

Prefazione
di Nadia Bellutti
Questo racconto breve è un saggio di stile narrativo e di ricerca espressiva. Il narratore è conscio di star offrendo un esempio compiuto del genere letterario della Fiaba, analizzata in tutte le sue componenti fondamentali e topos letterari. Il richiamo alle regole formali della composizione della fiaba è presente nel testo, l’incipit del racconto è il classico “C era una volta”. Si denota l’amore per la scrittura e un gusto erudito per il genere. L’abilità dell’autore è stata quella di condensare in 25.000 battute, un intero universo di significati, riferimenti e dettagli che nel romanzo è banale osservare. La sintesi è un dono nell’era contemporanea, caratterizzata da scelte alternative e fretta del tempo che fugge. Ma la storia del “Principe” è una pietra preziosa, frutto di un esperto laboratorio di gioielleria. L’inizio è una prosa ritmata, una poesia in rime sciolte che ricorda i lavori di Gianni Rodari. Il lettore è colpito dalla musicalitá della composizione. Il linguaggio incantato e sognante incontra un bilanciamento di taglio saggistico che l’autore ha voluto imprimere al racconto. La figura del Principe è subito attraente e spaventosa proprio perché tenuta su un piano di sfondo. I protagonisti sono parimenti príncipi, ma bambini, appartenenti alle monarchie
dell’Europa Occidentale, che equivale a dire figli di buona famiglia. Fa molto sorridere la presenza della Regina Elisabetta, scomparsa l’8 Settembre 2022, “che un caso di strepitosa omonimia lega a una regina inglese realmente esistita”. Anche il riferimento al celebre personaggio di Antoine de-Saint Exupery è riconoscibile nella figura del terzo principe. I bambini incarnano valori autentici (la famiglia, la libertà, la ribellione) che si scontrano, in modo niente affatto infantile, con la burocrazia e le leggi del Principato. Infatti il Principe Cattivo non racconta un regime immaginato, ma restituisce con colori tragicomici, il funzionamento dei moderni Stati di diritto. Il dialogo con il Principe rivela una notevole lucidità ed esperienza giuridico-politica: l’unico momento in cui viene aperto uno spiraglio sul personaggio che da il nome al romanzo, come se il lettore potesse interrogare un entità superiore personalmente. La trama ha uno svolgimento serrato e veloce che amplifica un messaggio sedizioso e ribelle di grande rilievo. La conclusione è commovente, l’autore esprime con maturità concetti alternativi alla politica politicante, fatta di società civile e valori borghesi. Il richiamo a Charlie Chaplin evoca il monologo del Grande dittatore, il film del 1940. Un pamphlet mai polemico, che insegna meglio di qualunque altro testo, l’arte del pensiero critico.
I. IL PRINCIPE CATTIVO
C’era una volta un regno fiorente, con strade alberate e acqua corrente. Tale benessere palese, induce il viaggiatore a complimentarsi con i governanti di quel Paese. La spontanea riverenza raramente coglie coloro che non hanno da lagnarsi, con insistenza, dei rifiuti accumulati e dei ritardi delle carrozze che fan perder la pazienza. Le regole severe inducono l’ospite all’emulazione, pertanto non si getta in terra alcun mozzicone. Colui che osservi più da vicino, scopre presto che il sovrano è un uomo meschino, l’istituzione è quella odiosa della legge, e il lavoro aliena del “tempo del gioco” e costringe a seguire il gregge.
Inizia così la fiaba del “principe cattivo” un racconto classico della tradizione popolare, tramandato oralmente con una filastrocca cantilenante. La contesa accademica tra i letterati e cattedratici ruota attorno al titolo, in particolar modo, al termine latino “captivus” - prigioniero. Esso non denota in alcun modo la condizione di reclusione abietta, il regnante segregato nel proprio castello. L’aggettivo infatti è da intendersi nel suo significato volgare medioevale. Si intende, piuttosto, l’aspetto inerente all’animo del dominatore, vale a dire, la “malvagità”, la connaturata “crudeltà”.
Semmai si volesse ritrovare un significato vetusto del termine, si tratterebbe della costrizione dei sudditi, assoggettati al sogno di ordine e giustizia di costui, quindi “prigionieri”. Questa annotazione, che mostrava un’impronta di inchiostro, era stata aggiunta frettolosamente a un grosso volume, prima dell’interruzione di un altro personaggio.
