VdG Magazine Viaggi del Gusto

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VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 3 | N.24 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti

MARZO 2013 - EURO 4,90

DOP E IGP, QUESTE SCONOSCIUTE Italia leader dei prodotti tutelati dall’UE: ma perchè le vendite non decollano? Focus sul mondo delle denominazioni e indicazioni di origine

TENDENZE

PERSONAGGI

ITINERARI

s Pausa-pranzo:

s Iginio Massari

RISTORANTI

s Il turismo sostenibile

è tornata la schiscetta

s Paolo De Castro

s Gianfranco Vissani

s Dolce vita alle Eolie s Massimo a Barcellona

Il marchio che certifica le migliori strutture in Italia e nel mondo


PRESENTA

KATHERINE KELLY LANG & RONN MOSS

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editoriale

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Con la cultura si mangia Il nuovo Governo ne tenga dovuto conto Quando leggerete questo editoriale – grazie a Dio! – sarà finita la bagarre elettorale. Soprassediamo, in questa sede, su tutto quello che, ahinoi, siamo stati costretti a vedere e ascoltare negli ultimi due mesi, sul palcoscenico del sempre più misero teatrino della politica italiana. Piuttosto ci preme rivolgerci, ora, a coloro i quali saranno stati scelti per governare il Paese. È a lorsignori infatti che vorremmo far notare come nell’ultimo governo, quello dei “tecnici”, non abbiamo visto neppure l’ombra di un Ministro della Cultura (e lo scriviamo, non casualmente, con la “C” maiuscola). Ammesso che ci fosse, nessuno ha avuto modo di accorgersi della sua presenza. Ancor più inquietante – tra le tante, troppe che abbiamo visto – il fatto che nei vari dibattiti e talk show che hanno animato questa folle, delirante campagna elettorale, nessuno s’è mai preoccupato, neanche lontanamente, di occuparsi per un solo minuto della cultura, delle arti, dei saperi. Tutti i politicanti (che di questo si tratta, almeno per chi, come noi, ha un concetto un po’ più alto della “politica”), come un sol uomo, hanno ignorato bellamente il tema dei musei, del territorio, dei beni artistici, del paesaggio, dell’enogastronomia, del patrimonio immateriale italiano. Tutti buoni (si fa per dire) a sproloquiare sulle tasse e sullo spread ma nessuno capace di spiegare invece su quali driver economici questo Paese debba puntare nel lungo periodo per uscire dalla secche della stagnazione. Su quale nuova identità sociale ed economica dare all’Italia nell’epoca della postindustrializzazione. Su qual è, insomma, la loro idea di futuro per la nazione. Un grande uomo di Stato (uno dei pochi, se non l’unico, che abbiamo avuto in tutta la storia repubblicana) come Alcide De Gasperi diceva: “Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni”. Ecco, i nostri politici, a destra, a sinistra e al centro, certamente non hanno dimostrato di essere interessati alle future generazioni. Eppure non bisognava inventarsi niente: le direttrici dello sviluppo futuro dell’Italia sono sotto gli occhi di tutti e si chiamano appunto “cultura”, “arte”, “turismo” e “agroalimentare”. Ossia tutto ciò in cui, malgrado tutto, manteniamo ancora uno standard di eccellenza nel mondo. Questo Paese (grazie ai nostri antenati) ha la fortuna di possedere un numero smi-

surato di opere d’arte, musei, siti archeologici, chiese, beni monumentali, intere città che sono capolavori artistici. Grazie alla natura benigna, può vantare inoltre un patrimonio paesaggistico forse senza eguali nel mondo. E per merito infine del talento e dell’ingegno degli italiani di ieri e di oggi, annovera 5 mila prodotti tipici che derivano da una contaminazione di culture diverse che si sono intrecciate per millenni. Ciò nonostante, siamo un paese viepiù ignorante e alquanto regredito. Dopo quest’ultimo ventennio, ciò che fa davvero paura non è la povertà economica ma quella culturale. C’è un bisogno stringente, disperato – come spiega Dario Fo nel suo ultimo libro – che si riprenda a insegnare, soprattutto ai giovani, che il patrimonio culturale non è un inutile fardello, ma un veicolo determinante per formare le coscienze e il sapere della cittadinanza. Del resto, un paese senza cultura non può che sfornare abitanti ottusi e senza prospettive. Occorre dunque che chi si insedierà al governo, tenga in dovuto conto queste considerazioni e individui in questi settori i punti forti di un’economia che deve necessariamente riprendere a correre. Anche se, ribadiamo, per tutta la campagna elettorale, nei talk show politici, non una sola parola è stata spesa su questi temi. A ben vedere, solo Beppe Grillo – guarda caso, non un “politico” propriamente detto – nelle piazze ha parlato del settore agroalimentare come di un settore “sacro”, ha definito la cultura come un driver economico, provando a tracciare una visione del Paese da qui a 20 anni. Speriamo che il suo movimento sia coerente e mantenga le promesse e i suoi parlamentari, quanto meno, facciano da pungolo per i nuovi governanti. Ai quali chiediamo, in ultima istanza, di fare le cose buone e giuste. Quelle che servono a tutto il Paese e non a loro stessi o a una parte circoscritta del Paese, come è avvenuto troppe volte negli ultimi anni. Noi, attendiamo fiduciosi, e intanto continuiamo a lavorare, come sempre, “pancia a terra”.

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sommario foto di Sara Rota

sommario marzo 2013

50 48 12 Dall’Italia e dal mondo

16 La salute nel piatto Alimenti alleati: le verdure verdi 18 Scienza e vita I salumi ovini e caprini 20 Almanacco di Barbanera

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22 Appuntamenti

30 Cover story Tra Dop, Igp e Stg, i prodotti italiani tutelati dall’Ue aumentano ogni anno di più, andando a costituire un formidabile paniere di eccellenze agroalimentari. A questi numeri non corrisponde però un proporzionale incremento delle vendite. Perché? Perchè i consumatori, del “pianeta Dop”, sanno ancora poco e il sistema, come vedremo, ha molte pecche.

panorama

cibo&territorio

40 Scenari alimentari, la suinicoltura

62 Lungo le vie del miele

42 Lo studio: gli italiani e le Dop 44 Personaggi: Paolo De Castro

A lezione di agricoltura dal presidente (italiano) dell’apposita Commissione Ue

48 Il maestro Iginio Massari Il più grande pasticciere italiano ci apre le porte del suo tempio gastronomico a Brescia

50 Consumi: torna la schiscetta La crisi morde e la gente si adegua: in ufficio il pranzo portato da casa non è più un tabù!

54 Gianfranco Vissani L’antesignano degli chef in tv si racconta alle “inviate del gusto” Elisa Isoardi e Paola Gula

56 Ospitalità italiana: Barcellona Pizzoccheri, trippa e ‘nduja nella città delle Ramblas? Sì, se mangiate da “Massimo”

58 Chef italiani nel mondo, Medaglia

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Una panoramica (a volo d’ape) sull’Italia che produce “dolcezza”, dal Trentino alla Sardegna

66 Formaggi perduti Storie di caci e di provole che sembravano spariti. E dei casari eroici che li hanno salvati

70 Pasqua tra cibi e religione Viaggio nello Stivale che festeggia la rinascita di Cristo con riti, processioni e specialità golose

74 Wine passion: il Sangiovese Romagnolo, corposo e longevo. Un rosso da “Olimpo del vino”. Fin dai tempi di Giove.

76 Il buono a tavola, I’Emilia Romagna 78 La storia in cucina, la forchetta 80 Orto dei semplici, il porro 82 Food news



sommario sommario marzo 2013

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104 88

124 Le selezioni di VdG

inviaggio

piaceri

88 Il turismo ecosostenibile

104 I pupi siciliani

Voglia di verde e di natura: anche in vacanza ormai è una regola. E i territori si adeguano

92 L’Italia in mostra: Ferrara

Raffinata e misteriosa, la Amsterdam d’Italia festeggia il centenario del regista Antonioni

96 Le isole Eolie

Marzo è il mese adatto per godersi il lato più cool e gustoso delle 7 perle del Tirreno

100 Città in 24 ore, Parigi 101 Viaggi per tutte le tasche

Uno sguardo sul “mondo di re e paladini” dal 2001 diventato patrimonio Unesco

108 Le mani raccontano

Gigi Monti: ovvero l’anima di Basile, firma storica della moda italiana nel prêt à porter

110 Compagne di strada In Val d’Aosta con Peugeot 508 Rxh 112 Camera con vista 113 Week-end relax 116 Bellezza&benessere 118 Soste d’arte 120 Libri 121 Spettacoli 122 Shopping 123 Trendy

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contributors marzo 2013 PIERGIORGIO GRECO

LUCREZIA ARGENTIERO Pugliese trapiantata a Bologna, è passata dalla tastiera di un pianoforte, che suonava in gioventù, a quella di un computer. Giornalista e filmaker, ama raccontare i territori attraverso le immagini. Sua la regia di numerosi documentari d’attualità e turistici molti dei quali premiati. Ha due passioni: la fotografia e la sua Titty, la gatta più fotografata del mondo. pagg. 88 e 100

Giornalista, ama la fotografia, i viaggi e l’enogastronomia: in particolare il miele che “vive” da quando era bambino: buona parte dei suoi 36 anni li ha trascorsi infatti a Tornareccio, storica capitale abruzzese del miele. Qui, proprio come un’ape al suo alveare, torna ogni tanto da Pescara, città d’adozione. pag. 62

Direttore Responsabile Domenico Marasco Coordinatore editoriale Francesco Condoluci Grafica e impaginazione Daniel Addai Carlo Fontana

ELENA CONTI Senese ma di famiglia fiorentina in cui convivono pacificamente guelfi e ghibellini, e d’aspetto nordico. Con un pedigree del genere, non poteva che darsi alle lingue straniere. Giornalista per caso, prima tv, poi carta stampata e uffici stampa. Ha lavorato per anni con Carlo Verdone al Terra di Siena Film Festival. Ma quando ha scoperto il Cappero di Pantelleria, è passata con leggerezza dal cinema all’agroalimentare di qualità. pagg. 32 e118

Editing Gilda Ciaruffoli Foto Editor Giuseppe Magaretti Gianluca Congiu Editore: Opera Italia Srl Via Pola, 15 20124 Milano Presidente: Roberto Patti Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia ME.PE. S.p.A.

