Anti_Corpi

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ANTI-CORPI 7 modi per non dire il corpo

Giovanna Dal Bon/

Abitare il tempo di un’isola. Avamposto di laguna guarda al mare. Isolamento ibrido, fluttuazione erosa. Isola: sogno d’acqua ben circuita. Intreccio di acque desideranti. Antidoto al tutto-acqua. Se un’isola iscrive nel fragillimo ecosistema lagunare è dispositivo di difesa, orto, urto: fortificazione. Grammatica soggiacente all’isola è l’acqua salsa che la erode e corrode, che la sostiene. La torre austriaca circolare, matrice di torri austro-massimilianee, quelle ottocentesche di Linz; di un’Austria post Felix. La Torre Massimiliana dalle “otto bocche di fuoco”. Cilindro in muratura. Manufatto esposto alle intemperie, pietra d’Istria, batteria casamattata, immersa in quasi estinte specie botaniche, il lavorio del vegetale e poi il gelso, il giuggiolo, il melograno. Pioppo nero, pioppo bianco (populus nigra, populus alba), il cipressino. Viali di bordo orientali delimitati dal Leccio, siepi punteggiate dall’olmo campestre. Frutteti: le radici a contatto con il salmastro. Nelle cosmografie di Tolomeo galleggia Sant’Erasmo, tonda, rosicchiata nel contorno. Sorella a miriadi di gonfi isolotti. Barenario smottamento. Anti-corpo alla laguna. Instabile forma di un isolano cedere. Dice sottrazione ad un corpo tutto acquatico così come la pittura sottrae corpo alla figura, ne ferma l’attimo. L’intimo accadere della figura sottratta: eternizzata. Nel corpo eroso dell’isola, dentro il compatto dello stratagemma fortificato un tentativo di dire il corpo: anticipandolo, eludendolo. Le “figure semplici” di Serena. Nudi verticali, esposti. Gli occhi aperti, sfidanti chi li guarda. Il corpo è sempre il luogo di un’utopia ad occhi aperti. Nudità evidente, presentimento di corpo interamente espresso. Stato di veglia. In piedi, a figura intera. La pittura li incrosta, incastra: li isola. Pannelli verticali nel formato di una stele. Corpo che resiste dicendo tutto il suo qui ed ora. Nulla aggiungendo che nudità scarna, sofferta nella postura eretta, quella dell’umano evolvere. Nudità disarmata e disarmante. Corpo di donna. Resistenza. Poi, il nudo sdraiato di una dormiente, la palpebra abbassata. Sonno: l’al di là del corporeo. Altro spazio che cancella il corpo. Fuori, l’orizzontalità della vegetazione isolana, filtra dalle feritoie difensive, in luce. Lasciarsi trasportare dalla corrente senza opporre resistenza. Inondazione gentile. I sottili bambini di Carolina, presupposti unici di tutta la sua pittura. Fragili e tenaci, in neutralità d’espressione e fermezza di postura. Esposti all’estremo di un pericolo: il gelo, la guerriglia, limacciose acque che tutto trascinano; resistono. Aggrappano a filiformi tronchi di betulla, al corpo effimero di un’enorme tela in lino e acrilico. Affiorano corpo unico con cavalli sommersi da fondali color salmastro-laguna. Esorcizzano esondazioni: di senso, di colore, di segno, di intenzione. Non c’è allerta né strepito, indizi di paura o agitazione nel raffigurare un silenzioso tracimare d’acqua torbida che morbidamente fa galleggiare senza più appigli. Monito all’accettazione quieta. Puro accadere senza intervento, evento placido del gesto pittorico.


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