- Signor Seneca ha terminato il volume relativo al “principe cattivo” o si sta addentrando negli aspetti etimologici di quella buffa canzonetta. È in ritardo, come suo solito. La bambina vuol iniziare la sua lezione di retorica! – La nutrice aveva rimproverato il precettore della piccola erede al trono. Lady Elisabetta Windsor, la bambinetta riccioluta ed elegante, che un caso di strepitosa omonimia lega a una regina inglese realmente esistita, è una dei tre giovani protagonisti di questo romanzetto. - Sua Altezza smetta di stropicciare il vestitino! – Miss Elisabetta è seduta composta su una sedia in legno con decori a intarsio. Le gambine paffute non toccano terra, restano così, ciondoloni, mentre é intenta ad armeggiare con le pieghe della gonna azzurra. Seneca è un uomo estremamente erudito, egli però si dilunga spesso in questioni pedanti e difficili. L’atteggiamento professorale gli è costato l’educazione del suo protetto, il giovane Nerone. Il maestro non vuole ripetere lo stesso errore con la casata inglese. Si rivolge alla tata, sistemandosi le bretelle dei pantaloni
a vita alta del colore fulvo della criniera di un leone.
- Ho convenuto con la famiglia reale di condurre la bimba in viaggio presso le terre del “principe cattivo” perché tragga esempio da quei dominii con i suoi occhi. Prepari la valigia e il bauletto, si parte al tramonto! –ordina il vecchio maestro mentre ripone l’orologio nel taschino.
Altrove, il segretario di Stato tiene un dito tra le pagine di un libercolo, come il segnalibro in un breviario, lo ha colpito il titolo del capitolo: De Principatibus Novis Qui Alienis Armis Et Fortuna Adquiruntur (in merito ai possedimenti che si acquisiscono con l’ausilio di armi e fortuna). - Quel Machiavelli! – L’uomo di Stato è scettico – Non sa quali nuove conquiste si perde nelle terre degli Indios, ottenute senza sforzo e senza offendere nessun Re di Francia confinante. Conseguimenti e trionfi van realizzati senza pestare i piedi di Conti, Arciduchi e Signori, cioè senza far guerre nel vecchio continente. Prova a spiegarlo al faccendiere fiorentino. Bastano tre Caravelle... C’è un intero Nuovo Mondo da occupare e convertire!Termina battendo forte le mani, le medaglie d’oro e d’argento sobbalzano sul corpaccione addobbato di preziosi. La sala del trono è gremita di armati: alfieri e ufficiali, tutti a loro modo parenti alla lontana del monarca spagnolo, che applaudono rumorosi. Il discorso dell’uomo politico, amichevolmente chiamato
Tio Pepe, ha animato la seduta. L’opera saggistica eccellente di Niccolò Machiavelli è stata scritta negli stessi anni della scoperta delle Americhe, intorno al 1500 circa. Si denotano due scuole di pensiero assai diverse: una avrebbe dato origine alla diplomazia e al termine “politicamente corretto", l’altra più simile ad una morale da crociati, sarebbe stata ragione di notevoli successi militari. Infatti il testo dell’autore di Firenze non aveva riscosso grande successo nella penisola iberica e nelle Americhe, dove gli era stato preferito l’“Arte della guerra” di Sun Tzu. Le copie del famoso libro di Machiavelli, rimaste invendute, erano state utilizzate per sorreggere i piedi tarmati del mobilio degli Staterelli europei, sempre in bilico. Il secondo bambino protagonista del racconto, non è affatto interessato all’arte di governo. Si tiene distante dal convegno e resta con la servitù più volentieri. È accoccolato, gambe incrociate, su un tavolone da cucina. È in compagnia della nonna. L’anziana signora, tutta rughe e Madonne, sgrana un rosario interminabile mentre il bambino di dieci anni aiuta la cuoca nettando dello stelo un canestro di fagiolini verdi. Il ragazzino è di indole quieta e malinconica. La canottiera giromanica gli va così larga da rendere ancor più esili le spallucce strette. Ciononostante non gli manca il coraggio. Se solo avesse visto la Morte avvicinarsi alla sua adorata vecchietta, le avrebbe afferrato la falce strappandogliela dagli artigli con un balzo.