Abbonamenti Opera Italia Srl Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02.89.053250 fax 02.89053284 Il Servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30. abbonamenti@vdgmagazine.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito. Informare il Servizio abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli

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Cerchiamo agenti e venditori di spazi pubblicitari

Viaggi del Gusto Magazine e AirOne Magazine cercano persone di professionalità affermata, o da formare, nel settore della vendita di spazi pubblicitari e nel ruolo di agenti di commercio. L'area di lavoro è individuata nelle seguenti regioni: Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Calabria, Campania, Liguria. I candidati interessati sono invitati a spedire il proprio curriculum a

ufficiotraffico@vdgmagazine.it

NOMISMA

GIUSEPPE PULINA Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell'università della sua città e con i sardi condivide, oltre all'aria ed alla terra, soprattutto il mare. Se lo incontrate, fategli le congratulazioni. È appena stato eletto coordinatore nazionale dei presidi e dei direttori delle facoltà universitaria di Agraria. pag. 18

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In greco antico “nomisma” indica il valore reale delle cose. E' seguendo questa radice etimologica che Nomisma - uno dei principali istituti di ricerca economica europei - osserva, in Italia e nel mondo, tutti i fenomeni economici. Da quest'anno lo fa anche per VdG magazine, aiutando i lettori a capirne qualcosa in più. pag. 40

si ringraziano per le foto: Fondazione Qualivita

hanno collaborato a questo numero: Alessandro Allocco Piero Caltrin Luca Campana Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Claudia Dagrada Alba De Gasperis Silvana Delfuoco Enzo Di Monte Maria Pia Fanciulli Francesca Frediani Isa Grassano Paola Gula Elisa Isoardi Riccardo Lagorio Lucia Lipari Roberto Rabachino Antonio Romeo Giovanni Romeo Raffaele Romeo Fondazione Veronesi Saro Trovato

collaboratori&ambasciatori Abruzzo Michele Caracino Gaetano Castaldi Piergiorgio Greco Basilicata Isa Grassano Angela Pino Calabria Salvatore Chiarella Giacomo Giovinazzo Lucia Lipari Antonio Romeo Campania Ferdinando Cappuccio Luisa Del Sorbo Rosalia Imperato Emilia-Romagna Luca Campana Marco Landucci Chiara Mojana Luca Sardi Friuli Venezia-Giulia Valentina Coluccia Marina Tagliaferri Lazio Domenico Bruno Alessandro Mei Giovanni Merone

Stefania Monaco Francesca Oliverio Liguria Alessandro Baffigi Barbara Bacigalupo Anna Orlando Lombardia Massimiliano Bruni Alba De Gasperis Lorenzo Foti Francesca Frediani Valentina Gavarini Riccardo Lagorio Eugenio Meloni Umberto Mortelliti Aldo Pagnussat Giovanni Romeo Raffaele Romeo Saro Trovato Marche Ferruccio Squarcia Molise Giovanni Scapagnini Ida Santilli Piemonte Silvana Delfuoco Paola Gula Elisa Isoardi Donato Lanati

Roberto Rabachino Puglia Lucrezia Argentiero Bruno Micai Sergio Siciliano Sardegna Roberto Dall’Acqua Annalisa Bernardini Lino Erriu Giuseppe Pulina Sicilia Cesare Aldesino Rosario Ribbene Marco Scapagnini Toscana Elena Conti Marco Ghelfi Rosanna Ercole Mellone Marco Scataglini Trentino Alto-Adige Francesca Negri Umbria M. Pia Fanciulli Valle d'Aosta Flavio Amadei Veneto Germana Cabrelle


LUXURY HOTEL TORINO


dall’Italia e dal mondo

di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it

Il commento

Il Papa lascia. I problemi della Chiesa restano

Il commento

Papa Benedetto XVI si è dimesso lasciando, il 28 febbraio, il suo pontificato dopo 8 anni sul soglio pontificio. Il Santo Padre lo aveva annunciato a sorpresa l’11 febbraio nel corso del concistoro per le nuove canonizzazioni. È la prima volta che accade nell’epoca moderna. Ratzinger ha spiegato di sentire il peso dell’incarico di pontefice, di aver a lungo meditato su questa decisione e di averla presa per il bene della Chiesa. «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede – ha detto – per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo». La possibilità della rinuncia, prevista dal codice canonico, era stata citata proprio da Benedetto XVI nel libro intervista di Peter Seewald Luce del mondo pubblicato nel novembre 2010: «Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli – disse Benedetto XVI – allora ha il diritto e in talune circostanze anche il dovere di dimettersi». Dopo le dimissioni, Ratzinger si è spostato temporaneamente a Castel Gandolfo prima di fare ritorno in Vaticano per ritirarsi nel monastero di clausura che c’è Oltretevere.

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L’ultima volta era stata nel 1415. Quando Gregorio XII si dimise per mettere fine allo scontro tra papi e antipapi innescato dallo spostamento della sede pontificia da Roma ad Avignone e passato alla storia come “Scisma d’Occidente”. A poco meno di 600 anni da quell’ultima abdicazione, Joseph Ratzinger è diventato l’ottavo papa della storia a rinunciare “al ministero di Vescovo di Roma e Successore di Pietro” per il quale era stato eletto nel 2005, dopo la morte di Karol Wojtyla. Un pontificato, il suo, segnato già alla nascita da un peso quasi insostenibile da sopportare: quello cioè di essere stato chiamato a succedere a Giovanni Paolo II, “il papa santo” più amato nella storia della cristianità moderna, il pontefice polacco idolatrato dalle folle e campione inarrivabile di carisma e capacità comunicativa. Ratzinger ha portato questo fardello per 8 anni, attraversando uno dei periodi più difficili della Santa Chiesa, nel quale – va detto – non ha saputo certo brillare né in popolarità né tantomeno per la capacità di amministrare i grandi problemi globali della Chiesa – l’approccio alla sessualità, il ruolo delle donne, i rapporti con le altre confessioni religiose, la riforma degli apparati ecclesiastici – che infatti sono rimasti pressoché intatti rispetto ai tempi di Wojtyla. Il giudizio sul suo pontificato e sulle cause che lo hanno portato alla defezione, in tutti i casi, spetta a Dio e alla storia. Ma una breve considerazione sulla sua decisione di “gettare la spugna”, consentitecelo, qui va fatta. Giusto per rispondere a coloro (pochi, in verità) che hanno definito “rivoluzionaria” e di “grande responsabilità” la sua decisione di rinunciare al pontificato “in mancanza della vigoria fisica necessaria a portarlo avanti” e dedicarsi alla lettura e alla meditazione. Agli esegeti di Oltretevere e agli apostoli dell’infallibilità papale, giova ricordare che nei suoi anni da monarca assoluto del Vaticano, Benedetto XVI, poche, pochissime volte è riuscito a portare fino in fondo qualcosa. A partire dalla lotta alla pedofilia dilagante dentro la Chiesa, condannata a parole ma mai combattuta seriamente con decreti (quello sull’obbligatorietà della denuncia dei colpevoli, ad esempio) e altre azioni concrete. Per finire alla questione dello Ior e delle finanze vaticane, sulle quali due anni fa era stata istituita un’autorità ispettiva i cui poteri però sono stati subito limitati. E si potrebbe continuare citando l’incerto atteggiamento tenuto rispetto allo scandalo Vatileaks e le tante titubanze mai disciolte su temi come la comunione ai divorziati risposati o l’uso del preservativo in funzione anti-Aids, ma ci fermiamo qui. Augurando a Ratzinger buone letture, e a noi di avere un nuovo pontefice che non difetti di coraggio.


rassegna stampa

Ristoratori ricattati: 500 euro per una recensione on-line ANSA • Recensioni a pagamento sul web di fantomatici “clienti” delle strutture ricettive del Veneto per scalare le classifiche di gradimento turistico dei siti specializzati. A denunciare l’episodio è il presidente di Federalberghi Veneto, Marco Michielli, che ha ricevuto la proposta di una non meglio identificata agenzia di recensioni a pagamento. Una mail che, a detta di Michielli, sta facendo il giro delle imprese ricettive e dei ristoranti del Veneto, e non solo, e che propone di “addomesticare” i giudizi sui locali o sugli alberghi (al costo di 500 euro a recensione) per inserirli nei siti specializzati. «In questo mare magnum di ambiguità del web, qualche squalo sta tentando di insinuarsi» ha accusato Michielli, il quale già un anno fa aveva manifestato la necessità di operare un severo controllo sul materiale web, con riferimento al settore del turismo.

