AFCR Afghanistan. Fede. Cuore. Ragione

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f.ede c.uore r.agione

lorenzo merlo

victory project book



Allontanatevi un tiro di sasso a destra o a sinistra di questa strada bene tenuta su cui camminiamo, e subito l’universo assumerà un aspetto selvaggio, strano... Rudyard Kipling


a Graziana e Fausto per i loro sentimenti di fede cuore ragione


f.ede c.uore r.agione

lorenzo merlo_victory project book 2011


Lorenzo Merlo Afghanistan fede.cuore.ragione. Idea, testo e foto di Lorenzo Merlo Progetto grafico e impaginazione di Eleonora Ambrosini Il copyright© di tutte le citazioni utilizzate è dei rispettivi autori e/o editori Date e Dati a cura di Alessia Delisi, Anna Mola, Cristina Righetti e Maria Rinaldi Copyright© 2011 Victory Project book/Lorenzo Merlo Via Bronzetti 20 – 20129 Milano victoryproject.net Prima edizione: Milano, ottobre 2011 ISBN: 978-88-906203-0-0 Stampa: Àncora Arti Grafiche, Milano Assistenza tecnica: APV Vaccani srl, Milano Copertina: Kabul, resti della piscina olimpionica di Bibi Mahru Hill. Un’opera dell’epoca sovietica. C’è sempre la voce, mai definitivamente confermata, sia stata luogo di esecuzioni sommarie. Pare avvenissero su una piattaforma dei tuffi. Poi è diventata luogo di ritrovo e gioco. Tre bambini giocano con un puchball realizzato con resti di copertoni. 1929: Re Amamullah introduce il tricolore nella bandiera nazionale, il nero indica il passato, il rosso il sangue degli eroi, il verde come simbolo dell’islamismo. IV di copertina: Fine del divertimento, si torna al canovaccio principale: una specie di lotta per la sopravvivenza mescolata alla tragedia delle tradizioni lacerate dalla modernità, imposta dalla guerra, dalle merci, dalla tv. Quale generazione sarà di nuovo in grado di tracciare una linea meno a rischio dell’attuale? Che forme mostruose prenderà qui l’opulente cultura che le ristrette lobby dell’oppio, del fondamentalismo e della guerra certamente si adopereranno a diffondere? Le foto alle pagine 8, 26, 116, 218 sono della ex piscina di Bibi Mahru Hill. Raccontano il passatempo di tre scugnizzi del posto, segnano l’inizio dei capitoli. Citazione IV di copertina: Nicolas Bouvier - Il pesce-scorpione - Marcos y Marcos, Milano 1991 Tutti i diritti relativi ai brani utilizzati nel capitolo Etica ed Estetica, in prima romana, in quarta di copertina e quella di pag 206 sono dei rispettivi autori e/o editori cui il titolo riferisce. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o archiviata in un sistema di recupero o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, fotoriproduzione, memorizzazione o altro, senza l’esplicito consenso da parte di Victory Project book/Lorenzo Merlo Finito di stampare nell’ottobre 2011


Indice 2a/3a 08 26 116 218 226

Dati e date Legenda Etica ed estetica Domande afghane Libreria Tashakor/Manana


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testatina Poche pagine per indirizzare lo sguardo. Qualche nota dedicata alla dimensione fotografica di Afcr e qualcuna a quella intellettuale. Affinché quel sentimento, che sempre ci accompagna, che fa l’ambiente e la realtà, possa essere di soddisfazione, per la complicità raggiunta, per il dialogo realizzato, per lo scambio compiuto.

Legenda foto testo


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legenda testatina

Premessa, tanto non la legge nessuno ovvero una trinità per una interpretazione Fede cuore ragione non sono tre aspetti di ogni individuo. Sono ogni individuo. Non esistono divisi e forse non esistono del tutto, tranne che tutti insieme e si chiamano uomini. Afcr (Afghanistan fede.cuore.ragione.) è composto da più capitoli ed è di tre parti, disposte secondo un ordine che non sempre possiamo riconoscere. Fede, Cuore, Ragione sono momenti sempre pronti a fiorire in funzione della sollecitazione di ogni circostanza. Sono umori dai quali non possiamo separare gesti, scelte, sentimenti e comportamenti. Sono realtà che scaturiscono, poi... diventano oggettive. Così, senza preavviso, sgorgano da una pagina piuttosto che da un’altra. Per qualcuno di noi, ma non sempre, e non a tutti. E altrettanto senza preavviso verso noi stessi, saranno quei diversi richiami a fermarci su una pagina o a farci andare oltre.

Kabul, Karte Wali. Ambasciata italiana. Un giovane hazarà assiste gli ospiti dell’Ambasciata italiana a Kabul. La sua serietà, la sua etichetta, sono simbolicamente qui strumentalizzate per invitare ognuno a sentire l’Afghanistan, più che a capirlo. Non è progetto accessibile a tutti, non è una questione di volontà. È una questione di ascolto. Ricreare è necessario.

Per cultura, impariamo a credere ad una univoca realtà dei fatti. Poi, ci si emancipa dal preconcetto di poter raccontare la realtà. Quindi, viene quello che la realtà non è raccontabile. O meglio, quello che la realtà raccontata ne produce una diversa. Romanzieri e impostori lo sanno. Nonostante tali instabilità, inammissibili per chi deve scegliere e indispensabili ad ogni esploratore, alla fine il peccato di presunzione (credere di poter riferire) non è esorcizzato. L’alternativa è credere di poter evocare. Nulla più. Afcr vorrebbe evocare. Arido, rupestre, desolante. Ancestrale, feudale, scenografico. Nascosto, lontano, inaccessibile. Generoso, ospitale, accessibile. Monocromatico, variopinto, fotografico. Ognuna di queste trinità è Afghanistan. Basterebbero loro per fare cenno allo spessore che ne crea la distanza e, per alcuni, l’attrazione.


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Legenda foto Una premessa per valorizzare le ordinarie immagini di queste pagine. Una valorizzazione che può anche renderle straordinarie, almeno per chi - affiancato dalla potenza alchemica dell’empatia - arrivi a sentire la profondità delle storie che contengono. Che raccontano. Più d’uno di questi scatti è da solo una storia. Libera di scorrere in noi tanto più esplicita quanto più le saremo dedicati: con l’ascolto si può cogliere la loro concezione di noi, il loro sentimento di disponibilità o di astio, la loro benevolenza verso gli altri, verso i bambini, ben prima che qualcosa di esplicito venga ad urlarlo. Ammesso che venga. Ammesso ne abbia il tempo. Afcr è un libro fotografico. Dedicato soprattutto ai sentimenti. Storie di persone che l’empatia sa riconoscere da ogni sguardo. Quando ci predisponiamo all’ascolto abbiamo accesso ad una dimensione del nostro interlocutore altrimenti occulta. Viceversa, messe di informazioni, che tutti i media emettono ed esibiscono, non produce in noi un sapere organizzato. Manca di ascolto quel raccogliere avidamente le notizie, si riempie della sola soddisfazione provocata dal capire. Quelle innumerevoli quantità di dati ci hanno investito senza che noi ne sentissimo l’esigenza. Senza avere la nostra richiesta e perciò senza potersi depositare tra le maglie del nostro sapere, ed infittirle. Quanti di noi sono in grado di riformulare la recente storia afghana? Quanti di noi possono estrarre da quelle montagne di date, fatti, resoconti e sintesi, qualcosa che sia autentico, qualcosa che vada oltre il luogo comune? Cioè, qualcosa che ci metta in contatto con le loro fedi, i loro cuori e le loro ragioni. Afcr invita a sentirle. Disporre dell’estetica che le circostanze del quotidiano ci offrono permette di connotare più puntualmente le prospettive via via più profonde e nascoste di una realtà. È secondo questa logica che una parte delle immagini è stata selezionata. Sennò, come fai a cercare una risposta alle domande di spessore, se non hai idea su che superficie del reale si mostrano le verità delle loro concezioni? È a quelle domande superficiali, quelle che tutti inizialmente ci poniamo, che alcune di queste immagini offrono una risposta. (È vero, altre inevitabilmente nutrono e rafforzano i luoghi comuni duri a morire.) 12٠A f c r

