ottengono risultati incredibili. Quanto ha bisogno la scuola di iniziative come questa? C’è una necessità enorme di continuare su questa strada. Bisogna ridare ai bambini le fiabe, tornare a farli sognare, stimolarli a immaginare, a creare. Insegnar loro, tramite la fantasia, il linguaggio delle emozioni e la loro corretta espressione, per avere un giorno adulti meno egocentrici, più empatici, più attenti ai bisogni di chi sta loro intorno. Inoltre, è importante coinvolgere le famiglie nei percorsi scolastici per rafforzare la conoscenza reciproca e l’unità di intenti tra queste due agenzie educative, fondamentali per la crescita dei bambini.
ri o tt le li ti n e g i o m a zi ra g n ri , a In chiusura di questa anteprim sarà ancora più ricco di e anticipiamo che il numero zero mpreso uno spazio dedio c , tà si o ri u c ti n a ss re te in e se re rp so aim n a @ fo in zo iz ir d in ll’ a i c te e v ri cato interamente a voi: sc le i rc o p o tt so r e p o ti n e m m o c mista.it per raccontarci i vostri i rispondervi! d ti e li n e b o m re sa , e d n a m o d vostre Vi aspettiamo!
Documenta le tue vacanze, raccontale, foto le, ma fai che restino uno splendido ricord grafale, disegnaArteMuse organizza un concorso letterar o. tre autori che saranno pubblicati gratui io per selezionare partecipare tutti, a condizione che propontamente. Possono di non meno di 25 cartelle; un libro fotogr gano uno scritto 25 fotografie con didascalia; un libro illusafico con almeno nimo di 25 tavole con didascalia; un libro trato con un miillustrate, fotografie e testo che non sia in misto con tavole gine. Tra tutti i partecipanti verranno pr feriore alle 25 pacon la pubblicazione del loro libro, interaemiati i primi tre ArteMuse Editrice, verrà inoltre realizzatamente a spese di racchiuderà i migliori brani degli altri part un’Antologia che ecipanti.