Spagna: la vita di Ferran Adrià diventerà un film

UE: il riso tailandese conquista l’Igp europea ANSA • L’Unione Europea ha registrato, in quanto indicazione geografica protetta contro imitazioni e falsi, un riso tailandese proveniente dalla regione di Thung Kula Rong-Hai; il khao Hom Mali Thung Kula Rong-Hai ha un chicco di color giallo paglierino, lungo e sottile e, una volta cotto, emana un aroma di foglia di pandano. Il sapore è leggermente dolce. La nuova Igp è stata aggiunta agli oltre 1.100 prodotti agricoli e alimentari protetti in Europa. Si tratta della 14esima denominazione di prodotti alimentari extra-Ue che riceve lo status di prodotto tutelato. Tra questi, il caffè colombiano e il tè Darjeeling indiano. La Commissione europea ha introdotto il sistema del riconoscimento e protezione reciproca di alimenti di alta qualità con Paesi extra-Ue per “abbattere” le barriere commerciali nei confronti delle eccellenze alimentari europee. te: Bon Appetit magazine •

Bon Appetit magazine • La casa di produzione Vendome Pictures ha confermato le voci in merito all’imminente realizzazione di film sul ristorante El Bulli del noto chef spagnolo Ferran Adrià. La sceneggiatura si baserà su libro di Lisa Abend A Season in The Kitchen at Ferran Adria’s El Bulli che ripercorre l’intreccio di chef, stagisti e storie ruotati attorno alla cucina del ristorante stellato di Roses, sulla Costa Brava. Dal 2006 al 2009 El Bulli si è posizionato primo nella classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo ed è qui che Ferran Adrià ha ideato e perfezionato quella cucina molecolare che ha rivoluzionato la ristorazione moderna. Ai tempi in cui era stato pubblicato il libro, l’autrice Lisa Abend aveva auspicato che a impersonare Adrià sul grande schermo fosse Johnny Depp. Chissà che non venga accontentata?

FAI, Alessandria è il “luogo del cuore” più votato La Stampa • È la cittadella di Alessandria il “luogo del cuore“ più votato nella sesta edizione del censimento del FAI. Quasi un milione le segnalazioni pervenute, per oltre 10 mila realtà d’Italia (chiese, ville, castelli, giardini e persino ferrovie abbandonate) che sono state indicate come bisognose di particolare attenzione e protezione dagli amanti del Paese, per la prima volta anche stranieri. Dietro alla cittadina piemontese, che ha raccolto quasi 54 mila segnalazioni, è stata la Puglia la regione più gettonata: al secondo posto c’è infatti la chiesa di San Nicola di San Paolo di Civitate e al terzo l’abbazia benedettina di Mattinata, entrambi comuni del Foggiano. Anche quest’anno il Fondo Ambiente Italiano ha promesso di farsi portavoce delle indicazioni raccolte sensibilizzando sindaci, soprintendenze e presidenti di Regione per il salvataggio di beni artistici e culturali censiti.

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rassegna stampa

USA: i “cibi-spazzatura” più pazzi del mondo Huffington Post • Il 2012 è stato certamente un anno di eccessi e di disastri nel mondo alimentare. La migliore misura di questi 12 mesi di “buffonate gastronomiche” è data dal gran numero di folli creazioni comparse nei fast food e principalmente in quelli statunitensi. Dagli incredibilmente popolari Doritos Locos Tacos (il prodotto più venduto della catena Taco Bell’s: tortillas di farina farcite con carne di manzo stagionato, salsa di formaggio nacho, panna acida e insalata tostata) alle pizze proposte da Pizza Hut (la Crown Crust Carnival Pizzas con i bordi guarniti da mini cheese burger o chicken burger venduta in Medio Oriente, o la Cheesy Bites Remix Pizza contornata da cannoli al formaggio o, in altre varianti, da bignè ripieni di crema), sembra proprio che i gusti della clientela da fast food richiedano offerte sempre più fantasiose (e altrettanto sciocche).

Messico: nave alla deriva, altro disastro per la Carnival New York Times • La nave da crociera Triumph della Carnival, dopo essere partita da Galveston nel Texas, è rimasta bloccata alla deriva a 150 miglia al largo della penisola dello Yucatan, nel Golfo del Messico, dopo un incendio avvenuto in sala macchine che, per fortuna, non ha provocato vittime. Più di tremila passeggeri e oltre mille uomini di equipaggio sono rimasti bloccati per circa quattro giorni, con gravissimi disagi causa l’impossibilità di utilizzare acqua corrente, elettricità nelle cucine, sistemi di comunicazione e persino i servizi igienici, sulla nave rimasta senza propulsione. Soltanto l’arrivo di una flottiglia di rimorchiatori ha consentito alla gigantesca “isola galleggiante” (lunga 287 metri e dotata di suites, piscine, palestre, teatri e impianti sportivi) di essere trainata lentamente verso il porto di Mobile in Alabama, ponendo fine così a una vera crociera da incubo. La Triumph fa parte del gruppo Carnival, lo stesso che possiede la Concordia, la nave finita alla deriva all’Isola del Giglio nel gennaio di un anno fa.

In vacanza con lo chef: la cooking-mania contagia anche il turismo Il Sole-24 Ore • È esplosa ormai da tempo, e pare sia molto contagiosa. La cooking-mania coinvolge un po’ tutti e sorprende sempre più italiani con “le mani in pasta”. Sarà per la crisi, che fa registrare un boom negli acquisti di farina, uova e burro. O forse per i programmi televisivi, che trasmettono a tutte le ore ricette e suggerimenti. C’è chi gioca a fare il grande chef e s’ispira a Carlo Cracco, e chi si accontenta di una dimensione più casalinga senza perdersi neanche una dritta di Benedetta Parodi. E la moda dei fornelli oggi entra anche in hotel, con vacanze gourmand tra relax e lezioni in cucina. Per chi va in vacanza a imparare i segreti del buon cibo c’è solo l’imbarazzo della scelta: dai menù regionali a quelli della tradizione ladina. Passando per la scuola di cucina nel bosco con la food blogger fino ai dolci campani con il pasticcere televisivo.

Regno Unito: carne di cavallo spacciata per manzo, è scandalo Daily Mail • Circa 50 tonnellate di carne equina e asinina illegale sono state sequestrate negli ultimi 7 anni nel Regno Unito, ma i dati sono emersi soltanto a seguito dello scandalo alimentare denominato horsegate che, scoppiato nella patria di Sua Maestà Elisabetta, si è allargato ben presto ad altri 18 paesi nel mondo (coinvolgendo anche l'Italia). Oggetto centrale del caso, il sospetto di frode per la presenza di oltre il 60% di carne di cavallo utilizzata al posto di quella bovina, senza dichiararne la presenza in etichetta. I prodotti finiti sotto accusa sono lasagne surgelate e altri piatti pronti.
Lo scandalo ha provocato tre arresti e uno stato di allerta in tutta Europa, dal momento che la carne di cavallo incriminata proviene da un’azienda francese che l’ha venduta a una società specializzata nella preparazione di lasagne e piatti pronti surgelati per decine di aziende tra cui la Findus inglese. Secondo le autorità la vicenda coinvolge almeno 4,5 milioni di confezioni.

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A cura della Redazione scientifica Fondazione Veronesi

la salute nel piatto

Scelte verdi per una “dieta rosa” Amate mangiare insalate, cicorie, bietole o spinaci? Ottimo! Sono infatti queste le verdure più efficaci nel ridurre il rischio di tumore del seno. Lo rivelano i risultati di un recente studio È noto da tempo che frutta e verdura svolgono un ruolo preventivo importante contro molte malattie, anche aggressive, ma oggi si hanno informazioni più precise su quali sono i cibi migliori amici della salute. Nell’ambito dello studio Epic (European prospective investigation into cancer and nutrition study) sono state 31 mila le donne sane, di età compresa tra i 36 e i 64 anni e di cui si conoscevano il tipo di dieta e lo stile di vita, a essere reclutate in cinque centri italiani e seguite con regolari controlli per più di dieci anni. «In questo campione così vasto – spiega Giovanna Masala che ha coordinato i ricercatori della sezione italiana – 1000 donne hanno sviluppato un tumore alla mammella». Grazie al confronto delle loro abitudini alimentari con quelle delle pazienti sane è stato possibile identificare gli alimenti anti-cancro. A fare da scudo protettivo contro l’insorgenza del tumore al seno sono state soprattutto le verdure a foglia, sia cotte che crude. «Spinaci, cicoria, bietola, lattuga e tutta la

famiglia di queste verdure – continua la Masala – hanno protetto circa 30 mila donne grazie alla loro ricchezza di antiossidanti che si concentrano sulle foglie». Nel caso delle verdure crude, si era aggiunto anche l’effetto salutare dell’olio di oliva extravergine con cui erano state condite. L’analisi delle abitudini alimentari “femminili” ha permesso di identificare una strategia per la prevenzione primaria del tumore della mammella. «Aumentando il consumo di tutte le verdure – dichiarano i ricercatori – diminuisce il rischio di sviluppare questa neoplasia». Nella “dieta rosa” non dovrebbero mai mancare almeno 200 grammi al giorno di verdure a foglia che, grazie al maggior senso di sazietà, contribuiscono a controllare meglio anche il peso. «L’obesità è infatti strettamente correlata al rischio di tumore dell’endometrio – continua la Masala – e della mammella in post menopausa poiché estrogeno-dipendenti». Sono efficaci, anche se in misura minore, le verdure a frutto come peperoni, melanzane, carciofi, fagiolini, sedano, zucchine e finocchi. Nessun effetto protettivo invece per il pomodoro cotto, nonostante sia ricco di licopene. «Ad annullarne l’efficacia – concludono i ricercatori – è con molta probabilità l’abbinamento con la pasta che induce un aumento della glicemia, fattore che fa aumentare il rischio di tumore al seno».

B9, per la mamma e il bambino L’acido folico è il nome più comune per indicare la vitamina B9; non viene prodotto dall’organismo e quindi deve essere necessariamente assunto con il cibo. Le uniche scorte che abbiamo sono quelle derivanti dalla sua produzione a opera della flora batterica intestinale. Diverse ricerche dimostrano che il fabbisogno quotidiano in condizioni normali è di circa 0,2 mg. Negli ultimi decenni, l’acido folico è stato riconosciuto come essenziale nella prevenzione delle malformazioni neonatali, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale. Durante la gravidanza, quindi, il fabbisogno di folato si raddoppia a 0,4 mg perché il feto utilizza le riserve materne. Anche se il suo ruolo non è conosciuto dettagliatamente, la vitamina B9 è essenziale per la sintesi del dna e delle proteine e per la formazione dell’emoglobina, ed è particolarmente importante per i tessuti che vanno incontro a processi di proliferazione e differenziazione, come, appunto, i tessuti embrionali. L’acido folico si trova in abbondanza in alcuni alimenti come le verdure a foglia verde (spinaci, broccoli, asparagi, lattuga), le arance (e il loro succo), i legumi, i cereali, frutta come limoni, kiwi e fragole, e nel fegato. Attenzione però al processo di cottura perché il calore distrugge la grande maggioranza di acido folico presente nei cibi!