Kabul, interno taxi. Curiosità, disponibilità e autenticità dentro lo sguardo di un comune co-passeggero di un qualunque taxi d’Afghanistan. Sospendendo il giudizio, potremmo sentire il peso e la spinta sovrumana della tradizione che uno sguardo o una situazione ci offrono in modo così plateale, autentico, inequivocabile. Purché gli si accrediti ragione, lo si ascolti con il cuore, gli si dedichi fede.



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Più che immagini, occhiate, a quelle situazioni di vita ordinaria mai troppo seriamente prese in considerazione dai politici, sempre le sole ad essere valorizzate dai pacifisti. Comunque le uniche in grado di farci sentire al cospetto di gente come noi. Al cospetto di una realtà oltre a quella del telegiornale e del comunicato governativo. Afcr, non ha la velleitaria ambizione di soddisfare tutte le primarie domande. Offre sì, qualche opinabile risposta. Certamente ha l’intendimento di privilegiarle. Spingendoci a cercare le risposte verso una piazza, o una casa privata, verso una scuola, piuttosto che verso un villaggio, un capraro o un camionista. Prima che verso una conferenza stampa, un Colonnello o un comunicato ufficiale. Ma ogni media ha il dovere e il limite di raccontare fatti orditi dal filo rosso di chi ce li riferisce. Inzuppato di buone intenzioni o di ideologia (e che differenza fa?), comunque obbligati a lasciar fuori dall’inquadratura tutta la realtà inutile al discorso. Esattamente come abbiamo fatto noi. Quindi, le immagini qui raccolte vorrebbero risuonare con qualcuno di noi così da percepire i sentimenti di un popolo o di qualcuno di loro. Riconoscerli come nostri e toccare la natura della solidarietà. Senza escludere i militari in gioco. Uomini. Come loro. Come noi. Tutte le immagini sono state riprese in due viaggi, entrambi nel 2005 tra Kabul, Herat, Farah, Paghman, Panjshir. verità oggettiva Checché se ne dica, fotografare è riferire. Riferire è mediare. Quello che fotografi è altro da quello che dalla foto esce ed entra in noi che la guardiamo. Il fotografo decide cosa includere/escludere dall’inquadratura. Il lettore amplia quanto nota e lo coniuga col suo personale ordine. Uno scolpisce, l’altro aggiunge, ma le parti possono invertirsi. Ma dipendentemente dalla natura che portiamo e di quella della quale abbiamo esigenza. Una questione di equilibrio. Di sopravvivenza identitaria. Anche andando direttamente sul posto - apparente unica soluzione al dilemma 14٠A f c r

Kabul, interno casa privata quartiere Hisayi Dowom, nord-est della città. Assistita dalla madre, dalle sorelle e dalla Croce Rossa Internazionale, questa madonna, madre e moglie, da anni priva dell’uso delle gambe grazie alla guerra, anzi, grazie ad un solo proiettile, mostra ancora nel portamento una forza piena, indispensabile per riempire di speranza e vitalità gli abissi della disperazione.



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della realtà unica o molteplice - non troveremmo univocità. Tranne che in un caso. Quando l’interlocutore delle nostre foto, non tanto ha la nostra stessa natura, quanto invece vive la nostra stessa esigenza. Allora si va d’accordo, ci si capisce, sembra di comunicare, o almeno, se ne vive il senso, la soddisfazione. Non siamo uomini, siamo contenitori di storie e la storia va dove il bivio e la spinta di tutte le cose ci obbliga. Così un romanzo è vero almeno come lo è la realtà che potremmo raccontare. Così la fotografia è anche un falso, almeno per chi crede che la realtà sia una soltanto. in altre parole I n our time. I l mondo visto dai fotografi di M agnum La fotografia documentaria, secondo un concetto diffuso, dovrebbe essere un mezzo espressivo di un’estrema veridicità e di una trasparenza meccanica. Da questo punto di vista, la macchina fotografica “non mente mai”, poiché è in grado di riprendere in dettaglio e con grande obiettività tutto ciò che gli si pone dinanzi. Si pensa spesso che i fotografi, ritenuti coraggiosi e perfino intrepidi, non facciano altro che scattare, a prescindere dalla loro perspicacia. Se fosse così, Magnum non sarebbe mai esistita, perché una tale visione non tiene conto né delle esigenze della fotografia quale mezzo interpretativo, né delle profonde differenze tra singoli fotografi. La maggior parte dei buoni fotografi, come Rodger, sanno che il rapporto intercorrente tra forma e contenuto è delicato, che si può eludere facilmente e che l’orrore e il fetore dei cadaveri possono essere trasformati in immagini particolarmente serene e perfino piacevoli. Quel che conta è non solo il soggetto fotografato ma è il modo di interpretare l’immagine che cambia il significato, e nonostante gli innumerevoli dettagli, accade spesso che il fotografo sottragga alla vista più di quanto mostri. Il fotografo sa che l’immagine contenuta nell’esiguità dello spazio di un rettangolo può risultare estremamente ambigua... Fred Richin, 1989 Lo sguardo neutrale è una menzogna, specie nel mio lavoro, dove basta spostare la macchina da presa di pochi centimetri perché tutto cambi. Vittorio De Seta, regista

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Kabul, interno casa privata quartiere Hisayi Dowom, nord-est della città. Fotografare donne richiede molto tempo, attesa e fortuna. L’assenza di diffidenza di questa giovane donna, sorella della madonna di pagina 14, non si è creata per merito mio. Accompagnando un medico della Croce Rossa Internazionale, ho avuto accesso a luoghi e situazioni che richiederebbero ben più tempo e ben più attesa. E nessuna sicurezza di successo.



