Quaderni acp 2005 12(2)

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Quaderni acp www.quaderniacp.it bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della

associazione culturale pediatri www.acp.it

I bambini e la musica

47 Editoriale: I futuri medici conoscono i rischi del mercato dei farmaci? 48 La condivisione del consenso informato in pediatria 51 La salute dei bambini nel Sud d’Italia 53 Mensa scolastica “mediterranea”: valutazione a punteggio 56 Congressi controluce 61 Film 62 Il bambino-intruso 66 Nati per Leggere 68 Il piccolo paziente rappresenta il “suo dottore” 70 Libri 72 Info 75 Lettere 78 Il bambino con ritardo mentale e dismorfismi 80 Un ematoma toracico con frattura costale 83 Marco e le adenoidi: gliele togliamo? 85 I tempi della pubertà spontanea nelle femmine 87 La comunicazione della diagnosi in adolescenza 90 Manifestazioni da papillomavirus umano e abuso sessuale

m a r z o - a p r i l e 2 0 0 5 v o l 12 n ° 2 Poste Italiane s.p.a. - sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 1, DCB di Forlì - Aut Tribunale di Oristano 308/89

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Quaderni

acp

website: www.quaderniacp.it mar zo-aprile 2005 vol 12 n° 2

Editoriale 47 I futuri medici conoscono i rischi del mercato dei farmaci? Giancarlo Biasini Saggi 48 La condivisione del consenso informato in pediatria Luisa Massimo, Thomas J. Wiley Osservatorio internazionale 51 La salute dei bambini della Nazione Europea più povera: il Sud d’Italia Maurizio Bonati, Rita Campi Organizzazione sanitaria 53 Mensa scolastica “ mediterranea” valutazione qualitativa a punteggio Maurizio Iaia Congressi controluce 56 Task force sull’allattamento al seno dell’ACP Sergio Conti Nibali 56 Vita quotidiana con un neonato non “sano e bello” Federica Zanetto 57 Trieste: assistenza a 360 gradi alla puerpera e al neonato Patrizia Elli 57 SPES: epidemiologia al servizio della salute Michele Gangemi Vaccinacipì 60 Effetti indiretti, perplessità e qualche buona novità Luisella Grandori Film 61 Come può il sorriso dei bambini fare paura? Alla luce del sole di Roberto Faenza Italo Spada Letture 62 Il bambino-intruso: mille facce della violenza Carlo Bellieni Nati per leggere 66 Nati per Leggere e Leggere per Crescere Giorgio Tamburlini 66 Una lettera alla GlaxoSmithKline Michele Gangemi 66 E ancora su Leggere per Crescere Red 66 NpL in Umbria Lucio Piermarini, Mariolina Friggeri 67 NpL in Campania Red 67 NpL in Piemonte Red

Esperienze 68 Il piccolo paziente rappresenta il “suo dottore” Pasqua Brunelli, Francesca Vaienti, Michele Gangemi Libri 70 Il bambino di Noè Eric-Emmanuel Schmitt 70 Governo clinico Roberto Grilli, Francesco Taroni 71 Niente, più niente al mondo Massimo Carlotto 71 In fuga Alice Munro Info 72 Anche in Francia “Nograziepagoio” 72 Allattamento al seno in Parlamento 72 Un altro latte a costo europeo 73 Tumori di bambini e adolescenti in Europa 73 Quanto costano gli anziani 73 Tsunami 73 Vioxx: lo sapevano! 73 I bambini dopo Beslan 73 Addio catena del freddo 73 In breve Lettere 75 Una regola o un rapporto? Costantino Panza 75 Qualcosa di importante è successo Orfeo Olimpi 77 Ausili Didattici

Aggiornamento avanzato 78 L’approccio al bambino con ritardo mentale e dismorfismi: la dismorfologia Manuela Priolo, Carmelo Laganà Leggere e fare 80 Un ematoma toracico con frattura costale. Perché? Isodiana Crupi Narrative Medicine 83 Marco e le adenoidi: gliele togliamo? Patrizia Elli Research letter 85 I tempi della pubertà spontanea nelle femmine: uno studio campano Nicoletta Gasparini, Salvatore Di Maio, Luigi Greco Saper fare 87 La comunicazione della diagnosi in adolescenza Luigi Gualtieri Il punto su 90 Manifestazioni da papillomavirus umano (HPV) significato nella diagnosi di abuso sessuale Attilio Mazzei

Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP La quota d’iscrizione per l’anno 2005 è di Euro 75. Il versamento deve essere effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a: Associazione Culturale Pediatri – via Montiferru, 6 - Narbolia (OR) indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota. L’iscrizione all’Associazione Culturale Pediatri dà diritto: a ricevere Quaderni acp, ad uno sconto del 50% sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino, ad uno sconto di 25 Euro sulla quota di iscrizione al Congresso Nazionale ACP. Per iscriversi la prima volta occorre inviare una richiesta scritta (fax 0783 599149 o e-mail: francdessi@tiscali.it) con cognome, nome, indirizzo e qualifica, e versare la quota come sopra indicato. I soci che fanno parte di un gruppo locale affiliato all’ACP devono versare la quota al loro referente locale, il quale potrà trattenerne il 30% per l’attività del gruppo.

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Quaderni acp Website: www.quaderniacp.it march-april 2005; 12(2)

Q uaderni

bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici a cura della

associazione culturale pediatri Direttore

47 Editorial

Do medical students know about drug companies marketing pitches? Giancarlo Biasini 48 Essays

Sharing informed consent in Paediatrics Luisa Massimo, Thomas J. Wiley 51 A window on the world

Children’s health in the poorest Eurepean Country: the south of Italy Maurizio Bonati, Rita Campi 53 Health care system

Mediterranean school menu: a qualitative evaluation through a point system Maurizio Iaia 56 Meeting synopses 60 Vaccinacipì

Vaccine’s indirect effects: perplexities and some good novelty Luisella Grandori 61 Movies 62 Lectures

The intruder-child: many faces of violence Carlo Bellieni 66 Born to read

Born to Read and GlaxoSmithKline Giorgio Tamburlini A letter to GlaxoSmithKline Michele Gangemi 68 Personal accounts

How a child represents “his doctor” Pasqua Brunelli, Francesca Vaienti, Michele Gangemi 70 Books 72 Info 75 Letters 77 Didactic support 78 A close up on progress

Approaching a child with mental retardation and dysmorphisms: dysmorphology Manuela Priolo, Carmelo Laganà 80 From literature to practice

A thoracic haematoma with rib fracture. Abuse? Isodiana Crupi 83 Narrative Medicine

Marco’s adenoids: should we remove them? Patrizia Elli 85 Research letter

The onset of puberty in girls: a study in Campania Region, Italy Nicoletta Gasparini, Salvatore Di Maio, Luigi Greco 87 Update to practice

Diagnosis communication in adolescence Luigi Gualtieri 90 Apparaisals

Human papillomavirus (HPV) infection in the diagnosis of sexual abuse Attilio Mazzei

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Giancarlo Biasini Direttore responsabile

Franco Dessì Comitato editoriale

Maurizio Bonati Antonella Brunelli Sergio Conti Nibali Nicola D’Andrea Luciano De Seta Michele Gangemi Stefania Manetti Paolo Siani Francesca Siracusano Federica Zanetto Collaboratori

Giancarlo Cerasoli Francesco Ciotti Giuseppe Cirillo Luisella Grandori Luigi Gualtieri Manuela Pasini Italo Spada Antonella Stazzoni Organizzazione

Giovanna Benzi Marketing e comunicazione

Daria Zacchetti Milano, Tel. 0270121209 Progetto grafico

Ignazio Bellomo Programmazione Web

Gianni Piras

Internet La rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita on-line della letteratura medica ed è pubblicata per intero al sito web: www.quaderniacp.it e-mail: red@quaderniacp.it Indirizzi Amministrazione Associazione Culturale Pediatri via Montiferru 6, 09070 Narbolia (OR) Tel. 078357401 Fax 0783599149

e-mail: francdessi@tiscali.it Direttore Giancarlo Biasini corso U. Comandini 10 47023 Cesena Tel. e Fax 054729304

e-mail: gcbias@tin.it Ufficio soci via Nulvi 27, 07100 Sassari Cell. 3332562649, Fax 0793027471

e-mail: ufficiosociacp@tiscali.it Stampa Stilgraf viale Angeloni 407, 47023 Cesena Tel. 0547610201 e-mail: info@stilgrafcesena.191.it QUADERNI ACP È PUBBLICAZIONE ISCRITTA NEL REGISTRO NAZIONALE DELLA STAMPA N° 8949 © ASSOCIAZIONE CULTURALE PEDIATRI ACP EDIZIONI NO PROFIT

LA COPERTINA. L’immagine riproduce “Due ragazzi musici”, Franz Hals 1623-1625, olio su tela. Staatliche Kunstsammlungen, Kassel.

QUADERNI ACP: NORME REDAZIONALI. Sulla rivista possono essere pubblicati articoli riguardanti argomenti che siano di ausilio alla professione del pediatra: ricerche svolte nell’area delle cure primarie, casi clinici educativi, scenari clinici affrontati con metodologia EBM o secondo le modalità della medicina narrativa, revisioni su problemi di importanza generale e di ricerca avanzata, schede informative per i genitori. Sono inoltre graditi articoli riguardanti aspetti di politica sanitaria, considerazioni sull’attività e sull’impegno professionale del pediatra, riflessioni su esperienze professionali. I testi devono pervenire alla redazione via e-mail o via posta su floppy disk (v. in colophon), composti in Times New Roman corpo 12 e con pagine numerate. Le tabelle e le figure vanno inviate in fogli a parte vanno numerate e titolate e richiamate nel testo. Scenari, casi clinici, esperienze e revisioni non possono superare le 12.000 battute, riassunti compresi. Per gli altri contributi non possono essere superate le 17.000 battute, salvo accordi con la redazione. Le lettere non devono superare le 2.500 battute; qualora siano di dimensioni superiori, possono essere ridotte dalla redazione (chi non fosse disponibile alla riduzione deve specificarlo nel testo). Il titolo deve essere coerente rispetto al contenuto del testo, informativo, sintetico. La redazione si riserva il diritto di modificare titolo e sottotitolo dell’articolo. Va indicato Istituto/Sede/Ente/Centro in cui lavorano gli Autori. Va segnalato l’indirizzo e-mail dell’Autore indicato per la corrispondenza. Gli articoli devono essere corredati da un riassunto in italiano e in inglese dell’ordine di 500-800 battute. Il riassunto deve essere possibilmente strutturato. Nel caso delle ricerche va necessariamente redatto in forma strutturata distribuendo il contenuto in introduzione, materiali e metodi, risultati e discussione. La versione in inglese del riassunto può essere modificata a giudizio della redazione. Alla fine del riassunto vanno inserite 3/5 parole chiave in italiano e in inglese. La traduzione in inglese di titolo, riassunto e parole chiave può essere fatta dalla redazione. La bibliografia deve essere redatta in ordine di citazione, tutta in caratteri tondi e conforme alle norme pubblicate nell’Index Medicus Il numero d’ordine della citazione va inserito tra parentesi nel testo. Nel caso di un numero di autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Esempio per le riviste: Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000;5:10-4. Esempio per i testi: Bonati M, Impicciatore P, Pandolfini C. La febbre e la tosse nel bambino. Il Pensiero Scientifico Ed, Roma 1998. Le citazioni vanno contenute il più possibile (entro 10 voci) per non appesantire il testo. Della letteratura grigia (di cui va fatto un uso limitato) vanno citati gli autori, il titolo, chi ha editato l’articolo, la sede e l’anno di edizione. I lavori pervenuti vengono sottoposti tutti alla valutazione della redazione e/o ad almeno due revisori. Il giudizio sarà trasmesso agli autori in tempo ragionevole. È obbligatorio dichiarare l’esistenza o meno di un conflitto d’interesse. La sua eventuale esistenza non comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’articolo. La dichiarazione consente alla redazione(e, in caso di pubblicazione, al lettore) di esserne a conoscenza e di giudicare quindi con cognizione di causa quanto contenuto nell’articolo. Nulla è dovuto alla rivista per la pubblicazione. Non si forniscono estratti.

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I futuri medici conoscono i rischi del mercato dei farmaci? Giancarlo Biasini Direttore di Quaderni acp Parole chiave Farmaci. Informazione. Mer-

cato dei farmaci. Università

Un editoriale di The Lancet (2004;364:1655) pone all’attenzione un interessante problema: si devono formare gli studenti di medicina alle “insidie” che l’informazione gestita dalle case farmaceutiche procurerà loro una volta inseriti nel mercato dei farmaci? Raquel Watkins è professore di medicina alla Wake Forrest University. Egli ha riflettuto sul fatto che quando era studente nessuno mai gli parlò delle strategie che le case di farmaci adottano per influenzare le sue prescrizioni. Nessuno gli suggerì le metodologie per una prescrizione di farmaci indipendente e basata solo sulle sue conoscenze. Egli dice di essersi trovato quindi disarmato di fronte all’azione molto aggressiva dei collaboratori delle ditte farmaceutiche che avevano a disposizione molte risorse per convincerlo a prescrivere i loro farmaci. Avevano, a conti fatti, 11 miliardi di dollari USA/anno, dei quali 5 andavano ai “propagandisti”. Da 8.000 a 13.000 sono oggi i dollari USA/anno dedicati a ogni medico contattato. Le cose non sono cambiate da allora. Ancora oggi nessuno insegna agli studenti di medicina che i medici possono essere fortemente influenzati dalla blandizie (blandishment) del mercato. Essi escono dalle università senza questa nozione. Nessuno presenta loro la necessità che ci siano linee di comportamento precise nell’accettare regali come quelle suggerite dalla American Medical Association in USA e dall’ACP in Italia. Per questo motivo, alla Wake Forrest University, Raquel Watkins ha iniziato un programma che inizia al secondo anno e che consta di 4 meeting. Grossolanamente questi sono gli argomenti. Il primo meeting presenta agli studenti le opinioni dei pazienti sulla abitudine dei medici di accettare regali dalle ditte. I pazienti mostrano preoccupazione per questa abitudine che può avere influenza di un certo peso nel rapporto medicopaziente.

Il secondo meeting presenta i metodi per valutare se sono corrette le metodologie con le quali sono costruite le presentazioni dell’industria e insegna gli strumenti per confrontarle con i dati della letteratura. Il terzo meeting insegna a conoscere esattamente il costo dei farmaci; questa nozione è molto importante, anche tenendo conto del fatto che il prezzo è una conoscenza che i medici sono abituati a sottovalutare. Il meeting insegna anche le strategie di marketing delle industrie. Spesso i rappresentanti di farmaci si richiamano a pareri di “autorità” che incutono qualche reverenza sui medici; essi devono imparare ad andare più a fondo nella loro valutazione. Il quarto meeting mette a fuoco le linee professionali con le quali ci si deve rapportare con le ditte e affronta il problema dei regali. L’accoglimento del corso da parte degli studenti è stato molto buono e, secondo i discenti, li ha resi consci della loro vulnerabilità nei riguardi dell’industria. Su questa iniziativa si è aperto un dibattito di cui riferiamo brevemente. Arnold Relman, già direttore del New England Journal of Medicine, è della opinione che corsi come questi vadano bene, ma non bastino per dare ai futuri medici una formazione indipendente nel campo dei farmaci. Sarebbe necessario che le industrie non avessero ruolo alcuno nella Educazione Medica Continua (ECM); questa dovrebbe essere attribuita alle associazioni professionali senza alcuna contaminazione con l’industria. Il che oggi non avviene. Mildred Cho della Stanford University (Palo Alto) sostiene che tutte le Università dovrebbero organizzare corsi come quelli della Wake Forrest; essi dovrebbero iniziare nel momento in cui gli studenti si avviano alla pratica medica, in modo da fornire loro una coscienza dei rischi dei condizionamenti che l’industria pone in atto attraverso i suoi rappresentanti locali. Robert Goodman della Columbia University (NY) consiglia l’uso del sito Web “No free

lunch” di cui abbiamo riferito più volte su questa rivista e che ha dato luogo all’italiano “No grazie pago io”. Spesso la folla dei farmaci uguali (i “me too”) rende grottesco il panorama informativo e gli studenti devono impararlo subito. Anche perché è quello che conduce di più al porta a porta dei medici con offerte di penne, ricettari e campioni. A questo proposito, però, il portavoce della Farmindustria americana (Pharmaceutical Research and Manufacturers of America) sostiene che i suoi associati e i loro rappresentanti danno un importante contributo ai medici perché, attirando l’attenzione su un prodotto, danno comunque importanti informazioni sul principio attivo contenuto nel prodotto. La loro credibilità è legata al modo con cui si rapportano con il medico e questo li consiglia di essere precisi e informati. I piccoli regali (circa un costo di 1.18 dollari) di una penna o di un blocco per appunti vengono offerti al solo scopo di dimostrare la loro gratitudine al medico per avere concesso all’informatore un piccolo tempo del suo poco tempo. L’industria infatti è del tutto conscia del lavoro del medico e sa che esso è molto indaffarato nella sua attività assistenziale. Per Mildred Cho, però, il nome del prodotto segnato sul piccolo regalo ha il segno di una continua esposizione all’industria che dura ben più del ringraziamento occasionale per il tempo concesso. Quanto all’efficacia della iniziativa della Wake Forrest University si è ben lungi da una valutazione della sua efficacia relativamente alla capacità di rendere più accorti i medici nell’accettare come validi i dati loro presentati dalle ditte di farmaci. Secondo Goodman questa sola iniziativa non servirà se non si accompagna all’interiorizzazione di modelli di comportamento. Difficile è che gli studenti li interiorizzino se dopo i meeting continueranno i free lunch offerti dalle ditte di farmaci, per lui il problema principale consiste nell’influenza che l’industria ha nella formazione medica. Insomma tutto il mondo è paese.

Per corrispondenza:

Giancarlo Biasini e-mail: gcbias@tin.it

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Quaderni acp 2005; 12(2): 48-50

La condivisione del consenso informato in pediatria Luisa Massimo*, Thomas J. Wiley** *Dipartimento di Ematologia e Oncologia Pediatrica; **Direzione Scientifica, IRCCS “Giannina Gaslini”, Genova Abstract

Sharing informed consent in Paediatrics The clinical problems involving informed consent for treatment and research in pediatric oncology, on the respect of ethical principles, of clinical cognitive psychology, social psychology and bioethics is still matter of discussion. Studies on consent in clinical management involving children, their parents, and the therapeutic team are limited. Our suggestion is to manage the process of informed consent as a negotiated “shared consent”. Many parents told us that the informed consent process is important though often confusing, while discussions are more helpful. The most difficult thing to understand was the concept of randomization, and the request for consent to this procedure. Our model provides adequate and honest information also to patients, schoolaged children and adolescents, through easy to understand dialogues with the physician. In addition to technical studies, medical students and physicians need to acquire an adequate knowledge on communication, relational aspects, ethics. Our goal is that they must become competent also in the “Family System Health Model”, in the “Theory of Social Representations”, in “Gadamerian Hermeneutics”, in the “Problem Based Learning”, in the “Communicative Skills”, and in the narrative medicine techniques. Quaderni acp 2005; 12(2): 48-50 Key words Informed consent. Shared consent. Communication in paediatrics

In pediatria il processo evolutivo del consenso informato suscita tuttora discussioni ed interesse etico e scientifico. Il breve editoriale desidera considerare quanto sia importante che questo argomento diventi materia di insegnamento nel Corso di Medicina e nelle Scuole di Specializzazione, in particolare per la pediatria. La letteratura è vastissima, ma la maggior parte dei lavori non prende in considerazione la partecipazione attiva e la condivisione nel dare il consenso, che coinvolge i genitori o tutore ed il minore ammalato. Nella nostra lunga pratica clinica, molti genitori hanno riferito che la procedura del consenso informato è utile ma spesso confusa, che preferiscono la discussione con i medici ai questionari e ai documenti, che è difficile comprendere quanto viene detto per ottenere il consenso per la randomizzazione. Il soddisfacimento per le risposte ottenute non è legato alla cultura e all’etnia, ma alla singola persona o coppia di genitori. È importante che il medico curante riesca a stabilire un dialogo semplice, sempre disponibile, abile a saper dare anche al bambino e agli adolescenti informazioni sincere, chiare e adeguate, evitare la confusione, cercare di aiutare nella comprensione e che questo comportamento sia naturale e diventi di routine nell’ospedale. Argomenti di studio e tecniche relative alla comunicazione, nei quali il pediatra dovrebbe diventare competente, sono il “Problem Based Learning” (PBL) descritto da Guilbert, il “Family System Health Model” (FSHM) di Rolland, la “Theory of Social Representations” (TSR) di Moscovici, il “Gadamerian Hermeneutics” (GH), il “Communicative Skills” di Curry e Makoul (CS). Parole chiave Consenso informato. Consenso condiviso. Comunicazione in pediatria Introduzione Il consenso informato deve essere espresso da persona maggiorenne, capace di intendere e di volere; deve essere personale, esplicito, specifico, consapevole; può essere revocato in qualsiasi momen-

to. Non è necessario in casi di estrema urgenza, dove vi sia pericolo di morte. L’informazione deve essere data dal medico; deve essere completa, compresa e veritiera; deve rispettare i principi fondamentali dell’etica: “autonomia, benefi-

cenza, non-maleficenza e giustizia”, le conoscenze della psicologia clinica, cognitiva e sociale, alla luce dei valori morali. In Italia sono relativamente pochi i casi in cui la Legge richiede il consenso informato sottoscritto dal paziente o, in caso di minori e persone incapaci, dai genitori o dal tutore: trasfusione di sangue ed emoderivati, trapianto di cellule staminali da midollo osseo, da sangue periferico, da cordone ombelicale e placenta, sperimentazioni a fini diagnostici e terapeutici, compresa la randomizzazione. Recentemente è stato introdotto l’obbligo del consenso scritto per il rispetto della privacy. Negli ultimi 45 anni le ricerche hanno approfondito le conoscenze sulla patogenesi e varie caratteristiche delle diverse malattie anche del bambino. Oggi spesso la malattia grave può avere un esito favorevole e il bambino può guarire completamente, ossia senza reliquati fisici e intellettuali. In oncologia si è passati da percentuali di sopravvivenza inferiori al 10% a quelle odierne, superiori al 7580%. La diagnosi di una malattia in un bambino, che può essere letale o lasciare sequele importanti quali mutilazioni, paralisi, deficit intellettivo, ecc., provoca gravi conseguenze nei genitori e nella famiglia, perché non esiste una preparazione psicologica e sociale per affrontarla. A poco a poco essi impareranno a vivere la realtà della malattia del loro figlio, affrontando l’incertezza, la paura della morte e delle conseguenze, il cambiamento della loro vita, e a mantenere saldi e validi i rapporti con gli altri figli e con i familiari. I medici e tutti coloro che assistono il bambino e la famiglia, quali infermiere, assistenti sociali, psicologi, insegnanti, sono chiamati quotidianamente a fornire il loro aiuto. Per questo negli ultimi cinquant’anni numerosi Autori hanno sviluppato linee guida e studi che tuttavia fanno parte solo marginalmente degli obiettivi del Corso

Per corrispondenza:

Luisa Massimo e-mail: luisamassimo@ospedale-gaslini.ge.it

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saggi

di Medicina e delle Scuole di Specializzazione. La comunicazione In pediatria si incontrano ancora difficoltà relative alla comunicazione e all’informazione riguardanti i bambini di età scolare, gli adolescenti e i genitori. In questo difficile equilibrio si inseriscono le problematiche del consenso informato. Per un apprendimento ed una preparazione adeguati al grave compito di dare notizie, spesso cattive, a pazienti adulti, a genitori, a bambini e adolescenti capaci di comprendere, è necessario basarsi su un insegnamento sistematico e non affidarsi solo alla disposizione individuale. L’Educational Handbook for Health Personnel, edito a cura della OMS-WHO “Problem Based Learning” di Guilbert (1), è un approccio educativo che affronta i singoli problemi, soprattutto i peggiori, riorganizzandoli e conducendoli a una soluzione. Il “Family System Health Model”, descritto da Rolland nel 1984, è un sistema di formazione e istruzione degli operatori sanitari per riuscire a migliorare la qualità della vita di tutta la famiglia di fronte a una malattia cronica con pericolo di morte (2). Si pone lo scopo di interagire e trovare un equilibrio tra bisogni psicosociali e vulnerabilità della famiglia. La “Teoria delle Rappresentazioni Sociali” è un tema trattato per la prima volta da Durkheim del 1898 e ripreso da Moscovici nel 1961 (3,4). Lo studio di questa materia da parte del medico e degli altri operatori sanitari permette di vedere il vissuto della malattia sotto prospettive psicologiche e sociali complete e importanti. Widdershoven nel 2000 ha ripreso la discussione dei rapporti tra medico, paziente e malattia basandosi sul pensiero filosofico di Gadamer che afferma che la capacità umana più elevata è la conversazionedialogo (5,6). Curry e Makoul elaborano la metodologia “Communicative Skills” per l’insegnamento nella Facoltà di Medicina (7,8). Questa insegna agli studenti e ai giovani medici il ragionamento diagnostico e la capacità a comunicare durante l’attività clinica e la visita medica mediante un approccio attivo per l’apprendimento. Sostengono che dare “cattive notizie” sia una delle prove più diffi-

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cili che il medico deve affrontare. Infine la “Narrative medicine” è una metodica di ascolto dove il medico considera e valorizza quanto gli raccontano il paziente o i familiari: ogni notizia, ogni modo di sentire e di comportarsi, cercando di interferire per migliorare la loro qualità di vita (9,10). Discussione La letteratura sul consenso informato in pediatria è vastissima, mentre quella che riguarda il consenso partecipato e condiviso è molto modesta. Nelle persone vengono a coesistere fattori contrastanti, ossia quelli stressanti (stressors) e quelli di resistenza. In ogni caso è importante tenere presente nel dialogo questo conflitto ed esercitare un’influenza positiva sull’ambiente sia della famiglia, le sue risorse, la capacità di adattamento, il supporto sociale, che della scuola. Wallander e coll. (11) hanno elaborato un modello denominato “disabilità-stress-con-

vivenza”, che considera i processi atti ad equilibrare i fattori di rischio con quelli di resistenza. Habermas (12) considera che la verità e i bisogni si basano su un consenso che deve essere condiviso da chi lo dà e non solo informato. La Commissione di Bioetica sul consenso informato e sull’assenso del minore dell’American Academy of Pediatrics (13) ha elaborato delle linee-guida che indicano che il pediatra deve agire sempre nel “migliore interesse del minore”, superando posizioni religiose, sociali, culturali, filosofiche. La Società Internazionale di Oncologia Pediatrica - SIOP ha costituito nel 1991 il Gruppo di Studio “Working Committee on Psycho-social Issues”, diretto da Masera, che ha prodotto ad oggi ben 15 documenti e linee-guida

su vari argomenti. L’articolo sul consenso informato del 2003 è bene articolato, ma il problema della condivisione non è dibattuto (14). Durante la nostra lunga esperienza spesso i genitori ci hanno esplicitamente detto che il processo per ottenere il loro consenso era stato certamente utile ma a volte difficilmente comprensibile. Preferivano la discussione alla modulistica del consenso informato di cui non comprendevano molte cose. Più volte avevano firmato basandosi sulla fiducia che avevano nei medici curanti. Questi commenti non erano legati ai livelli di istruzione e all’etnia. A questo proposito noi consigliamo di evitare di dare risposte confuse, di soddisfare le richieste e le curiosità, di rispondere alle domande con sincerità, chiarezza e desiderio di essere utili. Premesse indispensabili per ottenere un consenso ben compreso e partecipato sono l’ascolto e saper fornire tutti gli elementi adatti per quel contesto familiare, sociale, educativo necessari per aprire un valido dialogo. Nella maggior parte dei casi si trova difficoltà a far comprendere la randomizzazione. In situazioni particolari, quali per esempio il trapianto di midollo tra fratelli, ambedue in minore età, entra in gioco anche la tutela dei diritti di ambedue i minori (15). Sempre l’adolescente e il bambino capace di comprendere devono essere coinvolti nella discussione, si deve ascoltare e rispondere adeguatamente alle richieste, spiegando con attenzione i rischi e i benefici che possono provenire dall’atto diagnostico o terapeutico. È anche da tenere presente che in Italia in casi particolari ci si può rivolgere al Tribunale dei Minori che può emettere una tempestiva sentenza nell’interesse del bambino. Conclusioni Il consenso scritto deve essere richiesto e quindi dato al momento della scelta degli esami da eseguire, della terapia anche se sperimentale, del protocollo e deve comprendere tutte le sue fasi, inclusa una randomizzazione prevista e chiaramente identificabile. Questo non solo deve essere informato ma anche condiviso in quanto sistema in evoluzione che implica la 49


saggi

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Associazione Culturale Pediatri Congresso Nazionale ACP

Il pediatra e la Comunità 20 -21-22 ottobre 2005 NAPOLI Castel dell’Ovo, Sala Italia Programma molto preliminare

conoscenza e la partecipazione e che può essere negoziato (15). L’informazione da parte dei curanti deve essere continua, e quindi comprendere ogni fase terapeutica e il passaggio dall’una all’altra. Ulteriori consensi scritti non devono essere richiesti, se non si passa ad altro programma. Nel bambino e nell’adolescente questo processo deve tenere conto dei meccanismi di difesa psicologici dell’ “io” e dei rapporti relazionali che si vengono ad attivare nell’ambito della famiglia e con i medici curanti. Per quanto riguarda la capacità a comunicare, è opportuno che negli studi di medicina e in particolare in quelle specializzazioni dove entra in gioco la necessità del consenso informato e la gravità del malato, sia esso adulto o minore, questo insegnamento debba essere maggiormente rappresentato, considerando importanti e basilari le conoscenze dell’etica e degli aspetti relazionali. Per quanto riguarda la pediatria è auspicabile che specializzandi e giovani pediatri, sia che frequentino reparti ospedalieri o no, debbano ricevere un insegnamento specifico che porti loro alla conoscenza di quei valori, attitudini e abilità necessari per realizzare una vera cura globale e il cosiddetto “disease management” del bambino considerandolo inserito costantemente nella sua famiglia (15). Un training particolare deve essere riservato alla cura degli adolescenti. Leggi internazionali e italiane

Convenzione Internazionale dei Diritti dei Bambini, proclamata a New York il 20 Novembre 1989. L’articolo 12 afferma che il minore ha diritto ad esprimere la sua opinione che deve essere tenuta in considerazione. American Academy of Pediatrics, 1995: Commissione di Bioetica sul consenso informato e sull’assenso del minore; pubblicazione di lineeguida. Italia: Legge 285/97 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, Legge 451/97 che istituisce una Commissione Parlamentare

permanente, un Osservatorio nazionale, un Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza siano essi italiani o stranieri. Tribunale dei Minori. SIOP: costituisce nel 1991 il “Working Committee on Psycho-social Issues”. Nel 2003 pubblica le linee guida sul consenso informato.

