Antonio Canovi, Un po' più in là dello stereotipo - Progetto didattico

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Documento di orientamento al progetto didattico

Un po’ più in là dello stereotipo Memorie in viaggio con i modenesi nel mondo (elaborazione Laboratorio di storia delle migrazioni, Università di Modena e Reggio Emilia)

I. In una “Passeggiata della memoria” ospitata qualche anno fa nel più noto “lunario” mirandolese, tra le fotografie proposte per illustrare Fatti e figure della Mirandola… dal calare dell’Ottocento al terzo Millennio compare la prima Gelateria “elettrica” della città. L’obiettivo mette in posa l’adulto, i bambini e gli strumenti di lavoro. Più del processo lavorativo, in effetti, interessa la rappresentazione del luogo, probabilmente una corte. Ma leggiamo per esteso il commento portato alla scena: La bella fotografia, che risale al 1912, potrebbe stranamente evocare retrobotteghe newyorchesi e rinviare alla tenace ed orgogliosa attività di qualche emigrante italiano giunto in America per cercare fortuna. In realtà, non ci siamo spostati da Mirandola: ci troviamo più precisamente in Via Curtatone… (1)

Ecco come uno scatto all’apparenza innocuo, preso “dietro l’angolo” e quasi centenario, ci precipita così, d’improvviso, nel poliedro della contemporaneità. Via Curtatone è un pezzo di sapere locale, ma per ritrovarne quella particolare esistenza storica – al tempo dei nonni o dei bisnonni, pur sempre nel Novecento - occorre semmai la luce globale, e riflessa, di Brooklin. Perché il nostro immaginario, nel frattempo, si è nutrito di altri scatti, semmai non personalmente provocati e dei quali facciamo comunque esperienza. Così nascono gli stereotipi sociali. La condivisione del medesimo messaggio approssima soggetti altrimenti destinati a restare estranei, familiarizza e rende comunitari luoghi prima altro da noi. Il fenomeno migratorio, in tal senso, è un soggetto privilegiato. Si pensi alla figura dello “zio” d’America, riconoscibile in quanto migrante solo se carico di fortuna! C’era un “prima”, ci potrà essere un “dopo”, ma sempre a partire dal punto di vista monoculturale della “comunità originaria”. In questo modo, collocando “altrove” l’esperienza migratoria consumata tra la partenza e l’eventuale ritorno, rischiamo fortemente di costruire narrazioni storiche monche di troppe voci. E’ quanto accade con la vecchia e cara via Curtatone del “tempo che fu”: vi accediamo attraverso la 1

Fatti e figure della Mirandola. Storia, arte, società dal calare dell’Ottocento al terzo Millennio, Edizioni “Al Barnardon”, 2000 (edizione per il 122° dello “storico lunario cittadino”). La “Passeggiata nella memoria” viene proposta e commentata da Giampaolo Ziroldi (Cf. p. 32).


2 figura stereotipata dell’emigrante italiano, nel momento preciso in cui abbiamo perso la memoria locale dell’emigrazione.

II. L’esempio di Mirandola è tanto più calzante. Secondo i dati della Direzione Generale di Statistica, nel 1888 il Circondario di cui è capoluogo versa percentuali d’emigrazione di gran lunga superiori a quelli di Modena e Pavullo. Eppure, da quanto si comprende anche scorrendo la bibliografia locale, si tratta di una esperienza che non ha avuto (ancora) modo di sedimentarsi. ( 2) Mirandola è però la norma. Nel secolo che corre tra l’unità d’Italia e il “boom” economico l’Italia è tra i paesi europei quello che vede andarsene fuori dei confini nazionali il maggiore numero di persone. Le statistiche, in modo particolare, tra il 1876 e il 1973 (l’anno della crisi energetica mondiale, da cui origina un ripensamento delle singole politiche nazionali nei confronti dell’immigrazione) conteggiano 27 milioni di espatri. In tanti, indubbiamente, sono ritornati in Italia; altrettanti non vi hanno mai più rimesso piede. Italia: terra di emigranti! Ma il paese intero, la sua società civile, ha fatto e continua a fare, notoriamente, una gran fatica nell’assumere l’emigrazione come parte della propria identità nazionale. Vi sono certo differenze regionali (continua ad essere discussa, non a caso, la nozione di regione migratoria), ma l’atteggiamento diffuso resta quello del disinteresse, se non del disagio verso un fenomeno che – pur essendo imponente per dimensioni, quanto vario per motivazioni - è stato spesso vissuto come perdita secca, da coniugare al passato remoto, come di cosa trapassata che non ci riguarda più. Mentre bisogna considerare che anche una regione come l’Emilia Romagna – considerata a scarsa propensione migratoria – ha mobilizzato nel periodo sopra considerato oltre un milione di persone. (3) Ritornare sul fenomeno dell’emigrazione, come si propone di fare questo Progetto didattico, significa interrogare quella esperienza storica alla luce dell’agenda presente, con la consapevolezza di vivere in un tempo sempre più globalizzato. La mobilità, in modo particolare, è emersa nel passaggio di inizio millennio come l’espressione sociale di un comportamento diffuso, aperto, anche problematico ma non confinabile entro il recinto delle politiche di sicurezza. (4) Per restare a Mirandola, qui assunta a paradigma interpretativo, non appare allora strano trovare, nel giornale 2

Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale della Statistica, Statistica della emigrazione italiana avvenuta nell’anno 1888, Roma, Tipografia Aldina, 1889. Ad un primo spoglio bibliografico scarsi e collocati marginalmente sono apparsi i riferimenti all’emigrazione storica dal Comune. 3 Un buon punto di riferimento divulgativo sull’argomento migratorio, per il corredo documentario e l’ampiezza degli spunti interpretativi – tra l’altro esplicitamente rivolto a giustapporre i flussi storici in uscita a quelli odierni in entrata, resta il catalogo della mostra documentaria Macaronì e Vu’ cumpra’. Emigrazione e Immigrazione nella storia della società italiana, curata da Emilio Franzina con la collaborazione di Mara Tognetti ed uscito come supplemento al n. 579, 1995, de “Il Calendario del Popolo” sotto la direzione di Ada Lonni. 4 Didier Bigo, L’immigration à la croisée des chemins sécuritaires, in La ville destabilisée? Faits et representations, “Revue Européenne des Migrations Internationales”, n. 1, 1998.


