Quaderni acp 2011 18(6)

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Quaderni acp www.quaderniacp.it bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della

A ssociazione www.acp.it

C ulturale

P ediatri ISSN 2039-1374

La redazione di “Quaderni acp” augura ai lettori, alle loro famiglie e alle famiglie dei loro assistiti, un Felice 2012

n o v e m b r e - d i c e m b r e 2 0 1 1 v o l 18 n ° 6 Poste Italiane s.p.a. - sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 2, DCB di Forlì - Aut Tribunale di Oristano 308/89

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Quaderni acp Website: www.quaderniacp.it November-December 2011; 18(6)

What will paediatric do once she grows up? Paolo Siani 241 Editorial

Birth by cesarean section: is it different for newborn? Gherardo Rapisardi 242 Forum

The Prevention of child abuse Giuseppe Cirillo Health Equity Audit: a tool for a local action in health inequalities Mauro Palazzi, et al. 245 Public health

When “side effects” are beneficial Isabelle Robieux, Elisabetta Santin, Franco Colonna 254 Health care system

Cognitive-behavioral therapy in developmental age Angelo Spataro 256 Mental health

Ulisse’s voyage Fabio Sereni, Alberto Edefonti

257 Paediatricians among two worlds 258 Info 260 A close up on progress

The development of paediatric palliative care in Paediatric Oncohematology: models and pathways Veronica Leoni, et al. Chickenpox: the effectiveness of acyclovir in treatment and prevention Ilaria Fontana, Cinzia Cucchi, Costantino Panza

Q uaderni

acp

bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici a cura della

Associazione Direttore

Giancarlo Biasini Direttore responsabile

Franco Dessì

Comitato editoriale

Antonella Brunelli Sergio Conti Nibali Nicola D’Andrea Luciano de Seta Michele Gangemi Stefania Manetti Laura Reali Paolo Siani Francesca Siracusano Federica Zanetto Collaboratori

Francesco Ciotti Giuseppe Cirillo Antonio Clavenna Carlo Corchia Italo Spada Organizzazione

Giovanna Benzi

Progetto grafico

Ignazio Bellomo

Culturale

Pediatri

Internet La rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita on-line della letteratura medica ed è pubblicata per intero al sito web: www.quaderniacp.it e-mail: redazione@quaderniacp.it Indirizzi Amministrazione Associazione Culturale Pediatri

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e-mail: francdessi@tiscali.it Direttore Giancarlo Biasini

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viale Angeloni 407, 47521 Cesena Tel. 0547 610201

e-mail: info@stilgrafcesena.191.it QUADERNI ACP È PUBBLICAZIONE ISCRITTA NEL REGISTRO NAZIONALE DELLA STAMPA N° 8949

263 Scenarios

Programmazione Web

Relation as a tool of care in newborns intensive care units Lucia Aite

LA COPERTINA “Libertà dal bisogno”, 1943, Norman Rockwell (1894-1978), olio su tela, 116x90 cm. Illustrazione per il Saturday Evening Post del 6 marzo 1943. Stockbridge, Massachusetts, The Norman Rockwell Museum.

267 Around Narration

A case of eosinophilic gastroenteritis? Antonio Pulella, et al. 270 Learning from a case

Born for Music iniziatives Stefano Gorini 273 Musical-mente

A necrotic lesion of the scalp: what is TIBOLA? Stefano Costa 274 Keep an eye on the skin

Management and identification of abuse: the paediatrician’ s role Red 276 Community corner

Harmful effects of traffic pollution Laura Brusadin, Laura Todesco, Giacomo Toffol 277 Forasustainableworld

Measles: the eradication still a long way off Franco Giovanetti 278 Vaccinacipì

A lifesaving intervention: Vitamin A in preschool age children in countries with limited resources Antonio Clavenna, Filomena Fortinguerra, Daniele Piovani 279 Farmacipì

280 Books 282 Movies 283 Born to read

Promotion of reading: the paediatrician’s role Costantino Panza, Anna Maria Davoli 286 Meeting synopsis 287 Letters 288 Index (2011)

Gianni Piras

© ASSOCIAZIONE CULTURALE PEDIATRI ACP EDIZIONI NO PROFIT

NORME EDITORIALI. Gli Autori sono pregati di attenersi a queste norme generali che riguardano la confezione del loro contributo su Quaderni acp. Ad articolo pubblicato si accorgeranno che il percorso editoriale dell’articolo lo ha sensibilmente migliorato. Preghiamo pertanto di non fare una lettura superficiale di queste norme. Testi. I testi devono pervenire alla redazione via e-mail (redazione@quaderniacp.it) composti in Times New Roman corpo 12 e con pagine numerate. Gli AA sono tenuti a dichiarare di non avere inviato il testo contemporaneamente ad altre riviste. La violazione della norma comporta il respingimento dell’articolo. Si prega di non usare carta intestata o riconoscibile per garantire la cecità dei revisori. Nel testo non vanno usate sottolineature; il grassetto va usato solo per i titoli. Il titolo deve essere coerente rispetto al contenuto del testo, informativo, sintetico. La redazione si riserva il diritto di modificare il titolo ed eventualmente il sottotitolo dell’articolo. Va indicato l’Istituto/Sede/Ente/Centro in cui lavorano gli Autori. Va segnalato l’indirizzo e-mail dell’Autore indicato per la corrispondenza. Gli articoli devono essere corredati da un riassunto in italiano e in inglese dell’ordine di 1000 battute spazi inclusi. Alla fine del riassunto vanno inserite 3-5 parole chiave in italiano e in inglese. La traduzione in inglese di titolo, riassunto e parole chiave può essere fatta – se richiesta – dalla redazione. In ogni caso i testi inglesi vengono controllati da redattori madrelingua. Negli articoli di ricerca sia il testo che il riassunto vanno strutturati in Scopi, Metodi, Risultati, Conclusioni (Aims, Methods, Results, Conclusions). I casi clinici sono inseriti nella rubrica “Il caso che insegna”. L’articolo va strutturato in: La storia, Il percorso diagnostico, La diagnosi, Il decorso, Commento, Cosa abbiamo imparato (Si veda Quaderni acp 2009;16:67-69). Tabelle e figure vanno poste in fogli separati al di fuori del contesto dell’articolo. Vanno numerate, titolate e richiamate nel testo in parentesi tonde (figura 1, tabella 1) secondo l’ordine in cui vengono citate. Tabelle e figure seguono numerazioni separate. Scenari secondo Sakett, casi clinici, esperienze non possono di regola superare le 12.000 battute spazi inclusi, riassunti compresi, tabelle e figure escluse. Casi particolari vanno discussi con la redazione. Per gli altri contributi non possono essere superate le 18.000 battute spazi inclusi, compresi abstract e bibliografia, salvo accordi con la redazione. Le lettere non devono superare le 2500 battute spazi inclusi; qualora siano di dimensioni superiori, possono essere ridotte dalla redazione. Chi non fosse disponibile alla riduzione deve specificarlo nel testo. Bibliografia. Si pregano gli AA di essere attenti alle citazioni. In linea di massima, e salvo casi speciali, le voci bibliografiche citate non possono superare il numero di 12. Il modello della rivista è il Vancouver style. Le voci vanno elencate in ordine di citazione, tutte in caratteri tondi e con i titoli conformi alle norme pubblicate nell’Index Medicus (Cognomi; Iniziali nomi con virgola; Titolo; Rivista; Anno; Volume: Pagine. Per la punteggiatura si veda sotto l’esempio: 1) Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000;5:10-4. Nel caso di un numero di Autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Le eventuali note vanno numerate a parte e indicate nel testo (nota 1). Per i testi, o comunque per i libri, vanno citati l’Autore o gli Autori secondo la indicazione di cui sopra, il titolo, la città dell’editore seguita dai due punti, l’editore, l’anno di edizione. La pagina può essere citata a giudizio del citante. Si veda l’esempio: 2) Bonati M, Impicciatore P, Pandolfini C. La febbre e la tosse nel bambino. Roma: Il Pensiero Scientifico Ed. 1998. Qualora si voglia citare un singolo capitolo del testo lo si citerà con il nome dell’autore del capitolo inserito nella citazione del testo. Si veda sotto. 3) Tsitoura C. Child abuse and neglect. In Lingstrom B, Spencer N. Social Pediatrics. Oxford University Press 2005 Il numero d’ordine della citazione bibliografica va inserito tra parentesi quadre nel testo. Per esempio nel caso delle tre voci sopraindicate [1-2-3]. Le citazioni vanno contenute il più possibile per non appesantire il testo e devono essere pertinenti e aggiornate agli ultimi anni. Della letteratura grigia (di cui va fatto un uso limitato) vanno citati gli Autori, il titolo, la sede, chi ha editato l’articolo e l’anno di edizione. Per la sicurezza del ricevimento, salvo altre indicazioni, gli articoli vanno inviati esclusivamente a redazione@quaderniacp.it e non a singoli membri della redazione. Percorso di valutazione. I lavori pervenuti vengono sottoposti alla valutazione della redazione e/o a revisori esterni che operano seguendo un format consolidato e validato. I revisori sono ciechi rispetto agli Autori degli articoli. Gli AA sono ciechi rispetto ai revisori. Per mantenere la cecità quando un articolo provenga da un componente della redazione il direttore, o un redattore da lui designato, provvede a trasferirlo a referee esterni mantenendo la cecità oltre che per l’Autore anche per l’intera redazione. La redazione trasmetterà agli AA il parere dei revisori. In caso di non accettazione del parere dei revisori gli Autori possono controdedurre. È obbligatorio dichiarare l’esistenza o meno di un conflitto d’interesse. Ci sono varie forme di conflitti, i più comuni si manifestano quando un autore o un suo familiare hanno rapporti finanziari o di altro genere che potrebbero influenzare la scrittura dell’articolo. La sua eventuale esistenza non comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’articolo. La dichiarazione consente alla redazione (e, in caso di pubblicazione, al lettore) di esserne a conoscenza e di giudicare quindi con cognizione di causa quanto contenuto nell’articolo. Nel caso gli autori dichiarino l’assenza di un conflitto di interesse la formula adottata è “Non conflitti di interesse da parte degli Autori”. Varie. Per articoli e contributi, anche se richiesti dalla redazione, non sono previsti compensi. Non si forniscono estratti, né copie. La rivista è online e gli articoli possono essere derivati e stampati da questa versione in formato pdf. Si ricorda agli AA che in una rivista che si occupa di bambini non vengono accettati termini come “soggetti”, “minori”, ”individui”, ma sono preferiti bambini, ragazzi o persone.


Quaderni acp 2011; 18(6): 241

Cosa vuol fare la pediatria da grande? Paolo Siani e il Consiglio direttivo dell’ACP: Carlo Corchia, Maria Francesca Siracusano, Enrico Valletta, Chiara Guidoni, Augusto Biasini, Aurelio Nova, Maria Luisa Zuccolo, Giuseppe Cirillo, Mario Narducci, Stefano Gorini, Giuseppe Primavera, Tomaso Montini

Sono trascorsi due anni dalla mia elezione, un tempo trascorso molto velocemente. Insieme al direttivo con cui ho condiviso ogni scelta, ho cercato di aprire l’Associazione al contributo di tutti; sono state attivate molte connessioni con altre società scientifiche e con organizzazioni no profit. Per la prima volta siamo riusciti a organizzare, grazie al contributo di Giorgio Tamburlini, una tavola rotonda su Early Childhood Development insieme alla Società Italiana di Pediatria. Abbiamo anche ospitato, durante il nostro Congresso nazionale, il Congresso della Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche (SISIP). I gruppi di lavoro hanno presentato ai soci riuniti in assemblea le attività svolte e quelle in cantiere. Il direttivo, con i suoi nuovi componenti, A. Biasini, G. Cirillo, A. Nova, M. Zuccolo, tenendo conto della discussione che ne è seguita, deciderà quali portare avanti. La newsletter “Appunti di Viaggio” (AdV), una delle novità introdotte con la mia presidenza, e realizzata grazie al coordinamento di Maria Francesca Siracusano, ci è giunta puntuale ogni mese e ha raccontato le tante attività che si svolgono nei gruppi ACP al Nord e al Sud. Per avere una precisa percezione della vivacità dell’ACP e delle attività che i gruppi portano avanti spesso lontano dai riflettori, sfogliate on line dal nostro sito le pagine di “AdV”: rimarrete sorpresi, positivamente sorpresi. Sul numero di ottobre di “AdV” avete letto il resoconto del congresso e i commenti di alcuni dei congressisti. Qui vi diciamo che è stato un buon congresso, molto bene organizzato dal gruppo romano insieme al direttivo e che l’intervento di apertura del senatore Marino è stato molto apprezzato ed è apparso in linea con le idee e le attività dell’ACP. Ignazio Marino ha parlato di lotta alle disuguaglianze, di disomogeneità dell’offerta sanitaria nel nostro Paese, di terapia del dolore (“dobbiamo essere orgogliosi del fatto che c’è una specifica attenzione in Italia agli 11.000 bambini che ogni anno nel nostro Paese soffrono di dolore cronico”), delle significative differenze territoriali sull’uso di oppiacei negli ospe-

dali, di salute mentale e di passione per il proprio lavoro: la vera spinta che, secondo noi, può dare luogo a cambiamenti veri e duraturi*. Siamo tutti consapevoli che una crisi terribile sta attraversando il mondo intero e l’Italia è travolta da un debito fuori controllo e da una disoccupazione giovanile a livelli preoccupanti, e non si può negare che anche la pediatria stia attraversando una fase critica. Poche ormai le malattie acute, quelle che ci è stato insegnato a trattare meglio, molte quelle croniche e invalidanti, che sappiamo curare meno e che richiedono capacità di interazione e comunicazione con altri professionisti portatori di diverse competenze e con differente formazione. Il numero dei pediatri si sta assottigliando e dobbiamo iniziare a porci le domande: “Come sarà la pediatria da qui in avanti? Di quanti pediatri generalisti avremo bisogno e quanti nelle specialità pediatriche? Quali dovranno essere? E ancora, toccherà ai pediatri occuparsi dei diritti dei bambini? Qualcuno si occuperà dei diritti della famiglia e non solo di quelli dei bambini? È connaturato al ruolo del medico, alle sue conoscenze prevalentemente biologiche e alla sua formazione occuparsi allo stesso tempo del bambino, della famiglia e dell’ambiente? E potremmo aggiungere del sostegno alla genitorialità?”. Io non ho ancora una risposta certa ma so, per esempio, che il laboratorio di lettura che ho fortemente voluto nel reparto ospedaliero che dirigo “fa bene” ai bambini ricoverati e alle loro mamme, e fa bene agli operatori. Può questa essere considerata solo una distrazione dal mio compito principale di medico? Noi pensiamo che la pediatria, oltre a prescrivere l’aerosol per la bronchite e il paracetamolo per la febbre, potrebbe iniziare a fare anche interventi di sostegno alla genitorialità perché ci sono le prove che questo serve concretamente, e sappiamo che i legami affettivi e relazionali che si costruiscono nei primi anni di vita hanno un riflesso positivo nel tempo lungo. Interroghiamoci su cosa voglia fare la pediatria da qui in avanti, facciamolo singolarmente e come associazione, chiedia-

mo: ai pediatri di comunità se partecipare a programmi di sostegno alla genitorialità serva e stia dando frutti; ai pediatri di famiglia se il loro ruolo sia ancora adeguato ai tempi; agli ospedalieri se servano ancora tanti reparti di pediatria sottoutilizzati. Noi possiamo provare a dare stimoli e contributi culturali senza pregiudizi. Riteniamo che la chiave di volta sia una solida formazione scientifica, indispensabile per essere un bravo medico, ma che sia indifferibile una nuova organizzazione territoriale indirizzata prioritariamente alla continuità delle cure, all’integrazione intra-sanitaria e socio-sanitaria, affinché i pediatri di famiglia, ospedalieri e di comunità possano fare una buona pediatria e rispondere in modo appropriato ed efficace ai bisogni veri dei bambini e delle famiglie. Che sono, e sempre di più saranno, la disabilità, le patologie croniche, il disagio e l’esclusione psico-sociale. Di questo ci dovremo inevitabilmente e sempre di più occupare nei prossimi anni.

Crediamo che sia utile lavorare per sviluppare un nuovo modello organizzativo, integrato con i servizi ospedalieri e territoriali, anche per portare avanti percorsi di promozione della salute che, implicando la partecipazione, diventano di fatto percorsi anche di rivendicazione di diritti e contrasto alle disuguaglianze, il che è “politica” nel senso più alto della parola. Il nucleo familiare è chiaramente il riferimento primario e l’organizzazione integrata dei servizi non può essere altro che un sistema di servizi per la famiglia di cui il pediatra è una parte. Tutto questo (lavoro integrato, promozione della salute) purtroppo attualmente non è presente nella formazione del medico e del pediatra. Che fa l’università? Su tali temi, non facili, la presidenza e il nuovo direttivo vogliono iniziare una riflessione e proveranno a farlo con chiunque abbia a cuore l’interesse vero dei bambini e delle famiglie. Se non ora, quando? u

[*] Sul sito www.acp.it la trascrizione integrale dell’intervento a cura della nostra addetta stampa.

Per corrispondenza:

Paolo Siani e-mail: paolo.siani@fastwebnet.it

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Quaderni acp 2011; 18(6): 242-244

La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato? Gherardo Rapisardi SC Pediatria e Neonatologia Ospedale “S. M. Annunziata”, Bagno a Ripoli (FI)

Continua in questo numero il “forum” sul taglio cesareo. Dopo aver parlato dell’epidemiologia e dei motivi che possono giustificare il ricorso sempre più frequente e diseguale a questa modalità di nascita, andiamo a vedere se per il feto/neonato è indifferente nascere con parto spontaneo o con taglio cesareo. Abbiamo chiesto un contributo su questi aspetti a Gherardo Rapisardi, responsabile della SC Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale “S. M. Annunziata” di Bagno a Ripoli (FI). Gherardo Rapisardi, pediatra e neonatologo, è anche direttore del Centro “Brazelton” di Firenze e ha prodotto, nel corso della sua attività, fondamentali contributi per la promozione della salute del neonato e del bambino e per la valutazione neuroevolutiva e relazionale nei primi anni di vita. Come al solito i commenti dei lettori sono i benvenuti e possono essere inviati collegandosi al sito www.quaderniacp.it e accedendo al link “forum”, sezione “taglio cesareo”, oppure direttamente al mio indirizzo di posta elettronica (corchiacarlo@virgilio.it). (Carlo Corchia)

Parole chiave Taglio cesareo. Neonato.

Età gestionale

Sentiamo oggi dire da più parti che il taglio cesareo d’elezione (TCE) prima del travaglio, anche su richiesta materna, potrebbe evitare le “fatiche e i rischi” del travaglio per il feto. Purtroppo questa affermazione superficiale e scorretta sta facendo presa in parte dell’opinione pubblica e anche tra qualche operatore sanitario. Sappiamo invece che il feto sano, se potesse scegliere, non vorrebbe nascere da TC, per una serie di motivi che sono sempre più conosciuti dalla moderna perinatologia [1]. Rimando all’articolo di S. Donati per l’epidemiologia e le cause del grande aumento ubiquitario dei TC (Quaderni acp, 2011;5:202-5) e alla review pubblicata sul sito di SaPeRiDoc del CeVEAS di Modena per le evidenze sugli effetti del TC sulla madre (aumento di mortalità e morbilità, spesa sanitaria e insuccessi nella successiva gravidanza) (http:// www.saperidoc.it/flex/cm/pages/ServeBL OB.php/L/IT/IDPagina/200).

Durata media della gravidanza

L’aumento della medicalizzazione del parto, tra cui il ricorso al TCE, ha provocato negli ultimi venti anni un anticipo del termine medio della gravidanza, con un incremento sia delle nascite tra le 34-36 settimane (late preterm) che tra le 37-38 settimane (early term) rispetto a quelle tra le 39-41 settimane. Questo dato è preoccupante perché è noto che la mortalità e la morbilità neo-

natale aumentano al diminuire della e.g., non solo per i pretermine, ma anche per le nascite a termine tra le 37-38 settimane rispetto a quelle tra le 39-41 settimane, indipendentemente dalla modalità del parto [2]. Recentemente è stato dimostrato come il bisogno di educazione speciale a scuola si riduca in modo costante con l’aumentare dell’e.g. anche da 37 a 41 settimane, per cui i nati tra le 37-39 settimane hanno un maggior rischio di educazione speciale a scuola rispetto ai nati di 40-41 settimane [3]. Ciò è stato correlato al fatto che la maturazione del SNC continua in utero fino a 40-41 settimane, per cui tutte le pratiche che ingiustificatamente anticipano la data del parto, come anche i TCE, possono comportare un disturbo a tale maturazione [4]. Dati i rischi per la salute neonatale dei TCE in assenza di travaglio, dal 2004 è stato raccomandato, a livello internazionale, che in assenza di precise indicazioni mediche il TCE non avvenga prima di 39 settimane [5]. Molte le conferme recenti dei danni per la salute neonatale di TCE a 37 o 38 settimane, così come le proposte di strategie per ridurre il ricorso a tale pratica prima di 39 settimane [6-7]. Quest’anno negli USA il NICHHD e la Society for Maternal-Fetal Medicine hanno emanato delle raccomandazioni, basate sulle evidenze disponibili e sul consensus tra esperti, sul momento migliore per terminare una gravidanza in presenza di patologie placentari, materne e/o fetali, nonché sulle principali questioni aperte che dovranno essere oggetto di future ricerche [8].

In sintesi è oggi ampiamente dimostrato e condiviso che la riduzione della durata della gravidanza riferibile a TCE è una pratica che comporta dei rischi per la salute neonatale e che pertanto andrebbe evitata. In assenza di patologie o rischi materni/fetali, quali sono per il feto e il neonato le differenze tra il nascere da TC d’elezione o da un parto spontaneo (PS) vaginale a termine di gravidanza? Vediamo prima i pochi potenziali vantaggi del TCE e quindi esamineremo i molti effetti positivi del parto vaginale sulla salute a breve e lungo termine.

La possibile riduzione del rischio con il TCE

Il PS vaginale a termine può associarsi a complicanze legate alla protrazione del tempo o a sofferenze in travaglio e nel parto. Uno studio USA ha cercato di quantificare la possibile riduzione di patologia se tutti i neonati nascessero da TCE a 39 settimane, prendendo in considerazione: lesione ostetrica del plesso brachiale, che si associa a macrosomia, distocia di spalle e presentazione podalica, encefalopatia ipossico ischemica (EII) grave o morte, morti fetali intrauterine, che aumentano con l’e.g. [9]. Gli autori affermano, però, che, nonostante la possibile riduzione di EII da TCE, non c’è alcuna evidenza che ciò sia protettivo verso gli esiti neurologici a distanza (quali paralisi cerebrali infantili, associate o meno a disabilità mentale e/o epilessia). Inoltre, in questo studio, la riduzione della patologia neonatale presa in conside-

Per corrispondenza:

Gherardo Rapisardi e-mail: gherardo.rapisardi@asf.toscana.it

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razione viene calcolata confrontandola con una incidenza media e non viene esaminato il possibile effetto che un miglioramento della sorveglianza e della promozione della salute fetale in travaglio potrebbe avere nella riduzione di tali esiti sfavorevoli. La considerazione che la prevalenza di tali esiti è sensibilmente diversa a seconda dei luoghi di nascita implica che la prima azione da intraprendere sia quella indirizzata a un miglioramento assistenziale per ridurre gli esiti negativi e non certo a un aumento dei TCE, pratica che comporta non pochi rischi per la madre e il neonato. Per quel che riguarda il parto podalico a termine il Term Breech Trial ha mostrato un aumento di mortalità e morbilità perineonatali nei PS rispetto ai TCE, per cui attualmente in caso di presentazione podalica a termine è indicato un TCE [10-11]. A due anni di età però è stato visto che non vi erano differenze nei due gruppi relativamente all’outcome neurologico e, inaspettatamente, è stato trovato un aumento significativo di patologia pediatrica (respiratoria, gastroenterica, allergica…) nei nati da TCE (oggi sappiamo che ciò è correlato agli aspetti immunologici associati alle modalità del parto; vedi oltre). Una metanalisi Cochrane conclude che il TCE nel parto podalico a termine riduce la patologia neonatale, ma con un aumento del 30% della patologia materna [12]. In sintesi, il TCE ha pochi potenziali effetti positivi, con vantaggi a lungo termine ancora non dimostrati, associati peraltro a un sensibile aumento di patologia materna e neonatale, per cui non ci sono motivi per promuoverlo.

Benefici del parto per via vaginale rispetto al TC

L’inizio del travaglio è sotto il controllo fetale (secrezione di ossitocina dall’ipofisi fetale) ed è accompagnato da una marcata attivazione ormonale (catecolamine, ossitocina, prolattina, endorfine, cortisolo ecc.) che facilita la progressione del travaglio, il parto e il postpartum, sia per la madre che per il feto. Alla nascita le principali differenze tra nati da TC e da parto vaginale sono molteplici, con possibili effetti a breve e lungo termine.

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Adattamento respiratorio

Nel TCE pre-travaglio sono più frequenti le difficoltà respiratorie (RDS, pneumotorace, tachipnea transitoria, ipertensione polmonare). Nei nati a termine tale rischio è più che doppio a 37-38 settimane rispetto ai nati a 39-41 settimane. I più alti livelli di catecolamine neonatali stimolati dal travaglio fanno sì che la compliance polmonare sia migliore; facilitano il riassorbimento del liquido alveolare e la produzione di surfactante. Rispetto al PS il rischio di problemi respiratori è 6,9 maggiore nel nato da TCE e 2,8 maggiore nel nato da TC a travaglio iniziato [13]. Nel TCE, anche in presenza di una dimostrata maturità polmonare fetale, permane un rischio aumentato di outcome neonatali sfavorevoli nei nati a 36-38 settimane rispetto a quelli di 39-40 settimane (OR 1,7); il rischio è ancora maggiore per alcune patologie prese singolarmente, tra cui RDS (OR 7,6), ittero che necessita di fototerapia (OR 11,2) e ipoglicemia (OR 5,8) [14]. Discusso è l’effetto della somministrazione di corticosteroidi per promuovere la maturazione di surfactante prima di un TCE effettuato dopo le 34 settimane di e.g.

Adattamento endocrinologico, termico e glicemico

Nel cordone ombelicale dei nati per via vaginale ci sono livelli più elevati di prolattina, cortisolo, adrenalina e noradrenalina, più bassi livelli di TSH [15]. Nei nati da TC nelle prime ore sono presenti più bassi livelli di T4 e T3 (non si verifica il picco di T3 poche ore dopo la nascita). La temperatura è più elevata e si mantiene meglio ai livelli fisiologici nei nati da PS rispetto ai nati da TC in travaglio ed è migliore in questi rispetto ai nati da TCE. In questi ultimi vi è un minor aumento di noradrenalina, cortisolo, ormoni tiroidei e una minore attività simpatica nei primi 30’, oltre a una minore attività termogenetica del grasso bruno neonatale. Inoltre i livelli glicemici sono mediamente inferiori [16].

Adattamento cardiocircolatorio, trasfusione placentare e coagulazione L’anestesia può associarsi a ipotermia e ipotensione. La pressione sistemica dei

nati da TC è inferiore rispetto a quella dei nati da parto vaginale [17]. La fisiologica trasfusione placentare, che al momento della nascita fa sì che 20-35 cc/kg di sangue passino dalla placenta al neonato, è minore nei TCE rispetto a un parto per via vaginale. È noto che una minore trasfusione placentare, riducendo i depositi di ferro, può facilitare l’insorgenza di anemia sideropenica a un anno di età. I livelli di plasminogeno e fibrinogeno sono più elevati nei nati da parto vaginale che in quelli nati da TC (per lo stress del travaglio) [18].

Adattamento immunologico

Il travaglio ha effetti favorevoli sullo sviluppo immunitario. Nei nati da TC ci sono ritardo e alterazione nella colonizzazione batterica intestinale (cruciale per lo sviluppo della tolleranza orale e per lo stimolo allo sviluppo immunitario precoce extra-uterino), diminuzione del numero dei neutrofili e delle cellule natural killer, aumento dei livelli di IL-13 e di IFN-γ, mentre nel PS vi è un aumento di IL-10. Si ritiene che ciò sia dovuto allo stimolo del travaglio e/o a una diversa esposizione a specifici microbi alla nascita [19]. Questi fattori possono alterare lo sviluppo del rapporto tra Th1 e Th2, con conseguente maggior rischio di sviluppare atopia, in quanto lo sviluppo della tolleranza orale è di stimolo alle attività Th1 e inibisce la IL-10 e il TGF-β e quindi le attività Th2. Questi meccanismi, assieme alla modificazione epigenetica dell’espressione genica da parte degli ormoni attivati in travaglio, sono probabilmente alla base dei numerosi effetti positivi a medio e lungo termine sulla salute correlati alla nascita per via vaginale [20-24]. In sintesi, nei nati da TC è stata infatti documentata una maggiore incidenza di: – asma allergico (+20% circa); – allergie a cibi e rinocongiuntivite (dubbio); – diabete tipo 1 (+20% circa); – obesità e, nell’animale, steatosi epatica; – ospedalizzazione per asma e gastroenteriti; – patologia pediatrica infettiva nei primi 3-6 anni di vita; – celiachia (lieve). 243


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Adattamento neurocomportamentale e relazionale

Nel nato da PS nei primi 2 giorni di vita il sonno è più stabile, con meno transizioni tra sonno e veglia, più sonno leggero e singoli periodi di sonno più brevi. Il nato da TC manifesta minore iniziativa a livello posturo-motorio e comportamentale, sia per gli effetti dell’anestesia/analgesia materna che per il diverso stato neuroendocrino dovuto alla mancanza del travaglio. I primi contatti con la madre sono meno attivi, potendo disturbare il processo del “bonding” e l’instaurarsi dell’alimentazione al seno. La relazione madre-neonato si instaura più lentamente, ancora a un mese vi sono meno periodi di contatto occhio-occhio tra madri e neonati e a un anno le madri che hanno subito un TC d’urgenza riferiscono maggiore incertezza sulle loro capacità di accudire il bambino (maggiori difficoltà nell’adattarsi alla nascita e al ruolo genitoriale), senza che, tuttavia, vi siano significative differenze tra i bambini in termini di comportamento generale e di sviluppo psicomotorio [25].

C’è un imprinting della modalità del parto?

Infine, una domanda a cui non sappiamo ancora dare una risposta precisa: può esserci un effetto della modalità in cui una madre è nata sulla sua futura capacità di partorire? C’è solo uno studio che mostra come le madri nate da parti traumatici (forcipe) o da TC abbiano più probabilità di partorire a loro volta con parti operativi, ciò che gli Autori interpretano come predisposizione familiare su base genetica [26]. Credo che sarebbe invece interessante capire, per gli effetti che ciò potrebbe provocare sulla capacità di partorire delle future generazioni, se di per sé l’esperienza del travaglio e della nascita (a livello neuropsicoendocrinoimmunologico) possa condizionare i sistemi recettoriali di neurotrasmettitori centrali con effetti a distanza, facendo sì che una donna nata senza l’esperienza del travaglio e del parto per via vaginale abbia poi più difficoltà a partorire per via naturale.

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Conclusione

In conclusione disponiamo oggi di evidenze e conoscenze per affermare che vi è una profonda differenza nell’adattamento neonatale e materno tra il nato per via vaginale e quello per TC, specie in assenza di travaglio. Vi è un chiaro effetto di promozione di salute da parte del parto spontaneo per via vaginale, sia a breve che a lungo termine. Ciò deve essere ben conosciuto dagli operatori sanitari e comunicato correttamente alle madri, riservando il TC solo in presenza di giustificati motivi medici per ottenere un comprovato guadagno nella salute materna e/o neonatale. u

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Quaderni acp 2011; 18(6): 245-249

La prevenzione del maltrattamento Giuseppe Cirillo Servizio di Programmazione, Dipartimento Socio-Sanitario ASL Napoli centro, responsabile scientifico del Programma “Adozione Sociale”

Abstract

The Prevention of child abuse Paediatricians and health workers in general are found to have early contact with their families. These contacts can make it clear early in the family risk factors and protective factors in relation to child abuse. Since the abuse is preventable, it is necessary for pediatricians and practitioners involved in community programs to support families, are aware of the risk and protective factors attributable to the children, the parents, the environment, in order to deploy all the actions and effective tools for prevention. Quaderni acp 2011; 18(6): 245-249 Key words Child abuse and neglect. Prevention. Home visiting

I pediatri e gli operatori sanitari in generale hanno contatti precocemente con le famiglie. Questi contatti possono rendere evidente, anzitempo, i fattori di rischio e protettivi in relazione al maltrattamento nei bambini. Poiché l’abuso è prevenibile, è necessario che i pediatri e i medici di famiglia coinvolti in programmi comunitari di sostegno alle famiglie siano consapevoli dei fattori di rischio e di quelli protettivi relativi al bambino, ai genitori, all’ambiente, al fine di implementare tutte le azioni necessarie per la prevenzione. Parole chiave Abuso e maltrattamento del bambino. Prevenzione. Visite domiciliari Si veda anche a p. 276

Premessa e definizioni

In generale l’attenzione degli studiosi e degli operatori è indirizzata ai bambini e alle loro famiglie, dopo che i bambini sono stati maltrattati; pochi hanno studiato e approfondito quando e come il maltrattamento (fisico, sessuale, psicologico, trascuratezza, fallimento della supervisione) possa essere individuato prima che vada all’attenzione dell’autorità giudiziaria [1-2]. Mentre le tradizionali risposte aiutano a prevenire la ricorrenza del maltrattamento quando si sia già verificato, un nuovo framework, piuttosto che identificare i fattori di rischio per il maltrattamento e i problemi delle carenze del caregiver, potrebbe focalizzarsi sui fattori protettivi sia dell’ambito familiare che sociale, per sostenere le abilità dei genitori nei compiti di cura, eventualmente indirizzando il target della prevenzione verso i bambini e le famiglie più vulnerabili. Gli sforzi della prevenzione vanno focalizzati sui bambini, sulle famiglie, sulle comunità. Ci sono diversi approcci alla prevenzione: i programmi di educazione dei genitori per migliorare le cure che i

bambini ricevono nelle loro case, gruppi di supporto per ridurre i comportamenti negativi dei genitori, programmi di home-visiting che forniscono servizi alle famiglie vulnerabili e programmi di tipo comunitario che coordinano i servizi di prevenzione e il capitale sociale di supporto alle famiglie.

I fattori di rischio

Molti e disparati fattori possono combinarsi perché un bambino sia maltrattato o trascurato [3]. Usando un modello ecologico come contesto per valutare il rischio, alcune caratteristiche del bambino, dei genitori e dell’ambiente possono mettere un bambino a rischio di maltrattamento: per esempio, per il bambino difficoltà emozionali/comportamentali, le malattie croniche, le disabilità fisiche e dello sviluppo, la nascita pretermine, essere non voluti o non pianificati; per i genitori la bassa stima di sé, lo scarso controllo degli impulsi, l’abuso di sostanze/alcol, la giovane età della madre o del padre, l’essere stati abusati da bambini, la depressione o altre malattie mentali, la scarsa conoscenza dello sviluppo

del bambino o aspettative non realistiche per il bambino, la percezione negativa del normale sviluppo del bambino [4]. Quali fattori ambientali, l’isolamento sociale, la povertà e la disoccupazione, lo scarso livello educativo, una casa con un genitore solo, maschi conviventi non biologicamente legati al bambino, la violenza familiare o al partner. Spesso molti fattori coesistono e sono tra loro interrelati, aumentando il rischio di maltrattamento.

Le caratteristiche del bambino

L’età del bambino: più piccolo è il bambino, più è alto il rischio di un severo o fatale maltrattamento [5]. Qualsiasi fattore che renda più difficile assistere il bambino o che lo presenti differente dalle aspettative dei genitori aumenta il rischio del maltrattamento. Per esempio, un bambino con molte necessità e richieste o un bambino con bisogni speciali di salute possono mettere a dura prova la resistenza dei genitori. I bambini con disabilità fisica, dello sviluppo, o con problemi emozionali/comportamentali, sono maggiormente esposti al maltrattamento [3]. I bambini con disabilità sono maltrattati circa tre volte più facilmente che non i bambini senza disabilità. Anche i bambini nati prematuramente possono essere soggetti a rischio aumentato di subire un maltrattamento [5]. Molti bambini prematuri possono essere più a rischio di abuso, per il fatto che essi sono percepiti dai loro genitori come meno attrattivi e con maggiori richieste e bisogni. Molti esperti hanno suggerito che la precoce e spesso prolungata separazione di questi bambini dai loro genitori può contribuire alla loro vulnerabilità. Allo stesso modo i bambini che non sono stati programmati o non voluti sono a rischio di maltrattamento [6]. Anche i fattori genitoriali possono rendere i bambini più vulnerabili a essere maltrattati [7]. I fattori di rischio dei genitori sono sia interni (competenza e

Per corrispondenza:

Giuseppe Cirillo e-mail: dirg.cirillo@aslna1.napoli.it

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salute pubblica

vulnerabilità con cui i genitori affrontano le situazioni) che esterni (fattori di stress o di isolamento sociale). I fattori che possono diminuire la capacità dei genitori di far fronte allo stress della genitorialità comprendono una bassa stima di sé, scarso controllo degli impulsi, inclusa una tendenza a reagire violentemente in risposta allo stress, l’uso di sostanze, l’abuso di alcol (l’abuso di sostanze è di maggiore impatto sulla trascuratezza). La farmacoalcol-dipendenza è spesso accompagnata da altri problemi come la malattia mentale, il non avere una dimora fissa, o la violenza domestica, tutti a loro volta correlati con il maltrattamento. I servizi per l’abuso di sostanze raramente comprendono le capacità genitoriali. Le poche iniziative realizzate riguardano l’aiuto ai genitori nei programmi ambulatoriali con metadone. La giovane età della madre o del padre rappresenta un fattore di rischio per maltrattamento [8]. I genitori, che sono stati abusati o trascurati a loro volta da bambini, possono essere genitori nell’unico modo che hanno imparato. La depressione dei genitori o altri disturbi mentali, in modo particolare la depressione postpartum, influenzano la crescita e lo sviluppo del bambino e possono sottoporlo a rischio di maltrattamento. La depressione è un problema significativo sia per i padri che per le madri [9-10]. La relazione tra la depressione materna e la genitorialità è stata meglio studiata e offre una guida per definire i programmi di educazione genitoriale per prevenire l’abuso e la trascuratezza. Le madri depresse hanno difficoltà a mantenere un’interazione con i loro bambini, e questi tendono ad avere una percentuale maggiore di comportamenti negativi.