Bibliografia (1) Guilbert JJ. Educational Handbook for Health Personel. Genève: WHO, Sixth Edition 1987. (2) Rolland J. Toward. A psychosocial typology of chronic and life-threatening illness. Family Systems Medicine 1984;2:245-62. (3) Durkheim E. Représentations individuelles et représentations collectives. Révue de Metaphysique et de Morale 1898;VI:272-302. (4) Moscovici S. 1961 and 1976, quoted in: Moscovici S. Social représentations: explorations in Social Psychology. Cambridge: Policy Press, 2000. (5) Widdershoven G. A. The doctor-patient relationship as a Gadamerian dialogue: a response to Arnason. Med Health Care Philos 2000;3:25-7. (6) Gadamer HG. Truth and Method. New York: Crossroad Ed. 1989, p. 128. (7) Curry R H, Makoul G. An active learning approach to basic clinical skills. Acad Med 1996; 71:41-4. (8) Makoul G. Medical student and resident perspectives on delivering bad news. Acad Med 1998; 73(10Suppl):35-7. (9) Charon R, Narrative medicine: a model for empathy, reflection, profession, and trust. JAMA 2001;286:1897-902. (10) Caprino D, Wiley TJ, Massimo L M. Childhood cancer survivors in the dark. JCO 2004;22: 2748-50. (11) Wallander JL, Varni JW, Babani L, et al. The social environment and the adaptation of Mothers of Phisically handicapped children. Journal of Pediatric Psychology 1989;14:371-87. (12) Habermas J. The Theory of Communicative Action: Lifeworld and System. A Critique of Functionalist Reason, Thomas McCarthy (Translator), Paperback Reprint edition, Vol. 002, September 1989, Beacon Pr ISBN: 080701401X. (13) American Academy of Pediatrics, Committee on bioethics. Informed Consent, Parental Permission, and Assent in Pediatric Practice. Pediatrics 1995;95:314-7. (14) Spinetta JJ, Masera G., Jankovic M, et al. Valid informed consent and participative decisionmaking in children with cancer and their parents: a report of the SIOP Working Committee on psychosocial issues in pediatric oncology. Med Pediatr Oncol 2003;40:244-6. (15) Massimo LM, Wiley TJ, Casari EF. From informed consent to shared consent: a developing process in paediatric oncology. Lancet Oncology 2004;5:384-7.

20 ottobre pomeriggio L’integrazione delle politiche per la promozione della salute e per lo sviluppo locale M. Petrella Lettura: chi sostiene l’infanzia nel mondo? A. Zanotelli Aggiornamento avanzato: le frontiere della ricerca genetica A. Ballabio Nati per Leggere: a che punto siamo S. Manetti Film: il commento di I. Spada 21 ottobre mattina Editoriale: la comunità e la salute del bambino G. Biasini Aggiornamento avanzato: disturbi funzionali dell’intestino: una nuova classificazione S. Auricchio Uno scenario clinico (programma da definire) Ricerca: proposta di ricerca: la cronicità in pediatria per un’assistenza integrata P. La Gamba Sensibilità dei pediatri ospedalieri italiani nella prevenzione e la terapia del dolore: indagine conoscitiva L. De Seta 21 ottobre pomeriggio Tavola rotonda sulla libertà e l’indipendenza della informazione scientifica oggi in Italia Partecipano M. Bobbio, medico ospedaliero; L. de Fiore, editore; D. Zacchetti, comunicazione e marketing ACP Assemblea nazionale dei soci ACP con elezione di 4 consiglieri e un revisore 22 ottobre mattina La copertina di QACP Saper fare: la disabilità: una nuova classificazione (ICF) M. Leonardi La formazione in ACP F. Zanetto Organizzazione sanitaria: l’integrazione delle politiche per la salute dei bambini e delle famiglie. ACP Campania 22 ottobre pomeriggio Vaccini acp: strumenti per conoscere, strumenti per decidere (tutto a tutti?) L. Grandori Esperienze: un’esperienza di rete tra ospedale e territorio (programma da definire) La formazione a distanza (programma da definire) Per informazioni: acpcampania@tin.it Segreteria organizzativa: DEFLA, tel. e fax 081 402093 e-mail: defla@email.it

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Quaderni acp 2005; 12(2): 51-52

La salute dei bambini della Nazione Europea più povera: il Sud d’Italia Maurizio Bonati, Rita Campi Laboratorio per la Salute Materno-Infantile, IRFMN, Milano Abstract

Children’s health in the poorest European Country: the south of Italy Of the 20.7 million people (36.1% of Italians) living in southern Italy, 35% are poor, living with less than 521 Euro/month. However, 63% of these are living with less than 435 Euro/month, representing a more dramatic figure. This was also confirmed in a recent report on the European Union’s social situation which shows that Southern Italy, with 35% of its people at risk of poverty, can be considered the European country with the highest poverty rate, but also with highest percentage of children. Inequalities within countries are well known and affect child health more than other areas. Social and economic factors are determinants of child health inequalities and the grave matter of childhood poverty. The inequalities concerning Italian children are evident in neonatal mortality, with rates four times higher in the South compared to the North. Furthermore the quality of perinatal care (measured in terms of early neonatal death for low birth-weight children) is associated with latitude. Some indicators also suggest a lack of paediatric services (hospitalization migration index) in terms both of quality and quantity. The inequalities are also related to health prevention (immunization coverage) and social (youth unemployment) and educational (primary school abandonment and school dropout) aspects that have a profound effect on the welfare of Italian children. The Italian scenario concerning the future of all its children is not encouraging. The implementations of public health programs focusing on promoting, monitoring, and improving child wellbeing should be taken on as a recognised challenge and should represent one of the political commitments. Quaderni acp 2005; 12(2): 51-52 Key words Child Health. Inequality. Poverty. Social aspect

Dei 20,7 milioni di residenti nel Sud d’Italia (36,1% degli italiani), il 35% è povero e vive con meno di 521 Euro al mese. Ma il 63% di questi vive con meno di 435 Euro al mese, rappresentando un quadro ancora più drammatico. Questo è stato confermato anche da un recente rapporto sulla situazione sociale dell’Unione Europea che indica che il Sud Italia, con il 35% della popolazione a rischio di povertà, rappresenta la Nazione Europea più povera e anche quella con la più alta percentuale di bambini. Le disuguaglianze tra nazioni sono ben conosciute e colpiscono soprattutto la salute dei bambini. I fattori sociali ed economici non solo condizionano la salute dei bambini, ma sono associati anche alla povertà infantile. Le disuguaglianze che colpiscono i bambini italiani sono evidenti nella mortalità neonatale, con tassi quattro volte più alti al Sud che al Nord. Inoltre la qualità delle cure perinatali (misurate in termini di mortalità neonatale per basso peso alla nascita) è associata alla latitudine. Alcuni indicatori suggeriscono una mancanza di servizi pediatrici (migrazione dei bambini ospedalizzati) sia in termini di qualità che di quantità. Le disuguaglianze sono inoltre correlate con la prevenzione (copertura vaccinale) e con gli aspetti sociali (disoccupazione giovanile) ed educativi (abbandono della scuola dell’obbligo), che hanno un profondo effetto sul benessere dei bambini italiani. Il futuro dei bambini italiani non è incoraggiante. La necessità di un programma di salute pubblica focalizzato sulla promozione, il monitoraggio e il miglioramento del benessere infantile dovrebbero rappresentare un obiettivo primario a cui devolvere le risorse necessarie. Parole chiave Salute del bambino. Disuguaglianze. Povertà. Aspetti sociali Dei 20.734.000 residenti nel Sud Italia (36,1%), 7.333.000 (35,4%) sono poveri e vivono con meno di 521 Euro al mese (1). Ma 4.642.000 di questi “poveri” re-

sidenti al Sud (63,3%) vivono con meno di 435 Euro al mese, rappresentando un quadro ancora più drammatico. Con questo profilo, il Sud Italia può essere consi-

derato il Paese europeo con la più elevata intensità di povertà calcolata sulla base del reddito (2). Inoltre, da quando nel nuovo contesto dei Paesi con maggiori risorse, la povertà è misurata in relazione al numero di famiglie povere, è importante evidenziare che i due terzi delle 2.456 famiglie “povere” italiane risiedono al Sud (3), dove le famiglie sono più numerose che in qualsiasi altro Paese e con un’incidenza di povertà più elevata per quelle con tre o più figli o con un capofamiglia con basso livello di istruzione. Un recente studio di Eurostat (4) rileva che il 15% degli europei, circa 55 milioni, e il 19% degli italiani, pari a 11 milioni, vivono in famiglie che guadagnano meno del 60% della mediana del reddito nazionale (considerati anche i trasferimenti sociali: contributi sociali di vario tipo, a eccezione delle pensioni). L’Italia è tra i Paesi più esposti al rischio di povertà tra i 25 Stati membri dell’Unione Europea ed è al quarto posto, dopo Irlanda (21%), Portogallo e Grecia (entrambi 20%). Il Sud Italia, se considerato come singola nazione, con il 35% della popolazione a rischio di povertà, rappresenta la Nazione Europea più povera. Il Centro Italia (14%) si colloca tra i Paesi a medio rischio e il Nord Italia (6%), insieme a Ungheria, Svezia, Repubblica Ceca e Slovacchia, tra i Paesi che fanno registrare la minor percentuale di abitanti a rischio (figura 1). Le disuguaglianze tra nazioni, che coinvolgono anche i Paesi industrializzati, sono ben conosciute e colpiscono soprattutto la salute dei bambini (5,6). I fattori sociali ed economici non solo condizionano la salute dei bambini, ma sono associati alla povertà infantile. Di conseguenza, il monitoraggio e la complessa pianificazione degli interventi volti al benessere del bambino rappresentano esigenze (diritti) fondamentali per la comunità e il futuro della salute pubblica di una nazione (7). Negli ultimi decenni del secolo scorso, il quoziente di natalità

Per corrispondenza:

Rita Campi e-mail: campi@marionegri.it

internazionale 51


osservatorio internazionale

FIGURA 1: DISTRIBUZIONE PAESI DELL’UE

Quaderni acp 2005; 12(2)

ma respiratorio. Tuttavia, oltre il 22% dei bambini ospedalizzati della Basilicata e del Molise e più del 13% dei bambini della Calabria e dell’Abruzzo migrano al Nord e al Centro, evidenziando una carenza di servizi pediatrici sia in termini di quantità che di qualità. Le ineguaglianze, che colpiscono i bambini italiani, non sono associate solo alle cure sanitarie ma anche alla prevenzione. Il tasso di copertura vaccinale per il morbillo entro i primi 24 mesi di vita, per esempio, varia da 54,9% in Calabria a 89,6% in Toscana (8,9). L’Italia continua ad avere i più bassi tassi di copertura vaccinale per il morbillo tra i Paesi dell’Unione Europea che hanno reso necessario l’avvio della campagna nazionale attualmente in corso per arrivare al tasso di copertura atteso del 90-95% (10). Anche le differenze sociali e culturali influiscono profondamente sul benessere dei bambini. Un rapporto sbilanciato tra domanda e offerta dei servizi sociali pubblici si osserva in Campania e in Sicilia, le regioni con il più alto tasso di natalità (11,5‰ e 10,4‰ abitanti, rispettivamente) e la più bassa percentuale di iscritti alla scuola materna dei bambini di 3-5 anni (96% e 91,8% rispettivamente). La Calabria e la Puglia hanno un tasso di abbandono dalla scuola dell’obbligo 2,5 volte maggiore di quanto accade in Friuli Venezia Giulia (rispettivamente 24% e 9%). Analogo andamento geografico è osservabile per le forze lavoro di 15-19 anni che non hanno un’occupazione: il tasso di disoccupazione giovanile varia dal 65,2% e 61,4% per la Calabria e la Sicilia, al 7,1% del Trentino Alto Adige. In un contesto di questo tipo, caratterizzato da un alto tasso di abbandono scolastico e da un basso tasso di occupazione giovanile, il rischio di vivere in condizioni disagiate (basso livello di istruzione, famiglia povera, lavoro illegale ecc.) per un bambino (e la sua famiglia) che vive nel Sud Italia è sicuramente maggiore di un bambino che vive nel Nord d’Italia. Le disuguaglianze presenti nella società accrescono i bisogni fondamentali di

DEL RISCHIO DI POVERTÀ NEI 25

Rischio di povertà (%)* 35 17-21 13-16 9-12 5-8

* Percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia del 60% della mediana del reddito

in Italia si è quasi dimezzato (da 16,8 negli anni Settanta a 9,2‰ abitanti nel 2001), con una riduzione del saldo naturale tra vivi e morti. Il trend è stato meno evidente nel Sud rispetto al Nord, dove la natalità e la fertilità erano entrambe basse. I due terzi del tasso di mortalità infantile (3,3‰ nati vivi) sono da attribuire alle morti neonatali, in particolare una mortalità neonatale precoce nella prima settimana di vita. La mortalità neonatale varia ampiamente tra le regioni, con tassi quattro volte superiori al Sud (in particolare in Sicilia e Basilicata con tassi del 5,7‰ nati vivi) rispetto al Nord (1,3‰ nati vivi in Friuli Venezia Giulia). Nonostante il peso alla nascita sia considerato uno dei fattori correlati alla mortalità infantile, la distribuzione regionale dei neonati di basso peso e di peso estremamente basso alla nascita è vicina alla media nazionale, pari rispettivamente al 6‰ e 8‰. Comunque il rischio di morte neonatale precoce per un bambino con basso peso alla nascita, per esempio, in Sicilia o in Abruzzo è nove volte quello di un neonato della Valle d’Aosta (rispettivamente 91,7‰ e 101,7‰ verso 11,4‰ nati vivi), indicando una profonda diversità nella qualità delle cure perinatali (strutture sanitarie e assistenza sanitaria) in Italia associata alla latitudine. I tassi di ospedalizzazione pediatrica (≤14 anni) sono simili tra le regioni (la media è di 151,8‰ abitanti) con una prevalenza per i neonati, i maschi e le malattie del siste-

interventi volti al miglioramento della salute affinché i diritti umani e la dignità individuale siano rispettati (11). L’ineguaglianza si fonda sulla deprivazione di alcuni diritti come l’educazione, il lavoro e l’accesso ai servizi sanitari, e significa perdita della dignità umana, che è legata alla povertà (12). Il benessere non è solo una questione di reddito personale o di considerazione nazionale economica (il prodotto interno lordo), ma di diritti sociali e di salute, e di poter creare e utilizzare le opportunità che la vita offre. La garanzia dei determinanti della qualità della vita è essenziale, specialmente per i bambini, fin dalla nascita e per l’intera durata della vita. La salute dei bambini sarà sempre una priorità di una nazione sia al Nord che nel Sud del mondo, fintanto che permangono disuguaglianze socio-sanitarie. Il futuro dei bambini italiani non è incoraggiante. In un Paese con una popolazione prevalentemente anziana e con disuguaglianze regionali in aumento, la necessità di un programma di salute pubblica focalizzato sulla promozione, il monitoraggio e il miglioramento del benessere infantile, dovrebbe rappresentare un obiettivo primario a cui devolvere le risorse necessarie. Bibliografia (1) Caritas Italiana, Fondazione E. Zancan. Vuoti a perdere Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta. Feltrinelli, Milano 2004. (2) http://europa.eu.int/comm/eurostat/newcronos/reference/display.do?screen =detailref&language=en&product=EU_strind&root=EU_strind/strin d/ecobac/eb011. (last update November 12, 2004). (3) ISTAT. La povertà relativa in Italia nel 2003. http: //www.istat.it (4) http://europa.eu.int/comm/employment_socialnews/ 2004/oct/socsit_2004_en.pdf (5) UNICEF. Child Poverty in Rich Nations. Florence, Italy: UNICEF, Innocenti Research Centre 2000. (6) Victora CG, Wagstaff A, Armstrong Schellenberg J, Gwatkin D, Claeson M, Habicht JP. Applying an equity lens to child health and mortality: more of the same is not enough. Lancet 2003;362:233-41. (7) Young ME (ed). From early child development to human development. The World Bank, Washington 2002. (8) Ciofi degli Atti ML, Rota MC, Bella A, Salmaso S ICONA Study Group. Do changes in policy affect vaccine coverage levels? Results of a national study to evaluate childhood vaccination coverage and reasons for missed vaccination in Italy. Vaccine 2004;22:4351-7. (9) A survey on measles vaccination policies in Italian Regions. Ann Ig 2004;16(3):421-8. (10) Ministero della Salute. Campagna straordinaria MRP: http://www.ministerosalute.it/servizio/ campagna.jsp?idarc =9 (last update November 12, 2004). (11) Horton R. Rediscovering human dignity. Lancet 2004;364:1081-85. (12) Spencer NJ. Poverty and child health. 2nd ed. Abingdon, United Kingdom: Radcliffe Medical 2000.

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Quaderni acp 2005; 12(2): 53-55

Mensa scolastica “mediterranea” valutazione qualitativa a punteggio Maurizio Iaia Pediatra, Responsabile del Servizio di Dietetica di Comunità, AUSL Cesena Abstract

Mediterranean school menu: a qualitative evaluation through a point system This paper analyses a new method for a qualitative evaluation of school diets through a point system. The efficacy of the Mediterranean eating style, represented by the symbol of a pyramid, and the important educational role played by schools in promoting good eating habits are shown. Quaderni acp 2005; 12(2): 53-55 Key words Mediterranean diet. Nutritional guidelines. Point system evaluation. School

dietary intake

L’articolo sottolinea l’efficacia preventiva dello stile alimentare mediterraneo simbolicamente rappresentabile in una nuova piramide alimentare e il ruolo chiave educativo delle istituzioni nel promuovere precocemente, attraverso i menù scolastici, sane abitudini. Viene presentato un inedito sistema di valutazione qualitativa a punteggio delle tabelle dietetiche scolastiche, onde rilevare valenze e criticità e attuare eventuali percorsi migliorativi nell’ambito delle mense scolastiche. Parole chiave Dieta mediterranea. Educazione alimentare. Menù scolastici. Valutazione a punteggio L’efficacia preventiva del modello alimentare “mediterraneo” nei confronti delle malattie cronico-degenerative (obesità, malattia-cardiovascolare aterosclerotica, ipertensione, diabete, tumori) è stata ampiamente confermata nel corso degli anni dalla ricerca scientifica sia attraverso studi clinici che con studi di popolazione (1-5) e risulta correlata: a uno stile alimentare in cui prevale il consumo quotidiano “combinato” di alimenti rappresentativi della tradizione mediterranea come cereali poco raffinati, legumi, pesce, olio d’oliva, frutta fresca e secca, verdure (effetto cumulativo e/o sinergismo tra fattori protettivi), con una limitazione di carni rosse, latticini e zuccheri semplici; alla “durata” nel tempo di queste abitudini alimentari. Da qui l’importanza di educare i bambini in ambito scolastico e sin dall’Asilo Nido a sviluppare sane abitudini alimentari mediterranee attraverso percorsi educativi estesi nel tempo, coinvolgendo i genitori, il personale scolastico e le Istituzioni. Un bambino che impara a mangiar bene diventa con maggiore probabilità un adolescente/adulto con equilibrate abitudini

alimentari (fenomeno del tracking) e con un’aspettativa di vita più sana e longeva. Si pensi che molti bambini consumano a scuola, fin dalla più tenera età, cinque pranzi settimanali oltre agli spuntini di metà mattina e del pomeriggio, con un apporto calorico quotidiano che va a coprire mediamente il 50% delle calorie totali (35-40% pranzo, 5-10% spuntino). Le indicazioni per una sana alimentazione scolastica (6,7) devono perciò contribuire a soddisfare i seguenti obiettivi: definire uno sfondo educativo che incida favorevolmente sulle conoscenze, atteggiamenti e comportamenti di bambini e adulti mediante adeguate strategie pedagogiche; garantire la qualità delle materie prime (capitolati d’appalto); proporre menù nutrizionalmente equilibrati nel rispetto dei LARN e delle linee-guida per una sana alimentazione italiana dell’INRAN (8,9), integrati possibilmente da indicazioni generali rivolte alle famiglie per l’alimentazione domestica; garantire un buon livello di gradimento delle ricette da parte dei bambini (giusto equilibrio fra dietetica e ga-

stronomia) in un contesto ambientale e sociale positivo; sostenere la formazione specifica del personale addetto alla produzione/distribuzione dei pasti a tutela della sicurezza igienico-sanitaria (sec. HACCP). Nella figura 1 viene riportata la piramide dell’alimentazione mediterranea, in una versione aggiornata dall’Autore (6,7), applicabile dopo l’età di due anni. Risulta subito evidente, osservando la piramide, quanto sia abitualmente basso il grado di aderenza a tale modello nelle abitudini alimentari di bambini e adolescenti, come evidenziato da varie indagini nutrizionali (si nota: poche fibre da scarso consumo di cereali integrali, verdure, legumi, frutta; eccesso di proteine e di grassi di origine animale; scarso consumo di pesce; frequente consumo di carboidrati ad alto indice glicemico come bevande zuccherate, dolciumi, patate). Le tabelle dietetiche scolastiche devono perciò mirare a incentivare il consumo combinato di alimenti della tradizione mediterranea (6,7). La qualità nutrizionale dei menù scolastici può essere valutata attraverso un sistema a punteggio, recentemente messo a punto dall’Autore di questo articolo e utilizzato dal Servizio di Dietetica di Comunità dell’AUSL di Cesena per la programmazione di nuovi menù e per l’analisi di menù già in atto, al fine di individuare percorsi migliorativi. Inoltre tale strumento può ritornare utile per indagini nutrizionali di tipo epidemiologico. Il sistema di valutazione a punti viene applicato a menù scolastici settimanali, articolati in cinque pranzi, e il punteggio è calcolato in base al “grado di aderenza” a una tabella mediterranea ideale. A. Sono prese in considerazione 10 categorie di alimenti: cereali integrali o semintegrali, legumi, pesce, carne e/o prosciutto, formaggi, uova, verdure cru-

Per corrispondenza:

Maurizio Iaia e-mail: ped.comunita@ausl.cesena.emr.it

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organizzazione sanitaria

Quaderni acp 2005; 12(2)

PIRAMIDE DELL’ALIMENTAZIONE MEDITERRANEA PER L’ETÀ SUPERIORE A 2 ANNI (7)

FREQUENZA NELLE SCELTE ALIMENTARI QUOTIDIANE, SETTIMANALI, MENSILI Le porzioni variano in funzione dei fabbisogni in calorie e nutrienti nelle diverse età secondo i LARN 1996. L’alcol è ammesso in quantità moderate per la popolazione adulta.

de e/o cotte, frutta fresca e/o secca, grassi da condimento, dolciumi. Per ciascuna categoria il punteggio viene valutato in base alla frequenza settimanale nei cinque pranzi consumati a scuola, e lo score varia da 0 a 10: 10 = punteggio buono 17 = punteggio soddisfacente 14 = punteggio insufficiente 11 = punteggio scarso 10 = punteggio molto scarso

Uno stesso alimento può comparire con frequenze settimanali diverse se i menù sono articolati in più settimane: ad esempio il pesce, in un menù articolato in quattro settimane, può comparire una volta alla settimana in due diverse settimane e due volte alla settimana nelle altre due. In tal caso il punteggio medio risultante sarà 7+7+10+10 = 34:4 = 8,5. Se invece comparisse due volte alla settimana in tutte le settimane il punteggio sarebbe 10+10+10+10 = 40:4 = 10. Lo score per ciascuna categoria di alimenti viene valutato come segue: 1. CEREALI INTEGRALI O SEMINTEGRALI almeno una tipologia come pa-

sta, pane o cereali in chicchi: ≥ 3 volte / sett = 10 punti 1 – 2 volte / sett = 17 punti 0 volte / sett = 14 punti

Limitare

2. LEGUMI

a) come ingrediente proteico principale di “piatto unico” in associazione a cereali (es. pasta e fagioli): > 1 volta /sett = 10 punti 1 volta /sett = 17 punti 0 volte /sett = 10 punti b) come ingrediente proteico non prevalente del pasto (es. minestrone o insalata mista con legumi, pasta con piselli), la valutazione aggiuntiva è: ≥ 1 volta / sett = 13 punti NOTA: se in una settimana compaiono una volta pasta e fagioli (7 punti) e una volta pasta e piselli (3 punti), il punteggio complessivo è = 10 punti 3. PESCE

≥ 2 volte / sett 1 volta / sett 0 volte / sett

= = =

10 punti 17 punti 10 punti

4. CARNE e/o PROSCIUTTO/BRESAOLA come secondo piatto o come primo

piatto al ragù di carne: 1 volta / sett = 10 punti 2 volte / sett = 17 punti (se 1 volta carne rossa e 1 volta carne bianca = 14 punti) (se 2 volte carne rossa o 1volta carne rossa + 1 volta prosciutto e/o bresaola > 2 volte / sett = 10 punti ) 5. FORMAGGI come secondo piatto o come ingrediente principale di un primo

piatto di pasta con formaggi a medio-alto contenuto lipidico e proteico (es. ravioli ripieni al formaggio con olio e parmigiano o pasta ai quattro formaggi): 1 volta / sett = 10 punti 2 volte / sett = 17 punti > 2 volte / sett = 10 punti 6. UOVA come secondo piatto o nel pri-

mo piatto come l’uovo: 1 volta / sett 2 volte / sett > 2 volte / sett

ingrediente di pasta al= = =

10 punti 17 punti 10 punti

7. VEDURE crude e/o cotte (escluse patate)

5 volte / sett = 3 - 4 volte / sett = < 3 volte / sett =

10 punti 17 punti 10 punti

8. FRUTTA FRESCA e/o SECCA

5 volte / sett = 3 - 4 volte / sett = < 3 volte / sett =

10 punti 17 punti 10 punti

9. GRASSI DA CONDIMENTO

impiego esclusivo di olio extravergine di oliva o mono-seme: 5 volte / sett = 10 punti 4 volte / sett = 17 punti burro: • come ingrediente di primo o secondo piatto: = 10 punti • come ingrediente in dolciumi: 1 volta / sett = 13 punti >1 volta / sett = 10 punti 54


organizzazione sanitaria

10. DOLCIUMI

0 volte / sett = 10 punti 1 volta / sett = 17 punti > 1 volta / sett = 11 punto B. Il punteggio massimo comprensivo delle 10 categorie di alimenti presi in considerazione è = 100. Si ritiene soddisfacente un punteggio finale complessivo ≥ 70/100. Punteggi inferiori a 70 indicano il bisogno di verifiche migliorative più o meno profonde e più o meno graduali in funzione delle risorse e dei vincoli del contesto locale che vanno valutati in ogni singola realtà. A fianco del punteggio complessivo viene riportata una formula codificata che esprime i singoli punteggi da 0 a 10 per ognuna delle 10 categorie di alimenti considerati: Cereali Legumi Pesce Carne Formaggi Uova Verdure Frutta Grassi da condimento Dolciumi

= CE =L =P = CA = FO =U =V = FR = GC =D

Bibliografia (1) Berenson GS, Srinivasan SR, Bao W, et al. Association between multiple cardiovascular risk factors and atherosclerosis in children and young adults. The Bogalusa heart study. N Engl J Med 1998;338:1650-6. (2) Report of a joint WHO/FAO Expert onsultation. Diet, nutrition and the prevention of chronic diseases. WHO Geneve 2003. (3) Hu FB, Willet WC. Optimal diets for prevention of coronary heart disease JAMA 2002;288:2569-78. (4) Trichopoulou A, Costacou T, Bamia C, et al. Adherence to a mediterranean diet and survival in a Greek population. N Engl J Med 2003;348: 2599-608. (5) Willet WC, Stampfer MJ. La nuova piramide. Le Scienze 2003;414:47-53. (6) Iaia M. Promozione della salute del bambino attraverso l’alimentazione mediterranea. Relazione presentata al Seminario “Mi pappo… tutto?. La qualità della ristorazione scolastica: un obiettivo comune”. Cesena, 11 ottobre 2003. (7) Iaia M. Linee guida nutrizionali nella ristorazione scolastica in Atti Convegno: Alimentarsi con stile. Cesena, 7 dicembre 2004. (8) Istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. Linee guida per una sana alimentazione italiana; revisione 2003. (9) Società Italiana di Nutrizione Umana. Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana. LARN, Revisione 1996.

