Scritte, di Fabio Ricci

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Fabio Ricci

non può accettare di odiare tanto una persona, si rifiuta per non essere costretta a lobotomizzarsi dall’odio. Ma è lì. Il colpevole è lì. Colui che da sedici anni rende la mia vita un brutto incubo è lì. Anche colui che l’ha resa un successo. Mi sorride amabile. Non è mai stato così facile trovare un pretesto per far del male. Adesso è ciò che voglio, farlo soffrire il più possibile. Poi avviene l’impensabile. Rasputin mi si avvicina piano. Le sue mani, finora nascoste dietro la schiena, vengono alla luce. In una c’è una ciocca di capelli, i capelli di mio figlio, nell’altra c’è una penna. Mi porge entrambe le cose continuando a sorridere. La miccia dentro di me, pronta ad esplodere con inaudita violenza, è spenta dal soffio delle sue parole. “Prendi Dan. È il momento di scrivere.” Lo guardo come si guarderebbe una persona che ti ha confessato un incredibile segreto. Rasputin continua a sorridere. “È il momento di scrivere, di dirle quanto forte la amavi, quanto ti mancherà.” La stanza intorno a me sfuma in un vortice di nebbia e sangue, rimane solo la voce dello Scrittore, nitida e implacabile. “È il momento di farle sapere che sei il più grande scrittore di tutti.” Scorgo il mio profilo nello specchio a muro, al di là del letto, ma… Non sono io Vedo il piccolo Dan che si tiene la testa tra le mani. “Non dirmi che hai dimenticato, piccolo Dan, che hai dimenticato il motivo per cui tu ancora sei.” Il ragazzo a terra, accanto ad una bottiglia di latte rovesciata, e dei fogli, il suo primo stupido romanzo. “Tu ancora sei, perché sei come me.” Vedo la sagoma nera dell’assassino, il disgustoso assassino dei miei genitori. Loro giacciono sul letto immobili, ma c’è qualcosa che non quadra, perché, vedete, sui loro corpi non c’è alcuna scritta rossa. “È il momento di dare una dimostrazione di onnipotenza.” La sua voce continua a risuonare come dentro una campana.


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