- Fernand descansa! (in spagnolo, “riposa!”) - gli intima il re, suo padre – Il “principe cattivo”, tuo prozio nobilissimo, ti invita a visitare i suoi possedimenti in Italia. Non fargli perdere tempo e corri a prepararti, hombre! – Il bambino non contravviene all’ordine paterno - Signorsì, signore! -
Come la maggior parte delle fiabe che si rispettino sono tre i personaggi che si avvicendano nell’impresa. Tre sembra infatti un adeguato numero di ripetizioni per lo svolgimento delle prove, tre è un numero di tentativi sufficiente al fine della comprensione di un data lezione. L’ultimo piccolo principe è un “enfant prodige” a detta di tutti, oltre che dei genitori. Il bambino con segno di intelligenza vispa, declina il complimento con l’affermazione divertente “Grazie signore, anche lei è un elefante portentoso!” Esprime con il sorriso la saggezza più ineffabile. Un ometto incredibile tutto generosità e buone maniere, forse per questo, è lui che ha maggiormente da perdere dalla visita al perfido individuo che dà nome al racconto. Petit Luis (pronunciato Luì con l’accento sulla “i”) anche detto Luigino, avrebbe raggiunto i confini del regno a bordo di un biplano a due posti. La vista dall’alto è suggestiva: il bosco fitto si dirada a mano che i rovi lasciano spazio a campi coltivati a cinque cereali. Un patchwork dei colori pastello: avena e miglio, giallo pallido del frumento, bianco del riso
soffiato. L’atterraggio miete un campo di calcio di orzo. Un allevamento intensivo di bovini lungo la strada sembra tutt’altra cosa rispetto a una mandria al pascolo. “Muu” muggisce la mucca. “Muu” la imita miss Elisabetta dal finestrino, bevendo il suo latte con i cornflakes. Il villaggio ha case alte come palazzi, palazzi con l’ascensore e i citofoni. La periferia ha le strade di terra battuta e asfalto. Il signorino spagnolo, Fernand, si è sbucciato le ginocchia cavalcando un puledro veloce. - Non mi sono fatto niente! – rassicura i servitori al suo seguito. I tre gruppi delle rappresentanze estere si incontrano nella piazza disadorna con il grande monumento celebrativo, la statua equestre dell’eroe nazionale, un avo della dinastia regnante. La deferenza per il principe cattivo si avvertiva nell’impostura delle istituzioni: nelle code lunghissime, nella puntualità delle tasse e delle gabelle, nella formalità delle transazioni (infatti né baratto, né regalo erano conosciuti in quel regno). La gente disgraziata si ubriacava nella taverna, tutti avvezzi al vizio e lontani dalla morigeratezza.
– Abbassate la voce, qualcuno deve andare al lavoro domani! – strilla il Ragioniere Rabbioso, troppo misurato per sopportare quella quotidianità. Le case chiuse erano i soli luoghi aperti dove trovare calore. Il maestro Seneca domanda una stanza nella locanda, mentre Miss Elisabetta costruisce un castello con i
cuscini. Fernand, inginocchiato di fianco al lettino, prega con le mani giunte l’Onnipotente, affinché assicuri salute e serenità alla nonna e a tutta la famiglia, la famiglia reale. Il principino Luigi si sveglia di buon mattino tra le lenzuola rimboccate con un libro di scienze aperto sul comodino. - Cafe au lait (caffè e latte, in francese), monsieur? – Domanda un servitore allungando il cestino con i croissant al burro nella sala della colazione. Luigino nota Fernand leggere gli ingredienti della confezione di biscotti, mesto e meditabondo. - Caffè Olè – Il principe Luis alza le mani al cielo, suonando delle nacchere immaginarie – Il caffè che bevono i toreri prima di entrare alla corrida! – si versa una generosa quantità di latte che diluisce e attenua il colore scuro del caffè amaro. I commensali spagnoli ridono divertiti, si uniscono i tavoli delle due delegazioni e i maschietti diventano buoni amici. -Facciamo a gara a chi riesce a mettere più marmellata sulla stessa fetta di pane! – la sfida interessa Fernand, che si cimenta con la confettura di more purpuree.