Per saperne di più:

www.fondazioneveronesi.it

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IN COLLABORAZIONE CON LO CHEF CLAUDIO MENCONI

la centrifuga

lo chef claudio menconi presenta “ovetto”: la centrifuga

frutta e verdura centrifugata salute ritrovata


scienza e vita

di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

Se anche la capra finisce insaccata ... e non solo lei! Un po’ per esigenze religiose un po’ per ragioni commerciali, le carni ovine e caprine infatti sono ormai utilizzate di frequente per realizzare uno dei classici della gastronomia nazionale: la salsiccia. E se non li avete mai provati, scoprite con noi quali sono le caratteristiche di questi prodotti 18

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La salsiccia, insaccato della tradizione italiana, è un salame di origini antichissime, la cui produzione era quasi esclusivamente familiare, per autoconsumo o per il mercato locale. La preparazione prevede l’impiego di carne suina proveniente da animali di età compresa tra i 10 e i 12 mesi e del peso di 140-180 kg, con l’uso privilegiato dei tagli della coscia e della lonza. La presenza in Italia di una sempre più numerosa comunità di religione Musulmana (quasi 700 mila individui) o Ebraica (circa 36 mila), unitamente all’espansione dei mercati verso i Paesi a prevalenza delle due fedi, hanno orientato alcuni operatori verso la produzione di salumi di carne ovina o caprina proveniente da soggetti sacrificati ritualmente. Dell’argomento di occuperemo nel prossimo numero di questa rivista. Oggi chiediamo alla

professoressa Nicoletta Mangia, microbiologa presso l’Università di Sassari, alcune informazioni circa i salumi ottenuti da queste specie. Ci sono differenze fondamentali fra la preparazione di una salsiccia di suino e una di ovino o caprino? La tecnologia di trasformazione della salsiccia ovina o caprina non differisce molto da quella suina. È necessaria, comunque, maggior accuratezza nella preparazione della carne perché eventuali residui di tessuto connettivo e di grasso potrebbero conferire al prodotto finito un sapore sgradevole. Per i prodotti non halal o kosher, all’impasto talvolta viene aggiunto grasso suino, che in parte attenua l’aroma tipico di ovino o caprino. In sintesi, la carne è tagliata a piccoli cubetti (a punta di


coltello) e aggiunta di una quantità variabile di grasso, di sale (2,5-3%) e di spezie (pepe, aglio, in alcune zone anche semi di finocchio o anice). In alcuni casi viene impiegato l’aceto che, nei prodotti valutati qualitativamente migliori, viene sostituito dal vino bianco preferibilmente torbido e con fermentazione malolattica in atto, costituendo così l’unica aggiunta di batteri lattici naturali. Dopo l’insaccamento, in budello naturale, i singoli pezzi vengono chiusi e ripiegati a ferro di cavallo. La stagionatura inizia con l’asciugatura (tradizionalmente durante l’asciugatura la salsiccia viene sottoposta ad affumicatura naturale), segue l’essiccamento e la stagionatura vera e propria che si protrae per 18-20 giorni a una temperatura di 10-13°C e umidità relativa intorno all’80%. Il processo di fermentazione e di maturazione dei salami è sostenuto da diversi gruppi microbici, principalmente batteri lattici, micrococchi, stafilococchi, e, nella superficie esterna, da lieviti e muffe. Per ottenere salsicce più salubri e sicure dal punto di vista nutrizionale è preferibile un massiccio sviluppo di lieviti (Debaryomyces hansenii) in quanto le muffe producono micotossine.

La stagionatura della salsiccia ovina o caprina si protrae per 18-20 giorni a una temperatura di 10-13°C e umidità relativa intorno all’80%

E questa è la ricetta. Ma anche il territorio e la cultura dove si ottengono questi prodotti è importante? Certamente. Ad esempio, è fondamentale il mantenimento di alcune pratiche tecnologiche peculiari del territorio e della cultura agropastorale quali: a) La preparazione della salsiccia solo nei periodi più freddi dell’inverno, in quanto le basse temperature ostacolano lo sviluppo di microrganismi contaminanti, fecali e ambientali. b) Il taglio della carne a cubetti “a punta di coltello” e non macinata perché con la macinatura si ha una maggiore superficie esposta e maggior presenza di essudati/ liquidi, che aumenta la contaminazione e la proliferazione microbica, mentre il taglio a cubetti consente, nel prodotto finito, il mantenimento delle caratteristiche organolettiche e sensoriali. c) L’aggiunta di starter naturali, quali il già citato vino bianco preferibilmente torbido e con fermentazione malolattica in atto, che costituisce un’aggiunta di batteri lattici (innesto) quali Lactobacillus plantarum (lattobacillo mesofilo potenzialmente probiotico) il cui vigore metabolico gli consente di prendere immediatamente il sopravvento su ogni altro microrganismo (producendo metaboliti ad azione battericida) e di condurre rapidamente a termine la fermentazione portando il valore di pH ai livelli desiderati in breve tempo e fungendo così da bio-conservante.

Ha parlato di starter naturali. Che cosa sono? Gli starter sono il veicolo per i microorganismi che consentono la maturazione e la preservazione dei prodotti. Nello specifico, l’aggiunta degli starters naturali è fondamentale non solo per garantire salubrità e sicurezza igienico-sanitaria alle salsicce, ma anche per ottenere un alimento con la presenza di microrganismi potenzialmente probiotici che sembra una caratteristica costante dei prodotti di origine animale realizzati in modo tradizionale. Infatti, questi microrganismi costituiscono una componente naturale dell’ambiente e delle materie prime animali e vegetali che si evolvono in sintonia in un equilibrio dell’ecosistema vivente. Il microbiota lattico della salsiccia di pecora è costituito da Lactobacillus plantarum, lattobacillo mesofilo potenzialmente probiotico in quanto produttore di batteriocine attive contro microrganismi patogeni quali clostridi, listeria e stafilococchi coagulasi-positivi, e da Lactobacillus curvatus, anche esso mesofilo, in grado di ridurre il contenuto di amine biogene che rappresentano il grande problema nei salami.

Tra le principali caratteristiche degli insaccati di carne ovina e caprina, la loro preparazione esclusivamente invernale e il taglio a cubetti Per i prodotti non halal o kosher, all’impasto talvolta viene aggiunto grasso suino, in modo da attenuare quell’aroma tipico della carne di capra e pecora

d) La maturazione over-night dell’impasto aggiunto di sale poiché, quando la carne impiegata è di buona qualità, questa pratica consente lo sviluppo del microbiota lattico, assicurando così un buon processo fermentativo. e) L’impiegodibudellonaturaledopo che è stato sottoposto a ripetuti lavaggi con acqua, sale e aceto; f) L’affumicatura, pratica che rende uniche le caratteristiche organolettiche del prodotto.

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almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Si riparte, è primavera! Mutevole e repentino, imprevedibile e instabile, dominato com’è da un passaggio affascinante come l’equinozio del 21, marzo è il mese della rinascita e delle feste che anticamente celebravano l’avvio di un nuovo ciclo della natura. In una campagna al suo primo risveglio

Il Sole Il 1° sorge alle 06.35 e tramonta alle 17.50 L’11 sorge alle 06.19 e tramonta alle 18.02 Il 21 sorge alle 06.02 e tramonta alle 18.13

La Luna Il 1° tramonta alle 08.06 e sorge alle 22.10 L’11 sorge alle 05.43 e tramonta alle 17.57 Il 21 tramonta alle 02.17 e sorge alle 12.23 La Luna è al Perigeo mercoledì 6 alle ore 00 e domenica 31 alle ore 06. È all’Apogeo martedì 19 alle ore 04. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 4, 5, 8, 9, 31.

Da ricordare Domenica 31 marzo – Ora legale estiva Il tempo ci chiede attenzione: c’è un appuntamento da non dimenticare. Anche perché il rischio potrebbe essere quello di perdere l’occasione della vita per il semplice fatto di essere arrivati con un’ora di ritardo. Meno male che è domenica, e le possibilità di mancare qualcosa di importante si riducono. Tutt’al più si perderà un treno! Comunque, teniamo bene a mente che domenica 31, alle ore 02, le lancette dei nostri orologi dovranno essere spostate alle 03. Si dormirà un’ora di meno, ma avremo un’ora di luce in più. E sarà così fino al ripristino dell’ora solare, che tornerà domenica 27 ottobre.

Saggezza popolare • Luna marzolina fa crescere l’insalatina. • San Giuseppe (19 marzo) frittellaio, di frittelle ne fece un caldaio.

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Che i fiori “parlino” è risaputo. Noto è anche come molti vengano utilizzati in preparati per la salute e la bellezza. Tra questi pure le delicate primule che spuntano ai primi di marzo e che, grazie alle sostanze che contengono, favoriscono i processi metabolici, hanno una forte azione espettorante, agiscono sugli organi del sistema ritmico: cuore e polmoni. I loro fiori si potranno utilizzare per la preparazione di tisane contro emicranie e vertigini. Ma le primule sapranno rivelare tutta la loro efficacia anche nei trattamenti di bellezza. Si può ad esempio fare un bagno di vapore per la pulizia del viso aggiungendo due manciate di fiori freschi e un cucchiaino di bicarbonato a un litro di acqua bollente. Dopo aver tenuto il viso sopra al vapore per 5 minuti, si risciacquerà la pelle per poi applicare una crema leggera.