C’ERA UNA VOLTA IL MANICOMIO “C’era una volta il manicomio… Sarebbe bello che le storie della psichiatria e della malattia mentale potessero incominciare con queste parole. Ma ci vorrà tempo prima di poter dire che il manicomio non esiste più, perché per ora esiste l’intenzione, confermata da una legge dello Stato, di cancellarlo nel giro di pochi anni, per cancellare una delle vergogne della nostra società”. È questo l’incipit di Manicomio perché? scritto da Franca Ongaro Basaglia e pubblicato nel 1982 da Emme Edizioni: un libro per ragazzi; per far capire loro come si era arrivati, nella storia, nella società, nella sanità, “a incatenare e incarcerare della gente malata, fingendo di curarla”. E come spiegare a dei ragazzi il significato della legge 180 (approvata in quell’anno di grandi provvedimenti di salute pubblica che è stato il 1978, con Tina Anselmi Ministro della Sanità, e provvedimenti quali la riforma del Servizio Sanitario Nazionale e le leggi 180 e 194)? Con delle storie. La storia di Giovanni, quella di Elda, quella di Nadia arrivata in ospedale a quattro anni, passata poi all’istituto psicopedagogico, che era nel manicomio, dove ha trascorso l’infanzia per poi passare, al compimento del tredicesimo anno, in manicomio. O la storia di Brunetta, una bambina gravemente handicappata, ricoverata a tre anni in istituto e trasferita a quattordici in manicomio. Storie di segregazione istituzionale, di sofferenza, distruzione e annientamento ammantate di cura e che potevano durare l’intera vita. Storie di vite negate che l’abolizione dei manicomi ha cercato di riscattare e non ripetere. Per gran parte della sua vita, con il marito Franco Basaglia, ha partecipato alle lotte per l’apertura e successivamente l’abolizione dei manicomi. Eppure Franca Ongaro è sempre stata una narratrice di storie che hanno caratterizzato la sua prolifica attività editoriale e il suo sguardo filosofico e sociologico sulla medicina moderna, le istituzioni sanitarie, la bioetica, la condizione della donna. In prevalenza storie “disumane”, ma i suoi primi lavori li aveva dedicati ai bambini: Le avventure di Ulisse illustrate dall’amico Hugo Pratt (il suo autoritratto in divisa da internato diventò il logo del movimento anti-istituzionale) e una riduzione del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott uscirono sul Corriere dei Piccoli tra il ’59 e il ’63. Dal 1984 al ’91 è stata per due legislature senatrice della Sinistra Indipendente e il suo disegno di legge del 1987 contribuì al primo Progetto Obiettivo Salute Mentale, che determinò l’istituzione di piani regionali e la definitiva chiusura dei manicomi (1994). Con la morte di Franca Ongaro Basaglia (Venezia, 13 gennaio 2005) se ne è andata una figura di riferimento di tutte le battaglie civili e culturali che hanno investito l’istituzione psichiatrica, cercando un nuovo senso comune su follia e ragione, salute e malattia, eguaglianza e diversità, diritti e bisogni, perché… da vicino, nessuno è normale. Maurizio Bonati

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Task force sull’allattamento al seno dell’ACP Si è tenuta a Roma l’11 febbraio scorso il primo incontro della Task force sull’allattamento al seno dell’ACP. Erano presenti: Maria Cristina Bessè, Paolo Brutti, Adriano Cattaneo, Stefania Conti, Sergio Conti Nibali, Pino La Gamba, Margherita Locatelli, Maria Rosa Milinco, Elisabetta Tedeschi. Si è discusso a lungo del protocollo di ricerca epidemiologica sull’allattamento al seno proposto alla segreteria per la ricerca, specie rispetto al setting previsto (l’ambulatorio del pediatra di base); si sono esaminati i pro e i contro di questa scelta; alla fine si è convenuto di affidare al CSB uno studio di fattibilità di una proposta alternativa che non prevede (necessariamente) la partecipazione dei pediatri afferenti ai gruppi ACP; l’individuazione dei pediatri dovrebbe avvenire in modo casuale in base all’appartenenza a una macroregione e a una AUSL (scelta anch’essa in modo casuale) all’interno della macroregione; una volta individuati i pediatri, si chiederebbe la loro partecipazione, previo contatto con la FIMP, sia a livello nazionale che locale per un patrocinio dell’iniziativa. Si sono anche apportate delle modifiche al protocollo e alla scheda di raccolta dati. Si è poi deciso di proporre al direttivo ACP un pacchetto formativo di 2 giornate (in corso di definizione con il CSB) che sia rivolto a un gruppo multidisciplinare (non solo pediatri di famiglia, ma operatori dell’ospedale e dei consultori) che abbia una prima parte di nozioni fondamentali di anatomia, fisiologia, valutazione della poppata e counselling e una seconda che sia incentrata sul problem solving condotto da un facilitatore su casi reali affrontati nel proprio lavoro. È stata anche proposta l’idea di prevedere nei corsi (in talune situazioni più avanzate) la partecipazione di gruppi di mamme. Questo tipo di corso potrebbe essere proposto anche ai pediatri che partecipano al progetto di ricerca, in modo da potere eventualmente sperimentare una verifica dell’intervento in un secondo momento. Per quanto riguarda l’organizzazione della

sezione “allattamento al seno” nel sito web dell’ACP si è proposto di attivare un gruppo di discussione, dal quale si potrà trarre spunto per meglio individuare i bisogni formativi e per dar seguito a dubbi, problemi che possono insorgere nella pratica clinica dopo il corso di formazione di base. Si inserirà il manuale del discente del corso di 40 ore dell’OMS, una lista di materiale bibliografico ritenuto di interesse, links con enti, istituzioni e associazioni e una sezione di informazione su eventi, corsi, congressi. È stata poi presa in considerazione la lettera inviata all’ACP dall’IBFAN Italia per la presenza del logo ACP nel manifesto della Federfarma Lombardia; i presenti hanno tutti convenuto che è stato opportuno avallare l’iniziativa in quanto il messaggio che vuol lanciare (i latti adattati sono sostanzialmente uguali) è condivisibile; inoltre è sembrato corretto appoggiare un progetto che mira ad abbassare i prezzi dei latti artificiali; tuttavia i presenti hanno ritenuto utile la sollecitazione dell’IBFAN, che servirà da stimolo per il futuro. Infine si è letta la bozza per una politica nazionale sull’alimentazione dei lattanti e dei bambini preparata da Adriano Cattaneo per il gruppo di lavoro del Ministero per la riunione del 28 febbraio, lo si è condiviso totalmente con l’unico consiglio di inserire un riferimento per i cartellini di dimissione ospedaliera. Sergio Conti Nibali

Vita quotidiana con un neonato non “sano e bello” “C’è un centro qualificato dove i genitori di bambini con prognosi invalidante o infausta imparano a gestire i problemi della vita quotidiana?”. “Gli dò da mangiare nel modo giusto? Respira bene? Dorme in una posizione corretta? Saprò riconoscere le crisi? Con chi posso parlare di questi problemi?”. “Quando senti che il problema è troppo grande, parlane con chi ti può aiutare, impara a reagire, parti dalle cose semplici e prendi nota”. Ci sono momenti in cui il pediatra deve fare un passo in più di aiuto, operando a un livello un poco più complesso: una

diagnosi impegnativa, la nascita di un bambino con patologia grave, la gestione della “quotidianità difficile” richiedono alcuni strumenti e competenze in più. Circa 140 pediatri di famiglia hanno partecipato, nel periodo marzo-maggio 2004, a un corso di formazione sulla comunicazione in presenza di patologie croniche invalidanti o a prognosi infausta (“Vita quotidiana con un neonato non sano e bello. Le difficoltà dei genitori, il ruolo del pediatra di famiglia”), finanziato dal Comune di Milano con Legge 285/97 nell’ambito del Progetto Abilità e promosso dal Settore Abilitazione Precoce Genitori (SAPRE), istituito presso gli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano. Il corso è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto Change di Torino. A completamento della formazione ricevuta, gli stessi pediatri hanno ricevuto un set comprendente un opuscolo informativo sul SAPRE, un cd con filmato contenente testimonianze di operatori e genitori, dieci pieghevoli sul SAPRE da distribuire alle famiglie, cinque “Sbloc-notes” utilizzabili dai genitori per segnare le cose da chiedere al servizio durante il percorso di abilitazione. Realizzato con una grafica concisa ed essenziale e contenente le informazioni realmente utili per i genitori, il materiale è stato concepito come ulteriore strumento nelle mani del pediatra di base, figura cruciale nell’informazione alle famiglie, anche rispetto all’utilizzo del Settore Abilitazione Precoce. Quando nasce un bambino con malformazioni o patologia grave, il pediatra di famiglia entra in campo di solito dopo la dimissione dalla Patologia Neonatale, quando i genitori si trovano a gestire una serie di problemi quotidiani o momenti di emergenza che non sono preparati ad affrontare. Spesso poi le informazioni sono transitate in modo frammentario, confuso, parziale. Tutto questo richiede al medico una maggiore competenza comunicativa e l’utilizzo di abilità un poco più sofisticate per rendere più produttivo lo scambio di informazioni e, soprattutto, per promuovere all’interno della famiglia atteggiamenti più autonomi e una genitorialità più “abile”. Disporre di strumenti adeguati per affrontare in modo più effi56


congressi controluce

cace situazioni di particolare impegno e difficoltà va nella direzione di una vera alleanza terapeutica e di una efficace e meno problematica comunicazione-relazione con la famiglia: in tal senso si colloca e va sottolineata la particolare rilevanza di questa preziosa iniziativa del Settore Abilitazione Precoce dei Genitori. Federica Zanetto SAPRE, Viale Ungheria 29 20138 Milano Tel: 02 55400823; Fax: 02 501164 e-mail: sapre@icp.mi.it

Trieste: assistenza a 360 gradi alla puerpera e al neonato Si è tenuto a Trieste dal 12 al 14 gennaio 2005 il corso “Le cure alla puerpera e al neonato nelle prime settimane”, organizzato dal gruppo di lavoro PUER, in collaborazione con il CSB. Rivolto a tutti gli operatori coinvolti nell’assistenza alla puerpera e al neonato, è stato condotto da un team docenti multidisciplinare: il neonatologo Dott. Gherardo Rapisardi, l’ostetrica Clara Chiodini, le pediatre Dott. Barbara Zapparoli e Nanda Siliprandi, il pediatra counsellor Dott. Michele Gangemi. Obiettivo del corso era l’approfondimento delle metodologie e delle abilità pratiche, oltre che delle capacità relazionali e comunicative, necessarie per il sostegno e l’assistenza alla puerpera. Le tre giornate hanno impegnato i partecipanti con un ricco programma di lezioni ed esercitazioni su argomenti che focalizzavano alternativamente l’attenzione sul neonato e sulla mamma, mantenendo tuttavia sempre una visione d’insieme. Il gruppo di discenti ha partecipato molto attivamente alle lezioni con discussioni, giochi di ruolo, lavori in piccoli gruppi, mettendo ciascuno a disposizione degli altri la propria professionalità: erano infatti presenti ostetriche, vigilatrici d’infanzia, pediatri, ginecologhe. La multiprofessionalità del gruppo è stato un elemento di ricchezza culturale e ha permesso di affrontare più concretamente e “sul campo” le criticità della comunicazione tra operatori.

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Gli argomenti trattati riguardavano l’adattamento neonatale e il benessere della puerpera, la relazione madre-neonato-famiglia, l’allattamento con osservazione della poppata, l’identificazione e la valutazione dei parametri per la cura della puerpera e del neonato, l’identificazione dei fattori di rischio per la depressione puerperale. Per ognuno dei temi affrontati veniva proposta ai discenti una riflessione sugli aspetti comunicativi, con successiva restituzione di alcuni elementi base del counselling sistemico. Questa metodologia didattica che ha ridotto all’essenziale le lezioni frontali e, per quanto riguarda la comunicazione, ha privilegiato la contestualizzazione rispetto alla genericità delle teorie, ha favorito l’acquisizione dei concetti esposti. L’impressione, a fine corso, è che ogni figura professionale possa trarne vantaggio e riportare nel proprio contesto lavorativo degli elementi di cambiamento importanti. Un suggerimento: frequentate le prossime edizioni! Patrizia Elli

SPES: epidemiologia al servizio della salute Il 17 novembre 2004 si è tenuta, presso l’Istituto Superiore di Sanità, la seconda giornata nazionale SPES, durante la quale sono stati presentati i risultati della rete per il 2003 e i risultati di altri studi di epidemiologia pediatrica. Durante il 2003 hanno partecipato alla rete 250 pediatri in media per mese, con una popolazione in sorveglianza di circa 250.000 bambini tra 0 e 14 anni (pari al 3% della popolazione nazionale della stessa fascia di età). I risultati più importanti riguardano l’andamento del morbillo, che durante il 2003 ha avuto ancora una elevata incidenza (544 per 100.000 bambini fino a 14 anni, rispetto a 738 casi per 100.000 nel 2002). Anche nel 2003 il morbillo ha colpito soprattutto il Sud Italia, dove è minore la percentuale di bambini vaccinati contro questa malattia. L’incidenza al Sud infatti è stata 22 volte maggiore rispetto al Nord e 8 volte maggiore rispetto al Centro. Rapportando l’incidenza osservata da SPES alla popolazione nazionale della stessa fascia di età, si

evince che tra il 2002 e il 2003 si sono verificati circa 100.000 casi di morbillo in età pediatrica. Proprio alla luce di questi risultati è stato deciso di valutare con maggiore dettaglio le complicanze della malattia. Si stima infatti che nei Paesi industrializzati una percentuale dal 7 al 30% dei casi di morbillo sia gravata da complicanze, che sono più frequenti nei bambini piccoli (di età inferiore a un anno). Consultando la banca dati nazionale dei ricoveri ospedalieri (Banca dati SDO), il Ministero della Salute ha quindi fornito le informazioni relative a tutti i ricoveri per morbillo verificatisi in Italia nel 2002; non appena la banca dati sarà completa, saranno verificati anche i ricoveri del 2003. Complessivamente, nel 2002 sono stati identificati 3072 ricoveri per morbillo e relative complicanze (Codice ICD-9-CM 055), la maggior parte dei quali (71%) si è verificata al Sud. Oltre il 70% dei ricoveri si è verificato nei bambini di età inferiore a 15 anni; i bambini di età inferiore a 1 anno hanno presentato il tasso di ricovero più elevato. Le complicanze più frequentemente riportate tra le diagnosi di dimissione sono risultate essere quelle del sistema respiratorio, seguite da quelle del sistema nervoso centrale. Sono state infatti registrate 391 diagnosi di polmonite e 81 diagnosi di encefalite. Il costo totale dei ricoveri, valutato sulla base delle tariffe DRG, è risultato pari a circa 4.960.000 Euro. Numerosi dati di letteratura indicano che i costi dei ricoveri rappresentano circa il 40-50% dei costi diretti del morbillo, e il 30% circa dei costi totali che includono anche i costi indiretti (quali il costo delle giornate di lavoro perse dal malato, o dai suoi familiari). Assumendo che queste percentuali siano applicabili anche a livello nazionale, possiamo stimare che nel 2002 i costi diretti del morbillo siano stati di 10.000.000-12.000.000 Euro, mentre se consideriamo i costi totali, si arriva ad una stima pari a circa 16.500.000 Euro. Questi risultati evidenziano chiaramente la necessità di migliorare le strategie di prevenzione del morbillo, come riportato nel Piano Nazionale di eliminazione approvato nel 2003. Michele Gangemi 57


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Effetti indiretti, perplessità e qualche buona novità Luisella Grandori Responsabile prevenzione vaccinale ACP Parole chiave Vaccinazioni, Polio, Meningococco, Rrotavirus

Effetti o “non effetti” indiretti delle vaccinazioni? Numerosi studi hanno cercato di indagare gli effetti indiretti, positivi o negativi, delle vaccinazioni, specialmente nei paesi più disagiati. Lo studio di Vaugelade et al. pubblicato su BMJ nel dicembre 2004 (1), ipotizza un effetto positivo delle vaccinazioni sulla sopravvivenza dei bambini al di sotto dei due anni di vita in Burkina Faso, a prescindere dall’effetto protettivo sulle malattie bersaglio. Risultati opposti a quelli di uno studio precedente effettuato in Guinea-Bissau che riportava un’associazione delle vaccinazioni con una più bassa sopravvivenza (2). Il commento di Fine (3), sullo stesso numero di BMJ, ci aiuta a individuare le criticità collegate a questo tipo di studi. Si tratta innanzi tutto di studi osservazionali e non di studi controllati, inoltre è difficile disporre di documentazione affidabile sullo stato vaccinale; è possibile che i bambini vaccinati abbiano caratteristiche diverse dai non vaccinati; infine, in realtà socialmente tanto compromesse con tassi di mortalità infantile così elevati (90 per 1.000 nati in Burkina Faso), i fattori che influiscono sulla sopravvivenza dei bambini sono innumerevoli, mal definibili e possono agire come confondenti. Il faticoso percorso dell’eradicazione della Polio Il graduale progresso verso l’eradicazione della Polio (dal 1998 al 2003 i paesi endemici sono passati da 125 a 6), ferma il passo nel 2004 con la segnalazione di centinaia di casi provocati da virus polio provenienti dalla Nigeria e diffusi in aree limitrofe prima polio free. La causa risale alla metà del 2003, quando i nigeriani di religione musulmana del nord del Paese, rifiutarono per quasi un anno la vaccinazione nel timore che il vaccino fosse “contaminato” con l’intento di provocare danni (sterilità) al loro popolo (4). Timore successivamente rivelatosi infon-

dato. Nel gennaio 2005 l’OMS segnala un focolaio epidemico in Sudan (5) partito dal Darfur nel maggio 2004. L’epidemia si è diffusa velocemente in 17 dei 26 Stati di questo Paese, raggiungendo i 105 casi. La gravissima situazione sociale e politica di questo territorio impedisce di garantire qualsiasi protezione della salute (oltre ad altri diritti umani fondamentali). Nigeria e Sudan, per ragioni diverse, rappresentano esempi della forte influenza dei fattori sociali e culturali sull’adesione alle vaccinazioni. Altri “effetti indiretti”, sia pure di diversa origine e natura. Per il meningococco in Africa un vaccino prodotto dall’India Anche nel 2004 l’Africa è stata colpita da numerose epidemie di malattia meningococcica (per lo più di tipo A), la più estesa nel Burkina Faso con 2.783 casi e 527 morti, ma anche in Nigeria, Sudan, Chad. Per documentarsi è possibile consultare il sito OMS (6) dove si trovano le epidemie catalogate per anno di insorgenza, dal 1996. La prima, del 2005, viene segnalata nei campi profughi del Chad (7). Il Gruppo di esperti dell’OMS per le strategie vaccinali SAGE (Strategic Advisory Group of Experts) ci informa che è in via di allestimento in India (8), un vaccino coniugato monovalente contro il meningococco A. Un vaccino su misura per l’Africa, prodotto da un altro paese in difficoltà. Il SAGE si è complimentato per il lavoro fin qui svolto dall’India seguendo i criteri indicati dal Progetto per i vaccini contro le meningiti. Una bella notizia, ci complimentiamo anche noi. L’antirotavirus ritorna Dopo l’episodio controverso del 1999 (eccesso di invaginazioni intestinali nei vaccinati), che provocò il ritiro del vaccino antirotavirus (RotaShield della Wyeth) introdotto da pochi mesi nel calendario USA, vengono ora resi disponibili nuovi vaccini (9). Il Rotarix della GSK verrà adottato in Messico, il Rota Teq della Merck dovrebbe essere approvato dall’FDA per la fine di quest’anno. Per il vaccino LLR, disponibile in Cina,

pare che i dati di efficacia e sicurezza di pubblico dominio siano pochi. Nell’editoriale di Lancet del 25 gennaio 2005 (9), si attribuiscono annualmente al rotavirus circa 2.000 morti in Messico e circa 100 negli USA. Questo vaccino rappresenta quindi una speranza importante per i Paesi più colpiti da questa malattia, ma concordiamo con l’editorialista di Lancet sulla necessità di un’attenta sorveglianza, dopo gli eventi avversi osservati con il RotaShield. Qualcuno lo proporrà anche in Italia? In base a quali dati e a quali valutazioni? Speriamo che non si ripeta una storia che conosciamo fin troppo bene. Sul sito ACP è pronta l’Area vaccinazioni Sul sito web dell’ACP www.acp.it è possibile consultare, nell’Area vaccinazioni, la documentazione di base consigliata (siti, bollettini, raccomandazioni nazionali e internazionali), i documenti predisposi dal Gruppo vaccinazioni ACP e un’informazione periodica sulle novità attraverso le news. Andate a guardare! Sono gradite osservazioni, critiche e richieste da indirizzare a Luisella Grandori luisegra@tin.it. Bibliografia (1) Vaugelade J et al. Non specific effects of vaccination on child survival: prospective cohort study in Burkina Faso. BMJ 2004;329:1309-11 (2) Kristensen I et al. Routine vaccinations and child survival: follow up study in Guinea-Bissau, West Africa. BMJ 2000;321:1435-9 (3) P.E.M. Fine. Non-specific “non-effects” of vaccination. BMJ 2004;329:1297-8 (4) Kapp C. Surge in polio spreads alarm in northern Nigeria. Lancet 2003;362:1631 (5) OMS. Poliomyelitis outbreak escalates in the Sudan. WER 2005;80:2-3 (6) OMS. Disease outbreaks by year: http://www. who.int/csr/don/archive/year/en/ (7) OMS. Meningococcal disease, Chad WER 2005;80:10 (8) OMS. Recommendations from the Strategic Advisory Group of Experts to the Department of immunization, vaccines and biologicals. WER 2005;80:14-15 (9) Editoriale Lancet. Hopes and fears for rotavirus vaccine. Lancet 2005;365:190

Per corrispondenza:

Luisella Grandori e-mail: luisegra@tin.it

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Come può il sorriso dei bambini fare paura? Alla luce del sole di Roberto Faenza Italo Spada Comitato cinematografico dei ragazzi

15 settembre 1993: un prete di 56 anni, Don Giuseppe Puglisi, viene ucciso al centro della piazza del quartiere Brancaccio di Palermo, lo stesso quartiere dove aveva trascorso la sua infanzia e dove svolgeva il suo apostolato. Prima di morire, guardando in faccia i suoi assassini che conosceva benissimo, dice: “Vi aspettavo”. Oggi, dopo le dichiarazioni dei pentiti, sappiamo il motivo vero per cui la mafia decise di eliminarlo: “Quel prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole. Per questo lo abbiamo ammazzato”. Dunque, dove c’è la mafia si muore anche perché si tolgono i bambini dalla strada e perché si parla troppo. Che la parola dia fastidio a chi ama il silenzio è una cosa risaputa, giacché il più classico dei motti mafiosi recita: “Niente so, niente ho visto e niente ho detto; e se quello che ho detto costituisce delitto, è come se non l’avessi detto!”. Può sorprendere, invece, il divieto di togliere i ragazzi dalla strada. Precisiamo, allora, questa legge mafiosa che non sta scritta da nessuna parte, ma alla quale difficilmente ci si può opporre. Chi nasce in certi quartieri è già marchiato dalla nascita: è un “caruso di strada”, destinato a infoltire la manovalanza della malavita organizzata ed è inammissibile la sua conversione in ragazzo d’oratorio, boy scout, chierichetto. Per lui non ci sono suore con chitarre e giovani che organizzano lotterie di beneficenza, ma catechisti laici che lo fanno diventare “uomo di panza e di sostanza” allontanandolo dai banchi della scuola, mettendogli in mano un coltello al posto di un giocattolo, avviandolo sulla strada delle scommesse clandestine e dello spaccio di droga, regalandogli motorini per scorrazzare nelle viuzze e bombolette spray per scrivere sui muri “W la Mafia”, come segno di esultanza dopo un massacro. Ai bambini di Brancaccio Roberto Faenza dedica l’ultima sua fatica, Alla luce del sole, un film che ci riporta agli anni bui degli attentati firmati dalla mafia a Roma, Firenze e Milano e delle terribili stragi di Capaci e di Via Amelio.

Agli stessi bambini Don Puglisi, che di quel quartiere conosceva tutta la sottile e perfida aria di violenza che vi si respirava, aveva dedicato la sua vita. Voleva “aiutare la gente per bene a camminare a testa alta”: una cosa giudicata dai boss tanto pericolosa quanto le indagini che stavano facendo sui loro conti i giudici Falcone e Borsellino. Dal giorno del suo arrivo a quello del suo sacrificio passano poco più di due anni e, in apparenza, tra la chiesa vuota dell’inizio del film e la piazza deserta della fine non c’è molta differenza: lo stesso prete ammutolito sull’altare boccheggia morente sull’asfalto. Nessun fedele lo ha

accolto, nessuna anima buona lo soccorre. In realtà, all’interno di un lungo flashback, ci sono: un campetto di calcio che ha preso il posto della strada, una prostituta ancora adolescente che trova un amico vero, bambini che sorridono, un fabbricato abbandonato che è diventato un luogo d’accoglienza, delle ore di religione in cui gli alunni prendono coscienza della manipolazione della stampa, una coraggiosa raccolta di firme per avere una rete fognaria, una processione in onore di San Gaetano senza sprechi di fuochi d’artificio e falsa devozione, ragazzi che passano dalla mattanza di animali alla contemplazione del cielo stellato, bustarelle rifiutate, prediche coraggiose fatte sul sagrato della chiesa, sfide

di sguardi e di parole alla luce del sole. Eccola, la strada scelta da Don Puglisi e sottolineata dal bel film di Faenza: il coraggio come risposta alla sopraffazione. Il coraggio della vittima che genera paura nel carnefice. La frase più eloquente, a tal proposito, è una domanda spiazzante: come può il sorriso dei bambini fare paura? Può; certo che può. Può fare paura per una serie di motivi: perché è sintomo della trasformazione delle coscienze, è l’opposto della corruzione, disarma chi si crede padreterno e mammasantissima, è risposta civile a chi usa la cinghia dei pantaloni per imporre la propria legge. Contrariamente a quanto sarebbe stato logico, vedendo Alla luce del sole non ho pensato a I cento passi di Marco Tullio Giordana, ma a un altro bel film che lo stesso Faenza realizzò nel 1994: Jona che visse nella balena. Protagonista di quella storia era un piccolo ebreo olandese che spalancava gli occhi sulla barbarie nazista e trovava la forza di sorridere solo alla fine e grazie all’affettuosa accoglienza di una coppia di anziani coniugi. In quel film, per continuare a sperare, non si poteva fare a meno di aggrapparsi al sorriso del bambino. In questo film, la muta processione dei bambini che vanno a depositare i loro giocattoli sulla bara dell’amico prete sarebbe un mesto de profundis se non fosse seguita dalla poetica immagine finale del monello che sorride a chi l’ha tolto dalla strada. Gli adulti si nascondono vigliaccamente dietro le persiane; i bambini escono allo scoperto e dimostrano con la semplicità dei loro gesti che nessun colpo di pistola può annullare il bene che si compie. Alla luce del sole Regia: Roberto Faenza Con: Luca Zingaretti, Alessia Goria, Corrado Fortuna, Giovanna Bozzolo, Franco Lollo. Italia, 2005; durata 92’ Per corrispondenza:

Italo Spada e-mail: italospada@libero.it

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Il bambino-intruso: mille facce della violenza Carlo Bellieni UO di Terapia Intensiva Neonatale, Policlinico Universitario “Le Scotte”, Siena Abstract

The intruder-child: many faces of violence In this paper violence is analysed not only in its physical aspects but also as a lack of respect toward childhood. This deficiency produces severe damage in child’s development. Roots of such kind of violence lay in the way of looking at child as product or right, and not as a person with his own dignity. Key words Child. Newborn. Violence. Education Quaderni acp 2005; 12(2): 62-64

La violenza all’infanzia viene analizzata non dal punto di vista della comune violenza fisica, ma da quello della mancanza di rispetto verso la specificità dell’età infantile. Questa mancanza può determinare danni importanti nello sviluppo del bambino. L’Autore sottolinea che le radici di questa particolare violenza risiedono nella forma attuale di guardare al figlio come a un prodotto o a un diritto, e non come a una persona con una propria dignità. Parole chiave Bambino. Neonato. Violenza. Educazione In Italia l’infanzia sta scomparendo: il tasso di fecondità è il più basso del mondo (1,2 figli per ogni donna), l’indice di natalità è il più basso d’Europa (9,4%) come la percentuale di popolazione di età fra gli 0 e i 14 anni (15,5%). L’età media delle donne alla nascita del primo figlio ha ormai raggiunto i 30 anni. Nel 2020 in Italia ci saranno 10 milioni di abitanti in meno. E meno bambini vuol dire meno fratelli, meno cugini, meno compagni di giochi: in Italia il bambino del futuro rischia di essere insediato in un mondo di adulti e di anziani (1,2). E rischia la solitudine: il 64% dei bambini gioca da solo per più di 2,5 ore al giorno (il 16% raggiunge le cinque ore di gioco in solitudine), più della metà dei bambini non gioca mai all’aperto; un rapporto Doxa del 2004 dimostra che solo un terzo dei figli mangia insieme ai genitori. Il figlio, insomma, è trattato come un optional; e, se ci pensiamo bene, è proprio il non essere previsti in questa società la prima forma di violenza sui bambini. Sicuramente il tema della violenza sul bambino è agghiacciante. Ma vogliamo allora tentare di considerarlo secondo tutti i suoi aspetti? Troppo facile è infatti limitarsi a stracciarsi le vesti per le “violenze da codice penale” (su cento casi

segnalati di violenza su bambini, 30 riguardano violenza fisica, meno di 10 violenza sessuale e ben 60 sono episodi di violenza psicologica o mentale (3), di incuria o negligenza). Ma da dove nascono queste? Quale cultura, quale patologia dei rapporti vi sta alle spalle? E sono davvero un dissesto isolato o invece l’emergenza di un malessere profondo del modo di concepirsi e di concepire l’altro? Quando si parla di violenza sui minori, la nostra mente è subito attratta a pensare al triste fenomeno chiamato pedofilia. Oppure ad altri gravi avvenimenti quali la violenza domestica o i bambini-soldato nei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia questa patologia non è altro che la punta dell’iceberg-violenza. Non considerare il bambino, presi dallo stupore della sua presenza, non domandarsi “chi sei tu?” lascia solo il campo al pre-giudizio, cioè all’idea che preventivamente ci siamo fatti della cosa, generando una serie di comportamenti talora scorretti, talora francamente violenti. Dal periodo precedente la nascita in cui fa comodo non considerarlo uomo, al paradosso del lattante troppo precocemente “autonomizzato” e a quello dell’adolescente che non si vorrebbe mai “autonomizzare”. Spesso il bambino viene considerato nel linguaggio comune una specie di pro-

prietà dei genitori: si parla di “diritto” al figlio, di “prodotto” del concepimento, di “scelta”. Questo criterio riflette difficili rapporti umani che preesistono alla nascita del figlio e fa prevedere la crisi personale, quando ci si renderà conto che il figlio non è più il bell’orsacchiotto da mostrare agli amici, ma un ospite che ha le sue esigenze, la sua libertà. I pediatri si devono tutti i giorni confrontare con questa sfida culturale quando si relazionano con le famiglie: quante famiglie entrano in crisi perché il bambino non dorme o non mangia e poi, più grande, perché non va bene a scuola, non vuole fare i compiti, esce troppo di casa o, al contrario, arrivato all’età di cercare un lavoro, non se ne vuole andare? Il figlio viene considerato allora come un giocattolo o come un intruso; come un amico con cui giocare o come un elisir di eterna giovinezza per i genitori. Solo raramente si riesce a dire al figlio francamente, potentemente, una parola che è la chiave di volta di tutti i rapporti liberi e costruttivi: la parola “tu”, dove “tu” significa due cose: in primo luogo significa “tu non sei mio”; in secondo luogo “tu vali per il solo fatto di esserci” e non per la soddisfazione che mi dai. L’incapacità a dire “tu” in questo modo profondamente umano è la subdola sorgente della violenza. Pedofilia e percosse sono un epifenomeno (e un reato). Ma il fondo della questione è assolutamente l’incapacità di concepire un rapporto al di fuori dell’idea di possesso. Primi passi Un esempio è l’assoluta indifferenza verso il futuro dei figli con cui si operano certe scelte in campo procreativo. Per chi nascerà non è indifferente nascere da una mamma giovane o da una mamma che biologicamente ha un’età avanzata. Siamo sottoposti alla cultura del make-up, ma nessuno ha ancora inventato un make-up ormonale o uteri-

Per corrispondenza:

Carlo Bellieni e-mail: c.bellieni@tin.it

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no. E le donne che “decidono” di aver figli oltre i 35 anni sono a rischio di provocare conseguenze sul figlio: “La nostra analisi suggerisce che la maternità procrastinata è responsabile di un sostanziale cambiamento nella popolazione del tasso di nascite premature e di basso peso” (4). Si ricordi che “il basso peso alla nascita e la nascita prematura sono le cause più importanti di mortalità neonatale, così come di malattia infantile” (4). Ma non solo: oggi sappiamo che esiste una tendenza di alcune donne a chiedere il taglio cesareo per evitare la nascita per via vaginale (tocofobia). Ma per il bambino, nascere dopo taglio cesareo comporta rischi maggiori rispetto alla nascita da parto spontaneo (5). Non parliamo poi della “scelta” di avere un solo figlio, quando ormai non c’è psicologo o mamma che non sappia quanto al bambino manchi la presenza di altri fratelli. Recenti studi mostrano che il figlio unico è quello a maggior rischio di difetti comportamentali, rispetto a famiglie più larghe (6). Anche la gemellarità è rischiosa per chi nasce, ma sappiamo tutti che la fecondazione in vitro ha aumentato in modo impressionante il tasso di nascite gemellari (7). Amniocentesi e villocentesi sono pericolose per la vita del feto, e addirittura è stata da poco tempo emessa una raccomandazione delle autorità mediche inglesi contro le riprese delle ecografie fetali a scopo di “souvenir”, perché ancora non sono ben chiari gli effetti degli ultrasuoni sul feto (8). Intendiamoci, la diagnosi prenatale è una cosa doverosa e utilissima, se fatta secondo i dettami prescritti dalle Organizzazioni apposite e nell’interesse del feto. Tuttavia, ci si domanda da più parti: è eticamente giusto mettere a rischio la salute del nascituro per soddisfare una curiosità o per l’ansia dovuta alla paura che il figlio non sia come ce lo aspettiamo? Anche sul neonato possiamo avere vari tipi di violenza. In primo luogo la mancanza di rispetto dei suoi ritmi: il neonato ha esigenze periodiche di alimentazione, di cambio di pannolino, di sonno: non possiamo pensare che queste si manife-

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stino all’orario che vogliamo noi, nella quantità che vogliamo noi. È troppo facile sedare un neonato col succhiotto o lasciarlo piangere quando lui ci sta manifestando il suo disagio. Questo vale sia per il personale curante durante il periodo in cui il bambino sta in ospedale, sia per i genitori una volta che il bambino è a casa. Ma la prima violenza che il bambino sente è l’assenza della mamma (9). Questa presenza deve essere garantita sia in ospedale che a casa. È fondamentale, è rassicuratrice e in parte terapeutica. Ma anche dopo l’età neonatale, il bambino va incontro a una sorta di violenza: per il lattante sarà volerlo autonomizzare quando ancora è troppo piccolo per essere auto-gestito e auto-consolato. È il periodo delle cosiddette coliche addominali, dei risvegli notturni: il genitore accorto si rende conto che la sua presenza non

che piange sapere che, quando sta male, non viene lasciato solo, non viene considerato come un ostacolo al sonno e all’attività lavorativa del giorno successivo.