I fattori scatenanti a partire dal bambino

I genitori possono giocare un ruolo nella prevenzione del maltrattamento se conoscono le situazioni che comunemente scatenano il maltrattamento e se identificano alcuni dei fattori che possono rendere un bambino più vulnerabile al maltrattamento. Alcuni elementi del normale sviluppo del bambino rappresentano spesso i fattori scatenanti del maltrattamento. Schmitt descrive quelli che chiama i “Sette peccati mortali” dei bambini [11]. 246

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Egli cita le fasi dello sviluppo normale che possono creare difficoltà in molti genitori: le coliche, stare svegli di notte, l’ansia di separazione, il comportamento normale di esplorazione, il normale negativismo, il normale scarso appetito e la resistenza all’uso della toilette. Egli suggerisce che è molto utile che gli operatori sociosanitari e principalmente i pediatri anticipino questi normali stadi dello sviluppo e forniscano alle famiglie delle guide su come trattare meglio queste situazioni potenzialmente difficili. Il pianto è un comune fattore scatenante per l’abuso al bambino ed è il più comune per trauma da scuotimento violento alla testa. Tutti i bambini piangono; il pianto comincia generalmente nel primo mese di vita e la durata del pianto aumenta e raggiunge un picco tra i 2 e i 4 mesi di età, e l’incidenza del trauma alla testa segue lo stesso andamento. Sono stati sviluppati programmi per aiutare i genitori ad affrontare meglio il pianto dei bambini. Dias et al. hanno implementato un programma nei nidi a New York per insegnare ai neogenitori i danni dello scuotimento violento dei bambini e cosa fare quando i bambini piangono [12]. Essi hanno riscontrato che durante i primi 5 anni del programma l’incidenza delle violenze alla testa si sono ridotte del 47%. Questi programmi hanno mostrato di migliorare la conoscenza delle madri circa il pianto e la loro risposta comportamentale. La disciplina può diventare maltrattante quando la punizione è usata inappropriatamente in risposta a comportamenti dello sviluppo normale di un bambino. Genitori impreparati possono equivocare l’ansia da separazione, il normale gioco esplorativo, e il normale negativismo, per esempio, può essere confuso con un comportamento anomalo o inaccettabile e determinare misure punitive per correggerlo. Il toilet-training e gli incidenti legati all’uso della toilet sono un altro comune fattore scatenante per il maltrattamento. Ustioni da immersione sono frequentemente inflitte dai caregiver in media all’età di 32 mesi dei bambini, in risposta all’encopresi [13].

I fattori protettivi

Nella valutazione di fattori di rischio di maltrattamento gli operatori sociosanitari e soprattutto i pediatri possono identi-

ficare e considerare i fattori di forza delle famiglie, in quanto il maltrattamento si verifica quando i fattori di rischio sono più grandi di quelli protettivi e i fattori di stress eccedono i fattori di sostegno. Possono essere identificati fattori protettivi quali l’attaccamento tra i membri familiari; la conoscenza da parte dei genitori dello sviluppo dei bambini, la resilienza emotiva dei genitori, le connessioni sociali dei genitori e il concreto supporto come cibo, vestiario, casa, trasporti e servizi. Sebbene la prevenzione oggi ricerchi l’interdipendenza di cause multiple del maltrattamento dei bambini, molti interventi vengono focalizzati su particolari fattori di rischio. Il risultato è un ampio range di attività di prevenzione incoerenti, isolate e sotto-finanziate. Si è notato che diversi fattori proteggono un bambino dal maltrattamento e aiutano i bambini ad avere resilienza rispetto agli effetti del maltrattamento. Usando lo stesso scenario ecologico, i fattori protettivi comprendono le caratteristiche del bambino e della famiglia e fattori di sostegno esterni alla famiglia. I connotati caratteriali del bambino che possono essere protettivi sono, per esempio, l’abilità cognitiva intorno alla media, il controllo di sé e l’autoresilienza; anche una forte e sicura relazione familiare rappresenta un elemento protettivo importante così come a livello extrafamiliare lo è l’accesso a buoni servizi sanitari, educativi e di welfare sociale.

Il ruolo dei pediatri

I pediatri (vedi box), giocando un ruolo fondamentale nel promuovere il benessere del bambino e aiutando i genitori a farli crescere bene, possono avere un importante ruolo nella prevenzione del maltrattamento dei bambini [10]. I pediatri hanno contatti con le famiglie durante i cambiamenti e i momenti di stress (per esempio quando il bambino è ammalato), per cui possono diventare familiari con i fattori di stress e di forza della famiglia. I pediatri, inoltre, sono spesso connessi con le risorse comunitarie che hanno come priorità il welfare del bambino e della famiglia. La letteratura mostra che i genitori vedono i pediatri come rispettabili consiglieri e consulenti. I pediatri, come è dimostrato, accettano bene


salute pubblica

questo ruolo sia di prevenzione del maltrattamento attraverso l’uso di guide anticipatorie, sia valutando nel corso delle visite di bilancio di salute i problemi dei genitori. Un’azione deve essere intrapresa se l’abilità della famiglia ad allevare e proteggere il bambino è compromessa in maniera tale che il bambino può essere considerato a rischio di abuso: prendere tempo per sollecitare una storia più chiara o fare un counselling a un genitore frustrato. Un caso più complicato può richiedere l’invio della famiglia a un servizio comunitario per il sostegno genitoriale o per un intervento contro la violenza familiare. Se c’è un dubbio significativo circa la sicurezza del bambino, la capacità dei caregiver di proteggerlo, o si sospetta un maltrattamento, il pediatra deve di conseguenza contattare i servizi di tutela del bambino.

Programmi di prevenzione e intervento

Sostenere i genitori nei loro compiti di cura significa da parte dei pediatri e dei servizi innanzitutto entrare in contatto e relazione con le famiglie; se poi questo avviene nell’ambito di un programma di sostegno precoce in gravidanza e al parto, questo implica che gli operatori si possano trovare precocemente di fronte a situazioni di rischio e a fattori protettivi e quindi potendo tentare, anche se in modo dinamico, di predire il maltrattamento e/o la trascuratezza. Il sottile limite che a volte separa la possibilità di sostenere da quella di esercitare la giusta tutela del minore rappresenta una delle prove più grandi che i nostri servizi debbono affrontare nei programmi di sostegno alle famiglie, ormai diffusi in quasi tutte le regioni italiane. Poiché il maltrattamento del bambino è soggetto a numerosi fattori di rischio e protettivi simultaneamente, l’analista deve determinare la strategia più efficace in particolari situazioni: se incrementare le conoscenze dei genitori, modificare le attitudini e i comportamenti genitoriali, o cercare di influenzare i contesti in cui vivono le famiglie. Alcuni programmi di prevenzione mostrano risultati positivi. I più promettenti appaiono essere quelli che sono focalizzati sugli interventi precoci, identificando i fattori di rischio precocemente per fornire servizi che ne

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BOX:

GUIDA PER I PEDIATRI

1. Ottieni una completa storia sociale, iniziale e periodica. Lo strumento per lo screening genitoriale compreso nello strumento Bright Futures e nel kit sulle risorse (http://brightfutures.aap.org) può essere utilizzato per lo screening dei fattori di rischio e dei problemi; identifica e costruisce sui fattori di forza della famiglia, sulla resilienza e sui fattori di mediazione; identifica e indirizza le ansie dei genitori; rinforza la genitorialità [10]. Il rinforzo costruisce sicurezza e senso della competenza. 2. Riconosci la frustrazione e l’irritazione che spesso accompagnano la genitorialità. Fornisci una guida anticipatoria circa gli stadi di sviluppo che possono determinare stress o diventare i fattori scatenanti del maltrattamento del bambino. Un bilancio di salute può essere utile come cornice. 3. Parla con i genitori circa il pianto del loro bambino e di come essi lo affrontano. Capisci la loro percezione del pianto e quali strategie adottano per affrontarlo. Il pediatra dovrebbe informare i genitori circa il comportamento infantile e insegnare risposte alternative. 4. Nella cura ai bambini con disabilità, bisogna essere consapevoli della loro maggiore vulnerabilità e osservare i segni di maltrattamento. Dare ai genitori informazioni circa la condizione del bambino. Le azioni possono comprendere sessioni di gruppi di istruzione con i genitori. Valutare lo stress dei genitori e fornire loro tecniche per affrontarlo. Dai alla famiglia informazioni per concedersi una pausa nelle cure e identifica altri membri della famiglia che possono essere di aiuto. 5. Essere attenti ai segni e ai sintomi di violenza tra i partner e di depressione postpartum. Familiarizza per primo con le appropriate risorse comunitarie. 6. Guida i genitori nel dare una disciplina efficace. Incoraggia i genitori a usare alternative alle punizioni fisiche, come tecniche di time out e rinforzo positivo. 7. Parla ai genitori del normale sviluppo sessuale e consigliali circa il modo di prevenire l’abuso sessuale. 8. Incoraggia i caregiver a utilizzare l’ambulatorio pediatrico come tramite per accedere ad altri esperti e risorse. Informati circa le risorse territoriali e, quando appropriato, invia queste famiglie a queste risorse. 9. Fai attività di advocacy per programmi comunitari e risorse che possono realizzare un’efficace prevenzione, interventi, ricerche e trattamento per il maltrattamento e per programmi indirizzati ai problemi sottostanti che contribuiscono al maltrattamento dei bambini (per esempio povertà, abuso di sostanze, segni di malattia mentale e scarse capacità genitoriali). 10. Fai attività di advocacy per interventi positivi comportamentali e supporti nelle scuole. 11. Riconosci segni e sintomi di maltrattamento e comunica il sospetto alle autorità competenti.

riducono l’impatto sullo sviluppo dei bambini. L’assunzione chiave dell’intervento precoce comprende l’ipotesi del vantaggio cognitivo (incrementando le capacità cognitive dei bambini precocemente si supporta lo sviluppo individuale) e l’ipotesi del sostegno alla famiglia (la partecipazione migliora le pratiche genitoriali, le attitudini, le aspettative e il coinvolgimento nell’educazione dei bambini, riduce lo stress dei genitori e migliora lo sviluppo del bambino) [14]. Fin dai primi anni ’70 sono stati sperimentati programmi di visite domiciliari alle donne durante la gravidanza e dopo il parto [15]. Le caratteristiche per il suc-

cesso di questi programmi comprendono l’alta intensità del trattamento, uno staff ben formato, un focus realistico operativo su specifiche abilità dei genitori e la capacità di coinvolgere e motivare i genitori ad alto rischio di maltrattamento dei loro bambini. Infine la necessità di tipologie multiple di servizi a cui i genitori possono accedere attraverso molteplici possibilità di accesso. Una delle modalità strategiche per fornire una serie di servizi familiari è l’home visiting che ovviamente non si focalizza solo sulla prevenzione del maltrattamento e della trascuratezza; tuttavia i servizi che sono offerti, come il supporto socia247


salute pubblica

le, i riferimenti alla rete territoriale, il sostegno genitoriale, le informazioni sulla salute, i materiali educazionali, possono aiutare anche a prevenire il maltrattamento.

Educazione (teoria dell’apprendimento) La distribuzione di materiale educativo alla famiglia quando un bambino nasce è un modo efficace per insegnare ai neogenitori una salutare relazione bambino-genitori e le pratiche delle cure al bambino [16]. L’American Academy of Pediatrics (AAP) ha sviluppato il “Connected Kids”, un intervento ambulatoriale inizialmente conosciuto come Programma per la prevenzione e l’intervento contro la violenza (VIPP) [17]. Il “Connected Kids” è un programma che utilizza un approccio basato sulla resilienza e sulla guida anticipatoria e ha l’obiettivo di aiutare gli operatori delle cure primarie a utilizzare la loro relazione terapeutica per sostenere le famiglie nella prevenzione della violenza. Il programma comprende una guida clinica, materiale educativo online, e materiale per l’educazione dei genitori e per la formazione dei pediatri e dei genitori sulla disciplina, la genitorialità e altri argomenti. Maggiori informazioni su questo programma sono disponibili sul sito www.aap.org/connectedkids.

Home visiting Avendo personale professionale o paraprofessionale esperto, i servizi domiciliari, piuttosto che ambulatoriali o comunitari, rendono possibile l’adattamento dei servizi ai bisogni di ciascuna famiglia. Gli operatori domiciliari possono anche valutare i fattori ambientali che influenzano le pratiche familiari di allevamento del bambino. Poiché questi servizi possono inizialmente essere forniti a tutte le famiglie identificate da fattori di rischio demografici o geografici, essi possono anche avere la funzione di valutazione per successivi servizi. I programmi di visite domiciliari, in cui famiglie selezionate (adolescenti, basso reddito, basso livello di istruzione) ricevono contatti regolari con personale formato, rappresentano un modello di prevenzione che è stato largamente utilizzato e fortemente correlato a una riduzione significativa del maltrattamento. 248

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La task force dell’AAP sui servizi comunitari di prevenzione ha stabilito che in 21 programmi in cui sono disponibili i monitoraggi, l’home visiting è associata a una riduzione media del maltrattamento di più del 50% [18]. L’abuso e la trascuratezza dei bambini sono il risultato dello stress e dell’isolamento sociale, della qualità del quartiere per cui ogni strategia per prevenire il maltrattamento dei bambini dovrebbe indirizzarsi sia alle dimensioni interne che esterne e avere un focus simultaneo sul rafforzamento delle famiglie a rischio e il miglioramento dei quartieri a rischio. Questi acquistano la loro importanza sia direttamente, con scuole, parchi e altri supporti primari, che indirettamente formando le attitudini e i comportamenti dei genitori e influenzandone autostima, il capitale sociale e i processi motivazionali [19]. Si ipotizza che il capitale sociale (definito da Robert Putnam come le caratteristiche dell’organizzazione come il network, le norme, e la fiducia sociale che facilita il coordinamento e la cooperazione per il bene comune) del quartiere influenzi i tassi di maltrattamento in un modello dinamico [20]. Le politiche pubbliche, che forniscono licenze di maternità e paternità, così come sussidi per le cure del bambino possono anche essere visti come sostegni a livello comunitario. Pagare la maternità porta a promuovere l’attaccamento genitori-bambino nei primi e cruciali mesi di vita e allevia lo stress finanziario della perdita di reddito. L’asilo gratuito o a basso costo promuove il lavoro riducendo i costi delle cure. Il programma Triplo P (Positive Parenting Program) fornisce solide evidenze che le iniziative su scala di comunità possono prevenire l’abuso sul bambino [21]. Esso consiste di diversi livelli di intervento. Il livello più generale arriva a tutti i membri della comunità attraverso campagne mediatiche che insegnano le basi del ruolo genitoriale positivo, includendo alcuni messaggi fondamentali: promuovi la sicurezza del bambino, gestisci il comportamento del bambino, dai una efficace disciplina e assicura le cure primarie sanitarie. Il messaggio ai genitori è comunicato attraverso quotidiani a basso costo, news

letters, mailing list di massa, presentazione a forum di comunità e sul sito web della comunità. Il programma riserva poi più intensivi e costosi trattamenti per progressivamente più piccoli gruppi di famiglie che sono a maggior rischio di maltrattamento. Il livello finale e più intensivo è il trattamento individuale familiare.

Gli elementi comuni ai programmi efficaci

L’intervento precoce risulta in un migliore e più durevole risultato per i bambini, sebbene un intervento più ritardato sia meglio di niente e possa aiutare i genitori con una genitorialità sotto stress. I genitori possono trarre beneficio dall’aspetto sociale del lavoro nel gruppo dei pari che è preferibile al lavoro individuale. Questo dovrebbe comunque includere l’home visiting come parte di un servizio multicomponente. Interventi di maggiore durata con follow-up e sessioni di rinforzo sono raccomandati per problemi di maggiore severità o per i gruppi ad alto rischio. Infine gli interventi che lavorano in parallelo, sebbene non necessariamente nello stesso tempo, con i genitori, le famiglie e i bambini sono considerati la pratica migliore. Una massiccia evidenza attualmente mostra che l’abuso nei bambini è associato con più alti tassi di spesa sanitaria. Il rapporto costo/efficacia sull’investimento nei bambini piccoli è ora diffusamente accettato. La ragione per implementare programmi di sostegno genitoriale per ridurre anche gli alti costi sociali dell’abuso e trascuratezza è ormai fortemente consolidata. u

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Intervallo, caffè e parmigiano

ore 11,40

SESSIONI PARALLELE Valutare e comunicare il rischio (R. Tanas, Ferrara) Certezze e incertezze in nefrourologia pediatrica (L. Peratoner, Trieste) Il pediatra e il disagio sociale (G. Tamburlini, Trieste)

ore 13,00

Colazione di lavoro

ore 15,00

BAMBINI A RISCHIO PER … Moderano E. Barbi, P.Villani Anafilassi (E. Barbi, Trieste) Diabete (si può predire e prevenire?) (M. Pocecco - T. Suprani, Cesena) Testa storta (L. Genitori, Firenze) Scroto acuto (G. Riccipetitoni, Milano) Liber scriptus (C. Panza, Parma)

ore 18,00

SESSIONI PARALLELE Urgenze in pediatria (C. Germani, L. Calligaris) Il calcolo dei carboidrati: rivoluzione nella cura del diabete? (T. Suprani, C. Geraci) Teste grandi e teste piccole (L. Genitori) Calendario urologico (G. Riccipetitoni)

ore 20,00

CENA MUSICALE (intrattengono: V. Canepa & M. Zecca)

Sabato 18 febbraio ore 8,45

ANCORA RISCHI Moderano P. Siani (Napoli), L. Peratoner (Trieste) Prematurità (late preterm) (G.C. Biasini, Cesena) Gravidanza indesiderata (S. Castelli, Massarosa) Allergia: c’entra lo svezzamento? (L.Calligaris-E. Barbi, Trieste)

ore 11,00

Intervallo, caffè e parmigiano

ore 11,30

FOCUS: MALTRATTAMENTO E ABUSO Pensieri (confusi) sulla pedofilia (L. Peratoner, Trieste) Prevenire: ruolo del pediatra di famiglia (C. Berardi, Perugia) L’ approccio in PS pediatrico (C. Germani, Trieste)

ore 12,30

COMPILAZIONE DEL QUESTIONARIO (C. Panza, Parma)

ore 12,45

ARRIVEDERCI

Segreteria organizzativa: TERME DI SALSOMAGGIORE E TABIANO Tel. 0524 565523 – Fax 0524 565497 – mail: info@grandhoteltermeastro.it

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Quaderni acp 2011; 18(6): 250-253

Health Equity Audit: uno strumento per agire localmente sulle disuguaglianze in salute Mauro Palazzi, Chiara Reali, Barbara Calderone, Nicoletta Bertozzi, Patrizia Vitali, Cristina Raineri, Giorgia Vallicelli UO di Epidemiologia e Comunicazione, Ausl di Cesena

Abstract

Health Equity Audit: a tool for a local action in health inequalities Health Inequalities are, all over the world, issues of particular interest for Public Health. It’s the field where its necessary to act in order to improve global health. A solid information technology system and multidisciplinary teams (service operators, local authorities and citizens) are necessary to act locally. Two projects developed locally have produced a list of health inequalities indicators, the development of a Prenatal and Paediatric Health Equity Profile and the beginning of an Health Equity Audit process aimed at identifying and evaluating actions to improve equity in paediatric health. Quaderni acp 2011; 18(6): 250-253 Key words Inequalities. Health. Equity. Audit

Le disuguaglianze in salute sono un tema di particolare interesse per la Sanità Pubblica in tutti i Paesi del mondo e un ambito su cui agire per migliorare la salute della popolazione generale. Per agire a livello locale è importante avere a disposizione solidi sistemi informativi e creare gruppi di lavoro multidisciplinari che coinvolgano operatori dei servizi, amministratori locali e rappresentanti dei cittadini. Vengono riferiti due progetti applicati sul piano locale che hanno portato alla creazione di una lista di indicatori di disuguaglianze, l’elaborazione di un “Profilo di equità” sulla salute prenatale e pediatrica e l’attivazione del processo dell’Health Equity Audit (HEA) per l’identificazione e la valutazione di azioni di miglioramento dell’equità in salute in età pediatrica. Parole chiave Disuguaglianze. Salute. Equità. Audit

Una delle maggiori sfide per la Sanità Pubblica nei Paesi economicamente avanzati è quella di contrastare la presenza di disuguaglianze di salute e di accesso ai servizi sociosanitari legate a cause evitabili, prodotte da determinanti di natura socioeconomica, che colpiscono fasce di popolazione vulnerabili. Negli ultimi anni sono comparse numerose ricerche, raccomandazioni e linee guida sulle disuguaglianze in salute e sulle strategie per contrastarle. In particolare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2008 ha pubblicato un documento, Closing the gap in a generation, a conclusione del lavoro della Commissione per i Determinanti Sociali di Salute (CSDH), voluta dall’OMS nel 2005 e guidata da Sir Michael Marmot [1]. Il documento è una ricca fonte di evidenze su cause ed effetti delle disuguaglianze in salute e di azioni valide per rendere più equa la distribuzione dei determinanti sociali di salute all’interno della popolazione. Per corrispondenza:

Mauro Palazzi e-mail: mpalazzi@ausl-cesena.emr.it

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Tra le raccomandazioni, ampio spazio è dedicato al miglioramento della capacità di lettura delle disuguaglianze a livello locale e all’investimento sul miglioramento delle condizioni quotidiane di vita sin dalla prima infanzia, epoca della vita nella quale mettono radici quelle differenze capaci di condizionare la vita e la salute di un individuo lungo tutto l’arco della vita. Sebbene una visione globale della salute e dei suoi determinanti imponga la necessità di cambiamenti strutturali nella distribuzione delle risorse economiche, sociali e culturali che escono dalla sfera di influenza di una singola azienda sanitaria, anche a livello locale è possibile realizzare interventi che puntino all’equità in salute, basati su evidenze che ne accrescano le potenzialità di efficacia. Questa consapevolezza è stata alla base della progettazione di un intervento locale nell’Ausl di Cesena che nel triennio 2011-2013 punterà a realizzare iniziative di promozione della salute nell’ottica

dell’equità. Il terreno per tale intervento è stato preparato grazie alla sinergia positiva di diversi fattori che hanno creato una opportunità di lavoro locale organizzata e condivisa: la creazione di un “Programma aziendale di contrasto degli effetti delle disuguaglianze sulla salute”, il coinvolgimento in un Progetto regionale volto a migliorare la capacità di lettura delle disuguaglianze presenti nel territorio locale, la presenza di esperienze locali consolidate di lavoro multidisciplinare su tematiche legate alla promozione della salute nell’ottica dell’equità.

“Chi ben comincia”: perché partire dai primi anni di vita

I primi anni di vita rappresentano un periodo critico durante il quale le traiettorie di vita e la vulnerabilità dello stato di salute del bambino vengono determinate da una complessa interazione tra caratteristiche dell’organismo e ambiente di vita. L’accrescimento infatti non è un processo automatico, ma è influenzato da stimoli esterni capaci di promuovere o ostacolare il pieno sviluppo delle potenzialità fisiche e neuropsicologiche del bambino. La qualità degli stimoli esterni è fortemente determinata dalle risorse materiali e relazionali presenti nel contesto familiare e sociale, comportando che differenze nella possibilità di accedere a queste risorse si traducano in iniquità nelle opportunità di crescita del bambino, in modo che la crescita possa diventare un processo in parte socialmente determinato. Studi in un’ottica life course sulle esperienze precoci di vita hanno da tempo messo in relazione esposizioni a fattori di rischio in epoca prenatale e pediatrica con danni a lungo termine per l’organismo. Nel 1995 Barker osservò che i neonati con basso peso alla nascita avevano una maggiore probabilità di sviluppare una malattia coronarica in età adulta [2]. Successive osservazioni portarono a formulare l’ipotesi secondo cui il metaboli-


salute pubblica

smo umano riceve un imprinting durante il periodo prenatale le cui conseguenze condizionano la salute dell’individuo in tutto il corso della vita. Per quanto riguarda lo sviluppo neuropsicologico del bambino, diversi studi hanno dimostrato come esso sia determinato dalla quantità di stimoli cognitivi ed educativi presenti nell’ambiente familiare e nel contesto locale, correlati a loro volta a fattori socioeconomici, caratteristiche familiari e personali quali il livello di istruzione dei genitori, lo stato occupazionale, la presenza di reti sociali e il livello di resilienza espresso dall’ambiente relazionale. Questi studi rendono ragione dell’importanza di garantire a tutti i bambini un buon inizio sin dai primi istanti di vita, attraverso interventi volti a contrastare le disuguaglianze in un’ottica life course, che non solo hanno il pregio di essere basati su evidenze che ne supportano il valore di investimento sociale e morale, ma risultano anche economicamente vantaggiosi, come dimostrato dagli studi di Heckman relativi alla quota di ritorno economico per ogni dollaro investito in programmi di intervento a favore dei primi anni di vita (figura 1) [3]. L’importanza di impostare gli interventi di contrasto delle disuguaglianze in salute partendo dai primi anni di vita con una prospettiva longitudinale è alla base delle raccomandazioni presenti nel già citato Closing the gap in a generation della CSDH e in Fair Society, Healthy living. The Marmot Review, pubblicato a febbraio 2010 e volto a individuare le strategie per ridurre le disuguaglianze sociali in Inghilterra sulla base di quanto prodotto dalla CSDH [4]. Questo documento, pur essendo rivolto al governo inglese, presenta spunti e riflessioni metodologiche utili anche per la nostra realtà, in quanto è una delle prime e più autorevoli esperienze di declinazione locale dei principi globali contenuti nel documento dell’OMS. Avendo come guida queste importanti esperienze, si è partiti a livello locale con la stessa impostazione, centrando il lavoro sulla prima infanzia e analizzando il contesto locale secondo il modello di riferimento sullo sviluppo del bambino in età prescolare (Early Child Development) elaborato nell’ambito delle ricerche della CSDH [5].

Quaderni acp 2011; 18(6)

FIGURA

1: CURVA DI HECKMAN SUL RITORNO DEL CAPITALE INVESTITO NELLO SVILUPPO DELLE COMUNITÀ

Un “Profilo di equità” in epoca prenatale e pediatrica

Il punto di partenza dell’intervento dell’Ausl di Cesena è stato la realizzazione di un “Profilo di equità” della salute prenatale e pediatrica nel territorio locale, pubblicato nel marzo 2011 e contenente informazioni raccolte in schede relative a 28 indicatori sentinella di iniquità e disuguaglianze nell’ambito della salute, scelti integrando evidenze, raccomandazioni, opinioni degli esperti (pediatri, epidemiologi, ostetrici) ed esperienze già avanzate in questo campo raccolte dalla letteratura internazionale [6]. Lo scopo del lavoro era duplice: da un lato sperimentare localmente la capacità di lettura degli indicatori proposti, dall’altro valutare la completezza delle banche dati disponibili o la presenza di lacune informative da colmare. I 28 indicatori sono stati raccolti in tre gruppi principali: a) determinanti sociali di salute, ovvero informazioni relative all’ambiente socioeconomico e relazionale di vita della madre e del bambino (es. indicatori sulla qualità dell’assistenza alla gravidanza, sugli stili di vita della madre, sulla copertura vaccinale del bambino); b) effetti sulla salute, ovvero differenze nelle esperienze di salute e malattia

tra gruppi di popolazione distinti per caratteristiche socioeconomiche (es. parti pretermine, tassi di mortalità, tassi di accesso in Pronto Soccorso); c) conseguenze socioeconomiche della malattia, intendendo con ciò che la malattia può peggiorare la posizione socioeconomica del singolo e dei suoi familiari a causa di inadeguati sistemi di compensazione sociale (es. madri che lasciano il lavoro per assistere un figlio disabile).

La fotografia emersa dal profilo ha evidenziato la presenza di differenze tra gruppi di popolazione a cui rivolgere particolare attenzione per la promozione della salute e l’accesso ai servizi, ma soprattutto ha confermato la presenza di lacune nei sistemi informativi disponibili che limitano la capacità di una lettura piena delle disuguaglianze sofferte dalla popolazione.

Conoscere per agire: la sperimentazione dell’Health Equity Audit (HEA)

La conoscenza dei fenomeni è un prerequisito fondamentale per poter programmare interventi realmente utili ed efficaci. Lo studio condotto ha evidenziato la necessità di migliorare la qualità delle banche dati esistenti, ma nel frattempo 251


salute pubblica

ha comunque messo in luce aree verso cui intervenire. Quale potrebbe essere una modalità efficace per progettare azioni utili? A questa domanda si è risposto scegliendo di sperimentare a livello locale il processo dell’HEA, attraverso il quale tutti gli attori del territorio (politici, amministratori, professionisti sociosanitari, cittadini) valutano sistematicamente la presenza di disuguaglianze nelle cause di malattia, nell’accesso ai servizi e nell’esito degli interventi realizzati localmente e garantiscono la messa in campo di azioni di contrasto condivise i cui risultati, in termini di impatto sulle disuguaglianze, vengono monitorati e valutati nel tempo [7]. L’HEA è uno strumento nato in Inghilterra e raccomandato dalla CSDH per far sì che il tema delle disuguaglianze in salute entri sistematicamente all’interno del processo di elaborazione e di valutazione di politiche e programmi, non relegandolo a interventi ad hoc. È un processo a sei tappe, formalmente non nuovo per la Sanità pubblica, ma caratterizzato dalla particolarità di integrare sistematicamente il tema dell’equità nel processo di programmazione e offerta di servizi. Le sei tappe che compongono il processo partono dalla creazione di un gruppo di lavoro multidisciplinare e dalla scelta delle priorità su cui applicare l’HEA, a cui seguono: l’elaborazione di un “Profilo di equità”; la scelta di azioni che possano essere avviate localmente per il contrasto delle disuguaglianze; la definizione condivisa di obiettivi specifici (di processo, di attività, di risultato, di esposizione) da parte dei partner del gruppo; i cambiamenti da apportare nell’allocazione di risorse e nell’offerta di servizi; la valutazione dei progressi e dell’impatto ottenuti rispetto agli obiettivi locali del processo di HEA (figura 2). I risultati emersi dal “Profilo di equità” nella salute prenatale e pediatrica sono stati utilizzati per dare avvio al processo di HEA a livello locale, che verrà sviluppato nel triennio 2011-2013.

Il ruolo dei pediatri di libera scelta nel processo dell’HEA

Il processo dell’HEA prevede la creazione di un team multidisciplinare che comprenda gli amministratori locali, gli operatori dei servizi, il terzo settore e i rap252

Quaderni acp 2011; 18(6)

FIGURA

2: IL CICLO DELL’HEALTH EQUITY AUDIT

Da Health Equity Audit Made Simple: a briefing for primary care trust and local strategic partnerships. Working document. APHO-HDA, 2003.

presentanti dei destinatari degli interventi. La multidisciplinarietà consente innanzitutto una migliore conoscenza del fenomeno che si vuole indagare. I limiti di lettura non nascono infatti solo dalla bassa qualità delle banche dati disponibili, ma dalla necessità di una lettura contestualizzata del fenomeno, che attraverso la narrazione dei vissuti delle persone coinvolte arricchisca di senso e significato il risultato delle indagini quantitative. Un “Profilo di equità” non può basarsi solamente su dati quantitativi, ma deve essere integrato con analisi qualitative che richiedono il coinvolgimento delle persone che vivono il problema indagato, siano essi cittadini o operatori. Nel leggere la salute dei bambini nella comunità, un ruolo chiave viene svolto dai pediatri di libera scelta (PLS) attraverso le informazioni raccolte nel corso dei bilanci di salute durante i quali i bambini vengono sottoposti a valutazioni della crescita, dello sviluppo psicomotorio, cognitivo e sensoriale, ma anche attraverso il coinvolgimento attivo nei processi di analisi qualitativa dei fenomeni. La loro quotidiana frequentazione dei bambini e delle famiglie li rende infatti

osservatori privilegiati di dinamiche e disagi presenti nel territorio, leggibili solo a distanza di tempo dalle statistiche correnti. Nelle fasi successive del processo di HEA i pediatri ricoprono un ruolo chiave sia nel progettare possibili azioni di contrasto, contribuendo a valutarne la fattibilità concreta e l’accettabilità da parte delle famiglie, sia nella realizzazione degli interventi stessi. Rispetto infatti agli interventi di contrasto alle disuguaglianze, la logica con cui ci si muove nell’assistenza di base non può essere quella caratteristica del paradigma dell’attesa, tipico dei servizi di emergenza, ma quella della medicina di iniziativa, ovvero di una medicina rivolta alla promozione della salute per la prevenzione delle malattie o di un loro aggravamento. Tale prospettiva, tipica della gestione delle patologie croniche nell’assistenza di base, vede nei medici di medicina generale e nei PLS attori determinanti per raggiungere il paziente prima che si sviluppi o si aggravi una malattia, promuovendone il coinvolgimento nel processo di cura e contribuendo a svilupparne l’empowerment rispetto alla salute.


salute pubblica

Quaderni acp 2011; 18(6)

QUANTO DOBBIAMO A STEVE JOBS

Infine, il punto di vista del PLS non può mancare nella valutazione degli interventi.

Conclusioni

Le disuguaglianze in salute sono tra le maggiori sfide per i sistemi sanitari dei Paesi economicamente avanzati in quanto miglioramenti nella salute della popolazione generale non possono essere raggiunti senza sforzi aggiuntivi per ridurre le iniquità sociali nella salute. Dalle prime esperienze di interventi isolati, promossi spesso dalla sensibilità degli operatori più che da mandati istituzionali, si è giunti a una fase in cui il lavoro sulle disuguaglianze in salute è parte fondante e qualificante di un servizio sanitario che, come il nostro, voglia essere universalistico ed equo. Numerose evidenze scientifiche e strumenti validi sono oggi disponibili per supportare il lavoro degli operatori sanitari, e le azioni intraprese devono essere basate sullo stesso rigore richiesto per ogni intervento di Sanità pubblica. Affinché questo sia possibile, manca tuttavia uno sforzo organizzato per migliorare la capacità delle nostre banche dati di leggere i determinanti sociali di salute e in particolare le condizioni ambientali che favoriscono o ostacolano la fruizione di diritti o l’assunzione di comportamenti sani. Per andare in questa direzione è fondamentale un coinvolgimento pieno di attori apparentemente distanti dal mondo della sanità e concordare con loro, ispirandoci a nazioni che hanno già compiuto questo sforzo, parametri e sistemi per la lettura delle caratteristiche sociali, amministrative ed economiche del territorio, correlandole con il benessere e la salute degli individui che in esso sviluppano la loro esistenza. Si apre quindi una sfida interessante e utile che porti a una rivoluzione copernicana dei sistemi di lettura della salute: non porre più al centro il momento in cui la salute si incrina e si rendono necessari gli interventi dei servizi sanitari, ma par-

tire dalla relazione tra l’individuo e il suo ambiente globalmente inteso. Supportati da adeguate fonti informative si pensa che possa essere possibile sviluppare azioni e monitorarle nel tempo per comprendere se realmente sono efficaci nel ridurre le disuguaglianze in salute. Questo intervento, per quanto limitato, cerca proprio di andare verso la qualificazione del lavoro e la confrontabilità dei dati ed esperienze tra territori, senza tuttavia limitarsi ad azioni ad hoc, ma incorporando la tensione all’equità nei percorsi di programmazione locali. Affinché sia possibile tutto questo è necessario partire dalla creazione di un gruppo di lavoro multidisciplinare che accompagni il processo in tutte le sue fasi. Essendo partiti dalle disuguaglianze in salute nella prima infanzia, un ruolo determinante è ricoperto dal PLS, l’operatore sanitario che maggiormente è in contatto con i bambini e le famiglie e può migliorare la capacità di lettura dei fenomeni indagati e contribuire concretamente alla realizzazione e valutazione degli interventi. u Bibliografia [1] Commission on Social Determinants of Health. Closing the gap in a generation: Health equity through action on the social determinants of health. WHO, 2008. [2] Barker DJP. Fetal origins of adult coronary heart disease. BMJ 1995;311:171-4. [3] Heckman JJ. Schools, skills, and synapses. Economic Inquiry 2008;46:289-324. [4] Marmot Review Team. Fair Society, Healthy living. The Marmot Review. 2010 http://www. marmotreview.org/. [5] Maggi S, Irwin LG, Siddiqi A, Hertzman, C. The social determinant of early child development: an overview. J Paediatr Child Health 2010;46: 627-35. [6] “Profilo di equità” in epoca prenatale e pediatrica. Ausl di Cesena, marzo 2011 http://www.auslcesena.emr.it/Approfondimenti/ProfilodiComunit %C3%A0/tabid/523/Default.aspx. [7] Hamer L, Jacobson B, Flowers J, et al. Health Equity Audit Made Simple: a briefing for Primary Care Trust and Local Strategic Partnerships. Working document, APHO-HDA, 2003.

Quando si è sparsa la notizia della morte di Steven Paul Jobs, su Twitter si è arrivati a 6049 tweet al secondo, più di quanto registrato durante il maremoto di Fukushima o alla notizia dell’uccisione di Osama Bin Laden. Il giorno dopo i quotidiani italiani titolavano sulla prima pagina. La reazione alla notizia della sua morte è andata oltre i confini della tecnologia. Jobs non era un vero computer scientist, ma forse un esteta, convinto che alla gente piace la semplicità, soprattutto se bella da vedere. Non ha inventato nulla: ha solo preso le migliori idee che già c’erano e ne ha fatto prodotti belli, facili da usare in maniera intuitiva. Così facendo ha imposto trasformazioni profonde, spesso controcorrente, al modo di navigare su Internet, di ascoltare musica, di vedere film, di leggere i giornali. Ma dobbiamo ricordare quanto abbia influenzato la possibilità di comunicare in medicina. Oggi un medico, se percorre la via della digitalizzazione, può visionare Rx, Tc, Rm o analisi di un paziente sul pc, sull’iPad, o sullo smartphone; può inviarle per un consulto a un collega; se troppo pesanti, può condividerle sul web, con Google-doc, Mobile me o iCloud. Niente più dischi rigidi di enormi capacità nel pc, oggi basta un iPad o il Kindle, uno smartphone o qualsiasi strumento digitale connesso a internet, per accedere a tutti i file dati/multimediali immagazzinati sul proprio spazio web, in qualunque momento e da qualsiasi luogo. Da uno smartphone con mezzi tecnici facili da usare si può inviare la cartella clinica di un paziente a un collega, su quel paziente si possono controllare le ultime linee guida pubblicate su PubMed. È una realtà l’agenda online sul cellulare e postare messaggi e file multimediali con i propri pazienti sul blog loro dedicato o su Facebook. Tutto questo e altro ancora lo si deve anche a Steve Jobs, certo non solo a lui, ma grazie soprattutto a lui oggi la digitalizzazione della vita è più facile e forse piacevole, anche se non sempre a buon mercato. Il tutto prodotto in un’atmosfera personale silenziosa e “privata”, senza ostentazioni della sua intelligenza e della sua ricchezza. Laura Reali

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Quaderni acp 2011; 18(6): 254-255

Quando gli “effetti collaterali” sono benefici

Un’esperienza di cambiamento del punto nascita secondo i programmi UNICEF “Ospedale amico del bambino” Isabelle Robieux, Elisabetta Santin, Franco Colonna SC di Pediatria, PO di San Vito al Tagliamento (Pordenone), ASS 6 Friuli Occidentale Abstract

When “side effects” are beneficial: the experience of a change in a newborns ward based on UNICEF “Baby friendly Hospital” programme The “Baby Friendly Hospital” recognition is a long and not easy procedure that improves both mother and child wellbeing. Our experience is extremely positive also for its unexpected “side effects” on work organization and quality and on better relations both among health professional and between hospital and communities. Positive improvements regard also self esteem, job satisfaction and empowerment. Unicef global strategy looks as an excellent and highly recommended way, not only in terms of breastfeeding, of promoting quality healthcare. Quaderni acp 2011; 18(6): 254-255 Key words Unicef. Breastfeeding. Maternal-child health. Nursing

Il lungo e non sempre facile processo di riconoscimento come “Ospedale amico del bambino” determina riconosciuti vantaggi per mamme, bambini e allattamento. La nostra esperienza è però largamente positiva anche per gli inaspettati “effetti collaterali” su organizzazione e qualità del lavoro, interazioni tra i vari attori dell’assistenza materno-infantile e tra ospedale e territorio. Brillanti sono anche le ricadute su professionalità, autonomia e soddisfazione individuale dei singoli operatori. Anche per questi motivi i programmi Unicef sono raccomandabili per ogni struttura desiderosa di processi continui di qualità. Parole chiave Unicef. Allattamento al seno. Salute materno-infantile. Nursing

Introduzione: come eravamo

Dieci anni fa all’Ospedale di San Vito al Tagliamento i neonati erano accuditi in una struttura tradizionale di tipo “nido chiuso”. La consuetudine era di staccarli dalla madre fin dai primi secondi di vita per essere pesati, visitati, vestiti e portati al Nido. Puericultrici e vigilatrici si sostituivano alle madri prendendo in carico le cure, l’igiene e parte della nutrizione. I neonati erano portati alle madri a orario fisso, e il tempo per imparare a succhiare al seno era contato. Doppie pesate e aggiunte di liquidi e latte artificiale erano la regola. Il pediatra era orientato verso la ricerca di patologia, e il suo atteggiamento era normativo e talvolta paternalistico nei confronti della madre, che veniva di fatto infantilizzata invece di essere messa in grado di sviluppare le sue competenze e capacità di entrare in sintonia con il figlio fino a divenire rapidamente autonoma: processo oggi giustamente definito di “empowerment” e cioè in fondo di liberazione e sviluppo della “potenza” delle donne.