Orti e dintorni

Sole e Luna

Il 1° marzo si hanno 11 ore e 15 minuti di luce solare – mentre il 31 se ne hanno 12 e 41 minuti. Si guadagnano 86 minuti di luce solare.

Belli e sani

• Non c’è marzo così bello, senza neve sopra il cappello. • Marzo, re dei capricci, ogni giorno combina pasticci.

Con la primavera arriva il momento delle grandi manovre nell’orto e nel frutteto. Seguendo la Luna nell’orto, è tempo di seminare all’aperto, in calante (dal 1° al 10 e dal 28 al 31), indivie, lattughe, spinaci, bietole e carote, ma anche di impiantare le “zampe” di asparago. A fine Luna interrare i tuberi di patata. Attendere invece la Luna crescente (dal 12 al 26) per seminare zucchini e zucche, pomodori da conserva, peperoni e melanzane, e per sarchiare le fragole togliendo le infestanti. Se poi ci si occupa anche del giardino, la Luna calante ci assisterà nella messa a dimora degli arbusti da fiore, dei bulbi estivi e nel potare le siepi. Siamo alla ricerca di un bell’arbusto resistente e decorativo? Ecco il “pallon di maggio” o “palla di neve” che sta conquistando sempre più estimatori. Se ci affascinano infatti i giardini d’altri tempi, quelli dai fiori semplici e gentilmente profumati, allora il viburno fa per noi. Questa pianta, il cui nome scientifico è Viburnum opulus, si trapianta a marzo. Molto decorativo, raggiunge i quattro metri d’altezza e fiorisce generosamente ad aprile-maggio. Poco esigente, predilige posizioni soleggiate ma non teme le basse temperature. Si accontenta delle piogge, chiedendo qualche annaffiatura solo nei periodi particolarmente asciutti.



appuntamenti del mese

appuntamenti marzo

di Gilda Ciaruffoli

Io scopro il Bel Paese. E tu che FAI? 23-24 marzo Un grande spettacolo di arte e bellezza dedicato a tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio artistico e naturalistico italiano. È tutto questo, e molto di più, la Giornata FAI di Primavera. La manifestazione, al suo 21° compleanno, ha visto partecipare fin’ora 6.500 mila curiosi, coinvolti in visite a siti spesso inaccessibili ed eccezionalmente a disposizione del pubblico durante questo speciale weekend. Sono 700 le location visitabili quest’anno in 300 località sparse per tutte le Regioni italiane. Si tratta di aree archeologiche, percorsi naturalistici, borghi, giardini, chiese, musei, castelli che per due giorni sono a disposizione di chi desideri visitarli. Tra questi, il Castello di San Niceto a Motta San Giovanni (Rc), splendida fortificazione bizantina costruita nella prima metà dell’XI secolo sulla cima

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di un’altura rocciosa; e ancora, la “camera ottica” dell’Università a Gorizia dove vengono restaurate le pellicole di famosi film italiani e stranieri; o “Bondarte”, la piccolissima borgata Bonda di Mezzana Mortigliengo (Bi) dove, a partire dal 1954, i muri delle vecchie case hanno iniziato a ospitare affreschi e installazioni di numerosi artisti italiani. Tra le aperture straordinarie di quest’anno: l’enorme Archivio Storico del Banco di Napoli, nel capoluogo campano, e la Centrale Idrodinamica di Trieste, cuore dell’articolato sistema di edifici e impianti del Porto Vecchio, che alimentava il movimento degli apparati attraverso una fitta rete di tubazioni ad alta pressione. Circa il 40% dei beni aperti sono fruibili anche da persone con disabilità fisica.

Località varie – tutta Italia www.giornatafai.it

da vedere A Roma Nella capitale è possibile accedere alla Caserma dei Corazzieri del Quirinale, sede della guardia d’onore del Presidente della Repubblica, dove visitare gli ambienti in uso ai Corazzieri e il complesso archeologico che comprende un tratto delle antiche mura serviane nonché parte di un ninfeo neroniano. E ancora, Palazzo Spada, gioiello manierista oggi sede del Consiglio di Stato A Milano Da vedere il Deposito Locomotive e Officina F.S. Milano Smistamento, nato nel 1931 come scalo merci e impianto di ricovero e manutenzione delle locomotive, e Palazzo Serbelloni, uno dei primi palazzi patrizi costruiti in Corso Venezia, che ospitò, tra gli altri, Napoleone e Vittorio Emanuele II.


vatore a Susegana, di sommelier svizzeri che danno vita a un confronto stimolante; in loro onore, è in degustazione anche una selezione di vini ticinesi.

1-4 marzo

San Salvatore di Susegana (Tv) Veneto www.aisveneto.it

Un “capitale” tutto italiano

1-3 e 9-10 marzo

Torna Olio Capitale, l’unica fiera dedicata in esclusiva agli extravergine. Torna, ma cambia location, spostandosi nel centro di Trieste: sul molo della Stazione Marittima e nel prospiciente magazzino 42 sono protagonisti dell’evento produttori provenienti da tutta Italia.

A spasso per il Monferrato

Golosaria tra i castelli del Monferrato è il festival dedicato alle eccellenze gastronomiche e culturali ambientato in decine di castelli e nei paesi del Piemonte. Il primo weekend del mese, cuore dell’iniziativa è il Castello di Casale Monferrato; il successivo invece la provincia astigiana.

Trieste – Friuli-Venezia Giulia www.oliocapitale.it

Località varie, Piemonte www.golosaria.it

3-4 marzo Non solo Chianti

9-10 marzo

Sono oltre 600 le etichette in degustazione ai banchi di assaggio di Terre di Toscana, per fornire uno spaccato fedele sia dei territori più tradizionali come Chianti Classico, Montalcino, Montepulciano e San Gimignano, sia di quelli di fama più recente e ormai consolidata come Bolgheri e Maremma, sia di quelli emergenti come Montecucco, Val di Cornia, Cortona, Pisa, Lucca, Massa. Il contesto è quello dell’UNA Hotel Versilia, che ospita, oltre ai vignaioli, noti artigiani del gusto e chef protagonisti di showcooking.

To be or not to be?

Lido di Camaiore (Lu) – Toscana www.terreditoscana.info

9 marzo A tutto Veneto

Trecento vini di 100 produttori sono i protagonisti dell’evento Il Veneto al 300x100, in rappresentanza della migliore enologia della regione. Tra le novità di quest’anno la presenza, nella splendida location del Castello di San Sal-

A Castelvetro di Modena non ci sono dubbi: la scelta giusta è… To Be Lambrusco – Anteprima Vendemmia 2012, evento organizzato nello splendido Castello di Levizzano Rangone.Tra degustazioni, spettacoli di cucina e laboratori creativi, la manifestazione offre l’opportunità a tutti gli appassionati di Lambrusco di assaggiare quello prodotto nelle diverse denominazioni, da Modena a Reggio Emilia fino a Mantova e Parma.

Castelvetro di Modena (Mo) Emilia Romagna www.simposiodeilambruschi.it

9-11 marzo Assaggi di stile Nella suggestiva atmosfera della Stazione Leopolda, oltre 250 aziende si danno appuntamento per celebrare insieme le eccellenze dell’enogastronomia made in Italy in occasione di Taste, la manifestazioneevento che Pitti Immagine dedica al gusto, al lifestyle italiano e al design della tavola. Un originale percorso tra cibo, vino, tendenze e scuole di pensiero, attrezzature e tecniche professionali, food & kitchen design. Grazie allo spazio speciale del Taste Shop, i visitatori possono anche acquistare alcune delle eccellenze in mostra.

Firenze – Toscana

www.pittimmagine.com marzo 2013

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appuntamenti marzo

15-17 marzo Bibliofili di tutto il mondo, unitevi!

È un appuntamento con la letteratura e con la storia la fiera internazionale Libri Antichi e di Pregio organizzata a Milano presso il Palazzo dei Giureconsulti della Camera di Commercio dall’Alai, l’Associazione Librai Antiquari d’Italia. A darsi appuntamento decine di librai antiquari e bibliofili in arrivo da tutto il mondo con i loro libri miniati, con gli incunaboli, le cinquecentine fino ai moderni libri d’artista. Pagine cariche di simboli, annotazioni e miniature dai colori sgargianti e raffinati, che raccontano la storia del libro e della stampa dagli inizi fino alle creazioni più recenti. Da non perdere il 15 marzo alle 18.30 la Lectio Magistralis di Umberto Eco.

Milano – Lombardia www.palazzogiureconsulti.it - www.alai.it

16-18 marzo Made in Marche Festival

15-17 marzo Dieci anni di scelte consapevoli Fa’ la cosa giusta!, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, compie dieci anni e li festeggia proponendo centinaia di prodotti innovativi, servizi e attività per rendere la vita quotidiana più giusta e sostenibile per l’uomo, per l’ambiente… e per le nostre tasche. La manifestazione, organizzata nei saloni di fieramilanocity, prevede undici sezioni tematiche dedicate all’arredamento sostenibile, alla moda etica, al mondo dell’infanzia, al turismo consapevole, alla cosmesi naturale, all’associazionismo e al commercio equo e solidale, e una sezione speciale dedicata alla mobilità sostenibile ospitando anche Elettrocity: un’ampia superficie dedicata ai mezzi di trasporto elettrici tutti da provare sul circuito interno. Durante l’evento è possibile degustare le produzioni delle migliori realtà bio, a km zero, vegane e sostenibili italiane ed estere, e scoprirne così sapori, caratteristiche organolettiche e abbinamenti; la manifestazione è anche l’occasione per imparare a “fare da sé”, grazie a laboratori di pasta madre e di cake design “sostenibile”.