3 edito dal Comune, la storica citazione della vecchia emigrazione locale esplicitamente abbinata all’attualità dei nuovi flussi immigratori.

Siamo nel 1998: Nel 1891 emigrarono molti mirandolesi. Le cause non erano molto diverse da quelle che spingono gli emigranti di oggi: fuggire dalla miseria per un lavoro e un’esistenza migliori. (5)

III. Mobilità. Esperienza. Memoria. Identità. Coesione. Comunità. Cittadinanza. Abbiamo bisogno di ripensare le categorie interpretative e di metterne a prova l’efficacia analitica per leggere e decodificare un fenomeno di lunga durata, e di fenomenologia tanto variegata, quale l’emigrazione. Si tratta di un fenomeno che investe la sfera della soggettività; interpella la qualità delle relazioni sociali; modifica e insieme norma le pratiche dell’ospitalità. Non sembrino, queste, note un poco astratte o buone giusto per gli specialisti. Il dibattito avviato in tutta Europa sullo statuto della cittadinanza coinvolge direttamente alcune decine di milioni di persone e riguarda noi tutti. L’essere un lavoratore o uno studente o non di meno una madre coincide con la fruizione di determinati servizi sociali, obbliga a corrispondere una certa quota di fiscalità, produce legami di natura sociale. Ciò che significa l’appartenenza ad un ben preciso contesto ambientale: per ritrovarsi, ed è una condizione diffusa, extracomunitari per provenienza e pienamente infracomunitari per stile di vita. La forza della cittadinanza, come delle politiche di coesione, si fonda infine sulla possibilità di riconoscersi e di essere socialmente riconosciuti come membri di una realtà territoriale a cui non si “appartiene” per diritto di nascita o familiare quanto per le modalità dell’abitare che vi sono concretamente praticate. Il discorso democratico - ha affermato il filosofo Giacomo Marramao - non può che ripartire da coloro che soffrono, ed anzi dall’infelicità; ovvero, in senso lato e filosofico, dalla differenza, perché lì dove sta la frattura occorre recuperare una qualche normatività, per tutti. (6) Una simile, radicale ridefinizione del concetto di bene comune ci riporta alla problematica propria degli autori classici (da Ferdinand Tönnies a Emile Durkheim) i quali, sul finire dell’Ottocento, si trovarono a fare i conti con la crisi della comunità (fondata sui rapporti personali) di fronte all’espandersi della moderna società (fondata sui rapporti contrattuali). Ne scaturisce un’indubbia, ma anche 5

L’intervento, a cura di Fabio Montella, appare nella rubrica “Un mese di fatti”, con il titolo “110 dieci anni fa”, nel numero n. 4, anno 6, aprile 2001 de “L’Indicatore Mirandolese”; lo spunto storico è tratto da “L’Indicatore Mirandolese” dell’agosto 1891. 6 Giacomo Marramao, Filosofia e cittadinanza, paper Fondazione Collegio San Carlo, Modena, 4 febbraio 2000.


4 chiarificatrice e necessaria, tensione. Per un verso, le istituzioni, in quanto enti chiamati a governare il sociale, si preoccupano di somministrare insieme ai “servizi” politiche che promuovino il “legame sociale”, e dunque - in prospettiva - riequilibrino od uniformino; d’altro canto, il discorso “per” la cittadinanza parte storicamente da chi ne è e se ne sente escluso, dunque si presta volentieri a svellere vecchi paletti e apre nuove frontiere. Ciò che è accaduto, nel corso del Novecento, per le donne: le quali hanno rivendicato (e tuttora lo fanno) la parità di trattamento, ma lo hanno fatto - e con sempre maggiore consapevolezza - a partire dalla propria differenza di genere. Si vede quindi bene dove sta la divaricazione dei punti di vista: quegli stessi “punti di frattura” che identifica il discorso per la coesione divengono, sotto il profilo della diffusione della cittadinanza, il sintomo di altrettante faglie della contemporaneità. Il migrante si trova oggi al crocevia di molti discorsi, è una figura che attraversa le frontiere identitarie. L’immigrato rinvia – è il discorso corrente di ogni giorno - allo “straniero”, al “disoccupato”, talvolta con paura anche all’“integralista”, ma per ritrovarlo dobbiamo sempre più cercare tra i “giovani” e gli “operai”. Mentre dell’emigrato non si parla quasi mai e fatichiamo a vederlo; ma possiamo, e forse dobbiamo, fare uno sforzo di immaginazione per saperlo a sua volta compreso problematicamente in una duplice narrazione. C’è un discorso rivolto all’integrazione e in sostanza all’adeguamento nel contesto sociale di arrivo; ve ne è un secondo teso a preservare l’identità, cioè volto alla cura e salvaguardia dell’appartenenza etnica, linguistica, culturale e comunitaria definita al momento della partenza. In questo senso, prima ancora di riconoscere il migrante in quanto persona, vale la qualità del discorso pubblico – un discorso che procede senz’altro per ideal-tipi, in difficoltà a restituire per intero la soggettività del migrante - portato sulla natura del fenomeno migratorio, se perdita o ricchezza, se risorsa o deprivazione . José M. Ruis-Funes - ancora a partire dall’incipiente fenomeno immigratorio, ma è una riflessione che non vale meno dal punto di vista emigratorio – ha parlato a questo proposito di un diffuso “bisogno” a farsi carico del diritto alla differenza reclamato da certi settori della popolazione immigrata che desiderano poter vivere la loro cultura all’interno di un quadro repubblicano incontestato, senza che ciò venga percepito come un’offesa alla coesione sociale. (7)