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testi

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Legenda testo Buona parte dei testi di questo lavoro - le citazioni di Etica ed Estetica, le domande di Domande Afghane, gli argomenti delle didascalie - privilegiano le espressioni che vorrebbero evocare quale universo dovremmo scoprire, attraversare e essere per chetare la nostra arrogante e narcisistica voglia di dire agli altri come devono stare le cose. Fosse anche in forma di aiuto prima che di valori, merci, denaro, bombe. È vero, l’Afghanistan - o meglio, l’Afpak (Afghanistan e Pakistan, binomio per un solo geoproblema) - è anche una questione internazionale e per questo non possiamo evitare di prendere posizione e responsabilità. Nonostante ciò la prospettiva che dimostra quell’arroganza sussiste. Credendo, inconsapevolmente, nel principio che l’esperienza sia trasmissibile, non abbiamo ancora creato il binocolo giusto per riconoscere le architetture delle verità altrui. Primo passo della traccia che conduce al rispetto. Così, andiamo allegramente a esportare i prodotti della nostra storia senza avere idea di cosa sia un innesto, una coniugazione, una complicità, una comunicazione o una comunione di biografie. Arroganza ed allegria sarebbero più che accettabili se in forma di glasnost’. Ma si sa, siamo democratici e cristianamente caritatevoli solo entro un non dichiarato latente confine, oltre il quale sono invece le ragioni economico-lobbistiche a modulare i comportamenti e le scelte delle grandi politiche estere occidentali, e non.

Anabah, valle del Panjshir, Centro chirurgico di Emergency. Convalescenza senza più un occhio (e qualche dita in meno) per quest’uomo colpito dall’esplosione di uno degli innumerevoli ordigni dispersi su gran parte del territorio coinvolto nelle guerre degli ultimi trent’anni afghani.

Per queste premesse i testi di Afcr sono un concorso ad esorcizzare la solita - per altro legittima - dinamica dei buoni (noi) e cattivi (loro). Vorrebbero essere frammenti utili per l’esplorazione individuale, non invasiva, di quel cosmo nella sua trinità di fede, cuore, ragione. etica ed estetica Dalla bibliografia di oltre 150 titoli (vedi Libreria, pag 218) sono state selezionate molte decine di brani. Poi in parte utilizzati per le pagine di Etica ed Estetica. Ognuno di essi vanta un’efficacia, un’energia, una forza da offrire in nome del vero e del bello. È il nostro senso estetico, oltre all’intendimento


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di cogliere più aspetti afghani, che ha governato la loro selezione. È il nostro senso etico che ci ha spinto a privilegiare quelle meglio capaci di esprimere il loro punto di vista... con tutti i limiti del caso. Solo per ragioni di spazio, molti brani, seppur altrettanto efficaci, non sono riusciti ad essere presenti. Questa parte di Afcr è creazione di molte altre persone e concreta disponibilità di molti editori. A loro va dunque un particolare sentimento di riconoscenza. I dati completi dei libri citati sono disponibili in Libreria. domande afghane Dalla disponibilità di giornalisti, diplomatici, operatori sociali, fotografi, politici, docenti, giuristi, consulenti ministeriali, direttori di testata, militari, imprenditori, studiosi e di altre figure, abbiamo raccolto in forma d’intervista le opinioni di persone che si sono occupate e che si occupano della vicenda afghana. È la loro contemporanea presenza che rende fertile questo capitolo. È la loro personale, più o meno evidente, nota opposizione di vedute che dà alla sequela di domande una cadenza unica. Che ci offre una direzione esclusiva dalla quale osservare, scoprire e ricreare la nostra. Terroristi o patrioti, integralisti o devoti, crudeli o tradizionalisti. Sono le prospettive che emergono dalle risposte a dirci il lato della verità che hanno - giocoforza - prediletto. Lo scopo di Domande Afghane è di fornire qualche spunto più giornalistico, anche nelle foto, di quanto non possano fare le citazioni di Etica ed Estetica. Resta vero che l’intento di fondo è quello di considerare aspetti diversi della questione afghana. A tutti gli intervistati è stata chiesta una risposta di circa dieci righe. Non è sempre stata rispettata anche per colpa nostra, della consistenza di molte domande. Ringraziamo chi ci è riuscito e ci scusiamo con loro per lo spazio più ampio concesso ad alcuni. Sono 56 domande. Alcune, tra le più evidenti per chi segue la questione afghana e quindi tra le più obbligate, in certa misura poste anche per verificare quanto l’intervento occidentale sia condiviso e quanto invece sia criticato. 43 delle 56 domande hanno avuto la soddisfazione di trovare risposta. 20٠A f c r

Ali Abad, zona ovest di Kabul. Centro ortopedico Croce Rossa Internazionale. Ormai tipico, senza virgolette, giovane della capitale. La curva dei comportamenti cosiddetti emancipati è in crescita esponenziale. La guerra ha portato anche scambio culturale, denaro e valori, oltre che bombe e morti collaterali. Non resta che stare alla finestra per vedere l’impoverimento culturale che tanta ricchezza porterà.



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In Da evadere si trovano quelle rimaste in sospeso. Le proponiamo perché partecipano a mettere a fuoco aspetti che prima o poi ci vengono a mostrare la loro imprescindibilità. A chiedere una risposta, appunto. In Profili si trovano le identità professionali delle persone intervistate. In più casi, le categorie utilizzate per definirle, possono essere insufficienti. Ce ne scusiamo con gli interessati. Per esempio, più giornalisti hanno scritto libri, tuttavia spesso abbiamo utilizzato solo “giornalista”, senza aggiungere anche “scrittore”. libreria In questa bibliografia sono raccolti i circa 150 titoli dai quali abbiamo tratto i brani utilizzati in Etica ed Estetica. Sono suddivisi utilizzando categorie arbitrarie e del tutto solo indicative. Sotto la voce “Altri” ci sono circa quaranta titoli che non abbiamo potuto consultare per la nostra ricerca. dati e- date Qui si trovano questioni e dati liberi di catturarci o di essere scartati a seconda di dove l’occhio ha avuto la sorte di cadere. Liberi, nuovamente, di riempire un vuoto del tessuto di noi stessi, oppure di spingerci oltre, nonché di obbligarci a nuove domande, o di invitarci a riflettere su certe certezze. Cioè, di provocare considerazioni, di offrire prospettive e orizzonti ad hoc per ognuno. Nessun intento di completezza fa da sfondo a questa raccolta semidisordinata di dati. Non è un testo da lettura, vuole solo provocare attenzione. Quando non diversamente specificato i dati sono riferiti al 2010/2011. didascalie Lo spazio dedicato alle didascalie è spesso di doppia natura. Una, didascalica in senso stretto e uno per brevi considerazioni personali. Queste, in più d’una occasione, sono dedicate alla critica della società economica, a favore dei valori della decrescita, del bioregionalismo, della sglobalizzazione. Argomenti qui inopportuni per qualcuno, che possono sembrare a margine in questo contesto. Tuttavia, totalmente 22٠A f c r

Kabul, Chahr Chatta bazaar. Le basse e calde luci del pomeriggio ci obbligano a scrutare il proibito. Non basta la raffinata qualità del tessuto e dei ricami per non fermarsi a domandarsi ogni volta quale umanità, sentimento, fisicità, serenità o timore riempiano l’ombra appena dietro la fitta rete azzurra, a volte bianca, verde, arancio o ocra.