La struttura narrativa della fiaba pone un’importanza preponderante sul ruolo dell’antagonista, occorre quindi fornirne generalità e connotati. Il nome del Principe Cattivo è Sparviero delle Grida Incessanti, senza eredi a succedergli ma con moltissimi figli cadetti buoni ad occupare posizioni nell’esercito. Il suo principato è stabile, durevole nel tempo, indifferente
agli scandali che coinvolgono funzionari e Guardia Reggia. Il suo principato assicura le regole, senza di cui non c’è confidenza a segnare i contratti e intraprendere azione alcuna. Non si interessa della morale, anzi il suo esempio è spesso contrario: favorisce il peccato così da poterlo biasimare. Il suo aspetto è bruttissimo: calvo e ossuto, ha la testa di due taglie più grande del corpo. La corona cerimoniale, tempestata da duecento pietre dure, copre la stempiatura e i pensieri più cupi. Le mani hanno più articolazioni rispetto a quelle dei comuni mortali per afferrare le cose con presa rapace e piegarsi in tutte le direzioni: oltre alle falangi, falangine e falangette; egli dispone di falangione, e falangiaccia. Egli si teneva lontano dagli abusi di potere che lo avrebbero danneggiato. Ad esempio, aveva messo a tacere chi cercava di discutere l’introduzione del contestatissimo “Ius primae noctis” nell’Ordinamento del Principato. – Così si perde una buona fetta delle ancelle più belle a discapito di un primo-genito adatto al ruolo! – protestava il Legislatore, prima di essere gettato giù dallo scranno dove era seduto. Sparviero soleva ripetere spesso, non mascherando una certa vezzosità, che egli era conosciuto con quel nome “Principe cattivo” per via della sua intransigente ragionevolezza, altrimenti l’avrebbero additato come il “Principe Perverso” e spodestato nel giro di pochi giorni. Per conservare il potere occorreva facesse concessione di Costituzioni, Incentivi e altri dirittucci
civili, senza mai eccedere nelle pretese. Sparviero aveva conservato il trono senza complotti di palazzo. Le stanze dei bottoni sono una contigua all’altra: il salone del gran Consiglio si apre sulla camera dei Cento, il tribunale della magistratura ha una parete in comune con quella della gendarmeria. L’architettura del palazzo è il modo in cui il potere ama rappresentare il funzionamento della struttura istituzionale, come un diagramma di flusso di cariche e uffici fatto di stanze e corridoi. La similitudine della burocrazia con il palazzo funziona! Chi potrebbe sostenere che l architettura del potere non si regge su molti pilastri: nessuno! Allo stesso modo i reparti e i dipartimenti, coorti e gabinetti sono valenti, ma di colore grigio e spento. Questo è il Principato! Sparviero però, abita un castello più alto, che è un luogo tortuoso, pieno di zone buie, con le fondamenta che affondano nel fango e con i merli delle murature taglienti affinché non ci si posino nemmeno le rondini. Come avesse ottenuto autorità e diritto, cioè come avesse assoggettato le genti più irriducibili e ostinate, come avesse domesticato la pianura e colonizzato le isole erano aspetti taciuti e misteriosi. Il funzionario ingobbito e mal in arnese aveva redatto un inventario delle proprietà di Stato, vi rientravano: fiumi, spiagge, interi ambiti montani, perfino parte del baretto di Guascone, il Roxy, quell’area all’aperto del plateatico con i tavolini, per cui pagava una concessione. Tutte le zone belle, i palazzi storici più
signorili, erano del Sovrano, che equivale a dire per uso dell’amministrazione. Rimanevano al popolo solo le catapecchie di cemento armato, non intere, sia chiaro, ma solo un appartamento, quello per cui le mamme e i papà accendono un mutuo. Nonostante le disparità e la miseria, nessuno rivendicava per sé una collinetta o uno scoglio in mezzo al mare. Chi si fosse opposto sarebbe stato giudicato, incarcerato e infine, a maggior sfregio, fatto passare per pazzo dagli araldi e dai bardi, che si chiamano media.