Milano – Lombardia

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Tipicità è la manifestazione che propone a foodies, slow-trotters e amanti del cosiddetto “turismo esperienziale” l’occasione di gustare, nello spazio di un weekend, tutto il bello e il buono di questa caleidoscopica regione. Ricchissimo il cartellone di iniziative che coinvolgono il visitatore in un affascinante viaggio del gusto: come Tipicità in blu – Le stagioni del pesce, e ancora Stoccafisso senza frontiere, e A tutto riso, ma anche banchi d’assaggio, presentazioni, degustazioni-talk show in compagnia di grandi chef e volti noti, e la possibilità di scoprire i tanti borghi segreti della verde regione.

Fermo – Marche www.tipicita.it



appuntamenti marzo

17-19 marzo

22-24 marzo

Venezia la dolce

Artigianale è meglio

“Cucinare con… Cucinare senza... Zucchero” è il tema della prossima edizione di Gusto in Scena attorno al quale si confronteranno i grandi nomi della cucina italiana protagonisti all’evento in programma presso la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista di Venezia. In programma anche un congresso di alta cucina, Chef in Concerto, I Magnifici Vini, banco d’assaggio con cantine italiane e internazionali, e Seduzioni di Gola, rassegna di sfizi gastronomici.

Accende otto candeline l’Italia Beer Festival, manifestazione itinerante dedicata alla promozione della birra artigianale e di qualità. Cuore dell’evento sono degustazioni, laboratori, spettacoli musicali ed eventi dedicati a diffondere la conoscenza del mondo birrario artigianale italiano. Oltre 200 i produttori presenti presso l’East End Studios – Studio 90 di Milano.

Milano – Lombardia www.degustatoribirra.it

Venezia – Veneto www.gustoinscena.it

23-24 marzo L’eleganza del peperone

Orto chic è la mostra-mercato dedicata all’orto in città e organizzata presso i quattrocenteschi Chiostri della Società Umanitaria. L’occasione è quella giusta per portare una nuova idea di verde nel cuore della Lombardia più industriosa, puntando il dito sugli aspetti più trendy e fashion della recente passione green metropolitana.

Milano – Lombardia www.ortochic.it

18-31 marzo

22-24 marzo

Ho visto i Sassi volare

A lezione di verde

I cieli della città lucana Patrimonio dell’Umanità Unesco si riempiono dei colori di 30 mongolfiere, in occasione della manifestazione I Sassi finalmente volano. Alla sua prima edizione, l’evento è all’insegna del turismo sostenibile: un festival internazionale con voli sopra i cieli della città, mostre, spettacoli musicali e teatrali e appuntamenti enogastronomici di alto livello con I Vicinati del gusto, realizzato in collaborazione con Slow Food, che porta gli ospiti alla scoperta dei piatti e dei prodotti tipici lucani.

Matera – Basilicata www.ilmiotg.it

Vita in Campagna è la fiera dedicata agli appassionati di orto, giardino, frutteto, vigneto e piccoli allevamenti, che offre loro centinaia di corsi gratuiti all’interno di una fattoria ricostruita ad hoc. In programma un caleidoscopio di iniziative che coniugano cultura contadina, conoscenza professionale, saperi e sapori del territorio italiano.

Montichiari (Bs) – Lombardia www.vitaincampagna.it

23-25 marzo Come natura vuole Gusto Nudo – Fiera dei Vignaioli Eretici è la manifestazione dedicata ai vini naturali che raccoglie 150 aziende vinicole provenienti da tutta Italia. Organizzate per l’occasione anche presentazioni di libri e degustazioni che coinvolgono le realtà cittadine più attive sul fronte della proposta enogastronomica di qualità.

Bologna – Emilia-Romagna www.gustonudo.net

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2-3 e 9-10 marzo Festa delle cape Assaggi di vongole e specialità ittiche. Lignano Sabbiadoro (Ud) Friuli-Venezia Giulia - www.festadellecape.it

appuntamenti in breve

28-31 marzo Colori e sapori di Primavera Quinto di Treviso (Tv) - Veneto - www.fioridinverno.tv

23-24 marzo Eurochocolate a Gardaland Giochi e animazioni legati al mondo del cioccolato. Castelnuovo del Garda (Vr) - Veneto - www.gardaland.it

1-3 marzo Ciccioli in piasa San Martino in Rio (Re) Emilia-Romagna www.prolocosanmartino.blogspot.it

10 marzo

 Sagra del polentone
 Retorbido (Pv) - Lombardia www.comune.retorbido.pv.it

15-17 marzo Children’s Tour Salone delle vacanze dagli 0 ai 14 anni. Modena – Emilia-Romagna www.childrenstour.it

10 marzo

 Sagra del neccio
 Per scoprire la tipica frittatina con farina di castagne e acqua. Pescia (Pt) - Toscana - www.comune.pescia.pt.it

1-3 marzo Bottiglie aperte Milano wine show Milano - Lombardia www.bottiglieaperte.it

19 marzo Sagra delle scurpelle Assaggi della specialità locale simile alle zeppole ma salata. Fossalto (Cb) Molise www.comune.fossalto.cb.it

1-3 marzo Bicifi – florence Bike Festival Firenze - Toscana www.bicifi.it

1-3 marzo
 Sagra della salsiccia al coriandolo
 Monte San Biagio (Lt) - Lazio
 www.comunedimontesanbiagio.it

Anteprima del Montepulciano d’Abruzzo Chieti – Abruzzo www.anteprimamonte pulcianodabruzzo.it

10 marzo Sagra del carciofo Uri (Ss) - Sardegna www.comune.uri.ss.it

1 marzo – 22 aprile Ponte dei sapori Tre fine settimana all’insegna del gusto in tre comuni diversi. Località varie (Pr) Emilia-Romagna www.pontedeisapori.it

2-3 marzo

3 marzo Giornata delle ferrovie dimenticate Località varie – tutta Italia www.ferroviedimenticate.it

19 marzo Grandiosa Fanova di San Giuseppe Falò e tipicità gastronomiche in occasione del Santo festeggiato in tutta Italia. Santeramo in Colle (Ba) Puglia www.comune. santeramo.ba.it

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Panorama Panorama foto di Alessandro Vannicelli

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30 Cover story

44 Personaggi: Paolo De Castro

Tra Dop, Igp e Stg, i prodotti italiani tutelati dall’Ue aumentano ogni anno di più,

andando a costituire un formidabile paniere di eccellenze agroalimentari.

A questi numeri

48 Il maestro Iginio Massari

non corrisponde però un proporzionale incremento delle vendite. Perché? Perchè i consumatori, del

“pianeta Dop”,

sanno ancora poco e il sistema, come vedremo, ha molte pecche.

A lezione di agricoltura dal presidente (italiano) dell’apposita Commissione Ue Il più grande pasticciere italiano ci apre le porte del suo tempio gastronomico a Brescia

54 Gianfranco Vissani

L’antesignano degli chef in tv si acconta alle inviate del gusto r Elisa Isoardi e Paola Gula

56 Ospitalità italiana: Barcellona

da pag. 40 Rubriche

• Scenari alimentari • Lo studio • Chef italiani nel mondo

Pizzoccheri, trippa e ‘nduja nella città delle Ramblas? Sì, se mangiate da “Massimo”

50 Consumi: torna la schiscetta

La crisi morde e la gente si adegua: in ufficio il pranzo da casa non è più un tabù!

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Dop e Igp, queste sconosciute cover story

Un’Italia da mille e una Dop 30

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Se entriamo in google maps e clicchiamo a caso su un lembo del nostro Paese, possiamo star certi che nel raggio di pochi chilometri troveremo un monumento di struggente bellezza, un ristorante o una trattoria dove si mangia bene. E almeno un prodotto agroalimentare a denominazione o indicazione di origine. Lo Stivale vanta, infatti, il record di prodotti protetti dal marchio europeo di tutela. Un vero e proprio “panorama del gusto”, in linea con la diversità e la bellezza del paesaggio italiano di Francesco Condoluci

Con ben 246 prodotti Dop, Igp e Stg iscritti nel registro europeo (9 soltanto nell’anno 2012) l’Italia conferma saldamente la sua leadership internazionale (“scippata” alla Francia nel 2003) nel mondo dei prodotti agroalimentari con marchio di tutela. Un primato che – alla stregua del record di beni culturali eletti patrimoni Unesco – conferma la straordinaria vocazione del Bel Paese per l’eccellenza, in questo caso enogastronomica, e che rafforza ulteriormente, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la convinzione secondo cui il “food and wine” rappresenta a tutt’oggi l’asset (potenzialmente) più vincente dell’intera economia tricolore. Scorrere l’elenco delle Dop-Igp nazionali, dalla “A” dell’Abbacchio romano alla “Z” dello Zampone di Modena (lo potete consultare sul sito www.politicheagricole.it), è come intraprendere un suggestivo viaggio virtuale nell’Italia del gusto, da quella più nota e più sviscerata dei classici “dell’Italian style in cucina” come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano o la Mozzarella di Bufala, a quella più nascosta e caratteristica della Tinca dalla Gobba Dorata del Pianalto di Poirino (una pregiata specie di pesce che nuota nei laghetti naturali della zona del Torinese) o della Vastedda, un formaggio tipico siciliano della Valle del Belice. Anche se in numero e importanza diversi, tutte le regioni italiane sono rappresentate in questo speciale albo europeo delle tipicità protette dalla legge che, a detta degli esperti, è “il modello più riuscito al mondo” per valorizzazione del prodotto e capacità di tutela rispetto alle frodi alimentari. In effetti, dal 1992, anno della sua istituzione, il sistema di protezione delle Dop-Igp è andato via via assumendo sempre più importanza, fino ad annoverare, ad oggi, oltre mille prodotti iscritti tra Europa e Paesi terzi (la cui inclusione è stata voluta con la riforma legislativa del 2006). Il meccanismo delle denominazioni protette e delle indicazioni geografiche è abbastanza semplice: all’albo europeo possono essere iscritti tutti quei prodotti tipici (in realtà non soltanto agroalimentari, come vedremo) che vantano un particolare legame storico-culturale con la zona geografica di origine e determina-