Al momento della dimissione le madri erano spesso insicure nella gestione del figlio e la prevalenza di allattamento esclusivo al seno era bassa. Queste rigide consuetudini si erano stratificate e consolidate nel tempo, fin dagli anni Sessanta e cioè da quando il parto in ospedale era diventato la norma. In tanti altri punti nascita la routine ospedaliera è forse ancora simile a questa. Dieci anni fa sentimmo la necessità di cambiare. I tempi erano maturi e tante di noi avevano provato l’esperienza personale della maternità e la frustrazione di non poter accudire il proprio figlio. Alcune avevano seguito quasi “di nascosto” corsi di formazione sull’allattamento. Le evidenze scientifiche ribadivano l’ovvio e cioè che neonato e madre avrebbero tratto cospicui benefici dall’allattamento naturale e dal poter stare assieme da subito e il più a lungo possibile. Medici e infermiere misero infine in discussione il proprio ruolo e provarono a inverare il proverbio “Solo lo stupore conosce, solo l’umiltà impara”.

L’inizio del cambiamento: ogni lunga marcia comincia con i primi passi

La prima mossa fu la progressiva soppressione dei rientri al Nido e una maggiore flessibilità nelle poppate per rispettare i ritmi naturali dei neonati. Non bastava però la buona volontà: imporre il rooming-in completo dall’oggi al domani e abolire le aggiunte di liquidi sarebbe stata un’altra violenza se la madre non fosse stata informata, formata e sostenuta da un’équipe competente, solidale e capace di messaggi univoci. La visita a Bassano (primo “Ospedale amico del bambino” in Italia) ci aprì un orizzonte: la possibilità di cambiare in profondità le nostre routine e promuovere una cultura favorevole all’allattamento [1]. Per conoscere e ripensare ai dieci passi per la promozione dell’allattamento al seno si veda il sito http://www.unicef.it/doc/150 [2]. Costituimmo un gruppo di lavoro multidisciplinare con operatori motivati che proposero nuove prassi. Dapprima piccoli cambiamenti quasi inavvertibili. Per proseguire si aspettava che le novità fossero condivise e interiorizzate. Il gruppo compì poi una prima autovalutazione seguendo la traccia proposta dall’Unicef. Valutando le criticità e monitorando i risultati dell’allattamento emerse la priorità di formare in modo capillare il personale a contatto con madri e neonati. Era essenziale che tutti operassero in sinergia, con flessibilità ma dando messaggi coerenti. Occorreva convincere ciascuno. Evitammo quindi le scorciatoie degli ordini di servizio calati dall’alto e i conflitti sempre possibili quando i cambiamenti sono troppo veloci e numerosi o gestiti da avanguardie elitarie e minoritarie. Nel 2003, in collaborazione con l’Ospedale di Pordenone, avviammo la formazione di tutti gli operatori a contatto con madri e neonati durante il percorso nascita. Ginecologi e pediatri, primari e operatori sociosanitari, ostetriche e infermiere, ospedalieri e del territorio: tutti insieme sui banchi

Per corrispondenza:

Franco Colonna e-mail: franco.colonna@ass6.sanita.fvg.it

254

sanitaria


organizzazione sanitaria

della stessa scuola. A parte le competenze tecniche sull’allattamento, questi corsi ci permisero di acquisire abilità di counselling, utili in tutti gli ambiti dell’attività professionale. La conoscenza del Codice di Commercializzazione dei sostituti del latte materno ci indusse a maggior trasparenza e rigore nei rapporti con l’industria del latte artificiale per non ridurci a meri terminali di logiche di marketing o promotori involontari di prodotti coperti del Codice alimentare [3]. Questi corsi furono inoltre un’occasione per condividere progetti e un orizzonte: un’occasione preziosa in realtà organizzative fino ad allora a compartimenti stagni. Formati e motivati tutti gli operatori, i cambiamenti divennero più facili. Il gruppo decise di concentrarsi su obiettivi specifici, uno alla volta. Dopo il mese in cui buttammo via ciucci e paracapezzoli, ci fu il mese in cui smettemmo di fare doppie pesate e quello in cui, superando un pudore fuori luogo, ci decidemmo a insegnare a tutte le madri la spremitura manuale del seno. Il maggior salto di qualità lo compimmo nel ottobre 2005, mese del bonding. Dopo adeguata preparazione proponemmo a tutte le madri il contatto pelle a pelle come modalità “naturale e normale, emozionante e scientifica” di accudire il neonato nelle prime ore di vita. Questo passo fu così gradito dalla maggioranza delle madri che abbiamo ampiamente superato la richiesta minima dell’Unicef di 30 minuti di bonding. Ora questo momento magico si prolunga finché lo desidera la madre, spesso per più di 3 ore e – se possibile e desiderato – viene proposto anche in caso di parto cesareo [4]. I valutatori dell’Unicef ci hanno sempre consigliato e proposto soluzioni e strategie: un ruolo da noi sempre più gradito e “naturale” dopo iniziali diffidenze e timori di esser “giudicati ed eterodiretti”. L’Unicef ottenne poi dalla direzione generale una policy vincolante per tutta l’azienda in cui si riconosceva l’importanza della promozione dell’allattamento naturale e l’impegno a sostenere tutte le azioni elencate nei 10 passi e a non accettare più doni o sconti sui piccoli quantitativi di latte artificiale che dobbiamo acquistare. All’inizio del 2007 ottenemmo il riconoscimento di “Ospedale amico del bambino”. Non un arrivo ma solo un’altra tappa di una dinamica virtuosa di progresso collettivo [5].

Quaderni acp 2011; 18(6)

Effetti collaterali positivi dal cambiamento e nuove prospettive

Proviamo ora a elencare alcuni effetti collaterali inattesi ma assolutamente positivi che questo percorso ha determinato in noi. I neonati hanno un nome, un posto dove stare bene (con la madre), una cartella clinica integrata e unica medico-infermieristica in linea anche con le raccomandazioni di organismi internazionali di certificazione come la Joint Commission. I loro bisogni sono ascoltati e rispettati. Le madri sono più autonome e competenti e hanno più fiducia nelle proprie capacità genitoriali. Il loro ricorso all’ospedale subito dopo la dimissione e in qualsiasi forma (telefonate, visite ambulatoriali o di Pronto Soccorso) è diventato eccezionale. Anche i padri sono più partecipi e competenti nel sostegno alla madre. Le infermiere non sono più quelle di una volta: il loro compito non è infatti più quello di sostituirsi alla madre ma quello di sostenerla e incoraggiarla. Questo nuovo ruolo richiede flessibilità, professionalità e abilità di counselling. Il carico di lavoro non è affatto diminuito ma si è spostato da mansioni prevalentemente tecnico/esecutive ad altre più complesse. Tante operatrici si dicono soddisfatte della maggiore autonomia, di un lavoro che richiede collaborazione, coerenza, cultura, capacità di ascolto e di fornire un’assistenza personalizzata. Medici e altri operatori sanitari si conoscono meglio e lavorano in équipe. Non abbiamo più sponsor e scegliamo liberamente gli aggiornamenti che hanno veramente valore per noi. Il ruolo del pediatra non è più facile né più veloce, ma più vario e appagante: invece di prescrivere tipi e dosi di latte, osserva meravigliato le competenze del neonato, condivide coi genitori le sue osservazioni, li rende protagonisti e consapevoli di tutte le decisioni. Per alcuni non è stato facile accettare la valutazione esterna del proprio lavoro; eppure, con una buona dose di umorismo, ostinazione e lavorando in squadra, abbiamo abbattuto barriere che credevamo invalicabili e fatto molta strada verso l’orizzonte di un ospedale e di una comunità a misura di bambino.

Conclusioni

Riassumendo e parafrasando gli ormai famosi “dieci passi” dell’Unicef, la nostra piacevole esperienza è che, seguendo il suddetto percorso, si possono conseguire quasi inevitabilmente almeno altri dieci “salti di qualità” che potremmo così riassumere: 01. Fare squadra e crescere gradualmente tutti assieme. 02. Sviluppare in modo condiviso tematiche assistenziali, culturali, scientifiche tra medici e infermieri, pediatri e ginecologi, ospedale e territorio, ottenendo miglior conoscenza reciproca e collaborazione tra i vari servizi del sistema materno-infantile. 03. Maturazione di nuovi leader naturali. 04. Approfondire e inverare temi etici. 05. Evoluzione del lavoro: da esecutivo e per mansioni al lavoro creativo e professionalizzante per obiettivi. 06. Riorganizzare l’assistenza perinatale in base a evidenze scientifiche condivise a livello internazionale invece che attorno a prassi e usanze locali. 07. Attitudine a valutare sistematicamente i risultati della propria organizzazione, non solo in termini di allattamento. 08. Mentalità più aperta e crescente, apprezzamento per il supporto e la valutazione da parte di colleghi, consulenti e organizzazioni esterne. 09. Cartelle cliniche unificate mediche e infermieristiche rispondenti a criteri di qualità certificabili anche da organismi internazionali. 10. Aumento della soddisfazione e dell’orgoglio di gruppo: il successo genera piacere e senso di appartenenza, aumenta le motivazioni e diminuisce i conflitti. u Bibliografia [1] Speri L. L’Ospedale amico dei bambini. Milano: Masson Editore, 2004. [2] I dieci passi UNICEF. http://www.unicef.it/doc/150. [3] Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_1467_listaFile_itemName_7 _File.pdf. [4] Colonna F, Robieux I, Santin E, et al. Padre in sala operatoria e contatto precoce “pelle a pelle” durante il taglio cesareo: si può fare. Quaderni acp 2009;16: 10-4. [5] Ospedali amici dei bambini. http://www.unicef.it/doc/148/ospedali-amici-dei-bambini.htm.

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mentale

Quaderni acp 2011; 18(6): 256

La terapia cognitivo-comportamentale in età evolutiva Angelo Spataro (a cura di) Pediatra di famiglia, ACP Trinacria, responsabile della Segreteria “Salute mentale” dell’ACP

La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), in questi ultimi anni, ha avuto una larga applicazione per un vasto numero di disturbi psicologici del bambino e dell’adolescente. Fra le varie forme di psicoterapia la TCC ha una grande diffusione perché risulta ancorata alla ricerca scientifica e perché giunge alla soluzione di molti disturbi emotivo-comportamentali in un tempo relativamente breve. La TCC è efficace? In ambito pediatrico, quali disturbi possono avvantaggiarsi di questa psicoterapia? L’intervista è a Ettore Piro, pediatra del Dipartimento materno-infantile presso l’Università di Palermo, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.

Parole chiave Terapia cognitivo-comportamentale. Disturbi dello sviluppo. Ritardo mentale

Che cos’è la terapia cognitivocomportamentale (TCC) e qual è il modello teorico alla base di questa psicoterapia?

Con il termine TCC si fa riferimento a numerose tecniche psicoterapeutiche per il trattamento di problemi psico-comportamentali ed emotivi e in età evolutiva prevede il coinvolgimento della famiglia (counselling e training genitoriale) e degli adulti che gestiscono il bambinoadolescente nell’ambito delle sue attività scolastiche, ludiche, sportive e abilitative. La terapia cognitiva (TC), definita di prima generazione, si ispira a modelli comportamentisti e si basa sui processi di apprendimento condizionato (i primi tentativi di trattamento comportamentale dell’enuresi infantile risalgono alla fine degli anni Trenta). La TC si sviluppò ampiamente tra il 1950 e il 1970. Nella metà degli anni Sessanta, con l’avvento del cognitivismo, che considera fondamentali gli aspetti cognitivi ed emotivi nel determinismo dell’espressione comportamentale e del disagio psichico, si assiste allo sviluppo della terapia cognitiva di seconda generazione. Fondamentale per l’approccio cognitivista è il generare nel paziente delle modificazioni dei suoi pensieri irrazionali e degli schemi cognitivi patogeni attraverso un processo di ristrutturazione cognitiva basato principalmente su tecniche di confutazione socratica. Mediante la confutazione il paziente abbandona le credenze disfunzionali responsabili di un’alterata interpretazione della realtà per assumere modalità più razionali di “lettura” degli eventi. Alla fine degli anni Ottanta avviene la fusione delle due generazioni della Per corrispondenza:

Angelo Spataro e-mail: spataro.angelo@alice.it 256

TC, con lo sviluppo della TCC. Dall’inizio degli anni Novanta si assiste all’emergere di altre tecniche psicoterapeutiche, da alcuni considerate terza generazione della TCC. Di queste ultime tecniche non è attualmente disponibile un’ampia casistica di applicazione in età evolutiva.

Che differenza c’è rispetto alle altre psicoterapie?

Gli aspetti peculiari della TCC in età evolutiva sono l’intervento focalizzato sul qui ed ora e la figura del terapeuta che assume un ruolo “elasticamente” direttivo con il coinvolgimento della famiglia e di altre figure di riferimento per il bambino/adolescente. Aspetto peculiare per un successo terapeutico è nel bambino di età scolare, e soprattutto nell’adolescente, la motivazione al cambiamento, con adesione al progetto terapeutico. Per la pianificazione di un intervento sono necessarie un’attenta identificazione, una definizione e registrazione del comportamento problematico (B), di quello che è avvenuto precedentemente (A) e delle conseguenze (C) che il comportamento ha determinato. Dall’analisi critica di queste sequenze comportamentali si può generare una ipotesi funzionale del comportamento problematico, identificare grossolani errori di gestione educativa da parte dei genitori e di altre figure di riferimento.

In ambito pediatrico, per quali disturbi è indicata la TCC? A quale età può essere iniziata? Metodi e tecniche di abilitazione che si ispirano al comportamentismo sono utilizzati con i soggetti affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo e da ritardo mentale. Nel bambino piccolo con disturbi psico-comportamentali ed emotivi la TCC si basa su un intervento in cui il terapeuta riveste la figura di organizzatore delle specifiche attività di esercizi comportamentali per il cui svolgimento

si richiede una stretta collaborazione con i genitori. Con questa strategia di intervento la TCC si applica nei disturbi del sonno, nei disturbi dell’alimentazione, nell’enuresi, nel disturbo oppositivo provocatorio, nel disturbo d’ansia da separazione, in alcune fobie e nel disturbo ossessivo compulsivo del bambino piccolo. Nei bambini più grandi può essere applicata in questi disturbi e in altri tra i quali il disturbo da tic, i disturbi della sfera alimentare, l’estrema timidezza, il disturbo post-traumatico da stress, i disturbi dell’umore, il disturbo della condotta e il bullismo e l’ADHD. In questi casi si applicano anche le tecniche di tipo cognitivo.

Qual è la sua efficacia? Quanto dura?

L’efficacia della TCC è stata documentata da molti studi, ma va ricordato che il risultato del trattamento dipende dal livello di competenza dell’operatore, dalla costruzione di una valida alleanza terapeutica che coinvolge il terapeuta, il bambino/adolescente, la famiglia e le altre figure di riferimento, e dalla motivazione intrinseca del paziente. La durata delle terapia è variabile, ma caratteristica della TCC è la relativa brevità rispetto ad altre psicoterapie. I tempi dipendono anche dal tipo di problema e dall’età del soggetto. Si può variare da terapie brevi (4-8 sedute nell’arco di 2-3 mesi) per minimi problemi comportamentali, a terapie di durata maggiore per situazioni più strutturate. Il mantenimento nel tempo dei risultati dipende dal tipo di disturbo, dai tempi e dal grado di impegno che sono stati necessari per ottenere i primi risultati positivi e dall’abilità del paziente e dell’ambiente in cui il paziente è inserito nel mantenere stabili nel tempo i risultati ottenuti. A tale scopo si rivelano utili sedute e/o attività ed esercizi di “richiamo” sia per i genitori che per il piccolo paziente. u


fra due mondi

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Il viaggio di Ulisse Interventi specialistici e di medicina generale nei Paesi in via di sviluppo Fabio Sereni, Alberto Edefonti Clinica Pediatrica dell’Università di Milano

Giancarlo Biasini ha avuto l’idea di dar vita, su Quaderni acp, a una serie di articoli dedicati all’impegno degli acipini nella “Cooperazione internazionale” e mi ha chiesto di collaborarvi. Ho tratto dal fondo di un mio cassetto la breve, ma istruttiva storia che ho scritto con Alberto Edefonti pochi mesi orsono per una iniziativa non andata in porto, ma che è all’inizio dell’attenzione mia e dei miei collaboratori per questo tipo di interesse. È la storia di un bambino del Centro America affetto da una grave nefropatia che lo avrebbe dovuto far morire, a cui invece è sopravvissuto, dando inizio a un progetto di cooperazione internazionale. Una vicenda esemplare, ma certamente non unica, che dimostra come da un episodio di usuale solidarietà possa sortire, quasi per inerzia, un vantaggio per molti. Sono lieto che Giancarlo abbia accettato di pubblicarla, soprattutto perché mi darà modo di esprimere alcune considerazioni sulla cooperazione internazionale pediatrica, sulla quale mi piacerebbe si aprisse una discussione con gli amici dell’ACP.

Ulisse di Managua

Era il febbraio dell’anno 2000. A Managua, capitale di un Paese poverissimo, il Nicaragua, e per giunta devastato da un terremoto che un decennio prima aveva causato più di 50.000 morti, si teneva il Congresso della Società di Nefrologia del Centro America e dei Caraibi. Eravamo stati invitati a tenere alcune conferenze, per portare, nei limiti del possibile, innovazione e cultura in un sistema sanitario appena istituito. Riceviamo, poco dopo l’arrivo, una telefonata dall’Ambasciata d’Italia che chiede il favore di visitare il figlio di quattro anni (“malato di reni”) di una giovane impiegata nicaraguense di una ONG italiana per il quale i medici del luogo si dichiaravano impotenti a cure efficaci, e prospettavano la fine in tempi brevi. Viene subito portato all’albergo un bel bambino, molto sofferente e in braccio alla madre perché, per patologie scheletriche molto gravi, non aveva neppure potuto tentare di iniziare a muovere i primi passi. Il bimbo era affetto da una grave insufficienza renale cronica che avrebbe avuto come indicazione, se avesse avuto la fortuna di nascere in Italia Per corrispondenza:

Fabio Sereni e-mail: fabio.sereni@unimi.it

o in altro Paese con una sanità efficiente, la dialisi e il successivo trapianto di rene. In Nicaragua tutto ciò era impossibile. Erano allora tempi in cui era molto più semplice di ora trasferire in Italia pazienti bisognosi di cure provenienti da Paesi senza risorse sanitarie adeguate. Si decise, seduta stante, di trasferire il bambino con la mamma a Milano, confidando, per coprire le inevitabili non trascurabili spese, nel tradizionale cuore di Milano. E il cuore subito rispose. La Regione Lombardia si impegnò a coprire le spese sanitarie, mentre ai privati spettò l’onere di mantenere per tempi non brevi madre e figlio a Milano. La madre si dichiarò disponibile, se fosse stato possibile, a donare un suo rene al bambino. Furono necessari due lunghi anni perché fossero ricostruite, seppure parzialmente, le vie urinarie del bambino, così da metterlo in condizione di ricevere il rene materno. Intanto il bambino era mantenuto in vita con la dialisi cronica alla Clinica “De Marchi” di Milano. E il gran giorno finalmente venne. Era il 4 aprile dell’anno 2003 quando al Padiglione Zonda del Policlinico di Milano fu prelevato alla madre un rene che fu trapiantato a suo figlio. Sono oramai passati quasi dieci anni. Ulisse a quattro anni era molto piccolo, sofferente, non camminava, ma il suo sviluppo psichico era normale. Ora è un bel ragazzo, normalmente sviluppato. A sei anni è potuto ritornare in Nicaragua, ma ha lasciato di sé un così bel ricordo che due anni fa persone che lo avevano conosciuto e amato in Italia, lo hanno richiamato nel nostro Paese per garantirgli un futuro migliore. E oggi frequenta con ottimo profitto la prima classe della scuola media di Bollate. Questa sarebbe, per sommi capi, una bella ma ordinaria storia di solidarietà umana. Ma dalla storia di Ulisse è nato un grande progetto e di questo vogliamo brevemente parlare. Ci eravamo fatti promotori di curare in Italia Ulisse, un piccolo bambino molto sofferente, come ce ne sono moltissimi nei Paesi meno fortunati. Sapevamo che era pochissima cosa e che era evidente che si doveva fare di più, cercare di correggere carenze di assistenza per noi intollerabili, per noi che consideriamo la sanità efficiente non un privilegio ma un diritto, per tutti i bambini del mondo. Cittadini e professionisti milanesi si offrirono nel lontano 2001 di progettare e sostenere in Nicaragua un progetto organico per la

istituzione di un servizio di nefro-urologia pediatrica “completo”. La Regione Lombardia è stata, per lunghi anni, fondamentale nel mettere a disposizione mezzi e competenze. Il Governo del Nicaragua ha fatto la sua parte. Il risultato di tutto questo sforzo congiunto, tra pubblico e privato, tra Regione Lombardia e Governo del Nicaragua, è che oggi in quel Paese i bambini come Ulisse sono bene curati dai medici e dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Vi è dialisi pediatrica e i bambini che ne hanno necessità sono trapiantati; vi è urologia pediatrica, per ricostruire vie urinarie malformate; vi sono in tutto il Paese ambulatori specialistici per la buona ordinaria cura delle malattie urinarie infantili e per la profilassi dell’insufficienza renale. Di tutto ciò dobbiamo ringraziare Ulisse e la sua coraggiosa mamma.

Una domanda

Ma questa storia, come tante altre, impone di discutere su un problema molto importante per tutti coloro che si occupano organicamente di cooperazione sanitaria internazionale in campo pediatrico. Il problema è se sia opportuno patrocinare, sostenere, organizzare servizi specialistici a favore di un ristretto numero di pazienti in Paesi in via di sviluppo, nei quali vi è ancora molto da fare per assicurare un’assistenza di base, medica e sociale, adeguata. Rimaniamo nell’esempio per mettere meglio a fuoco il problema. Il Progetto milanese di nefrourologia pediatrica in Nicaragua, iniziato nel lontano 2000, compie oggi 11 anni. Condotto in pieno accordo con i vari Governi che si sono succeduti, è finora costato alla Regione Lombardia e ai benefattori milanesi che lo hanno finanziato (approssimativamente in parti uguali) circa 2 milioni di euro. Ma costa e costerà ben di più alla sanità pubblica del Nicaragua: basti pensare alle spese per la dialisi cronica extracorporea e peritoneale, alle spese per i trapianti, a quelle per le analisi di laboratorio e per le biopsie, e a quelle, non certo trascurabili per l’assistenza sociale necessaria. È “completamente” giusto avere indotto questa nuova necessità assistenziale “per pochi” in un Paese che ancora oggi deve soddisfare pienamente altre necessità più basilari mediche e sociali per bambini con patologie molto più frequenti, anche se forse meno gravi? Non è un problema da discutere su questa rivista di persone attente? u 257


Quaderni acp 2011; 18(6): 258-259

Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali

L’OMS verso la privatizzazione? Un articolo di Nicoletta Dentico sul Manifesto spiega la grave situazione in cui si trova l’Agenzia creata per difendere la salute a livello mondiale. “La questione è piombata al centro dell’arena negoziale già all’inizio dell’anno – dice la Dentico – durante una riunione del Comitato esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), quando la direttrice Margaret Chan ha preso in contropiede i 193 Stati membri annunciando il proposito di imbarcarsi in una consistente ristrutturazione dell’Agenzia. La decisione ha dominato incontrastata la discussione all’annuale Assemblea Mondiale della Sanità lo scorso maggio, agitando non poco gli animi della comunità impegnata nell’ambito della Salute pubblica e conquistandosi le prime pagine della stampa internazionale. Si tratta di un passaggio storico per l’OMS, lo snodo più critico dai tempi della sua fondazione nel 1948. L’OMS è malata, i sintomi sono numerosi e anche gravi, ed emergono dai commenti di alcuni funzionari ai più alti livelli: assenza di visione sul proprio ruolo, mancanza di coraggio e di leadership, scarsa trasparenza, un’immagine pesantemente ammaccata negli ultimi anni dai ricorrenti episodi di commistione con l’industria farmaceutica (per esempio nella gestione dell’influenza A e della H1N1, e nella scelta degli esperti di un gruppo di lavoro per l’innovazione medica). L’indipendenza dell’OMS è messa in dubbio dall’interno, laddove si riconosce che – sempre più spesso – la competenza tecnica dell’organizzazione deve essere negoziata politicamente con gli interessi degli Stati, con esiti talvolta disarmanti” (Lettera “Nograziepagoio” n. 17 - luglio 2011).

palmente due. La prima è la necessità di distinguere tra morte precoce/evitabile o meno. La NCDs Alliance afferma che “le NCDs contribuiscono in larga misura alla mortalità globale”. Ma non è esattamente così. In Europa l’81,2% degli uomini e il 90,4% delle donne muoiono per una malattia cronica; in Africa solo il 24% degli uomini e il 25,8% delle donne. Quando la gente si trova nella condizione di arrivare alla vecchiaia, allora sì – afferma la Heath – che morirà per una malattia cronica. Gli sforzi andrebbero concentrati piuttosto sulla mortalità precoce/evitabile con un efficace e tempestivo sistema di cure. La seconda preoccupazione è il riferimento a valori pressori >140/90 mmHg o concentrazioni di colesterolo >5,2 mmol/l. Queste soglie inopportune – dichiara la Heath – hanno già prodotto una medicalizzazione senza precedenti nei Paesi ricchi e hanno fatto sprecare imponenti quantità di risorse sanitarie. Sarebbe una vera tragedia se queste soglie venissero utilizzate anche nei Paesi poveri. Lo stesso problema si estende ai programmi di screening tumorali. Mentre le evidenze dimostrano rischi crescenti di eccessi di diagnosi (falsi positivi), la NCDs Alliance ha pubblicato un documento per “una prevenzione su larga scala, diagnosi precoce e programmi di screening per le popolazioni a rischio per NCDs”. Come mai? Secondo la Heat l’indizio deve essere ricercato nel suo “Gruppo di Supporters”: Roche, Medtronic, Sanofi-Aventis, Novo Nordisk, Takeda, Eli Lilly, Johnson & Johnson e Pfizer; queste aziende avrebbero un enorme profitto se screening inappropriati fossero implementati in ogni parte della terra! Come non condividere le preoccupazioni di Iona Heath? (http:// www.bmj.com/content/ 343/bmj.d4239. extract).

Malattie croniche: un progetto apparentemente virtuoso Sul British Medical Journal del 9 luglio Iona Heath (presidente del “Royal College” dei Medici di famiglia britannici) critica il piano per le malattie croniche proposto dalla Non-Communicable Diseases (NCDs) Alliance, che è stato discusso il 19 e 20 settembre a New York in un summit con le Nazioni Unite. Le preoccupazioni della Heath sono princi-

UK: sospesa la riforma della Sanità La riforma sanitaria del Servizio Sanitario inglese (si veda Quaderni acp 2011;18:102) ha subito un primo stop. L’Associazione dei medici (la potente BMA) ha ritenuto velleitario il Progetto del Governo e lo ha bloccato. Dopo uno stop di tre mesi il Progetto sarà ridiscusso e molto probabilmente “ammorbidito”. Il cuore doveva essere la medicina del territorio con lo smantellamento delle

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Health Authorities (le ASL inglesi) e dei 152 Primary care trust e la loro privatizzazione con attribuzione delle loro funzioni a consorzi di medici di medicina generale. Contrarie anche le associazioni dei pazienti (IlSole24ORESanità 12-18 aprile 2011). Benfluorex: una storia ignobile “Tra i 500 e i 2000 cittadini francesi sono morti (e molti di più si sono ammalati) di valvulopatia cardiaca in seguito all’assunzione tra il 1976 e il 2009 di benfluorex, un farmaco anoressizzante travestito da adiuvante glicometabolico per soggetti diabetici. La storia di come ciò sia potuto accadere è ignobile, come tutte le storie che fanno prevalere sul diritto alla salute delle persone gli interessi economici di qualcuno, in questo caso quelli dei laboratori Servier, secondo gruppo farmaceutico francese”. Questa la premessa all’articolo pubblicato sul n. 3/2011 di Dialogo sui Farmaci. Su Saluteinternazionale.info Guido Giustetto aggiunge altre notizie interessanti su “come le strategie di marketing, la promozione e la lobby siano riuscite a tenere in commercio per più di trent’anni un farmaco (e venderne oltre 145 milioni di confezioni a più di 2 milioni di pazienti) che fin dall’inizio della sua commercializzazione presentava evidenti elementi di pericolosità per la salute”. Un altro particolare singolare è la censura del sottotitolo del libro di Irène Frachon, medico francese che ha vissuto in prima persona la vicenda del benfluorex (commercializzato in Francia come Mediator) nella tenace difesa della salute dei suoi pazienti. Al libro intitolato Mediator 150 mg. Combient de morts? (Quanti morti?) – spiega la rivista Préscrire – è stato censurato il sottotitolo “Quanti morti?” (Lettera “Nograziepagoio” n. 18 - ottobre 2011). Linee-guida francesi ritirate per potenziali conflitti di interesse Il British Medical Journal informa che, in Francia, la più alta Corte amministrativa ha deciso il ritiro immediato di lineeguida prodotte dall’autorità sanitaria di quel Paese, per potenziali distorsioni e mancata dichiarazione dei conflitti di in-


info

Quaderni acp 2011; 18(6)

salute teresse da parte di alcuni Autori. Il problema era stato sollevato da Formindep (associazione francese che promuove la formazione e l’informazione medica indipendente) che si è rivolta alla Corte dopo il rifiuto dell’autorità di ritirare le linee-guida sul diabete di tipo 2 e sulla malattia di Alzheimer. L’accusa di Formindep riguardava il fatto che i coordinatori di entrambi i gruppi di lavoro avevano conflitti di interesse “maggiori” e 4 membri del gruppo di lavoro sul diabete di tipo 2 non avevano presentato la dichiarazione pubblica sui conflitti di interesse, contravvenendo così alla legge nazionale sui conflitti di interesse e alle regole interne della stessa Agenzia. Il presidente dell’autorità, Jean-Luc Harrousseau, ha annunciato che tutte le linee-guida prodotte dal 2005 verranno riesaminate per quanto riguarda la gestione del conflitto di interessi e, se necessario, ne verranno ritirate altre. E in Italia? Attualmente i conflitti di interesse di chi redige linee-guida o raccomandazioni delle agenzie nazionali non sono accessibili. Il Sistema Nazionale Linee-Guida richiede agli esperti una dichiarazione ma non ne pubblica i risultati. E le regole per la gestione di eventuali conflitti di interesse non sono note. Un primo traguardo auspicabile sarebbe la trasparenza (BMJ 2011; 342:d4007; doi: 10.1136/bmj.d4007). Micotossine nel latte di formula e negli omogeneizzati di carne Ecco una notizia che immaginiamo farà fatica ad arrivare in prima pagina; non dubitiamo che qualcuno remerà contro. Una bella percentuale di latti formulati e di omogeneizzati di carne commercializzati in Italia potrebbe essere contaminata da micotossine, un gruppo di sostanze potenzialmente tossiche e carcinogene, come dimostrato dalle numerose leggi che ne proibiscono la presenza negli alimenti. E potenzialmente più tossiche e carcinogene se presenti in alimenti per lattanti, dato che questi non hanno (o meglio – per i sostenitori dell’alimentazione industriale per i bambini – non dovrebbero avere) una dieta variata come i bambini più grandi e gli adulti, ma possono essere alimentati solo o principalmente con latte formulato e omogeneizzati.

La scoperta è di un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa ed è pubblicata in anteprima dal Journal of Pediatrics. Gli Autori dell’articolo hanno analizzato 185 campioni di latte formulato, sia in polvere sia liquido e pronto all’uso, di 14 marche trovati in vari punti vendita nel 2007 e 2008. I latti erano in maggioranza di tipo 1, quelli raccomandati per i primi 6 mesi, ma c’erano anche latti per neonati prematuri. Hanno analizzato anche 44 campioni di omogeneizzati di carne, di solito raccomandati dai 4 mesi di età, di 7 marche, tutti commercializzati nel 2008. Le carni usate erano di manzo, vitello, pollo, tacchino, coniglio, maiale, cavallo e agnello. L’analisi consisteva nel cercare la presenza di diversi tipi di zearalenone, una micotossina non steroidea prodotta da batteri spesso presenti in diversi cereali, usati appunto negli allevamenti di vari animali, comprese le mucche da latte, latte che poi serve di base per la preparazione delle formule per lattanti. Cos’hanno trovato? Diversi tipi di zearalenone erano presenti tra il 9% e il 28% dei latti tipo 1, ma anche in uno dei campioni di latte per neonati pretermine, senza differenze significative tra le varie marche. Le micotossine erano presenti anche nel 27% dei campioni di omogeneizzati alla carne, anche in questo caso senza differenze significative tra marche. Gli Autori hanno anche stimato le quantità medie di micotossine che un lattante ingerireb-

be per kg di peso, se fosse alimentato solamente con latte di formula. Questo valore supererebbe gli 0,5 microgrammi per kg di peso al giorno, che è il limite di sicurezza raccomandato dalle più importanti agenzie regolatorie internazionali. E per i bambini questo rappresenta un considerevole rischio, data la loro velocità di crescita e sviluppo, il metabolismo elevato, e l’immaturità dei loro sistemi di depurazione e di molti organi e tessuti, sistema nervoso centrale in primo luogo. Le micotossine trovate negli alimenti per l’infanzia provengono evidentemente dagli animali usati dall’industria per la preparazione di questi prodotti; più precisamente dalle granaglie usate per l’alimentazione di questi animali, spesso non controllate rigorosamente o addizionate di sostanze proibite. Alla faccia delle oasi ecologiche e della sicurezza millantata dalle ditte produttrici. Gli Autori della ricerca raccomandano controlli più rigorosi. (Meucci V, et al. Mycoestrogen pollution of Italian infant food. J Pediatr 2011; 159:278-83) Bacini di utenza per specialità L’agenzia nazionale per i servizi sanitari (AGENAS) ha emanato dei suggerimenti per le regioni con i piani di rientro per i fabbisogni di posti letto. Presentiamo qui (tabella) i fabbisogni identificati per l’area materno-infantile.

TABELLA 1 UO/milione di abitanti

Mx

Mn

PL/UO

Pediatria Chirurgia pediatrica Cardiochirurgia pediatrica Neurochirurgia pediatrica Oncoematologia pediatrica Nefrologia pediatrica Urologia pediatrica TI neonatale Ostetricia NPI

0,3 2 6 6 4 6 6 1 0,3 0,8

0,15 1 4 4 2 4 4 0,5 0,15 0,3

20 20 16 20 20 20 20 8 24-32 0

Come si legge: 1 UO di Pediatria ogni 0,3 o 0,15 milione di abitanti, 1 Chirurgia ogni 1 o 2 milioni di abitanti, 1 Cardiochirurgia per 4 o 6 milioni di abitanti ecc. (IlSole24ORESanità 15: 2011)

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Quaderni acp 2011; 18(6): 260-262

Lo sviluppo delle cure palliative pediatriche in oncoematologia: percorso e modelli Veronica Leoni*, Valentina Decimi*, Milka Adzic**, Daniela Papa**, Momcilo Jankovic* *Medici - Clinica Pediatrica, Università Milano-Bicocca, Fondazione MBBM, AO S. Gerardo, Monza **Infermiere - Clinica Pediatrica, Università Milano-Bicocca, Fondazione MBBM, AO S. Gerardo, Monza Abstract

The development of paediatric palliative care in Paediatric Oncohematology: models and pathways The second of a series of papers dedicated to paediatric palliative care. The Authors describe their own experience with children with hematologic neoplasms in the regional context of Lumbardy, Italy. A home care model already realized and supported by a regional legislation is suggested.

Quaderni acp 2011; 18(6): 260-262 Key words Paediatric palliative care. Clinical pathway. Home care. Regional legislation

Questo è il secondo articolo della serie dedicata alle cure palliative pediatriche. Gli Autori descrivono la loro esperienza con un bambino affetto da patologia oncoematologica nella realtà milanese e lombarda. Viene proposto un modello di cure a domicilio già concretizzato e supportato da una normativa regionale. Parole chiave Cure palliative pediatriche. Percorso assistenziale. Cure a domicilio. Leggi regionali

Un po’ di storia

Negli ultimi decenni un sempre maggior interesse è stato manifestato nelle cure palliative in ambito del paziente adulto, ed enormi sforzi sono stati compiuti sia dal punto di vista culturale che da quello programmatorio, organizzativo e assistenziale. Nell’ambito di tale percorso si è maturato il concetto che anche i bambini possono essere colpiti da malattia inguaribile e, indipendentemente dall’età, sperimentare tutte le problematiche cliniche, psicologiche, relazionali e spirituali che la malattia inguaribile e la conseguente morte comportano. Nella nostra cultura la morte di un bambino è percepita come qualcosa di profondamente ingiusto, e l’informazione in merito è scarsa e spesso negata. Tale condizione risulta un fattore che ha limitato lo sviluppo delle cure palliative pediatriche (CPP). L’OMS definisce le CPP come l’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino e comprende il supporto attivo alla famiglia (Cancer Pain Relief and Palliative Care in Children, WHO-IASP, 1998). Il bambino con patologia inguaribile e/o con disabilità importante e/o terminale risulta il paziente elettivo per le CPP; l’obiettivo delle CPP è prediligere e miglioPer corrispondenza:

Momcilo Jankovic e-mail: m.jankovic@hsgerardo.org

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rare la qualità di vita del piccolo paziente e della sua famiglia, e il domicilio rappresenta nella maggior parte dei casi il luogo scelto e ideale di assistenza e cura. Le CPP presentano alcune peculiarità in quanto devono essere in grado di affrontare le diverse mutazioni fisiologiche, cliniche, psicologiche e sociali, rispondendo ai bisogni precisi di ogni singola età di crescita, definendo modelli organizzativi specifici. I modelli di assistenza devono, pertanto, garantire un intervento multispecialistico basato sulla priorizzazione dei bisogni del piccolo paziente. Il progresso medico e tecnologico ha permesso di aumentare e allungare la sopravvivenza di neonati, bambini e adolescenti affetti da malattie altrimenti letali, senza tuttavia consentirne sempre la guarigione, incrementando progressivamente il numero di pazienti eleggibili a CPP e creando la necessità di una nuova tipologia di assistenza con bisogni specifici e intervento di tipo multispecialistico. Il primo documento tecnico sulle CPP è stato elaborato il 27 giugno 2007 e successivamente il 20 marzo 2008 in occasione dell’accordo tra Stato e Regioni. In tale documento vengono forniti i criteri di eleggibilità, i modelli organizzativi dell’assistenza e gli elementi utili allo sviluppo di progetti regionali di CPP.