- Se aveste notato una evidente e innegabile malvagità, ricordate che si tratta della storia del “Principe cattivo” non è la realtà. Diversamente, cosa fareste bambini, non vi ribellereste? Non terreste sempre animo avverso al Principe e ai suoi sgherri, funzionari e poliziotti? –
- Maestro Seneca, ha smesso di fuorviare i bambinisubentra il Ministro delle Opere Pubbliche, Urbano degli Espropri. Il precettore tace al rimprovero, memore del pasticciaccio causato dal suo discepolo Nerone. - Hanno fatto un giro del palazzo di vostro gradimento, piccolini? – domanda il secondo Ministro presente, Giustino da Forlimpopoli, il Guarda Sigilli con la toga. Lo sguardo del magistrato è inquietante, reso ottuso e poco perspicace dalle spesse lenti degli occhiali con la montatura tonda.
- Esto sistema è ipocrita! – obietta sua maestà Fernand. Luigino supporta la tesi dell’amico e gli appoggia il
braccio sulla spalla – Siete chiusi nel castello. Perché non aprite la finestra per far passare aria e lasciar entrare qualche uccellino migratore a fare il nido...obietta Luigino torvo, pensando ai braccianti respinti. Elisabetta scuote la testa contrariata.
- Come frignano e recriminano questi pargoletticonsidera sommessamente il Ministro Urbano. Il vociare e gli schiamazzi richiamano l’attenzione del Principe Cattivo in persona. Sparviero delle Grida Incessanti convoca gli invitati. Seneca approfitta per aggiornare il volume enciclopedico relativo al soggetto sopra citato. Il cognome “delle Grida Incessanti” allude tanto alla spaventosa presenza che induce alle urla, quanto al termine desueto riferito alle “Grida”, vale a dire le “ordinanze” e le “norme” che devono essere costantemente aggiornate e inarrestabilmente promulgate per mantenere il potere. La Stanza delle Alabarde è il luogo deputato dall’autore per ospitare il confronto tra lo spietato malfattore e gli innocenti inquirenti. - Concederò a ciascuno di voi una domanda, che nel totale farà quattro! – dice il mostruoso principe accennando al Maestro. La prima a parlare è Miss Windsor, la piccola si schiarisce la voce:
- Cosa trasforma le tue “pretese” in “prescrizioni”? –domanda la bambina impertinente.
- Nel Regno tutto è stabilito dalle norme. Sono le Leggi che i miei scribacchini in Parlamento e al Ministero
redigono. Ogni comando è regola, anche la più assurda. Ogni istruzione deve essere eseguita a pena di sanzioni. La Legge mi dà il potere che altrimenti la Natura nega, quello di essere in ogni luogo...– Le palpebre del sovrano si sollevano spalancando l’abisso dei suoi occhi vuoti.
- Perché gli uomini sottomettono la libertà elargita da Dio a te che non hai natura divina? – domanda Fernand, il principe cattolico.
- Perché essi sono convinti di ottenere una libertà più grande. Se Dio si sveglia ogni mattina e risplende di luce nuova sul Creato, lo Stato non dorme nemmeno la notte. Lo Stato ha l’ambizione di perdurare nel tempo e misurare le ore. Proibizioni ed obblighi limitano le infinite possibilità degli uomini uniti. Così invece di attingere l’acqua al fiume essi possono bere quella ferrosa delle tubature arrugginite e più facilmente cederanno il diritto di emungimento. L’emancipazione si realizza con il lavoro, quella condizione di dipendenza che si chiamava schiavitù – il Principe cattivo soffia il suo alito mefitico.
- Cosa conserva il tuo privilegio? – domanda il francesino acceso da autentica curiosità.