è un optional per il bambino, ma è proprio quello che il bambino cerca, magari dopo una giornata in cui ha visto babbo e mamma solo di sfuggita. Quello che è interessante notare è che la comparsa dei genitori non riesce a calmare le urla del piccolo: talora il bambino ha innescato un meccanismo di inconsolabilità, ed è facile per mamma e babbo perdere la pazienza. Eppure è quello il momento della verità. Ovviamente bisogna essere sicuri che il bambino non sia malato, ma, fatto questo, è fondamentale per il bambino

controllati è una contraddizione”. Aggiunge Tonucci: “Sessant’anni fa la mobilità di un bambino all’età della scuola elementare non era molto diversa da quella dei genitori. Oggi la mobilità dell’adulto è grandemente aumentata, ma quella dei bambini si è ridotta notevolmente. Oggi quasi tutti i bambini sono sempre accompagnati da un adulto, spesso in automobile, a scuola, ai giardinetti, alle varie attività pomeridiane. Questi cambiamenti hanno provocato una diminuzione della possibilità per i

Piccoli abusi crescono 1. I bambini si lamentano di non avere spazi per il gioco che non siano spesso gestiti da società e cui si può solo accedere facendo “corsi” o entrando in “squadre”. Da quando le aree sono gestite dalle società sportive i bambini hanno perso la possibilità di giocare al pallone e possono solo “studiare” calcio, e non è la stessa cosa. Inevitabilmente si stancano dei corsi di sport, di danza, di strumenti musicali che gli adulti regalano loro. “La richiesta, dice F. Tonucci, ben noto dai lettori di Qacp, non è tanto di entrare gratuitamente in questi spazi, ma di avere luoghi diversi, più ricchi. Giocare

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bambini di operare scelte autonome e perciò hanno prodotto un rallentamento del processo di crescita”. 2. La voglia dei genitori di avere una rivincita sulla propria carente riuscita nella vita, può portare a cercare violente richieste di “riuscita” per i propri figli. È sempre stato così, ma nella società del figlio unico è ancora peggio. Tanto che i fenomeni di mini-divismo in cui i bambini sono condotti a scimmiottare gli adulti portano a gravi casi di frustrazione. Non ultimo è il fenomeno in espansione dell’anoressia giovanile che nei casi più gravi conduce al rischio della vita. 3. La violenza mentale dei mass media è lampante e non ci dilungheremo. A. Oliverio Ferraris scrive: “Da un esperimento è risultato che i bambini di cinque anni, che preferivano giocare con un bambino un po’ antipatico ma che possedeva un giocattolo visto in TV, erano in numero doppio rispetto a quelli che sceglievano di giocare in compagnia di un bambino simpatico, ma senza il giocattolo” (10). Tuttavia, il problema importante a nostro avviso non è solo il messaggio consumistico; non è neanche solo il messaggio violento (o la pedofilia viainternet) quanto la perdita del contatto con il reale. “Abituati ai tempi brevi degli spot – dove un’azione inizia, si sviluppa e si conclude – bambini e ragazzi possono avere difficoltà ad adeguarsi ai tempi lunghi della scuola e della lettura, dove l’azione non è sempre rapida e la soddisfazione che nasce dal raggiungere un obiettivo non è immediata” (10). Che dire poi dei programmi in cui è palese il messaggio che la felicità sia dovuta alla bravura in qualcosa di assolutamente inutile o alle bizzarrie della fortuna? Significativo in questo campo è il proliferare di film, telefilm o cartoni animati i cui personaggi sono maghi o streghe. È l’era di Harry Potter, un riuscitissimo prodotto mediatico, il cui messaggio è al fondo che l’impegno e la fatica del ragazzo è di scarso rilievo, secondario per efficacia all’intervento magico. In altre parole, perché darsi da fare con la realtà, quando la magia (e i privilegiati che la possederebbero) possono far tutto senza sforzo?

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4. Ma anche sotto la forma dell’iperprotettività, si può celare una subdola violenza, come scrive il demografo R. Volpi: “La casa, anche e forse maggiormente quella bella, spaziosa e ricca, è concepita come il luogo in cui tenere il bambino al sicuro. E pazienza se, anche per questo, i bambini italiani non partecipano in alcun modo alla vita sociale, non si occupano dei lavoretti di casa, non tengono compagnia agli anziani, non partecipano ad attività associazionistiche. Ma c’è di più: oltre la metà dei bambini non fa mai i compiti con i compagni e il tempo libero lo trascorre soprattutto in casa, davanti alla televisione. Non per scelta, dato che quando è possibile trascorrere il tempo in compagnia, l’interesse per il piccolo schermo cala radicalmente. Ma c’è perfino un 6% di bambini che gli amici non li vede proprio mai”. 5. Come si sa, è sempre in aumento l’età in cui i giovani lasciano la casa dei genitori, è sempre maggiore l’età del matrimonio e quella del primo figlio; sempre maggiore inoltre è il numero delle convivenze non matrimoniali. Questi e molti altri dati ci testimoniano la paura di accedere alla fase adulta della vita. Spesso questa paura è “ereditata” da una carenza di aiuto ad assumere una vita responsabile. Talora la persistenza del figlio a casa è una garanzia di “giovinezza prolungata” per i genitori, che in realtà non fanno granché per aiutare questa separazione. Quanto spesso l’uscita dalla famiglia del figlio rivela il vuoto di contenuto del rapporto tra i genitori! Per questo sembra che i genitori stiano rinunciando alla loro figura come educatori per diventare unicamente “amici” dei loro figli. Se la famiglia ha rinunciato ad educare, qual è il messaggio della società? Purtroppo consiste nel lasciare l’individuo oscillare tra la marea delle sue pulsioni e il proliferare di leggi e divieti. In altre parole, qualunque comportamento viene lasciato non giudicato, tollerato ed eventualmente fatto oggetto di arginamenti tardivi (paradossale ma caratteristico è l’innalzamento delle barriere sui cavalcavia autostradali per arginare il triste fenomeno del vandalismo di chi getta pietre sulle macchine… ma nessuno si è mai posto la domanda sul perché questi

ragazzi si comportavano così!). Al contrario, non c’è un serio impulso educativo, nessun aiuto alla socializzazione, nessuna facilitazione all’incontro, allo stare insieme. L’adolescente per stare con gli altri si riduce al fenomeno triste della non-comunicazione delle discoteche o all’intruppamento delle tifoserie della domenica. Anche questo disinteresse delle istituzioni verso i giovani è violenza. Che dire in conclusione? Che forse abbiamo un’idea di bambino troppo secondo i nostri parametri standard e un’idea di violenza troppo legata alla brutalità fisica. I bambini ci guardano e chiedono rispetto, cioè di essere guardati non più come una proprietà, un diritto, un progetto dei “grandi”. Bibliografia (1) Shaw BA, Krause N, Chatters LM, Connell CM, Ingersoll-Dayton B. Social structural influences on emotional support from parents early in life and adult health status. Behav Med 2003 Summer; 29(2):68-79. (2) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali. Non solo sfruttati o violenti. Bambini e adolescenti nel 2000: Ed. Istituto degli Innocenti, Firenze 2000. (3) Gagne MH. The parental practice of psychological violence: a threat to mental health. Can J Commun Ment Health 2001 Spring; 20(1):75-106. (4) Tough SC, Newburn-Cook C, Johnston DW, Svenson LW, Rose S, Belik J. Delayed childbearing and its impact on population rate changes in lower birth weight, multiple birth, and preterm delivery. Pediatrics 2002;109:399-403. (5) Yamazaki H, Torigoe K, Numata O, Nagai S, Haniu H, Uchiyama A, Ogawa Y, Imamura M, Hasegawa S. Neonatal clinical outcome after elective cesarean section before the onset of labor at the 37th and 38th week of gestation. Pediatr Int 2003 Aug; 45(4):379-82. (6) Taanila A, Ebeling H, Kotimaa A, Moilanen I, Jarvelin MR. Is a large family a protective factor against behavioural and emotional problems at the age of 8 years? Acta Paediatr. 2004;93(4):508-17. (7) Schieve LA, Rasmussen SA, Buck GM, Schendel DE, Reynolds MA, Wright VC. Are Children Born After Assisted Reproductive Technology at Increased Risk for Adverse Health Outcomes. Obstet Gynecol 2004 Jun;103(6):1154-1163. (8) Hopkins Tanne J. FDA warns against commercial prenatal ultrasound videos. BMJ 2004;328: 853. (9) Veijola J, Maki P, Joukamaa M, Laara E, Hakko H, Isohanni M. Parental separation at birth and depression in adulthood: a long-term follow-up of the Finnish Christmas Seal Home Children. Psychol Med 2004 Feb;34(2):357-62. (10) Oliverio Ferraris A. Tv per un figlio. Laterza Ed., Roma 1998.

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IL CENTRO PER LA SALUTE DEL BAMBINO Il Centro per la Salute del Bambino (CSB) è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS) fondata nel 1999 da un gruppo di operatori, in primo luogo pediatri, attivi nel campo della salute del bambino. La missione fondamentale del Centro è quella di promuovere ricerca, formazione e interventi di efficacia dimostrata in aree orfane di attenzione, quali i programmi di prevenzione nelle prime epoche della vita e in adolescenza. A questo fine il Centro si propone di favorire la collaborazione tra operatori e servizi diversi, fornendo documentazione, occasioni di confronto, percorsi di formazione e di ricerca e supporto alla progettazione di interventi integrati. Il Centro svolge la propria attività in collaborazione con Enti pubblici e privati, Associazioni, Società scientifiche, Fondazioni, Istituti di Ricerca, Agenzie Governative e non, nazionali e internazionali.

LE ATTIVITÀ PRINCIPALI 1. Ricerca e documentazione - Conduzione, partecipazione e supporto a progetti di ricerca - Collaborazione con il progetto finalizzato del Ministero della Salute “Sviluppo e valutazione di interventi di prevenzione primaria nel campo della salute infantile” - Coordinamento della ricerca ACP “Studio collaborativo di verifica dell’applicabilità di linee guida in pediatria ambulatoriale. L’esempio dell’otite media acuta” - Ricerca sulle abitudini alla lettura ai bambini, in collaborazione con “Nati per Leggere” 2. Formazione e aggiornamento - Corsi di formazione rivolti a operatori sanitari dell’infanzia (pediatri, neuropsichiatri, riabilitatori, ostetriche e ostetrici-ginecologi, psicologi, infermieri, educatori) - Corsi multidisciplinari sull’abuso e il maltrattamento dei minori per operatori delle aree sociosanitaria, socio-educativa e giudiziaria - Corsi per operatori con responsabilità dirigenziali nel settore materno-infantile - Corsi per operatori sanitari e sociosanitari per le cure agli adolescenti (adattamento del curriculum elaborato a livello europeo dal programma EuTeach) - Corsi su ricerca e sperimentazione clinica in pediatria ambulatoriale

- Corsi per operatori sanitari su promozione e pratica dell’allattamento al seno - Corsi per “peer counsellor” sull’allattamento al seno 3. Sviluppo di servizi e progetti - Attività di formazione e sviluppo di strumenti educativi rivolti a genitori, pianificazione e valutazione di programmi e servizi nell’area maternoinfantile, attività di supporto tecnico per programmi di cooperazione sanitaria internazionale, interventi diretti di cooperazione e solidarietà - Iniziativa “Nati per leggere” - Progetto “Genitori quasi perfetti” di supporto alla funzione genitoriale - Collaborazione al progetto della Regione Calabria “Assistenza domiciliare al puerperio” - Collaborazioni con Aziende sanitarie ed Enti locali per programmi di prevenzione - Percorsi formativi per operatori sanitari sull’allattamento al seno 4. Solidarietà internazionale - Raccolta fondi per il Center for Reproductive Health and Environment di Nukus (Mare di Aral)

Centro per la Salute del Bambino ONLUS Via dei Burlo, 1 - 34123 Trieste Tel 040 3220447 - 040 300551 Fax 040 3224842 e-mail: csb.trieste@iol.it http:/www.salutedelbambino.it


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Nati per Leggere e Leggere per Crescere Il numero di gennaio di Medico e Bambino è tornato sull’argomento del rapporto fra Nati per Leggere e Leggere per Crescere (Quaderni acp 2004;6:12) con questa risposta di Giorgio Tamburlini al dott. Romolo Saccomani della GlaxoSmithKline (GSK) che ha inviato una lettera dopo l’editoriale della rivista, sostenendo l’insostenibile: la non concorrenzialità di Leggere per Crescere rispetto a Nati per Leggere. Rispondo alla cortese lettera di Romolo Saccomani, nella quale mi pare vengano sostanzialmente confermati gli elementi che avevamo con preoccupazione segnalato nel nostro editoriale. Innanzitutto, la concorrenzialità dell’iniziativa GSK rispetto a “Nati per Leggere”, che sta nei fatti ed è andata ben al di là di quanto poteva essere legittimo e soprattutto sensato, proponendosi anche laddove NpL già esisteva ed era in buona, anzi ottima, salute. È proprio questo che molto verosimilmente ha fatto mutare atteggiamento a molti pediatri dell’area veneta (sia soci ACP, vedi in proposito stralci della lettera inviata a GSK dal Presidente Gangemi), i quali inizialmente avevano visto in LpC una iniziativa diversa ma non concorrenziale, esplicitamente nell’alveo NpL, e che poi si sono gradualmente trovati di fronte a una cosa diversa. Lo stesso dimostra una lettera dell’Ufficio per il Sistema Bibliotecario della Provincia di Trento, indirizzata al Coordinamento del progetto “Nati per Leggere” e chiaramente riferita all’iniziativa Unifarm-GSK. Non credo siano necessari altri commenti in proposito. In secondo luogo è evidente – e non dovrebbe essere nascosto, come invece purtroppo è avvenuto e continua ad

avvenire – che l’iniziativa LpC fa parte di una strategia di mercato GSK, che la GSK è naturalmente libera di intraprendere. Infine è altrettanto evidente che un appoggio diretto a NpL, piuttosto che la creazione di una iniziativa separata, avrebbe giovato senz’altro maggiormente alla causa della promozione della lettura (e forse anche alla GSK, ma questo lo lasciamo alla valutazione di chi ne ha la responsabilità). Non è infatti questione di dar vita a cento diverse iniziative, come Saccomani auspica, in aggiunta a NpL: NpL è già un insieme di decine, per l’esattezza oltre 200, iniziative che oramai in tutte le Regioni italiane promuovono la lettura, con modalità e risorse diverse da caso a caso, coinvolgendo pediatri e bibliotecari con l’appoggio di svariati Enti pubblici e privati. In comune ci sono un coordinamento nazionale, una serie di strumenti di formazione e divulgazione, una metodologia (anche di valutazione e ricerca), una serie di collaborazioni internazionali e la filosofia di tenere l’iniziativa il più possibile al di fuori da speculazioni commerciali, e una forte componente di entusiasmo e lavoro volontario da parte di centinaia di operatori di diversa estrazione professionale. Un fatto in sé abbastanza unico, che dovrebbe far rifletter chiunque prima di pensare a iniziative che possano recar danno. A Saccomani… siamo grati per aver supportato (in qualità di direttore incaricato di Edifarm) la nascita di Medico e Bambino, saremmo più grati se volesse far rientrare la sua attenzione per il tema della promozione della lettura in età precoce nell’alveo comune, rigoroso ma già alquanto pluralista, di NpL. Giorgio Tamburlini

Una lettera di Michele Gangemi alla GlaxoSmithKline Al dottor Daniele Finocchiaro Direttore Affari Istituzionali e Comunicazione GSK Egregio Direttore, Le scrivo in qualità di Presidente dell’Associazione Culturale Pediatri, in merito al progetto “Leggere per Crescere”... Sia in Trentino che in Puglia si stanno verificando spiacevoli sovrapposizioni

e opposizioni tra il progetto “Nati per Leggere” (che è già presente nei due territori a cura della nostra Associazione, della Associazione Bibliotecari Italiani e del Centro per la Salute del Bambino) e il vostro ”Leggere per Crescere”. Mi preme personalmente farle notare che mi è stato comunicato dai nostri soci che viene consegnato ai pediatri un opuscolo di “Leggere per Crescere” ove compare il mio nome tra i formatori, senza che venga precisato che, da tempo, ho rassegnato le dimissioni dal vostro progetto. Le chiedo quindi di evitare confusioni tese a far intendere un mio coinvolgimento nel vostro progetto. Le esprimo, inoltre, il disappunto della Associazione Culturale Pediatri per l’inutile spreco di risorse e la scarsa chiarezza nei confronti dei pediatri... 13 dicembre 2004. Michele Gangemi

E ancora su Leggere per Crescere In una lettera al coordinamento di Nati per Leggere, il dott. Saccomani afferma che anche il Direttore di questa rivista avrebbe sostenuto la compatibilità nella stessa area di Nati per Leggere e Leggere per Crescere. Come si usa dire in gergo, “la affermazione è destituita di qualsiasi fondamento”. Il direttore di questa rivista non ha mai trattato il problema con il dott. Romolo Saccomani, né con qualsiasi altro esponente della GSK e ha sempre sostenuto l’incompatibilità delle due iniziative nella stessa area. Come ovvio.

NpL in Umbria Terni. La realizzazione di NpL a Terni è partita dalla proposta di adesione fatta dal gruppo ACP locale alla biblioteca civica nel 2002. La risposta della dirigenza della biblioteca è stata entusiastica, e questo ha suscitato energie aggiuntive nei pediatri promotori. La biblioteca aveva già una sua sezione “ragazzi” ben avviata, logisticamente distaccata dalla sede centrale e, in quel periodo, in via di trasferimento in una nuova e più prestigiosa sede, per cui l’eventuale consenso da parte degli amministratori comunali ad aderire al progetto avrebbe comportato un discreto rivoluzionamento delle planimetrie. La paventata difficoltà non ha preso minimamente consi66


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per stenza nell’incontro con l’assessore alla cultura e con il sindaco, che hanno dato piena disponibilità organizzativa e finanziaria. Con questa carta in mano ci siamo presentati al responsabile del Distretto 1 dell’ASL, che comprende la città di Terni e altri comuni più piccoli per circa 130.000 abitanti complessivi, trovando identica accoglienza e altrettanto consistente appoggio organizzativo e finanziario. Da sottolineare il fatto, culturalmente molto qualificante, che in questo caso il Distretto investiva fondi del suo budget e non fondi extra concessi ad hoc dall’ASL. Dopo tanta manna arrivava la doccia fredda del fallimento della richiesta all’amministrazione provinciale che, pur plaudendo all’iniziativa, si dichiarava impotente a collaborare per una asserita discrepanza con i suoi fini istituzionali, garantendo tuttavia ogni sforzo possibile per trovare una qualche modalità di sostegno; stiamo ancora aspettando, ma siamo sempre fiduciosi di venire smentiti al momento che leggerete queste note, tanto più che attualmente NpL è già avviato anche negli altri due distretti sanitari della provincia. Analogo fallimento con la fondazione della Cassa di Risparmio. A questo proposito raccomandiamo, a chi volesse fare simili tentativi, di informarsi molto bene in precedenza su come formulare la domanda; nel nostro caso il rifiuto è stato motivato con il fatto che i finanziamenti possono essere solo annuali e il nostro progetto era invece quinquennale (sic). Ovviamente torneremo alla carica con un progetto annuale e con migliori raccomandazioni. A maggio 2003 veniva così firmato da ACP Umbria, Distretto 1 e Comune di Terni, un “Accordo di programma” con cui ognuna delle parti si impegnava, sia in termini economici che operativi, per cinque anni. Come gestore del progetto è stato individuato il Distretto, in quanto garantiva maggiore snellezza amministrativa, ed è stato nominato un Comitato tecnico di coordinamento, costituito da un rappresentante per parte. Per l’acquisto dei libri e materiale informativo l’ACP Umbria ha versato, una tantum 2000 Euro mentre Comune e Distretto 3000 Euro ciascuno per ogni anno. Fino ad oggi sono stati acquistati 2600 libri. La biblioteca ha realizzato lo spazio specifico 0-6 anni, ha formato il suo personale, cura la bibliografia per i pediatri, consente il prestito di libri e materiale audio visivo e organizza pomeriggi animati per

i più piccoli. Ha inoltre curato la creazione di biblioteche 0-6 anni in quattro comuni della zona, utilizzando 25.000 euro ottenuti inserendo NpL in un precedente progetto del Comune rivolto alle famiglie nell’ambito della legge 285. Tutte le famiglie dei bambini delle età interessate hanno ricevuto a casa materiale informativo. Per il periodo natalizio 2004 è stato organizzato un piccolo stand di Giragiralibro davanti alla sede della biblioteca mettendo a disposizione dei “passatori” 150 libri per bambini. Il Distretto cura l’acquisto e la consegna dei libri agli 11 pediatri aderenti e diffonde il progetto fra le mamme che affluiscono ai servizi consultoriali. Ha concluso una convenzione con una biblioteca scolastica, che aderisce al progetto, per consentire l’accesso di lettori volontari alle sedi vaccinali. L’ACP di Terni ha curato la formazione dei pediatri e ha fornito loro, e alle sedi vaccinali, piccole scaffalature con relativi libri, da tenere in sala d’attesa. Ai pediatri è stato chiesto di promuovere attivamente il progetto e, in maniera mirata, sollecitare donazioni private, che in un anno hanno raggiunto i 350 euro. La chiave del successo sono le persone coinvolte. Noi siamo stati molto fortunati a trovare, sia nella biblioteca che nel distretto sanitario, dei manager illuminati. E poi soldi, soldi e soldi; ce ne vogliono parecchi e bisogna darsi da fare in ogni modo e con costanza. Per partire li abbiamo trovati, per il futuro ci speriamo. Una volta che il progetto venga ben diffuso, conosciuto e apprezzato, sarà più facile ottenere finanziamenti sia pubblici che privati. Lucio Piermarini Foligno. Nella ASL 3 l’adesione a Nati per Leggere è di 7 pediatri su 14. Esiste un coordinatore del progetto, i cui compiti sono di condividere tutti gli aspetti del progetto con i responsabili delle biblioteche, incontrare gli assessori alla cultura dei vari comuni della ASL e i responsabili dei distretti, tenere i contatti con le librerie. Nell’ottobre del 2003, dopo una conferenza stampa con la presentazione del progetto, si sono tenuti conferenze stampa e incontri pubblici a Foligno, Spoleto, Gualdo Cattaneo. Il comune di Foligno si è fatto carico, per il 2004, della prosecuzione del progetto, inizialmente finanziato con fondi dell’ACP Umbria, acquistando libri e materiale informativo

per i pediatri, che attualmente donano un libro all’età di un anno. Il comune ha anche arricchito lo spazio 0-6 anni della biblioteca comunale e ha ampliato la dotazione libraria; ha allestito spazi di lettura nella UO di pediatria dell’ospedale, negli asili-nido e nelle scuole per l’infanzia. Per il futuro è in programma il coinvolgimento di altri pediatri, il monitoraggio del progetto con la misura dell’incremento di presenze alla bilioteca comunale per l’età 0-6 anni. Mariolina Friggeri

Campania A Montesarchio (Benevento) è in atto il Progetto NpL “Primo libro. Primo amico” organizzato dalla biblioteca comunale “amicolibro” con la partecipazione attiva dei pediatri dell’area. In 100 luoghi pubblici (scuole, studi medici, negozi) sono esposti zainetti col logo, contenenti ciascuno libri illustrati, opuscoli informativi per i genitori e brochure della biblioteca con indicazione di attività relative al progetto, di orari e di quanto concerne la biblioteca, da regalare a bimbi e genitori. In tutti i negozi sono state affisse locandine illustrate con uno scritto di Anita Parrella dal titolo: “Un posto per leggere” e, agli ingressi principali della città, sono stati posti (a spese del tipografo che si è innamorato del progetto) grandi striscioni col logo e con le illustrazioni prodotte per il progetto stesso. Il progetto ha il patrocinio dell’Università degli Studi del Sannio e della Provincia di Benevento-Assessorato alla Cultura.

Piemonte In febbraio e marzo 2005, si sono tenuti tre incontri di due ore ciascuno in un corso di lettura ad alta voce per genitori, insegnanti, operatori sociali e sanitari, volontari presso l’Istituto Comprensivo di Quarona. Il primo incontro è stato dedicato a “Perché i pediatri parlano di libri” con l’intervento del Dott. Andrea Guala, Primario di Pediatria dell’Ospedale di Borgosesia. Il secondo incontro ha avuto per tema “Ascoltare le storie, lette come se fossero raccontate” con Angelo Petrosino, insegnante e scrittore per ragazzi. Il terzo incontro ha avuto per tema “L’importanza di scegliere testi che avvicinino al piacere della lettura” con Piera Mazzone, Direttore della Biblioteca Civica “Farinone-Centa” di Varallo. 67


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Il piccolo paziente rappresenta il “suo dottore” Pasqua Brunelli*, Francesca Vaienti**, Michele Gangemi*** *Psicologa-Psicoterapeuta, **Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia; UO di Pediatria, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena ***Pediatra di famiglia, ACP Verona Abstract

How a child represents “his doctor” A composition in a third grade classroom in which children had to represent their doctor. The child’s own experience in the paediatrician’s way to approach him emerged, within a delicate and particular relationship of care. The description of an “ideal paediatrician” emerged, a pleasant figure, able to communicate well with the child in a joyful and familiar context, an antidote to the distress within a medical examination. Paediatrician’s empathy and tender listening and the child’s involvement can function as a protective barrier from fear of pain and sufferance. The encounter with the child could be a way to bring up secluded needs and hidden troubles. It could be an opportunity for the paediatrician to establish a relationship directed to take care of the child other than to take care of his symptoms. Quaderni acp 2005; 12(2): 68-69 Key words Pleasant environment. Pleasant relationship. Listening. Tender listening.

Child’s involvement

Il tema proposto ai bambini di una terza classe elementare ha evidenziato i vissuti del bambino nei confronti delle modalità di approccio del pediatra in questa particolare e delicata relazione di cura. È emersa la rappresentazione infantile del desiderio di un “pediatra ideale” che si mostri accogliente, capace di comunicare e di rendere il bambino più protagonista, all’interno di uno spazio ambulatoriale più familiare e ludico, antidoto all’angoscia insita in ogni visita medica. L’ascolto affettivo ed empatico del pediatra e il coinvolgimento del bambino possono divenire schermo protettivo per metterlo al riparo dalla paura del dolore e della sofferenza. L’incontro potrebbe rappresentare per il bambino anche un’occasione di apertura, una finestra per far emergere bisogni reconditi e disagi nascosti, e offrire l’opportunità per il pediatra di instaurare una relazione di aiuto più diretta alla cura della persona, piuttosto che del sintomo. Parole chiave Accoglienza ambientale. Accoglienza relazionale. Ascolto. Comunicazione affettiva. Coinvolgimento del bambino “Descrivo il mio pediatra: aspetto fisico, carattere e modo di comportarsi con me quando mi visita in casa o in ambulatorio”: è il tema proposto ai bambini di una terza classe elementare per evidenziare la relazione medico-paziente nella concezione del bambino e i vissuti del bambino nei confronti delle modalità di approccio del pediatra, in questa particolare e delicata relazione di cura. Si vuole osservare se, oltre a elementi di cura in senso sanitario, siano presenti o meno aspetti di sostegno in senso psicologico, di empatia e di rassicurazione che vanno a facilitare e a rinsaldare gli aspetti di prevenzione e cura propri delle competenze mediche. Già la descrizione dell’aspetto fisico del pediatra è rappresentativa del rapporto che il bambino ha con il suo medico. Alcuni bambini lo

vedono come un gigante buono, burlone, oppure come piccolo, grassottello, con la faccia rotonda, simpatico, particolari che denotano la presenza di un rapporto di simpatia: “è abbastanza grassottello, è molto burlone e simpatico”, “ha la faccia rotonda..., è simpatico, sorridente, chiacchierone”, “si può definire un gigante buono”. Altri bambini, invece, ne mettono in luce aspetti più critici che già, dall’aspetto fisico, rivelano elementi di inadeguata accoglienza e di intrusione presenti poi nella relazione, come evidenziano le descrizioni dei bambini: “è pallida, molto magra e ha delle scarpe strane”, “ha il naso aquilino, le ossa delle sue mani sporgono e le unghie sono molto lunghe e anche i capelli sono lunghi… non sorride tanto”.