Amin Maalouf, tra gli altri, ha rivendicato come una migliore risorsa identitaria la molteplicità delle appartenenze sociali e comunitarie: ciascuno di noi dovrebbe essere incoraggiato ad assumere la propria diversità, a concepire la propria identità come la somma delle sue diverse appartenenze, invece di confonderla con una

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José M. Ruis-Funes, Enquete sur les revues de l’immigration e de l’intégration, in “La Revue des revues”, n. 27, 1999 - Nt.


5 sola, eretta ad appartenenza suprema e a strumento di esclusione, talvolta a strumento di guerra. (8 )

Ed esemplifica, parlando di sé: io, di origine libanese, cristiano, con la cittadinanza francese… E’ quanto accade, in modo particolare, alle seconde e terze generazioni, non per caso oggi al centro degli studi dedicati ai fenomeni migratori: di scegliere la condivisione di lingue e tradizioni differenti, per non uscirne irrimediabilmente dimidiati. La propria biografia viene insomma concepita come l’espressione di un processo storico, l’esito di una scelta culturale. Alle classiche categorie socio-antropologiche – la parentela, il lignaggio, la comunità, la classe – si è venuta così affiancando la strumentazione proposta dalla network analysis, in primis la nozione di rete e il concetto di catena migratoria. Può servire un passaggio di Franco Ramella, intento a sostenere l’efficacia di tali ragioni scientifiche: Collocare l’emigrante all’interno delle sue reti di relazione non significa negare il ruolo della cultura, ma aprirsi a un concetto dinamico di cultura, in quanto processo creativo e permanente di costruzione e ricostruzione che ha luogo nell’interazione che si produce tra gli individui e che perciò non esiste e non può essere studiato al di fuori di essi.(9)

IV. Alla luce di tali considerazioni generali, risulta tanto più interessante l’attività di cooperazione culturale ed economica che diversi comuni nella provincia di Modena hanno stretto con località che, semmai lontane qualche migliaio di chilometri e sinora considerate remote, si sono trovate nell’ultimo secolo investite da un movimento emigratorio, tutt’altro che sporadico e marginale, originato dal territorio modenese. Si tratta di un fenomeno che, a quanto è dato sapere, non ha paragoni nella regione Emilia Romagna. I comuni di Pavullo, Zocca, Vignola, Spilamberto, Marano e Guiglia – tra il 1992 e il 2001 – hanno allacciato veri e propri patti di gemellaggio con i comuni di Lumaco, Purén e Angol, tutti nella regione di Araucanía, nel sud del Cile. La stessa Provincia ha stretto, nel 1999, un patto con l’ente paritetico di Angol. All’origine c’è la vicenda, ormai nota, di Capitan Pastene, ricordata peraltro esplicitamente nei patti di gemellaggio. (10) Ciò che appare fuori dall’ordinario è la connessione tra la vicenda storica data e la relazione culturale ed economica nel presente. In 8

Amin Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano, 1999. Franco Ramella, Por un uso fuerte del concepto de red en los estudios migratorios, in Inmigración y redes sociales en la Argentina moderna, Naría Berg, Hernán Otero (compiladores), Cemla, Tandil, 1995 - Nt. 10 Nel gemellaggio stretto tra Vignola, Spilamberto e Angol, ad esempio, la vicenda storica viene espressamente inserita tra le motivazioni che hanno condotto all’avvio di un rapporto istituzionale: “Premesso… che alcuni Comuni della IX Region hanno conosciuto una emigrazione della media ed alta valle del Panaro all’inizio del secolo scorso”. Così come il Segretario comunale di Lumaco, José E. Flores Caballieri, ha tenuto a precisare: “Tutti siamo d’accordo sul fatto che i rapporti, per tanto tempo lasciati alla volontà dei singoli, si riprendano con nuovo slancio e siano destinati a ravvivare lo spirito di fratellanza latente in ciascuno di noi”. 9


6 particolare, è decollata - tra i medesimi enti, in Emilia Romagna e in Araucanía – una Fondazione per lo sviluppo della comunità di Capitan Pastene. E sulle motivazioni profonde, tanto più forti perché di oggi e non di ieri, che guidano tale complessa azione istituzionale valgono le parole pronunciate nel corso di una omelia da don Juan Leonelli, il direttore dell’Istituto di studi teologici dell’Università cattolica di Temuco, nonché discendente di una famiglia originaria di Zocca. Siamo nel 1998: Siamo molto felici di avere con noi un gruppo di amici italiani che vengono in rappresentanza della Regione, della Provincia e da un Comune da dove partirono i nostri antenati, per fare giustizia con i nostri che si trovarono in qualche modo dimenticati dall’Italia. (…) Pensare non solo ai discendenti italiani, ma a tutti quanti che oggi formiamo la comunità di Capitan Pastene e il Comune di Lumaco, come ad esempio ai Mapuches.” (11)