- Non vi è godimento del mio privilegio, ma regola perpetua. Ad ogni modo, é mediante l’opera pubblica che incremento le mie ricchezze, l’opera pubblica
rende gli onesti lavoratori e i truffatori consociati. L’iniziativa del Principe è spesa pubblica senza nessun debito. Il denaro di cui dispongo a piacimento con determine e impegni, è la moneta che compra la lealtà dei miei servitori. La ragioneria del Principato emette buste paga e liquida servizi e lavori. La sincera ambizione personale di un singolo diventa nuovo carburante per la macchina di Stato, ma anche dalle vecchie sterpaglie conseguo una buona fiamma. Questi sono gli ingranaggi che muovono la ruota dentata del Mondo! – Il principe serra le mascelle e digrigna i denti ingialliti. Tocca al maestro Seneca porre la sua domanda:
- Ed è contento, Sire, del risultato raggiunto? – la domanda generó un silenzio assordante. I legulei e i funzionari sono soliti ripetersi che l’amministrazione dei beni mobili, immobili e immateriali (come i frutti dell’intelletto) spetta al Principato perché l’unico in grado di realizzare il “maggior benessere per il popolo”. In fondo, così recitava il rassicurante cartello di propaganda nello studio del vice-questore: “Le migliori condizioni per tutti”. Il Principe cattivo, appoggiando i gomiti sui braccioli imbottiti, soppesa la testona sproporzionata tra le mani. - Non ho parere in merito! - risponde seccato, poi aggiunge adirato pensando alle folle di gente e il rumore del traffico
- Che il pianeta esploda, si disintegri la decenza, niente
guasterà la mia reggenza! – così dicendo indica la porta con un dito ungulato e oblungo ripiegato in cinque segmenti tortili. Quelli escono svelti. I Ministri accolgono i bambini con la mezza luna della bocca contratta in un sorriso. - Adesso non comprendete la lezione perché tutti i bambini sono anarchici, quando diventerete adulti anche voi sarete monarchi fermi come vostro prozio, il Principe! – dice rassicurante l’untuoso guardasigilli. I bambini impenitenti deridono il sovrano. Uno preme il dorso della mano e soffiando a labbra serrate -PRRRRRR!- lo schernisce. Le offese più stravaganti sono rivolte all’indirizzo del re. Improperi irripetibili, insolenze che non si addicono a fanciulli ben educati, tuttavia perdonabili in questa occasione. Lo spagnolo si anima, è il più esperto in insulti volgari che ascolta dagli scudieri. È sinceramente partecipe, gioiosamente oltraggia la civiltà del Principato. È allegro, finalmente! Un terzo ministro compare alle spalle del ragazzino. Si tratta del Ministro della Guerra. Ha nastrini tricolore sul medagliere, la faccia severa e piena di cicatrici. Si piega verso il moccioso e indica con il dito tozzo un punto al centro della camicia del piccolo Fernand, quello dove batte il cuore. - Hai una macchia qui! – e punta l’indice sul petto del bambino, che abbassa il nasino per controllare. Quel bruto con movimento rapido lo colpisce con uno schiocco delle dita sulla fronte. Fernand reagisce impulsivamente allo scherzo
del ministro. Scaglia, con impeto, i pugni più vigorosi e tenaci che abbia mai assestato, che arrivano attutiti all’altezza dello stivale di quello, assai più grosso. Maestro Seneca che si interpone viene braccato dalle guardie. - Lei è un prepotente – dice miss Elisabetta Windsor. Il Ministro delle Opere Pubbliche mette a tacere la bimbetta sollevandola in braccio. Luigino preoccupato per l’amico spagnolo, prende un’ampolla di oli essenziali da toletta, altamente infiammabili, che impregnano tappeti e arazzi. Seneca che è un assiduo fumatore, cerca nella borsa del tabacco, l’acciarino battifuoco con cui incendia la scia profumata. Hanno un istante per scappare, Fernand da un pugno nelle palle al Ministro della Guerra che si accascia dal dolore. Elisabetta rompe i vasi di ceramica dell’atrio, Luigino stacca una tenda di velluto pesante e impacchetta il guardiano all’ingresso. L’incendio che divampa dalle finestre impiega tutti per essere placato.