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attuali, almeno per coloro che ne vedono la presenza e ne sentono l’importanza ormai in ogni circostanza, anche in quella afghana. Nomi e toponimi utilizzati nelle dida sono a volte diversi nonostante indichino lo stesso luogo. La cosa non fa specie. In tutta la letteratura e ambiente afghano se ne ha a che fare. Tanto la traslitterazione in caratteri latini, quanto la compresenza del dari e del pashtu, portano alla molteplicità di forme. (La recente costituzione afghana dichiara il Dari e il Pashtu lingue ufficiali dell’Afghanistan e considera tutti gli altri idiomi parlati sul territorio afghano come terze lingue ufficiali. Un raro concentrato dedicato agli idiomi afghani si trova qui: www.faustobiloslavo.com/libri.php?act=details&id=24. Lo spirito della memoria è il tessuto dell’identità.) medium come verità Nonostante le migliori intenzioni qualcosa può andare storto. Per dire che, anche se non si vogliono qui considerare le ragioni occidentali, non necessariamente si riesce a essere quelle afghane. Cioè, che nonostante i più nobili sentimenti il “medium resta il messaggio”. Per dire che, raccontare riguarda anche la magia, anche se siamo concentrati sulla ratione. diario da kabul Gli afgani sono altro, sono lontani da noi, anche quando cerchiamo di raccontarli con la miglior intenzione del mondo. Emanuele Giordana, 2010

Nota sui criteri di trascrizione È stato scelto un sistema di trascrizione di termini dari e pashtu per facilitare la lettura. Le lettere enfatiche o lunghe non sono state evidenziate. Termini locali noti e diffusi in occidente quali, imam, sharia, ecc, non recano segni diacritici. I termini conservano la forma singolare anche laddove sarebbe necessario il plurale. 24٠A f c r

Kabul, Shahr-e Naw. Forse 14 anni, magari meno. Ma sufficienti per esprimere i tratti della fierezza. Un segno distintivo che tutti riconoscono nei popoli afghani.



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Momenti di vita, d’immaginazione e realtà, evocati da immagini e citazioni. Sguardi, paesaggi, scorci, situazioni. Tradizione, condizione, carattere. Senza un ordine né schema detto prima, proprio come ognuno di noi. Almeno là, dove o quando sentiamo la libertà di essere. E basta. In grigio, l’anno in cui è stato scritto il testo del libro dal quale è tratto il brano riportato, nonché l’evidenziazione del suo carattere primo, sempre opinabile, tra fede, cuore e ragione.

Etica ed estetica f.ede ... per la maggioranza delle persone con le quali abbiamo affrontato l’argomento, la religione non esiste in modo a sé stante perché si confonde con la coscienza nazionale dando forma ad un civismo religioso (o se si preferisce, ad una religione patriottica) quale forse non si riscontra in altra nazione al mondo. Riccardo varvelli _ afghanistan. ultimo silenzio 1966 F.c.r.

c.uore ... una società costituita da una miscela imprevedibile di cerimoniali, umorismo ed estrema brutalità. Rory stewart _ in afghanistan 2005 f.C.r.

r.agione Esistono numerose prove a sostegno della capacità degli esseri umani di superare ostacoli straordinari e sopportare tremende fatiche se pensano che quegli sforzi diano un senso alle loro vite. Il bisogno umano di “senso” è importante quanto quello del cibo. La vita di tutti i giorni offre alla gente poche opportunità per questo tipo di nutrimento. Tamin ansary _ un destino parallelo 2009 f.c.R.


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Amartya sen _ la democrazia degli altri 2004 F.c.r. Quando si prende in considerazione la possibilità della democrazia per un paese che ne è privo e per un popolo che forse non ha ancora avuto l’opportunità di concepirne un’attuazione pratica, si dà quasi per scontato che questo stesso popolo l’approverebbe non appena diventasse una realtà concreta della sua vita. Ian buruma, avishai margalit _ occidentalismo 2004 f.c.R Razionalismo significa credere che la ragione sia l’unico modo per immaginare il mondo, e ciò fa il paio con l’idea che la scienza sia l’unica fonte di conoscenza dei fenomeni naturali. Altre fonti di conoscenza, specialmente la religione, vengono bollate dai razionalisti come superstizione. Poi c’è il razionalismo politico, con la sua pretesa di governare la società - e risolvere tutti i problemi umani - con un programma razionale ispirato da principi generali e universali. Noam chomsky _ 11 settembre. le ragioni di chi? 2001 f.c.R L’uccisione gratuita di civili innocenti è terrorismo, non guerra al terrorismo. 2010 f.C.r. Alberto cairo _ mosaico afghano. vent'anni a kabul La democrazia occidentale è la strada giusta qui? - Davanti a lui ero rimasto a bocca aperta come uno sciocco, fra l’incapacità e l’emozione. La domanda di Terzani e le parole di Zaman Gul mi accompagnano ancora. Senza risposta.

Kabul, Shahr-i Naw Park. Una sete ineludibile. Siamo al cospetto di ciò che non può non farci sentire fratelli e solidali tra noi esseri umani. Un cospetto da dove non sono le differenze e le minacce a mostrarsi. Bensì, tutti quei normalmente occulti particolari che dimostrano quanto è vero che loro siamo noi. Non saremmo anche noi curiosi e assetati di esplorazione 28٠A f c r

e conoscenza, come dimostra l’attenzione di queste persone, verso l’inequivocabile senso della vita che ogni foto gli offre? La lungimiranza, di non so chi, ha permesso di allestire in un quartiere/parco storico della città una mostra di fotografie di territori della Terra ripresi dall’alto. Le immagini di Yann Arthus-Bertrand sono meravigliose e note in

tutto il mondo. Ma la cosa è un’altra. La cosa è l’attenzione, l’interesse e la soddisfazione che i numerosi passanti/ visitatori di ogni età sebbene quasi solo maschi - dedicavano e mostravano nella loro osservazione delle immagini e lettura delle didascalie. Un’esigenza spirituale ancor prima che estetica sembrava urlare la sua sete ineludibile di relazione e umanità.



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Rosario aitala _ limes 2/2010 f.cR. In Afghanistan un fossato divide i fatti dal modo occidentale di descriverli. A cominciare dalla presunta affermazione dello Stato di diritto, in realtà inesistente. La farsa elettorale. Le finzioni giuridiche, la cogenza delle tradizioni e le possibili alternative. Ian buruma, avishai margalit _ occidentalismo 2004 F.c.r. L’occidentalismo può essere visto come espressione di un amaro risentimento per l’ostentazione di superiorità dell’Occidente, basata su una presunta superiorità della ragione. Ancora più corrosivo dell’imperialismo militare, l’imperialismo della mente s’impone diffondendo la fiducia occidentale nella scienza, la fede nella scienza come unica via alla coscienza. Giulietto chiesa, vauro _ afghanistan anno zero 2001 f.c.R. Perché sotto le macerie della guerra combattuta ce n’è un’altra tra le multinazionali, tra gli interessi economici che vedono nell’Afghanistan un crocevia strategico per le loro politiche mondiali di dominio finanziario; il petrolio e il traffico di droga sono i perni intrecciati della sussistenza di questo Paese senza stato. Una guerra sotterranea, come le mine, e che come le mine reclama i suoi morti. Kabul, Chicken Street. Sembra l’emblema di un dramma e la sua disperata fuga. Era solo la corsa di una bambina. Però sufficiente per vederci la tragedia di un popolo. Che ne sarà della loro bellezza, autenticità, forza, valore e storia quando anche qui, dove finora ha regnato l’identità spirituale con la parola del Profeta, le sirene del consumismo, del possesso opulente e del valore supremo del dio denaro, inizieranno a mietere vittime? Siamo in tempo per accreditare un progresso diverso dal nostro? Siamo all’altezza di riconoscere che gli Ufo - altre culture - ci sono e che rispettarne la natura significa rispettare anche noi stessi? 30٠A f c r



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Mohsen makhmalbaf in afghanistan. i buddha non sono stati distrutti sono crollati per la vergogna 2001 F.c.r. Nemmeno i mujaheddin sono riusciti a combattere i nemici stranieri unendosi; ogni tribù ha sempre esercitato la propria difesa sul proprio territorio. Durante le riprese di Viaggio a Kandahar, quando mi trovavo nei campi dei rifugiati alla frontiera irano-afghana, ho compreso che persino questi afghani rifugiati che vivevano in condizioni difficilissime non accettavano di essere degli afghani, di avere un’identità nazionale. Essi non riuscivano mai a superare i loro conflitti fra pashtun, hazara e tagiki.