La definizione dei criteri di eleggibilità è per il bambino più complessa rispetto all’adulto, sia per la specificità delle patologie, sia per il differente approccio in relazione all’accrescimento e per le difficoltà nel determinare l’eleggibilità temporale (vd. Benini F, Gangemi M. “Cure palliative pediatriche: perché occuparsene”. Quaderni acp 2011;18(5):216-20).

La nostra esperienza

Nel nostro Centro di Ematologia pediatrica dell’Ospedale “S. Gerardo” di Monza, Università Milano-Bicocca, a partire dal 2006 è in atto un progetto di assistenza domiciliare per pazienti affetti da patologie oncoematologiche nelle fasi terminali della malattia. L’assistenza domiciliare risulta essere una delle attività a oggi con ruolo potenzialmente discriminante rispetto al servizio e all’assistenza mediamente fornita nei Centri di cura. Il Progetto nasce dalla necessità di continuità assistenziale e di una gestione domiciliare emerse dall’89,5% dei 305 colloqui eseguiti nel periodo dal 1990 al 2010, a famiglie di pazienti emato-oncologici con malattia in fase terminale, in seguito al decesso del proprio figlio. Tale Progetto è stato voluto, realizzato e finanziato dalla Fondazione “Magica Cleme” onlus, guidata dal forte interesse da parte dei genitori direttamente coinvolti e testimoni di diverse realtà di cura anche internazionale. Il Progetto di assistenza è da sempre ritenuto dai genitori di grande sostegno e di fondamentale importanza. Il riconoscimento e l’enorme apprezzamento di questa attività da parte dei bambini e delle famiglie sono anche dovuti alla fondamentale e preziosa presenza dell’équipe medico-infermieristica nell’accompagnamento, sia da un punto di vista medico che psicologico, nella fase terminale della malattia, dove la qualità di vita e l’essere al proprio domicilio risultano priorità assolute. L’obiettivo del Progetto


aggiornamento avanzato

di assistenza domiciliare è di apportare la miglior qualità di vita al paziente, accompagnandolo a una morte dignitosa e senza inutili sofferenze, mediante una terapia di supporto mirata al controllo e alla prevenzione dei sintomi. Anche la famiglia che costituisce un punto cardine per tutta la durata dell’assistenza deve essere accompagnata e guidata in questo nuovo e doloroso percorso nelle fasi che precedono e seguono il lutto per la morte del figlio. La progressione di malattia emato-oncologica e le condizioni negli ultimi giorni di vita di un bambino affetto da una patologia inguaribile, potenzialmente mortale, variano da caso a caso: la gestione del “processo del morire” deve essere personalizzata in base ai sintomi presenti in ogni singolo paziente. I sintomi spesso non si presentano singolarmente (concomitanza dei sintomi) e la loro intensità tende progressivamente ad aumentare (“effetto in crescendo”). In tale situazione, dopo aver identificato i sintomi disturbanti, diventa necessario identificare quello che maggiormente limita la qualità di vita del piccolo paziente (priorizzazione dei bisogni). È importante mantenere un costante equilibrio tra sollievo dei sintomi, prevenzione degli effetti collaterali dei farmaci e aspettative del bambino. Il Progetto prevede che l’assistenza domiciliare venga fornita da parte di un’équipe dedicata, costituita al momento da due pediatri/ematologi e quattro infermiere del Centro di Ematologia pediatrica. Le figure componenti l’équipe risultano già ampiamente conosciute da parte del paziente e della famiglia durante il percorso di cura, condizione necessaria per garantire la continuità assistenziale. Il coordinamento del programma è affidato ai medici dell’équipe stessa. L’assistenza prevede, ove possibile e soprattutto se essa viene erogata a domicilio, il coinvolgimento del pediatra di famiglia sin dall’attuazione del programma stesso. In base alla disponibilità e in tempi brevi, l’équipe richiede l’intervento dei servizi territoriali Asl per la fornitura dei materiali e degli ausili necessari e per l’eventuale supporto da parte del personale specifico per le cure primarie alla persona. Durante il periodo di assistenza è gradita qualunque altra figura anche

Quaderni acp 2011; 18(6)

non professionale, identificata e richiesta dalla famiglia e/o dal paziente. L’assistenza viene erogata da parte dell’équipe stessa principalmente al domicilio del paziente. Eventuali valutazioni cliniche presso il Day-Hospital di Ematologia pediatrica vengono mantenute al fine di non far percepire il senso di abbandono terapeutico o se richieste dalla famiglia e/o dal bambino. L’eventuale ospedalizzazione viene riservata in condizioni strettamente necessarie, in caso di difficoltà di gestione dei sintomi refrattari o se richiesta dal bambino stesso e/o dalla famiglia. Il Progetto prevede, pertanto, la disponibilità di un posto letto ospedaliero riservato. Durante l’intero periodo di assistenza, dalla diagnosi di progressione di malattia al decesso del paziente, viene assicurata la presa in carico globale fisica e psicologica del paziente e dei suoi familiari. Durante l’assistenza, l’équipe garantisce la reperibilità telefonica di 24 ore e contatti telefonici giornalieri di supporto alla famiglia in tale percorso. L’assistenza stessa comporta valutazioni domiciliari, inizialmente a frequenza bisettimanale, in seguito progressivamente più frequenti e quotidiane negli ultimi giorni di vita. Durante tali valutazioni viene erogato qualsiasi tipo di assistenza, in particolare: infusione di terapie specifiche per la gestione e la prevenzione dei sintomi, trasfusioni di emoderivati, somministrazione di terapia di supporto compresa ossigenoterapia e supporto psicologico. L’équipe, qualora possibile, instaura una stretta collaborazione con il pediatra di famiglia, che gioca un ruolo rilevante nella continuità assistenziale. Al decesso del paziente seguono una revisione da parte dell’équipe stessa del percorso di assistenza effettuato e un colloquio con la famiglia per l’elaborazione del lutto. Poco prima del decesso del figlio viene, infatti, offerta alla famiglia la possibilità di incontrarsi nuovamente per ripercorrere l’intero percorso di assistenza fin dalla diagnosi. Entro sette giorni dalla morte del paziente viene contattata telefonicamente la famiglia e a tre-quattro mesi dal decesso la famiglia, se viene accettata la proposta, viene incontrata in ospedale o in qualsiasi altro luogo richiesto dalla famiglia stessa. La

rielaborazione del percorso di assistenza domiciliare e i concetti emersi dalle interviste “post-mortem” costituiscono un essenziale contributo per costruire una sempre più appropriata modalità assistenziale, consentendo un continuo progressivo miglioramento della qualità di assistenza e una più realistica e idonea programmazione dell’attività.

L’attualità istituzionale

A partire dal 2010 il nostro Centro è inserito in un Progetto di rete di CPP a livello regionale. In data 27 gennaio 2010, in considerazione degli accordi Stato/Regioni del 2007 e 2008 in materia di CPP, è stato infatti deliberato da parte della Regione Lombardia il documento tecnico sulle CPP, pubblicato, in seguito, nel febbraio 2010 sulla Gazzetta Ufficiale, che pone le indicazioni specifiche sui modelli operativi di assistenza in CPP sul territorio regionale. Obiettivo del Progetto regionale risulta anche la promozione della formazione in CPP con l’attuazione di percorsi formativi mirati per gli operatori coinvolti nel Progetto. Il documento è stato redatto con il contributo di specialisti in CPP e pediatri/medici di famiglia e prevede schemi di percorsi organizzativi per le quattro differenti tipologie di malattie eleggibili a CPP, le medesime indicate nel documento sulle CPP del 27 giugno 2007 e 20 marzo 2008. Nei diversi modelli è previsto il coordinamento del progetto di assistenza da parte del Centro di eccellenza di riferimento di CPP, che gestisce una rete costituita dal distretto Asl, dal medico/pediatra di famiglia, dai soggetti erogatori di cure domiciliari e dai servizi socio-sanitari e socio-assistenziali. La rete pone in relazione i diversi protagonisti coinvolti al fine di garantire una continuità fra i diversi livelli assistenziali mentre il Centro di riferimento specialistico assicura la presa in carico dei bisogni assistenziali e il raccordo con i servizi territoriali e i professionisti coinvolti nell’assistenza domiciliare. Requisito indispensabile per la domiciliazione è il coinvolgimento del pediatra di famiglia e la disponibilità di un’équipe di assistenza domiciliare con le figure professionali necessarie a rispondere ai bisogni clinici, 261


aggiornamento avanzato

emozionali ed evolutivi del paziente e della famiglia. L’assistenza viene fornita a domicilio con la possibilità di accesso a letti dedicati all’interno di Centri di riferimento altamente specialistici, qualora la gestione domiciliare non garantisca le migliori condizioni di controllo dei sintomi, dei disturbi o dei disagi che derivano dalla terminalità. I Centri di riferimento specialisti coinvolti in tale Progetto sono i seguenti: – AO Riuniti di Bergamo; – AO Civili di Brescia; – AO ICP di Milano; – AO S. Gerardo di Monza; – IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano; – IRCCS Istituto Neurologico Besta di Milano; – IRCCS S. Matteo di Pavia; – IRCCS Medea di Bosisio Parini (CO). Il percorso assistenziale viene schematizzato nelle tabelle 1 e 2. u Bibliografia di riferimento - A guide to the development of children’s palliative care services. London: Association for Children with Life Threatening or Terminal Conditions and their Families, Royal College of Paediatrics and Child Health, 2003. - American Academy of Pediatrics. Palliative care for chidren. Pediatrics 2000;106:351-7. - Association for children with Life-Threatening of Terminal Condition and their Families (ACT) and the Royal College of Paediatrics and Child Health (RCPCH), Bristol, UK 2003. - Berde C, Sethna NF, Masek B, et al. Pediatric pain clinics: recommendations for their development. Pediatrician 1989;16:94-102. - Borsook D, et al. The Massachusetts General Hospital. Handbook of Pain Management, cap 33. - Goldman A. ABC of palliative care: special problems of children. BMJ 1998;316:49-52. - Goodman J, McGrath PJ. The epidemiology of pain in children and adolescents: a review. Pain 1991; 46:247-64. - Guidelines for assistance to terminally ill children with cancer: a report of SIOP Working Committee on psychosocial issues in pediatric oncology. Med Pediatr Oncol 1999;32:44-8. - Himelstein B, Hilden JM, Boldt AM, et al. Pediatric palliative care. N Engl J Med 2004;350: 1752-62. - McGrath PJ. An assessment of children’s pain: a review of behavioural, physiological and direct scaling techniques. Pain 1987;31:147-76. - McGrath PJ, Beyer J, Cleeland C, et al. American Academy of Pediatrics. Report of the subcommittee on assessment and methodologic issue in the management of pain in childhood cancer. Pediatrics 1990;86:814-7.

262

Quaderni acp 2011; 18(6)

TABELLA

1: PERCORSO DI PRESA IN CARICO DOMICILIARE

Valutazione da parte dell’équipe ospedaliera dell’opportunità di attivare un percorso di assistenza domiciliare che coinvolge la famiglia, il pediatra/medico famiglia e il distretto di riferimento Condivisione di un Piano di assistenza individualizzato tra Centro specialistico di riferimento e pediatra/medico di famiglia- Distretto Attivazione e presa in carico domiciliare Mantenimento in carico da parte dell’équipe del Centro specialistico di riferimento con la collaborazione del pediatra di famiglia (Modello Ospedalizzazione domiciliare)

Presa in carico da parte dell’équipe territoriale di cure domiciliari con la responsabilità clinica del pediatra di famiglia e la supervisione/consulenza del Centro specialistico di riferimento (Modello ADI-Cure primarie)

Rivalutazione periodica del Piano di assistenza con possibili cambiamenti dei livelli di cura (ospedale, domicilio) e dei livelli di presa in carico (Ospedalizzazione domiciliare/Cure primarie)

TABELLA

2: PERCORSO DI PRESA IN CARICO DOMICILIARE PER PAZIENTE ONCOEMATOLOGICO

Definizione del programma di assistenza futura da parte dell’équipe curante Condivisione del programma di assistenza con la famiglia Decisione: cure palliative Coinvolgimento del pediatra e del Distretto Presa in carico globale da parte dell’équipe Assistenza a domicilio come obiettivo con eventuali accessi in day-hospital Rivalutazione periodica del programma fino all’exitus Elaborazione del lutto e verifica del percorso - McGrath PJ, Kraig KD. Developmental and psychological factors in children’s pain. Pediatr Clin North Am 1989;36:823-36. - Schechter NL, et al. Report of the Consensus Conference on the Management of pain in childhood cancer. Pediatrics 1990;86(5)suppl:813-33. - Wolfe J, Grier HE, Klar N, et al. Symptoms and suffering at the end of life in children with cancer. N Engl J Med 2000;342:326-33.

- World Health Organization. Cancer pain relief and palliative care in children. Report of a WHO Expert Committee. Geneva, 1998. - Zernikow B, Wamsler C. Practical pain control in pediatric oncology. Recommendations of the German Society of Pediatric Oncology and Hematology, the German Association for the Study of Pain, the German Society of Palliative Care. Schmerz 2006;20:24-39.


Quaderni acp 2011; 18(6): 263-266

Varicella: efficacia dell’Aciclovir nel trattamento e nella prevenzione Ilaria Fontana, Cinzia Cucchi, Costantino Panza Pediatri di famiglia, Reggio Emilia Abstract

Chickenpox: the effectiveness of Acyclovir in treatment and prevention In clinical practice Acyclovir is widely used for chickenpox therapy. To verify the correctness of such approach a review of literature was undergone. A Cochrane systematic review doesn’t support its use in healthy children while the American Academy of Pediatrics recommends its use in children with health problems. At the moment data analysis and guidelines do not recommend Acyclovir, not even for post exposure prophylaxis of a healthy child. Quaderni acp 2011; 18(6): 263-266 Keywords Chickenpox. Acyclovir. Post exposure prophylaxis

Nella pratica clinica l’Aciclovir è ampiamente utilizzato nella terapia della varicella. Abbiamo analizzato la letteratura per valutare se questo atteggiamento prescrittivo è corretto. La revisione sistematica Cochrane non supporta l’utilità di Aciclovir nel bambino sano, mentre il documento dell’“American Academy of Pediatrics” fornisce le raccomandazioni per l’utilizzo nei bambini con problemi di salute. Infine, l’analisi dei dati e le linee-guida disponibili non consigliano l’utilizzo di Aciclovir anche in caso di profilassi post-esposizione nel bambino sano. Parole chiave Varicella. Aciclovir. Profilassi post-esposizione

Scenario clinico

“Dottore, perché non ha prescritto per Ugo la medicina per la varicella?”. Entra in ambulatorio una mamma arrabbiatissima. “Il mio bambino è tutto pieno di pustole e il medico del Pronto Soccorso mi ha detto che si doveva dare l’Aciclovir”. “Ma quando è andata al Pronto Soccorso?” rispondo tra lo sorpreso e l’imbarazzato. Ricordo di aver visitato Ugo il primo giorno di malattia, ma di aver deciso di non prescrivere Aciclovir perché è un bambino sano. “Il giorno dopo essere venuta da lei perché continuava a peggiorare! Poi il medico mi ha prescritto l’Aciclovir anche per il piccolino di due anni. In questo modo, lui dice, si previene il rischio di una complicazione. Perché lei non me l’ha detto?”. Il dubbio di non aver gestito in modo corretto la situazione mi ha fatto decidere di controllare le prove a supporto dell’utilizzo di Aciclovir in questa malattia infettiva e nella profilassi dei fratellini.

Background

La varicella è una malattia infettiva assai diffusa nella popolazione infantile e solitamente ha un decorso autolimitante

nel bambino sano. Possono essere tuttavia possibili complicanze prevalentemente a carico di cute, sistema nervoso centrale e apparato respiratorio. Decorre in forma grave nel neonato e nel paziente immunodepresso, dove si ha la più alta incidenza di complicanze; può essere più severa negli adolescenti e negli adulti. Il trattamento si avvale del paracetamolo per il controllo della febbre e di medicamenti sintomatici per il prurito. L’utilizzo dell’Aciclovir per via endovenosa è raccomandato in pazienti immunodepressi. Tuttavia l’Aciclovir per via orale è largamente prescritto nella popolazione infantile secondo i dati dello studio ARNO in misura ampiamente superiore rispetto ai casi denunciati [1].

Aciclovir come terapia La domanda strutturata

In corso di varicella in età pediatrica, l’utilizzo dell’Aciclovir in un bambino sano conduce a un miglior esito? Formuliamo la domanda strutturata in questo modo: in un bambino con varicella [POPOLAZIONE], la terapia con Aciclovir [INTERVENTO] è efficace nel ridurre i sintomi, prevenire le complicanze e abbreviarne la durata? [OUTCOME].

La ricerca

Iniziamo la ricerca da PubMed utilizzando i termini MeSH “Chickenpox” e “Acyclovir” associandoli all’operatore booleano AND e inserendo come limiti: All Child: 0-18 years, Meta-Analysis, Randomized Controlled Trial, Review, Practice Guideline, Systematic Review. La stringa di ricerca risulta: “Chickenpox” [Mesh] AND “Acyclovir” [Mesh] AND ((Meta-Analysis[ptyp] OR Practice Guideline[ptyp] OR Randomized Controlled Trial[ptyp] OR Review [ptyp]) AND systematic[sb] AND (“infant” [MeSH Terms] OR “child” [MeSH Terms] OR “adolescent” [MeSH Terms])). Ottengo dodici articoli. Seleziono tre articoli rilevanti per il mio quesito: una metanalisi Cochrane [2], uno scenario clinico dalla rubrica “Archimedes” dell’Archives of Disease in Childhood [3] e le raccomandazioni del Committee on Infectious Diseases dell’Accademia Americana di Pediatria (AAP) [4].

Risultati

La metanalisi Cochrane di Klassen [2] seleziona 3 RCT che confrontano la somministrazione di Aciclovir con placebo in una popolazione totale di 978 pazienti sani, da 0 a 18 anni, in corso di varicella [5-6-7]. Gli Autori considerano come esito primario il numero di giorni senza nuove lesioni e come esiti secondari il numero massimo di lesioni, il tempo di scomparsa della febbre e del prurito. Sono state inoltre riportate le complicanze in corso di varicella e gli effetti collaterali correlati all’uso di Aciclovir. La tabella 1 riassume i risultati. Gli studi sono stati valutati con la scala di Jadad, strumento validato per la valutazione della qualità metodologica di un RCT, e due hanno ricevuto un punteggio di 3, mentre uno ha ricevuto punteggio 4 (box 1) [8]. L’outcome primario, il numero di giorni senza nuove lesioni, non è risultato significativo (-0,8 giorni, IC 95%: 1,6 - 0,02). Non è significativo anche il tempo senza prurito, valutato in

Per corrispondenza:

Ilaria Fontana e-mail: fontana.ilaria@libero.it

scenari 263


scenari

TABELLA

Quaderni acp 2011; 18(6)

1: USO DI ACICLOVIR IN CORSO DI VARICELLA

Studio

N. bambini studiati

Tipo dello studio

Categoria della prova

Punteggio di Jadad

Balfour et al. J Paediatr 1990;116:633

105 età media 8,05 aa

RCT doppio cieco con placebo

1b

4

Dunkle et al. 805 N Engl J Med età media 1991;325:1539 5,18 aa

RCT doppio cieco con placebo

1b

3

Balfour et al. J Paediatr 1992;120:627

RCT doppio cieco con placebo

1b

3

68 età media 14,8 aa

Esiti misurati

Risultati (tempo in giorni)

Durata febbre Durata prurito N. vescicole Guarigione cute

Tempo senza nuove lesioni: 0 Numero massimo di lesioni: -164 Tempo senza febbre: -1 Tempo senza prurito: 0 Nessuna differenza nella percentuale di complicanze

N. massimo di vescicole Numero con > 500 lesioni Lesioni cutanee a 28 gg

Tempo senza nuove lesioni: -1,22 (-1,47,-0,97) Numero massimo di lesioni: -53 Tempo senza febbre: -1,09 Tempo senza prurito: -0,82 Nessuna differenza nella percentuale di complicanze

N. massimo di vescicole Tempo comparsa del numero massimo di lesioni cutanee Durata prurito Lesioni cutanee a 28 gg

Tempo senza nuove lesioni: -1,13 (-1,59, 2) Numero massimo di lesioni: -24 Tempo senza febbre: -1,31

Studi randomizzati controllati presi in esame dalla metanalisi Cochrane 2005, Issue 4. Art. No.: CD002980

soli 2 studi (-0,46 giorni, IC 95%: -1,3 - 0,3) anche se, di nuovo, eliminando Balfour 1990, i risultati migliorano. Solo se iniziata entro 24 ore, la terapia con Aciclovir mostra benefici terapeutici nel diminuire giorni di febbre (-1 gg) e riduce il numero massimo di lesioni, una media di -76 lesioni, nel gruppo dei bambini trattati rispetto al placebo. Non ci sono differenze nei giorni di scuola persi nel gruppo dei trattati rispetto al placebo così come nelle complicanze associate a varicella e negli effetti avversi associati alla terapia, anche se gli Autori segnalano un numero insufficiente di soggetti esaminati. Gli Autori della revisione Cochrane concludono che l’importanza del trattamento con Aciclovir nel bambino sano rimane incerta. È necessario sottolineare che gli studi contenuti nella metanalisi scelgono esiti primari di scarso impatto sulla salute; in più, non indicano gli intervalli di confidenza delle diverse significatività, non danno la possibilità di calcolare il numero di pazienti necessario da trattare (NNT) in quanto vengono indicate le percentuali e non il numero di casi; inoltre, si trascura di considerare la possibilità di una maggiore suscettibilità verso 264

BOX

1: CALCOLO DEL PUNTEGGIO JADAD

– Lo studio è descritto come randomizzato (questo include parole come randomly, random, and randomization)? Score 0/1. – Il metodo usato per generare la sequenza di randomizzazione è descritto e appropriato (tavola di numeri casuali computer-generated)? Score 0/1. – Lo studio descritto è in doppio cieco? Score 0/1. – Il metodo del doppio cieco è descritto e appropriato (placebo non identificabile rispetto al trattamento ecc.)? Score 0/1. – Vi è la descrizione dei persi al follow-up? Score 0/1. – Sottrarre un punto se il metodo usato per generare la randomizzazione è descritto e inappropriato (pazienti attribuiti alternativamente, o secondo la data di nascita ecc.). Score 0/-1. – Sottrarre un punto se lo studio è descritto come doppio cieco ma il metodo è inappropriato (per esempio confronto tra compresse e iniezioni). Score 0/-1. Da: Quaderni acp 2007;14:107-10

una reinfezione o riattivazione del virus (Herpes zoster) dei bambini trattati rispetto ai controlli, evento possibile e non ancora considerato in uno studio di popolazione di adeguata durata [9]. L’articolo di Harris [3] parte dal caso clinico e imposta la ricerca in letteratura attraverso Medline e Cochrane Library. Gli Autori selezionano gli stessi tre RCT inclusi nella revisione Cochrane e raggiungono conclusioni sovrapponibili: nei

bambini sani l’Aciclovir riduce di un giorno il periodo febbrile e il tempo di comparsa di nuove lesioni, ma non ha effetto sulle complicanze (grado A di raccomandazione). Il miglioramento clinico avviene solamente se la terapia è iniziata nelle prime 24 ore dall’esordio del rash, quindi si ha una breve finestra temporale di intervento (grado B). L’uso dell’Aciclovir non dovrebbe essere raccomandato in bambini immunocom-


scenari

petenti per questa malattia infettiva che ha la caratteristica di autolimitarsi (grado A). Per una indicazione della valutazione GRADE vedi box 2 [10]. Leggiamo, infine, le raccomandazioni dell’AAP pubblicate nel 1993 [4], sostanzialmente immodificate anche nelle più recenti edizioni del Red Book. Esse fanno riferimento agli stessi 3 RTC valutati nei lavori precedentemente esaminati [5-6-7]. In sintesi, le raccomandazioni sono: 1) la terapia orale con Aciclovir non è raccomandata di routine nei bambini sani nella malattia non complicata. Questo per l’effetto terapeutico marginale, il costo della terapia, la difficoltà a iniziarla nelle prime 24 ore, ma anche per i possibili pericoli presenti nel trattare negli USA 4 milioni di bambini ogni anno (anche se al momento non sono comparse resistenze al farmaco). 2) La terapia dovrebbe essere considerata in pazienti a rischio di varicella severa o sue complicazioni: – soggetti sani di età uguale o superiore a 13 anni, non in stato di gravidanza; – bambini di età superiore ai 12 mesi, con malattia cronica cutanea o polmonare o in terapia continuativa con salicilati; – bambini che ricevono cicli di corticosteroidi brevi, intermittenti o per aerosol, anche se è improbabile che siano significativamente immunocompromessi. 3) Va invece ricordato che in caso di uso di alte dosi di cortisonici, come per tutti i bimbi immunocompromessi, è raccomandato l’uso del farmaco per via venosa.

Commento

A questo punto della ricerca ci siamo resi conto che in letteratura si trovano solo 3 RCT sull’uso dell’Aciclovir come terapia della varicella nel bambino sano: sono di vecchia data (1990-1992), con indicazione inadeguata di dati statistici, un numero modesto di pazienti, assenza di follow-up per la valutazione dell’immunità e supportati finanziariamente da ditte farmaceutiche. Come indicato dalla revisione Cochrane occorrono nuovi studi che valutino il problema dei costi: non ci sono al momento prove di riduzione dei

Quaderni acp 2011; 18(6)

BOX

2: SCHEMA DI CLASSIFICAZIONE GRADE

Categoria di prova: Ia Basata su RCT o metanalisi Ib Basata almeno su un RCT IIa Basata almeno su uno studio controllato non randomizzato IIb Basata almeno su un altro tipo di studio quasi-sperimentale III Basata su studi descrittivi non sperimentali, come studi comparativi, studi casocontrollo, studi di correlazione IV Basata sull’opinione degli esperti Forza della raccomandazione: A Basata direttamente sulla categoria I di evidenza B Basata direttamente sulla categoria II di evidenza o raccomandazione estrapolata dalla categoria I di evidenza C Basata direttamente sulla categoria III di evidenza o raccomandazione estrapolata dalla categoria I o II di evidenza D Basata direttamente sulla categoria IV di evidenza o raccomandazione estrapolata dalla categoria I, II o III di evidenza Da: BMJ 1999;318:593

giorni di scuola persi e, non essendoci una riduzione delle complicanze, nemmeno nei costi di ospedalizzazione. Inoltre sarebbero necessari studi su bambini immunocompetenti, ma a rischio di malattia più severa (per es. con malattia respiratoria cronica o esposti a contagio intrafamiliare).

Profilassi della varicella: è corretto l’uso di Aciclovir?

Dobbiamo ora affrontare il secondo quesito: quale comportamento adottare verso il fratellino, molto probabilmente contagiato dalla varicella di Ugo. Abbiamo ricercato, quindi, articoli che valutassero la validità di azioni di profilassi con Aciclovir in soggetti pediatrici sani esposti al contagio del virus della varicella.

Aciclovir come profilassi La domanda strutturata

In un bambino esposto a un possibile contagio con il virus della varicella [POPOLAZIONE] la somministrazione di Aciclovir [INTERVENTO] è efficace nel prevenire l’insorgenza di malattia o nel controllo della stessa? [OUTCOME]

La ricerca

La ricerca è stata eseguita utilizzando il sottodescrittore (subheading) “prevention and control” del termine MeSH

“Chickenpox” e il termine MeSH “Acyclovir” associandoli al termine booleano AND con i limiti: “All Child: 0-18 years”. La stringa di ricerca risulta pertanto: “Chickenpox/prevention and control” [Mesh] AND “Acyclovir” [Mesh] AND (“infant” [MeSH Terms] OR “child” [MeSH Terms] OR “adolescent” [MeSH Terms]). Tra gli ottanta articoli trovati, due sono review di società scientifiche e quattro rispondono al nostro quesito [11-16].

Risultati

Dalla lettura degli articoli si rileva che i bambini profilassati con Aciclovir avevano in generale meno sintomi (rash e febbre) con una sieroconversione variabile da 91% a 63%, valori inferiori rispetto ai controlli e anche rispetto al decorso naturale della malattia. Un riassunto dei principali risultati è riportato in tabella 2. Tuttavia un solo studio valutava la persistenza dell’immunità a distanza di 4 anni in solo 13 dei 61 bambini inizialmente presi in esame [15]. Secondo le indicazioni dell’AAP e dell’UK Advisory Group on Chickenpox la profilassi con Aciclovir non è raccomandata in soggetti sani, poiché manca un protocollo standardizzato ed è dimostrata una possibile diminuzione della risposta immune al virus con il rischio di posticipare la malattia in età adulta [4-11]. 265


scenari

TABELLA

Quaderni acp 2011; 18(6)

2: STUDI CLINICI SULLA PROFILASSI CON ACICLOVIR DOPO ESPOSIZIONE A VARICELLA

Studio

Soggetti reclutati

Inizio profilassi

Soggetti senza immunità umorale dopo profilassi

Tipo di studio

Asano et al. - 1993

25

7-9 gg dal contatto

4 (16%)

Studio controllato non randomizzato

Lin et al. - 1997

27

9-11 gg dal contatto

10 (37%)

Studio controllato non randomizzato

Yosikawa et al. -1998

61

7-9 gg dal contatto

17 (38%)

Studio osservazionale prospettico

Kumagai et al. - 1999

13

7-14 gg dal contatto

1 (9%)

Studio osservazionale prospettico

Vi è pertanto la necessità di monitorare i titoli anticorpali. Può avere uno spazio in pazienti immunocompromessi, soprattutto se non è possibile somministrare la profilassi di prima scelta con VZIg come indicato dalla Australasian Society for Infectious Diseases [12].

Conclusioni

La letteratura non supporta l’utilizzo dell’Aciclovir nel bambino sano nella cura della varicella in quanto non porta benefici reali, a fronte di costi certi senza una riduzione del rischio di complicanze. La profilassi farmacologica con Aciclovir nel bambino sano può favorire una mancata sieroconversione e rendere il bambino stesso suscettibile di ammalarsi in epoca più adulta.

Ugo e il suo fratellino

In base alla medicina basata sulle prove, il comportamento corretto da tenere è quello di non prescrivere Aciclovir a Ugo

e nemmeno al fratellino. Vorrei dirlo alla mamma arrabbiata ma, purtroppo, mi ha ricusato! u

Bibliografia [1] Clavenna A, Bonati M, Rossi E, et al. Il profilo prescrittivo della popolazione pediatrica italiana nelle cure primarie. Ricerca & Pratica 2004;20: 224-44. [2] Klassen TP, Hartling L. Acyclovir for treating varicella in otherwise healthy children and adolescents. Cochrane Database Syst Rev 2005, Issue 4. Art. No.: CD002980. [3] Harris D, Redhead J. Should Acyclovir be prescribed for immunocompetent children presenting with chickenpox? Arch Dis Child 2005;90:648-50. [4] Committee on Infectious Diseases. The Use of Oral Acyclovir in Otherwise Healthy Children With Varicella. Pediatrics 1993;91:674-6. [5] Balfour HH Jr, Kelly JM, Suarez CS, et al. Acyclovir treatment of varicella in otherwise healthy children. J Paediatr 1990;116:633. [6] Dunkle LM, Arvin AM, Whitley RJ, et al. A controlled trial of Acyclovir for chickenpox in normal children. N Engl J Med 1991;325:1539. [7] Balfour HH Jr, Rotbart HA, Feldman S, et al. Acyclovir treatment of varicella in otherwise healthy adolescents. The Collaborative Acyclovir Varicella Study Group. J Paediatr 1992;120:627.

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L’infezione TBC al “Gemelli”: l’opinione dell’ACP La legislazione italiana tutela giustamente la salute del lavoratore dal rischio di infezione contratta in servizio. Controlli periodici sono indirizzati ai lavoratori che operano in ambienti considerati “a rischio” dalla legge perché sedi di possibili infezioni. Sono considerati a rischio, riguardo alla tubercolosi: – i reparti di malattie infettive; – i pronto soccorsi; – i reparti di geriatria; – le unità di lungodegenza. Solo quando, in questi controlli sui lavoratori, si evidenzia un sospetto di infe-

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zione, o addirittura una malattia tubercolare, scattano i controlli sui contatti, pazienti inclusi. Non vi è, invece, nella legge attuale alcun controllo preventivo sul personale che assiste pazienti critici che possono essere esposti a un eventuale contagio. È evidente il “buco” legislativo. Il caso dell’infermiera del Policlinico “Gemelli” di Roma che si è ammalata di tubercolosi, contagiando un numero ancora non certo di neonati deve essere, secondo l’ACP, l’occasione per aprire un dibattito sulla opportunità di affiancare alle vigenti norme di tutela del lavoratore, anche quelle per la tutela preventiva delle persone più fragili ricoverate; e in particolare per

– i neonati, specie se degenti in terapie intensive; – i pazienti oncologici; – le persone immuno-depresse; – i detenuti e chi vi lavora a stretto contatto. I pazienti fragili e le categorie a rischio hanno il diritto di essere assistiti da lavoratori sicuramente immuni dalle principali malattie infettive. Il personale a contatto con i pazienti più fragili dovrebbe perciò essere controllato periodicamente per le malattie infettive di cui non esiste vaccino o il cui vaccino è scarsamente efficace come nel caso della TBC.


Quaderni acp 2011; 18(6): 267-269

La relazione come strumento di cura nelle terapie intensive neonatali Lucia Aite Dipartimento di Neonatologia Medica e Chirurgica, IRCCS Ospedale “Bambino Gesù”, Roma Abstract

Relation as a tool of care in newborns intensive care units The human side of the health service and the quality of care are touchy subjects experienced on an everyday basis. Interpersonal communication is often difficult since caregivers are constantly called upon to handle both their own feelings and the family’s. The aim of the article is to provide an overview in this specific area, underlining the importance of counselling as part of the “taking care” process. Quaderni acp 2011; 18(6): 267-269 Key words Communication of diagnosis. Congenital malformation. Counselling

La diagnosi di una anomalia congenita rappresenta per i genitori un evento catastrofico caratterizzato dall’emergere di profonde angosce. Di fronte a questo evento critico che mette a dura prova i genitori e il figlio, vi è l’imprescindibile necessità di un approccio multidisciplinare che, accanto alle risorse della chirurgia e delle tecniche rianimatorie e diagnostiche, dia ampio spazio all’aspetto umano e relazionale proprio del “prendersi cura”. Nell’articolo si sottolinea come l’attenzione al percorso comunicativo sia parte integrante e costitutiva del “prendersi cura”. Parole chiave Comunicazione della diagnosi. Malformazioni congenite. Counselling

Grazie ai progressi della scienza e della tecnologia i nostri ospedali sono attualmente dotati dei più moderni e sofisticati macchinari, di protocolli e linee-guida ma, molte volte, sembra mancare l’incontro con la soggettività del malato, come se non esistesse la consapevolezza che la sofferenza non è solo quella fisica ma di tutte le dimensioni della persona: psichica, affettiva, relazionale e spirituale. Negli ospedali, infatti, si sente parlare molto spesso di organi, apparati, patologie, dati statistici ma non delle persone e delle relazioni umane che si stabiliscono tra tutti i partecipanti al percorso di cura [1-2]. A mio parere la relazione diventa lo strumento principale di cura quando si entra nell’ottica di un intervento che non si riduca solamente a terapie, protocolli, e informazioni, ma si apra a un più ampio “prendersi cura” dell’essere umano. In ambito neonatale il soggetto di cui prendersi cura è l’intero nucleo familiare, che vive inevitabilmente una situazione di crisi acuta e del tutto imprevista quando la diagnosi viene posta al momento della nascita. Proviamo ora a esaminare il fenomeno più da vicino. Certamente il neonato, oltre a essere bisognoso di assistenza medica per la sua sopravvivenza, ha dei biso-

gni affettivi e relazionali primari, per cui la separazione dalla madre e dal padre e le procedure assistenziali a cui deve essere sottoposto lo fanno diventare immediatamente un soggetto a “rischio”, non solo sul piano organico ma anche psicorelazionale [3-5]. “La preoccupazione materna primaria”, descritta da Winnicott come lo stato d’animo che permette alla madre di identificarsi con il figlio e di rispondere ai suoi bisogni, è messa in crisi dalla brusca e a volte drammatica separazione che ha luogo alla nascita, quando il bambino sta male e necessita di cure intensive [6]. Oggi sappiamo che la comunicazione della diagnosi di malformazione congenita subito dopo il parto attiva nei neogenitori una sequenza prevedibile di reazioni emotive, più o meno intense e durature, che li rende, come il loro figlio, dei “genitori a rischio” [7-8]. Ricerche recenti suggeriscono che il trasferimento in Terapia intensiva può far sorgere nei genitori, indipendentemente dalla gravità delle condizioni cliniche del figlio, una reazione denominata di “lutto anticipatorio”, che li spinge a prefigurarsi la morte del loro bambino e a sperimentare il dolore generato dalla possibile perdita [9].