Come a dire: le ragioni dei 16 mila “pastenini” sparsi tra l’Auracanía e Santiago, per essere comprese a fondo, vanno ascoltate nel contesto storico e culturale che si è formato – ma questo vale per entrambe le sponde, in Cile come nel Frignano - nel lungo lasso di tempo in cui gli unici rapporti sono stati di natura familiare e privata. Ecco che, ora, c’è la possibilità di rimettere in un circuito di memoria pubblica quelle esperienze e quelle storie prima relegate nel silenzio della mancata trasmissione tra le generazioni. E’ accaduto, con grande tempestività, presso l’istituto superiore comprensivo “Paradisi” di Vignola, dove un gruppo di insegnanti ha impostato e sta curando un progetto didattico interdisciplinare che parte esplicitamente dalla vicenda di Capitan Pastene per affrontare le dinamiche storiche e interculturali dei fenomeni migratori. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca l’azione di gemellaggio avviata nel 1997 dal comune di Pievepelago. Si recita, testualmente, nella delibera del Consiglio comunale: Considerato che in entrambe le comunità vivono persone con storie familiari che si sono intrecciate e che hanno interesse a conoscere il proprio passato e la propria storia, ad approfondire una reciproca conoscenza nell’ambito del patrimonio artistico, culturale, economico, tecnologico, scolastico, turistico”.

La collocazione del nuovo patto nel tempo presente viene ulteriormente esplicitata nell’accordo deliberato nel settembre 1999 (corsivo nostro): Considerato che nella Città di Highwood è presente una numerosa comunità Italoamericana di origine Emiliana, in particolare della valle di Pievepelago, che esprime il bisogno di riscoprire il proprio retaggio e le tradizioni consapevoli che in un’ottica dinamica il proprio passato significa migliorare il futuro delle nostre generazioni.

Anche qui le potenzialità sono tante: oltre a Pievepelago, sono Fiumalbo e tutto l’alto Frignano ad essere emigrate nell’Illinois (a Chicago, Highwood e Higland Park), a cominciare dalla 11

Cf. “Zocca Notizie”, n. 7, settembre 1998.


7 fine dell’800 ma ancora nel corso degli anni ’60 del ‘900. Si tratta di un’esperienza che, investendo generazioni diverse, si presta particolarmente a considerare i processi di formazione delle catene migratorie. Azioni del medesimo tenore sono state intrattenute tra Concordia, Novi e Porto Real (il Patto di Amicizia risale all’ottobre 1998, ha riscosso notevole interesse), ma anche – per citare un esempio meno noto - tra Castelnuovo Rangone e la cittadina svizzera di lingua tedesca Surt. Lo spoglio delle diverse posizioni comunali esperito in sede di preparazione dello studio Altri modenesi mostra, peraltro, come la presenza all’estero di vicende migratorie – anche di portata familiare – abbia costituito in diverse situazioni un elemento culturale sensibile, sino ad influenzare, già a partire dagli anni Sessanta, l’avvio di rapporti istituzionali improntati alla cooperazione e al patto di gemellaggio.12

V. La proposta presente di un Progetto didattico volto a valorizzare il parternariato tra comunità transnazionali di origine modenese appoggia dunque su di una solida tradizione locale.

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Antonio Canovi, Nora Sigman, Altri modenesi. Temi e rappresentazioni per un atlante della mobilità migratoria a Modena, Torino, EGA, 2005.


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Note geostoriche sulle tendenze di fondo dell’emigrazione modenese

I. Come leggere le fonti statistiche1 I dati statistici reperibili provengono da diverse fonti, ma sostanzialmente possiamo dividerle in due categorie: i dati forniti al governo italiano dalle autorità consolari nei paesi di destinazione dell’emigrante (Censimenti degli italiani all’estero del 1871 e del 1881) ed i dati forniti dai sindaci ai diversi enti provinciali e agli uffici di statistica nazionali. I dati dei sindaci provengono dai registri per il rilascio de passaporti. (2) Bisogna peraltro precisare che la definizione del nostro oggetto cambia nel tempo, così come gli uffici preposti a rilevare la natura e l’entità del fenomeno migratorio. Valga come avvertimento di ordine generale: prima ancora di discutere la “esattezza” delle statistiche riportate, occorre capire chi e perché venga, o meno, preso in considerazione e così tradotto in materia storico-analitica. Nei volumi che raccolgono le statistiche ufficiali dell’emigrazione italiana gli “espatriati” sono via via definiti: “emigranti”, fino al 1927; “lavoratori”, dal 1928 al 1942; “espatriati per motivi di lavoro o atto di chiamata”, dal 1943 al 1957; “emigranti” (lavoratori, familiari e per altri motivi), dal 1958 in poi. Quanto ai “rimpatriati”, vengono rilevati sulla base dei rientri. Le rilevazioni ISTAT, in modo particolare, cambiano le categorie cui fare riferimento: fino al 1913, si considera il “movimento dei cittadini italiani espatriati in disagiate condizioni economiche”; tra il 1914 e il1927, il “movimento dei cittadini espatriati a scopo di lavoro manuale o per esercitare il piccolo commercio o per raggiungere congiunti già emigrati per motivi di lavoro”; nel periodo 1928-1942, il “movimento dei cittadini italiani espatriati a scopo di lavoro manuale o intellettuale o per raggiungere congiunti già espatriati per motivi di lavoro”; dal 1943, il “movimento dei cittadini italiani espatriati per esercitare all’estero una professione, un’arte o mestiere in proprio o alle dipendenze altrui oppure per seguire o raggiungere familiari espatriati per tali motivi oppure per stabilire all’estero la residenza per altri motivi”. Tanto per esemplificare: ciò significa che nel momento in cui scatta il Patto di Acciaio nazifascista, non vengono compresi fra i dati degli “espatriati” i lavoratori dell’agricoltura e dell’industria emigrati in Germania, e così quanti partono per occuparsi in lavori che sulla base di accordi speciali, vengono definiti “temporanei”. (3) 1