Anabah, valle del Panjshir, Centro di maternità di Emergency. Yafta è la donna in piedi, pare, balia di un Ahmad Shah Massoud bimbo. Importanza e notorietà valligiana non hanno mortificato la sua anziana bellezza, il suo austero portamento. E, a conoscerla, la sua spontanea autorevolezza. 32٠A f c r



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Ahmed rashid _ talebani 2000 f.c.R. Mentre i talebani sostengono di stare combattendo una jihad contro i musulmani corrotti e malvagi, per le minoranze etniche essi si stanno servendo dell’Islam per giustificare lo sterminio dei non pashtun. Daniele mastrogiacomo _ i giorni della paura 2009 f.c.R. «In fondo, avete ottenuto molto più di un’intervista. Avete visto come viviamo e cosa pensiamo. Credi che riuscirai a raccontare la verità su di noi? Voi giornalisti non lo fate mai». Elisa giunchi _ afghanistan. storia e società nel cuore dell'asia 2007 F.c.r. Il gruppo di solidarietà primario (qaum) è, quindi, situazionale e relativo. Ne risulta un quadro estremamente instabile, in cui alcuni fattori identitari emergono a scapito di altri sulla base di considerazioni che spesso nulla hanno a che fare con la lealtà primordiale al proprio clan: i conflitti legati alla proprietà e all’uso della terra, ad esempio, dilaniano i clan, inducendo i suoi membri ad allearsi con altri clan o con gruppi di natura diversa (il vicino rispetto a un membro del proprio clan, ad esempio). Solo l’esistenza di una minaccia comune, sia essa costituita dal governo che tenta di imporsi sulla periferia o dall’esercito straniero che invade il paese, unisce le tribù e compone temporaneamente i conflitti e le tensioni che le attraversano, dando vita a un precario e momentaneo senso di appartenenza allargata.

Kabul, Kartayi Chahar. Taglialegna. Tutti hazarà. L’etnia che la storia ha sempre destinato ai lavori più umili e pesanti. La predominanza pashtun è temuta dagli hazarà. Da anni, attacchi, violenze, vessazioni varie sono perpetrate a nome del presunto diritto assoluto del quale molti pashtun ritengono di essere investiti dalla storia, appunto. 34٠A f c r



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Deborah ellis _ sotto il burqa. avere 11 anni a kabul 2000 f.C.r. «Kabul era il cuore dell’Asia centrale» dicevano sua madre e suo padre. «Passeggiavamo per le strade a mezzanotte mangiando il gelato. La sera andavamo a frugare nei negozi di libri e dischi. Era una città di luci, progresso, entusiasmo.» Jason elliot _ una luce inattesa 2001 f.C.r. Nulla ci poteva offuscare lo sguardo: nessuna situazione banale o di routine che potesse ipnotizzare i sensi. Ogni volto era differente, e non incontrammo nessuno di quegli sguardi vacui che riempiono le vie delle normali città, né i sintomi delle malattie nevrotiche, o i segni dell’apatia cittadina.

Kabul, ponte di Pul-i Khishti (Ponte di Mattoni). Ambulanti ciabattini lavorano quasi con qualunque tempo e temperatura sui marciapiedi della città. In questo caso, su quello di un ponte sul rio Kabul, tra i più antichi della città. Il freddo di quel giorno è evocato dallo sguardo - stile ritorno alla vita del signore con il particolare patu chiaro. 36٠A f c r



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Elena croci _ herat arte e cultura 2006 f.C.r. Durante la mia permanenza in questa terra d’oriente ho capito che i veri tesori sono accessibili solo attraverso delle porte e i custodi, che possiedono le chiavi di questi cancelli, sono persone molto semplici, ma che osservano molto. Non bisogna sottrarsi al loro giudizio, ma è necessario trovare un mezzo universale che oltrepassi la barriera linguistica: l’arte, la storia, l’umiltà. 3/2007 f.C.r. Diego bolchini _ limes Parte dell’antropologia britannica tradizionale ha poi lasciato in eredità un’altra pesante tara ideologica: quella del disvalore percettivo della tribalità. Il concetto di tribù è stato spesso usato in maniera dispregiativa per piccoli gruppi etnici che vivevano come “sottosviluppati” (e dunque considerati primitivi o selvaggi), lontano dalla maggior età sociale secondo la prospettiva occidentale. Ma l’appartenenza ad un segmento tribale e alla tribalità stricto sensu è invece motivo di orgoglio e segno di nobiltà per tanti gruppi in Afghanistan. Niccolo' rinaldi _ droga di dio. afghanistan: la società dei credenti 2002 f.C.r. Gli incontri con i capi afghani erano, ogni volta, un viaggio nell’epica. Da dove venivano quei volti fieri, con la pelle pulita e ornata da splendide barbe? Da quali mondi giungevano quelle voci lente e calme, morbide nell’articolare le immancabili litanie sulla scarsità degli aiuti e sulla vittoria certa contro il nemico? Non ho mai visto un afghano parlare scompostamente, mai visto uno che non tenesse la testa alta, ben collocata sul collo, dritta; la postura denotava la nobiltà dell’aspetto e dei modi.

Kabul, Sarak-e Maidan-e Hawayee. Per oggi, fine delle lezioni. Bimba delle scuole primarie in divisa scolastica, piraahan nero, chador bianco. Alcuni compagni maschi stanno ad ammirare la grinta necessaria per affrontare un fotografo occidentale. 38٠A f c r



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Rosario aitala _ limes 2/2010 f.cR Stato di diritto, costituzionalismo, democrazia, eguaglianza, diritti fondamentali. Parole che descrivono un paese che non esiste e così nemmeno vuole o sa di poter esistere, viziate da un’interessata miopia occidentale che forgia l’oggetto della rappresentazione visiva con la parzialità del desiderio, che vede quello che desidera (e può più facilmente presentare alla propria opinione pubblica). Parole che agli afghani suonano incomprensibili e vane perchè mute sulla storia millenaria, la vita e l’anima di questa gente e questi luoghi. Provando a indagare cose e parole sembra risultare come l’architettura di cui il paese è stato dotato in questi anni risponda a frettolose e irrealistiche esigenze delle politiche interne occidentali. Ispirata a modelli, scuole di pensiero agevolmente comprensibili dalle pubbliche opinioni occidentali ma non compatibili nel breve periodo con gli schemi tradizionali afghani ovvero con una loro possibile, realistica evoluzione in senso progressista. In altre parole, pare che il paese, come è e può divenire, non sia pronto ad assimilare, sulla sola base di un tratto di penna, le forme della democrazia in senso sostanziale e dello Stato di diritto costituzionale, certamente non con le modalità e i tempi richiesti dalla politica internazionale. Peter levi _ il giardino luminoso del re angelo 2003 f.C.r. Non c’è nulla che individui i luoghi quanto la qualità della luce ... William langewiesche _ regole di ingaggio 2006 f.c.R. Le regole di ingaggio sono le norme scritte che sanciscono chi si possa e chi non si possa uccidere, sia alla luce dei fini tattici e strategici sia sotto il profilo del diritto internazionale.