Queste modalità contrapposte di vivere il ruolo del loro pediatra dipendono da molte variabili, non ultima la rappresentazione infantile del desiderio di un “pediatra ideale”, che si mostri sempre accogliente e capace di rendere il bambino più protagonista nella situazione dell’incontro della visita medica. Da una nostra lettura degli elementi psicologici riportati dai bambini nei temi possiamo sottolineare i seguenti aspetti: I bambini vengono colpiti e, per così dire, catturati, dall’atteggiamento “affettivo” del pediatra: l’essere chiacchierone, fare battute, scherzare, raccontare barzellette sono vissuti in modo piacevole. Anche la flessibilità, la naturalezza nei gesti e i segni positivi d’interesse, prima che al loro disturbo, alla loro persona in generale, creano un’atmosfera di accogliente ascolto (“un aspetto di lui che mi piace molto è che mi coinvolge sempre, poi lui è molto chiacchierone. Sempre, quando andiamo là, ci trattiene un sacco di tempo”; “mi sembra che il suo carattere sia simpatico perché certe volte fa delle battute un po’ spiritose, molte volte dedica tempo ad aiutarci”; “il mio dottore è paziente e gli fa piacere che restiamo lì, a volte mi racconta delle barzellette”). D’altra parte, atteggiamenti di comunicazione affettiva impostata a una prassi medica più rigida e controllata vengono vissuti dal bambino come “barriere” che contribuiscono a creare freddezza e un clima di tensione e ansia (“È molto ordinata e non vuole che si tocchi niente. Non parla mai, fa solo domande. Quando prescrive un medicinale, ti dice solo di andarlo a prendere in farmacia: non ti spiega quanto... insomma non ti dà nessun consiglio!... Un aspetto che m’infastidisce è che, quando mi visita in ambulatorio, non mi saluta neanche”. “Non è molto burlona, non sorride tanto; il primo giorno che sono andato da lei ero tutto contento e ne sono uscito terrorizzato; probabilmente se fosse stata un po’ più burlona, sarei uscito tranquillo. Poi scalda la voce prima di parlare ed è un po’

Per corrispondenza:

Pasqua Brunelli e-mail: pbrunelli@libero.it

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esperienze

quadrata perché è un po’ rigida nelle decisioni. Un difetto che ha è che è un po’ sbrigativa perché, quando sono in sala d’attesa, sento provenire dall’ambulatorio delle urla di bambini. Inoltre il suo telefono squilla ogni secondo, rivolge poche volte la parola a me…”). In questi ultimi casi, ci sembra che venga disatteso il bisogno del bambino di essere tranquillizzato nella propria ansia, collegata a una angoscia inconscia insita in ogni visita medica, la quale potrebbe segnalare al bambino qualche possibilità di essere in pericolo. Il contenimento affettivo del pediatra sembra necessario al bambino come schermo protettivo per metterlo al riparo dal dolore e dalla sofferenza (“Cerca sempre di farmi ridere e ci riesce… se ho male, cerca di non farmici pensare). La capacità del pediatra di coinvolgere il bambino (presente solo in alcune descrizioni riportate) allargando la conversazione a temi di interesse personale, come la scuola, gli amici, il gioco, le attività del tempo libero, è molto importante perché può agire in senso terapeutico nel favorire distensione e canalizzare la paura in spazi protetti e contenitivi, avvertiti come ludici e non ansiogeni (“un aspetto che mi piace di lui è che mi coinvolge sempre”; “con me è sempre sorridente e qualche volta mi chiede se a scuola va tutto bene”; “mi racconta delle barzellette oppure mi domanda se prendo bei voti a scuola, qual è il mio gioco preferito o se mi piacciono le caramelle e i cioccolatini, e da questo dottore non me ne andrei mai”; “mi dice battute molto belle che mi fanno ridere”). In qualche situazione, emerge in modo molto chiaro, nella percezione del bambino, la disponibilità del pediatra a comunicare al bambino il suo sincero interesse alla cura (“tutte le volte che ci vado è felice perché secondo me ha proprio voglia di visitarmi”). Il fare domande direttamente al bambino è un aspetto critico avvertito con modalità contrastanti e ambivalenti da parte del bambino: nella maggior parte dei casi dà una percezione di maggior dedizione e interesse del medico; in altri, è avvertito come intrusivo, se mira a far emergere aspetti intimi che il bambino vuole mantenere celati (“mi arrabbio perché non voglio che conosca il mio peso”) a se stesso e quindi all’esterno, ai genitori in primis. Il fare troppe domande direttamente al

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bambino è considerato noioso nel caso in cui vengano ripetute più volte le stesse domande, dando spazio insufficiente all’ascolto del bambino (“è un po’ antipatica perché fa troppe domande e tutte a me, e inoltre non saluta mai nessuno”). L’ascolto diretto del bambino mette in luce un altro elemento positivo: la possibilità di essere portavoce del suo problema, di poterne parlare in modo autonomo e indipendente dalla percezione che ne ha il genitore. Per il bambino sembra importante, nella relazione triangolare con il pediatra e il genitore, avere lo spazio di rispondere senza che il genitore parli al posto suo, rispettando e valorizzando la capacità di esprimere la sua individualità. Ciò fa sentire al bambino di essere presente nella relazione (di esserci ed essere considerato dagli adulti), di poter essere partecipe in modo più attivo al suo processo di cura (di poter fare qualcosa e quindi di avere delle capacità) e infine di essere considerato e accettato nella sua diversità di opinione dal genitore. In alcuni casi, è frequente nel bambino la rappresentazione mentale di un pediatra che parla e chiede poco a lui direttamente, ma più spesso al genitore, lasciando il bambino sullo sfondo. Purtroppo, in questi casi, il bambino “è costretto a restare muto”, sia per “volontà” del pediatra, nel momento in cui si rivolge solo al genitore, sia perché quest’ultimo “gli ruba la parola”, anche quando la domanda è rivolta a lui (“rivolge poche volte le parole a me e non so il perché”; “rivolgeva le domande a me, io certe volte riuscivo a rispondere, invece certe altre il mio papà rispondeva al posto mio”). È apprezzata dal bambino la capacità di dare informazioni dettagliate con linguaggio e modalità comprensibili sia per il piccolo paziente che per il genitore. Le parole chiare che non lasciano fraintendimenti, e quindi paure nel bambino, lo rassicurano dal timore che rimanga qualcosa di celato, di non detto, o di detto tra le righe al genitore, e quindi di inaccessibile a lui. Il bambino vive in modo piacevole il fatto che il pediatra fornisca spiegazioni e consigli con calma, tatto e delicatezza: questa sembra essere la vera professionalità del pediatra per il bambino! Infine risulta interessante la rappresentazione che il bambino ha dello spazio medico e dell’ambulatorio. Sembra emergere, da parte del bambino, il desiderio di perso-

nalizzare, e anche umanizzare, l’ambiente e gli strumenti (“il metro drago”) che usa il pediatra, percepiti come estranei, freddi e non accoglienti. Il bambino vuole far propri lo spazio e il contesto della visita mediante rituali e atteggiamenti (“mentre la mamma parla, comincio a toccare e a muovere tutto… Chiedo un foglio per disegnare e comincio a scrivere con le penne del MIO pediatra. Quando è finita la visita, mi dà fastidio il rumore della stampante; mi arrabbio perché quando parla, usa sempre il computer!”) che mirano a creare spazi conosciuti, e quindi più familiari e ludici, antidoto all’angoscia che nasce da ciò che è avvertito come distante, freddo e sconosciuto (“in ambulatorio ha un sacco di giochini, gli piacciono un mondo i bambini e li fa giocare in ambulatorio”; “io ho più confidenza con lui di quanto ne ha mia sorella perché è un po’ timida, io a volte prendo un giocattolo e mi metto a giocare”). A conclusione di tutti i temi esaminati, ci piace sottolineare l’importanza della competenza comunicativa del pediatra, nella quale occorre dare priorità alla capacità di ascolto. Il pediatra deve imparare, per così dire, a “perdere tempo” ad ascoltare, ad essere attento a recepire, integrare, interpretare il contenuto verbale e non verbale di ciò che il bambino esprime, decentrandosi rispetto al suo ruolo e alla situazione medica, al fine di guadagnare in efficacia terapeutica. Deve essere disposto al silenzio, a non interrompere, a non anticipare il discorso, ad accogliere l’ignoto e l’imprevisto, non dando nulla per scontato e non presumendo di sapere già. Nell’invio del messaggio al bambino, deve tenere conto del proprio atteggiamento non verbale (sguardo, voce, gesti) e anche della propria situazione emotiva, ascoltando se stesso rispetto ai propri sentimenti e comportamenti, alle proprie reazioni che scaturiscono dalla relazione di cura con il bambino. Tutto ciò affina nel pediatra la capacità di autoconsapevolezza (anche dei propri limiti) e quindi di comunicazione intesa come forma di alleanza terapeutica, contenimento e sostegno, sia al bambino sia alla famiglia. Questi elementi di supporto psicologico possono promuovere aspetti significativi di prevenzione; infatti il dialogo con il bambino può creare, talvolta, una finestra, un’apertura, per far emergere bisogni e disagi nascosti, e offrire l’opportunità al pediatra di instaurare una relazione di aiuto più diretta alla cura della persona, piuttosto che del sintomo. 69


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Eric-Emmanuel Schmitt Il bambino di Noè Rizzoli romanzo 2004, pp 124, Euro 12,00 “Una avventurosa fiaba moderna”. La guerra, il nazismo, la “shoah” visti e vissuti con gli occhi e nel racconto, profondo e lieve al tempo stesso, di un ragazzino ebreo. Belgio, 1942: gli ebrei cominciano ad essere deportati e Joseph, 7 anni, viene affidato alle cure di Padre Pons per sfuggire alla sorte cui pure i suoi genitori sono destinati. Nel collegio-orfanotrofio cambia nome per non essere individuato e impara a praticare, con sempre maggior trasporto ed entusiasmo, i riti cristiani. Nasce una profonda amicizia con Padre Pons, che però non vuole che smarrisca la sua identità religiosa e gli propone un patto: “Tu, Joseph, farai finta di essere cristiano e io farò finta di essere ebreo. Sarà il nostro segreto”. Padre Pons, come un novello Noè, ha paura che tutta la millenaria cultura e tradizione ebraica possano sparire, travolte dalla furia nazista: nella cripta segreta della sua chiesa ricostruisce la sua “arca”, una sinagoga segreta, dove studia di notte la Torah, la Kabbala e gli altri testi sacri rabbinici e dove raccoglie una miriade di oggetti sacri e di testimonianze della cultura ebraica. Finisce la guerra e Joseph deve lasciare l’orfanotrofio. Purtroppo si sono perse le tracce dei genitori e nessuna famiglia è disposta ad adottarlo, quando tutte le domeniche viene sottoposto al rito umiliante di essere messo all’asta in pubblico… ma naturalmente c’è la sorpresa a lieto fine! Eric-Emmanuel Schmitt, francese di Lione, scrive questi brevi racconti (ho già recensito su queste pagine “Oscar e la dama in

rosa”) ed è incredibile come sempre, attraverso una narrazione semplice, apparentemente infantile (spesso vede attraverso gli occhi e parla tramite la bocca di bambini), riesca a dire cose importanti, ma proprio perché espresse in maniera così soave, riescono sempre a lasciare una traccia di speranza, anche quando tratta temi drammatici. Un grande scrittore contemporaneo, ma anche un bravo commediografo. Chi ha curiosità di conoscerlo più a fondo può leggere “Piccoli crimini coniugali”, esilarante dialogo surreale di una coppia che “scoppia” o vederlo in teatro, interpretato da Andrea Jonasson e Gianpiero Bianchi, per la regia di Sergio Fantoni. Fabrizio Fusco

Roberto Grilli, Francesco Taroni Governo clinico Il Pensiero Scientifico 2004, pp 343, Euro 28,00 Di Governo clinico (GC), traduzione non ottimale di Clinical Governance, si parla anche su questa rivista, da qualche tempo. Il volume di R. Grilli e F. Taroni (con un largo numero di coautori) nasce dalla necessità di fare chiarezza sul significato di questa definizione abusata (perfino in campo sindacale). In estrema sintesi, dato che la qualità dell’assistenza (e di qualsiasi altra attività professionale) non nasce automaticamente dal valore legale di un titolo di studio, c’è il problema di garantirla, sia nella efficacia degli interventi fattibili che nell’evitamento di quelli inutili o “opportunistici”. Il movimento della EBM è nato, per gli individui e per i loro gruppi, da questa esigenza anche se un suo limite oggettivo sta nella impossibilità di avere evidenze

per tutti gli interventi utilizzabili e applicabili a tutti i pazienti. Se questo è vero, il volume sembra comunque eccessivamente scoraggiante sull’utilità pratica di questa metodologia. “Il GC vuole agire in modo coordinato sull’insieme dei determinanti della pratica clinica… attraverso scelte coerenti di politica sanitaria” è, indubbiamente, una buona definizione che il volume dà. Ma il problema nasce quando si deve avviare, e fare marciare, il processo attuativo. Il volume di Grilli e Taroni ha il merito di avere cercato di ambientare il problema nei diversi ambiti applicativi: aziende, ospedali, ambulatori. Anche se alcuni degli esempi portati sembrano realizzare solo di striscio il GC, l’avere individuato la sede di avvio alla costruzione di un ambiente promettente nella direzione strategica (meglio nel collegio di direzione) che inizia un processo che coinvolge i sanitari, è già un segno e segna una responsabilità: quella di avviare scelte coerenti di politica sanitaria come dicono gli Autori. La responsabilità di iniziare il processo torna quindi in capo alla direzione strategica, ma ahimè non è chiara la modalità con la quale si dà avvio alla costruzione di una infrastruttura che crei un ambiente fiducioso per lo svolgimento delle attività. L’ipotesi di delegarla a un medico a capo di un gruppetto di colleghi volontari – come in qualche ambito si è cercato di fare – non può produrre risultati; lo dice l’esperienza, lo affermano gli Autori. Fra i sanitari fino ad ora sono state attive, quando lo sono state, solo minute monadi di applicazione spontanea dei principi della EBM: scenari secondo Sackett, linee-guida, audit clinico. Gruppi spesso ignorati e quindi impossibilitati a crescere. Del resto delle difficoltà di creare nuclei di professionisti praticanti una EBM legata alla pratica medica ne sa qualcosa questa rivista che pure opera all’interno di un contenitore teoricamente privilegiato come l’ACP. Della difficoltà del vivere concreto di questi nuclei all’interno del SSN ne sa qualcosa chi si occupa di vaccinazioni, che ha potuto vedere politiche nazionali e regionali fare strame di ogni evidenza disponibile (anche quando queste c’erano abbondantemente) per rispondere solo a “non-si-sa-bene-cosa” o “si-sa-bene-cosa”. Sono anche 70


libri

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buona avvenimenti di questo tipo a generare quella “infelicità dei medici” cui si riferisce Taroni nella sua conclusione. Ma i manager non sembrano granché felici. Dunque, come si fa a far partire questa “idea che entusiasma e mobilita” in un momento in cui l’entusiasmo scarseggia? La discussione è aperta: abbonda il pessimismo della ragione (anche in Taroni); cercasi ottimismo della volontà. Giancarlo Biasini

Massimo Carlotto Niente, più niente al mondo Edizioni e/o, pp. 65, Euro 6,50 Caratteristica comune di tutti i libri di Massimo Carlotto è il tentativo di indagare e di descrivere i processi sociologici in atto e le inevitabili derive del presente. L’ultima sua opera narrativa sfugge l’utilizzo della letteratura di genere, quella che lo ha reso giustamente uno degli scrittori noir contemporanei più importanti nel panorama europeo, e si misura con il racconto lungo sotto forma di monologo. Anche il contesto non è più l’infernale nord-est, che tra immensi capannoni e lustri quanto anonimi ipermercati è stato eletto, forse prematuramente, a modello dell’Italia che sgobba e si arricchisce, ma la Torino della crisi del paradigma post-fordista che proietta le famiglie ex-operaie nell’assoluta precarietà di un presente senza più aspettative. Protagonista è una donna che si racconta, o meglio che non ha più nulla da raccontare oltre al proprio rancore di persona ferita da una vita che l’ha costretta “a servizio” nelle famiglie della borghesia torinese: una vita scandita dalla ricerca di un discount conveniente e dal refrain di un verso di una vec-

chia canzone – Il cielo in una stanza – ballata al suo matrimonio. La sua ostilità è nei confronti di tutto il mondo che la circonda: verso il giovane maghrebino senza permesso di soggiorno, colpevole di amare, ricambiato, la sua “piccola bambina”; verso un marito che fino a poco tempo prima credeva nelle “stronzate” del sindacato; verso la figliola che nonostante “le gambe lunghe, una terza di seno e un sedere che sembra disegnato” si ostina a non voler chiedere di partecipare alle trasmissioni TV della De Filippi o del Grande Fratello. Il vermouth non basta a lenire l’umiliazione della vita quotidiana, a stemperare il fascino patinato dei ricchi e famosi, celebrato nei rotocalchi che legge nelle case delle sue signore. Meglio allora vestire i panni tragici della madre omicida e avere i propri cinque minuti di visibilità che continuare a credere a un improbabile cambiamento: una illusoria distrazione dall’insensatezza del vivere. Peppino Campo

Alice Munro In fuga Einaudi 2004, pp 312, Euro 18,00 “In fuga” raccoglie otto novelle della Munro, tre delle quali sono collegate dalla presenza dello stesso personaggio in momenti diversi della sua vita. Protagoniste di tutte le storie sono le donne, come già nei suoi precedenti libri: di tutte le età, di tutte le estrazioni, di tutti i tempi, donne consapevoli e presenti a loro stesse e donne in balia degli eventi, travolte. Nella prima, una Juliet poco più che ventenne raggiunge un uomo conosciuto durante un viaggio in

treno. Un flashback ripercorre quel viaggio e ci introduce a Juliet, con la sua passione per il greco e il latino, diffidente verso un estraneo di cui lei scoraggia l’approccio (come poteva sapere che meditava il suicidio?), e l’incontro con Eric: ma non c’è un epilogo romantico su quel treno che passa in mezzo ai boschi, questa non è una storia banale, perché non c’è mai niente di scontato o di superficiale nei racconti della Munro. In “Fra poco”, la seconda novella della trilogia, sono passati tre anni e Juliet è ancora in viaggio, con la bimba Penelope questa volta, e torna nel paese della sua infanzia. I suoi genitori le avevano dato un’educazione moderna e libera, ma adesso tanti piccoli indizi – una riproduzione di Chagall finita in soffitta, un’osservazione della madre sul fatto che Juliet sia una ragazza madre, una tirata del ministro della chiesa – le mostrano la piccolezza di un mondo in cui lei non può più adattarsi. Un salto di vent’anni separa “Fra poco” dall’ultima storia che sembra collegarsi circolarmente alla prima. Questa volta Juliet sta andando a raggiungere la figlia che se n’è andata di casa in cerca di se stessa e di una dimensione spirituale che le è mancata. Ma Penelope continuerà a fuggire e Juliet non la rivedrà più: madre e figlia che erano state tanto unite devono crescere entrambe, ma separatamente, ognuna per la sua strada. Ci sono autentiche gemme anche negli altri racconti, tutti con un personaggio femminile nel ruolo principale, sempre in fuga da qualcosa, da qualcuno, dal passato, dai ricordi, mentre una minaccia oscura aleggia nell’aria: una ragazza che cerca di fuggire dal marito e poi torna indietro, un’altra si concede una breve scappata con il fratello del marito (c’è una morte in fondo alla strada), una bambina teme di essere stata adottata (e qui un fantasmino di morte esce dal passato). Bellissima la storia della ragazza che vive per un anno aspettando di rincontrare l’amore di una giornata e poi è beffata dal caso o dal destino che si svela quarant’anni dopo in uno degli stupefacenti salti nel tempo della Munro. Una sola frase può valere per tutte le altre del libro, per sentirne la semplicità profonda, “La conversazione dei baci. Sommessa, eccitante, sfrontata, rivoluzionaria”. Nicola D’Andrea 71


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Anche in Francia i “Nograziepagoio” In Francia è nato un gruppo che si richiama all’italiano “Nograziepagoio”. I firmatari si preoccupano di fondare l’attività e le decisioni degli operatori sanitari sul solo interesse dei pazienti, e si dicono consapevoli che le attività di cura, di formazione o di ricerca possono essere sottoposte a influenze suscettibili di nuocere all’indipendenza e all’etica medica. Queste possono essere: – influenze economiche e finanziarie che intervengono nel campo della salute, con azioni di promozione dirette o indirette nei confronti dei pazienti e dei medici, con finanziamenti ai mezzi di informazione e di attività di formazione e attraverso pressioni sulle autorità pubbliche; – influenze economiche, politiche e finanziare di organismi nazionali o sopranazionali deputati alla elaborazione o applicazione della regolamentazione o della gestione dei mezzi di prevenzione, di diagnosi o terapia; – interessi personali dei professionisti stessi. Si dicono consapevoli che i pazienti possono, anche loro, essere influenzati da sollecitazioni dirette o indirette, da informazioni falsate, da aiuti interessati. Questi possono essere: – finanziamenti alle associazioni di pazienti da parte delle industrie farmaceutiche; – diffusione di informazioni non controllate come pubblicità distribuita direttamente dalle industrie, dai media del grande pubblico, dai leaders di opinione ecc.; – organizzazioni di campagne cosiddette di informazione, condotte dalle industrie. I firmatari si impegnano a: – rifiutare ogni coinvolgimento d’interesse nei confronti delle industrie che intervengono nel campo sanitario; – rifiutare vantaggi in natura, doni e sovvenzioni delle industrie o di altri organismi suscettibili di perseguire interessi diversi da quelli dei pazienti; – adottare una attitudine critica nei confronti della informazione promoziona-

le delle industrie in modo da evitarle, o almeno da confrontarle con sorgenti di informazione indipendenti; – scegliere le sorgenti di informazione indipendenti e privilegiare l’informazione basata sull’evidenza scientifica; – scegliere, ogni volta che è possibile, modalità di formazione, primaria o permanente, indipendenti da ogni sovvenzione delle industrie che intervengono in campo sanitario o di altri organismi suscettibili di perseguire interessi diversi da quelli dei pazienti; – diffondere nei confronti dei pazienti informazioni rilevate da fonti di qualità affidabile, al fine di condividere con loro decisioni che abbiano basi solide.

Allattamento al seno in Parlamento La Commissione parlamentare per l’infanzia ha approvato la risoluzione sulla promozione dell’allattamento al seno presentata dall’On. Valpiana. La risoluzione impegna il Governo (pur non avente alcun valore cogente): – a manifestare maggiore impegno politico nel difendere, promuovere e sostenere l’allattamento materno; – a stabilire e quantificare obiettivi nazionali e regionali per l’aumento della prevalenza e della durata dell’allattamento al seno; – a includere tali obiettivi nel futuro piano d’azione per l’infanzia e nei relativi progetti-obiettivo sulla salute materno-infantile; – a promuovere la formazione degli operatori socio-sanitari per il raggiungimento di tali obiettivi; – ad attivare sistemi di monitoraggio nazionale e regionali per seguire nel tempo, attraverso definizioni standardizzate in campo internazionale e convalidate a livello internazionale, l’andamento dell’allattamento e le attività di promozione alla nascita, alla dimissione dall’ospedale, e in età successive; – ad avvalersi per le campagne di promozione della consulenza multidisciplinare di gruppi e associazioni con riconosciute competenze specifiche nel campo dell’allattamento al seno; – a riconoscere, valorizzare e sostenere le esperienze e le competenze specifiche

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delle organizzazioni di auto-aiuto e di preparazione e sostegno alla maternità operanti da anni in molte regioni per la diffusione dell’allattamento al seno; ad aumentare il periodo di astensione obbligatoria o a modificare il trattamento economico della lavoratrice nel periodo di astensione non obbligatoria al fine di permettere a un maggior numero di donne di continuare l’allattamento al seno almeno fino ai sei mesi di vita previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; a incrementare la rete dei consultori familiari come previsto dalle leggi in vigore; a vigilare che tutte le regioni e le province autonome abbiano proceduto all’applicazione della circolare n. 16/2000; a promuovere e a finanziare con fondi pubblici programmi e iniziative per l’allattamento materno (per esempio l’iniziativa “Ospedali Amici dei Bambini”, gruppi e associazioni di autoaiuto e promozione dell’allattamento, linee telefoniche dedicate ecc.); ad attuare la prevista campagna educativo-informativa rivolta a mamme, donne e professionisti, tenendo conto nell’attuazione delle strategie, dei risultati dello studio ISTAT.

Un altro latte a costo europeo L’UNIFARM, federazione delle farmacie della provincia di Trento, dal 15 febbraio importa il Neolatte 1 e 2 vidimato per i pediatri da Franco Panizon e dai Laboratori universitari di Bologna e Pavia. Viene prodotto in Baviera e distribuito in tutta Italia a 9 euro per 900 g. È stato presentato da Dino Pedrotti alla presenza del Presidente della Provincia e dell’Assessore alla Sanità.

Tumori di bambini e adolescenti in Europa Negli anni Novanta l’incidenza standardizzata per età dei tumori per la popolazione 0-14 anni era di 140 per milione. Sempre negli anni Novanta era di 157 per milione per l’età da 0 a 19 anni. Nell’arco di tre decenni (anni ’79, anni ’80, anni ’90) l’incidenza era aumentata 72


info

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salute dell’1% per anno (p<0.001) nei bambini e di 1.5% (p<0.0001) negli adolescenti da 15 a 19 anni. L’incidenza generale è più alta nei maschi. È stata verificata anche una accelerazione del trend in aumento negli ultimi anni. Possibili bias possono essere indicati in una maggiore accuratezza dei criteri diagnostici, una maggiore efficienza dei registri regionali e nazionali. (Lancet 2004;364:2097)

Quanto costano gli anziani In Italia gli “over 65” (18% della popolazione) assorbono il 40% delle giornate di assistenza ospedaliera, con un costo giornaliero di 422,69 euro. Gli anziani rappresentano il 40-50% dei pazienti ricoverati in ospedale. Considerato che la degenza media è di 11,5 giorni, il ricovero di un “over 65” raggiunge i 4.860,90 euro. La ricerca è dei pensionati della Cisl. (Doctor news 15.12.94)

Tsunami Si calcola che lo Tsunami abbia ucciso in Indonesia 230.000 persone, che si siano perduti in solo giorno dal 15 al 60%, a seconda delle zone interessate dall’evento, degli operatori della salute. 700.000 persone sono, dopo un mese dall’evento, raggiungibili solo per via aerea. Gli ospedali e gli ambulatori sono in gran parte danneggiati. Nello Sri Lanka i morti sono 33.000, di cui la metà bambini; i feriti gravemente sono 15.000 e 87 ospedali sono sostanzialmente fuori uso. In India gli ospedali fuori uso sono almeno un centinaio e nei primi giorni almeno 30.000 persone hanno avuto bisogno di aiuto. In Tailandia sono senza casa 7000 persone; la mortalità ospedaliera è stata del 3 per mille e ci sono stati almeno 1000 casi di diarrea non colerica. (Lancet 2005;365:281)

Vioxx: lo sapevano! Come abbiamo scritto sul numero scorso (2004;6:252) è stato ritirato dal commercio il farmaco Rofecoxib (Vioxx) della Merck per l’aumento di casi di infarto nei trattati. Il farmaco è un antinfiammatorio non steroideo che inibisce la cicloossigenasi che è cruciale per la formazione delle prostaglandine. Il ritiro è avvenuto (30 settembre 2004) perché nel corso di una sperimentazione durata 3 anni si era verificato un ri-

schio eccessivo di problemi cardiovascolari. Ora una metanalisi su 18 RCT e 11 studi osservazionali pubblicata su Lancet (2004; 364:2021) rivela che un rischio inaccettabile di eventi avversi era evidente fino da studi del 2000, 4 anni prima del ritiro: il Rischio Relativo nei RCT era di 2.24 (IC 1.24-3.02). Il Wall Street Journal ha scoperto una e-mail interna della Merck che dimostra la conoscenza del problema fino dal 2000.