Per questa trattazione metodologica si fa qui riferimento al lavoro svolto da Antonio Canovi, Nora Sigman, Altri modenesi. Temi e rappresentazioni per un atlante della mobilità migratoria a Modena, Torino, EGA, 2005. 2 Sulle fonti cui fare riferimento per le statistiche migratorie, Cfr. l’Introduzione metodologica contenuta nel volume Cent’anni di emigrazione dal Pavullo e dal Frignano (1860-1960), prodotto nel 1993 dall’Amministrazione Comunale di Pavullo sotto la cura di Maurizio Mariani, Giovanna Martelli, Giuliano Muzzioli. 3 ISTAT, Sommario di statistiche storiche dell’Italia, 1861-1975, Roma, 1976.


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Per quanto riguarda il punto di osservazione del fenomeno. Dal 1869 è il Ministero dell’Interno e degli Affari Sociali ad occuparsi dei flussi e della consistenza degli italiani all’estero, mentre la rilevazione sistematica dell’emigrazione italiana per l’estero prende avvio nel 1876, presso la Direzione Generale di Statistica. Dal 1902, si occupa degli espatri il Commissariato Generale dell’Emigrazione. Nel 1927, la competenza passa al Ministero degli Affari Esteri (Direzione generale degli italiani all’estero). Dal 1929, diviene materia dell’Istituto Centrale di Statistica. I dati qui riportati non si possono pertanto considerarsi definitivi. Per quanto riguarda le statistiche relative ai Comuni e alla stessa Provincia, le fonti sono diverse e cambiano anche anno per anno mostrando alcuni limiti di base: confusione tra popolazione residente e popolazione presente e tra emigrazione permanente e temporanea. Spesso è veramente difficile differenziare questi due ultimi valori in quanto molti emigrati dicono “in buona fede” di andare in cerca di lavoro temporaneo in Francia, in Austria in Germania; ma poi arrivati in Francia o in altri Stati non trovandovi occupazione vantaggiosa, se hanno mezzi sufficienti per fare il viaggio all’America - prendono l’imbarco nei porti atlantici ma così si trasformano, con ogni probabilità, in permanenti. Questi stessi emigrati, infine, figurano tra gli immigrati sbarcati nei porti americani, mentre per la statistica italiana risultano in conto all’emigrazione temporanea. Gli emigranti clandestini ovviamente non vengono trascritti nel censimenti e perciò sono un altro elemento che condiziona la relatività dei dati censuali. (4)

II. Dall’Unità di Italia e la depressione agraria fino alla prima guerra mondiale Di fronte a una storiografia locale che tende a identificare l’emigrazione con il calo demografico della montagna, negli ultimi anni dell’800 si verifica una prima emigrazione nella Modena, legata tra le altre cose alla depressione agraria e alle calamità naturali che colpiscono la pianura (alluvioni) come la montagna (frane). Si tratta, peraltro, di flussi migratori subito condizionati dalla preferenza per alcuni luoghi di destinazione rispetto ad altri (giusto per citare i casi più noti: Illinois, Paranà, Rio de la Plata, Araucanía. E’ anche un movimento precoce, che accompagna o persino precede la grande crisi agraria. Già il censimento del 1871, ad esempio, viene riportata la presenza di 852 modenesi residenti all’estero, suddivisi della seguente maniera. (5) 4

Ministero di agricoltura, industria e commercio, Direzione generale della statistica, Statistica dell’emigrazione italiana avvenuta nell’anno 1888, Roma 1889. 5 Statistica generale del Regno d’Italia, Censimento generale degli italiani all’estero (31 dicembre 1871), Roma 1874.


3

Argentina: Russia:

65 3

Portogallo e colonie:

12

Austria-Ungheria:

Spagna e colonie:

20

Brasile:

Svizzera:

32

Francia e colonie:

Turchia:

54

Germania:

Uruguay:

71

180 13 381 2

G.Bretagna e colonie:

11

Grecia:

4

Perù:

Russia:

3

Svizzera:

32

Turchia:

54

Spagna e colonie:

20

Uruguay:

71

4

Nel censimento del 1881 appaiono invece i primi modenesi nati all’estero: in Brasile (177), Austria (152), Egitto (33); Romania (19); Turchia (17); Spagna (14); Argentina (10); Ungheria (7); Stati Uniti (4); Tunisia e Cina (3); Bosnia Herzegovina, Gran Bretagna, Messico e Germania (2 ognuno) Bulgaria, Messico, Serbia, Portogallo, Persia (1 ognuno). (6) Il Censimento più ricco in notizie che abbiamo a disposizione è quello del 1888, in quanto dà testimonianza di un fenomeno che potremmo chiamare di “febbre emigratoria” nella zona della Bassa (è questo l’anno in cui si emana la prima legge sulla emigrazione). Infatti, malgrado l’Emilia Romagna si caratterizzi nel periodo 1881-90 per una minore emigrazione nei confronti delle altre regioni del centro-nord, Modena nel 1888 si colloca al ventesimo posto assoluto tra le province con maggiore emigrazione in tutta Italia (al sedicesimo, se teniamo conto della proporzione degli abitanti). Diventa così la provincia dell’Emilia con più quantità di emigranti permanenti (definita “propria”: 3.469 persone), mentre la quota dei “temporanei” risulta comparabile ad altre provincie emiliane, quali Parma e a Piacenza (1.204) . In totale vengono registrati 4.329 partenze per paesi non europei e 344 per i paesi europei; si tenga conto che, sull’intero piano nazionale, emigrano 32.945 persone. E’ poi la suddivisione amministrativa per Circondari – sono tre: Modena, Mirandola, Pavullo - a suggerire l’esistenza di una specifica sofferenza della “Bassa”. La maggior parte degli emigrati modenesi provengono dal circondario di Mirandola (1582 permanenti e 641 temporanei), tra i quali ben 415 da Cavezzo. Quali sono le destinazioni preferite? Nella maggioranza, si parte per San Paolo (Brasile) o New York (Usa). Si tratta specialmente di 6

Statistica generale del Regno d’Italia, Censimento generale degli italiani all’estero (31 dicembre 1881), Roma, 1884.