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Kabul, Sarak-e Taimani. Resti di una lezione di chimica sulla lavagna alle spalle di un maestro ricco di modestia e soddisfazione. Il sistema scolastico prevede le scuole primarie e secondarie suddivise in dodici livelli. Seguono le scuole superiori per poter accedere all’università. In un’altra scuola (femminile) sulla lavagna c’erano elencati vocaboli inglesi. In una moschea (vedi pag 225) un giovane mostrava il libro di arte, scritto in dari, credo, interrotto qui e là da parentesi piene di caratteri latini dove si poteva leggere: Picasso, Thomas Mann, impressionismo, ecc. È da un simile immaginario che abbiamo costruito la nostra idea di Afghanistan? O, più facilmente essa, comprensibilmente, deriva da luoghi comuni ricamati di terrorismo, medioevo, fondamentalismo?



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Niccolo' rinaldi _ droga di dio. afghanistan: la società dei credenti 2002 F.c.r. E li vedevo, scoprendo attraverso di loro un modo di vivere e di sentire la trascendenza insospettato ed eccessivo per chi è abituato alla leggerezza delle campane. È una prospettiva che cambia il modo di concepire anche la politica e i rapporti internazionali e, naturalmente, la guerra. La pace, me ne dovetti rendere conto rapidamente, non è per forza di cose l’obiettivo ultimo e l’intera mappa dei valori; e la loro gerarchia è dettata non dalla storia dell’umanità, delle sue conquiste, delle esperienze maturate, ma da un messaggio che non permetteva sconti. Poco importa se ai nostri occhi appare come una prospettiva anacronistica ... Annemarie schwarzenbach _ dalla parte dell'ombra 1939 F.c.r. Imparammo che a lui e ai suoi simili del denaro importava poco e che l’ospitalità era sacra. Imparammo che a lui e ai suoi simili il termine “Francia” era sconosciuto, che non odiava gli stranieri, che aveva visto raramente, o mai, una macchina, e che aveva un umore così lieto che noi potevamo ridere insieme a lui e ai suoi simili pur non capendoci. Imparammo che era povero come la maggior parte dei suoi fratelli. Che allo hakim, al governatore o al più anziano del villaggio, egli non solo doveva obbedienza, ma anche tasse o corvée, oppure un agnello. E che ciò nonostante era felice. Imparammo a conoscere la relatività della povertà e l’incertezza della felicità umana.

Farah, ovest Afghanistan, aeroporto. Due militari danesi si avviano a condividere la loro ennesima missione logistica sotto il controllo di un sottufficiale che dà l’impressione di saper far bene il suo lavoro. 42٠A f c r



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Qualche domanda e risposta attraverso la voce di chi ha respirato la polvere sottile dell’argilla, di chi ne ha calpestato il fango gentile, di chi ha sentito nelle dita il gelo dell’Hindu Kush e negli occhi il caldo feroce dell’Hellmand. 43 delle 56 persone alle quali abbiamo rivolto una domanda afghana ci offrono qui la loro opinione su alcuni argomenti della vicenda, della storia e della cultura afghana. Per motivi differenti, sono tutti competenti di Afghanistan. Le loro prospettive traguardano le cose secondo linee di mira diverse. Un concreto vantaggio per chi volesse confrontare le proprie idee o per chi volesse iniziare a farsene una propria.

Domande afghane da evadere profili 01 Fabio mini 02 Rosario aitala 03 Elisa giunchi 04 Filippo di robilant 05 Massimo fini 06 Biagio abrate 07 Sergio ramazzotti 08 Luigi baldelli 09 Paolo siccardi 10 Riccardo venturi 11 Nancy hatch duprée 12 Lucio caracciolo 13 Maurizio stefanini 14 Lorenzo cremonesi 15 Pietro suber

16 Fausto biloslavo 17 Michael barry 18 Ettore mo 19 Ahmed rashid 20 Allam khaled fouad 21 Musa maroofi 22 Niccolo' rinaldi 23 Anna costanza baldry 24 Daniela binello 25 Gabriella ghidoni 26 Qorbanali' esmaeli 27 Andrea bruno 28 Giuliano battiston 29 Basir ahang 30 Gian micalessin

31 Andrea nicastro 32 Francesco battistini 33 Giulietto chiesa 34 Emma bonino 35 Alberto negri 36 Guido olimpio 37 Germano dottori 38 Carlo jean 39 Daniele mastrogiacomo 40 Gabriele torsello 41 Marco garatti 42 Toni capuozzo 43 Lucia vastano

Ettore sequi Nico piro James natchway Massimo papa Claudio glaentzer Alberto cairo Steve mccurry Emanuele giordana Riccardo iacona Monika bulaj Gino strada Rory stewart Mohammad qaseem fahim


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realtà di rubik Quanto delle reali strategie militari emerge fino ad essere facilmente accessibile a tutti noi e quanto invece ha ragione di essere messa in atto tutta una serie di diversivi a copertura di eventuali strategie di secondo livello? O è forse opportuno accettare l’idea della realtà di Rubik. Tutti la vediamo ma ognuno dalla sua prospettiva. Non ha facce minori e l’inganno non sta nel cubo ma in noi. Al punto che la sensazione di una verità incompiuta coinvolge, seppur con motivi diversi, tutti, dall’uomo comune all’agenzia d’intelligence? 01 Fabio mini _ generale, scrittore In Afghanistan abbiamo assistito ad una mancanza completa di strategie di qualsiasi livello. Se la strategia è l’arte delle scelte funzionali agli obiettivi politici, in dieci anni la forza militare non è riuscita neppure ad individuare le alternative per fare le scelte giuste. Il cubo è stato girato in tutti i sensi ma sempre per vedere lo stesso colore: il terrorismo come la ribellione, le giuste aspirazioni come le lotte per il potere, i bisogni della gente come la protervia della criminalità e della corruzione. L’eccesso di potenza è stato applicato contro forze, persone e culture diverse incapaci di opporre resistenza, ma tragicamente abituate alla resilienza: ad assorbire l’energia esterna e a restituirla. Chi ha cercato di formulare strategie per ottenere risultati politicamente utili, anche mandando a casa i generali, si è dovuto accontentare di adattare gli obiettivi a ciò che gli strumenti militari e d’intelligence potevano dare. Senza alternative. La vittoria in Afghanistan, come quella in Iraq e nei Balcani, è ormai identica alla soluzione del cubo di Rubik da parte del frustrato che, per far coincidere i colori, lo smonta. Kabul, Wazir Akbar Khan. Tutti i giornalisti, fotografi e forse anche altre categorie che sono accreditate presso le forze italiane in Afghanistan come in qualunque altro teatro, possono assistere ad attività normalmente inaccessibili. Una di queste è accompagnare un pattugliamento vero o 118٠A f c r

seguire un pattugliamento appositamente organizzato. Questa immagine rientra nel secondo caso. In un cortile lungo una delle strade di quel giorno, qualcuno si divertiva con la pallavolo.