- Ecco ci risiamo, la stessa cosa successa con Nerone–si picca il maestro. Molti anni prima, gli era stato affidata la formazione di un futuro imperatore romano. Lo aveva messo in guardia dai rischi della tirannia, dalle perversioni e le dissolutezze dello spirito. Quello sembrava pronto. Ma al momento dell’incoronazione, al nuovo imperatore sembrò buona idea incenerire con le fiamme tutti i problemi. Non si trattava di pazzia, come sostennero i detrattori, né tanto meno di manie di
grandezza. In verità alla vista delle contraddizioni insopportabili del potere, la tentazione è quella di far bruciare l’Istituzione e ritirarsi dalla vita pubblica, magari in una Domus Aurea. - Così fu per Nerone, bambino destinato a grandi imprese! – ricorda Seneca addolorato. Percorrono di corsa il viale con le bandiere, sono trafelati. Il gruppo si riunisce con i camerieri e i valletti al porto fluviale. La banchina deputata al carico delle merci è ingombra. Le dimensioni della chiatta con basso carenaggio sono massicce. È il bastimento di container dell’imperatore della Cina, che viene scaricato dall’importatore europeo autorizzato chiamato Marco Polo. L’imbarcazione trasporta otto tonnellate di cianfrusaglie, diciotto tonnellate di chincaglieria, tutto realizzato in polimeri e CO2. Quattro parallelepipedi di apparecchiatura elettrica destinata a diventare RAEE (rifiuti elettronici) vengono consegnati, commerciati a poco prezzo, infine conferiti a discarica, un vero caso di “dumping”. Ecco arrivare la flotta inglese, i rinforzi! L’ammiraglio Nelson svetta sul pontile di prua, solido e trionfante come la scultura che ne riproduce le fattezze in Trafalgar Square. Riconosciuta la figura del comandante, la bambina che ne apprezza la statura, dice un po' altezzosa - Quello è un amico del mio papà! – l’affermazione smaliziata tradisce l’innamoramento ingenuo. - Salite a bordo giovanotti! Prego maestro di qua! – Horatio Nelson indica l’area del timone a
Seneca. Potenti remate conducono i nostri fuori dalla portata di eventuali cannoneggiamenti.
Fernand è poggiato sulle gomene per l’ormeggio, fa roteare la cima della corda pensieroso. Petit Luis salta sul fiocco di una vela di prua ed è subito nei pressi. Riflette sulla esperienza vissuta. Ha appreso da poco cosa sia un sillogismo, un esercizio di logica aristotelica. Espone quanto dedotto al cugino spagnolo, che conviene con lui. Il sillogismo è questo: Tutti i governi esercitano il potere. Il potere (in tutti i luoghi) ha natura profondamente arbitraria. Allora tutti i Governi sono autoritari, e in definitiva, cattivi.
- Quando sarò grande il mio governo sarà diverso – dice la bambina in piedi su una botte destinata alla stiva. –Concederò a chiunque la superiore libertà di impresa privata, in modo liberale e anglosassone! La libertà si esprimerà nella scrittura e nella musica dei Beatles e dei Queen. Vi sarà la libertà di sbeffeggiare pubblicamente il re da parte di simpatici giullari come Charlie Chaplin - Miss Elisabetta si tiene salda al barilotto che impiega come leggio dello speaker’s corner, il punto per le arringhe di Hyde park.
- Anche io voglio diventare un buon rey! - confida Fernand – Le persone non dovranno sentire alcun vincolo con il lavoro, sarà più importante la felicità e una buona alimentazione. Il ruolo prescinderà
dall’occupazione. Ciascuno potrà essere un buon padre o una madre amorevole. La forma più elevata di comunione sarà nella famiglia, allo stesso modo che nella famiglia reale. L’eredità più preziosa sarà il proprio nome, questo è un atteggiamento orgoglioso, propriamente spagnolo! – conclude il ragazzo già uomo. Luigino è rimasto silenzioso. Viene spronato a raccontare i suoi progetti futuri da tutti gli altri.
- Io non voglio fare il re, non mi compete – dice Luis sicuro – Gli uomini sono uguali, deve esserci tra di loro fratellanza – il bambino enuncia i concetti repubblicani
- La libertà è una condizione naturale che può essere guidata alle realizzazioni più ardite. Slancio ed entusiasmo, passione e zelo condurranno gli animi, mentre il potere dei governi fiacca sempre questa emozioni forti – così avrebbe ripetuto all’Assemblea nazionale prima di abdicare tra lacrime e singhiozzi liberatori. L’aria che soffia sul lungo fiume italiano, il solco d’acque che attraversa le regioni pianeggianti del Nord, è carica di elettricità. Il mese di Settembre è alle porte e occorre rientrare a scuola.
La conclusione della fiaba, quel genere letterario fatto di príncipi e aiutanti magici e saggi è solitamente sbrigativo, “tutti vissero felici e contenti”, ma perché ciò avvenga occorre che ciascuno si attivi con impegno civico, che si indigni, che sia propositivo, altrimenti i cattivi vincono per consuetudine e consunzione delle
organizzazioni sociali. Così avrebbero vissuto veramente tutti felici e contenti...