4 falegnami, panettieri ed agricoltori. Da Mirandola si parte anche per il Costa Rica o Buenos Aires (Argentina), in qualità di muratori e lavoratori nella costruzione delle ferrovie. Il Censimento del 1888, a partire di una serie di domande che l’Ufficio di statistica rivolge ai sindaci, offre alcune piste per spiegare questo fermento. Come cause dell’emigrazione si mettono in evidenza la crisi agraria, la miseria (ma non vi si fa menzione dell’alluvione del Po del 1879, che pure viene ampiamente citata nella stampa locale dell’epoca), come anche il desiderio di miglior fortuna, il ricongiungimento familiare o con amici, oltre che il cosiddetto “eccitamento” provocato dagli agenti di emigrazione, passati dalla provincia di Mantova a Novi di Modena, attraverso la diffusione di avvisi e libretti. L’importanza della rete di relazioni già esistente si rivela grazie ad una lettera al comune di Mirandola della Linea di Brasile – Uffici passeggeri (che tra l’altro aveva una sede in provincia di Modena: “La Veloce”), dove si chiede di prendere contatto con Giannari Domenico e altre persone segnalate in Brasile da familiari e amici come eventuali migranti. (7) Questa situazione di addensamento del fenomeno emigratorio in alcuni comuni o circoscrizioni si ripeterà lunghi gli anni e ci apre una prospettiva di analisi stimolante, che abbina l’analisi strutturale – relativa ai condizionamenti socio-economici – e la prospettiva della network analysis. Negli anni seguenti continua l’emigrazione dalla Bassa, mentre nella montagna si verifica prevalentemente un’emigrazione temporanea. Da quanto si può ipotizzare, nella montagna in quegli anni si parla di emigrazione temporanea (anche quando si partiva per l’Usa), dovuta all’impossibilità di lavorare oltre 6 mesi all’anno a causa della neve e alla miseria. Qui, evidentemente, ritroviamo la problematica – da risolvere in fase di ricerca avanzata - della differenziazione tra emigrazione temporanea e permanente. Le cifre, come si è detto sopra, risultano spesso di provenienza incerta, e sono ottenute grazie al lavoro dei consoli - come dimostra il caso degli Stati Uniti, dove non ci fu un censimento propriamente detto - e alla dichiarazioni personali e nominali degli individui. Rimaniamo, al momento attuale, con molte lacune sul carattere dell’emigrazione. Inoltre questi emigrati vengono considerati dalle autorità nazionali, e spesso anche da quelle locali, come parte di una emigrazione temporanea

“in cerca non di miglior patria , ma di miglior fortuna”, dunque con la ferma

“intenzione di far ritorno alla patria”.

7

Fondo Resca, presso l’Istituto storico di Modena.


5 III. Il periodo tra le due guerre Sappiamo ancora poco della prima Guerra Mondiale, mentre qualche raffronto possiamo farlo tra l’inizio del secolo e gli anni del fascismo. Tra il 1901 e il 1911, la popolazione residente aumenta da 323.598 a 365.584 abitanti (l’aumento è di 41.986 unità). La crescita demografica perde consistenza percentuale nelle decadi successive: nel 1921 a si passa a 405.077 (con un aumento di 39.493 unità) e nel 1931 a 457.202 (più 52.125 unità). (8) L’aumento verificatosi tra il 1921 ed il 1931 risulta alquanto più elevato di quelli riscontrati negli altri periodi intercensuali, a causa dell’aggregazione alla provincia di Modena del Comune di Castelfranco Emilia, storicamente parte della provincia di Bologna (con decreto 24 gennaio 1929; significò un aumento di 17.115 abitanti su una popolazione presente di 448.429). L’aumento in cifre tra il 1921 e il 1931, risulta alquanto inferiore a quelli verificatisi nei precedenti periodi. Bisogna poi precisare che l’aumento della popolazione della provincia di Modena dal 1901 al 1931 va attribuito esclusivamente all’eccedenza dei nati sui morti; il saldo netto fra gli immigrati e gli emigrati risulta sempre negativo (meno 3,0 per cento dal 1901 al 1911; meno 0,2 per cento dal 1911 al 1921; meno 4,9 per cento dal 1921 al 1931). (9) L’Introduzione al Censimento del 1931, stilata secondo le direttive “demografiche” suggerite dalla retorica fascista, descrive per la provincia modenese un continuo aumento della popolazione: In 70 anni la popolazione della Provincia di Modena si è quasi raddoppiata passando da 278.338 abitanti nel 1861 a 462.358. La sola popolazione del Capoluogo è aumentata di quasi 40.000 unità passando, nel periodo preaccennato, da 52.629 a 89.702 abitanti; la regione della collina, che è quella, nel complesso, più intensamente abitata, ha visto la propria popolazione più che raddoppiata: i 23.619 abitanti del 1861 sono diventati, nel 1931, 47.483.