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passarci sopra “La postulata compatibilità dei principi islamici con lo Stato di diritto e i principi internazionali di derivazione occidentale è infine operazione spericolata, che omette questioni epocali”. Così si legge a sua mano in un recente Limes, 2.2010. La consapevolezza che implicano queste parole (e più dettagliatamente quella evincibile in tutto l’articolo) perché non è sufficiente per rinunciare all’ ingerenza dell’intervento occidentale? 02 Rosario aitala _ magistrato, consigliere ministro degli esteri Questa mia frase è specifica; si riferisce a una locuzione dell’Accordo di Bonn del 2001, a mio avviso troppo semplicistica. Da allora sono cambiate molte cose, mi auguro anche il nostro grado di consapevolezza. Il mio scritto è severo ma animato dalla speranza; suggerisce una via diversa, non un passo indietro. Non ho titolo per giustificare gli interventi occidentali in Afghanistan; posso rispondere per me stesso. Cerco di perseguire la tutela della dignità umana in ogni sua forma. Per questo, grazie alla fiducia che il Ministro Frattini mi ha voluto accordare ed alla sua grande sensibilità per questo tema, ho incrementato gli interventi civili del nostro paese a favore dei diritti dei deboli: le donne, i minori, gli indigenti che non sono difesi in giudizio, i perseguitati per il proprio credo, le proprie opinioni, il proprio stato personale. Coloro che come noi sono liberi di scegliere hanno il dovere morale di difendere gli esseri umani dovunque le libertà vengono mortificate, i diritti calpestati, la dignità umana offesa. Il nostro lavoro sta contribuendo a cambiare, lentamente, il modo di pensare della gente afghana. Quando leggo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo o le altre grandi convenzioni internazionali sui diritti, la nostra bella Costituzione, nate dagli orrori delle guerre, delle torture, delle persecuzioni, immagino le voci dolenti, i volti sofferenti di coloro cui devo la mia libertà. Ecco, io vorrei che il popolo afghano non debba vivere ancora altri orrori prima di giungere finalmente a rispettare ogni essere umano.

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Kabul, Wazir Akbar Khan. Un muro qualsiasi e un filo spinato di ultima generazione, possono rendere degna di partecipazione anche una foto senza pregi. Forse anche a causa di ciò che facilmente è in grado di evocare: conflitto, separazione, dolore, libertà negata. Ma sono evocazioni provocate dall’immagine o cercate


dai nostri necessari preconcetti? Forse le due cose messe in relazione ci mostrano l’oggettiva realtà . Una microaffissione elettorale ci offre uno scorcio di cultura, di estetica, di tecnica e di comunicazione locale.


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colonialismo tout court L’apparentemente nobile principio dell’esportazione della democrazia, poi mitigato e modulato in forme meno invasive e arroganti, in che termini è stato riconosciuto come un proseguimento dell’atteggiamento colonialistico dell’occidente nei confronti del mondo materialmente meno dotato? Qual’è la tipica governativa risposta occidentale alla domanda: “In che punto delle priorità mettiamo la loro storia?” In che modo possiamo sostenere di rispettare autenticamente la loro biografia, natura e verità? 03 Elisa giunchi _ docente Le idee e le strutture politiche, quando sono importate meccanicamente in realtà molto diverse, raramente diventano durature e possono anzi avere risultati imprevisti; nella migliore delle ipotesi, la loro adozione può portare a istituzioni di facciata, che rispettano procedure democratiche assorbendo in realtà dinamiche di potere tradizionali e disequilibri interni. La soluzione sta piuttosto nell’emersione di voci autoctone che con riferimenti al proprio mondo concettuale e alla propria realtà propongano una visione partecipativa della vita politica e della convivenza sociale. Queste voci esistono in ogni paese musulmano, e anche in Afghanistan, ma hanno una capacità di diffondersi limitata perché la libertà di espressione è limitata: le élite politiche sono restie a lasciar spazio a concezioni di potere che eroderebbero i loro privilegi e quelli dei loro alleati interni e a introdurre riforme che potrebbero destabilizzare lo status quo.

Farah, aeroporto. Un Hercules C-130J si predispone al decollo sotto il sole verticale e implacabile del sud Afghanistan.

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democrazia per tutti Nel 2005, durante le prime elezioni parlamentari afghane faceva parte della squadra di osservatori per l’Unione europea. L’uomo comune come ha vissuto l’esperienza delle prime libere elezioni? Il senso della democrazia le pare faccia parte di una loro autentica esigenza? Avranno motivo di considerarla un valore inalienabile? 04 Filippo di robilant _ politico Pensare che esista una eccezione afghana alla democrazia o che questa sia un’esclusiva dell’occidente, mi sembra paternalista, oltre che sbagliato. Ricordo che dal 1964 al 1973, sotto il regno di Zahir Shah, fu approvata una Costituzione di stampo liberale ed eletto un Parlamento che avviò le riforme. Allora Kabul era una capitale liberale - soprattutto se si pensa ad altre capitali dell’Asia centrale di quell’epoca - dove le donne partecipavano alla vita pubblica come studentesse, libere professioniste, funzionarie, parlamentari. Quella è stata forse l’età dell’oro per l’Afghanistan. Dopo la caduta dei talebani nel 2001, si è pensato che sulle macerie dei bombardamenti si potesse creare uno stato democratico grazie all’elezione diretta di un presidente, di un parlamento e di consigli provinciali. Evidentemente si è dimostrata una risposta solo parziale. La presenza militare internazionale avrebbe dovuto creare le condizioni di sicurezza per assicurare la formazione della polizia locale, l’organizzazione dell’amministrazione pubblica, la costruzione d’infrastrutture, l’istruzione. E la nascita di uno stato di diritto con la revisione della costituzione e un nuovo baricentro dell’equilibrio dei poteri, dal presidente al parlamento, e l’istituzione della figura di primo ministro; l’introduzione di un sistema più rappresentativo e funzionale a livello locale; la legalizzazione dei partiti politici, benefico non solo per ragioni di vetting, cioè di inibizione dalle liste elettorali, ma anche perché darebbe ad alcune etnie, penso in particolare ai pashtun, un’alternativa politica a quella di organizzarsi con le armi; infine, il potere giudiziario è rimasto negletto, contribuendo alla corruzione e all’impunità. In tali circostanze, ammetto che non è facile chiedere ai nostri soldati di andare a morire per Kabul. Purtroppo, in Afghanistan, ci sono troppe mani in pasta e ognuna lavora per sé. Il rischio è di rimanere persi in un labirinto senza poter tirare il filo di un gomitolo che ci aiuti a trovare l’uscita. 124٠A f c r

Kabul, Ali Abad, Centro ortopedico della Croce Rossa Internazionale. Non ricordo se questo signore fosse lì per motivi personali, come per imparare a camminare con la protesi o se accompagnava o assisteva qualcuno. Certamente non era lì per divertirsi: i suoi occhi ce lo garantiscono. Il copricapo è quello in stile nuristano (Nuristan, terra della luce). Probabilmente anche il signore che lo porta è originario dell’ex Kafiristan (terra degli infedeli). Non sono in grado di segnalare quali possano essere i tratti essenziali dei nuristani oltre alla loro corporatura facilmente di qualche taglia maggiore di quella dei suoi vicini tajiki, pashtun e pakistani.



