Abbi Abbè, 21 aprile 2012

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Attualità

N. 9 del 21 Aprile 2012

Eventi & Tradizione

Tammurriata, torna in piazza Annunziata di SERENA LI CALZI

Nel difficile momento culturale che l’Italia sta vivendo, il valore delle nostre origini ed il recupero della tradizione è diventato un aspetto fondamentale del nostro territorio. La ricerca del passato e renderlo ancora vivo, unisce la cultura locale generando un sentimento di aggregazione in via di

Il 21 i carri allegorici stazioneranno lungo corso Campano dalle 17 per poi dare il via alle danze tipiche estinzione. Ecco perché Giugliano, in occasione del Martedì in Albis, riprende la sua tradizione che si esprime al massimo nella così detta “Tammurriata Giuglianese”, legata alla festa rituale che si svolge il primo lunedì dopo Pasqua a Sant' Anastasia presso il Santuario dedicato alla Madonna dell'Arco. La Tammurriata Giuglianese presenta alcune particolarità legate sia alla musica che alla danza. A primo impatto risulta essere di grande spettacolarità per chi la osserva. È diventata una danza di folklore molto apprezzata indistintamente da diverse generazioni, per il suo peculiare fascino ipnotico e oggetto di studio dagli appassionati della cultura popolare che negli ultimi tempi interessa soprattutto un pubblico giovane. Il termine

“Tammurriata” viene da “tammurro” o ” tammorra” l'antico tamburo a cornice autoctono che da secoli accompagna la voce del popolo campano, per devozione o per esprimere i canti del disagio sociale. La tammorra consta di una cornice circolare, sulla quale viene applicata una pelle solitamente di capra, e dei cembali di latta adattati alla cornice. Attraverso un'attenta visione dei reperti iconografici, la tammorra riporta ad origini antichissime e precristiane ed era uno strumento presente in diverse regioni del Mediterraneo, suonato per propiziare raccolti fecondi ed auspicare continuità nei passaggi stagionali. A Giugliano l'espressione “Tammurriata” può essere sostituita con “Siscarata” poiché oltre alla tam-

Dal festival di Recanati nel ’93 ad oggi

Martedì 17 Aprile 2012, Caserta ha ospitato un grande artista di fama internazionale: Gianmaria Testa

In occasione della rassegna “Luoghi Musicali” che si sta svolgendo al Black Cat di Caserta, incontriamo il cantautore Piemontese. Ripercorriamo con Testa la carriera, il significato della “canzone” giungendo all’ultimo album “Vitamia”

Dal primo riconoscimento che giunge nel ’93, Festival di Recanati, fino ad oggi, hai suonato in Francia, Germania, Austria, Belgio, Canada, Stati Uniti, Portogallo. In Italia è stato più difficile trovare spazio. Secondo te per quale motivo? «Il mio inizio è stato casuale. Inviai una cassetta a Recanati nel ’93. Vinsi il Festival. Ebbi proposte in Italia ma non erano, dal mio punto di vista, dignitosamente accettabili. Siccome lavoravo come ferroviere non mi sono posto dei problemi. Nel ’94 partecipai di nuovo al Festival che rivinsi. Quel secondo anno c’era una produttrice francese che mi chiamò dopo qualche mese, voleva occuparsi di me per la Francia. Ma io avevo lavoro, famiglia e non intendevo assoggettarmi a proposte che non mi corrispondevano. Dopo altri due mesi mi ricontattò e mi disse che c’erano 3 case discografiche interessate a quello che facevo e mi suggerì un’etichetta che oggi non c’è più. Da li ho registrato il primo disco a Parigi. Una realtà che mi ha proiettato molto più avanti di Roma o Milano poiché l’area francofona è molto vasta. Se fai un buon “Olimpià” ti vogliono a Montreal, Bruxel, Ginevra e così via. Il perché della scelta del pubblico non saprei dirlo. All’estero il mio pubblico non ha origini italiane ma è autoctono. Aiuta molto la nostra bella lingua, percepita all’estero come lingua musicale per eccellenza. La canzone ha una capacità di penetrazione emotiva immediata. La gente comprende se sei li per raccontare la tua piccolissima verità o se sei li per fare spettacolo. Io non faccio “spettacolo”, faccio concerti». Non credi che in Italia la difficoltà di comprensione sia nell’abitudine ad ascoltare musica “urlata” rispetto alla Francia, abituata ad un certo tipo di musica sussurrata? «Il discorso è ben diverso: nel ’95 in Francia, nel mio primo disco, la canzone entrava

ancora nell’ambito della cosiddetta cultura. Io da italiano in Francia ho beneficiato dei fondi per la cultura. Quando ho registrato il disco, la casa discografica lo ha inviato ad alcuni critici che ne hanno scritto molto bene. Arrivò il mio primo concerto nella “Maison De La Culture d’Amiens”, luoghi che dipendono direttamente dal ministero della cultura e non dalle municipalità. C’è un direttore artistico che stila una programmazione. La Maison de la culture d’Amiens ha due sale, una da 1200 posti e una da 300. Quando giunsi ad Amiens mi accorsi di essere in programmazione nella sala grande. Il direttore mi spiegò che la gente non veniva per me ma per una proposta loro. La gente si fidava della programmazione ed infatti il teatro era pieno. Se tu non hai niente da dire finisce li, fortunatamente per me è andata bene. Ma io ho approfittato dell’investimento collettivo, in Italia questo non succede da tanto. Investimenti della cultura sono quasi nulla. Nello 0.19% destinato alla cultura c’è di tutto quindi è impossibile fare qualsiasi discorso. Nel governo nuovo non ho mai sentito dire la parola “cultura”, non c’è un pensare in questa direzione. In Francia questo non succedeva, anche se è cambiato molto anche lì». Parliamo dell’album “Altre Latitudini” del 2003. Sono 14 canzoni d’amore. Ma quanto può far male o far rinascere un amore?