È fondamentale che l’operatore tenga conto che la comunicazione della diagnosi, sia essa pre o postnatale, genera un profondo stato di shock. L’intensità delle emozioni che i genitori sperimentano è tale da ridurre temporaneamente la loro capacità di pensare e quindi di comprendere e ricordare ciò che viene loro detto rispetto alla diagnosi e alle cure da intraprendere [10-11]. I genitori però non dimenticheranno mai “come” è stata loro comunicata la diagnosi. A distanza di anni ciò che rimane vivo nella memoria è “il come” sono stati informati, più che “il cosa” è stato loro detto [12]. Così un padre ha descritto questo momento: “È come se il mondo ti crollasse addosso, ti ritrovi in un altro pianeta, senza i tuoi punti di riferimento. La gente parla una lingua sconosciuta e tu non sai dove sei e in quale direzione andare”. È in questa situazione di profondo disorientamento che gli operatori, ciascuno secondo le proprie funzioni, sono chiamati a occuparsi del neonato, ad accogliere e contenere il dolore dei genitori, a non lasciarli soli, sommersi dal peso delle emozioni, in un momento di particolare vulnerabilità. Anche gli operatori non sono in una situazione facile: entrano in scena all’improvviso, non sanno niente delle persone che hanno di fronte, né delle vicende che hanno preceduto il parto e, soprattutto, hanno il difficile compito di “introdurre i genitori in un mondo a loro del tutto ignoto” e, come tale, particolarmente ansiogeno. Su cosa si può appoggiare l’operatore per avviare un percorso comunicativo-relazionale con i genitori senza lasciarli soli di fronte all’ansia e all’angoscia provocate dalla diagnosi e dalla separazione? Essendo un professionista esperto nella cura dei neonati, ha dalla sua, come sostegno, la preparazione, l’esperienza clinica e la conoscenza degli interventi, che dovranno essere messi in atto a favore del neonato. Subito dopo il parto i geni-

Per corrispondenza:

Lucia Aite e-mail: lucia.aite@opbg.net

e dintorni 267


narrative e dintorni

tori hanno bisogno di essere accolti loro stessi e di ricevere una breve descrizione delle condizioni del bambino che, per quanto gravi, rappresentano nello stato di smarrimento in cui versano un dato di realtà al quale aggrapparsi. Una comunicazione chiara della diagnosi o del sospetto diagnostico sorto visitando il bambino, di cosa accadrà a breve termine, a partire dalla descrizione del reparto in cui sarà accolto, fa sentire i genitori “meno persi” e li aiuta a limitare le fantasie catastrofiche, che subito li invadono quando scoprono che il figlio ha un’anomalia congenita [9]. L’errore comunicativo più comune in questa fase è quello di rassicurare in modo inefficace (“non è niente, tra qualche mese guarirà”), senza indagare sui motivi della preoccupazione (“È una malattia seria, ma ci sono varie cure… cosa la preoccupa in questo momento?”). Nell’informare i genitori della diagnosi può essere utile fare riferimento al modello denominato SPIKES, proposto da Baile e Buckman, un acronimo formato dalle lettere dei sei passi costitutivi della comunicazione di cattive notizie: 1) iniziare preparando il contesto e disponendosi all’ascolto; 2) esplorare ciò che i genitori sanno e l’idea che si sono fatti del problema del loro bambino; 3) valutare cosa è importante sapere per i genitori; 4) fornire alla coppia le informazioni necessarie a comprendere la situazione clinica; 5) fornire supporto facilitando la coppia a esprimere le proprie emozioni e rispondendo a esse in modo empatico; 6) concordare il piano di cura e valutare quanto la coppia ha effettivamente compreso [13-17]. Utile a mio parere avviare con i genitori un percorso comunicativo fondato sul concetto di “trasparenza”, proposto da Brody [18]. L’Autore sottolinea l’importanza di rendere i genitori partecipi dei ragionamenti che guidano il percorso di cura che l’équipe via via elabora. In questo modo si promuove una vera comunicazione tra genitori e operatori poiché si procede insieme e il sapere è sempre condiviso anche in assenza di risposte certe. Le informazioni che i genitori percepiranno come utili e funzionali ad accompagnare il figlio lungo il percorso di cura saranno nel tempo molto diverse e inizialmente andranno ripetute molte volte, prima che possano essere assimilate. 268

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Il consiglio è quello di non dare tutte le notizie in una volta poiché ci sarà modo di ritornare sull’argomento in incontri successivi. È quindi necessario imparare ad ascoltare, offrendo uno spazio e un tempo per il colloquio, in cui i genitori si sentano di fare domande, di esprimere i loro dubbi e le loro preoccupazioni. In questo modo genitori e operatori possono scambiarsi informazioni e, in parte, negoziare il senso da attribuire agli eventi che insieme si affronteranno lungo il percorso di cura [19-23]. Nel comunicare la diagnosi alla coppia è inoltre opportuno cercare di dare un quadro equilibrato dello stato del figlio in cui, accanto ai dati critici e problematici, ci sia posto anche per gli aspetti vitali e sani. A questo riguardo si è rivelato molto significativo, mentre si parla con i genitori, riconoscere l’identità del bambino chiamandolo per nome: questo semplice accorgimento personalizza e rende più vicino il neonato agli occhi sia dei genitori che degli operatori. È molto importante comunicare la diagnosi in presenza di entrambi i genitori, sia per ridurre l’inevitabile distorsione delle informazioni, sia per promuovere la comunicazione e il supporto tra i genitori stessi. Alcuni ricercatori hanno osservato che, escludendo la madre da questo primo colloquio, si altera la comunicazione all’interno della coppia e si lascia al padre il carico emotivo di trasmettere le informazioni, proprio quando è lui stesso in uno stato di profonda confusione, diviso tra le preoccupazioni per la moglie e per il figlio: “Mi sentivo in totale balia degli eventi, incapace di dare risposte a mia moglie e di dare conforto a mia figlia”. La possibilità di vedere il proprio figlio e ancor più di stabilire un contatto fisico, seppur di breve durata, facilita l’instaurarsi del legame d’attaccamento e aiuta a contenere le fantasie di diversità che la comunicazione della diagnosi inevitabilmente genera nei neogenitori. Se la madre dopo il parto non può vedere il figlio, né parlare direttamente con il neonatologo, è bene che ci sia una figura all’interno dell’équipe che si occupi di tenerla informata sulle condizioni del bambino, in modo da garantire una continuità, seppur minima, nella loro relazione.

Ecco come una madre descrive l’importanza di una figura che faccia da tramite tra lei e il figlio: “Stavo provando un dolore nuovo che non sapevo denominare, vivevo due esperienze intense e contrastanti: la nascita e insieme l’incertezza più totale per l’assenza di un figlio che non avevo neanche visto. Nel corso di quei primi giorni sperimentai un dolore cieco perché i miei pensieri non avevano un volto, un luogo a cui appoggiarsi. Il primo contatto con mio figlio l’ho avuto quando è venuto il chirurgo per spiegarmi che Simone era stato operato per un volvolo intestinale. Quel medico era entrato nella vita del mio bambino e me ne stava rendendo partecipe, così iniziai a toccare con mano il problema. Quel colloquio mi ha socchiuso la porta che mi separava da Simone. Mi spiegò che la prognosi era riservata ma che c’erano speranze. Il mio pensiero, prima offuscato e senza appigli, trovò immagini e parole, e ciò mi permise di pensare a mio figlio”. In queste situazioni bisognerebbe evitare di prescrivere sedativi alla madre, poiché non si fa altro che amplificare il suo senso di irrealtà: è come se le si dicesse che non è possibile parlare ed esprimere le dolorose e intense emozioni che l’attraversano. Dopo il parto, qualora sia possibile, andrebbe garantita alla madre la possibilità di scegliere se tornare nel reparto di maternità o essere trasferita in ginecologia. Tornare nel reparto di maternità senza il proprio figlio è un’esperienza difficile e densa di contrasti. Così si è espressa una madre: “A quel punto sono rimasta sola, tutte le altre mamme avevano i loro bambini, li allattavano, li carezzavano. Mi faceva male guardarli, mi sentivo diversa e percepivo ancora più intensamente il vuoto della mia pancia e l’assenza di mia figlia”. Nonostante tutte queste considerazioni è fondamentale che i genitori siano messi nelle condizioni di compiere scelte autonome ed è qui che entra prepotentemente in gioco di nuovo la relazione tra genitori e operatori. Se automaticamente si mette in atto un protocollo, senza considerare la coppia e i suoi specifici bisogni, perdiamo la dimensione umana della cura e quindi anche la nostra di operatori in relazione. Il neonato critico e la sua famiglia richiedono al personale d’impegnarsi attiva-


narrative e dintorni

mente per una “ripersonalizzazione“ continua del proprio lavoro. Per l’operatore è fondamentale riconoscere l’importanza dei propri vissuti emotivi nella comunicazione con i genitori e nel contatto con il neonato e porsi interrogativi quali: “Come mi sento dopo questo incontro?”, “Quali emozioni ho sperimentato?”, “A quali domande non ho risposto?”, “Cos’altro avrei potuto fare?”, “Come reagisco al dolore di questi genitori?”, accettando la presenza del limite, come persona e come medico, che non può dare sempre certezze di guarigione e di salvezza [24-25]. Per il medico, in genere, articolare e condividere con i genitori il dubbio diagnostico e/o prognostico è l’aspetto più delicato e complesso del percorso comunicativo, poiché spesso dimentica che, in assenza di certezze, ciò che i genitori cercano è qualcuno capace di stare insieme a loro nel tollerare l’impotenza e l’incertezza. Perché gli operatori non diventino solo dei perfetti tecnici è necessario, anzi indispensabile, che abbiano la possibilità di prendersi cura oltre che dei pazienti anche di se stessi, rimanendo in contatto con la propria sensibilità e la propria affettività. Bisogna far affiorare la necessità propriamente umana di dare senso e significato all’esperienza che si vive, perché non rimanga, come dice Hanna Arendt “una sequenza intollerabile di eventi” [26]. Perché l’operatore sia messo nelle condizioni di sentirsi e pensarsi sono necessarie sia giornate di aggiornamento e di approfondimento volte a consolidare le competenze comunicative, sia spazi di formazione continua dove discutere insieme dei casi particolarmente complessi per scegliere modalità di comunicazione omogenee e per condividere le risonanze emozionali che nascono a contatto con il neonato grave e la sua famiglia. Solo in questa prospettiva la medicina può tornare a essere umana e non diventare fonte di disagio per il paziente e per chi cura. u

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È uscito il numero 3/2011 di

FIN DA PICCOLI FIN DA PICCOLI si propone di diffondere conoscenze sull’importanza e l’efficacia di interventi effettuati nei primi anni di vita e finalizzati alla salute e allo sviluppo dei bambini. Poiché quanto accade all’inizio della vita ha influenze molto significative sulla qualità della vita dell’adulto, tutto questo ha rilevanza anche per il futuro delle nuove generazioni. FIN DA PICCOLI si propone di contribuire a questo fine attraverso la diffusione di studi e ricerche riportati dalla letteratura internazionale. FIN DA PICCOLI è diretto primariamente a operatori che a vario titolo si occupano di infanzia, ma anche a genitori e ad amministratori. Sommario Editoriale: Dal vaso da riempire al dividendo sociale Nota introduttiva al numero Interventi a sostegno dello sviluppo delle funzioni esecutive nei bambini dai 4 ai 12 anni Le pratiche di insegnamento del linguaggio e gli esiti accademici di bambini in età prescolare Efficacia degli interventi educativi in età prescolare Dalla scienza alla politica in tema di educazione precoce Proteggere lo sviluppo cerebrale, non solo stimolare la mente Diseguaglianze nella prima infanzia, fattori di rischio e protettivi per lo sviluppo del bambino. Strategie per ridurre le diseguaglianze e migliorare lo sviluppo del bambino in Paesi a basso e medio reddito Per riceverlo gratuitamente Scrivere a info@csbonlus.org o chiamare al tel. 0403220447 indicando di voler ricevere FIN DA PICCOLI

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Quaderni acp 2011; 18(6): 270-272

Una gastroenterite eosinofila? Antonio Pulella*, Angela Tisci*, Rocco Cavaliere*, Franco Panizon** *UOC di Pediatria, Ospedale di Portogruaro (Venezia); **Professore Emerito, Università di Trieste

Abstract

A case of eosinophilic gastroenteritis? We three episodes of persisting severe abdominal pain with hyper-eosinophilia (>1000/mmc) and hyper-IgE (>900) levels. Pain ceased following on elimination diet in all episodes. During the last two episodes laboratory data had returned to normal levels (such data had not been studied the first time). After several years, without any disorders, both eosinophils and IgE levels remained extremely high. Quaderni acp 2011; 18(6): 270-272 Key words Abdominal pain. Hyper-eosinophilia. Elimination diet

Descrizione di un caso caratterizzato da dolori addominali persistenti, severi, presentatosi in tre successivi momenti, con ipereosinofilia (>1000/mmc) e iper IgE(>900). Nei tre episodi, una dieta di eliminazione ha fatto cessare i dolori; nel secondo e nel terzo episodio i dati di laboratorio si sono normalizzati (durante il primo, questo aspetto non risulta essere stato studiato). A distanza di anni, gli eosinofili e le IgE si sono ricollocati su valori molto alti, senza essere accompagnati a disturbi. Parole chiave Dolori addominali. Ipereosinofilia. Dieta da eliminazione

Questa è la storia di LVV, una ragazzina di 15 anni.

Primo episodio (marzo 2005)

La sua storia potrebbe cominciare qualche anno fa (marzo 2005) con una gastroenterite (vomito e diarrea, due giorni) apparentemente banale, domiciliare, seguita però da un breve ricovero (Ospedale di Treviso) per cefalea e pirosi gastrica, molto dolorosa, che ha comportato un’ecografia dell’addome (negativa) e una gastro-duodenoscopia con diagnosi di “gastrite”. Da allora, e per due mesi, ha avuto dolori addominali, quasi quotidiani, duraturi, violenti, cessati dopo l’eliminazione dalla dieta di lattosio e di cacao.

Secondo episodio (novembre 2006)

Il dolore (epigastrico), accompagnato da cefalea, si ripresenta all’improvviso attorno al 15 novembre 2006. Visita ambulatoriale, stavolta alla Clinica Pediatrica di Padova: esame urine negativo; ecografia renale ed epatica negative; indicazione provvisoria di un sintomatico (Alginor): vantaggio clinico, ma non sufficiente. Si ricovera allora, dopo altri 15 giorni di malessere e di coliche dolorose nell’Ospedale di Portogruaro (1 dicembre 2006). Per corrispondenza:

Antonio Pulella e-mail: antoniopulella@hotmail.com

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La serie degli esami richiesti, che tralasciamo, è abbastanza lunga, in considerazione delle incertezze rimaste dopo l’ultima visita, ma la ricerca di “qualcosa al di fuori della sfera gastrointestinale” è sostanzialmente negativa, compreso uno studio delle catecolamine urinarie (epinefrina, nor-epinefrina, dopamina, effettuate per un precedente, occasionale riscontro di ipertensione/limite) che sono normali. Gli esami routinari (si vedano eosinofili e IgE), invece, ci danno alcuni indirizzi: Emocromo: Hb 13,2 g/dl; WBC 7,8 103/mmc; Neutrofili 28% (2200/mmc); Linfociti 32,5% (2500/mmc); Monociti 5,8% (0,500/mmc); Eosinofili 32,3% (2500/mmc); Basofili 1,1% (0,100/mmc); Piastrine 271.000/mmc; VES 1ª h 6 mm; PCR 0,65 mg/dl) IgG 813 UI/l, IgA 134 UI/l, IgM 136 UI/l, IgE totali 992 UI/l. Dunque, non segni generali di flogosi (e quindi improbabile una MICI); ma ipereosinofilia spinta; e valori molto alti di IgE. Non si esclude una parassitosi, ma è ragionevole pensare piuttosto a una patologia IgE mediata, verosimilmente da ipersensibilità alimentare. La ricerca ripetuta di parassiti intestinali è negativa, e così pure la ricerca di eosinofili fecali. Sono negative anche la

ricerca dell’antigene fecale di Rotavirus e di Adenovirus, così come la coprocoltura per Campylobacter, Shigella, Salmonella, e la ricerca di cutisensibilità per dermatofagoide, pelo di gatto, graminacee; il prick-by-prick per latte, uovo, mela, cacao; negativa la ricerca di reagine specifiche (RAST) per latte, uovo, merluzzo, grano, granoturco, piselli, arachidi, soia, pomodoro, carota, mela, sedano, cacao. La ragazza malgrado tutto sembra comunque star meglio e viene dimessa. Però nelle 48 ore successive alla dimissione, si presentano tre successive “coliche” nel basso addome, protratte per ore. Dopo l’ultima, senza procedere a ricovero, si mette in atto a casa una dieta di eliminazione (“dieta ipoallergenica standard”: polenta, riso, agnello, lattuga). Da quel momento la storia di dolore cessa. Dopo una settimana viene ripetuto solo l’esame emocromocitometrico. Solo questo perché è sembrato semplice, ma indicativo. Il 12 dicembre mostra la scomparsa della iper-esosinofilia: 400 eosinofili/mmc.

Conclusione provvisoria dopo il secondo episodio

Si conclude che LVV ha una patologia, presumibilmente allergica, sensibile a una dieta di eliminazione, a localizzazione, in un primo tempo, apparentemente gastrica, ora probabilmente ileo-colica, IgE mediata (alto valore di IgE “aspecifiche”), peraltro senza evidenza di IgE “specifiche” né per alimenti comuni né per pneumoallergeni, e senza che ci sia stata la possibilità di individuare il presunto trofoallergene scatenante. Le IgE sono ancora molto alte (1050 UI/l) e il RAST è negativo per latte e cacao. Ci si propone di individuare la causa con diete di scatenamento, iniziando, naturalmente, dal cacao (cioccolato amaro), che non dà né disturbi clinici né aumento degli eosinofili. Si faranno i passi tradizionali settimana per settimana: pane e


il caso che insegna

pasta (dunque grano); poi patata e carne di manzo; poi pesce (molto amato e precedentemente quasi sempre presente nella dieta); poi pomodoro, mela, agrumi; quindi crostacei. Infine dieta libera, compreso il latte. Gli eosinofili circolanti, controllati ogni 15 giorni, si mantengono tra 300 e 400/mmc. Nessun disturbo clinico.

Terzo episodio (marzo 2007)

Dopo tre mesi (20 marzo 2007), improvvisamente, la ragazza segnala pollachiuria (esame urine negativo), poi ripresa dei dolori al basso ventre (durata di ogni singolo episodio doloroso circa mezz’ora, remissioni di circa un’ora, ma non senza “fastidio”, poi ripresa del dolore), scariche molli o semifluide ma non numerose (1-2 al giorno); notti “difficili”, quasi insonni per il dolore. La visita ambulatoriale (26 marzo) è negativa; la palpazione profonda dell’addome è indolente. Gli eosinofili però sono saliti a 1100/mmc da 300-400 che erano. L’intervento è lo stesso dell’altra volta (stessa dieta “anallergica”); il disturbo scompare subito. Gli eosinofili cadono: il 1º aprile 2007 sono 300/mmc; il 10 aprile sono 250/mmc. La dieta di scatenamento è forse più aggressiva della prima volta (a passi: pane, pasta, biscotti senza latte, manzo, riso, patate, polenta, pesce, crostacei, molluschi, prosciutto crudo). Nessuno dei passi fatti provoca disturbi, né aumento degli eosinofili. Il latte, la ragazza non vuol provarlo, ma lo avevamo già provato in passato e lo avevamo ritenuto “innocente”.

Controlli successivi (2009, 2011)

In realtà il terzo episodio è stato modesto, con scarsa sintomatologia clinica. Ma avendo deciso che il caso non era risolto (mentre “l’uomo ha bisogno di risolvere”), per la buona coscienza abbiamo deciso di “fare un controllo” nel 2009 e un altro nel marzo 2011 in assenza di sintomi. Abbiamo trovato 1700 eosinofili /mmc e le IgE totali a 907 UI/l. Dunque, la situazione di ipersensibilità, con iper-risposta biologica (IgE ed eosinofili), non si è esaurita, ma la piccola non ha sintomi. Non si vede l’utilità di un intervento di alcun genere. Si decide di non “curare il laboratorio”.

Quaderni acp 2011; 18(6)

La diagnosi o conclusioni provvisorie?

La storia sembra finire qui, cioè all’ultimo controllo. Si mantiene la comunicazione telefonica con la famiglia di LVV, che da quasi un anno non ha più disturbi, ed è a dieta libera, anche se “sta attenta” al latte. Le abbiamo chiesto una settimana di registrazione rigida di “tutto quello che mangia” con questo risultato: LVV mangia tutto quello che si può mangiare, “si tiene un po’ indietro” col latte e, quasi per tradizione, con la cioccolata, senza però eliminarli rigidamente dalla dieta; per il resto mangia senza pensarci tutto quello che passa il convento. Non ha più disturbi; ma quando ritorna da noi, a salutarci, all’inizio del 2010, ormai signorina, i suoi eosinofili sono ora 840/mmc: alti di nuovo, anche se non altissimi. Non siamo in grado di formulare una diagnosi perfettamente soddisfacente, se non quella generica di allergia alimentare, né di configurarne il possibile substrato anatomo-istologico, se non, ma solo per immaginazione, un’infiltrazione eosinofila della mucosa. Non sappiamo spiegarci la successiva tolleranza (clinica) a ogni alimento “corrente”. Ci sarebbe piaciuto, e certamente manca al nostro caso, aver potuto studiare la mucosa gastrointestinale mediante una capsula wireless, il sistema che consente di fare la diagnosi “obiettiva”. Tuttavia ci sembra che anche così il caso si mantenga istruttivo e non lasci spazio a troppi dubbi diagnostici. L’unica cosa che ci sembra “ragionevolmente certa” è che nella dieta, pur relativamente cauta e non totalmente aperta che la ragazza teneva, ci “deve essere” qualcosa che la dieta prescritta (una dieta rigida, a base di polenta, riso, agnello, lattuga) non conteneva, dal momento che, bruscamente e contemporaneamente, la sua interruzione ha eliminato sia il sintomo clinico che i due fenomeni di chimica-clinica: iper-eosinofilia e iper-IgE. Riteniamo dunque, nei limiti delle certezze mediche, di dover pensare che LVV abbia o abbia avuto una patologia lesionale gastrointestinale da trofoallergia. Il quadro clinico noto e più simile a quello presentato da LVV, per decorso e chimica-clinica, è la esofagite eosinofila,

dove però, a differenza che nel nostro caso: a) può giocare un ruolo la pneumo-allergia; b) il disturbo rimane tipicamente “alto” (disfagia). Qui, il disturbo, eccetto che nel primo episodio, era francamente basso. Dobbiamo dunque fare riferimento alla non ricchissima letteratura pediatrica riguardante la patologia dolorosa gastrointestinale clinicamente alquanto più rilevante, e concentrata nel tempo, di quanto non siano i dolori addominali aspecifici, i DAR. Si tratta di studi endoscopici e bioptici sistematici, in serie di pazienti con dolori addominali “misteriosi”, che hanno messo in evidenza alterazioni istologiche di tipo infiltrativo-nodulare, con o senza eosinofili, nel 10-15% di differenti, consistenti casistiche [1-3]. La più recente riguardava 20 casi di obscure small-bowel disorders, sottoposti a studio sistematico con capsula wireless [3]. In una di queste casistiche, 28 su 84 oggetti studiati per dolori addominali persistenti, non altrimenti spiegati, presentavano l’evidenza di una ipersensibilità a trofoallergeni, secondo il golden standard della dieta di eliminazione-scatenamento [1]. Altri casi di gastroenteropatia eosinofila vengono riportati occasionalmente dalla letteratura, e alcune rassegne ne riferiscono più in generale [4-6]. Crediamo quindi a) ragionevole: porre, anche per LVV, la diagnosi di enteropatia trofo-allergica a eziologia non definita, b) difficile: “perseguitare” la bambina con una nuova dieta di eliminazione in assenza di sintomi clinici, c) considerare praticamente certo, sul dato della ipereosinofilia ritornata stabilmente elevata a distanza dagli episodi, che il trofoallergene (o i trofoallergeni) in causa siano ricomparsi nella dieta “libera” di LVV, senza però raggiungere la “forza” di determinare un danno mucosale clinicamente esplicito.

Infine, il conforto del Nelson

Leggiamo, comunque, il Nelson, a pagina 1257 dell’edizione 2004 [7]. “Il termine di gastroenterite eosinofila comprende un gruppo di disturbi rari e 271


il caso che insegna

Quaderni acp 2011; 18(6)

FONDI SOCIALI QUASI O DEL TUTTO AZZERATI

mal compresi, che hanno in comune una infiltrazione eosinofila dello stomaco, del tenue, ma anche, a volte, dell’esofago, oppure del crasso, e una eosinofilia periferica […]. L’infiltrazione della mucosa può indurre nausea, vomito, diarrea, dolore addominale, sanguinamenti, malassorbimento enteropatia protido-disperdente […]. Spesso si possono individuare ipersensibilità verso trofoallergeni multipli, e di solito le IgE sono elevate; l’ipereosinofilia periferica si riscontra nel 50% degli affetti… Il disturbo ha in genere un decorso cronico, debilitante, con sporadiche esacerbazioni anche severe […]. Il di-sodio-cromoglicato può essere di vantaggio, ma la terapia più efficace è quella corticosteroidea […]. Può migliorare con la dieta di eliminazione”. Ci sembra che in tutto e per tutto, anche nella sua indeterminatezza, il nostro caso si attagli perfettamente alla descrizione del Nelson.

Cosa abbiamo imparato

– A conoscere una condizione pediatrica rara ma disturbante. – A confermarne, nella nostra limitata esperienza, la validità dei criteri di sospetto (eosinofilia >500/1000 elementi/mmc, IgE alte) e di diagnosi (pronta risposta clinica e di laboratorio alla dieta di eliminazione). – Abbiamo aggiunto, crediamo, qualche elemento conoscitivo, che pure restando, al limite, confondente sul piano clinico, si adatta a quanto si conosce sulla patogenesi e sulla evoluzione clinica della gastroenterite eosinofila: il fatto cioè che non riconosca

(a somiglianza della esofagite eosinofila, ma a differenza dall’orticaria, dalla anafilassi e dalla FPIES, Food Proteins Induced Enteropathy Syndrome), un rapporto di causa-effetto stretto, unico e determinante tra un singolo alimento offendente e la sintomatologia, ma piuttosto una sommatoria di cause di cui quelle alimentari sono probabilmente solo una parte. – Infine, abbiamo visto che la sindrome può avere una evoluzione, nel mediolungo termine, clinicamente benigna, anche a dieta libera e a dispetto della persistenza di ipereosinofilia. u Bibliografia [1] Kokkonen J, Ruska T, Karttunen TJ, Niimaki A. Mucosal patholoy of the foregut associated with food allergy and recurrent abdominal pains in children. Acta Paediatr 2001;90:16-26. [2] Stordal K, Nygaard EA, Bentsen B. Organic abnormalities in recurrent abdominal pain in children. Acta Paediatr 2001;90:608-10. [3] Whitington PF, Whitington GL. Eosinophilic gastroenteopathy in childhod. J Pediar Gastroenterol Nutr 1988;7:379-85. [4] Guilhon de Araujo Sant’Anna AM, Dubos J, Miron MC, Seidman EG. Wireless capsule endoscopy for obscure small-bowel disorders: final results of the first pediatric controlled trial. Clin Gastroenterol Hepatol 2005:3:264-70. [5] Amirav I, Rosenthal E, Bentur L, et al. Coexistence of celiac disease and eosinophilic gastroenteropathy. J Pediatr gastroenterol Nutr 2001; 33:200-1. [6] Chang JY, Choung RS, Lee RM, et al. A shift in the clinical spectrum of eosinophilic gastroenterits toward the mucosal disese type. Clin GatroenterolHepatol 2010;8:669-75. [7] Hyams J. Eosinophylic gastroenteritis. In: Nelson Textbook of Pediatrics, edited by Berman RE, Kliegman RM, Jenson Hb. 17th edt. Philadelphia: Saunders 2004, pp. 1257-7.

Il Fondo per le politiche sociali, con il quale le Regioni finanziano la rete dei servizi sociali e sociosanitari alle famiglie e alle persone più bisognose, è passato negli anni attraverso questi dati Anni 2008 2009 2010 2011 2012

Milioni 929 584 435 218 zero

Il Fondo per la non-autosufficienza è (era) dedicato alle cure da garantire ad almeno 3 milioni di italiani. Anni 2008 2009 2010 2011 (100 milioni sono cificamente alla amiotrofica)

Milioni 300 400 400 zero stati destinati spesclerosi laterale

Dal 2010 ad oggi: – il Fondo per la famiglia è passato da 174 milioni a 51; – il Fondo per le politiche giovanili da 81 milioni a 13; – il Fondo per il diritto allo studio da 264 milioni a 99. I Fondi per le indennità di accompagnamento ai disabili sono stati azzerati. (Sole24OreSanità 13-19 settembre 2011)

CONSUMI DI FARMACI EQUIVALENTI IN ITALIA: SIAMO IN CODA Nazione Grecia Italia Belgio Spagna Francia Olanda Ungheria Rep. Ceca Regno Unito Germania Polonia UE

Percentuale di uso 00,2 10 20 20 20 59 50 55 60 68 83 40

I risparmi possibili in milioni di euro usando equivalenti IPP 234 ACE INIBITORI 143 INIBITORI SEROTONINA 45 LOSARTAN 128 STATINE 54 (Quaderni Sole24OreSanità 13-19 settembre 2011)

272


musical

Quaderni acp 2011; 18(6): 273

Rubrica a cura di Stefano Gorini

Le iniziative di “Nati per la Musica”

Durante l’anno scolastico 2011 a Chivasso (TO) hanno avuto luogo numerosi incontri di “NpM” promossi dall’Istituto musicale comunale “Leone Sinigaglia”, in collaborazione con l’Amministrazione comunale e con il coinvolgimento delle operatrici Miriam Mazzoni e Camilla Bettenzoli. Nei corsi preparto presso il locale Ospedale civile sono stati inseriti dei momenti di presentazione di “NpM” in cui veniva illustrato il Progetto, cercando di sollecitare curiosità e interesse e offrendo momenti musicali di tranquillità e rilassamento alle future mamme. Presso la sede dell’Istituto musicale si sono tenuti quattro incontri di “NpM” destinati a bimbi da 0 a 3 anni. L’opportunità di vivere un momento formativo e musicale che passa attraverso il gioco e che rafforza il rapporto tra genitori e bimbi è stata vissuta in maniera molto partecipata anche da genitori e fratellini presenti agli incontri. L’interesse manifestato per NpM, che aggiunge completezza al percorso didattico/formativo dell’Istituto musicale, è stato notevole e gli interventi, impostati in modo adeguato alla situazione, hanno riscosso grande successo e suscitato ampio interesse sia sul territorio chivassese sia su quello limitrofo. Il Nido comunale ha ospitato per dieci settimane laboratori musicali in cui trentotto bimbi con le loro educatrici hanno seguito con grande entusiasmo e partecipazione quanto proposto dalle operatrici musicali, con ampio coinvolgimento delle famiglie. Al termine dell’anno scolastico è stata realizzata per tutti una festa nella quale la presenza di “NpM” ha offerto un momento di gioia, aggregazione e opportunità di ripercorrere i momenti gratificanti vissuti in laboratorio durante l’anno, svolgendo nuovamente i “giochi musicali” così amati dai bimbi. Ospedale, Nido e genitori hanno richiesto più volte e con partecipazione accorata la possibilità di proseguire il percorso iniziato, avendolo giudicato molto piacevole e proficuo rispetto allo svilup-

Piemonte

po globale del bambino e al rapporto sempre più profondo che si consolida tra genitore e bimbo. Miriam Mazzoni

La Provincia di Cagliari ha promosso la presentazione di “NpM” in concomitanza con l’European Jazz Expo che si è tenuto presso il Parco di Monte Claro dal 26 al 29 maggio. Il nutrito programma delle attività organizzate e coordinate dalla Biblioteca provinciale ragazzi in collaborazione con l’ACP e l’Associazione italiana biblioteche ha visto la partecipazione del Conservatorio di Musica, della Scuola civica di Musica di Cagliari, dell’Istituto comprensivo a indirizzo musicale di Elmas, dell’Ufficio Beni Librari della Regione Sardegna, del Consultorio di Monserrato, delle Associazioni “Crescendo”, “Maia”, “L’alternativa”, “Leche League”, “Alma” e del “Centro Nascita Serena” di Sassari. Le attività, svolte presso la sala conferenze adiacente alla Biblioteca provinciale ragazzi, si sono concretizzate in due tavole rotonde sullo stato dell’educazione musicale in Sardegna, diversi laboratori musicali tra cui uno di pancia painting e uno di massaggio sonoro in gravidanza curati dall’Associazione “Crescendo”. Si è tenuto inoltre un concertino di bambini e si è registrata la partecipazione di Michael Bradke, l’ideatore del “Mobil Music Museum”. Per l’occasione è stata inoltre allestita la mostra bibliografica “Nati per la Musica” curata dalla Biblioteca ragazzi. Attualmente il Centro servizi bibliotecari con la Biblioteca ragazzi della Provincia di Cagliari continua la sua attività con la promozione di una serie di incontri formativi/laboratoriali per la predisposizione del Calendario “NpL” e “NpM” 2012. Altre attività in Sardegna proseguono con l’organizzazione del mese della musica (ottobre 2011) presso il Comune di Cabras, durante il quale sono previste numerose manifestazioni, organizzate prevalentemente dal Coro polifonico

Sardegna

“P.L. da Palestrina”, alcune delle quali rivolte ai piccoli, alle quali “NpM” è invitata a dare il suo apporto. Franco Dessì

Sabato, 20 agosto, si è svolto un incontro con genitori e bambini in sostegno del progetto “NpL” e “NpM”. La sede scelta per la lettura animata del Libro della Giungla e per il momento musicale è stata la pineta di un piccolo borgo, Castel Rigone (PG), situato sulle colline che sovrastano il lago Trasimeno. I bambini, oltre una trentina, sono arrivati un po’ alla spicciolata insieme ai genitori e sono stati accolti dai nostri volontari in un angolo destinato al cosiddetto Truccabimbi: con il sottofondo delle filastrocche musicate del libro Musicantando si è iniziato; i più timidi hanno rotto il ghiaccio piano piano, ma alla fine tutti sono stati coinvolti dagli animatori e, canterellando, si sono trasformati grazie alle mani abili e ai colori nei vari animali della giungla. A questo punto, i lettori hanno preso posto nello spazio riservato loro, davanti a una scenografia rappresentante la giungla e i suoi animali, indossando le mascherine dei vari personaggi, e i bambini eccitatissimi si sono sistemati in gruppo di fronte, comodamente seduti per terra sui cuscini. Così la storia è iniziata: tutti hanno ascoltato con grande attenzione! È seguito il laboratorio d’arte: i più piccoli hanno avuto dei fogli da colorare con le figure dei vari personaggi del libro; i più grandicelli, insieme agli animatori, hanno ricostruito i personaggi utilizzando delle sagome di cartoncino già preparate allo scopo. Grande partecipazione e divertimento da parte di tutti... ogni tanto una corsa verso il tavolo dei succhi di frutta e del cioccolato per ritemprarsi e poi di nuovo all’opera. E ancora, visita al banchetto per lo scambio dei libri… anche qui grande interesse di bambini e genitori. Gli adulti, a fine serata, erano “cotti” mentre molti bambini prima di andare via chiedevano se si potesse ricominciare…

Umbria

Elena Cappellani 273


Quaderni acp 2011; 18(6): 274-275

Rubrica a cura di Pierangela Rana

Escara nucale: è TIBOLA? Stefano Costa Pediatra, dottorando di Ricerca, Policlinico Universitario di Messina

Questa Rubrica pubblica casi di dermatologia pediatrica. Ha volutamente un tono dimesso, come quello di amici che si scambiano informazioni bevendo un caffè o chiacchierando al telefono in una pausa di lavoro; ma le informazioni che dà sono importanti per la pratica. Quindi racconti brevi, poche voci bibliografiche piuttosto elementari, soprattutto qualche buona immagine. Mandate i vostri casi a Pierangela Rana (pierangela.rana@tin.it). Abstract

A necrotic lesion of the scalp: what is TIBOLA? A necrotic lesion of the scalp leads to a not frequent diagnosis: the TIck BOrne LymphAdenitis (TIBOLA) caused by a tick diffused in Sicily. Quaderni acp 2011; 18(6): 274-275 Key words TIBOLA. Rickettsia slovaca. Dermacentor

Una escara sul capo fa fare diagnosi di una malattia poco nota: la TIck BOrne LimphAdenitis (TIBOLA), causata da una zecca abbastanza diffusa in Sicilia. Parole chiave TIBOLA. Rickettsia slovaca. Dermacentor

In una bella giornata di primavera, M., un nostro piccolo paziente di 2 anni, passa tutto il giorno fuori città immerso nel verde di un bosco nei pressi di Messina. La mattina dopo M. è irritabile, infastidito e si porta continuamente le mani dietro la testa. La madre esplora la nuca e trova una lesione rilevata, eritematosa, con al centro un cratere scuro dove sembra essersi conficcato un insetto. Il piccolo viene quindi condotto al Pronto Soccorso dove un infettivologo estrae una zecca ancora viva. La madre allora ci telefona e ci spiega la situazione dicendo: “L’infettivologo pensa che M. abbia la TIBOLA”. Dopo pochi secondi di stupore e nell’attesa che la mamma porti il piccolo in ambulatorio ci tuffiamo sul Nelson e successivamente, per capirne di più, su PubMed, scoprendo che la denominazione TIBOLA deriva da TIck BOrne LimphAdenitis, che è una linfadenite reattiva a una puntura di zecca. Si tratta di una rickettsiosi emergente (primo caso descritto nel 1997), causata dalla puntura della zecca del genere Dermacentor che è il serbatoio naturale della Rickettsia slovaca, l’agente eziologico della TIBOLA [1]. La malattia viene definita anche con l’acronimo DEBONEL, DErmacentorBOrne Necrosis, Erythema and Lymphadenopathy [2].

La lesione

La madre ci porta allora M. che presenta infatti una lesione come una escara circondata da un alone eritematoso con linfadenomegalia retronucale dolente (figura 1). Come consigliato dall’infettivologo avviamo terapia antibiotica con macrolide (claritromicina) e topica con tetraciclina. La terapia di scelta è la doxiciclina; non la facciamo perché è controindicata sotto gli 8 anni. Dopo otto giorni la lesione sembra in netto miglioramento (figura 2); i linfonodi retronucali non sono più dolenti e sono diminuiti di dimensioni e M. non presenta nessun altro sintomo degno di nota.

La diagnosi

A partire dal 1997 numerosi casi di TIBOLA sono stati descritti in tutta Europa [1]. Sembra che questo sia il primo descritto nel Sud Italia. La presenza della zecca del genere Dermacentor è stata documentata in Sicilia in un recente studio [3]. La Rickettsia responsabile di tale patologia appartiene alla specie slovaca nella maggior parte dei casi, e alla specie raoultii nei rimanenti casi [4]. La diagnosi si basa fondamentalmente su criteri clinici ed epidemiologici. Il quadro sintomatologico classico è costituito da un’escara necrotica nella zona della

puntura (nei primi giorni è ancora possibile identificarvi la zecca), associata a una linfadenopatia satellite [1]. La lesione cutanea compare tipicamente in zone ricoperte da peli, allo scalpo e alle ascelle soprattutto [4]. L’escara e i linfonodi sono spesso dolenti (da metà ai 2/3 dei casi). Altri sintomi associati e frequenti sono mal di testa e astenia che può essere anche prolungata [4]. L’alopecia secondaria nella zona della lesione compare in circa la metà dei casi ed è la sequela più frequente [4]. L’antibiotico di scelta è la doxiciclina che per noti motivi non può essere usata sotto gli 8 anni. In questi casi i macrolidi rappresentano l’alternativa più utilizzata [5].

Cosa abbiamo imparato

– La diagnosi è quindi clinica e non può sfuggire avendone visto un caso. – Per chi non ho visitato sono di utilità le nostre figure e la descrizione che ne abbiamo dato. – Il periodo più a rischio va da febbraio a maggio [4]. – La diagnosi di laboratorio, la sierologia per Rickettsia slovaca, è poco sensibile e specifica [4]. Esiste la possibilità presso alcuni centri specializzati di confermare la diagnosi effettuando una PCR sull’insetto estratto per identificare il tipo di Rickettsia. u

Bibliografia [1] Raoult D, Berbis P, Roux V, et al. A new ticktransmitted disease due to Rickettsia slovaca. Lancet 1997;350:112-3. [2] Oteo JA, Ibarra V. [DEBONEL (Dermacentorborne-necrosis-erythema lymphadenopathy). A new tick-borne disease?]. Enferm Infec Microbiol Clin 2002;20:51-2. Spanish. PubMed PMID: 11886671. [3] Torina A, Alongi A, Scimeca S, et al. Prevalence of tick-borne pathogens in ticks in Sicily. Transbound Emerg Dis 2010:57:46-8. PubMed PMID: 20537102.