Malgrado questo panorama a tinte rosa, si fa allusione al fenomeno della diminuzione della popolazione in alcune vallate montane. Nel 1921, infatti, la montagna diventa il luogo privilegiato dell’emigrazione all’estero – sebbene sia sempre compresa sotto la categoria “temporanea”. Il censimento del 1921 rileva 1.340 emigrati da Fanano, 613 da Montefiorino, 476 da Lama Mocogno e 171 da Riolunato, mentre la Bassa - pur mantenendo un saldo negativo - passa in secondo piano (Cf., in Appendice, tavola sul censimento 1921). (10) Ancora una volta, risulta discutibile il concetto di emigrazione temporanea, in quanto si considerano tra gli “assenti temporanei” tutte quelle persone che - a eccezione dei militari di leva, dei detenuti, ecc. - alla data del censimento si fossero assentati temporaneamente dal comune di loro dimora abituale, ma nel quale avrebbero fatto presumibilmente ritorno entro l’anno. Anche questo, per il governo fascista, era una modalità di svalutazione dell’emigrazione. 8

Condizioni economiche e sociali della provincia di Modena, 1958 (Fondo Camera di Commercio). Censimento generale della popolazione, 21/4/31, Vol.3, fasc.38, provincia di Modena. 10 I dati utilizzati sono tolti da censimenti che indicano i presenti e gli assenti temporanei, senza darci cifre esatte sul movimento migratorio. 9


6 Va anche precisato, ad aggravare l’incertezza del quadro statistico, che a partire dagli anni Venti si manifesta un flusso migratorio di natura politica e antifascista, sovente del tutto clandestino. Potrà venirci in soccorso, su questo versante, il fondo del Casellario Politico Centrale. Un esempio del carattere deformante dell’informazione rilasciata sul movimento della popolazione sono le grossissime differenze esistenti tra i dati pervenuti alla Prefettura, nell’anno 1929, e quelli pervenuti dai paesi di destinazione dell’emigrazione al Consiglio provinciale dell’economia corporativa di Modena, più funzionali all’attività produttiva. C’è una difformità eclatante. Mentre la Prefettura dichiara 41 emigrati all’estero, il Consiglio provinciale parla di 1.000 emigrati nei paesi europei (dei quali la maggioranza in Francia) e 162 per i paesi transoceanici, fra i quali una maggioranza negli Stati Uniti (106), 17 in Brasile e 25 in Argentina. Anche a partire dalle statistiche sugli emigrati per motivi di lavoro nei paesi europei si può evincere l’esistenza di una consistente emigrazione per ragioni politiche: 1928 - 524 per motivi di lavoro su 783 emigranti complessivi. 1929 - 707 per motivi di lavoro su 1.000 emigranti complessivi 1930 - 4.637 per motivi di lavoro su 4.894 emigranti complessivi. (11) Inoltre, quando si emigra verso i paesi transoceanici, la motivazione dichiarata ufficialmente si lega soprattutto ai raggiungimenti familiari; in realtà, le cifre denotano uno scarto di emigranti senza uno scopo dichiarato: 1928: 105 su 934 (13 per motivo di lavoro) 1929: 105 su 1.162 (16 per motivi di lavoro) 1930: 93 su 5.104 (96 per motivi di lavoro). Questo scarto potrebbe denunciare una emigrazione legata a una sofferenza civile e politica. Molti emigranti per cause politiche, ancora, utilizzano i canali legali dell’emigrazione per lavoro. La Francia è il punto di destinazione privilegiato (1235 espatriati nel 1926 su un totale europeo di 1537 e 4578 nel 1930 su un totale europeo di 4.894). Tra i paesi transoceanici si privilegia il Brasile - che nel 1926 registra 122 emigranti - mentre negli anni seguenti si scelgono più spesso gli Stati Uniti.

Brasile

11

Stati Uniti

Argentina

1926

122

117

121

1927

44

109

158

1928

8

105

35

I dati qui esposti sono presi dal Consiglio provinciale dell’Economia corporativa di Modena, Relazione sull’andamento economico della provincia di Modena, 1930.


7 1929

17

1930

7

106

25

78

97

Il calo demografico di alcuni comuni della montagna comincia a destare qualche preoccupazione nel governo mussoliniano. I comuni più interessati al calo sono Lama Mocogno, che passa da 7.259 abitanti nel 1921 a 5.809 nel 1931, e Fanano che passa da 6015 a 5619 . Tra il 1931 ed il 1936 sarà invece Pievepelago a soffrire un processo simile (da 4.950 abitanti a 3.967). Bisogna infine ribadire che, mentre l’emigrazione interna aumenta enormemente nonostante le leggi emanate dal regime per ostacolare la mobilità, l’emigrazione verso le colonie africane e poi in Germania non viene registrata come fenomeno migratorio. L’espatrio di italiani in Abissinia viene considerato un processo di colonizzazione, mentre quello in Germania viene definito come attività di lavoro temporaneo regolato da accordi speciali. Ma si tratta di cifre di tutto rispetto. Il numero d elle mondine verso le risaie passa, tra il 1933 e ial 1939, da 5.000 a 10.000; numerosi lavoratori agricoli vengono indirizzati verso la bonifica delle paludi Pontine, la Libia (nell’aprile 1938 vengono, ad esempio, reclutate 200 famiglie) e l’Africa Orientale (nell’aprile 1937 partono 2.670 modenesi). Quanto al flusso migratorio organizzato tra il 1938 e il 1943 verso la Germania, Modena dà in assoluto il contingente più alto a livello nazionale, con una punta di 4.700 (3.316 uomini e 1.440 donne, molti i braccianti della Bassa modenese) nel 1940.