I bambini dopo Beslan I problemi dei bambini vittime dell’assalto alla scuola di Beslan si sono sopratutto espressi con fobie, pensieri compulsivi, memorie dell’esperienza, disturbi del sonno, terrori notturni, instabilità emozionale, crisi di paura, depressione, pensieri di morte. I bambini sono particolarmente terrorizzati di fronte a rumori banali di forte intensità: scoppio di palloni, oggetti che cadono, porte che sbattono. Di fronte a questi e a paure interne cercano di nascondersi; alcuni dormono solo tenendo le mani dei genitori. Una divisione di medicina psicosomatica con 7 psicologi è ora in funzione a Beslan, una cittadina di 35.000 abitanti. Con i bambini i metodi terapeutici più usati sono art-terapia, gioco-terapia e lettura e narrazione. Il ciclo di terapia dura 3 settimane e include viaggi, visite a Mosca, soggiorni nelle spiagge del Mar Nero. I problemi che nascono dai viaggi e i soggiorni consistono nel fatto che durante questi c’è poco tempo per il trattamento psicologico. I casi più gravi sono stati trasferiti a Mosca in Istituti psicoterapici. I problemi più seri consistono nella mancanza di riferimenti sicuri circa il trattamento dei bambini che si sono trovati dentro eventi disastrosi: anche se in Russia, come in Bosnia, oramai, purtroppo, c’è un certo numero di persone che ha avuto questa esperienza. Sono stati proposti alcuni “aiuti” da Scientology e altre organizzazioni similari, che sono stati respinti. Si stanno svolgendo alcuni seminari con i medici locali per fornirli di suggerimenti comportamentali per i loro rapporti con le vittime. Un altro elemento ritenuto molto importante è l’attivazione del capitale sociale: pari, famiglie, scuole. Si presume che almeno il 5% delle vittime abbia

bisogno di assistenza psicologica per 5-10 anni. (Lancet 2004;364:2009)

Addio catena del freddo Una società indiana (Panacea Biotec) produrrà entro 5 anni un vaccino che non necessita di essere conservato in frigorifero e il cui principio è di una società inglese (Cambridge Biostability Limited). L’idea si basa sul principio della anidrobiosi per cui i microrganismi si conservano anche per centinaia di anni aumentando il contenuto di carboidrati dei loro fluidi. Questo li fa rimanere in animazione sospesa e basta reidratarli perché riprendano una vita normale. In pratica il vaccino viene incapsulato in microsfere di zucchero; una volta iniettate, le microsfere si sciolgono nei fluidi corporei rilasciando i componenti del vaccino. Rispetto alla catena del freddo il nuovo metodo permette un risparmio annuo di trecento milioni di euro all’anno. (Le scienze 2004;436:28)

In breve Offerta Agostino Traini è un illustratore di libri per l’infanzia. Abita a Roma. Ha deciso di offrire gratuitamente la sua opera per decorare ambienti ospedalieri pediatrici. Si può scoprire la sua mucca MoKa su: http:// www.unilibro.it/find_buy/result_scrittori.a sp/scrittore=Traini+Agostino&idaff=0. Informazioni su scienza e tecnologia In USA le informazioni su scienza e tecnologia giungono agli adulti per le seguenti vie: TV 44%, libri 2%, internet 9%, Magazine 16%, quotidiani 16%, radio 3%, altro 6%. (ADNKronos 20 gennaio) Harvard Il presidente di Harvard, Larry Summer ha detto che le donne sono così poche al vertice della scienza da pensare che vi sia una incompatibilità genetica fra pensiero scientifico e attività cerebrali femminili. Poi si è scusato. (Nature 2005;423:339) I cinesi passano al Viagra Due indagini nelle farmacie di Hong Kong hanno dimostrato una caduta delle vendite di peni di foca e del velluto di corna di renna, classici rimedi cinesi per la scarsa potenza sessuale, e un aumento di vendite del Viagra. Il cambiamento è stato particolarmente gradito da foche e renne. (Le scienze 2004;436:32) 73


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Una regola o un rapporto? Caro direttore, nella risposta alla lettera “Ma chi detta le regole?” (Quaderni acp 2004;11:6:255) lei afferma che la responsabilità di questa situazione assistenziale non è solo dei pediatri (come io suggerivo), ma anche delle famiglie. La mia frase, che riconosco provocatoria, ha tuttavia una sua verità. Siamo tutti consapevoli che la famiglia occidentale è drammaticamente cambiata dall’ultimo dopoguerra e soprattutto dagli anni ’70 in poi, e continua a trasformarsi, ma così non è stato del contratto che regola l’assistenza che noi offriamo ai bambini e alle loro famiglie. Due brevi note: una ricerca di una ASL di Roma, diffusa anche dalla stampa nazionale nel marzo 2000, indicava l’eccessivo uso dei ricoveri ospedalieri come una conseguenza dell’ansia di genitori e pediatri con conseguente ipercura dei bambini. Una sentenza della Cassazione dell’agosto 2001 (n° 10389/2001) condannava il pediatra reo di non aver visitato un bambino che presentava qualche linea di febbre. La semplice consultazione telefonica non era stata ritenuta sufficiente dai genitori che richiedevano la visita del medico che avrebbe placato la loro ansietà. I giudici hanno confermato tale punto di vista indicando nel “sollievo della sofferenza” del genitore il dipendere del benessere psicofisico del bimbo. In questo ultimo caso i giudici, pur affermando che il benessere psico-fisico di una persona non è autonomo dagli affetti familiari, hanno consegnato al bambino il ruolo di oggetto, mentre l’ansietà del genitore è diventata il soggetto. Al bambino visitato senza che il professionista ravvisi la necessità (assumendosi ovviamente le proprie responsabilità) cosa diciamo con il nostro comportamento? Che è lui, il bambino, la causa della preoccupazione dei genitori? Che i genitori non sono in grado di accudirlo autonomamente? Che il suo corpo “febbricitante” è qualcosa di negativo che va in ogni modo analizzato e combattuto? E così via con tutto quello che può comportare il medical shopping sulla crescita del bambino. Quindi, ipercura e medical shopping, due condizioni di rischio che non nobilitano affatto la nostra professione. Mi chiedo se qualche associazione scientifica pediatrica

ha preso posizione su queste aberrazioni della nostra professione. Se è presente un servizio sanitario pubblico, è giusto che venga utilizzato dall’utenza. Se questo servizio non ha limitazioni, o lo si propone senza regole che tutelino sia il servizio che il bambino, non si deve chiedere all’utenza la capacità di autolimitarsi spontaneamente. Il servizio, nel nostro caso, viene elaborato e offerto dai pediatri. Quindi è giusto che, nel bene e nel male, i pediatri siano i responsabili dei risultati di questo servizio. Allora prendiamoci le nostre responsabilità. Costantino Panza Esiste sempre un rovescio in ogni situazione. La necessità di regolare i rapporti fra pediatri e famiglie è una impresa difficile e quindi difficilmente attribuibile a una convenzione o a una legge, ma piuttosto alla costituzione di un rapporto di fiducia fra i due contraenti. Certamente nella costruzione di questo rapporto la disponibilità del pediatra è altrettanto importante della capacità di udienza da parte delle famiglie. A Tabiano se ne è discusso, dando ragione a Panza.

Qualcosa di importante è successo Caro direttore, forse ci è sfuggito, ma di recente è successo qualcosa di molto importante. Lo stato si è dimostrato incapace di controllare i prezzi del latte artificiale: gli avanti-indietro del modesto Sirchia in realtà hanno determinato o una diminuzione insignificante dei latti o – secondo il Corriere della sera del 12 febbraio – addirittura un aumento. L’iniziativa privata mossa dalla pubblica opinione (peccato che anche persone e pediatri un tempo sensibili non abbiano partecipato a questo movimento) è stata capace di muoversi e determinare una forte diminuzione di prezzo. Forse questa è una modesta dimostrazione di come la pubblica opinione possa muovere più di quanto si pensi. In verità ci sono sempre state industrie (a mia conoscenza Sicura, Vecchi e Piam) che hanno sempre venduto a prezzi favorevoli, ma non ancora europei. Ma a decidere la contesa è entrata in campo, prima, la Coop che ha determinato la possibilità di comprare latti a prezzi europei nei supermercati. Ora sembra che scenda in campo anche Federfarma (l’as-

sociazione dei farmacisti): introdurrà in commercio un latte a prezzi europei. Quindi supermercati e farmacie con due iniziative diverse e collaterali conquistano una loro funzione di calmiere e di questo non possiamo non essere contenti. Hanno ricostituito un mercato che era andato distrutto. Che mercato ci sia è dimostrato dal fatto che molti che hanno cercato il latte Coop nei supermercati mi dicono che si è esaurito rapidissimamente. A me non interessa sapere se in Italia si venderà più latte Coop o più latte della Federfarma (cui auguro lo stesso successo della Coop) o più latte della Nestlè. A me interessa che ci sia la possibilità di scelta su latti per la produzione dei quali ci si attenga alle direttive della Commissione Europea e al Regolamento italiano inerente la produzione di alimenti. Ma c’è di più. Se Coop e Federfarma mettono in commercio ora i loro latti vuol dire che l’operazione è iniziata molto tempo fa. Vuol dire che ambedue gli imprenditori si sono resi conto del problema almeno un paio di anni fa. Un paio di anni fa vuole dire quando molti di noi, anche autorevoli, sostenevano che il problema o non c’era o era insolubile. Ora mi dicono che su una corposa mailing list c’è qualcuno che giura che non prescriverà mai latti del supermercato e sopratutto mai latti a basso prezzo. Non so se essere stupito o divertito da questa affermazione, ma penso (o spero?) che saranno i genitori a dipendere sempre meno da noi pediatri di famiglia in ambiti di acquisto in cui la loro autonomia deve essere totale. Orfeo Olimpi La conclusione del dott. Olimpi vale anche per la lettera precedente del dott. Panza. L’autonomia dei genitori è un bene che va conquistato insieme: da pediatri e genitori. Certo proporsi di “non prescrivere” questo o quel latte è un modo per rendere le famiglie sempre più legate al pediatra per qualsiasi decisione: il modo peggiore per garantirne l’autonomia. E qui Panza ha ragione sulla responsabilità dei pediatri. Quanto al caso specifico del latte a basso costo occorre non fare confusione. Anche se fosse gratuito il latte artificiale sarebbe sempre una scelta su cui pensare. Non vorremmo che nascesse un’altra confusione. Poiché c’è il latte che costa poco, possiamo “mollare” sul latte della mamma. 75



Quaderni acp è il bimestrale dell’Associazione Culturale Pediatri; è inviato a tutti i 3000 soci dell’Associazione. Della rivista sono stampate 5500 copie; 2500 copie di ogni numero sono quindi inviate a pediatri non iscritti all’ACP. Gli indirizzi di questi pediatri vengono turnati ogni sei mesi sicché, in un anno, riceveranno almeno tre copie della rivista quasi 8000 pediatri. Cos’è l’ACP L’ACP è una libera associazione, costituita a Milano il 5 settembre 1974, che raccoglie 3000 pediatri organizzati in gruppi locali. La composizione percentuale dei soci dell’ACP ripete quella dei pediatri ospedalieri, universitari e di comunità. La sua attività è rigorosamente no profit; la partecipazione dei pediatri, soci e non soci, alle sue iniziative è subordinata alla sola copertura delle spese. L’ACP ha adottato un proprio codice di autoregolamentazione per i rapporti con l’industria. L’ACP svolge attività editoriale, di formazione, di ricerca e di supporto ai piani sanitari nazionali e regionali. Il suo modo di porsi come Associazione di fronte ai problemi della società, della cultura, della ricerca e della professione è quello di un’assoluta libertà di critica di fronte a uomini e istituzioni. Ha lanciato nel 1999 il progetto Nati per Leggere, insieme al Centro per la Salute del Bambino e all’Associazione Italiana delle Biblioteche, cui aderiscono attualmente 800 pediatri. Attività editoriale Nel 1974 ha fondato la “Rivista italiana di pediatria” che ha successivamente ceduto, simbolicamente per una lira, alla Società Italiana di Pediatria che tuttora la pubblica. Ha poi pubblicato “Novità in pediatria” e la rivista “Crescita” uscite per tre anni. Dal 1990 ha pubblicato il “Bollettino ACP” e dal 1993 “Ausili didattici per il pediatra”. Le due riviste si sono fuse nel 1994 in “Quaderni acp”. La rivista si compone di due sezioni. La prima pubblica contributi su problemi collegati all’attività professionale dei pediatri, degli psicologi dell’età evolutiva e dei neuropsichiatri infantili. La seconda pubblica materiali che possono essere utilizzati dal pediatra (di base, libero-professionista, ospedaliero) nella sua attività. Si tratta di linee guida, casi clinici significativi, esercitazioni pratiche, EBM applicata alla clinica, narrative medicine, materiali di aiuto alle famiglie nella gestione delle malattie e che quindi possono essere riprodotti e ceduti alle famiglie. Formazione e aggiornamento La “mission” principale dell’ACP riguarda la formazione e l’aggiornamento dei pediatri sia riguardo alla preparazione medico-biologica (sapere, saper fare) che a quella personale (saper essere), e manageriale per quanto riguarda la gestione sia delle risorse economiche che di quelle umane. Ricerca È attivo in ACP un gruppo di soci che svolge attività di ricerca in vari ambiti. È attivo al suo interno un gruppo che si occupa dell’applicabilità della EBM alla pratica clinica. La pagina Web dell’ACP L’attenzione dell’ACP ai mezzi telematici è cominciata con la pubblicazione di Quaderni acp che è redatto completamente con mezzi telematici ed è presente sul sito www.acp.it. La pagina Web è utilizzata anche per i rapporti fra i soci e i gruppi. Attraverso il Web è anche possibile interagire con gli autori degli articoli per chiarimenti, scambi di opinioni ecc.

ausili didattici

Associazione Culturale Pediatri


Quaderni acp 2005; 12(2): 78-79

L’approccio al bambino con ritardo mentale e dismorfismi: la dismorfologia Manuela Priolo, Carmelo Laganà Unità Operativa di Genetica Medica, Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli, Reggio Calabria

Pubblichiamo una versione breve di questo articolo. La versione integrale, completa di iconografia e di glossario, è disponibile sulla pagina Web: www.quaderniacp.it For a complete version of the following article: www.quaderniacp.it Abstract

Approaching a child with mental retardation and dysmorphisms: dysmorphology Genetic syndromes are specific clinical entities characterized by multiple congenital malformations, dysmorphisms, and frequently, mental retardation. Dysmorphology involves various medical specialties, an important role is played by the clinical geneticist whose task is recognizing these specific clinical forms. He should coordinate the interdisciplinary work and support the family. Diagnostic approach of these patients is extremely complex and different for every specific case. In fact, even a simple karyotype needs a precise diagnostic evaluation, useful in order to give geneticist precious suggestions. In this paper, the different modalities and tools used by the geneticist in the diagnostic approach of a patient with mental retardation and dysmorphisms are analysed. Quaderni acp 2005; 12(2): 78-79 Key words Dysmorphology. Multiple malformations. Mental retardation. Cytogenetics

Le sindromi di origine genetica sono delle specifiche entità cliniche caratterizzate da dismorfismi, malformazioni congenite multiple e, nella maggior parte dei casi, ritardo mentale. La sindromologia (o dismorfologia) è una specialità che vanta collaborazioni vaste ed eterogenee coinvolgenti gran parte delle aree della specialità medica. Lo specialista che si occupa del riconoscimento di queste specifiche forme cliniche, il genetista clinico, fornisce un valido e sostanziale aiuto inter-specialistico per un adeguato coordinamento di tutte le fasi necessarie per il corretto inquadramento del singolo paziente e può fornire un più ampio sostegno al nucleo familiare del probando. L’approccio diagnostico ai pazienti con sospetta patologia genetica è molto complesso e differenziato per ogni specifico caso. Infatti anche l’esecuzione di un semplice cariotipo non può prescindere da una adeguata valutazione clinica del paziente che potrebbe fornire preziosi suggerimenti al citogenetista che poi esegue l’esame. Tratteremo in questo articolo alcuni aspetti dell’approccio del genetista clinico al paziente con ritardo mentale e dismorfismi, accennando ad alcuni degli strumenti a sua disposizione e all’iter diagnostico-genetico di alcune delle più frequenti malformazioni osservate. Parole chiave Dismorfologia. Malformazioni multiple. Ritardo mentale. Citogenetica Introduzione Le sindromi di origine genetica sono delle specifiche entità cliniche caratterizzate da dismorfismi, malformazioni congenite multiple e, nella maggior parte dei casi, ritardo mentale. Circa l’1% dei nati vivi presenta anomalie multiple riconducibili a una patologia genetica complessa. Di questi, il 40% è affetto da un complesso malformativo o sindromico riconoscibile e noto, il restante 60% presenta

forme a eziologia sconosciuta e non ancora descritte. Un approccio completo al bambino con ritardo mentale e dismorfismi si avvale delle indispensabili figure del pediatra, del neuropsichiatra e degli altri specialisti che affrontano le varie malformazioni e anomalie presenti nel singolo paziente, della collaborazione del genetista clinico e in particolare con il dismorfologo, specialista che si occupa del riconoscimento di sindromi e patolo-

gie congenite a probabile etiologia congenita/genetica. Alcune definizioni Come già accennato, una sindrome è rappresentata da un insieme di segni e sintomi che sottintende una causa unitaria anche se eziopatologicamente può essere determinata da meccanismi differenti. Una sequenza, invece, è caratterizzata da un insieme di anomalie multiple derivanti da un’unica anomalia primaria o, più frequentemente, da un fattore meccanico, per esempio l’oligoidramnios. Per associazione si intende la ricorrenza non randomizzata di due o più anomalie multiple non riconducibili né a una sindrome né a una sequenza. Generalmente questi complessi malformativi non sono ereditabili. La fenocopia è una forma clinica simile a un’altra per presentazione e gestalt, ma che riconosce una eziologia differente da quella genetica, come fattori ambientali o altri elementi patogeni. Per espressività variabile si intende la caratteristica di alcune patologie congenite genetiche di presentarsi in pazienti differenti o addirittura nell’ambito dello stesso nucleo familiare con caratteristiche e gravità di presentazione diverse. Per malformazione si intende un difetto morfologico a carico di un organo, o una parte di esso o di una regione corporea più vasta, determinata da uno sviluppo anomalo intrinseco. La frequenza globale delle malformazioni è di circa 2-3% di tutti i nati vivi. Per deformazione si intende una anomalia caratterizzata da una anomala posizione o forma di una parte del corpo determinata da forze meccaniche non distruttive.

Per corrispondenza:

Manuela Priolo e-mail: prioloma@libero.it

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aggiornamento avanzato

Per distruzione di un organo, o di una parte di esso o di una regione corporea fetale, si intende un difetto morfologico causato da una alterazione o da una interferenza con un processo di morfogenesi altrimenti normale. Gli strumenti del dismorfologo L’analisi del cariotipo è una indagine di primo livello, raccomandata in tutti i pazienti che presentano anomalie congenite e ritardo mentale. La negatività di tale indagine non basta per escludere una patologia genetica. Le anomalie cromosomiche nel loro insieme sono responsabili solo di circa il 6-7% di tutte le patologie genetiche. L’approccio diagnostico contempla indagini più sofisticate come analisi di citogenetica molecolare o FISH su regioni cromosomiche, indagini di genetica molecolare su singoli geni da non eseguire alla cieca, senza cioè uno specifico dubbio diagnostico. Prima dell’approccio di laboratorio va iniziato un percorso che comprende colloquio anamnestico, albero genealogico, ricorrenza di segni, semplici esami di tipo “non genetico”, per giungere a una definizione clinica, ma la maggior parte delle sindromi malformative può essere identificata attraverso specifiche caratteristiche facciali immediatamente riconoscibili nel loro insieme (gestalt), che possono anche variare con il tempo. Una valutazione seriata del paziente a distanza di intervalli precisi può essere di notevole ausilio. Può risultare utile la misurazione di alcuni parametri antropometrici e craniofacciali. Questo tipo di approccio porta a una diagnosi nel 30-40% dei pazienti. Sistemi computerizzati, vere e proprie banche dati periodicamente aggiornate, possono aiutare nella formulazione di un sospetto diagnostico individuando alcuni segni chiave, maggiori o minori; la loro associazione guida alla individuazione della sindrome. Importante una corretta valutazione dello sviluppo psicomotorio del soggetto, per l’esclusione di ritardo mentale associato, che deve essere considerato a tutti gli effetti una anomalia funzionale maggiore. Si calcola che il 42% di tutti i ritardi mentali presenti tre o più anomalie asso-

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ciate e di questi circa l’80% sia rappresentato da anomalie minori. La valutazione non termina con la formulazione di un sospetto diagnostico dato che alcune patologie genetiche possono presentare un’ampia variabilità del fenotipo (espressività variabile) per cui si devono valutare tutti i familiari a rischio alla ricerca di eventuali segni minimi di malattia per una corretta consulenza genetica. Alcuni esempi Pretendere di voler trattare la totalità o forse anche la maggior parte delle sindromi congenite di tipo genetico è una impresa a dire poco impossibile. In questa breve trattazione e specialmente nel full test disponibile nel Web della rivista forniremo alcuni esempi di patologia sindromica e di malformazioni maggiori chiarendo come, da pochi segni clinici chiave, sia possibile sospettare una sindrome genetica prendendo come esempio la polidattilia (dito o porzione di esso soprannumerario), la ectrodattilia (malformazione complessa con sovvertimento dei raggi centrali degli arti, del carpo e del tarso); risulterà chiaro come la presenza di una qualunque anomalia a carico degli arti implica una attenta valutazione dismorfologica sia per la corretta definizione di anomalia che per l’esclusione di eventuali patologie associate che configurerebbero un quadro sindromico. Le cardiopatie congenite sono un gruppo estremamente eterogeneo di malformazioni, che si osservano in circa l’1% di tutti i neonati come malformazione isolata (90%) con un tipo di ereditarietà di tipo multifattoriale influenzato da fattori esterni o di tipo poligenico, mentre solo il 3% segue una chiara ereditarietà di tipo mendeliano. Un’altra piccola parte è causata da patologie intercorse in gravidanza: infezione rubeolica o diabete materno. Spesso le cardiopatie congenite si osservano in associazione con aneuploidie sia a carico degli autosomi che dei cromosomi sessuali. Alcuni casi fanno parte di complessi sindromici che seguono una ereditarietà di tipo mendeliano.

Si deve fornire pertanto una consulenza genetica appropriata con un rischio di ricorrenza basato su dati empirici. Alcuni casi possono far parte di un quadro sindromico più complesso, soprattutto quando sono presenti alcune caratteristiche facciali tipiche o altre anomalie peculiari: una ipocalcemia anche transitoria e in periodo neonatale, una immunodeficienza, una labiopalatoschisi anche minima con incompetenza velopalatina o voce ipernasale, possono indurre il sospetto di sindrome da microdelezione del cromosoma 22. L’esecuzione di specifico esame di citogenetica molecolare (FISH) diventa perciò altamente raccomandata. La labioschisi con o senza palatoschisi richiede un’attenta valutazione clinica e diagnostica e per la definizione di rischio di ricorrenza, qualora si accerti che si tratti di malformazione isolata, si usano tabelle basate su rischi empirici che arrivano fino a un 4% in caso di più figli affetti rispetto a un rischio per la popolazione generale quantificabile intorno allo 0.1%. Tuttavia, sono numerose le forme sindromiche che presentano labiopalatoschisi associata. Altro meccanismo che può determinare una patologia genetica (sia di tipo sindromico che non) è rappresentato da anomalie dell’imprinting genomico, cioè la differente capacità di espressione di alcune regioni cromosomiche e di alcuni geni a seconda che essi vengano ereditati dalla madre o dal padre. In generale, l’imprinting “spegne” o riduce, con meccanismi diversi, l’espressione di alcuni geni, rendendo così funzionalmente attiva solo una copia di essi. Alcune patologie sindromiche sono caratterizzate da anomalie di questo meccanismo: citiamo la sindrome di Prader-Willi e la sindrome di Angelman. Bibliografia essenziale Cohen MM. The child with multiple birth defects. Oxford University Press 2nd Ed. 1997. Harper P. Practical genetic counselling Wright 3rd Ed. 1988. Jones KL. Smith’s recognizable patterns of human malformation. Saunders Company, 5th Ed. 1997. Wiedemann H-R, Kunze J. Clinical syndromes. Mosby-Wolfe, 3rd Ed. 1997. Gorlin RJ, Cohen MM, Hennekan RCM. Syndromes of the head and the neck. Oxford University Press, 4th Ed. 2001.

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Quaderni acp 2005; 12(2): 80-82

Un ematoma toracico con frattura costale. Perché? Isodiana Crupi Pediatra di base, ACP dello Stretto, Messina Abstract

A thoracic haematoma with rib fracture. Abuse? Intercostal pain and a big thoracic haematoma in a 18 month old baby. Chest X-ray reveals a rib fracture. The question is: is it an accidental fracture? Should physical abuse be suspected? A search through PubMed using clinical queries finds three articles from which useful elements can be achieved: 1) rib fractures due to physical abuse in children diminish with age; 2) rib fractures in under 3 years old children are highly predictive of physical abuse; 3) physical abuse cannot be excluded in the absence of rib fractures in a child with trauma. Nevertheless the problem remains unsolved and the expert’s opinion is mandatory. Quaderni acp 2005; 12(2): 80-82 Key words Rib fracture. Physical abuse. Abuse

Il problema analizzato in questo scenario riguarda il caso di un bambino di 18 mesi con dolore intercostale e un grosso ematoma della regione costale. La radiografia del torace mette in evidenza una frattura dell’ottava costa. Si tratta di una lesione accidentale? È possibile pensare a una lesione da maltrattamento? Una ricerca su PubMed Clinical Queries, consente di trovare tre articoli, dai quali si traggono tre nozioni importanti, ma che non mi permettono di risolvere il caso: 1) nei bambini con fratture costali, la probabilità di trovarsi di fronte a un caso di abuso decresce con l’età; 2) le fratture costali nei bambini inferiori a 3 anni sono altamente predittive di abuso; 3) l’assenza di fratture costali alla radiografia del torace di un bambino sottoposto a trauma non esclude, comunque, la presenza di un abuso. Chiedo quindi aiuto a un esperto. Parole chiave Frattura costale. Maltrattamento. Abuso Scenario Paolo è un bambino di 18 mesi che arriva in ambulatorio, accompagnato dalla zia paterna, per la presenza di dolore intercostale che si è procurato in seguito a una non ben precisata caduta. All’esame obiettivo del torace evidenzio la presenza di un vistoso ematoma e di intenso dolore alla palpazione della regione costale sinistra. Nel sospetto di frattura costale decido di sottoporre il piccolo a una radiografia del torace, il cui esito conferma la mia ipotesi: frattura della porzione laterale dell’ottava costola sinistra. Seguo Paolo dall’età di 3 mesi. Il bambino è stato sempre accompagnato in ambulatorio dal padre e dalla zia paterna in quanto la madre, a distanza di circa un mese e mezzo dal parto, è stata ricoverata presso un centro di Igiene Mentale per la presenza di un

grave stato depressivo. Nulla da segnalare fino all’età di 11 mesi (crescita buona: 25°percentile per peso e altezza) epoca in cui inizia l’andirivieni dall’ambulatorio sempre per il solito problema: “Paolo non mangia, dottoressa, possiamo dargli qualcosa che stimoli l’appetito?”. Con il passare dei mesi si assiste in effetti alla perdita di due classi di percentili per quanto riguarda il peso. Mi rendo conto che il mancato incremento ponderale di Paolo coincide con il periodo in cui la madre, a scopo terapeutico su consiglio dei sanitari, è tornata a casa per riprendere contatti con il figlio. Paolo è cresciuto bene fino a quando la madre è stata in ospedale ed è stato quindi accudito dalla zia paterna. Mi chiedo se la frattura costale possa essere segno di lesione non accidentale in un bambino di tale età.

Background Il bambino abusato è uno dei problemi più importanti che riguardano l’infanzia. “Per abuso s’intende un qualsiasi maltrattamento di bambini o adolescenti da parte di genitori, di tutori o altre persone, che avrebbero dovuto, per loro stessa natura, provvedere all’educazione e alla difesa del minore” (1). L’abuso è innanzitutto un problema sociale che deve interessare tutti gli adulti, dai genitori alle innumerevoli professionalità nell’ambito socioeducativo (insegnanti, psicologi, assistenti sociali, sociologi, legali, neuropsichiatri infantili, pediatri e medici legali). Da accurate indagini è emerso che circa il 10% dei traumi, visti al pronto soccorso, in bambini al di sotto dei 5 anni è dovuto ad abuso e che circa il 30% delle fratture nei bambini al di sotto dei 2 anni non è accidentale. Le lesioni cutanee e le fratture sono molto frequenti in presenza di abuso. Le prime sono rappresentate da ecchimosi, abrasioni, lacerazioni, morsicature, ustioni; le seconde, più frequenti nei bambini al di sotto dei 2 anni, sono in genere multiple e coinvolgono le coste e le ossa lunghe (1). Cerco di trovare una risposta al mio quesito consultando Clinical Evidence e Cochrane Library, ma non trovo nulla, quindi procedo nella ricerca delle fonti primarie su PubMed. La domanda in tre parti Nei bambini di età inferiore a 2 anni [POPOLAZIONE] la frattura delle coste [INTERVENTO] è segno di abuso [OUTCOME] Strategia di ricerca Verifico nel browser MeSH di PubMed l’esistenza dei seguenti termini: “rib fractures”, “child abuse”. Su PubMed nella maschera “Clinical Queries using

Per corrispondenza:

Isodiana Crupi e-mail: isodi@libero.it

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leggere e fare

Research Methodology Filters” seleziono Diagnosis e Specificity e immetto i termini trovati: “Rib fractures” AND “child abuse”. La ricerca non seleziona nulla che risponda al mio quesito, quindi ritornando alla maschera “Clinical Queries” seleziono Diagnosis e Sensitivity e immetto i termini trovati. Stavolta la ricerca seleziona 39 articoli, utlizzando la funzione LIMITS (All Child: 0-18 anni, English) riduco la mia ricerca a 36 articoli e, dopo aver letto gli abstracts, ne scelgo uno perché ritengo sia quello che meglio risponde al mio quesito. Articolo selezionato Williams RL, Connolly PT. In children undergoing chest radiography what is the specificità of rib fractures for non-accidental injury. Arch Dis Child 2004;89(5): 490-2. Caratteristiche principali dello studio Nazione: Inghilterra. Tipo di studio: Review. Setting: Department of General Practice, Manchester, UK. Test da validare: frattura delle coste. Metodologia di ricerca: la ricerca è stata eseguita prima utilizzando una fonte secondaria quale Cochrane Library che non ha portato a nessun risultato e quindi successivamente ricorrendo ad una fonte primaria quale Medline. Le parole chiave utilizzate sono state le seguenti: Child Abuse, Non accidental injuries, Domestic violence, Munchausen sindrome by proxy AND rib fractures, thoracic injuries; LIMITS: Child, Human, English language, Publication date from 1966. Risultati riportati Sono stati quindi identificati 113 articoli, 106 erano di scarsa qualità e quindi sono stati immediatamente esclusi. Ai 7 articoli rimasti ne sono stati aggiunti successivamente altri 3, recuperati in seguito a una ricerca manuale. 1. In nessuno studio era possibile ricavare una tabella 2 x 2 che permettesse quindi il calcolo della sensibilità, specificità e

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della likelihood ratio necessaria per definire l’utilità o meno di un test diagnostico. Gli unici dati che è stato possibile estrapolare, singolarmente, da alcuni articoli sono stati quelli relativi al valore predittivo positivo (VPP) e/o alla specificità e/o alla sensibilità. Dagli articoli è possibile estrapolare solo il numero di bambini con fratture costali, positivi o meno per storia di abuso; manca il dato relativo al gruppo di controllo, cioè il numero di bambini, positivi o meno per storia di abuso, alla cui radiografia non si evidenzia alcuna frattura costale. 2. Sei studi, grazie alla possibilità di calcolare il VPP, supportano la tesi secondo cui le fratture costali, nel bambino di età inferiore a 3 anni, sono segno di trauma non accidentale. Due studi, che permettono di calcolare la sensibilità, mostrano che l’assenza di fratture costali non esclude una storia di abuso (bassa sensibilità delle fratture costali). 3. In ogni studio si evidenzia un problema nella selezione dei pazienti. Tutti gli studi infatti sono effettuati su pazienti ricoverati in dipartimenti d’emergenza, quindi su una popolazione ben diversa da quella ambulatoriale.Questo bias di selezione determina una sovrastima della specificità delle fratture costali nella popolazione pediatrica. 4. Gli Autori di ciascuno studio mostrano di non essere a conoscenza del gold standard che permette la diagnosi di abuso. Da ciò l’utilizzo di criteri diversi per definire una situazione di abuso. Un’ulteriore debolezza sta nel fatto che nella definizione del gold standard viene inclusa la radiografia del torace, un test che deve essere ancora validato. 5. In tutti gli studi manca una completa cecità dei radiologi che sono a conoscenza della storia clinica del soggetto di cui interpretano le lastre. Commento Gli studi esaminati hanno ovviamente delle limitazioni diagnostiche ed etiche difficili da superare nella pratica clinica. Per rispondere alla domanda degli Autori occorrerebbe esaminare tutti i pazienti sottoposti a radiografia del torace.