Per corrispondenza:

Stefano Costa e-mail: stefan.costa@gmail.com

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pelle


occhio alla pelle

Quaderni acp 2011; 18(6)

GLI ERRORI IN MEDICINA

FIGURA

Il tasso di autopsie negli anni precedenti il 1950 era in USA oltre il 50%. Attualmente non supera il 6%. Il tasso di discrepanza diagnostica pre e post mortem è rilevante: nel 40% dei casi l’autopsia rivela una diagnosi principale non diagnosticata. Tale valore è rimasto costante negli ultimi 60 anni, anche se il dato può essere fuorviante in quanto oramai i casi analizzati sono in genere quelli con maggiore incertezza diagnostica. La probabilità che l’autopsia riveli un errore diagnostico che può avere influenzato la sopravvivenza del paziente è del 10,2%. Errori meno importanti accadono nel 25%. Si stima che negli USA 35.000 pazienti avrebbero potuto sopravvivere ogni anno se le condizioni cliniche rilevate all’autopsia fossero venute alla luce in vita.

1

(Le Scienze 2011;8:66)

TASSE ANTIOBESITÀ

FIGURA

Il parlamento ungherese ha varato, con effetto 1° settembre, una legge per tassare cibi confezionati ad alto contenuto di sali e di zucchero come noccioline salate, cioccolata, biscotti dolci e salati, gelati e bibite energizzanti. La tassazione secondo il governo dovrebbe portare un introito di 74 milioni di euro a beneficio del Servizio Sanitario Nazionale. Benché l’OMS sia scettica sugli effetti di questi provvedimenti, la Norvegia ha messo tasse su zucchero e cioccolata; la Finlandia su bibite energetiche, gelati e cioccolata; la Danimarca pensa di introdurne su prodotti con forte componente di grassi saturi.

2

(Lancet 2011;378:755)

TABIANO 21 17-18 febbraio 2012 [4] Parola P, Rovery C, Rolain JM, et al. Rickettsia slovaca and R. raoultii in tick-borne Rickettsioses. Emerg Infect Dis 2009:15:1105-8. PubMed PMID: 19624931. PubMed Central PMCID: PMC2744242.

[5] Ibarra V, Blanco JR, Portillo A, et al. Effect of antibiotic treatment in patients with DEBONEL/ TIBOLA. Ann N Y Acad Sci 2005:1063:257-8. PubMed PMID: 16481523.

BAMBINI A RISCHIO Informazioni: boschigiusep@alice.it Segreteria organizzativa: TERME DI SALSOMAGGIORE E TABIANO (vedi p. 249)

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Quaderni acp 2011; 18(6): 276

Identificare e gestire i casi di maltrattamento: il ruolo del pediatra

Parole chiave Maltrattamento. Abuso infantile. Pediatra.

Prevenzione

Il pediatra che si occupa del benessere non può non occuparsi del maltrattamento. Numerosi rapporti dell’American Academy of Pediatrics (AAP) hanno sottolineato la necessità di migliorare la capacità dei pediatri nell’identificare e gestire i casi di maltrattamento. L’ articolo si occupa delle possibilità di contribuire a prevenirlo. Elenca cause e fattori scatenanti che mettono il bambino a rischio. Indica come i pediatri possano individuarli in occasione dei bilanci di salute: fare una minuziosa anamnesi sociale (povertà, abuso di sostanze, malattie mentali, giovane età e sofferenze materne ecc.), ricercare i segni di depressione postpartum o di violenza intrafamiliare, valutare una frustrazione causata da difficoltà

di accudimento (pianto, disturbi del sonno o dell’alimentazione, toilet training ecc.), prestare particolare attenzione ai bambini con disabilità e ai nati pretermine. Individuati i fattori di rischio, il pediatra cercherà di mettere in atto gli interventi più appropriati: fornire ai genitori una guida anticipatoria perché affrontino le tappe di sviluppo del bambino che possono rendere più difficile l’accudimento e provocare l’abuso. Per questo sono citati programmi di prevenzione che aiutano il pediatra nel compito, sono forniti linee-guida e materiale educativo estremamente utili per pediatra e genitori. Indirizzare le famiglie a rischio sociale ai servizi territoriali perché abbiano aiuto. Importante la sottolineatura del ruolo pubblico del pediatra: conoscere bene le risorse del territorio e, nel caso non fossero appropriate, pretendere dalle istituzioni interventi adeguati a garantire la protezione dei bambini.

*Flaherty EG, Stirling J Jr and The Committee on Child Abuse and Neglect. The Pediatrician’s Role in Child Maltreatment Prevention. Pediatrics 2010;126;833-41. Si veda a p. 245 nella rubrica “Salute pubblica” una versione più completa.

IL PEDIATRA. Alcune verità: dall’abuso non si “guarisce”; diagnosi e intervento precoce non lo annullano, ne riducono il danno; perciò l’unica arma disponibile è la prevenzione. Mi occupo da tempo di questo argomento, nel campo della formazione degli operatori, dell’organizzazione dei servizi. L’articolo ha stimolato soprattutto da questo punto di vista. Finora nella formazione mi sono posta soprattutto l’obiettivo della identificazione precoce dei casi. Tutto giusto, ma l’articolo richiama l’importanza della prevenzione e il ruolo che ha il pediatra come osservatore privilegiato del nucleo familiare; e poiché può più in Italia che negli USA... I programmi di prevenzione riportati sono interessanti ma lo è soprattutto la proposta di inserire nei bilanci di salute un intervento preciso per la prevenzione dell’abuso: sembra facilmente realizzabile e non molto distante da quello che già facciamo nell’ottica del sostegno alla genitorialità. Dunque migliorare la formazione: l’articolo fornisce molto materiale che sembra facilmente utilizzabile. Più difficile sembra il passaggio alla fase successiva, quella dell’intervento, che deve essere necessariamente multidisciplinare. Qui ci scontriamo con un problema: i servizi deputati alla tutela dei minori sono ovunque insoddisfacenti. Ne nasce la necessità sottolineata nell’articolo: compito del pediatra è anche quello, politico, di fare pressione sulle istituzioni per politiche sociali orientate specificamente alla protezione dei minori. Carla Berardi, Perugia carla.berardi@tiscalinet.it

LO PSICOLOGO. L’articolo pone l’accento sull’importanza della prevenzione del maltrattamento infantile, aspetto senz’altro condivisibile in base alle evidenze cliniche che dimostrano quanto il funzionamento post-traumatico sia pervasivo e difficilmente curabile. Il pediatra gioca un ruolo centrale nel prevenire le situazioni di child abuse, proprio perché vede tutti i bambini (che, invece, arrivano all’attenzione degli psicologi solo dopo la manifestazione di un disagio) e può instaurare con le loro famiglie un rapporto di fiducia. In questo senso, trovo importante ed efficace il suggerimento di rinforzare i fattori protettivi e le risorse familiari, mentre mi risulta più difficile e a rischio di stigmatizzazione l’individuazione e l’intervento sui fattori di rischio (l’evidenza clinica dimostra che troppo spesso il maltrattamento si cela in famiglie assolutamente “normali”). Per lavorare in un’ottica di prevenzione il pediatra, così come ogni professionista che si occupi di tutela dell’infanzia, deve adottare un concetto più ampio di “cura” e di promozione del benessere: gli interventi preventivi, infatti, nella loro complessità, devono necessariamente coinvolgere una rete multidisciplinare e approcci basati sul confronto e la cooperazione di diverse competenze. A questo scopo, ho trovato particolarmente interessante il richiamo al ruolo di sensibilizzazione politica che il pediatra può e deve svolgere: il maltrattamento, infatti, si combatte non solo rinforzando le pratiche familiari di “buon trattamento”, ma anche e soprattutto promuovendo politiche sociali e sanitarie, oggi troppo spesso disattente ai bisogni e ai diritti dei bambini. Maria Grazia Apollonio, Trieste mariagrazia.apollonio@tin.it

L’EPIDEMIOLOGO. Il rapporto dell’AAP stimola riflessioni e qualche dubbio sulle strategie da adottare nel campo della prevenzione che dovrebbe essere caratterizzato, nella prima fase, da un’alta sensibilità, cioè dalla capacità di non perdere casi (ridurre i “falsi negativi”). Il fatto che condizioni stressanti possano favorire una maggior incidenza di abuso in alcune sottopopolazioni (rischio relativo significativo) non significa che la maggior parte dei casi si verifichi in quelle condizioni (basso rischio attribuibile). E se in questa prima fase optassimo per un intervento universale e non selettivo offrendo attivamente ai genitori la disponibilità a parlare delle difficoltà che incontrano nel crescere il bambino? Gli Autori sottolineano l’importanza dei fattori protettivi, ma non escono da una certa genericità. I protettivi, diversamente da quelli di rischio, presentano una potenziale dinamicità nel tempo e devono essere monitorati; si pensi a come essi si possono modificare in caso di care di un bambino con patologia cronica. Una volta rilevata la difficoltà dei genitori e/o la presenza di una condizione di vulnerabilità, che fare? Come aiutare i genitori a prevenire l’abuso, a far sì che la rete non sia vissuta come una vigilanza ma come la messa in atto di misure di facilitazione? Sono domande a cui l’articolo non dà risposta. Fin qui i dubbi sulle ipotesi di prevenzione primaria, le strategie per evitare l’abuso. Sul tema della prevenzione secondaria (interrompere un abuso in atto) si deve tener conto che, nella maggior parte dei casi, in particolare nell’abuso sessuale e nel neglect, la diagnosi è tardiva: intercorre un lungo tempo tra l’inizio dell’evento e la capacità dei professionisti di rilevare segni e sintomi specifici. Allora siamo certi che la priorità vada assegnata al ruolo dei pediatri nella prevenzione primaria o non sarebbe più urgente inserire l’insegnamento della diagnosi differenziale nella formazione delle scuole di specialità? Dante Baronciani, CeVEAS Modena d.baronciani@ausl.mo.it

IL MAGISTRATO. Condivido osservazioni e suggerimenti dell’articolo: migliorare la capacità dei pediatri nell’identificare cause e fattori scatenanti per il bambino a rischio e prospettare interventi appropriati. Gli Autori sottolineano il “ruolo pubblico” del pediatra: il suo rapporto privilegiato con il paziente e la famiglia può/deve dare voce ai singoli componenti del nucleo: vigilare, intuire le problematiche, le difficoltà dell’ambiente, recepire le richieste di aiuto e agire nell’esclusivo interesse del bambino. La Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30, 32), il Codice Civile (art. 147), la Convenzione di New York (20/11/1989: art. 12), ratificata con legge 176/1999, la Convenzione di Oviedo (art. 6) sui diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano con riguardo alla biologia e alla medicina approvata il 4/4/1997 dal Consiglio d’Europa, ratificata con legge 145/2001, la Convenzione europea di Strasburgo per l‘esercizio dei diritti del minore (8/9/1995: artt. 3, 6, 19), stabiliscono che “il parere del minore è considerato elemento determinante in funzione dell’età e del suo livello di maturità”; principio ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea di Nizza (7/12/2000: art. 24)) e da ultimo dalla legge 54/2006 (affidamento condiviso: art. 155 c.c.). È compito del pediatra ascoltare con attenzione e sensibilità il bambino, comprenderne le ansie, riconoscere il trauma, indagare eventuali “segreti”, valutare possibili disturbi psico-evolutivi e, se necessario, coinvolgere nella situazione i servizi sociali; nelle ipotesi più gravi di maltrattamento e di abuso è doverosa la segnalazione all’Autorità giudiziaria (secondo la fattispecie, al Tribunale per i Minorenni, o al Giudice tutelare o al P.M.) che, fatte indagini, adotterà i provvedimenti opportuni in sede civile (sospensione o decadenza dalla potestà sui figli, artt. 330, 336 C.C., ordini di protezione contro gli abusi familiari, art. 342 bis C.C.). o penale (artt. 570, 572, 609 quater C.P.) ”nell’esclusivo interesse del minore”. Augusta Tognoni, Milano augusta.tognoni@gmail.com

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Quaderni acp 2011; 18(6): 277

Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo Laura Brusadin, Laura Todesco, Giacomo Toffol Pediatri per un mondo possibile

Parole chiave Inquinamento. Black carbon. Benzene. Autismo. Difetti del tubo neurale

Poco si sa sul ruolo dell’ambiente sull’autismo e questo studio, per quanto noto, è il primo ad aver evidenziato una associazione tra autismo e vicinanza a una strada trafficata [1]. È stato esaminato il collegamento tra autismo e distanza del luogo di residenza della madre durante la gravidanza da un’autostrada o da una strada principale, scelte come indicatore indiretto di esposizione a inquinanti ambientali. Sono stati utilizzati i dati di uno studio caso-controllo, condotto in California su una popolazione in età prescolare. I 304 casi sono bambini con diagnosi di autismo abbinati per età, sesso e area geografica di residenza a 259 controlli. La residenza alla nascita è stata ricavata dall’indirizzo della madre riportato nel certificato di nascita e quella nei vari trimestri di gravidanza da una indagine questionaria. Per ogni indirizzo sono state calcolate le distanze da una autostrada e da una strada principale. Per l’analisi sono stati creati 4 gruppi in base alla distanza da queste: primo decile (<309m), successivo 15% (309-647m), successivo 25% (647-1419) e il rimanente 50° centile (>1419) come gruppo di riferimento. Dall’analisi si ricava che tra i casi la madre, al momento del parto, risiede più frequentemente entro 309 metri da una autostrada (OR = 1,86; IC 95% 1,04-3,45). Tale grado di associazione aumenta quando il gruppo con madri residenti più vicino a un’autostrada (<309 m) è comparato a quello che risiede più lontano (>5150) (OR = 2,48; IC 95% 1,17-5,39). L’associazione non cambia quando l’analisi viene aggiustata per le variabili sociodemografiche e di stile di vita della madre. L’analisi effettuata rappresenta una prima tappa dello studio di una ipotizzata relazione tra inquinamento atmosferico e autismo, che andrà rivalutata con ulteriori ricerche. Uno studio di valutazione della relazione fra livelli ambientali esterni di quattro composti organici volatili (benzene, Per corrispondenza:

Giacomo Toffol e-mail: giacomo@giacomotoffol.191.it

toluene, etilbenzene e xilene) e NTDs (anencefalia e spina bifida) ha rilevato un’associazione significativa fra benzene e prevalenza di spina bifida nella progenie [2]. Il benzene, cancerogeno, attraversa la placenta ed è stato trovato nel sangue fetale alle stesse concentrazioni o a concentrazioni superiori rispetto al sangue materno. Studi animali hanno suggerito l’importanza dello stress ossidativo determinato dal benzene come meccanismo teratogeno e studi occupazionali mostrano associazioni positive fra difetti del tubo neurale (NTDs) ed esposizioni a benzene (OR = 5,3; IC 95% 1,4-21,1). Questo studio caso-controllo confronta 533 casi di spina bifida e 303 di anencefalia, forniti dal registro texano dei nati con difetti congeniti, con un gruppo di 3695 non affetti. Le madri residenti in zone con alti livelli di benzene avevano maggiori probabilità di avere figli affetti da spina bifida rispetto alle donne che vivevano in zone con bassi livelli (OR = 2,3; IC 95% 1,22-4,33). Fra anencefalia e benzene o fra qualsiasi fenotipo di NTD e toluene, etilbenzene e xilene non è stata osservata nessuna associazione significativa. Per la spina bifida il logit appare aumentare stabilmente quando i livelli di benzene sono maggiori o uguali a 3 mg/m3, e diventano statisticamente significativi dopo che i livelli di benzene sono approssimativamente >5 mg/m3. Questo risultato contribuisce ad accrescere il corpo di evidenze che riguardano l’esposizione a inquinanti atmosferici ed esiti sul neonato. Nelle città in cui sono state introdotte misure di limitazione del traffico (Londra, Stoccolma, Singapore, Milano) si sono immediatamente rilevati effetti positivi nella riduzione del traffico, del rumore, del numero di incidenti. In due di queste città, Londra e Milano, non sono stati però evidenziati miglioramenti misurabili della qualità dell’aria utilizzando i comuni indicatori. Autori diversi hanno recentemente usato il Black Carbon (BC) come indicatore prossimale di inquinamento dovuto a traffico. Il BC fa parte del particolato ultrafine, è prodotto dalla incompleta combustione di carburante carbonioso soprattutto da motori diesel, è costituito da aggregati di carbonio elementare ed è ricco di idrocarburi policiclici aromatici. È presente

nella zona immediatamente circostante la sede delle emissioni; in città è l’indicatore ideale per differenziare zone a diverso livello di inquinamento da traffico, rilevando differenze di concentrazione anche fra il centro della strada e il marciapiede. Se inalato, è depositato in profondità nei polmoni, ed è stata descritta un’associazione inversa, dose dipendente, fra contenuto di BC dei macrofagi delle vie respiratorie e funzione respiratoria nei bambini. Uno studio italiano dimostra che il BC è un indicatore più adeguato rispetto alle misure del particolato per valutare la differenza nella qualità dell’aria urbana in zone molto vicine con diversa intensità di traffico [3]. Gli Autori valutano la qualità dell’aria in tre strade radiali di Milano, composte ciascuna di tre segmenti: una parte periferica senza restrizioni di traffico, una intermedia soggetta a Ecopass, e una zona pedonale. I risultati mostrano una riduzione dei livelli di BC con brusco gradiente dalle zone più esterne senza restrizioni di traffico alle aree centrali. Le differenze dei livelli di concentrazione media di BC nello stesso giorno, nelle zone a diversa regolamentazione di traffico, risultano altamente significative per ogni comparazione, mentre le concentrazioni medie di PM10, PM2,5 e PM1 non hanno mostrato differenze significative fra le zone a diverso tipo di traffico. Questo è il primo studio che rileva che in città aree prossimali a diversa intensità di traffico sono associate a diversi livelli di BC. I risultati di questo studio suggeriscono che il BC è un rilevatore altamente affidabile di inquinamento da traffico e potrebbe essere preso in considerazione per dimostrare l’efficacia dei provvedimenti di restrizione del traffico. u

Bibliografia [1] Volk HE, Picciotto IH, Delwiche L, et al. Residential Proximity to Freeways and Autism in the CHARGE Study. Environ Health Perspect 2011; 119:873-7. [2] Lupo PJ, Symanski E, Waller DK. Maternal Exposure to Ambient Levels of Benzene and Neural Tube Defects among Offspring: Texas, 1999-2004. Environ Health Perspect 2011;119(3): 397-402. [3] Invernizzi G, Ruprecht A, Mazza R, et al. Measurement of black carbon concentration as an indicator of air quality benefits of traffic restriction policies within the ecopass zone in Milan, Italy. Atmospheric Environ 2011;45:3522-7.

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vaccin

Quaderni acp 2011; 18(6): 278

Morbillo: è lontano l’obiettivo della eliminazione Franco Giovanetti Dirigente medico, Dipartimento di Prevenzione, ASL CN2, Alba, Bra

Parole chiave Morbillo. Eliminazione. O-

peratori sanitari. Vaccino antimorbillo

In Europa, a distanza di decenni dall’introduzione del vaccino contro il morbillo nei programmi nazionali di immunizzazione, il virus continua a causare focolai epidemici, complicanze, decessi. Fortunatamente, la vaccinazione universale ha portato una notevolissima diminuzione dei casi di malattia: non ci sono più le grandi epidemie del passato, ma le coperture vaccinali raggiunte sono insufficienti per l’obiettivo della eliminazione del morbillo in Europa, che l’OMS aveva fissato per il 2010, poi rinviato al 2015 [1]. Cosa non ha funzionato? E perché se ne parla così poco? Tutta l’attenzione è diretta verso i nuovi vaccini, in particolare quelli contro le malattie batteriche invasive e il Papillomavirus, e tale situazione è destinata a continuare, man mano che nuovi prodotti si affacceranno sul mercato nei prossimi anni. Il rischio è di dimenticare le priorità non ancora sufficientemente affrontate e, tra queste, sicuramente il morbillo. L’ultimo rapporto EUVAC dà un quadro della situazione in Europa nel 2010: sono stati segnalati 30.367 casi, in tutte le fasce d’età, inclusi più di 5000 adulti [2]. I decessi sono stati 21, con un tasso di letalità di 0,69/1000. I non vaccinati erano la grande maggioranza (73%), pochi erano vaccinati con una sola dose (10%), solo il 2% aveva ricevuto le due dosi raccomandate, il numero di dosi ricevute era ignoto nell’1%. Di un restante 14% non era noto lo stato vaccinale. Alcuni Paesi hanno avuto un’alta incidenza: >1 caso/100.000 (Bulgaria, Irlanda, Francia, Cipro, Italia e Grecia). Altri un’incidenza moderata, 0,1-1/100.000 (tra cui Germania, Svizzera e Regno Unito). Altri ancora una bassa incidenza, <0,1/100.000 (tra cui Olanda, Portogallo e Paesi Scandinavi). Tra i Paesi a incidenza elevata e moderata ci sono Nazioni, dotate di un sistema sanitario avanzato, ma con coperture vaccinali non ottimali [3]. Nel Regno Unito pesano ancora le conseguenze della controversia Per corrispondenza:

Franco Giovanetti e-mail: giovanetti58@alice.it 278

su vaccino MMR e autismo, successivamente rivelatasi come una vera e propria frode scientifica, ma altrove pesano fattori come la scarsa efficacia dell’organizzazione vaccinale, la mancanza di volontà politica, le false convinzioni, lo scetticismo del pubblico e degli operatori sanitari in tema di vaccinazioni [4-6]. L’Italia non ha ancora raggiunto il 95% di copertura vaccinale, condicio sine qua non per ottenere l’eliminazione della malattia. In base ai dati routinari nel 2009 è stato vaccinato con una dose di MMR l’89,9% dei bambini entro i 2 anni di età (range fra regioni: 70,8%-95,5%) [7]. Solo 12 regioni hanno superato la soglia del 90% e solo due (Umbria e Sardegna) hanno raggiunto quella del 95%. Rispetto a dieci anni fa vi è stato un miglioramento, ma la soglia di eliminazione non è stata raggiunta a livello nazionale. Quali le cause? In molte realtà persiste la deleteria dicotomia tra vaccinazioni obbligatorie e raccomandate e queste ultime sono percepite come meno importanti. Emerge, inoltre, un problema di disinformazione tra gli stessi operatori sanitari, come risulta da uno studio sulla vaccinazione MMR negli allergici, condotto con un questionario somministrato recentemente a un campione di pediatri italiani. La maggior parte dei quesiti mostra un range di risposte esatte compreso tra il 20% e il 65-68% e non si tratta di domande particolarmente difficili, poiché riflettono situazioni cliniche, quali l’allergia all’uovo o la dermatite atopica, di comune riscontro [8]. Altra criticità riguarda i servizi vaccinali, spesso scarsamente valorizzati dalle ASL in quanto la prevenzione, fornendo risultati solo sul lungo termine, non produce consenso e non porta voti: si tratta di strutture non sempre dotate di risorse adeguate, sovente a corto di personale o con personale non sufficientemente formato e motivato. Quali le possibili soluzioni? Il problema è duplice, culturale e organizzativo. Occorre migliorare le conoscenze degli operatori sanitari, in modo che tutti parlino un unico linguaggio e informino correttamente la popolazione. Sono necessarie una migliore organizzazione e valorizzazione dei Servizi vaccinali. Il Ministero della Salute ha di recente emanato il nuovo Piano di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita che

individua alcuni obiettivi ed elenca le azioni raccomandate per raggiungerli [9]. Si tratta di un documento pregevole, che raccomanda alcune azioni straordinarie e di grande impegno, per esempio il recupero dei suscettibili di ogni età, inclusi gli adulti, attraverso l’offerta attiva di due dosi di vaccino. Spetta alle regioni rimuovere gli ostacoli, principalmente organizzativi ed economici, che hanno impedito l’eliminazione di morbillo e rosolia congenita; in caso contrario, anche questo nuovo Piano rischia di restare un mero elenco di buone intenzioni. u

Conflitto d’interessi. Negli ultimi dieci anni l’Autore ha accettato inviti da Wyeth (ora Pfizer), Sanofi Pasteur, Novartis Vaccines e GSK per la partecipazione a convegni.

Bibliografia [1] WHO. Renewed commitment to measles and rubella elimination and prevention of congenital rubella syndrome in the WHO European Region by 2015. Moscow, Regional Committee for Europe 13-16 September 2010. http://www.euro.who.int. [2] EUVAC. Measles surveillance annual report 2010. http://www.euvac.net/graphics/euvac/pdf/annual_2010.pdf. [3] Martin R, Deshevoi S, Buddha N, et al. Approaching measles and rubella elimination in the European region-need to sustain the gains. Eurosurveillance 2009;14(50):pii=19449. http://www.eurosurveillance.org/images/dynamic/EE/ V14N50 /art19449.pdf. [4] Godlee F, Smith J, Marcovitch H. Wakefileld ’s article linking MMR vaccine and autism was fraudulent. BMJ 2011;342:c7452. http://www.bmj.com/ content/342/bmj.c7452.full. [5] Schmitt HJ, Booy R, Aston R, et al. How to optimise the coverage rate of infant and adult immunisations in Europe. BMC Medicine 2007;5:11. http:// www.biomedcentral.com/1741-7015/5/11. [6] Lopalco PL, Sprenger M. Do European doctors support measles, mumps, rubella vaccination programmes enough?. Euro Surveill 2011;16(39): pii=19979. http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle.aspx?ArticleId=19979. [7] Ministero della Salute. Coperture vaccinali. www.salute.gov.it. [8] Esposito S, Azzari C, Bartolozzi G, et al. Knowledge of vaccination of allergic children among Italian primary care pediatricians, hospital pediatricians and pediatric residents. Vaccine 2010;28: 7569-75. [9] Ministero della Salute. Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita 2010-2015. http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_ pubblicazioni_1519_allegato.pdf.


farm

Quaderni acp 2011; 18(6): 279

La vitamina A in età prescolare nei Paesi a risorse limitate: intervento salvavita Antonio Clavenna, Filomena Fortinguerra, Daniele Piovani Centro d’Informazione sul Farmaco e la Salute, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano

Parole chiave Vitamina A. Terpeni. Eta-

nercept

La supplementazione di vitamina A riduce la mortalità nei Paesi con risorse limitate

Che la vitamina A riduca la mortalità nei primi anni di vita nei Paesi in via di sviluppo è un dato noto da tempo. Questa evidenza è stata ulteriormente consolidata da una recente meta-analisi che ha stimato al 24% la riduzione della mortalità per tutte le cause associata alla supplementazione con vitamina A nei Paesi in via di sviluppo, e in 600.000 il numero di morti evitabili. La revisione ha valutato un totale di 43 studi clinici randomizzati sulla somministrazione orale di vitamina A in bambini di età dai 6 mesi ai 5 anni, che hanno coinvolto complessivamente più di duecentomila bambini. La riduzione della mortalità per tutte le cause è stata riportata da 17 studi, con un rischio relativo di 0,76 (IC 95%: 0,690,83) nei bambini con supplemento di vitamina A rispetto al placebo. Sette studi hanno riportato un 28% di riduzione del rischio di mortalità associato a diarrea, con una riduzione dell’incidenza di diarrea del 15%. La revisione ha mostrato anche un dimezzamento dei casi incidenti di morbillo e una riduzione di disturbi visivi quali cecità notturna (riduzione del 68% dell’incidenza) e xeroftalmia (riduzione del 69%). Gli Autori concludono che le evidenze a favore dell’integrazione di vitamina A nella dieta dei bambini che vivono in Paesi a risorse limitate sono ormai consolidate, e che ulteriori studi clinici controllati con placebo dovrebbero essere evitati poiché non etici. Mancano, però, evidenze su quale sia il dosaggio più efficace. In ogni caso, sottolineano gli Autori, la supplementazione risponde a un bisogno immediato, ma nel lungo termine occorre garantire ai bambini un adeguato apporto nutrizionale di vitamina attraverso l’accesso al cibo.

Mayo-Wilson E, et al. Vitamin A supplements for preventing mortality, illness, and blindness in chil-

Per corrispondenza:

Antonio Clavenna e-mail: antonio.clavenna@marionegri.it

dren aged under 5: systematic review and metaanalysis. BMJ 2011;343:d5094.

Supposte con derivati terpenici controindicate nei bambini

L’Agenzia europea dei medicinali ha raccomandato di aggiornare le informazioni relative a supposte contenenti derivati terpenici con nuove controindicazioni, a conclusione di una rivalutazione dell’uso di tali medicinali nei bambini di età inferiore a 30 mesi effettuata dal Comitato per i Prodotti Medicinali per Uso Umano (CHMP). La procedura di rivalutazione è stata avviata in seguito ai dubbi riguardanti la sicurezza di questi medicinali espressi dall’Agenzia regolatoria francese. Il CHMP ha concluso che per questi medicinali vi è un rischio di disturbi neurologici, in particolare di convulsioni, nei neonati e nei bambini piccoli, e ha raccomandato che il loro uso sia controindicato nei bambini di età inferiore a 30 mesi e nei bambini con una storia di epilessia o convulsioni febbrili. Ha, inoltre, concluso che c’è un rischio che questi medicinali causino lesioni locali anorettali controindicando l’uso nei bambini con una storia recente di lesione anorettale. Le supposte contenenti derivati terpenici (per es. canfora, mentolo e oli essenziali di aghi di pino, eucalipto e trementina) sono commercializzate in Belgio, Francia, Lussemburgo, Finlandia, Italia, Portogallo e Spagna, e sono utilizzate per il trattamento di supporto di infezioni delle vie aeree, in particolare come trattamento della tosse. Mancano, comunque, prove che documentino l’efficacia di questi medicinali.

http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_ library/Referrals_document/Terpenic_31/WC5001 12824.pdf.

Ondansetron e prolungamento dell’intervallo QT: la Food and Drug Administration raccomanda cautela

Il 15 settembre 2011, la Food and Drug Administration (FDA) ha segnalato ai medici americani che è in corso una revisione sulla sicurezza dell’ondansetron. L’ondansetron potrebbe aumentare il

rischio di sviluppare disturbi del ritmo cardiaco (per es. prolungamento dell’intervallo QT) e, di conseguenza, causare in soggetti con fattori di rischio aritmie anche fatali, come il Torsade de Pointes. Le condizioni che predispongono a un maggior rischio sono le cardiopatie, in particolare la sindrome congenita del QT lungo, l’ipopotassiemia e l’ipomagnesemia e l’assunzione di farmaci che prolungano l’intervallo QT (per es. azitromicina, claritromicina, fluconazolo). I possibili effetti sul ritmo cardiaco saranno valutati in uno studio attualmente in corso. Il potenziale prolungamento dell’intervallo QT è un effetto già noto, e riportato nel riassunto delle caratteristiche del farmaco. La FDA sta valutando se rafforzare ulteriormente le precauzioni d’uso controindicando l’impiego nei pazienti con sindrome congenita del QT lungo e consigliando il monitoraggio elettrocardiografico dei pazienti con ipopotassiemia e ipomagnesemia, con bradiaritmie e in caso di terapie concomitanti con farmaci che prolungano il QT.

http://www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/ucm271913. htm.

Dopo l’etanercept, un altro monoclonale per l’artrite giovanile

Il Comitato per i Prodotti Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’EMA, nella seduta del 16-19 maggio 2011, ha esteso l’impiego del tocilizumab come trattamento dell’artrite giovanile sistemica ai bambini di età 2-11 anni, che non rispondono ai trattamenti con farmaci e/o antinfiammatori. Il tocilizumab è un anticorpo monoclonale che inibisce il recettore per l’interleukina 6. L’efficacia del farmaco è stata valutata in uno studio randomizzato multicentrico che ha confrontato la risposta clinica al trattamento in 75 pazienti trattati con tocilizumab versus 37 che ricevevano placebo (oltre al trattamento standard). In precedenza il CHMP aveva esteso l’età di impiego ai bambini > 2 anni di un altro anticorpo monoclonale, l’etanercept (cfr Quaderni acp n. 5/2011).

http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_ library/Press_release/2011/05/WC500106539.pdf.

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Quaderni acp 2011; 18(6): 280-281

Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano

Quel Salgàri che ci avviò alla lettura

Ernesto Ferrero Disegnare il vento Einaudi, 2011 pp. 187, euro 19,50

Un amico veronese ha arricchito la libreria di casa con il libro di Ernesto Ferrero, direttore del salone internazionale del libro, su un altro veronese: Emilio Salgàri (si noti l’accento) che ha iniziato alla lettura alcune generazioni di adolescenti. Ci scambiavamo i volumi di nascosto dagli insegnanti che li stigmatizzavano come male scritti, banali, aggrovigliati. Oltre tutto scaldavano la testa ai ragazzi che dovevano studiare rosa rosae e frequentare i sabati fascisti e non giocare a bande di tigrotti di Mompracem, di gridare “Arranca Kammamuri” e disegnare scimitarre tempestate di diamanti. Salgàri, oltre tutto morto suicida giusto cent’anni fa, era privo di ideali patriottici, parlava di un mare lontano e diverso dal Mare Nostrum; gli inglesi erano nemici, è vero, ma il nemico peggiore era la Spagna che, allora, era sorella in fascismo. Insomma un “cattivo maestro”, un Vasco Rossi dell’epoca. Eppure, ironia della storia, come scrive Antonio Faeti, la seconda fase del fascismo, quello di Salò, ebbe invece una “dimensione immaginifica tipicamente salgariana”: con i suoi tradimenti, gli amori-odio con le esecuzioni di gente un tempo amata, le torture, il glaciale discorso di Mussolini al Lirico e i suoi giuramenti alla vendetta nello stile del Corsaro nero, “pallidissimo e avvolto nel nero ferraiolo”, la ferocia delle bande nere nello stile di “vendetta; oh miei tigrotti!”. Negli ultimi trent’anni la critica letteraria ha “sdoganato” Salgàri dandogli il meri280

to di avere avviato alla lettura legioni di adolescenti. Per tanti che conosco è stato così; e per i più giovani lettori di Quaderni? Venendo al libro, è dal suicidio di Salgàri che comincia il racconto di Ferrero, residente nello stesso caseggiato di Torino, che è stato l’ultima dimora di Salgàri. Morendo, Salgàri, che aveva arricchito enormemente i suoi editori, lasciò la famiglia in povertà con 150 lire, più un credito di altre 600. L’Autore sovrappone documenti reali e immaginari, e soprattutto introduce il racconto di Angiolina, una ragazza che gli sta accanto per affetto, ma anche per impadronirsi dei segreti della scrittura e del suo patrimonio di schede attraverso le quali Salgàri ricostruisce le jungle (con la j), i mari, i corsari, i deserti, le belve, le erbe che allucinano, i velieri. Tutto immaginario; lui, a parte un servizio marittimo di tre mesi in Adriatico, non si era mai mosso da casa. Particolare questo che noi, acerbi lettori, completamente ignoravamo. I librai ci avevano, invece, insegnato a distinguere gli apocrifi (oltre un centinaio) che pullulavano nelle edicole, dalle edizioni di Bemporad e Paravia soprattutto dalle loro magnifiche illustrazioni. Ma si tratta oramai solo di ricordi generazionali e di critici letterari che sfogliano il tempo che fu. Giancarlo Biasini

Un nuovo approccio all’alimentazione infantile

Silvia Cimino Psicodinamica dell’alimentazione nella prima infanzia Il Pensiero Scientifico Editore, 2011 pp. 158, euro 14

Letta la presentazione su Va’ Pensiero (la newsletter de Il Pensiero Scientifico

Editore), fatta una telefonata al numero verde, in meno di ventiquattr’ore lo avevo a casa! Questo libro parla del significato dell’alimentazione nel primo anno di vita. Percentili, timing degli alimenti, calorie, allergie, latti speciali? No, assolutamente no. Qui si parla del significato più autentico dell’alimentazione a tutte le età, ma soprattutto nei primi mesi di vita. Alimentazione è intimità, esercizio di comunicazione, costruzione di relazione. Un significato centrale nella vita e nei valori di ogni famiglia che il pediatra dovrebbe conoscere a memoria. Se volete approcciarvi all’alimentazione responsiva (responsiveness) del genitore verso il suo bimbo e volete coglierne il senso biologico, siete arrivati a scegliere il libro che fa per voi. Le prime settanta pagine parlano dei moderni orientamenti della psicologia in ambito della regolazione delle emozioni nello sviluppo infantile, delle dinamiche psichiche coinvolte e dei fattori di rischio implicati, come la depressione materna, le caratteristiche del temperamento del bambino o situazioni sociali che favoriscono la trascuratezza. Dall’ormai superato approccio pulsionale freudiano “l’amore nasce dal bisogno soddisfatto di cibo”, dove il comportamento alimentare è riconosciuto solo come natura istintuale, l’Autrice ci presenta il modello della sintonizzazione affettiva e interazione diadica di Daniel Stern, la reciprocità affettiva di Bowlby e la costruzione di un Sé dal riconoscimento di un mondo esterno e un mondo interno secondo Fonagy e Target. L’atto alimentare è quindi il tramite attraverso cui le capacità precoci del neonato interagiscono con le capacità materne o del caregiver di comprendere le sue esigenze al fine di favorire la nascita della mente del bambino. I modelli della ricerca evolutiva sono spiegati esaurientemente e in modo comprensibile anche per un non addetto ai lavori. La seconda parte del libro parla della valutazione e diagnosi dei disturbi alimentari infantili. A parte l’analisi dei non organic failure to thrive, la ricerca attua-


libri

Quaderni acp 2011; 18(6)

buona le è carente nell’analisi di possibili sindromi psicologiche e comportamentali infantili legate a un contesto di relazioni patologiche familiari, di cui il cibo può essere sia la causa (alimentazione non responsiva) sia la conseguenza in età adulta di una difficoltà dell’interazione con il genitore. Proprio per questo le ultime pagine sono dedicate alle nuove prospettive di ricerca e di intervento. Infine, una valida bibliografia che raccoglie molta parte della più attuale Infant Research e della Developmental Psychopathology. Completata la lettura, potremo ascoltare con nuove orecchie quel: “Il mio bimbo non mi mangia” che molte mamme ci supplicano di risolvere confondendo la difficoltà di crescita relazionale con la nutrizione per la crescita. Insomma, se non vogliamo rinunciare a motivarci sui nuovi approcci all’alimentazione infantile, questa di Silvia Cimino è un’ottima lettura da non lasciarsi sfuggire. Costantino Panza

La bellezza della musica e la magia delle immagini Cecilia Pizzorno, Ester Seritti Musicantando. Canti e musiche per bambini Libro + cd audio Giunti kids, 2011 pp. 48, euro 10,97

Mentre si sfoglia e si ascolta Musicantando si avverte subito la sensazione di avere tra le mani un oggetto davvero bello: per la scelta dei repertori, la ricercatezza delle sonorità, la delicatezza delle illustrazioni, la ricchezza degli stimoli che offre. Un libro per bambini, soprattutto se “libro musicale”, non può prescindere dal suo valore estetico intrinseco, oltre che dalla valenza dei contenuti: la bellezza delle musiche, dei testi e delle immagini è infatti già di per sé portatrice di valori educativi legati allo sviluppo di