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Dop e Igp, queste sconosciute cover story

Tutto un mondo di qualità di Elena Conti A livello europeo, nel 2012 il numero totale dei prodotti agroalimentari registrati ha toccato quota 1137. I Paesi dell’Europa Centro-Orientale hanno confermato il loro crescente interesse verso il sistema di certificazione europeo, con i nuovi prodotti registrati per Slovenia, Polonia, Lituania e Ungheria. Invece le registrazioni che interessano Paesi extra-Ue, sono in tutto 13. Tra queste, nel 2012 il primo prodotto riconosciuto per il Vietnam, la salsa di pesce Phú Quô’c Dop, e altri 4 nuovi prodotti per la Cina, che rimane il paese extraUe con il maggior numero di registrazioni. Dal 1992 il mondo delle indicazioni geografiche ha preso progressivamente forma e consistenza fino ad assorbire, nel 2010, anche tutte le denominazioni vitivinicole europee. In questa immagine, le piante di Agave dalle quali si ricava la Tequila Igp messicana. Nella pagina successiva, la lavorazione del Café de Colombia Igp

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te caratteristiche di pregevolezza. L’iscrizione al registro Ue delle Dop-Igp porta in dote alle varie tipicità la possibilità di fregiarsi del logo sulle etichette e di dotarsi dunque di uno strumento importantissimo di identificazione sul mercato e di difesa dalle contraffazioni. L’iter di assegnazione del marchio di tutela, tuttavia non è semplice e non è esente da criticità, ma soprattutto l’intero sistema, malgrado i risultati eccellenti ottenuti (da molti prodotti) dal punto di vista dei fatturati aziendali e della funzione anti-frode, risulta ancora poco conosciuto, o meglio “riconoscibile”, dai consumer. Insomma, per Dop e Igp non ci sono solo luci, ma anche ombre. Doveroso, dunque, gettare uno sguardo su questo mondo per coglierne tutte le sfaccettature e avere così un quadro più chiaro.

Le curiosità Per molti consumatori del settore agroalimentare, gli acronimi Dop, Igp e Stg – come evidenziato da uno studio della Commissione europea – sono associati soprattutto a salumi, oli, formaggi e ortofrutticoli, ma scorrendo il registro europeo si trovano davvero molte curiosità. Il Belgio ha registrato ad esempio una pianta ornamentale, il Gente Azalea Igp, mentre la Francia vanta un fieno tanto buono da meritare la Dop, che in Francia è chiamata Appelletion d’Origine Contrôlée. Venduto in piccole confezioni (che vanno da 4 etti fino a 1,5 kg) al prezzo di 8 euro al chilo, il fieno francese gode dell’Aoc addirittura dal 1999 e viene prodotto nel sud della Francia,


Sono 9 i prodotti italiani che hanno ottenuto la registrazione nel 2012: la carne fresca Cinta Senese Dop; i formaggi Squacquerone di Romagna Dop e Nostrano Valtrompia Dop; l’olio extravergine di oliva Vulture Dop; gli ortofrutticoli Ciliegia di Vignola Igp, Uva di Puglia Igp, Susina di Dro Dop e Limone di Rocca Imperiale Igp, infine il Sale marino di Trapani Igp, nella categoria “altri prodotti”

Perché le parole sono importanti Per Denominazione d’Origine Protetta (Dop) si intende un prodotto proveniente da un’area geografica delimitata ed è fondamentale che produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area stessa. L’Indicazione Geografica Protetta (Igp) serve invece a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di una determinata zona e produzione, trasformazione o elaborazione devono avvenire nell’area stessa.

nella zona denominata Piana della Crau, tra Marsiglia e Avignone. Per vedere i prezzi basta visitare il ww.moulindelalevade.com, dove a base di questo fieno viene proposto anche un gelato e addirittura un vino. Il Foin de Crau (unico alimento per animale a potersi fregiare di questo titolo) ha la Dop esattamente come un vino di Bordeaux o un Camembert, nella convinzione che dando buon fieno alle vacche si ottenga un latte straordinario per formaggi unici. Per i Paesi extra-Ue sono iscritti invece nel registro europeo prodotti come la Tequila Igp messicana, il pregiatissimo olio di

Argan Igp del Marocco, richiesto soprattutto per usi cosmetici, gli Spaghetti cinesi, il Riso Basmati o il Café de Colombia Igp. E del resto anche l’Italia ha registrato il Bergamotto di Calabria Dop, frutto di una pianta che cresce quasi solo in Italia, che è prevalentemente usato e richiesto per la produzione di profumi di altissima qualità, come fissatore delle diverse essenze. Per saperne di più: www.politicheagricole.it www.ismea.it ww.moulindelalevade.com www.csqa.it

La differenza fondamentale tra un prodotto Dop e uno a marchio Igp è che per il primo, tutte le fasi devono avvenire nella stessa zona geografica mentre per il secondo è sufficiente che almeno una delle fasi avvenga nell’area stessa. Per Specialità Tradizionali Garantite (Stg) si intendono quei prodotti agroalimentari, non legati nello specifico a un territorio, ma che si caratterizzano per il metodo di produzione tipico tradizionale. Un esempio classico è la mozzarella, che ha ottenuto il riconoscimento Stg non per il legame con un territorio ma per le caratteristiche tradizionali del prodotto e così anche la Pizza Napoletana Stg. Dal 2010 le denominazioni vinicole conosciute come Doc e Docg si sono trasformate in Dop, mentre la Igt è cambiata in Igp. Le denominazioni storiche possono mantenere, per alcuni anni, anche il precedente acronimo, ma nelle nuove etichette dev’essere indicata anche la nuova sigla (le registrazioni più recenti, invece, hanno solo la denominazione Dop o Igp).

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Dop e Igp, queste sconosciute cover story

La case history: il Prosciutto Amatriciano di Rieti di Elena Conti

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L’Italia è il Paese che ha il maggior numero di prosciutti certificati: una vera eccellenza tricolore. In questo gotha del gusto, ultima registrazione arrivata è l’Igp del Prosciutto Amatriciano, prodotto sin dall’antichità nella zona di Amatrice, in provincia di Rieti, e in tutto il territorio della conca amatriciana. «L’aver ottenuto l’Igp ci ha permesso una crescita notevole – racconta Stefano Canonico responsabile marketing dell’azienda Sano, la sola che attualmente produce Prosciutto Amatriciano Igp – e ci permette di attraversare un periodo di crisi con un minimo di novità sul mercato. Noi vorremmo coinvolgere altri, il comitato promotore era composto da otto produttori, ma alla fine solo noi ci siamo iscritti al piano dei controlli. La nostra azienda è grande, produce 130 mila prosciutti l’anno, le altre sono aziende medie o artigianali. Nel 2011, ottenuta l’Igp, abbiamo marchiato 13.654 prosciutti, nel 2012 sono di-

ventati 19.079. Solo nel mese di gennaio 2013 abbiamo prodotto 2.692 prosciutti Igp, e prevediamo di arrivare a 30 mila nel corso dell’anno. Siamo entusiasti dell’Igp; il nostro prosciutto è presente nella grande distribuzione, oggi molto attenta ai prodotti a marchio europeo, ma siamo presenti anche nelle norcinerie di prestigio». Il Prosciutto Amatriciano Igp è stagionato almeno 12 mesi e vive due fasi di salagione, la prima con fregatura manuale con sale marino, la seconda detta ripasso; poi tolettatura e sugnatura con strutto sugna, sale marino, pepe bianco e nero o aglio, crema di riso e farina di cereali. È riconoscibile per la rifilatura (asportazione del grasso e della cotenna) per tradizione eseguita particolarmente alta sulla coscia fresca, che gli conferisce la caratteristica forma a pera. Tale operazione, che distingue questo prodotto dagli altri prosciutti stagionati, si affida alla secolare esperienza dei produttori locali.


Marchi di tutela: molta gloria, poco business di Francesco Condoluci

Un primato numerico, il nostro, che ancora non riesce a tradursi in un corrispondente e proporzionale sviluppo dei volumi di vendita. L’Italia delle 246 Dop-Igp-Stg (come del resto, tutta l’Europa) è una medaglia a due facce. Malgrado il numero crescente dei prodotti tutelati – nel 2000 erano 101 – e il proliferare pressoché giornaliero di iniziative volte al riconoscimento di nuove denominazioni di origine (solo la Regione Puglia ha annunciato la registrazione, entro i prossimi due anni, di 5 nuovi prodotti nell’albo Ue) l’effetto-marchio di tutela, alla prova del mercato, resta un affare per pochi. Ovvero, i soliti noti: Parmigiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma, San Daniele e Gorgonzola. Sono questi a fare la parte del leone nei fat-

turati, lasciando agli altri le briciole. L’exploit del Prosciutto Amatriciano purtroppo è un caso sporadico. L’analisi degli effetti economici delle Dop-Igp, del resto, è molto complessa, perché il lato dei benefici ottenibili è strettamente collegato ai costi da sostenere, che non sono pochi (ci sono quelli preliminari legati alle procedure di registrazione, quelli diretti e indiretti connessi alla produzione e quelli infine collaterali gravanti sulle iniziative di animazione del marchio di tutela) e che inevitabilmente finiscono per ripercuotersi sui prezzi di mercato. Secondo quanto sostengono le stesse imprese, e in particolare, quelle medio-piccole, il feedback più immediato del sistema Dop-Igp-Stg, alla fine, è la difesa dalla concorrenza sleale, cioè il cosiddetto “effetto di ripulitura dal mercato” , anche se la contraffazione dall’estero (quella dei Parmesan, del Regianito, del Prisecco e di tutti i prodotti italian sounding, tanto per intenderci) continua ugualmente a erodere ogni anno milioni di euro al made in Italy. E ancor meno efficace, sempre a detta delle aziende, risulta la presenza del logo Ue e della menzione DopIgp in etichetta. Il perché è molto semplice: il grado di conoscenza dei consumatori rispetto al significato delle denominazioni e indicazioni d’origine è ancora troppo basso, in tutta Europa. Ecco perché ad avvantaggiarsi dei prodotti tutelati finiscono per essere, di fatto, soltanto le realtà di grandi dimensioni e maggiormente attrezzate a penetrare i canali commerciali con strategie di brand awareness sui loro prodotti. Sullo sfondo, restano invece le troppe Dop-Igp non “sfruttate” adeguatamente e mai capaci di superare i confini regionali e che meriterebbero – alla luce delle risorse che drenano dai bilanci degli enti pubblici – una revoca ex lege dopo un certo numero di anni. Ciò che più urge tuttavia è una campagna divulgativa capillare, incentrata sulla “riconoscibilità” dei prodotti, presso il grande pubblico. Il Pacchetto Qualità ha riempito molte lacune, ma di nodi da affrontare, va da sè, ne restano ancora tanti. marzo 2013