IV. Il secondo dopoguerra Il secondo dopoguerra vede riprendere i flussi migratorio italiani e perciò anche modenesi. Questo fenomeno, insieme all’immigrazione interna, condizionato indubbiamente la crescita demografica della provincia di Modena in quegli anni. Vale qui una citazione dalla Camera di Commercio: <<Dal censimento ufficiale del 1936 l’incremento totale (della popolazione) è stato di circa 30.000 unità, ma … si osserva che l’incremento medio annuo negli ultimi 15 anni è stato il più basso che si sia verificato dal 1901 in avanti>>. (12)

Il rapporto, secondo i dati elaborati dalla

Camera di Commercio, marca una differenza di prospettiva forse irreversibile, tra la montagna – che emigra ora in modo massiccio “permanente” - e il resto della provincia. Comincia in effetti il processo di forte spopolamento dalle montagne causato, sempre secondo la relazione, da una emigrazione interna che tra l’altro interessa prevalentemente le donne: <<i servizi domestici in città 12

Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, Caratteri economici della provincia di Modena, giugno 1955.


8 come il lavoro alla monda del riso, rappresentano una forte attrattiva che consente di superare il periodo morto stagionale, che va dall’autunno alla primavera, con qualche guadagno>>. In quegli anni a Modena si esprimono, malgrado la Camera di Commercio gli assegni poca importanza, i massimi valori di emigrazione all’estero, arrivando nel 1951 a 4041 unità e nel 1952 a 2.096. L’emigrazione all’estero sembra appunto provenire dalla montagna (Fanano, Montefiorino, Pavullo, Pievepelago, Serramazzoni) ma comprende anche espressioni importanti nella pianura (Camposanto, Carpi, San Possidonio). Nel 1958 l’emigrazione all’estero sembra calare, con cifre ancora significative solo a Fiumalbo, Montefiorino. I modenesi emigrano verso la Francia ma anche verso il Belgio e l’Argentina, più tardi verso la Germania e il Venezuela e l’Australia. I lavoratori emigrati dal 5 maggio 1946 (data in cui ebbero nuovamente inizio le emigrazioni dopo gli avvenimenti bellici) a tutto il 31 dicembre 1948, si riassumono nelle cifre sotto esposte. (13) Francia:

1.208 lavoratori

Belgio :

1.636

Argentina:

260

Svizzera:

555

Cecoslovachia:

78

Kenia:

43

Corsica:

9

Totale :

3.789

Durante il primo semestre 1949, altrimenti: Francia:

323 lavoratori

Belgio:

87

Argentina:

28

Svizzera:

87

7

Inghilterra:

Negli anni 1965 e 1966 si produce una nuova ondata emigratoria nella provincia. Nel 1965 c’è una forte migrazione interna e momenti di emigrazione all’estero a Pievepelago (124), Carpi (120), Vignola (69) con un saldo negativo provinciale di meno 405. La stessa Carpi - ed è un dato su cui bisognerà riflettere: è un riflesso della crisi nazionale del 1963 o siamo in presenza di una crisi di crescita? - ha un saldo negativo tra iscritti e cancellati all’anagrafe eguale a meno 59. Nel 1966 il saldo provinciale tra iscritti e cancellati all’anagrafe è ancora di meno 435; i comuni con più 13 I dati provengono dall’ufficio provinciale industria e commercio di Modena, Relazione sull’andamento economico della Provincia di Modena, secondo semestre 1949.


9 emigrati verso l’estero sono ancora quelli della montagna ( Pavullo con 218 unità, Lama Mocogno, Pievepelago), ma ancora seguiti da Carpi, Cavezzo, Vignola. Nel caso di Carpi e Vignola si può immaginare una emigrazione di ritorno. Comunque questa tendenza non sembra chiudersi fino ai primi anni ‘70. Nel 1968, ci sono 688 cancellazione anagrafiche di cittadini che provengono da altri paesi e 1637 persone che si cancellano dai registri anagrafici per andare ad altri paesi. Nel 1969, 692 sono gli iscritti dall’estero e 1.046 cancellati per l’estero. Una soglia di reale discontinuità sembra prodursi nel 1970, quando si registra una eccedenza delle iscrizioni anagrafiche sulle cancellazioni di 5.186 unità, mentre si dimezza la cancellazione nell’anagrafe per l’estero (si ferma alle 359 unità). Quanto ai cancellati per altri comuni, rimangono in genere all’interno della provincia, e probabilmente contribuiscono ad aumentare la popolazione del comune di Modena. Bisogna infine rilevare che gli emigranti continuano a scegliere gli stessi paesi di destinazione: in Europa, la Francia (75) e la Svizzera (65); in America, gli Stati Uniti (25) e l’Argentina (6). Si aggiungono Venezuela (25) e Australia (20). Possiamo immaginare gli incentivi: nuove realtà economiche come quelle dell’Australia e del Venezuela, che forse rappresentano anche sogni e miti sempreverdi di esotica fortuna, con caratteristiche diverse come quello americano. Ma possiamo anche pensare a una specie di testardaggine degli essere umani che li porta a cercare le loro radici distribuite per il mondo, o semplicemente dei nuovi affetti o un appoggio economico. E’ qualcosa che sembra avere a che fare (è una suggestione da approfondire sul terreno della ricerca) con la vitalità delle catene migratorie. Ancora una data periodizzante: il 1973 e la grande crisi energetica, che si ripercuote nella prima generale percezione di una crisi di sistema nello sviluppo capitalistico. Per unna prima analisi statistica in materia, correlata al contesto modenese successivo al 1973, si rinvia alle tavole inserite in Altri modenesi.14

14 Antonio Canovi, Nora Sigman, Altri modenesi. Temi e rappresentazioni per un atlante della mobilità migratoria a Modena, cit., pp. 64-69.


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