« Vogliamo libri scritti per noi che dubitiamo di tutto, che piangiamo per un niente, che sobbalziamo per un minimo rumore alle spalle». Laurence Cossé in La libreria del buon romanzo

una sensibilità al bello e di una capacità critica che devono essere coltivate fin dalla più tenera età. Musicantando, in effetti, non trascura alcun aspetto legato alla grafica, al segno, al colore e alle componenti timbrico-sonore e si presenta dunque come una risposta originale e adeguata al bisogno fondamentale del bambino di scoprire la realtà positiva che lo circonda. Si tratta di una raccolta di diciotto brani, otto canti (quattro in italiano e quattro in lingua straniera) e dieci brani d’ascolto, tratti dal repertorio colto occidentale e dalla tradizione popolare più autentica, oculatamente selezionati da Cecilia Pizzorno ed Ester Seritti. I disegni che illustrano i testi sono di Giuditta Gaviraghi, il cui tratto riporta teneramente alla magia di un mondo infantile gioioso e coloratissimo. Il montaggio del Cd è a cura di Daniele Poli e Gabriele Micheli, esperti in repertori di musica antica e tradizionale, particolarmente abili nella realizzazione di strumentazioni originali, seppure filologicamente corrette. Destinatari sono innanzitutto i bambini, ma anche i genitori e gli educatori, che trovano nel libro chiare indicazioni per una sua efficace fruizione. Musicantando, che è inserito nel catalogo 2011 di “Nati per Leggere” e “Nati per la Musica”, si presenta dunque come una proposta agile e gradevole per far musica in famiglia, offrendo una compensazione ai repertori quotidianamente diffusi attraverso i mass media, non sempre attenti alle esigenze del mondo infantile. Maddalena Patella

Dislessia: un libro per i pediatri Giacomo Stella, Enrico Savelli, Daniela Gallo, Mauro Mancino Dislessia evolutiva in pediatria. Guida all’identificazione precoce Erickson edizioni, 2010 pp. 125, euro 25

Finalmente un libro diretto esclusivamente ai pediatri, con l’obiettivo di offrire le conoscenze e gli strumenti operativi per riconoscere il più precocemente possibile i bambini che sono a rischio di presentare, in età scolare, un disturbo specifico dell’apprendimento. La ricerca scientifica degli ultimi anni ha messo in evidenza la stretta correlazione che esiste tra il disturbo specifico del linguaggio e il disturbo specifico dell’apprendimento. Vengono presentati lo sviluppo linguistico e i disturbi del linguaggio in modo da consentire al pediatra di interpretare il più precocemente possibile i segnali di sviluppo ritardato o atipico. Soprattutto il disturbo fonologico del linguaggio predice un successivo disturbo specifico dell’apprendimento. Vengono quindi presentate le principali fasi dello sviluppo fonologico, dalla comparsa della lallazione canonica, intorno a sei mesi, costituita dalla replicazione della sillaba piana, fino alla comparsa della sillaba complessa che avviene intorno a 3 anni di età. Il pediatra deve porre particolare attenzione allo sviluppo del linguaggio fin dalle prime fasi al fine di inviare allo specialista, non più tardi del compimento del terzo anno di età, il bambino che presenta un ritardo del linguaggio. L’invio precoce consente l’inizio precoce della rieducazione riabilitativa (o meglio abilitativa) logopedica. Dopo un inquadramento nosografico, diagnostico e terapeutico del disturbo specifico del linguaggio e del disturbo specifico dell’apprendimento, gli Autori propongono tre test di facile somministrazione (un questionario del linguaggio per i genitori, una prova di ripetizione di parole, una prova di denominazione di colori) che possono essere utilizzati dal pediatra per verificare l’adeguatezza dello sviluppo linguistico del bambino fino a 5 anni di età. Anche se il disturbo di letto-scrittura persiste nella maggioranza dei casi anche in età adulta, sul piano prognostico esso tende a migliorare, soprattutto se il trattamento abilitativo/riabilitativo inizia in età precoce, quando già il bambino presenta un disturbo del linguaggio. Angelo Spataro 281


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ragazzi Il mare amaro di Terraferma Italo Spada Comitato cinematografico dei ragazzi, Roma

Se ci fosse stato Padron ’Ntoni, il commento più sintetico a Terraferma, Premio Speciale della Giuria a Venezia 2011, l’avrebbe fatto spendendo solo due parole: Mare amaro! Chi ha letto Verga – quello di Fantasticheria e de I Malavoglia – sa bene che per comprendere appieno la delusione del vecchio lupo di mare bisogna inserire questo motto nel contesto di un ambiente che vive quasi esclusivamente di pesca, sentirlo pronunciare con inflessione dialettale, fare attenzione alla mimica facciale e gestuale che lo accompagna. Come dire che, nell’ambito della comunicazione, anche due semplici parole acquistano valore polisemantico. A maggior ragione quando le due parole si arricchiscono di immagini, scenografia, colonna sonora, interpretazione e diventano un film. Nella filmografia di Emanuele Crialese, Terraferma rappresenta il naturale approdo di una ricerca storico-sociale che molti hanno definito “la trilogia del mare”. La storia di Grazia, la protagonista di Respiro (2002), affondava le sue radici nella tradizione orale, a metà tra verità e leggenda; quella di Salvatore Mancuso in Nuovomondo (2006) era ambientata agli inizi del Novecento, quando la terraferma desiderata dagli emigranti siciliani si chiamava America; questa della famiglia Pucillo è cronaca dei nostri giorni. In tre tappe, Crialese ha scolpito la traversata della vita ed è importante questa premessa per non limitarsi a vedere la sua ultima fatica da una sola angolazione. La storia è un test che il regista propone agli spettatori. La lettura dipende dalla parte in cui ci si colloca. Per i disperati che fuggono dalla loro patria e restano per giorni e giorni in balia del mare la terraferma cambia progressivamente aspetto e diventa barca di soccorso, spiaggia dove sfamarsi e idratarsi, isola e garage dove nascondersi, continente dove approdare, luogo dove ricongiungersi con i parenti e rifarsi una vita. Per i turisti in vacanza la terraferma è una città da abbandonare per qualche settimana, il tempo strettamente necessario per imbarcarsi su un traghetto, sbarcare su un’isoPer corrispondenza:

Italo Spada e-mail: italospada@alice.it 282

la, abbronzarsi, abbuffarsi di pesce e divertirsi con balli e tuffi in acque limpide. Per gli isolani è tutto più complicato, perché i tempi sono cambiati troppo in fretta, le nuove generazioni hanno un modo tutto loro di vedere le cose, il mare è amaro e il mondo è un pesce vorace che ingoia tutto. Ecco la famiglia Pucillo, per esempio, fatta come le dita di una mano. Con Nonno Ernesto che ha la sua barca, vecchia e rattoppata quanto si vuole, ma sempre buona per tamponare l’avarizia del mare; con un figlio che giace tra i fondali e un altro che ha smesso di pescare pesci per catturare turisti; con la nuora Giulietta che, ormai intenzionata a lasciare l’isola per assicurare un futuro migliore al figlio ventenne Filippo e a se stessa, ha pensato di racimolare qualche euro in più trasformando la sua casa in Bed senza Breakfast. Una famiglia che sbarca il lunario e che, all’improvviso, viene travolta dagli eventi. Durante una battuta di pesca, Ernesto e Filippo avvistano una barca di profughi in avaria. La legge dello Stato non permette salvataggi di clandestini, ma il vecchio pescatore non ha mai tradito quella del mare che impone di non abbandonare nessuno tra le onde. È così che in casa Pucillo arriva Sara, una Madonna nera stuprata e rimasta incinta e suo figlio di pochi anni. Un grosso problema che complica maledettamente i piani di Giulietta. Quando Sara partorisce, i Pucillo non se la sentono di buttarla fuori di casa, ma la sua presenza diventa ancora più ingombrante. Altri guai arrivano dalla salute malferma di nonno Ernesto, dalla Finanza che sequestra la barca, da nuovi sbarchi di clandestini e dalla reazione violenta di Filippo, dal controllo delle forze dell’ordine. Quando tutto sembra definitivamente compromesso, Filippo riscatta paura e crudeltà avventurandosi con Sara e i suoi bambini verso la terraferma. Un film-test, si è detto. Con la particolarità che ogni spettatore ha la libertà di scegliersi le domande che più gli fanno comodo: da quelle irrilevanti (l’isola talmente piccola da non comparire sul mappamondo è Linosa o Lampedusa? Riuscirà Filippo a raggiungere la terraferma?) a quelle letterarie (Crialese come Hemingway de Il vecchio e il mare, come Conrad di Lord Jim, o come Verga de I Malavoglia?); da quelle tecniche (la

bellezza della fotografia, la funzionalità del colore, i giochi di luce, il ritmo e il montaggio) a quelle interpretative (il mestiere consolidato di Donatella Finocchiaro, la conferma di Filippo Pucillo, la bella sorpresa di Mimmo Cuticchio, la naturalezza di Timnit T. che rivive sul set il suo dramma di profuga). Il consiglio è di non incorrere nella superficialità tralasciando altri e ben più importanti interrogativi che questo dramma simbolico pone. Quali? Quelli sull’emigrazione e l’accoglienza dei profughi, sull’integrazione e la paura dell’altro, sul contrasto tra la legge dello Stato e quella della Coscienza, sull’egoismo borghese e l’altruismo proletario, su due madri dalla pelle diversa unite dalla stessa voglia di ricostruire altrove la vita dei loro figli, sui conflitti tra vecchio e nuovo mondo e tra giovani provenienti da diverse estrazioni, sulle verità nascoste da grossolane bugie propagandistiche, sull’umanità inquieta e mutevole come il mare, alla costante ricerca di una terraferma interiore.

Terraferma Regia: Emanuele Crialese Con: Donatella Finocchiaro, Giuseppe Fiorello, Mimmo Cuticchio, Filippo Pucillo, Timnit T., Claudio Santamaria, Martina Codecasa, Tiziana Lodato Italia, Francia, 2011 Durata: 88’, col.


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La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra Costantino Panza*, Anna Maria Davoli** *Pediatra di famiglia, Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia); **Pediatra di famiglia, Reggio Emilia

Abstract

Promotion of reading: the paediatrician’s role The promotion of reading aloud is a primary goal for a pediatrician. Parent-child book sharing not only promotes language skills but also child development, and it can support family relationships. In order to give best support a pediatrician needs to consider the attachment style and the family socio economic status. Professional training and Health Planning Guidelines are important incentives in parenting promotion. Quaderni acp 2011; 18(6): 283-285 Key words Child development. Emergent literacy. Parenting. Reading aloud

La promozione della lettura ad alta voce in famiglia è un impegno primario del pediatra. La lettura condivisa tra genitore e figlio promuove non solo le competenze del linguaggio ma anche la crescita globale del bambino e può sostenere le relazioni familiari. Il pediatra deve conoscere lo stile di attaccamento e la situazione socioeconomica familiare per offrire il miglior supporto in questa importante opera di prevenzione. Formazione professionale e programmazione sanitaria sono importanti incentivi in questa opera di sostegno alla genitorialità. Parole chiave Sviluppo del bambino. Literacy. Genitorialità. Lettura ad alta voce

Il processo di attaccamento porta il bambino ad utilizzare la madre come una “base sicura” per esplorare il mondo [1]. Un mondo fisico, fatto di spazi da percorrere camminando insieme. Un mondo fatto di percezioni: la prima percezione tattile, indelebile nella memoria profonda di ogni persona, è il contatto pelle a pelle con la propria mamma. Percezioni visive: luci che costruiscono forme. La percezione dei profumi: l’olfatto, il senso del ricordo e del desiderio nelle parole di Jean Jacques Rousseau, che già il bambino utilizza durante la vita fetale per ricordare i sapori dei cibi veicolati dall’amnios. Percezioni uditive, infine: suoni che costruiscono parole e danno voce a dei simboli ricchi di molteplici interpretazioni, non a concetti. Parole che non hanno un contenuto se non è presente chi, interessato a quel bambino, le porge con voce affettuosa insieme a un gesto e uno sguardo carichi di significato.

La parola come relazione

Le parole pronunciate non sono solo un fenomeno fisico descritto come energia vibratoria che si diffonde nell’aria, ma sono il principio fondante della relazione

umana. Relazione che, per l’Uomo, è la struttura ultima della realtà. Con tutti i sensi noi conosciamo ed esploriamo il mondo, ma con la “parola” riusciamo a comprendere e a relazionarci con il nostro prossimo. Parola che non esisterebbe se non ci fosse non solo chi la pronuncia, ma chi la ascolta. Parola come creatrice di realtà [2]. Ecco perché “Nati per Leggere” (NpL) sembra essere un paradigma della relazione tra una mamma e il suo bambino: intimità e contatto fisico nell’accogliere il bimbo sulle ginocchia abbracciandolo; la lettura ad alta voce che dà vita a una condivisione della propria attività; il rispetto dei tempi di attenzione del bambino come primo momento di ascolto per il genitore. In “NpL” il bambino accolto nel grembo materno, abbracciato, sostenuto e avvolto dal suono, dalla melodia delle parole pronunciate dalla mamma, questo bambino immerso in questa piena e compiuta esperienza sensoriale e affettiva riconosce la “base sicura” da cui può iniziare a esplorare il mondo. Questa accoglienza materna, premessa necessaria per una buona crescita, non è un mero processo naturale ma un fatto cul-

turale che nasce solo dall’interazione tra due persone, e appunto perché evento culturale non è detto che si compia in modo istintivo [3]. Esplorare un mondo fisico e anche un mondo psichico, quindi. Il mondo che esplora il bimbo è un mondo fisico: libro, immagini, suoni, caratteri stampati che permettono così di sviluppare quella capacità definita dagli studiosi come Emergent Literacy, una vera e propria “emersione” nel corso dello sviluppo di uno straordinario complesso di interazioni psichiche, affettive, intellettive che il bambino sviluppa interagendo con l’adulto che gli legge un libro con lettere e/o figure, portando così il bambino a costruire conoscenze, abilità e attitudini precursori delle forme convenzionali di lettura e scrittura [4]. Nello stesso tempo avviene qualcosa di più profondo: il bambino passa dall’esplorazione di una realtà fisica all’esplorazione di una realtà psichica. Una realtà che esiste e non può essere percepita dai sensi, ma dalla mente: sensazioni e percezioni interiori filtrate dalla propria esperienza mentale. In questo scenario le parole stanno al posto di un atto. Questo ci conduce a riflettere su una delle funzioni più importanti del linguaggio: le parole sostituiscono gli atti umani. Il controllo degli stimoli del corpo, il temporeggiamento, la posposizione e perfino la rinuncia o la scelta di una diversa gratificazione che l’Uomo acquisisce sono in gran parte dovuti unicamente ai processi mentali superiori e sono resi possibili dal linguaggio [5]. La parola parlata, la parola ascoltata, la parola scritta, la parola letta, la parola pensata, la parola, insomma, può diventare quell’atto creativo che apre le porte a un nuovo destino, alla possibilità di nuove scelte, quindi a una libertà che non sarebbe possibile senza l’incontro tra due persone: mamma e bambino. Queste capacità di comprendere e usare le parole, competenze che devono essere presenti se vogliamo defi-

Per corrispondenza:

Costantino Panza e-mail: costpan@tin.it

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nirci umani, possono essere possibili se iniziamo a proporre la parola come atto di relazione tra bambino e mamma dove il bambino riflette e pensa la mamma, e la mamma, viceversa, pensa e riflette il bambino. Con l’interazione dialogica si compie in modo impercettibile quello che ancora consideriamo una magia: dall’interazione sociale arriviamo alla regolazione affettiva del bambino, ossia la sua capacità di modulare i propri stati emotivi, processo necessario per arrivare alla mentalizzazione del Sé e alla nascita del pensiero simbolico con la comparsa della capacità di comprendere sia che la madre può avere scopi stabiliti propri e interessi separati da quelli del bambino stesso e quindi di prenderli in considerazione come entità separata dal Sé. Nella relazione che si costruisce tra madre e bambino, la madre sensibile può collegare il centro di attenzione sulla realtà fisica e lo stato interno, in modo sufficiente perché il bambino abbia la possibilità di identificare una realtà fisica e una realtà interiore. Alla fine, il bambino perviene alla conclusione che la reazione della madre nei suoi confronti conferisce significato ai suoi stati interni. In modo inconscio più che consapevole, il genitore attribuisce con il proprio comportamento uno stato mentale al bambino, trattandolo come un soggetto agente dotato di una propria mente. Tutto ciò viene infine percepito e utilizzato dal bambino nella elaborazione dei suoi modelli mentali permettendo così lo sviluppo di un senso del Sé [6].

“Nati per Leggere” per arricchire la relazione

La proposta di “NpL”, vista come un possibile sentiero da percorrere per arricchire la relazione genitore-figlio, è una proposta semplice, semplicissima, facile da accogliere anche in quelle famiglie che riconosciamo essere a rischio: depressione, povertà, illetteralismo, isolamento sociale, disoccupazione, importanti stress familiari. Il programma di “NpL”, con le sue semplici indicazioni, può diventare così un sentiero sicuro per recuperare e sostenere le risorse positive anche della famiglia più fragile; una pro284

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posta che guida questa famiglia su una prassi di buone relazioni [7]. Garante di questa proposta per una nuova intimità familiare è il pediatra. Ma il pediatra deve stare attento, perché il mondo degli umili si mostra nascondendosi. Questo è il paradosso del mondo dei più deboli e il pediatra deve saper guardare nelle ombre, nelle parole non dette, nei bisogni non pronunciati delle famiglie a rischio, quelle famiglie che, per definizione, non sanno chiedere aiuto. Gli esiti di “NpL” sono misurabili in capacità di linguaggio recepito e linguaggio espressivo, in misura della Early Literacy. Tuttavia, sappiamo essere partecipi degli esiti pur sempre concreti, reali, che vanno oltre la possibilità di una misurazione quantitativa offerta dalla scienza attuale. Non possiamo misurare la creazione di una relazione compiuta, una relazione autentica dove autentico significa spogliato degli orpelli con i quali addobbiamo le nostre esistenze; autentica nell’aprire la nostra storia individuale e i nostri sentimenti all’ascolto dell’altro. Marinus Van Ijzendoorn, ricercatore attento agli esiti dell’attaccamento, all’abuso infantile e alle abilità cognitive del bambino, rimase stupito dal fatto che un intervento come il favorire la lettura ad alta voce nelle famiglie con bambini difficili, bambini con un comportamento non controllabile dai genitori, e in famiglie difficili, con poche risorse dei genitori, fosse efficace. Un intervento a basso costo sanitario riusciva a convogliare le energie della famiglia verso un’attività positiva, la lettura ad alta voce, portando a un cambiamento della qualità della vita in famiglia e a migliorare il comportamento del bambino. Il tutto senza l’utilizzo regolare di assistenti sociali, di psicologi, di medici, ma con le sole risorse interne al nucleo familiare [7-8]. Non possiamo più pensare alla lettura in famiglia come un metodo di insegnamento, ma come un processo fondamentalmente sociale [9]. Con “NpL” si potrà costruire una relazione tra il bambino e il libro che lo accompagnerà per tutta la vita. Di ciò abbiamo le prove dirette: nelle case dove arriva “NpL”, dove arriva il libro donato, si costruisce una gioia nella lettura con-

divisa tra genitore e figlio [10]. Ma, perché no? Con “NpL” si potrà aiutare anche alla costruzione di una relazione che si compie tra mamma e bambino, base necessaria per crescere una persona adulta.

L’impegno del pediatra

Cosa c’entra il pediatra in questo tempio della creazione, la creazione di una persona? Il pediatra deve sapere che la lettura ad alta voce non solo promuove le abilità di literacy di quel bambino “fragile”, ma può essere una medicina per curare, tutelare, proteggere da un’incapacità o una difficoltà del genitore a proporre un modello positivo di disciplina educativa. Dove la relazione di attaccamento madre-bambino è insicura, la lettura condivisa sarà difficile: – “Come va, signora, la lettura con il bambino” – chiediamo durante la visita di controllo. – “Non sta attento” – risponde la mamma – “quando lo prendo in braccio piange, e vuole girare continuamente per la stanza”; “Getta via il libro”; “Si irrigidisce tutto quando inizio a leggere”.

Sono questi i casi che meritano l’attenzione del pediatra a incoraggiare il genitore, e a non forzare una situazione come spesso, invece, mette in atto un genitore insicuro. Sono queste le situazioni dove una lettura fatta da volontari può fare da modello, da stimolo e da incoraggiamento. Ed è proprio qui che il pediatra potrà indicare le tecniche della lettura dialogata o della decontestualizzazione della lettura, ossia la possibilità di interrompere la lettura del testo per fare domande o per chiedere commenti al bambino più grandicello, favorendone così una partecipazione più attiva [11-13]: – “Cos’è questo che ti indico?”. – “Dove sono i fiorellini?”. – “Hai visto, hai sentito cosa ha fatto l’orsetto? Lo faresti anche tu?”. – “Che paura i maximostri; tu hai preso paura? Davvero? E allora come ti senti?”. Il pediatra del XXI secolo, quindi, non può, ma deve fornirsi delle competenze


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per combattere e per profilassare il bambino dalle nuove malattie non più infettive, ma che nascono da un rischio sociale o mentale. Sì, il pediatra deve avere anche competenze umanistiche [14]. L’impegno del pediatra è di mettere in rilievo la lettura ad alta voce nei consigli anticipatori che fornisce ai genitori durante le visite di controllo [15-16]. Deve chiedere a ogni visita di controllo come sta andando l’esperienza della lettura condivisa con il bambino, con lo stesso interesse con cui chiede se il bambino dorme o mangia. – “Dottore, mio figlio non mangia la verdura!”. – “Ah… ma lei, signora, gli legge ad alta voce tre volte al giorno?”. Tutto questo non basta. Non è nemmeno sufficiente riempire la sala d’aspetto di libri per bambini. Non è sufficiente distribuire un depliant informativo sul progetto “NpL”. È utile, è necessario, ma può non essere sufficiente regalare un libro. Il pediatra deve rifondare in se stesso una nuova o antichissima competenza, l’empatia, capacità della mente completamente antitetica alla simpatia o antipatia e momento fondante per la relazione medico-paziente [17]. In sincero spirito di empatia deve prendere in mano il libro, offrirlo al bambino aprendone una pagina, accennando un inizio di lettura, e con vero interesse rivolgersi alla mamma: – “Come sarà bello leggere questo libro a suo figlio. Un’esperienza fortunata”. Per usare parole evangeliche: dobbiamo cercare “testimoni e non maestri”. Pediatri come testimoni di un profondo interesse per il bambino e per il suo futuro. Questo futuro non significa semplicemente una misura del tempo che scorre, ma futuro inteso come materia organica indivisibile dal resto del corpo del bambino. Un futuro che il pediatra deve sempre esaminare durante la visita clinica

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con la stessa abitudine con cui esamina un orecchio o una gola. Il futuro: un bisogno irrinunciabile per ogni bambino [18]. “NpL” parla a questo organo vitale del bambino.

La promozione della lettura ad alta voce si presenta oggi come un’opera di fondamentale importanza ormai ampiamente riconosciuta dalle più recenti linee-guida professionali pediatriche [16]. La posizione privilegiata offerta dalla propria professione, il particolare impegno comunicativo verso la famiglia al di là del semplice atto di informazione caricano il pediatra di una responsabilità che deve essere sempre sostenuta da un’opera di studio, formazione e verifica personale, momenti indispensabili per maturare una propria motivazione. Perché solo una convinta e sempre viva motivazione personale può offrire le energie necessarie per questo particolare impegno. In una moderna organizzazione delle Cure Primarie questa preziosa attività di prevenzione e di promozione della salute non può essere lasciata solo alla volontà e alla spontaneità del singolo professionista. Programmi di formazione ad hoc diffusi capillarmente su tutto il territorio, associati al riconoscimento e incentivazione di progetti come “NpL” da parte di aziende sanitarie locali e regionali, dovrebbero necessariamente far parte di una programmazione sanitaria in un quadro di sostegno alla famiglia. u Bibliografia [1] Bowlby J. Attachment and Loss, 1, Attachment. London: Hogarth Press, 1969. Tr. it.: Attaccamento e perdita, vol 1, Attaccamento alla madre. Torino: Bollati Boringhieri, 1999. [2] Panikkar R. Lo spirito della parola. Torino: Bollati Boringhieri, 2007. [3] Bus AG, van Ijzendoorn MH. Mother child interaction, Attachment and Emergent Literacy: A cross-sectional Study. Child Develop 1988; 59:1262-72.

[4] Britto PR, Fuligni AS, Brooks-Gunn J. Reading Ahead: Effective Interventions for Young Children’s Early Literacy Development. In Dickinson DK, Neuman SB (Eds). Handbook of Early Literacy Research, vol 2. New York: The Guilford Press 2006. [5] Fraiberg SH. The Magic Years: Understanding and Handling the Problems of Early Childhood. New York: Charles Scribner’s Sons, Inc. 1959. Tr. it: Gli anni magici. Come affrontare i problemi dell’infanzia. Roma: Armando editore, 1998. [6] Fonagy P, Gergely G, Target M. The parent infant dyad and the construction of the subjective self. J Child Psychol Psychiatry 2007;48:288-328. [7] Juffer F, Bakermans-Kranenburg MJ, van IJzendoorn MH. Promoting positive Parenting. An Attachment-Based Intervention. New York: Psychology Press. Taylor & Francis Group, 2008. [8] van IJzendoorn MH, Juffer F, Duyvesteyn MG. Breaking the intergenerational cycle of insecure attachment: a review of the effects of attachmentbased interventions on maternal sensitivity and infant security. J Child Psychol Psychiatry. 1995; 36:225-48. [9] Bus AG, van Ijzendoorn MH. Affective Dimension of Mother-Infant Picture book Reading. J School Psychol 1997;35:47-60. [10] Needlman R, Klass P, Zuckerman B. A pediatric Approach to Early Literacy. In: Dickinson DK, Neuman SB (Eds). Handbook of Early Literacy Research, vol 2. New York: The Guilford Press, 2006. [11] Whitehurst GJ, et al. A Picture book reading intervention in day care and home for children from low income families. Dev Psychol 1994;30:679-89. [12] Reese E, Cox A. Quality of adult book reading affects children’s emergent literacy. Dev Psychol 1999;35:20-8. [13] Lonigan CJ, Whitehurst GJ. Relative Efficacy of Parent and Teacher Involvement in a SharedReading Intervention for Preschool Children from Low-income Backgrounds. Early Childhood Research Quarterly 1998;13:263-90. [14] Panizon F. Mente e Cervello. Medico e Bambino 2001;20:419. [15] Nelson CS, Wissow LS, Cheng TL. Effectiveness of anticipatory guidance: recent developments. Curr Opin Pediatr 2003;15:630-5. [16] Hagan JF, Shaw JS, Duncan PM (Eds). Bright Futures: Guidelines for Health Supervision of Infants, Children, and Adolescents, Third Edition. Elk Grove Village, IL: American Academy of Pediatrics, 2008. [17] Bert G. Medicina narrativa. Storie e parole nella relazione di cura. Roma: Il Pensiero Scientifico editore, 2007. [18] Brazelton TB, Greenspan SI. The Irreducible Needs of Children: What Every Child Must Have to Grow, Learn, and Flourish Da Capo Press Cambridge, Massachusetts, 2000. Tr. it. I bisogni irrinunciabili dei bambini. Ciò che un bambino deve avere per crescere e imparare. Milano: Raffaello Cortina editore, 2001.

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Rubrica a cura di Federica Zanetto

Confronto sull’attivazione di percorsi per la promozione dell’allattamento materno in Regione Lombardia

Il 21 giugno si è svolto a Milano all’Auditorium Gaber nel Palazzo della Regione un Convegno il cui obiettivo era presentare il percorso e i primi risultati di una politica volta al sostegno dell’allattamento al seno. Le relazioni della mattinata sono state dedicate prevalentemente alla “teoria”, ovvero ai presupposti e al percorso legislativo regionale che ha permesso di avviare azioni utili alla diffusione della promozione e del sostegno all’allattamento in un quadro più generale di prevenzione. Per i meno abituati a ragionare in termini politici è stato interessante capire, grazie alla relazione di M. Gramegna (Direzione generale sanità, Regione Lombardia), quali sono gli organismi in ambito socio-sanitario cui sono deputate le funzioni di organizzazione, erogazione e prevenzione, e come questi possano dialogare favorendo l’avvio di percorsi sia formativi che di organizzazione del lavoro a livello locale. Con la relazione di M. E. Pirola (Direzione generale sanità, Regione Lombardia) è stato possibile quantificare la bontà e l’efficacia delle buone pratiche, confrontando i dati relativi alle percentuali di allattamento al seno in Lombardia, prima e dopo l’avvio della politica a esso dedicata. Sono dati incoraggianti che gratificano e stimolano tutti i professionisti coinvolti a proseguire il lavoro intrapreso. Una ricaduta importante della politica in questo ambito è il coinvolgimento di più istituzioni: l’Università, che ha il compito di formare i futuri professionisti (medici, pediatri, infermieri, ostetriche, ginecologi) che hanno un ruolo importante nella promozione e nel sostegno all’allattamento; le Società scientifiche che, per prime, dovrebbero fare cultura e forma-

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controluce zione; gli Enti erogatori (ospedali, consultori, medicina convenzionata). Il ruolo di Università e Società è stato illustrato da G. Banderali che ha annunciato l’introduzione del Corso OMS/UNICEF per il sostegno all’allattamento al seno nella facoltà di Medicina milanese e nella Specialità di Pediatria. L. Speri (UNICEF), nel corso della sua relazione dedicata allo stato dell’arte di BFHI, ha raccomandato una scelta attenta dei formatori, che devono provenire da una cultura e da una esperienza convalidata nell’ambito del sostegno all’allattamento secondo i criteri OMS/UNICEF. Nel pomeriggio, dedicato alla pratica, sono stati illustrati percorsi ed esperienze nelle varie realtà: dall’“Ospedale amico del bambino” alla Comunità amica dei bambini, sino a una proposta di “Ambulatorio amico del bambino”. Carica di emozioni la relazione di F. Morandi dell’Ospedale “Sacra Famiglia” di Erba (unico Ospedale lombardo BFHI), con la fatica e le difficoltà che il cambiamento sempre impone, ma anche la ricchezza culturale e le soddisfazioni che si raccolgono alla fine del percorso. La composizione multi-professionale della sala rispecchiava la rete che occorre costruire e attivare per ottenere un vero sostegno alle mamme che allattano. Ha inoltre permesso un confronto a più voci sull’utilità e la fattibilità di azioni di promozione di buone pratiche e sinergie tra la politica e il mondo civile del lavoro. Patrizia Elli

Il punto sulla “Newsletter” pediatrica

A Verona, sabato 10 settembre 2011, si è svolto l’annuale incontro congiunto dei gruppi di lettura ACP, attivi nel servizio di sorveglianza della letteratura pediatrica (Milano, Verona, Vicenza, Venezia, Asolo/Bassano, Trieste). Da Reggio Emilia, Roma, Napoli sono arrivati i referenti dei gruppi in procinto di partire. Hanno partecipato all’incontro Michele

Gangemi, Luca Ronfani, Roberto Buzzetti, Laura Reali (in qualità di referente nazionale ACP per la formazione), Giacomo Toffol (“Pediatri per un mondo possibile”). I referenti dei gruppi attivi e collaboranti alla redazione della “Newsletter” hanno presentato la loro attuale composizione e le rispettive modalità di sorveglianza degli indici e di elaborazione delle sintesi critiche strutturate. Sono stati confermati validità, efficacia e interesse per il progetto formativo, accanto al bisogno di affinamento del metodo e dei criteri per la corretta redazione del commento agli articoli selezionati. È stata ricordata la pubblicazione delle schede di lettura, selezionate tra quelle pervenute dai gruppi attivi, anche sulle pagine elettroniche di Medico e Bambino (come già in precedenza nel Digest della rivista), accanto alla disponibilità di un vero e proprio archivio “Newsletter” sul sito ACP, aperto a tutti, in cui si possono recuperare titoli, abstract e commenti. È stata anche presentata una revisione tematica delle “newsletter” sino a ora pubblicate, con un’analisi dei contenuti selezionati nel tempo dai gruppi di lettura. Anche in risposta all’espresso bisogno di acquisire strumenti efficaci per attivare ulteriori esperienze di lettura in gruppo tra pari, ci si è confrontati su una proposta di educazione di formatori che, nei singoli gruppi, siano in grado di guidare le diverse fasi del percorso di lettura (lettura e valutazione critica – breve analisi della letteratura – produzione della scheda – supervisione – sistematizzazione editoriale – pubblicazione/immissione nel sito) e di garantirne il supporto teorico. La realizzazione del Progetto, di cui verranno definiti e articolati i dettagli in tempi brevi, è prevista nel corso del 2012. Tale formazione permetterebbe una maggior autonomia dei gruppi locali dal coordinamento nazionale che si impegna all’uscita di una scheda mensile sulle riviste e sull’apposito sito. Federica Zanetto


Quaderni acp 2011; 18(6): 287

a Qacp

Egregio Direttore, grazie anzitutto per avere risposto, con l’articolo di Giovanna Malgaroli, alla mia richiesta di informazioni sulle biblioteche per ragazzi, pubblicata tempo fa nelle lettere di Quaderni acp. Oggi vorrei mettere al corrente i lettori di una chicca. Stefano Allessina è Assistant Professor del Department of Ecology & Evolution Computation Institute alla Chicago University. Ha avuto una singolare idea: calcolare il nepotismo dentro le università italiane. Lo studio è pubblicato su PLoSONE del 3 agosto 2011 (Frequency of last names in disciplines, institutions suggests rampant nepotism). Ha utilizzato un metodo rozzo che poi ha affinato. È partito dai cognomi e ne ha studiato la ripetizione fra i 63.342 docenti censiti dal Ministero della università. Ha trovato che i cognomi che sono presenti una sola volta sono 27.220 su 63.342. Sorprendente? Sì, ma soggetto a molte possibilità di errore. È andato avanti e ha confrontato le ripetizioni con un campione casuale di cognomi; operazione simulata ripetuta un milione di volte: ha trovato che una ripetizione del genere è del tutto anomala. Ancora di più se le ripetizioni si concentrano in una stessa disciplina. I risultati indicano insomma una elevata probabilità di comportamenti nepotistici sia a Nord che a Sud. Alessina ha cercato di valutare la diffusione nepotistica per aree disciplinari: delle 28 prese in esame le più colpite sono 9. Fra le 9 le messe peggio sono Ingegneria industriale, Giurisprudenza e Medicina. Stefano Favetto

Questioni di sangue?

Chi mai lo avrebbe sospettato?

(Red)

Caro Direttore, leggo su Il Sole24ORESanità una protesta di due Società scientifiche e di un sindacato perché (lo dico in sintesi) nel Piano vaccini nuovo non è compresa la vaccinazione contro la varicella che era invece contemplata nella proposta fatta dai tre che fanno la “levata di scudi”. La cosa, cioè la protesta, mi inquieta perché conferma lo stato di confusione istituzionale in cui versa il Paese. Chi decide? Gli organi istituzionali dello Stato o le società o i sindacati? Questi hanno certa-

Una levata di scudi

mente il diritto-dovere di essere ascoltati (hearing), ma non certo di decidere. E se non sono “obbediti” hanno il diritto di essere ri-ascoltati, ma non certo quello di contestare un diritto di un organo costituzionale a valutare costi, costi/benefici, costi/opportunità e a essere l’ultimo decisore. Del resto come stupirsi? Sono anni che questo stravolgimento di compiti è nei fatti in Italia, anche in controverse politiche molto alte. Che sia giunto anche nelle piccole controversie non meraviglia; addolora. Efrem Marri

Abbiamo letto anche noi Il Sole Sanità, ma non sappiamo esattamente quale sia il Piano vaccini 2012. Versioni diverse si susseguono. Abbiamo chiesto comunque a Rosario Cavallo, del Gruppo ACP per la prevenzione delle malattie infettive, di rispondere alla lettera dell’amico Marri sempre puntuale nel sollevare questioni di interesse generale. Come ben dice il nostro interlocutore, questa della sovrapposizione di decisioni provenienti dal “privato” sugli istituti della Repubblica è una delle piaghe del nostro presente politico. (Red)

Un po’ di storia di questa faccenda nella quale l’ACP ha avuto una sua presenza. In seguito alla presentazione di una interrogazione parlamentare dello scorso 26 maggio che chiedeva l’adozione nazionale di un calendario vaccinale proposto da Fimp-Sip-Siti, l’ACP ha ritenuto di dover intervenire con un comunicato stampa in cui ribadiva che, fermo restando il condiviso valore di un unico calendario vaccinale nazionale (ahimè il federalismo vaccinale!), il ruolo della sua definizione non poteva essere delegato a società scientifiche o associazioni o sindacati medici, ma doveva restare compito specifico di Istituzioni della Repubblica: per esempio l’Istituto Superiore di Sanità. La ricerca di pareri deve essere la più ampia possibile, rivolta a chi ha conoscenze ed esperienza nel campo e ovviamente non limitata ad alcune (tre?) società o sindacati. La trasmissione di pareri era ovviamente avvenuta prima della decisione dell’Istituto Superiore di Sanità. Aggiungevamo, poi, che, dato che ben più di tre sono le associazioni che si occupano di vaccinazioni garanti-

vamo da parte dell’ACP ogni forma di disponibilità al confronto. Alla base del quale deve stare la necessità di chiarire “prima” i criteri generali che stanno a monte di ogni scelta e che devono essere rispettati nella introduzione in calendario di nuovi vaccini. Intendiamo dire che occorre una valutazione seria dei costi/benefici e un’altrettanto seria attenzione alle pressioni di carattere hobbistico, legittime, ma delle quali deve essere scarnificata la obiettiva utilità relativa ai bisogni reali e alle priorità sulla base delle necessità epidemiologiche e del peso sociale della malattia prevenibile col vaccino, specie in momenti come questi con un rapporto deficit/PIL clamoroso e con tagli altrettanto clamorosi (ancorché negati) ai bilanci della Sanità. E abbiamo aggiunto, trattandosi di vaccini ovviamente prodotti da industrie “con interessi” e quindi di una scelta assai delicata, che le persone cui è chiesto il parere devono dichiarare una comprovata assenza di ogni tipo di conflitto di interesse. Una dichiarazione, usuale in tutto il mondo, ma molto rara e poco amata in questo Paese. Venendo al caso specifico della vaccinazione antivaricella, l’ACP ha sollevato e continua a sollevare non poche perplessità, almeno rispetto alle modalità previste dalla proposta che Fimp-Sip-Siti vorrebbero vedere approvata. Detto questo e richiamandoci a quanto scrive il collega Marri, concordiamo con lui sullo “stato di confusione istituzionale in cui versa il Paese. Chi decide? Gli organi istituzionali dello Stato o le società o i sindacati?”. Nel piccolo campo del Piano vaccini speriamo che la presa di posizione dell’ISS decreti l’inizio di un nuovo metodo. Non è quindi difficile comprendere la “vibrata protesta” delle associazionisocietà-sindacati di cui parla Marri. Ebbene a noi piace che le Istituzioni abbiamo preso una decisione autonoma e non perché la decisione rispecchia le nostre idee, ma perché si torna finalmente nell’ambito delle regole. Da parte nostra continueremo, pur nei limiti delle nostre piccole possibilità, nel nostro lavoro di controllo e verifica della bontà delle politiche vaccinali e della correttezza della loro applicazione nel rispetto dell’obiettivo di una sanità sempre più efficiente e appropriata. Rosario Cavallo 287


Quaderni acp 2011; 18(6): indice

VOLUME 18

GENNAIO-DICEMBRE 2011

INDICE DELLE RUBRICHE ACP news Modifiche della prescrizione dell’ormone della crescita. Una proposta dell’ACP Chi si nasconde dietro le piramidi alimentari per la prima infanzia? La battaglia per evitare la pubblicità sul DHA nel latte artificiale XXIII Congresso Nazionale ACP Alto Patronato del Presidente della Repubblica al Congresso Nazionale dell’ACP Chicco crede che i gemelli non si possano allattare al seno ANSA e City travisano una ricerca dell’ISS Il punto sulla “Newsletter” pediatrica Aggiornamento avanzato Il dolore del neonato Il dolore da cancro nel bambino Il potenziale biologico del latte umano: non solo nutrizione La valutazione del dolore nel bambino con severo deficit cognitivo Cure palliative pediatriche: perché occuparsene Lo sviluppo delle cure palliative pediatriche in oncoematologia Angolo della comunità (l’) Il ritardo dell’intervento per il testicolo ritenuto Il “Luogo del Controllo” nelle malattie croniche: il caso della celiachia Identificare e gestire i casi di maltrattamento Caso che insegna (il) Febbre, linfoadenopatia, rash ed epilessia Piccola ma bella. Un caso di sindrome di Shwachman-Diamond Un adolescente con artrite persistente Prendersi cura delle obesità gravi Insidie diagnostiche nella Malattia di Kawasaki Una gastroenterite eosinofila? Congressi controluce Bambini, diamoci una mano per un mondo migliore Autismo: dalla ricerca alla risposta dei Servizi Bisogni comunicativi complessi e partecipazione nei contesti di vita Come cambiano l’aiuto allo sviluppo e la cooperazione internazionale Modi di curare: che bisogno abbiamo di medicina narrativa? Dal diario di Liliana alla storia di Albertino Prendersi cura dei bambini e dei loro genitori. Incontro con Patricia Crittenden I sistemi sanitari europei e la sfida dell’inclusione Tabiano XX Dislessia. La musica come opportunità La rete lombarda delle malattie rare compie 10 anni A Cesena le banche del latte Genitori, pediatri e pratiche quotidiane di cura Meeting annuale delle Società di pediatria americane e asiatiche Storia “scientifica” e narrazione: la talassemia a Ferrara Confronto sui percorsi per la promozione dell’allattamento materno in Regione Lombardia Il punto sulla “Newsletter” pediatrica Editoriale “Tengo famiglia” Un Piano sanitario senza bambini Early Childhood Interventions Costruiamo una cultura dell’infanzia. Se non ora, quando? L’ACP e la cooperazione internazionale Cosa vuol fare la pediatria da grande Esperienze Allattamento adottivo in Italia: reale e misconosciuto Mamme del mondo raccontano le loro fiabe

288

1

42

A. Cohen, et al.

3 139

Red

3 139 4 184

Red S. C. Nibali

5 238

Red

5 238 5 238 5 239

Red Red Red

1 2 2

P. Papacci L. Manfredini A. Biasini, et al.

19 65 70

4 154 5 216

M. Massaro, et al. F. Benini, M. Gangemi

6 260

V. Leoni, et al.

1

26

Red

3 116 6 276

Red Red C. Radice, et al.