Kabul - Jalalabad. La strada più trafficata dell’Afghanistan collega la capitale a Jalalabad, per proseguire poi verso il mitico Khyber Pass. È lungo questa, nella zona di Sarobi, a circa 40 chilometri da Kabul che nel novembre del 2001 quattro giornalisti 126٠A f c r

sono stati uccisi da un gruppo di predoni locali. Un afghano, un’italiana, un australiano e uno spagnolo. Viaggiavano insieme, sono stati fermati e fatti scendere dai loro mezzi. In breve trucidati di fianco alla strada. Azizulah Haidari, Maria Grazia Cutuli, Harry Burton, Julio Fuentes, hanno


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universi paralleli Il Pashtunwali, come il Codice barbaricino, ha un biografia capace di comunicare una storia profonda e radicalmente affermata su una concezione dell’uomo responsabile di se stesso ma la cui identità, il cui io include la famiglia, il clan, la tribù. Quanto è doveroso intervenire con la forza in quella biografia e quanto è invece da rispettare in quanto forma sociale semplicemente estranea al diritto romano? 05-Massimo fini _ giornalista La cultura occidentale non è più in grado di accettare ciò che è altro da sé. Ciò che si diversifica dal proprio stile. Tende a omologare. È una specie di totalitarismo ideologico che non di rado arriva all’impiego delle armi per affermarsi. La cosa è tanto più strana perché giunge da una cultura liberale e democratica. Ma è tale solo fino a un certa profondità, poi cede alle sirene del potere. L’antropologo Lévi-Strauss dice che ogni cultura ha i suoi pesi e i suoi contrappesi. Volerne una modifica implica l’alto rischio di distruggerla. Come in Africa centrale - e non solo lì - l’occidente, intervenendo con le sue verità, ha rotto l’armonia di quelle culture statiche, ben estranee alla nostra, dinamica. Il mullah Omar ha colto il significato di certe ingerenze della modernità, ha visto quanto danno avrebbero potuto creare, per questo ha fatto distruggere tutti i televisori. Anche nella nostra cultura preindustriale c’erano le culture statiche. Poi si è affermata la linea positivista. Ma è una delle possibilità, non è l’unica. Chi è andato in direzioni diverse ha pari diritto di essere. Una regina di un villaggio africano viene in Italia a fare la sguattera in qualche famiglia benestante, si ferma 18 anni, poi torna al villaggio con tanto di modernità appresso. Le introduce nella comunità convinta di fare bene eppure, con il tempo si accorge che la serenità che conoscevano prima era venuta a mancare. perso la vita così. Seguendo la stessa direttrice verso ovest, a una ventina di chilometri dal luogo dell’eccidio, una piccola diramazione verso nord porta ad incontrare questo carro il cui spray sulla canna del cannone è più efficace della migliore didascalia.


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11 anni di teatro Il 2014 è la data prevista per la riconsegna dell’Afghanistan agli afghani. Dall’agosto 2003 le forze italiane fanno parte del contingente internazionale. In cosa l’operato italiano ha fatto bene, in cosa è stato imitato, in cosa è migliorabile e cosa abbiamo appreso dal teatro afghano? 06 Biagio abrate _ generale, capo stato maggiore della difesa L’approccio italiano in Afghanistan ha sempre considerato lo strumento militare come una delle molteplici componenti di un necessario intervento nella forma del comprehensive approach, finalizzato a sostenere il governo afgano nel compito di garantire la sicurezza su tutto il territorio nazionale e a facilitare lo sviluppo politico e socio-economico, accelerando il passaggio di responsabilità alle autorità del paese. Questa peculiare visione omnicomprensiva del problema afgano ha caratterizzato la riflessione strategica dell’Alleanza, ma anche degli Usa. L’Italia ha non solo condiviso da sempre questa tipologia di approccio strategico, ma – coerentemente – ha assunto, in specifici ambiti, un ruolo guida comunemente riconosciuto. Basti pensare all’unanime plauso ricevuto in diverse occasioni, da ultimo dal generale Petraeus, per il nostro operato nel settore formativo/addestrativo, nonché al riflesso in ambito Nato del nostro Provincial Reconstruction Team, PRT, da sempre additato quale modello di riferimento. I nostri militari – dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri – impegnati sul difficile territorio afgano hanno raggiunto una maturità professionale senza paragoni e rappresentano un’immagine e uno spaccato dell’Italia di cui andare orgogliosi.

Kabul-Jalalabad. Insieme al carro della pagina precedente ve ne sono altri a centinaia. Accatastati o in ordine secondo uno schema da finto parcheggio. Tutti sono stati depredati di tutto ciò che forza e attrezzi umani potevano estrargli. È questo uno 128٠A f c r


dei cimiteri dove un fotografo trova manciate di prospettive ed inquadrature che fanno al caso suo. Inclusa questa, di un nostro militare alla mitragliatrice Browning M2 12,7 mm.


Afghanistan- fede.cuore.ragione. È un libro fotografico. Dedicato soprattutto ai sentimenti. Storie di persone che l’empatia sa riconoscere da ogni sguardo. È un libro pieno di domande. La verità della fotografia fino a quando non mente? Che accadrà dopo il 2014, la data della ritirata della forza internazionale? Quanto il movimento talebano ha interessi internazionali? La natura dell’islam può essere avvicinata da un miscredente? Sono esistiti progetti di comunicazione per promuovere la centralità dello Stato? C’è qualcosa che possiamo sapere oggi, ad anni di distanza dai fatti, sui sequestri Torsello e Mastrogiacomo? Un mea culpa occidentale avrebbe un peso geopolitico? La democrazia è un valore da affermare con la forza? C’è un’unica realtà o ce ne è una di rubik dove ognuno ha diritto al lato che lo rappresenta? La guerra è un fatto in mano alle lobby o può vantare significati umanitari? Pulizia etnica e razzismo pasthun sono un delirio hazarà o corrispondono a dati di fatto? Quanto un fotografo sa di provocare una realtà piuttosto che un’altra spostando anche di poco il rettangolo dello scatto?

... mi dite che questo soggiorno non mi serve a nulla, che l’Isola mi sta bruciando i nervi e non sapete che cosa farvene di quello che vi scrivo, che il lettore occidentale non è preparato. D’accordo, però io viaggio per imparare, e nessuno mi aveva insegnato quello che sto scoprendo qui. Nicolas Bouvier - Il pesce-scorpione

lorenzo merlo, fotografo, pubblicista, guida alpina. ritiene che la realtà stia nella relazione. significa che la responsabilità è nostra comunque e che il nostro giudizio su di essa non la cambia, la deforma. € 23,00 ISBN 978-88-906203-0-0

9 788890 620300

115 fotografie. 99 citazioni da buona parte della letteratura sull’Afghanistan. 43 tra giornalisti, scrittori, militari, fotografi e studiosi rispondono ad interviste sulle questioni passate, presenti e futuribili. Una ampia bibliografia di 150 titoli. Sono anche questi i contenuti di Afcr, in un intento di privilegiare la loro prospettiva.


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