«Credo di sapere cosa non so fare. Non so raccontare gli stati estremi dell’anima. Un amore vissuto non ha bisogno di essere cantato perché dentro c’è tutto quel che serve. Così come la disperazione di un amore perso non ha bisogno di essere detto. Provo a scrivere sugli stati intermedi del vivere la condizione d’innamoramento che a me pare essere una delle poche cose che ci collegano, individualmente, con l’infinito. Di qualunque estrazione sociale siamo abbiamo l’incredibile possibilità di vivere una quotidianità molto dura che poi viene improvvisamente rialzata perché c’innamoriamo. Sentiamo meno la fame, la disoccupazione e l’amore diviene la nostra droga». L’album “Da questa parte del mare” vince La Targa Tenco del 2007. Dedicato alle migrazioni moderne. L’Italia attraversa un periodo in cui la colpa, spesso, di ogni problema sociale è dell’immigrato, dimenticando che noi siamo stati un popolo di emigranti. «Esistono vero e proprie città italiane all’estero. Purtroppo non bisognerebbe dimenticare il passato, proprio perché imparando dal passato si può immaginare un futuro. Siamo caduti in una trappola di demagogia ed assurdità etica da dimenticare che noi siamo stati il paese occidentale che più ha fornito di emigranti il mondo». Il 17 Ottobre 2011, giorno del tuo compleanno, il nuovo album “Vitamia”. «La misura del tempo è molto piccola, se ti dico “Ci vediamo l’anno prossimo” sembra una distanza enorme. Se ci vediamo dopodomani, sai quando è. Il giorno e la notte è un tempo ben connotato. Una misura di tempo molto piccola per permettere a qualcuno di rubarcela o a noi stessi di sprecarla. “Vitamia “sono appunti di vita privata che ho deciso di condividere col pubblico». Serena Li Calzi

morra ed alla voce, strumenti coprotagonisti, nella Giuglianese, è il Sisco, becco di un flauto dolce con innestata la parte armonica costruita con una canna di lago, ad essere il vero pilastro portante. Non tutte le canne di lago sono adatte a costruire questo strumento, e rimane gelosamente custodito il segreto per la selezione e la lavorazione artigianale. La canna si dice debba essere maschio per poter suonare e non tutti la possono riconoscere. A differenza delle altre forme di ballo sul tamburo presenti nella nostra regione, lo stile giuglianese presenta presenta un ritmo particolarmente incalzante, un canto largo e melismatico dal registro marcatamente acuto ed una danza piuttosto concitata. La “giuglianese” può essere accompagnata da più tammorre, sincronizzate nei passaggi dalle frasi melodiche dettate dal flauto di canna. La “votata”, cioè il climax coreutico ed allo stesso tempo momento di rigenerazione per coloro che danzano, è sottolineato dalle note insistenti del “sisco” che poi riporterà le tammorre ad accompagnare il canto ed il suo incessante ripetersi. La “semplicità” e la ciclicità dell'antica filosofia contadina, legata ai tempi di semina e raccolto, si manifestano in questa forma espressiva con grande sincerità. Oggi l'interpretazione di questa antica forma coreutico musicale è nelle mani di pochi esecutori autoctoni che sono poi i veri conoscitori e suonatori del flauto di canna. L'esponente maggiormente conosciuto è Don Peppino di Febbraio che tiene viva con la sua “paranza” questa specialissima forma espressiva al suono del suo inconfondibile sisco. Le altre “tammurriate” presenti nella zona dell'agro- nocerino-sarnese consistono solitamente di un ritmo più lento, il cantore canta il testo in modo maggiormente cadenzato, ed il ballo simula una sorta di corteggiamento tra uomo e donna. Chi osserva può percepire, nelle movenze della donna così come nel maschio, dei movimenti molto più dolci rispetto a quelli della danza giuglianese. Nella danza di Giugliano, infatti, la presenza di soli uomini o sole donne già denota che non si tratta di un corteggiamento ma di una sfida. A ritmo di musica si svolge la lotta, soltanto chi resisterà di più sarà il vincitore. Il “popolare” è una presa di coscienza delle nostre origini. Chi decide di abbracciare questa cultura impara a conoscerne il senso più profondo. Ogni gestualità, ogni suono ed ogni passo ha il suo significato che va ricercandosi nelle più profonde origini della storia. L’Italia si nutre di storia. Beve dal suo popolo che ne ha reso una Nazione ricca di cultura ed arte in tutti i campi. Il popolare è la massima espressione di un popolo che ricerca nella tradizione un’identità che l’ ”evoluzione” culturale, purtroppo, sta oscurando.


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