1

23

2 3 3 4 6

73 110 112 159 270

1 1

40 40

G. Toffol M. Gangemi

1

40

F. Zanetto

2

87

F. Zanetto

E. Desiderio, et al. F. De Maddi, et al. R. Tanas, et al. M. Giovannini, et al. A. Pulella, et al.

2 87 3 140

P. Elli F. Ciotti

3 3 3 4 4 4 4

F. Zanetto F. Severino F. Zanetto C. Panza F. Zanetto A. Biasini F. Zanetto

140 141 141 190 190 190 191

5 221 5 221

C. Panza G. Biasini

6 286 6 286

P. Elli F. Zanetto

1 2 3

G. Biasini G. Biasini G. Biasini

1 49 97

4 145 5 193 6 241

P. Siani G. Tamburlini P. Siani, et al.

3 125 4 168

M. E. Armeni, G. Bellettini A. Satta

Farmacipì Le raccomandazioni dell’AIFA su farmaci e bambini In Europa molti bambini ricevono farmaci off label Nuovo formulario dell’OMS dei farmaci essenziali per bambini Tre revisioni sistematiche su efficacia e sicurezza dei farmaci L’agenzia europea dei medicinali ha approvato le prime due autorizzazioni al commercio per uso pediatrico La vitamina A in età prescolare nei Paesi a risorse limitate: intervento salvavita

33 91

A. Clavenna, F. Fortinguerra A. Clavenna, F. Fortinguerra

3 129

A. Clavenna, F. Fortinguerra

4 176

A. Clavenna, et al.

5 228

A. Clavenna, et al.

6 279

A. Clavenna, et al.

1 35 2 93 3 132

I. Spada I. Spada I. Spada

4 177 5 232 6 282

I. Spada I. Spada I. Spada

Forum Le associazioni di genitori: da esperienza personale a valore aggiunto per la cura dei più piccoli La nascita pretermine: problema di sanità pubblica Tanti, troppi tagli cesarei in Italia La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato?

1 14 2 58 5 202 6 242

C. Corchia C. Corchia S. Donati G. Rapisardi

Infermiere dei bambini (l’) Quando gli infermieri vengono interrotti

2

77

F. Festini, et al.

2 2 2 2 2 2 2 2 2

60 60 60 60 60 61 61 61 61

Red Red Red Red Red Red Red Red Red

2 61 3 102 3 102 3 102

Red Red Red Red

3 3 3 3 3 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 6 6 6 6

103 103 103 103 103 214 214 214 214 214 214 214 214 215 215 215 215 215 258 258 258 258

Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red Red

6 258

Red

6 259 6 259

Red Red

Film La multiculturalità alla base della convivenza. Miral L’uomo in catene. L’amore buio Somewhere. Non importa dove Per educare i ragazzi bisogna pedalare al loro fianco Il ragazzo con la bicicletta (Le gamin au velo) Film o saggio? The Tree of Life Il mare amaro di Terraferma

Info I dirigenti del SSN vogliono essere valutati? Lotta all’Aids La siliramina non serve 11.000 medici in più Sorpresa: la giovane ricerca italiana è efficiente L’H5N1 non è scomparso Sprechi mondiali sulla sanità Bisfenolo A vietato nella UE Il Paese dei balocchi Il Governo indiano mette in guardia l’IMA contro le promozioni dei prodotti commerciali UK: cambia il National Health Service UK: un nuovo codice con l’industria del farmaco Salute nel web “Ragazzi dentro”, rapporto “Antigone” sulle carceri minorili Verdura biologica e antiossidanti Errori in Sanità Aumenta il numero degli studenti in Medicina Copertura dei Nidi Adolescenti e giovani adulti non stanno molto bene L’Università di Oxford investe in armi India: cresce l’economia, non la salute OMS: abuso di antibiotici Anche il non vedente vede la scrittura Costi per farmaci in cinque anni Rapporto nazionale sulle malattie rare Cinquantotto bambini ancora in carcere Cesarei: dimensione e tipo del centro nascita La pratica dell’iniezione letale Istituito il Garante nazionale per l’infanzia I privati nel SSN La morte di Cavour L’OMS verso la privatizzazione? Malattie croniche: un progetto apparentemente virtuoso UK: sospesa la riforma della Sanità Benfluorex: una storia ignobile Linee-guida francesi ritirate per potenziali conflitti di interesse Micotossine nel latte di formula e negli omogeneizzati di carne Bacini di utenza per specialità

1 2


Quaderni acp 2011; 18(6): indice

Informazioni per genitori Prevenire o rispondere a un cattivo comportamento Quando il mio bimbo piange Le convulsioni febbrili: molta paura… senza danni

1 34 2 92 5 229

Interviste In Lombardia un nuovo sindacato di pediatri di famiglia 3 133 Lettere Prevenzione primaria degli esiti avversi della riproduzione Il congresso ACP di Palermo Musica in Palestina I bambini e il dottore Quaderni acp nella bibliografia su Piero Camporesi Cosa rende efficace un Sistema sanitario? Bassi redditi più povertà: vero o no? Pubblicità pericolosa e anche intempestiva Ma saranno proprio pochi i medici? Una eredità del prof. Luigi Capotorti: bambini che leggono Questioni di sangue? Una levata di scudi Libri Promoting Positive Parenting Prima dei 18 anni Il grande tulipano Il pallido Dio delle colline W la pappa! L’Italia che legge Conversazioni con Ivan Illich The Doctor is In Coccolite Giramondo e il mago Rufus Dislessia evolutiva in pediatria Guarì Guaròss The Neurosciences and Music III Canale Mussolini Farmacologia di Genere Prevenire i tumori mangiando con gusto Per una medicina umanistica Lingua madre Il bene ostinato Acciaio Ternitti Prenditi cura di lei Disegnare il vento Psicodinamica dell’alimentazione nella prima infanzia Musicantando Dislessia evolutiva in pediatria

1 1 2 2 2 3 3 3 4

45 46 96 96 96 142 142 143 192

Red

M. Grandolfo E. Uga F. Scaglione C. Cantalamessa Carboni G. Cerasoli N. Iorio P. Cirillo C. Corchia G. Favetto

5 240 6 287 6 287

F. Luchino S. Favetto E. Marri

1 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 3 3 4 4 4 4 5 5 5 5 6 6 6 6

F. Jufier, et al. S. Benzoni, et al. G. Gerbino R. Shehadeh P. Negri G. Solimine D. Caley J. M. Costa M. Belardinelli G. Stella, et al. G. Cerasoli, B. Garavini S. Dalla Bella, et al. A. Pennacchi F. Francini, et al. A. Villarini, G. Allegro G. Israel D. Falk P. Rumiz S. Avallone M. Desiati K.-S. Shin E. Ferrero S. Cimino C. Pizzorno, E. Seritti G. Stella, et al.

36 36 36 37 37 94 94 95 95 130 130 130 131 178 178 179 179 230 230 231 231 280 280 281 281

Musical-mente Le iniziative di “Nati per la Musica” 1 38 Musica in gioco. Esplorazioni sonore nella prima infanzia 5 236 Le iniziative di “Nati per la Musica” 6 273 “Narrative” e dintorni “Narrative” e dintorni: una nuova rubrica La relazione come strumento di cura nelle terapie intensive neonatali

C. Panza, et al. C. Panza P. Siani, S. Manetti

Red C. Pizzorno Red

5 222

M. Gangemi, F. Zanetto

6 267

L. Aite

3 135

G. Malgaroli

Nati per Leggere Biblioteche per bambini e ragazzi Leggere ad alta voce in situazione di emergenza: NpL a un anno dal sisma in Abruzzo Una bibliografia e una notizia interessanti Valdagno, città del libro 2011 La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra

4 187 5 234 5 235

I. Filograsso, et al. Red M. Cocco

6 283

C. Panza, A. M. Davoli

Occhio alla pelle Macchie bianche innocenti o…? Escara nucale: è TIBOLA?

2 88 6 274

P. Rana, L. La Selva S. Costa

Offside Conversazione sulla famiglia Mitologia di una pandemia

4 180 5 233

F. Ciotti D. Colazzo

Osservatorio internazionale Il Sistema Sanitario francese L’Africa salvata dai ragazzini Il Codice sul marketing del latte artificiale

2 62 5 211 5 212

E. Ciotti N. D’Andrea S. Conti Nibali

Organizzazione sanitaria I gruppi di auto mutuo aiuto: sono una valida risposta ai problemi del post-nascita? 2 55 Quando gli “effetti collaterali” sono benefici 6 254

M. Sandretto, et al. I. Robieux, et al.

Pediatri fra due mondi Il viaggio di Ulisse

6 257

F. Sereni, A. Edefonti

Perunmondopossibile Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo

6 277

L. Brusadin, et al.

1

M. V. Manzoli, et al.

Punto su (il) La stereopsi globale e locale Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita Novità in diabetologia pediatrica ADHD e genetica. Uno studio e molte reazioni

2 80 4 170 5 226

C. Panza T. Suprani, et al. S. Zanini

Rassegne L’asma visto da The Lancet nell’Anno del Polmone

3 104

V. Venturoli, E. Valletta

Ricerca Musica e cervello nei primi giorni di vita Studio di efficacia del progetto “Nati per Leggere”

1 2 5 195

M. C. Saccuman, et al. G. Toffol, et al.

Salute mentale I disturbi del comportamento alimentare Il pediatra di famiglia e le competenze neuropsichiatriche La diagnosi precoce di autismo: il ruolo del pediatra La terapia cognitivo-comportamentale in età evolutiva

1 10 2 54 4 149 6 256

A. Spataro A. Spataro A. Spataro A. Spataro

1

V. Balducci

Salute pubblica Un’architettura per l’infanzia. Colonie di vacanza in Italia Case finding per la celiachia: dovremmo fare qualcosa di diverso? La prevenzione primaria nei Punti Nascita Incidenza di donne in età fertile suscettibili alla rosolia Piano sanitario Regione Sicilia 2010-2012 Strumento di programmazione o puro esercizio? La prevenzione del maltrattamento Health Equity Audit: uno strumento per agire sulle disuguaglianze in salute Saper fare L’intradermoreazione alla Mantoux Scenari Musica e mente: prove di efficacia dell’intervento Esposizione al sole: fattori di rischio ed efficacia della protezione Varicella: efficacia dell’Aciclovir Telescopio Ventilazione oscillatoria nel neonato prematuro: nuovo studio, vecchi dubbi Sicurezza del parto a domicilio verso quello in ospedale Uso dei corticosteroidi inalatori al bisogno nell’asma persistente lieve Esposizione precoce ad antibiotici e asma in età scolare: causa-effetto o bias?

6

2 50 3 98 4 146

E. Valletta, et al. L. Charrier, et al. R. Cavallo

5 206 6 245

A. Spataro G. Cirillo

6 250

M. Palazzi, et al.

5 224

F. Antonelli, P. Siani

1

11

M. F. Siracusano, et al.

4 164 6 263

M. F. Siracusano, et al. I. Fontana, et al.

1 16 3 107

L. Maggio D. Di Lallo, A. Di Napoli

4 150

E. Valletta

5 208

F. Rusconi

Ten stories I cambiamenti climatici: l’ONU chiede maggiore ascolto 2 Vaccinacipì Le raccomandazioni ministeriali per la prevenzione dell’influenza La vaccinazione antinfluenzale universale Una guida per le controindicazioni alle vaccinazioni La copertura vaccinale è alta, ma la Bordetella pertussis circola ancora In arrivo la nuova stagione influenzale Vacciniamo tutti i bambini a rischio Morbillo: lontano l’obiettivo della eliminazione

27

86

S. Manetti

1 32 2 90 3 128

R. Cavallo R. Cavallo Gruppo ACP

4 175

F. Giovanetti

5 227 6 278

R. Cavallo F. Giovanetti

289


Quaderni acp 2011; 18(6): indice

INDICE ANALITICO Abuso Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita La prevenzione del maltrattamento Identificare e gestire i casi di maltrattamento

2 80 6 245 6 276

C. Panza G. Cirillo Red

Aciclovir Varicella: efficacia dell’Aciclovir

6 263

I. Fontana, et al.

Acido valproico Febbre, linfoadenopatia, rash ed epilessia

1

C. Radice, et al.

Adalimumab Nuovo formulario dell’OMS dei farmaci essenziali per bambini

3 129

A. Clavenna, F. Fortinguerra

ADHD ADHD e genetica. Uno studio e molte reazioni

5 226

S. Zanini

Africa L’Africa salvata dai ragazzini

5 211

N. D’Andrea

Allattamento Allattamento adottivo in Italia: reale e misconosciuto

3 125

M. E. Armeni, G. Bellettini

Allattamento al seno Il Codice sul marketing del latte artificiale Quando gli “effetti collaterali” sono benefici

5 212 6 254

S. Conti Nibali I. Robieux, et al.

Antibiotici Esposizione precoce ad antibiotici e asma in età scolare: causa-effetto o bias?

5 208

F. Rusconi

Antiepilettici Febbre, linfoadenopatia, rash ed epilessia

1

C. Radice, et al.

Antipiretici Le convulsioni febbrili: molta paura… senza danni

5 229

P. Siani, S. Manetti

Appropriatezza Tanti, troppi tagli cesarei in Italia

5 202

S. Donati

Area materno-infantile Piano sanitario Regione Sicilia 2010-2012 Strumento di programmazione o puro esercizio?

5 206

A. Spataro

Artrite reumatoide Un adolescente con artrite persistente

3 110

F. De Maddi, et al.

3 104

V. Venturoli, E. Valletta

4 176

A. Clavenna, et al.

4 150

E. Valletta

1

C. Corchia

Asma L’asma visto da The Lancet nell’Anno del Polmone Tre revisioni sistematiche su efficacia e sicurezza dei farmaci Uso dei corticosteroidi inalatori al bisogno nell’asma persistente lieve Associazionismo Le associazioni di genitori: da esperienza personale a valore aggiunto per la cura dei più piccoli

Autismo La diagnosi precoce di autismo: il ruolo del pediatra Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo Beclometasone Uso dei corticosteroidi inalatori al bisogno nell’asma persistente lieve Benzene Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo Biblioteche Biblioteche per bambini e ragazzi Black carbon Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo

290

23

4 175

F. Giovanetti

Bronchiolite Tre revisioni sistematiche su efficacia e sicurezza dei farmaci

4 176

A. Clavenna, et al.

Bronco-displasia Ventilazione oscillatoria nel neonato prematuro: nuovo studio, vecchi dubbi

1

16

L. Maggio

Carbamazepina Febbre, linfoadenopatia, rash ed epilessia

1

23

C. Radice, et al.

2

50

E. Valletta, et al.

Celiachia Case finding per la celiachia: dovremmo fare qualcosa di diverso? Il “Luogo del Controllo” nelle malattie croniche: il caso della celiachia

3 116

Red

CHAT La diagnosi precoce di autismo: il ruolo del pediatra

4 149

A. Spataro

CHEOPS La valutazione del dolore nel bambino con severo deficit cognitivo

4 154

M. Massaro, et al.

Codice Internazionale di Commercializzazione dei sostituti del latte materno Il Codice sul marketing del latte artificiale 5 212

S. Conti Nibali

Colica Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita Quando il mio bimbo piange

2 2

80 92

C. Panza C. Panza

Colonie marine Un’architettura per l’infanzia. Colonie di vacanza in Italia

1

6

Comunicazione La relazione come strumento di cura nelle terapie intensive neonatali

6 267

L. Aite

Convulsioni Le convulsioni febbrili: molta paura… senza danni

5 229

P. Siani, S. Manetti

Copy Number Variationis ADHD e genetica. Uno studio e molte reazioni

5 226

S. Zanini

Counselling Il pediatra di famiglia e le competenze neuropsichiatriche 2 54 La relazione come strumento di cura nelle terapie intensive neonatali 6 267

V. Balducci

A. Spataro L. Aite

Cure palliative pediatriche Cure palliative pediatriche: perché occuparsene Lo sviluppo delle cure palliative pediatriche in oncoematologia

5 216

F. Benini, M. Gangemi

6 260

V. Leoni, et al.

M. Sandretto, et al.

Deficit cognitivo La valutazione del dolore nel bambino con severo deficit cognitivo

4 154

M. Massaro, et al.

M. Palazzi, et al.

Depressione materna I gruppi di auto mutuo aiuto: una valida risposta ai problemi del post-nascita?

2

M. Sandretto, et al.

4 149

A. Spataro

Dermacentor Escara nucale: è TIBOLA?

6 274

S. Costa

6 277

L. Brusadin, et al.

Diabete Novità in diabetologia pediatrica

4 170

T. Suprani, et al.

Difetti del tubo neurale Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo

6 277

L. Brusadin, et al.

L. Brusadin, et al.

Disturbi comportamento alimentare (DCA) I disturbi del comportamento alimentare

1

10

A. Spataro

G. Malgaroli

Disturbi pervasivi dello sviluppo La terapia cognitivo-comportamentale in età evolutiva 6 256

A. Spataro

L. Brusadin, et al.

Disuguaglianze Health Equity Audit: uno strumento per agire sulle disuguaglianze in salute

M. Palazzi, et al.

Attaccamento I gruppi di auto mutuo aiuto: sono una valida risposta ai problemi del post-nascita? 2 Audit Health Equity Audit: uno strumento per agire sulle disuguaglianze in salute

23

Bordetella pertussis La copertura vaccinale è alta, ma la Bordetella pertussis circola ancora

14

55

6 250

4 150

6 277 3 135

6 277

E. Valletta

55

6 250


Quaderni acp 2011; 18(6): indice

Dolore Il dolore del neonato Il dolore da cancro nel bambino La valutazione del dolore nel bambino con severo deficit cognitivo

1 2

19 65

P. Papacci L. Manfredini

4 154

M. Massaro, et al.

Early Childhood Development Early Childhood Interventions

3

G. Biasini

Epidemiologia La nascita pretermine: problema di sanità pubblica Tanti, troppi tagli cesarei in Italia Cure palliative pediatriche: perché occuparsene

2 58 5 202 5 216

C. Corchia S. Donati F. Benini, M. Gangemi

Equità Health Equity Audit: uno strumento per agire sulle disuguaglianze in salute

6 250

M. Palazzi, et al.

Errori in sanità Quando gli infermieri vengono interrotti

2

F. Festini, et al.

Etanercept La vitamina A in età prescolare nei Paesi a risorse limitate: intervento salvavita

6 279

Esposizione al sole Esposizione al sole: fattori di rischio ed efficacia della protezione

4 164

97

77

LES Un adolescente con artrite persistente Lettura ad alta voce Leggere ad alta voce in situazione di emergenza: NpL a un anno dal sisma in Abruzzo Studio di efficacia del progetto “Nati per Leggere” La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra Lidocaina Nuovo formulario dell’OMS dei farmaci essenziali per bambini

70

A. Biasini, et al.

3 110

F. De Maddi, et al.

4 187 5 195

I. Filograsso, et al. G. Toffol, et al.

6 283

C. Panza, A. M. Davoli

3 129

A. Clavenna, F. Fortinguerra

Literacy Leggere ad alta voce in situazione di emergenza: NpL a un anno dal sisma in Abruzzo La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra

4 187

I. Filograsso, et al.

6 283

C. Panza, A. M. Davoli

A. Clavenna, et al.

Luogo del Controllo (LdC) Il “Luogo del Controllo” nelle malattie croniche: il caso della celiachia

3 116

Red

M. F. Siracusano, et al.

Malassorbimento Piccola ma bella. Un caso di sindrome di Shwachman-Diamond

2

E. Desiderio, et al.

Malattie croniche In arrivo la nuova stagione influenzale Vacciniamo tutti i bambini a rischio

5 227

R. Cavallo

Malformazioni congenite La relazione come strumento di cura nelle terapie intensive neonatali

6 267

L. Aite

2 80 6 245 6 276

C. Panza G. Cirillo Red

Età gestazionale La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato? 6 242

G. Rapisardi

FANS Il dolore del neonato Le raccomandazioni dell’AIFA su farmaci e bambini

1 1

P. Papacci A. Clavenna, F. Fortinguerra

Fattore reumatoide Un adolescente con artrite persistente

3 110

19 33

Latte umano Il potenziale biologico del latte umano: non solo nutrizione 2

F. De Maddi, et al.

73

Febbre Le convulsioni febbrili: molta paura… senza danni

5 229

P. Siani, S. Manetti

Formazione Cure palliative pediatriche: perché occuparsene “Narrative” e dintorni: una nuova rubrica

5 216 5 222

F. Benini, M. Gangemi M. Gangemi, F. Zanetto

Maltrattamento Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita La prevenzione del maltrattamento Identificare e gestire i casi di maltrattamento

1

C. Panza, et al.

Mantoux L’intradermoreazione alla Mantoux

5 224

F. Antonelli, P. Siani

C. Panza, A. M. Davoli

Medical Humanities “Narrative” e dintorni: una nuova rubrica

5 222

M. Gangemi, F. Zanetto

Medicina narrativa “Narrative” e dintorni: una nuova rubrica

5 222

M. Gangemi, F. Zanetto

Melanoma Esposizione al sole: fattori di rischio ed efficacia della protezione

4 164

M. F. Siracusano, et al.

Mercaptopurina L’agenzia europea dei medicinali ha approvato le prime due autorizzazioni al commercio per uso pediatrico

5 228

A. Clavenna, et al.

Microinfusori Novità in diabetologia pediatrica

4 170

T. Suprani, et al.

Midazolam L’agenzia europea dei medicinali ha approvato le prime due autorizzazioni al commercio per uso pediatrico

5 228

A. Clavenna, et al.

Morbillo Morbillo: lontano l’obiettivo della eliminazione

6 278

F. Giovanetti

Genitorialità Prevenire o rispondere a un cattivo comportamento La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra

34

6 283

GH Modifiche della prescrizione dell’ormone della crescita. Una proposta dell’ACP 1

42

A. Cohen, et al.

Guide anticipatorie Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita

2

80

C. Panza

H1N1 In arrivo la nuova stagione influenzale Vacciniamo tutti i bambini a rischio

5 227

Infertilità Il ritardo dell’intervento per il testicolo ritenuto Influenza Le raccomandazioni ministeriali per la prevenzione dell’influenza La vaccinazione antinfluenzale universale

1

1 2

26

32 90

R. Cavallo Red R. Cavallo R. Cavallo

Inquinamento da traffico Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo

6 277

L. Brusadin, et al.

Insulinodipendenza Novità in diabetologia pediatrica

4 170

T. Suprani, et al.

Interventi precoci Early Childhood Interventions

3

G. Biasini

Ipereosinofilia Una gastroenterite eosinofila?

6 270

A. Pulella, et al.

Ipsaritmia Macchie bianche innocenti o…?

2

P. Rana, L. La Selva

Kawasaki Insidie diagnostiche nella Malattia di Kawasaki

4 159

M. Giovannini, et al.

Ketoprofene Le raccomandazioni dell’AIFA su farmaci e bambini

1

A. Clavenna, F. Fortinguerra

97

88

33

Mortalità neonatale Sicurezza del parto a domicilio verso quello in ospedale 3 107

D. Di Lallo, A. Di Napoli

Mucolitici Le raccomandazioni dell’AIFA su farmaci e bambini

A. Clavenna, F. Fortinguerra

1

33

Musica Musica e cervello nei primi giorni di vita 1 2 Musica e mente: prove di efficacia dell’intervento 1 11 Musica in gioco. Esplorazioni sonore nella prima infanzia 5 236 Nati per Leggere Early Childhood Interventions Leggere ad alta voce in situazione di emergenza: NpL a un anno dal sisma in Abruzzo Studio di efficacia del progetto “Nati per Leggere”

3

97

4 187 5 195

M. C. Saccuman, et al. M. F. Siracusano, et al. C. Pizzorno G. Biasini I. Filograsso, et al. G. Toffol, et al.

291


Quaderni acp 2011; 18(6): indice

Neonato Musica e cervello nei primi giorni di vita Ventilazione oscillatoria nel neonato prematuro: nuovo studio, vecchi dubbi Il dolore del neonato La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato? Neutropenia Piccola ma bella. Un caso di sindrome di Shwachman-Diamond Obesità Prendersi cura delle obesità gravi Off label In Europa molti bambini ricevono farmaci off label Oppioidi Il dolore del neonato Orchidopessi Il ritardo dell’intervento per il testicolo ritenuto Ormone della crescita Modifiche della prescrizione dell’ormone della crescita. Una porposta dell’ACP Paracetamolo Il dolore del neonato Le raccomandazioni dell’AIFA su farmaci e bambini In Europa molti bambini ricevono farmaci off label Parto a domicilio Sicurezza del parto a domicilio verso quello in ospedale Pianto Il pianto. Natura, significato, clinica e prevenzione nel primo anno di vita Quando il mio bimbo piange Poliartrite Un adolescente con artrite persistente Prematurità Le associazioni di genitori: da esperienza personale a valore aggiunto per la cura dei più piccoli Ventilazione oscillatoria nel neonato prematuro: nuovo studio, vecchi dubbi La nascita pretermine: problema di sanità pubblica Pretermine Le associazioni di genitori: da esperienza personale a valore aggiunto per la cura dei più piccoli La nascita pretermine: problema di sanità pubblica Prevenzione La nascita pretermine: problema di sanità pubblica La prevenzione del maltrattamento Identificare e gestire i casi di maltrattamento Prevenzione primaria La prevenzione primaria nei Punti Nascita Reazioni avverse L’agenzia europea dei medicinali ha approvato le prime due autorizzazioni al commercio per uso pediatrico Reflusso gastroesofageo Tre revisioni sistematiche su efficacia e sicurezza dei farmaci Rickettsia slovaca Escara nucale: è TIBOLA? Ritardo mentale La terapia cognitivo-comportamentale in età evolutiva Rosolia congenita Incidenza di donne in età fertile suscettibili alla rosolia Rubeotest Incidenza di donne in età fertile suscettibili alla rosolia Salute Un’architettura per l’infanzia Colonie di vacanza in Italia Il pediatra di famiglia e le competenze neuropsichiatriche Il Codice sul marketing del latte artificiale Health Equity Audit: uno strumento per agire sulle disuguaglianze in salute Quando gli “effetti collaterali” sono benefici Sclerosi tuberosa Macchie bianche innocenti o…?

292

1

2

1 16 1 19 6 242 2

73

M. C. Saccuman, et al. L. Maggio P. Papacci G. Rapisardi E. Desiderio, et al.

3 112

R. Tanas, et al.

2

91

A. Clavenna, F. Fortinguerra

1

19

P. Papacci

1

26

Red

1

42

A. Cohen, et al.

1 1 2

19 33 91

P. Papacci A. Clavenna, F. Fortinguerra A. Clavenna, F. Fortinguerra

3 107 2 2

80 92

3 110

D. Di Lallo, A. Di Napoli C. Panza C. Panza F. De Maddi, et al.

1

14

C. Corchia

1 2

16 58

L. Maggio C. Corchia

1 2

14 58

C. Corchia C. Corchia

2 58 6 245 6 276

C. Corchia G. Cirillo Red

3

L. Charrier, et al.

98

5 228

A. Clavenna, et al.

4 176

A. Clavenna, et al.

6 274

S. Costa

6 256

A. Spataro

4 146

R. Cavallo

4 146

R. Cavallo

1 6 2 54 5 212

V. Balducci A. Spataro S. Conti Nibali

6 250 6 254

M. Palazzi, et al. I. Robieux, et al.

2

P. Rana, L. La Selva

88

Scottature Esposizione al sole: fattori di rischio ed efficacia della protezione 4 164 6+1 La prevenzione primaria nei Punti Nascita 3 98 Shaken baby syndrome Quando il mio bimbo piange 2 92 Shwachman-Diamond Piccola ma bella. Un caso di sindrome di Shwachman-Diamond 2 73 Sicurezza dei pazienti Quando gli infermieri vengono interrotti 2 77 Sicurezza del parto a domicilio verso quello in ospedale 3 107 Sildenafil Nuovo formulario dell’OMS dei farmaci essenziali per bambini 3 129 Sindrome da ipersensibilità agli anticonvulsivanti Febbre, linfoadenopatia, rash ed epilessia 1 23 Sindrome simil-influenzale La vaccinazione antinfluenzale universale 2 90 Sviluppo cognitivo Musica e mente: prove di efficacia dell’intervento 1 11 Sviluppo del bambino La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra 6 283 Taglio cesareo Tanti, troppi tagli cesarei in Italia 5 202 La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato? 6 242 Terapia cognitivo-comportamentale La terapia cognitivo-comportamentale in età evolutiva 6 256 Terpeni La vitamina A in età prescolare nei Paesi a risorse limitate: intervento salvavita 6 279 Testicolo ritenuto Il ritardo dell’intervento per il testicolo ritenuto 1 26 Test linguistici Studio di efficacia del progetto “Nati per Leggere” 4 195 TIBOLA Escara nucale: è TIBOLA? 6 274 Trapianto di beta-cellule Novità in diabetologia pediatrica 4 170 Trapianto di pancreas Novità in diabetologia pediatrica 4 170 Tubercolosi Un’architettura per l’infanzia Colonie di vacanza in Italia 1 6 L’intradermoreazione alla Mantoux 5 224 Unicef Quando gli “effetti collaterali” sono benefici 6 254 Vaccinazioni Le raccomandazioni ministeriali per la prevenzione dell’influenza 1 32 La vaccinazione antinfluenzale universale 2 90 Una guida per le controindicazioni alle vaccinazioni 3 128 Incidenza di donne in età fertile suscettibili alla rosolia 4 146 La copertura vaccinale è alta, ma la Bordetella pertussis circola ancora 4 175 In arrivo la nuova stagione influenzale Vacciniamo tutti i bambini a rischio 5 227 Varicella Varicella: efficacia dell’Aciclovir 6 263 Ventilazione oscillatoria Ventilazione oscillatoria nel neonato prematuro: nuovo studio, vecchi dubbi 1 16 Visite domiciliari La prevenzione del maltrattamento 6 245 Vitamina A La vitamina A in età prescolare nei Paesi a risorse limitate: intervento salvavita 6 279 Wheezing Esposizione precoce ad antibiotici e asma in età scolare: causa-effetto o bias? 5 208

M. F. Siracusano, et al. L. Charrier, et al. C. Panza E. Desiderio, et al. F. Festini, et al. D. Di Lallo, A. Di Napoli A. Clavenna, F. Fortinguerra

C. Radice, et al. R. Cavallo M. F. Siracusano, et al. C. Panza, A. M. Davoli S. Donati G. Rapisardi A. Spataro A. Clavenna, et al. Red G. Toffol, et al. S. Costa T. Suprani, et al. T. Suprani, et al. V. Balducci F. Antonelli, P. Siani I. Robieux, et al. R. Cavallo R. Cavallo Gruppo ACP R. Cavallo F. Giovanetti R. Cavallo I. Fontana, et al. L. Maggio G. Cirillo A. Clavenna, et al. F. Rusconi


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Quaderni

acp

website: www.quaderniacp.it

novembre- di ce mbr e 2 0 11 v ol 18 n ° 6 Editoriale 241 Cosa vuol fare la pediatria da grande? Paolo Siani e il Consiglio direttivo dell’ACP

Musical-mente 273 Le iniziative di “Nati per la Musica” Stefano Gorini (a cura di)

Forum 242 La nascita da taglio cesareo: è diverso per il neonato? Gherardo Rapisardi

Occhio alla pelle 274 Escara nucale: è TIBOLA? Stefano Costa

Salute pubblica 245 La prevenzione del maltrattamento Giuseppe Cirillo 250 Health Equity Audit: uno strumento per agire localmente sulle disuguaglianze in salute Mauro Palazzi, Chiara Reali, Barbara Calderone, et al. Organizzazione sanitaria 254 Quando gli “effetti collaterali” sono benefici Isabelle Robieux, Elisabetta Santin, Franco Colonna

L’angolo della comunità 276 Identificare e gestire i casi di maltrattamento: il ruolo del pediatra Red Perunmondopossibile 277 Effetti nocivi dell’inquinamento da traffico; efficacia degli interventi volti a ridurlo Laura Brusadin, Laura Todesco, Giacomo Toffol

Salute mentale 256 La terapia cognitivo-comportamentale in età evolutiva Angelo Spataro (a cura di)

Vaccinacipì 278 Morbillo: è lontano l’obiettivo della eliminazione Franco Giovanetti

Pediatri fra due mondi 257 Il viaggio di Ulisse Fabio Sereni, Alberto Edefonti

Farmacipì 279 La vitamina A in età prescolare nei Paesi a risorse limitate: intervento salvavita Antonio Clavenna, Filomena Fortinguerra, Daniele Piovani

Info 258 L’OMS verso la privatizzazione? 258 Malattie croniche: un progetto apparentemente virtuoso 258 UK: sospesa la riforma della Sanità 258 Benfluorex: una storia ignobile 258 Linee-guida francesi ritirate per potenziali conflitti di interesse 259 Micotossine nel latte di formula e negli omogeneizzati di carne 259 Bacini di utenza per specialità Aggiornamento avanzato 260 Lo sviluppo delle cure palliative pediatriche in oncoematologia: percorso e modelli Veronica Leoni, Valentina Decimi, Milka Adzic, et al. Scenari 263 Varicella: efficacia dell’Aciclovir nel trattamento e nella prevenzione Ilaria Fontana, Cinzia Cucchi, Costantino Panza “Narrative” e dintorni 267 La relazione come strumento di cura nelle terapie intensive neonatali Lucia Aite Il caso che insegna 270 Una gastroenterite eosinofila? Antonio Pulella, Angela Tisci, Rocco Cavaliere, Franco Panizon

Libri 280 Disegnare il vento di Ernesto Ferrero 280 Psicodinamica dell’alimentazione nella prima infanzia di Silvia Cimino 281 Musicantando di Cecilia Pizzorno, Ester Seritti 281 Dislessia evolutiva in pediatria di Giacomo Stella, et al. Film 282 Il mare amaro di Terraferma Italo Spada Nati per Leggere 283 La lettura: uno strumento per arricchire la relazione genitore-figlio. Decisivo l’impegno del pediatra Costantino Panza, Anna Maria Davoli Congressi controluce 286 Confronto sull’attivazione di percorsi per la promozione dell’allattamento materno in Lombardia 286 Il punto sulla “Newsletter” pediatrica Lettere 287 Questioni di sangue? 287 Una levata di scudi 288 Indice delle Rubriche 290 Indice analitico

Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP

La quota d’iscrizione per l’anno 2011 è di 100 euro soci ordinari, 10 euro per gli specializzandi, 30 euro per infermieri pediatrici e non sanitari. Il versamento deve essere effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a: Associazione Culturale Pediatri - via Montiferru, 6 - Narbolia (OR), indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota. Per iscriversi la prima volta occorre inviare una richiesta (fax 079 302 70 41 oppure e-mail: segreteria@acp.it) con cognome, nome, indirizzo e qualifica. Nel caso si voglia predisporre un pagamento annuale automatico (come per le altre utenze: Telecom, Enel ecc.) con scadenza 15 gennaio si comunica alla propria banca il seguente codice SIA: 981A7. Questa modalità di pagamento non è vincolante e la si potrà revocare in qualsiasi momento attraverso una semplice comunicazione alla banca. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista Quaderni acp e, con apposita richiesta all’indirizzo info@csbonlus.org, la Newsletter bimestrale “La sorveglianza della letteratura per il pediatra” e la Newsletter “Fin da piccoli” del Centro per la Salute del Bambino. La Newsletter mensile “Appunti di viaggio” con le attività del direttivo, delle segreterie e dei vari gruppi ACP. Hanno anche diritto a uno sconto di 25 euro sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino e un considerevole sconto sulla quota d’iscrizione al Congresso nazionale ACP. Possono usufruire di numerose iniziative di aggiornamento, ricevere pacchetti formativi su argomenti quali la promozione della lettura ad alta voce, l’allattamento al seno, la ricerca e la sperimentazione, e altre materie dell’area pediatrica. Potranno partecipare a gruppi di lavoro su ambiente, vaccinazioni, EBM e altri. Per una descrizione più completa si può visitare il rinnovato sito www.acp.it in cui sono riportati e aggiornati tutti i documenti e le iniziative ACP: l’articolo del mese, congressi a distanza, lo speciale sul Congresso nazionale di Palermo.


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