Ciò infatti permetterebbe il calcolo della sensibilità e della specificità delle fratture costali nei casi di abuso nell’ambito della popolazione sottoposta a radiografia del torace. Sarebbe però impossibile ottenere il consenso per un tale tipo di studio in quanto i soggetti abusanti difficilmente acconsentirebbero all’inclusione nello studio dei soggetti abusati. Le conclusioni a cui giungono gli Autori sono quindi le seguenti: 1. nei bambini con fratture costali, la probabilità di trovarsi di fronte a un caso di abuso decresce con l’età; 2. le fratture costali nei bambini di età inferiore a 3 anni sono altamente predittive di abuso; 3. l’assenza di fratture costali alla radiografia del torace di un bambino sottoposto a trauma non esclude, comunque, la presenza di un abuso. Conclusioni Il mio scenario non trova una risposta conclusiva: non esistono attualmente studi che rispondano in maniera esauriente al mio quesito (è possibile estrapolare o solo VPP, o solo specificità o solo sensibilità); ci troviamo di fronte a una di quelle condizioni in cui bisogna accontentarsi delle “migliori evidenze disponibili”, perché “le migliori evidenze possibili” potrebbero non essere mai prodotte per ragioni etiche/metodologiche/economiche. È proprio la situazione in cui sembra necessario ricorrere al parere dell’esperto clinico per avere maggiori certezze. L’esperto (Dante Baronciani) La strategia di ricerca La frequenza dell’abuso è attorno al 5‰. Si tratta di una “patologia” che non può essere soggetta né a studi clinici randomizzati (per evidenti problemi etici) né a studi di coorte (qual è l’esposizione?). Gli studi relativi all’abuso sono quindi essenzialmente costituiti da casereport e, in rari casi, da studi caso-controllo (dove la difficoltà sta nella definizione del caso e del controllo). A tali studi si aggiunge una serie di revisioni 81


leggere e fare

(non sistematiche) che spesso tentano di evidenziare un nesso tra la dinamica che sta alla base della lesione e il tipo di lesione prodotta. Le novità nel campo della semeiotica sono relativamente rare e poco aggiungono a quello che da anni è riportato sui libri di testo di pediatria (non italiani naturalmente che prestano una insufficiente attenzione a tale tematica). L’approccio alla ricerca bibliografica è quindi complesso. È difficile la selezione attraverso la funzione “limits”: bisogna analizzare tutti gli studi o limitarsi a quelli più recenti sperando che la bibliografia riportata sia esauriente. L’aver utilizzato i termini “Sensibilità” e “Specificità” ha escluso studi importanti. Nel caso dell’abuso una rilevante difficoltà sta nella definizione del “caso”, ovvero come possiamo essere certi che si tratti di un abuso? Se si esclude la testimonianza o la confessione dell’abusante, la diagnosi di abuso è su base probabilistica: una serie di elementi messi in luce da diversi professionisti (la diagnosi è sempre multidisciplinare), escludendo altre patologie in diagnosi differenziale, risulta suggestiva di una diagnosi di abuso. Non credo sia possibile in questo caso parlare di specificità, sensibilità e valore predittivo in quanto manca il gold standard (la certezza del caso). Non è il solo caso in pediatria, basti pensare alla displasia evolutiva dell’anca; se tutti i casi sono sottoposti al trattamento, non si può calcolare la specificità. Il valore della tipologia della lesione e della dinamica sottostante Nel caso delle fratture costali, come per altre lesioni, è il tipo di lesione che risulta particolarmente suggestiva di abuso. Se la lesione è a carico dell’area mediale del III posteriore della costa, la dinamica che ha potuto produrre la lesione è determinata dalla “compressione” della costa sull’apofisi trasversa che agisce da fulcro determinando la frattura, con conservazione del periostio dorsale e distruzione di quello ventrale (la frattura è composta). Tale dinamica implica un processo di “dorsalizzazione” delle coste, ovvero

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un loro spostamento oltre il piano rappresentato dall’apofisi trasversa, ciò può essere il risultato di uno “scuotimento” di un bambino (shaken baby). Questa spiegazione ha permesso, ad esempio, di differenziare le lesioni da abuso dalle fratture (assai rare) determinate da manovre di rianimazione; in questo caso il piano su cui è appoggiato il bambino impedisce la dorsalizzazione e la frattura ha come sede preferenziale la porzione laterale della costa (punto di minor resistenza). La clinica e l’evidenziazione radiologica Le fratture costali sono sovente asintomatiche; nel caso di fratture pregresse può essere rilevato palpatoriamente il callo osseo (la cui dimensione dipende dall’entità della distruzione e del sanguinamento). Da un punto di vista radiologico le fratture dell’arco posteriore delle coste, fortemente suggestive di abuso, sono sovente difficili da identificare, soprattutto se in fase acuta, prima della formazione del callo. La difficoltà di diagnosi (oltre il 50% di falsi negativi) è determinata essenzialmente: dalla frequente sovrapposizione del processo trasverso sulla linea di frattura, dal fatto che quest’ultima attraversa obliquamente il raggio radiografico e dalla non dislocazione della frattura poiché, come già detto, il periostio dorsale è conservato. Nel caso di fratture recenti l’indagine scintigrafica si rivela più sensibile della radiologica. Se si esegue una radiografia delle coste, è opportuno utilizzare una proiezione antero-posteriore con basso kilovoltaggio quale esame di screening; proiezioni oblique o coned-down possono essere utilizzate per approfondimento diagnostico. La diagnosi differenziale La diagnosi differenziale comprende l’osteopenia del pretermine, l’osteogenesi imperfecta, fratture, utilizzo prolungato di prostaglandine e il trattamento di cardiopatie dotto dipendenti (formazione di nuovo osso periostale) e infine per rari casi di lesioni ostetriche.

Il caso di Paolo Paolo presenta alcune caratteristiche che non risultano suggestive di abuso: a. sede della lesione non tipica delle lesioni da abuso; b. presenza di ematoma; c. non ritardo di accesso alle cure. Non si può escludere naturalmente l’abuso ma il tipo della lesione non suggerisce un episodio di scuotimento. Bisognerebbe capire cosa si intende per una “non precisata caduta”, ovvero se il racconto della dinamica risulta improbabile alla luce dello sviluppo motorio del bambino. Non si accenna ad escoriazioni o abrasioni della cute o segni che possano suggerire un colpo inferto. È probabile che in linea generale sia bene evitare un approccio che dal rigore suggerito da Sackett nella pratica dell’Evidence Based Medicine passa a una rigidità sempre discutibile nella ricerca bibliografica. La proposta di Sackett è di partire dal paziente (by patient), verificare l’integrazione delle proprie conoscenze con i dati della letteratura e tornare al paziente (to patient). La eccessiva rigidità della ricerca bibliografica e l’applicazione di regole rigide per l’analisi degli articoli possono non aiutare la soluzione dei quesiti. Come si è detto, regole come la “selezione dei pazienti”, la “mancata cecità del radiologo”, la “mancata conoscenza del gold standard” non aiutano quando si affronta un fenomeno come l’abuso. Mi si permetta infine di fare notare che, nel caso dell’abuso, possono essere di particolare aiuto la discussione con un radiologo competente e la consultazione di buoni testi (1,2) che dovrebbero (ma molto spesso non è così) far parte di una biblioteca a disposizione dei clinici di un territorio.

Bibliografia (1) Kleinman PK. Diagnostic imaging of child abuse. Mosby, 2nd Ed. 1998. (2) Hobbs CJ. Child abuse and neglect. A Clinician handbook. Churchill Livingstone.

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Quaderni acp 2005; 12(2): 83-84

Marco e le adenoidi: gliele togliamo? Patrizia Elli Pediatra di famiglia, Buccinasco (Milano)

Abstract

Marco’s adenoids: should we remove them? A ten year old boy, Marco, snores, has an obstructed nose and rhinolalia. The otorhinolaryngologist prescribes two month administration of inhaled steroids followed by adenoidectomy. Parents, a bit doubtful, seek their paediatrician’s point of view. Evaluating the mother’s assertions and reordering them, makes the paediatrician able to achieve a shared therapeutic goal, well accepted, at the moment, by the family. Quaderni acp 2005; 12(2): 83-84 Key words Adenoids. Adenoidectomy. Steroid

Marco, un bambino di 10 anni, è stato visitato da un otorinolaringoiatra perché da tempo ha respiro russante, naso chiuso, rinolalia e respirazione orale, anche diurna. Il medico propone ai genitori l’intervento di adenoidectomia, preceduto dalla somministrazione di cortisone per via inalatoria per due mesi. I genitori si rivolgono al pediatra perché hanno delle perplessità circa tale terapia. Vagliando, evidenziando e riordinando gli elementi presenti nelle affermazioni della mamma, il pediatra facilita così la ricerca di un obiettivo terapeutico condivisibile e accettabile senza difficoltà da parte della famiglia in quel momento. Parole chiave Adenoidi. Adenoidectomia. Cortisone Lo scenario Marco, un bambino di 10 anni, è stato visitato da un otorinolaringoiatra perché da tempo ha respiro russante, naso chiuso, rinolalia e respirazione orale, anche diurna. Il medico propone ai genitori l’intervento di adenoidectomia preceduto dalla somministrazione di cortisone per via inalatoria per due mesi. I genitori si rivolgono al pediatra perché hanno delle perplessità circa tale terapia. Mamma “Dottore, l’otorino ci ha detto che Marco dovrà essere operato ma che prima deve fare terapia con il cortisone: sinceramente non capisco perché e poi… il cortisone per così tanto tempo… so che può dare molti problemi!”. Pediatra “Se ho capito bene, i suoi dubbi sono relativi alla terapia cortisonica: perché farla se poi si deve operare? E poi c’è la paura degli effetti collaterali del farmaco. È così?”. Mamma “Sì, io non la farei e lo farei operare subito”. Pediatra “Comincerei dagli effetti collaterali del cortisone perché capisco che possano preoccuparla. In questo caso

non si tratta di prendere il farmaco per bocca, ma di somministrarlo per via inalatoria, con uno spray. Così arriva dove vogliamo che funzioni e non va in circolo: questa differenza evita appunto gli effetti collaterali che lei teme”. Mamma “Non pensavo ci fosse differenza! Ma perché darlo se poi devo operarlo?”. Pediatra “Si è visto che, in alcuni casi, la terapia protratta con cortisone riduce le dimensioni delle adenoidi evitando l’intervento. Penso che l’otorino l’abbia proposta per questo motivo”. Cosa dice (o non dice) l’Evidence Based Medicine Il pediatra, che si trova ancora una volta di fronte ad un problema ricorrente nella sua pratica quotidiana, è consapevole che le alternative non chirurgiche del trattamento dell’ipertrofia adenoidea cronica sono limitate. Grazie a una recente verifica con alcuni colleghi sullo stato delle conoscenze disponibili al riguardo, sa anche che è stato osservato che un trattamento con cortisonico per via inalatoria sembrerebbe permettere in alcuni casi di

La buona comunicazione: un percorso a tappe La mamma che cosa ha in mente: – Dubbi sulla necessità e opportunità della terapia: “perché farla se poi il bambino deve essere operato?” – Paure: “il cortisone per così tanto tempo!” – Quello che sa: “… so che può dare problemi!” – Quello che pensa di fare: “… lo farei operare subito” Il pediatra che cosa fa: – Verifica con la mamma la comprensione del quesito – Legittima la sua preoccupazione – Non contraddice le prescrizioni dello specialista – Fornisce solo le informazioni richieste evitare l’intervento chirurgico. Durante l’esercitazione di gruppo, né la consultazione di Clinical Evidence (giugno 2004) aveva dato alcuna risposta rispetto a questo argomento, né il controllo dell’indice di Prescrire (1999-2003) forniva citazioni utili al riguardo. Anche l’analisi delle revisioni sistematiche di area pediatrica del Cochrane Database non aveva identificato nulla di possibile interesse. La ricerca in banca dati, condotta utilizzando il browser MeSH di PubMed e provando a lanciare la query Adenoids AND Beclomethasone (al quesito formulato con il termine “Corticosteroids” non seguiva infatti alcuna segnalazione),

Per corrispondenza:

Patrizia Elli e-mail: patriziaelli@virgilio.it

medicine 83


narrative medicine

aveva invece selezionato due articoli: Demain JG, Goetz DW. Pediatric adenoidal hypertrophy and nasal airway obstruction: reduction with aqueous nasal beclomethasone. Pediatrics 1995; 95:355-364 e, disponibile in full text, Criscuoli G, D’Amora S, Ripa G et al. Frequency of surgery among children who have adenotonsillar hypertrophy and improve after treatment with nasal beclomethasone. Pediatrics 2003;111: 236-238. Questo studio, prospettico, con una fase iniziale condotta in cross over e in singolo cieco, è stato effettuato su 60 bambini nel Dipartimento di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale pediatrico Santobono-Pausilipon di Napoli. Le conclusioni degli Autori permettono di ipotizzare, con una confidenza statisticamente accettabile (95% IC: 0.44-0.98), che la terapia cortisonica, somministrata per via nasale in dosi considerate sicure per un periodo di almeno sei mesi, si associa a un miglioramento clinico dell’ipertrofia adenoidea cronica e a una riduzione dell’intervento chirurgico di adenoidectomia. I dati evidenziano anche che, già dopo due settimane di trattamento, è possibile individuare i bambini che risponderanno ad un trattamento prolungato. Mamma “Beh, visto così, il problema è diverso!”. Pediatra “La letteratura in effetti ha evidenziato un buon risultato sulla riduzione delle adenoidi dopo una terapia di due mesi. Lo studio più recente indica addirittura di continuare la cura per sei mesi…”. Mamma “Per sei mesi tutti i giorni?”. Pediatra “Sì”. Mamma “Mah… non so se riesco a fargliela fare per così tanto!”. Pediatra “Potremmo comunque fare la terapia per 15 giorni al termine dei quali valutiamo se ci sono stati dei benefici: se non è cambiato nulla interrompiamo; se invece va meglio sarebbe utile proseguire. Pensa sia possibile seguire un programma di questo tipo?”. Mamma “Sì, anche perché, se funziona, sono più convinta anch’io”.

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Pediatra “Benissimo, allora facciamo così e ci rivediamo tra 15 giorni”. Discussione generale Il pediatra subito si rende conto che da parte dello specialista non sono stati forniti elementi sufficienti ai genitori per poter seguire il percorso terapeutico indicato. Evita comunque di sottolineare questo aspetto e dà invece alla mamma una lettura delle indicazioni proposte, definendo con lei quali sono gli elementi necessari a lei per decidere. Accoglie anzitutto i dubbi e le paure espresse (“i suoi dubbi sono… e poi c’è la paura…”) e, partendo da queste, fornisce informazioni che tranquillizzino senza banalizzare. L’ascolto e la riformulazione di quanto gli viene riferito (“se ho capito bene… è così?”) favoriscono il cambiamento (“Beh, visto così, il problema è diverso!”), percepito inizialmente come fonte di difficoltà (“non so se riesco a…”). Vagliando, evidenziando e riordinando gli elementi presenti nelle affermazioni della mamma, il pediatra facilita così la ricerca di un obiettivo terapeutico condivisibile e accettabile senza difficoltà da parte della famiglia in quel momento. (“Potremmo comunque fare… pensa sia possibile…?”). La buona comunicazione Abilità di counselling utilizzate nel colloquio: – Riformulazione: il pediatra ripropone quello che la mamma ha detto, senza aggiunte proprie. – Ascolto attivo: il pediatra fa domande mirate a raccogliere informazioni utili per raggiungere un obiettivo, che è caratteristica della comunicazione professionale. – Atteggiamento empatico: attenzione e rispetto per l’interlocutore (“… capisco che possano preoccuparla…”). – Visione sistemica: integrazione e non contrapposizione con lo specialista.

Corsi di formazione disponibili come formazione ACP

Vaccinare oggi pensando al domani Programma 1ª sessione: ore 9-11 La situazione locale, l’organizzazione e l’interazione tra operatori – Stato attuale: l’organizzazione dell’attività vaccinale, i ruoli degli operatori, i dati disponibili – I problemi aperti: domande al pubblico e agli esperti – Analizzare i risultati di salute ottenuti vaccinando: quali indicatori, dove trovarli, come aggregarli, come comunicarli – I problemi aperti e le proposte di miglioramento: domande al pubblico e agli esperti 2ª sessione: ore 11-13 Prevenire le infezioni invasive batteriche con le vaccinazioni – Gli obiettivi vaccinali, le strategie e i criteri decisionali, le scelte nel mondo, in Europa, in Italia – Le domande all’esperto 3ª sessione: ore 14-16 Prevenire morbillo, pertosse, varicella – Gli obiettivi vaccinali, le strategie e i criteri decisionali, le scelte nel mondo, in Europa, in Italia – Le domande all’esperto 4ª sessione: ore 16-17 Le informazioni ai genitori i rapporti tra medici e industria – Discussione in plenaria: gli obiettivi dell’informazione, il ruolo dei pediatri, i materiali informativi, le esperienze in Italia e nel mondo Direzione corso: dr.ssa Luisella Grandori, referente vaccini ACP, responsabile locale Servizio Vaccinale Per organizzare il corso concordare con la Segreteria ACP: Gianni Piras, cell. 333 2562649 e-mail: acpnazionale@tiscali.it

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Quaderni acp 2005; 12(2): 85-86

I tempi della pubertà spontanea nelle femmine: uno studio campano Nicoletta Gasparini*, Salvatore Di Maio**, Luigi Greco*** *Pediatra di famiglia, ASL Na1; **Auxoendocrinologia del Dipartimento di Pediatria, AORN “Santobono-Pausilipon”, Napoli ***Professore Ordinario, Dipartimento di Pediatria, Università Federico II, Napoli Abstract

The onset of puberty in girl: a study in Campania region, Italy There are no European data regarding the age of onset of secondary sex characteristics and menses. The Authors aim to establish if in a primary care setting a study on the onset of secondary sex characteristics is feasible. Data was collected by family paediatricians from girls of the Campania region, requesting a visit for emerging problems or for well adolescent evaluation. Puberty begins around 7.5 years (-2 DS) at an age close to maternal age starting with a gradual progression, so that we can, in respect to the beginning of the study, consider it with more objectiveness. Quaderni acp 2005; 12(2): 85-86 Key words Puberty. Precocious puberty. Menses

Mancano dati italiani ed europei circa l’attuale età media di esordio dei caratteri sessuali secondari e del menarca. Gli Autori hanno iniziato uno studio preliminare trasversale per rispondere alla domanda se sia possibile nell’area delle cure primarie iniziare uno studio per definire l’età di esordio dei caratteri sessuali secondari. Il piccolo studio riguarda le ragazze della Campania afferenti al pediatra di famiglia in corso di malattie acute e/o di bilanci di salute. I dati raccolti conducono a considerare che la pubertà inizia intorno a 7,5 anni (- 2 DS) in una età non differente da quella materna e che si presenta con una regolare progressione con maggiore serenità di quella che avevamo all’inizio dello studio. Parole chiave Pubertà. Pubertà anticipata. Pubertà precoce. Menarca Introduzione Alcune segnalazioni in letteratura sollecitano una “rivisitazione” delle linee guida per l’età di diagnosi e il trattamento della pubertà precoce nella femmina (1). Mancano però dati italiani ed europei circa l’attuale età media di esordio dei caratteri sessuali secondari e del menarca che sono essenziali per affrontare il problema (6). Noi abbiamo cercato di iniziare uno studio preliminare trasversale per valutare la opportunità di cimentarci, insieme ad altri gruppi, in una ricerca che faccia luce sul problema che abbiamo sopra indicato. Questo piccolo studio di prova riguarda quindi una ricerca condotta sulle ragazze della Campania afferenti al pediatra di famiglia in corso di malattie acute e/o di bilanci di salute. Pazienti e metodi Hanno partecipato a questo studio preliminare 13 pediatri di famiglia

appartenenti alle province di Napoli e Caserta cui afferivano le pazienti (età maggiore di 5 anni) nel periodo di osservazione aprile 2000 - febbraio 2002 per bilanci di salute o per lievi malattie acute. I pediatri registravano, oltre all’età esatta e alla data della visita: – il rilevamento del bottone mammario (B2); – il pubarca (P2); – il menarca facendo riferimento agli standard di Marshall e Tanner (2); – il peso e l’altezza con stadiometro di Harpenden (espressi come valore standardizzato per la deviazione standard (SDS-H) (3,4); – il menarca materno; – l’altezza dei genitori, anch’essa espressa in SDS. A questi dati sono stati aggiunti quelli derivati dalle cartelle cliniche dei pediatri, dalle quali sono stati poi estratti i dati relativi al B2 di altre 67 bambine regi-

strati nell’anno precedente l’inizio dello studio. Poiché la media dell’età di esordio del B2 non differiva da quella osservata nei casi raccolti nel periodo di conduzione dello studio (p=NS), i dati sono stati considerati collettivamente e rappresentano un campione di 351 ragazze (Gruppo A). In un piccolo campione di 69 ragazze delle 351 sono stati registrati i dati longitudinali, cioè è stato possibile avere età del B2, del P2 ed età del menarca nello stesso gruppo (Gruppo B). Per la valutazione i dati sono stati espressi come media ± deviazione standard. Il confronto tra gruppi è stato eseguito con il test non parametrico di MannWhitney per variabili non distribuite normalmente. La relazione tra due variabili è stata valutata con la regressione lineare e il coefficiente di correlazione di Pearson. Risultati L’esordio del B2 nel Gruppo A è avvenuto a 9.94 ± 1.26 anni (m±DS); il pubarca a 10 ± 1.25 anni (N=170); il menarca (N=198) a 11.5±1.6 anni (figura 1). L’ età di esordio del menarca non è differente da quella del menarca materno (N=145: 11.8±1.34 anni). Nel gruppo B i risultati sono stati: B2 a 10±1.37 anni; P2 a 10±1 anni; menarca a 11.8±1.35 anni, menarca materno a 11.8±1.45 anni (nessuna differenza significativa fra Gruppo B e Gruppo A). Conclusioni I dati raccolti ci conducono a considerare la pubertà, che inizia intorno a 7,5 anni (- 2 DS; 5° percentile) e non è differente da quella materna, e che si presenta con una regolare progressione, con maggiore serenità di quella che avevamo all’inizio dello studio.

Per corrispondenza:

Nicoletta Gasparini e-mail: robertobreglio@libero.it

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research letter

Quaderni acp 2005; 12(2)

Corsi di formazione disponibili come formazione ACP

Supporto alla generosità e promozione della lettura ad alta voce in famiglia Programma

FIGURA 1: (N=198)

ETÀ DI COMPARSA DEL B2 (N= 351), DEL P2 (N=170) E DEL MENARCA

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2ª sessione: ore 11-13 Il progetto “Nati per Leggere” – Come nasce Nati per Leggere – Specificità del progetto NpL. Il ruolo dei bibliotecari

90 80 70 60 SOGGETTI

1ª GIORNATA 1ª sessione: ore 9-11 Interventi di supporto alle competenze genitoriali – Le competenze genitoriali. Evidenze sugli interventi possibili di supporto ai genitori. Esperienze internazionali e nazionali – Il ruolo del PdF: le abilità comunicative nella proposta della lettura ad alta voce in famiglia

50

B2

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MENARCA

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ETÀ (ANNI)

Sembra insomma che si sia nell’ambito di una tendenza generazionale all’anticipo dell’età di inizio dello sviluppo. L’epoca del menarca indica un tempo “regolare” di maturazione puberale sia nei dati trasversali che in quelli longitudinali. Questa rassicurazione, se confermata da indagini di un campione più vasto, comprendente altre aree e nel contempo condotta in maniera ineccepibile, potrebbe evitare indagini endocrinologiche superflue nel dubbio di una pubertà precoce (7,8). Ci rendiamo conto che i dati si riferiscono a un campione molto modesto, che sono stati raccolti, nel Gruppo A, in maniera non uniforme e con un gruppo “longitudinale” che è molto modesto. Si tratta quindi di una indagine del tutto preliminare e con numerosi bias che non permettono di assumere decisioni. Ci auguriamo pertanto che colleghi di altri gruppi raccolgano la nostra proposta, che qui facciamo formalmente, di uno studio multicentrico su questo problema. Bibliografia (1) Herman-Giddens ME, Slora EJ, Wassermann RC et al. Secondary Sexual Characteristics and menses in young girls seen in office practice. A

study from the pediatric research in office settings network. Pediatrics 1997;99(4):505. (2) Marshall WA, Tanner JM. Variations in pattern of pubertal changes in girls. Arch Dis Child 1969; 44:291. (3) Wilkins L. The diagnosis and treatment of endocrine disorders in childhood and adolescence. Springfield. CC Thomas, 1968. (4) Kaplowitz PB, Oberfield S.E. Reexamination of the age limit for defining when puberty is precocious in girls in the United States: implications for evaluation and treatment. Pediatrics 1999;104(4): 936. (5) Whincup PH, Gilg JA, Odoki, et al. Age of menarche in contemporary british teenagers: survey of girls born brtween 1982 e 1986. BMJ 2001;322:1095. (6) Di Maio S. La pubertà femminile: come e quando esordisce, con che ritmo procede, quando intervenire. Medico e Bambino 2002;1:20. (7) Midyett LK, Moore WV, Jacobson JD. Are pubertal changes in girls before age 8 benign? Pediatrics 2003;111(1):47. (8) Leger J, Reynaud R and Czernichow P. Do all girls with apparent idiopathic precocious puberty require gonadotropin-releasing hormone agonist treatment?. J Pediatr 2000;137:819. Hanno partecipato allo studio: Wanda Amorosi (NA1), M. Teresa Cacciapuoti (NA1), Antonella Caianiello (CE2), Paola Capuano (NA1), Vincenzo Crispino (NA2), Anna Di Costanzo (NA1), Angiola Fontanella (NA1), Massimo Grimaldi (NA1), Raffaele Limauro (NA5), Concettina Rimedio (NA4), M. Luisa Sandomenico (NA1), Renata Spena (NA1).

3ª sessione: ore 14-16 La emergent literacy (le competenze relative alla letto-scrittura nello sviluppo del bambino) e i fattori che la influenzano. Le evidenze scientifiche – Ambiente familiare – Esposizione alla lettura dialogica in famiglia – Esposizione negli asili nido e nella scuola materna 4ª sessione: ore 16-17 Le modalità di lettura (dialogica/tradizionale) e la tipologia dei libri per bambini 2ª GIORNATA 1ª sessione: ore 9-11 L’intervento nell’ambulatorio del pediatra – La comunicazione con la famiglia – Come promuovere la lettura durante i bilanci di salute con dettagli specifici per fasce di età – Come usare il libro nel rapporto con il bambino e la famiglia – Quali libri avere in ambulatorio per il progetto – Come attrezzare la sala di attesa con o senza lettori volontari 2ª sessione: ore 11-12 L’intervento del singolo pediatra e l’intervento nell’ambito di un progetto locale – Ruolo dei bibliotecari nel progetto Nati per Leggere – Intervento negli ambulatori pubblici (consultori, ambulatori degli ospedali) – Intervento nei reparti di degenza 3ª sessione: ore 12-13 La ricerca – Il questionario nazionale NpL – Altre misure degli effetti di un programma di promozione della lettura al bambino Pool docenti (attivabili ed intercambiabili per ogni edizione del corso a seconda della disponibilità dei singoli in quel momento): G. Tamburlini, M. Gangemi, G. Biasini, A. Sila, P. Causa, S. Manetti, L. Ronfani Per organizzare il corso concordare con la Segreteria ACP: Gianni Piras, cell. 333 2562649 e-mail: acpnazionale@tiscali.it

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Quaderni acp 2005; 12(2): 87-89

La comunicazione della diagnosi in adolescenza Luigi Gualtieri Psicologo-psicoterapeuta, U.O. di Neuropsichiatria, AUSL di Cesena Abstract

Diagnosis communication in adolescence Diagnosis communication in adolescence has to take into account age specificity. At this stage adolescents need to face up with all the developmental tasks regarding different somatic, relational and social aspects. It is important that, together with the communication of different emerging problems, various management modalities are activated. Case management activities in order to offer active family and patient support could be a modality. The patient can thus participate in his own care. In this process the professional should be able to mobilize all patient’s resources, his family’s, his friends’ and also institutional ones. Active participation is important for patients and their families in order to regain cognitive and emotional processes able to assure the best quality of life. Quaderni acp 2005; 12(2): 87-89 Key words Adolescence. Developmental task. Developmental pathology. Case ma-

nagement

La comunicazione della diagnosi in adolescenza deve tenere conto delle specificità di questa età che è già di per sè problematica per i compiti di sviluppo a cui i soggetti sono chiamati e che investono tutti gli aspetti somatici, relazionali, sociali. È importante che insieme alla comunicazione dei problemi insorti siano attivate modalità di gestione della patologia somatica mediante attività di case management per offrire prospettive di sostegno attivo alla famiglia e al paziente che potrà partecipare alle cure attivando modalità che utilizzino la sua autoefficacia. In questo processo il professionista deve mobilitare molte delle risorse dell’adolescente, quelle dei familiari della rete amicale e istituzionale. Occorre quindi attivare modalità di accompagnamento dei pazienti e delle loro famiglie in cui essi partecipino attivamente al recupero di processi cognitivi ed emozionali “direzionati”, anche creativamente, verso il mantenimento della migliore qualità di vita. Parole chiave Adolescenza. Sviluppo. Patologia dello sviluppo. Case management I precedenti articoli sulla “comunicazione della diagnosi” hanno preso in considerazione le necessità e le modalità utili in età pediatrica. Qui saranno prese in considerazione le diverse implicazioni rese necessarie dall’affrontare lo stesso tema con un adolescente che presenti l’improvvisa insorgenza di una patologia grave, con prognosi di cronicizzazione, e con la sua famiglia. Anche la “gestione” di una disabilità insorta nelle età precedenti necessita comunque, in adolescenza, di particolari attenzioni e specificità, riconducibili ai complessi compiti di sviluppo che dovranno essere affrontati nelle varie fasi della adolescenza: nella prima adolescenza (dalla pubertà fino a 14 anni), il ragazzo o la ragazza

devono imparare ad accettare i cambiamenti corporei e a comprendere maggiormente se stessi; nella media adolescenza (fino a 17 anni), gli adolescenti si devono separare psicologicamente dalle figure interiorizzate dei genitori e avventurarsi al di fuori del mondo familiare per cercare relazioni sociali e affettive; nella tarda adolescenza (dai 17 anni in poi), le battaglie si concentrano attorno al tema della identità e delle sue ramificazioni psicologiche, sessuali, sociali, vocazionali. Se mettiamo in relazione l’insorgere di una patologia cronica o di un evento invalidante con questi compiti, possiamo ben immaginare come sia più difficile la

convivenza del paziente con la patologia e come questa possa provocare traumi ancora più forti di quelli causati da malattie insorte in età infantile; ora vengono “colpite” quelle funzioni mentali decisive per lo sviluppo della identità personale, in relazione alla propria corporeità, al percorso autonomia/dipendenza dalla propria famiglia, alla relazionalità sociale e alla propria posizione nel mondo. La prima comunicazione I suoi effetti Proprio nel momento in cui l’adolescente sta attraversando una zona di “sabbie mobili”, in quanto vive sentimenti di rottura-cambiamento nel proprio corpo e nei propri affetti, la comunicazione della diagnosi di una grave malattia lo costringe a ridefinire tutto ciò che stava elaborando, spesso faticosamente. In una età, in cui è determinante l’esigenza di sentirsi “normale”, per cui alla semplice diversità il ragazzo fa corrispondere l’idea di una insostenibile imperfezione, emerge la paura di essere identificati con la malattia; l’adolescente malato deve rapidamente fare ciò che tutti i colpiti da trauma o da invalidità, non finiscono mai di fare, costruire finzioni o miti per pensare all’impensabile, alla sofferenza, e comprendere attraverso questa esperienza i suoi nuovi bisogni reali e i suoi desideri (1). In questo quadro occorre ribadire che la comunicazione della diagnosi è sempre un evento di fondamentale importanza ed estremamente delicato, che richiede da parte del medico la capacità di penetrare nello sconvolgimento dei sentimenti che essa provoca nel paziente e nei suoi familiari. La comunicazione può avvenire secondo modalità differenti, in relazione al tipo di malattia, all’età, alla storia differente di ciascuno, alle modalità e tempi con cui si è instaurato il quadro clinico. Il medico arriva alla diagnosi attraverso un itinera-

