Afghanistan: Aspettando il 2014. La società civile afghana su pace, giustizia e riconciliazione

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“Le nostre forze di sicurezza sono in grado di combattere, ma hanno bisogno dell’equipaggiamento adeguato e della cooperazione da parte della comunità internazionale. A queste condizioni possono fare un buon lavoro. Ma gli internazionali devono fornirci le armi giuste. Non si può difendere un paese a mani nude”, Akhtar Mohammad Ibrahim Khil, responsabile Peace council, Mazar-e-Sharif “Siamo preoccupati per la diminuzione dei fondi per le attività come le nostre, che si svolgono in ambito civile. Rischiamo di dover interrompere in modo troppo repentino le relazioni che abbiamo stabilito con la gente. Dal punto di vista finanziario siamo ancora fragili. Ci serve il sostegno esterno. In più, sono proprio le organizzazioni come le nostre che possono reclamare un uso trasparente dei fondi destinati all’Afghanistan. Se non lo facciamo noi, chi altri potrà farlo?”, Timur Hakimyar, direttore FCCS, Kabul “Tra la gente c’è una forte preoccupazione che con il ritiro dei soldati arriveranno anche meno aiuti allo sviluppo. Stiamo attraversando una situazione estremamente delicata: l’incertezza non fa bene all’economia. Gli investitori stranieri aspettano di vedere cosa accadrà. Ma il paese ha urgente bisogno di investimenti. I milioni promessi dalla comunità internazionale non sono pochi. Ma diventeranno qualcosa di concreto soltanto se verranno gestiti dal governo centrale. Su questo, la comunità internazionale dovrebbe fare un passo indietro, restituendo sovranità al governo e alla società, limitandosi a monitorare la situazione”, Naser Moin, docente di Economia all’Università di Herat “In Afghanistan sono stati spesi miliardi di dollari, ma nelle aree rurali i progressi non sono stati significativi. Lì vive la maggior parte della popolazione, e lì il 70 per cento della gente vive al di sotto della soglia di povertà. In quelle aree, c’è un forte risentimento verso il governo e le istituzioni, che non riescono a garantire i servizi essenziali. Il reclutamento dei movimenti antigovernativi è facilitato”, Mir Ahmad Joyenda, Deputy Director for Communications and Advocacy AREU, Kabul “L’80% circa del budget nazionale proviene dalla comunità internazionale, questo vuol dire che se la mole di aiuti diminuisce troppo repentinamente, i guai per il paese saranno preoccupanti. In ogni caso, il periodo degli aiuti internazionali deve finire prima o poi; gli aiuti sono insensati se nel frattempo la popolazione non si sforza di costruire una nuova società e una nuova economia, dalle fondamenta. Dobbiamo tutti lavorare, darci da fare, anche se mancano infrastrutture di base”, Sameer Ahmad Bana, programme manager DEOW, Maimana “La mia più grande preoccupazione riguarda l’ambito economico, perché i donatori già tendono a revocare il loro sostegno e il nostro paese non è ancora fornito di una buona governance, di investimenti sufficienti, di posti di lavoro. L’economia è strettamente legata alla sicurezza. Nel complesso sono una persona ottimista, ma non lo sono affatto per il settore economico. La comunità internazionale non ci deve lasciare da soli, altrimenti i Talebani rischiano di tornare al potere. Nelle aree a prevalenza pashtun sono ancora forti e godono di un certo consenso, e i pashtun potranno essere tentati di dare ancora una volta il potere ai Talebani”, Hamid Ghulami, direttore Ibn Sina Institute of Higer Education, Mazar-e-Sharif 147


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