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Luigi Gualtieri e-mail: lgualtieri@ausl-cesena.emr.it

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rio clinico, fatto di esplorazione, intervento e attesa; egli deve tollerare di non sapere molte cose attorno al significato definitivo del dato clinico e accettare che i genitori percepiscano la limitatezza e la provvisorietà della sua diagnosi. Una completa disponibilità al rapporto, unita a un’attenta considerazione dei diversi aspetti coinvolti nei singoli casi, permette di trasformare la comunicazione, da evento puramente traumatico, in un inizio di elaborazione dell’angoscia che essa inevitabilmente provoca. L’accompagnare i genitori in questo lungo e doloroso percorso, garantendo uno spazio di ascolto e di contenimento, permette una elaborazione del lutto, un diverso investimento delle “energie” e quindi il riaccedere alla capacità di fare progetti per il futuro. La comunicazione dovrebbe essere fornita fin dai primi giorni con chiarezza e, nei limiti del possibile, in modo esaustivo, in un atteggiamento di ascolto e di condivisione pronto ad accogliere e accettare anche i sentimenti di ostilità che possono essere riversati sul medico. Potremmo paragonare, in questa fase, la funzione del/degli operatori sanitari a quella di “mediatori culturali”, che svolgono le loro attività nei confronti di soggetti che stanno iniziando di nuovo un processo di integrazione sociale. Sono necessarie “mediazioni linguistiche” e capacità di comunicare per far conoscere “mappe” e “territori” affinché il soggetto, in qualche modo “diverso” da prima, non sia estraneo né a se stesso né al contesto sociale e relazionale che lo circonda. Da parte dell’adolescente vi è un continuo richiedere spiegazioni sulla sua malattia, una sorta di ricerca eziologica, una richiesta che si congiunge e si confonde con tutti gli aspetti fantasmatici che gli sono propri, allo scopo di scoprire e individuare l’origine di questa “disfunzione”. Egli si sente sicuro di guarire solo se può trovare un colpevole o una motivazione fantasiosa che gli permetta di sopportare il senso reale della malattia (2). Sempre la malattia rimanda all’imperfezione del corpo, a un deterioramento dell’immagine corporea, e quindi ad uno stato di perdita di Sé. La primitiva situazione fisica viene a essere investita di un sentimento nostalgico di perfezione e

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compaiono, ovviamente, consistenti vissuti di inadeguatezza. La necessaria ristrutturazione della propria identità coinvolge sicuramente alcuni aspetti consapevoli della personalità del paziente, ma la maggior parte delle dinamiche implicate è inconscia. La previsione che la condizione patologica sia inguaribile comporta un costante riferimento da parte del paziente, e dei familiari, all’evento terminale, spesso fantasticato in modo irrealistico come una diretta conseguenza dell’affezione cronica che lo ha colpito. La fantasia inconscia che coniuga la malattia con la morte induce, solitamente, dei clamorosi adattamenti difensivi, che determinano o accompagnano la modificazione delle abitudini di vita del soggetto, talvolta con esiti di difficile gestione da parte delle persone che accudiscono il malato. In seguito a questa dinamica, mancando la possibilità di aggredire la causa reale della sofferenza, si verificano, a volte, attacchi contro il personale medico, paramedico e verso i familiari. Alcuni dei meccanismi difensivi maggiormente utilizzati, per il controllo dell’angoscia, sono la negazione, che consiste nel negare (“… quello che mi è accaduto non è così grave, posso cavarmela da solo”) che la rappresentazione della malattia, presente nella coscienza, sia rilevante per il soggetto (e questo può andare a scapito dell’adesione al trattamento); l’intellettualizzazione, e cioè un investimento massiccio nella scoperta degli aspetti maggiormente legati alla razionalità e allo studio delle cause che hanno portato alla malattia (“… dobbiamo cercare, finché qualcuno non risolva il problema”); la regressione, ossia l’adozione di modalità, atteggiamenti, e/o comportamenti della vita precedente (“… ora non posso fare niente, devo stare sempre in casa, ho sempre bisogno del vostro sostegno”). Il successo o l’insuccesso di queste manovre sarà dovuto alla capacità, che avranno coloro che lo circondano, di incoraggiare e rinforzare i meccanismi difensivi più maturi, le strategie più soddisfacenti, le modalità più compatibili con un livello ottimale di vita. Si tratta di aiutare la persona a dare dei significati alla propria vita al di là delle condizioni

di malattia, che non deve essere l’unico elemento fondante dell’esistenza. Da non trascurare, inoltre, il fatto che al malato arrivi una serie di segnali con un chiaro messaggio di “diversità” (la terapia, i suoi effetti ecc.); quindi paradossale è che dai familiari pervengano messaggi di normalità quali “tu sei uguale a tutti gli altri” (e allora perché ti curiamo?): occorre invece che il malato accetti e viva normalmente proprio questo suo essere diverso. Il sostegno successivo La “gestione della malattia”… Gli operatori (o un operatore, se è possibile attivare una gestione del caso secondo il case management) (3) hanno il compito di “tenere insieme senza confliggere e rendere incompatibili elementi diversi di ricerca” (4) delle strategie di intervento utili. Molti Autori, già citati nei precedenti articoli, hanno ben descritto il succedersi delle reazioni emotive nei genitori, a partire dall’angoscia, quindi l’abbattimento, il panico, la collera, il rifiuto. L’attraversare e il vivere tutte queste fasi sono una operazione fondamentale per giungere ad accettare realisticamente la nuova situazione; ciò non significa un’accettazione esclusivamente razionalizzante che spieghi ogni pensiero, ogni affetto, ogni condotta che riguardi il ragazzo, ma indica una presa di coscienza dei propri sentimenti, anche dolorosi, e la formulazione di un progetto genitoriale per la crescita futura del figlio. … insieme ai genitori In un fisiologico ciclo di vita è possibile che nell’ambito familiare siano già presenti modifiche, trasformazioni e conflitti di coppia, attivati dalla presenza di un figlio adolescente. In questo quadro, la presenza di ulteriori circostanze critiche può indurre la “fuga” da parte di uno dei genitori. Spesso, tra essi, si instaura invece una solidarietà molto forte, tesa solo alla cura del figlio, tanto che la coppia può trasformarsi in una coppia di accaniti terapeuti, “congelandosi” attorno alla malattia, rompendo i rapporti sociali, chiudendosi al mondo esterno. Se sono presenti, i fratelli dell’adolescente colpito dalla malattia vivono a loro volta una situazione di grande disagio; l’impegno della 88


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famiglia profuso nei confronti del problema più grave, può lasciarli soli. Su di essi possono gravare sensi di colpa perché sani, oppure potrebbero maturare l’idea di essere “fratelli di scorta”, se dovesse succedere l’irreparabile al malato. L’esperienza con gruppi di genitori ha evidenziato come essi tendano a centrare la relazione con i figli quasi esclusivamente sulla malattia: l’adolescenza di un portatore di disabilità o cronicità preoccupa certamente più di una “normale”, ma è pur sempre una adolescenza di cui occorre occuparsi e che, molto probabilmente, avrebbe comunque messo in crisi le relazioni coniugali consolidate. Assicurare la continuità della comunicazione, comprendere i bisogni manifesti e inespressi, assicurare un contenimento emotivo di situazioni di disagio e di angoscia, identificare, sostenere e trattare l’eventuale insorgenza di condizioni psicopatologiche, costruire condizioni per un percorso di soggettivazione, sono parti integranti del sostegno fornito al gruppo familiare con un giovane colpito da disabilità. A questo proposito, non sarà mai abbastanza sottolineata la necessità di fare in modo che si attivino processi di adattamento e di recupero che rendano possibile la scoperta di nuove modalità di pensiero e di operatività personali, in precedenza non noti né ai soggetti né ai loro familiari. … insieme ai coetanei Molto importante in questa fase (come peraltro nell’adolescenza “normale”) diventa il gruppo dei coetanei, che acquista la connotazione di figura di riferimento per la propria identità socio-culturale. Da un punto di vista psicologico, si è rivelato utile un approccio in cui sia stata favorita la funzione del gruppo, utilizzando gli spunti verso l’autonomia. Incontri di gruppo specificamente rivolti agli adolescenti si sono rivelati utili, così come lo sono “i soggiorni educativi”. Il “campo” rappresenta spesso la prima opportunità di acquistare una temporanea autonomia dai genitori, contribuendo alla assunzione graduale di responsabilità della propria autogestione. Lo scambio con i coetanei, inoltre, favorisce il superamento della fase di isolamento in cui molti ragazzi, affetti da malattie croniche, si trovano.

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… con le istituzioni Alcuni Istituti, Associazioni o Reparti Ospedalieri (5) hanno messo a punto protocolli per attività di assistenza che tengono conto delle esigenze psicologiche dei pazienti, e dei loro familiari, nelle varie fasi della diagnosi e dell’inizio dei trattamenti, nel caso in cui si verifichino delle recidive, nel caso in cui vi sia una progressione grave, o una scarsa compliance alle terapie, o manifestazioni depressive ecc. I risultati di programmi congiunti e/o paralleli (con parametri ematochimici e valori metabolici valutati contestualmente e periodicamente) hanno messo in evidenza un miglioramento della conoscenza delle malattie, migliore compliance e migliori risvolti positivi sugli stessi trattamenti (6). … attuando strategie di autoefficacia Molti studi hanno evidenziato l’utilità della teoria socio-cognitiva dell’autoefficacia nella gestione delle malattie croniche che necessitino di riabilitazione e quindi di costante prevenzione terziaria secondo le ricerche e i lavori di A. Bandura (7). La promozione della autogestione permanente delle condizioni fisiche dovrebbe riuscire a sostituire il concetto di cura. Nella gestione della malattia cronica occorre sostenere le persone a partecipare attivamente alle cure e ai trattamenti sanitari prescritti. La partecipazione attiva alla progettazione dei regimi terapeutici contribuisce a migliorare l’umore e il funzionamento personale. Il recupero di un senso di efficacia regolatore è quindi di grande importanza, in quanto la capacità di autoregolarsi agisce su tre sottofunzioni: l’automonitoraggio, la scelta degli obiettivi, l’utilizzo degli autoincentivi per il cambiamento (8). Uno scarso senso di efficacia nella gestione di tutti quegli eventi che ruotano attorno alla condizione patologica, può peggiorare continuamente le condizioni di salute, mentre le reazioni biologiche, associate alla capacità di agire e controllare i processi negativi, influisce positivamente sul sistema immunitario attraverso la modulazione dello stress, della regolazione della depressione, della attesa di aspettative.

Occorre quindi attivare modalità di accompagnamento dei pazienti e delle loro famiglie in cui essi partecipino attivamente al recupero di processi cognitivi ed emozionali “direzionati”, anche creativamente, verso il mantenimento della migliore qualità di vita. In questa ottica, anche le modificazioni che l’adolescente percepirà conseguenti alla sua partecipazione attiva torneranno ad assumere significati positivi, e l’adesione ai processi riabilitativi o di mantenimento entrerà a far parte di una percezione positiva del cambiamento. Se gli stati depressivi vengono fronteggiati, il paziente e i suoi familiari, in stretta relazione con i sanitari o con il case manager, potranno indirizzare i loro sforzi verso quei programmi che sfruttino, qualsiasi esse siano, le capacità residue. Riuscire a indirizzare le proprie intenzionalità e attenzioni alla conquista di miglioramenti personali, piuttosto che alla valutazione della menomazione, aiuta certamente a contenere gli stati depressivi e ad utilizzare come risorse gli effetti positivi della percezione di efficacia personale e del contesto. Bibliografia e nota (1) Gutton P. Psicopatologia somatica in adolescenza. In Pissacroia M: Trattato di psicopatologia della adolescenza. Piccin Ed. Padova 1997. (2) Bertola P, Cori P. Il malato cronico Nis. La nuova Italia Scientifica, 1989. (3) “È un processo integrato finalizzato ad individuare i bisogni delle persone e a soddisfarli nella maniera più adeguata, nell’ambito delle risorse disponibili, riconoscendo che tali bisogni sono unici per ogni individuo. Per questa ragione, il case management enfatizza la necessità che siano i servizi ad adattarsi ai bisogni e non il contrario, e l’importanza di evitare situazioni in cui questi ultimi sono presi in considerazione da ogni servizio separatamente”. (UK DH Social Services Inspectorate, 1991). (4) Canevaro A. Se nasce un bambino o una bambina disabile. Quaderni acp 2004:5.229. (5) UO. di Pediatria, Istituto Tumori di Milano, Associazione Italiana Celiachia Emilia-Romagna, 1999. (6) Kelnar. Childood and adolescent diabetes. Chatmanhell Medical, London 1998. (7) “Il senso di autoefficacia corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati”. Bandura A. Autoefficacia. Teoria e pratica. Erickson Ed. Trento 2000, pp 28. (8) Bandura A. Autoefficacia. Teoria e pratica. Erickson Ed. Trento 2000, pp 408 e seg.

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Manifestazioni da papillomavirus umano (HPV) significato nella diagnosi di abuso sessuale Attilio Mazzei Istituto G. Toniolo di Studi Superiori, “Progetto di rete per la Prevenzione e l’Assistenza al Maltrattamento e all’Abuso nell’infanzia”, 2003 Abstract

Human papillomavirus (HPV) infection in the diagnosis of sexual abuse Sexual abuse is a harsh subject for physicians. Differential diagnosis is important considering the dramatic consequences related to sexual abuse. Human papillomaviruses (HPV) cause different diseases, from common warts to skin and laryngeal cancer. Genital and anal warts are frequently sexually transmitted and often result from sexual abuse. Some infants may acquire genital and anal warts during passage through an infected birth canal or by accidental transmission from common warts. HPV types isolated from common warts have been found in a certain percentage of genital warts in children. 1-2% of sexually abused children have genital and anal warts, in about 5070% of these children they are due to sexual abuse. Sexual abuse should be suspected in a child with genital and anal warts. The aim of this paper is to furnish paediatricians with useful diagnostic tools. Quaderni acp 2005; 12(2): 90-92 Key words Sexual abuse. Anal genital warts. Papillomaviruses. Warts

L’abuso sessuale nel bambino è un argomento ostico dal quale il pediatra spesso rifugge. È invece importante pensare anche all’abuso, nella diagnostica differenziale per le drammatiche conseguenze relative a un ritardo dell’azione di tutela per il minore. Il virus umano del gruppo papillomavirus (HPV) provoca diverse malattie, dalle verruche volgari al carcinoma della cute e della laringe. Le verruche ano-genitali sono trasmesse principalmente con contatti sessuali, per cui nei bambini possono insorgere a causa di un abuso sessuale, ma possono anche essere acquisite per inoculazione durante il parto attraverso il contatto con la mucosa vaginale infetta o per diffusione accidentale da verruche cutanee. In una percentuale significativa di verruche genitali nei bambini sono presenti tipi di HPV che sono generalmente isolati da verruche cutanee. È stato riportato che l’1-2% dei bambini abusati ha verruche anogenitali e nel 50-75% di questi casi le verruche sono state imputate all’abuso sessuale. In un bambino con condilomatosi ano-genitale bisogna pensare alla possibilità di un abuso sessuale. Scopo di questo articolo è fornire gli strumenti per orientare al meglio la diagnosi, senza trascurare, appunto, l’abuso sessuale. Parole chiave Abuso. Condilomatosi ano-genitale. Papillomavirus. Verruche Introduzione Il virus umano del gruppo papillomavirus (HPV) provoca diverse malattie (dalle verruche volgari al carcinoma della cute e della laringe). Appartiene alla famiglia Papovaviridae a DNA. Si conoscono più di 70 tipi di HPV, anche se la maggior parte delle verruche è causata da un numero ristretto di virus. Il papillomavirus umano provoca lesioni epiteliali, dette verruche, a livello della pelle e delle membrane mucose. In un bambino con condilomatosi ano-genitale bisogna pensare alla possibilità di un abuso sessuale. Scopo di questo articolo è fornire gli strumenti

per orientare al meglio la diagnosi, senza trascurare, appunto, l’abuso sessuale. Manifestazioni cliniche 1. VERRUCHE CUTANEE Le verruche cutanee possono riscontrarsi nel 5-10% dei bambini. Si distinguono nei tipi di seguito descritti: Verruche comuni (o volgari), causate dal tipo 2 e 4. Sono localizzate alle dita, regione periungueale, attorno o sotto le unghie, dorso delle mani, volto, ginocchia e gomiti. Hanno aspetto di papule circoscritte con superficie rugosa, irrego-

lare. Sono di solito multiple e asintomatiche. Quando i piccoli vasi dermici trombizzano appaiono, dei piccoli puntini neri. Verruche plantari, simili alle comuni, ma causate dal tipo 1, possono essere dolorose e caratterizzate da marcata ipercheratosi (possono riscontrarsi anche al palmo delle mani). Verruche piane (o giovanili) causate dal tipo 3 e 10. Sono localizzate al volto, alle braccia, al dorso delle mani e alle ginocchia. È possibile la distribuzione di lesioni multiple lungo una linea di trauma cutaneo. Aspetto: papule di colore dal rosa al marrone, lievemente rilevate e con minima ipercheratosi, in genere piccole, inferiori a 3 mm, e multiple. Verruche filiformi, presenti sul volto e sul collo. Verruche a mosaico, fusione di più verruche contigue e formazione di placche più o meno ampie. Questi tipi di lesioni cutanee sono benigni. Epidermodisplasia verruciforme, causata prevalentemente dai tipi 5 e 8. È rara e grave, persiste per tutta la vita; si pensa associata a una immunodeficienza cellulare. Nella maggior parte dei casi si manifesta nella prima decade di vita. Localizzazione: diffusa ma prevalente al tronco e alle braccia. Aspetto: papule verrucose multiple e diffuse, simili alle piane. Spesso somigliano alla tinea versicolor. È presente familiarità nel 25% dei casi con possibilità (3-10%) di carcinoma a cellule squamose HPV-associato in seguito a esposizione solare. La trasformazione maligna avviene in età adulta. 2. VERRUCHE DELLE MUCOSE Le manifestazioni dell’infezione ano-genitale da papillomavirus umano possono variare da un’infezione asintomatica a condilomi acuminati.

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Attilio Mazzei e-mail: tilomed@tin.it

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Condilomi acuminati (verruche delle membrane mucose) causati comunemente dai tipi 6, 11, 16 e 18. I tipi 31, 33 e 35 causano un’infezione subclinica e sono stati associati ai carcinomi genitali. Molto frequenti: negli USA sono presenti fino nel 40% degli adolescenti sessualmente attivi. Localizzazione: mucosa perianale, orifizio vaginale, grandi e piccole labbra, rafe perineale, pene, in particolare al glande (corona); più raramente si localizzano alle labbra, alle gengive o alla congiuntiva. Aspetto: lesioni papillomatose (escrescenze) di diametro variabile da pochi millimetri a diversi centimetri, umide e carnose (“creste di gallo”), possono diventare umide e friabili e, se non trattate, possono proliferare e confluire formando masse a “cavolfiore” di dimensioni anche estese. Di solito sono asintomatiche ma possono causare prurito, dolore, bruciore e sanguinamento. Gli stessi tipi possono causare i papillomi laringei, molto rari, che si riscontrano nei bambini intorno al terzo anno di vita. Si manifestano con cambiamento di voce, raucedine o pianto insolito. Modalità di trasmissione Le verruche cutanee si possono riscontrare, con una prevalenza massima del 50%, nei bambini in età scolare. PER TUTTI I TIPI DI HPV la trasmissione avviene per contatto diretto, da persona a persona, nei rapporti stretti o per autoinoculazione. È possibile, ma non comune, la trasmissione da parte di oggetti contaminati. LE VERRUCHE CUTANEE (non genitali) si contraggono attraverso piccole lesioni cutanee. L’incidenza aumenta con la frequentazione di piscine pubbliche. I soggetti con alterazioni immunitarie sono predisposti alla riattivazione di infezioni latenti e a una maggiore diffusione e gravità. LE VERRUCHE ANO-GENITALI sono trasmesse principalmente con contatti sessuali. Quindi, nei bambini possono insorgere a causa di un abuso sessuale che deve essere sempre preso in considerazione, ma possono essere acquisite per inoculazione durante il parto attraverso il contatto con la mucosa vaginale infetta o per diffusione accidentale da verruche cutanee. Una percentuale significativa di

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verruche genitali nei bambini contiene tipi di HPV che sono generalmente isolati da verruche cutanee. È stato riportato che l’1-2% dei bambini abusati ha verruche ano-genitali e nel 50-75% di questi casi le verruche sono state imputate all’abuso sessuale. Periodo di incubazione Le manifestazioni cliniche dell’infezione si sviluppano a distanza di un mese o più dall’inoculazione e dipendono dal tipo di HPV, dallo stato immunitario dell’ospite, dall’area anatomica colpita e dall’ampiezza dell’inoculo. La trasmissione dei tipi di HPV che causano un’infezione genitale avviene per contatto sessuale nel 50-85%

dei casi, con un periodo di incubazione che varia da 3 mesi (segnalati casi ad incubazione più breve, 3 settimane) a 8 mesi. Ma il reale periodo di incubazione di tutti i tipi non è noto potendo variare da 3 mesi ad alcuni anni. Il papillomavirus che infetta un neonato al momento del parto può rimanere clinicamente silente per anni, in genere 1 o 2, ma non è noto se il periodo di incubazione possa essere maggiore; negli Stati Uniti si ritiene che il “cut off” sia di tre anni. Diagnosi I test per l’identificazione del DNA dell’HPV sono utili per tipizzare il virus ma non sono eseguiti routinariamente. La diagnosi è prevalentemente clinica. L’applicazione per 5 minuti di acido acetico al 3-5% evidenzia le lesioni che assumono un colore bianco. L’esame istologico è dirimente. Riassumendo In presenza di condilomi acuminati ai

fini di una valutazione diagnostica, nel bambino, è quindi importante ricordare: la trasmissione avviene solitamente per contatto sessuale, ma la prevalenza di questo tipo di trasmissione nei bambini, soprattutto in quelli troppo piccoli per poter riferire quello che gli è accaduto, non è ancora stata stabilita; i papillomavirus possono essere acquisiti durante il parto e le manifestazioni cliniche possono rendersi evidenti anche alcuni anni dopo, raramente oltre il terzo anno di vita; nel bambino alcuni tipi di HPV che usualmente danno manifestazioni cuta-

nee possono localizzarsi anche a livello ano-genitale, quindi la trasmissione può avvenire per contatto diretto da portatore di lesioni cutanee;

la localizzazione in sede ano-genitale può avvenire, raramente, per autoinoculazione, ma anche per contatto manuale da portatore di lesioni genitali che non si lava le mani dopo aver toccato le proprie lesioni prima di accudire il bambino;

il periodo di incubazione va da tre mesi a diversi anni;

l’infezione da HPV tende a persistere per tutta la vita, anche in assenza di manifestazioni cliniche ma non è noto quanto duri la contagiosità dei pazienti con precedente infezione genitale;

le recidive sono il risultato di riattivazioni virali e non di nuove infezioni. Sono molto frequenti (25%) e si evidenziano, in genere, entro 3 mesi dalla terapia; 91


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il virus infetta lo strato basale delle cellule epiteliali causando principalmente coilocitosi e atipia dei nuclei. Le alterazioni possono evolvere verso la displasia e il carcinoma in situ.

HPV e abuso La determinazione di abuso o meno non è facile. Ciò significa che in tutti i casi di verruche ano-genitali nei bambini la possibilità di abuso sessuale deve essere considerata (1,2) e il bambino deve essere valutato nel modo seguente (3): esame anogenitale per escludere lesioni all’imene e all’ano, che possono indicare molestie sessuali, anche se indicazioni specifiche sono spesso assenti (6); esami per altre malattie trasmesse sessualmente, dato che chi è portatore di una malattia sessuale ha una probabilità maggiore di averne più di una. I test vaginali/cervicali o uretrali e anali che dovrebbero essere fatti sono per N. gonorrhoeae, C. trachomatis e T. vaginalis oltre a esami ematologici per sifilide, epatite B e HIV. Il Royal College of Physicians (Report of working party del 1997) ritiene, in una scala di probabilità (possibile – probabile – quasi certo), che la presenza di condilomi ano-genitali in un bambino di età superiore ai 2 anni sia dovuto a un abuso sessuale possibile (7). Nella classificazione di J.A. Adams del 2001 (8), per la valutazione globale della probabilità di abuso (classe 1: nessuna indicazione di abuso; classe 2: possibile abuso; classe 3: probabile abuso; classe 4: chiara evidenza di abuso o di contatto sessuale), i condilomi dell’area ano-genitale sono inseriti alla classe 2, cioè possibile abuso se sono rispettate le seguenti condizioni: condilomi acuminati con esame fisico altrimenti normale; non sono presenti altre malattie sessualmente trasmesse e il bambino non riferisce storie di abuso (i condilomi in un bambino di 3-5 anni sono più probabilmente da trasmissione sessuale ed è quindi necessario investigare in tal senso). Depongono per un’acquisizione non sessuale: anamnesi (indagine) sociale negativa; assenza di altri segni di abuso;

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lesioni piuttosto distanti dall’ano o dall’introitus vaginale; lesioni riscontrate in un bambino di età inferiore a 9 mesi; presenza di lesioni anogenitali nella madre o di un suo pap-test compatibile con infezione da HPV.

È importante ricordare che anche con la presenza di tutti questi fattori è necessaria, tuttavia, la valutazione del bambino per abuso, come indicato precedentemente. Quando possibile, sarebbe utile esaminare le persone che hanno contatti con il bambino. Conclusioni La presenza di condilomi ano-genitali in un bambino è altamente sospetta di abuso sessuale nei suoi confronti quando: il bambino ha un’età superiore a 2-3 anni. La comparsa di condilomi prima di questa età può essere dovuta a un contagio perinatale, anche se la madre ha un’anamnesi negativa per la possibilità di infezione clinicamente latente. Questa possibilità aumenta se la madre ha un pap-test compatibile con infezione da HPV. E se sono presenti le seguenti condizioni: altri indicatori e/o segni e/o sintomi di abuso sessuale; documentata o documentabile presenza di condilomi sul presunto abusante in un’epoca precedente o contemporanea alla recente comparsa di condilomatosi ano-genitale nel bambino. Spesso, però, l’identità dell’abusante non è conosciuta e perciò è prudente esaminare tutti i contatti familiari del bambino, se loro consentono. È più difficile ottenere l’esame del presunto abusante se costui non è un membro della famiglia; assenza di verruche alle dita delle mani di chi ha contatti intimi (lavaggio della regione ano-genitale) con il bambino. Ai fini dell’accertamento diagnostico per abuso sessuale è utile la valutazione della presenza o meno di condilomi sul sospetto abusante se l’indagine è effettuata entro 3-8 mesi dalla prima comparsa di condilomi sul bambino vittima dell’ipotetico abuso.

Infatti, nel bambino è possibile che le lesioni (recidive frequenti) siano presenti da molto tempo; in questi casi la presenza di condilomi genitali in un contatto stretto non è suggestiva di abuso se non è possibile stabilire, in termini temporali, in chi era presente per prima l’infezione, nel senso che le persone in contatto col bambino possono essersi da lui stesso contagiate (o lo possono dichiarare) durante le manovre di accudimento intimo o per l’uso comune e contemporaneo di oggetti. In queste situazioni è possibile ragionare in termini di probabilità, nel senso che i condilomi rientrano tra le malattie sessualmente trasmesse e quindi bisogna pensare alla maggiore probabilità di trasmissione sessuale piuttosto che ad altre. Infine, è possibile che, mentre nel bambino la presenza dei condilomi si protragga per le recidive, nell’abusante avvenga la guarigione spontanea o indotta dalla terapia. Bibliografia (1) Hammerschlag MR. Sexually transmitted diseases in sexually abused children: medical and legal implications. Sex Transm Infect 1998 Jun;74(3): 167-74. Review. Sito: http://sti.bmjjournals.com/ cgi/reprint/74/3/167?maxtoshow=&HITS=10&hits =10&RESULTFORMAT=1&author1=hammerschlag&andorexacttitle=and&andorexacttitleabs=a nd&andorexactfulltext=and&searchid= 1089056142080_661&stored_search=&FIRSTINDEX=0&sortspec=relevance&resourcetype= 1,2,3,4,10&journalcode=sextrans. (2) Gibbs NF. Anogenital papillomavirus infections in children. Curr Opin Pediatr 1998;10:393. (3) Siegfried EC, Frasier LD. Anogenital warts in children. Adv Dermatol 1997;12:141. (4) Moscicki AB. Genital HPV infections in children and adolescents. Obstet Gynecol Clin North Am. 1996;23:675. (5) Frasier LD. Human papillomavirus infections in children. Pediatr Ann. 1994;23:354. (6) Guidelines for the evaluation of sexual abuse of children: subject review. American Academy of Pediatrics Committee on Child Abuse and Neglect. Pediatrics 1999;103:186. Erratum in: Pediatrics 1999;103:1049. (7) Royal College of Physicians, Physical signs of sexual abuse in children. Report of working party. London 1997. (8) Adams JA. Evolution of a Classification Scale: Medical Evaluation of Suspected Child Sexual Abuse. Child maltreatment. 2001;6:31. È possibile consultare il sito www.cdc.gov.com per informazioni sull’epidemiologia dell’HPV. Si ringrazia la prof. Marcellina Mian dell’Hospital for sick children, Toronto, per la revisione dell’articolo.

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