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Dop e Igp, queste sconosciute cover story

Pacchetto Qualità:

l’ultima riforma voluta dall’Ue A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma

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Il Pacchetto Qualità, entrato in vigore a fine 2012, rappresenta un’evoluzione di quell’insieme di norme stabilite a Bruxelles volte a tutelare e valorizzare i prodotti Dop, Igp e Stg. Una riforma attuata per rispondere sia alle esigenze dei produttori alla ricerca di una redditività sostenibile, sia dei consumatori bisognosi di maggiori informazioni e garanzie sulla provenienza dei prodotti. Oggi ci troviamo di fronte a un paniere europeo di Dop, Igp e Stg il cui valore alla produzione è di circa 15 miliardi di euro ma che, se convertito in analogo valore al consumo (21 miliardi), risulta pari ad appena il 2% di tutti i consumi alimentari dell’Unione Europea. Un aggregato quindi molto frammentato, ma al cui interno figurano alcune delle eccellenze alimentari italiane: dal

Parmigiano Reggiano al Prosciutto di Parma, al Lardo di Colonnata... Un paniere – quello italiano – che non solo contribuisce al rafforzamento dell’immagine di cui gode il made in Italy nel mondo, fungendo spesso da traino anche alle produzioni non tutelate, ma che implica l’attivazione di rilevanti filiere produttive: basti infatti pensare che i formaggi e le carni preparate a marchio Dop e Igp rappresentano la destinazione di quasi la metà della produzione nazionale di latte e di poco meno del 70% dei capi suini macellati in Italia. Ma cosa manca a questi prodotti per diventare veri motori dello sviluppo agroalimentare italiano? Innanzitutto una maggior conoscenza da parte dei consumatori dei loghi Dop e Igp e di quello che ci sta dietro, in termini di qualità, processi produttivi e controlli. Insomma, la consapevolezza che i prodotti Dop e Igp costano di più perché effettivamente valgono di più. Purtroppo questa cognizione non è ancora diffusa, dato che in Italia solo un consumatore su tre dichiara di riconoscere tali loghi (ma la media in Europa è ancora più bassa, pari al 14%). E questo porta a un basso consumo di tali produzioni – salvo di quelle più famose – che rischiano così di rimanere prelibatezze gastronomiche a beneficio di pochi e di non attivare un circolo virtuoso di crescita economica per le imprese. Accanto a questa problematica, paradossalmente, esiste quella delle imitazioni e contraffazioni di quelle poche Dop-Igp che invece sono famose nel mondo. Talmente note da spingere produttori disonesti a copiare le denominazioni registrate e a commercializzare prodotti che spesso non assomigliano neanche da lontano alle Dop originali. Rispetto a questi ultimi problemi, il Pacchetto Qualità, oltre a semplificare la struttura normativa e le procedure per la registrazione delle denominazioni, introduce l’obbligo (la cosiddetta “tutela ex officio”) per i singoli Stati membri di adottare d’ufficio le misure necessarie alla tutela delle indicazioni geografiche attraverso la designazione di autorità delegate a tale compito. In questo modo, contrariamente a quanto avveniva fino all’anno scorso, non deve essere più la parte lesa ad attivarsi


Mauro Rosati: «Adesso si agisca sui controlli» di Elena Conti

per avviare il processo di protezione su un prodotto riconosciuto a livello comunitario (risparmiando così tempi e costi non indifferenti). In soldoni: se in Germania circola un falso Grana Padano prodotto in loco, è lo stesso governo tedesco a dover perseguire i trasgressori e non quello italiano. Le ulteriori modifiche introdotte riguardano anche il permesso di utilizzare in etichetta rappresentazioni grafiche o simboli della zona d’origine nonché l’utilizzo di marchi collettivi geografici (marchi d’area) insieme alle Dop-Igp: tutto ciò al fine di rendere più chiaro e attrattivo l’acquisto dei prodotti a denominazione di origine. In ultimo vale la pena segnalare come il Pacchetto Qualità abbia previsto una nuova indicazione facoltativa, quella del “prodotto di montagna” che può essere utilizzata esclusivamente per indicare un prodotto ottenuto con materia prima o mangimi per animali provenienti essenzialmente da aree, appunto, di montagna. Il tutto nella speranza che una migliore e completa informazione permetta un maggior apprezzamento da parte dei consumatori verso questi prodotti di qualità.

«Il sistema delle Dop-Igp è l’unico a livello internazionale che da oltre 20 anni si occupa delle produzioni agricole del territorio con una visione ampia, europea e non localistica». Lo afferma Mauro Rosati, esperto del settore, giornalista e scrittore di libri sul food, da 10 anni alla guida della Fondazione Qualivita, che si occupa di tutela e valorizzazione dei prodotti agroalimentari Dop-Igp italiani ed europei. «Questo sistema ha sempre considerato le produzioni di qualità non un accessorio dell’agricoltura – continua Rosati – ma uno dei tanti elementi fondamentali del sistema economico europeo. Tutti parlano della qualità, ma solo il sistema Dop-Igp ha conferito spessore e dignità a questo tema. Dal 1992 c’è stata una forte evoluzione nei confronti della qualità agroalimentare, non solo nei territori, come Italia, Francia e Spagna, che avevano creduto fin dalla prima ora nel sistema Dop-Igp, ma anche in quelle nazioni che inizialmente non ci vedevano nessun interesse, come i Paesi del Nord e dell’Est Europa. Il vero aspetto positivo è aver creato una politica strategica comune al di là delle iniziative locali polverizzate». Secondo Rosati questo sistema, nato per tutelare i prodotti, è diventato negli anni molto più complesso arrivando a coinvolgere l’intero sviluppo rurale, quindi è stato necessario “aggiustare il tiro” sull’impostazione iniziale del regolamento. «Il Pacchetto Qualità – sintetizza Rosati – oggi guarda ai volumi produttivi, mentre prima il sistema tutelava solo i nomi. Nel 2006 c’è stata l’apertura anche ai Paesi terzi, che ha reso il sistema più complesso, e sono arrivate le registrazioni anche per i prodotti dei Paesi extra Ue. L’aspetto critico di tutto questo è che il sistema mette insieme sensibilità diverse nelle varie realtà e che il piano dei controlli non è uniforme ma è affidato ai singoli Ministeri dell’Agricoltura, che possono dare indicazioni diverse nei confronti del controllo che è invece un aspetto centrale e determinante del sistema». marzo 2013

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Dop e Igp, queste sconosciute cover story

Dop italiane: top & flop di Riccardo Lagorio Copia conforme, film girato in Toscana dal regista Abbas Kiarostami, esamina quanto sia rischioso accomunare e confondere l’originale e il falso. Qualcosa di simile accade nel mondo del cibo. Cosa ci fa propendere per l’acquisto di un formaggio, di un salume, di un olio di oliva determinati come tipici? Non le caratteristiche fisiche, chimiche o microbiologiche, spesso poco misurabili o comparabili, così come le condizioni ottimali di temperatura e umidità, ormai riproducibili attraverso mezzi meccanici. In realtà, quello che ci fa propendere per un determinato prodotto tipico sono non tanto le qualità materiali quanto le caratteristiche “immateriali”. Conta insomma l’esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova quel prodotto: i fattori umani (la storia, la tradizione) e la loro combinazione con quelli naturali (il terreno, il clima, l’altitudine). Ingredienti che sono alla base della strategia di tutela e valorizzazione che contraddistingue (o dovrebbe farlo) i prodotti tipici riconosciuti dall’Ue. Per capire meglio il sistema, con i suoi pro e i suoi contro, vediamo insieme due intressanti esempi. Tra i prodotti più contraffatti all’estero, il pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino, con l’inserimento nella gamma delle Dop si è visto giustamente tutelato in quelle caratteristiche immateriali a cui si faceva cenno più sopra. Guglielmo Annunziata, responsabile vendite della cooperativa di produttori Agrigenus, lo conferma: «Stiamo ottenendo benefici apprezzabili soprattutto ora: la crisi ha risvegliato l’interesse nei consumatori nel conoscere più a fondo le caratteristiche del prodotto. Ma so38

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Nonostante i 246 riconoscimenti Ue, sono le prime 5 Dop italiane (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele e Gorgonzola) a realizzare oltre l’80% del fatturato del settore. Alle altre 241 non restano che le briciole prattutto la Dop ci ha aiutato a porre freno alla contraffazione, almeno in Europa. Il pomodoro San Marzano è tra quelli più imitati e stiamo cercando di registrare il nome anche negli Stati Uniti, dove siamo assai apprezzati dalla comunità italiana, ma non solo…». Le particolarità salienti dei pomodori San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino sono legate al tipo di coltura, che prevede la crescita delle piantine avvinte ai pali di castagno, con raccolta dal basso verso l’alto tra giugno e settembre, e alla varietà dalla forma allungata. Il sapore, intenso e dall’acidità pressoché inesistente, la polpa soda, ricca di succo, e il deciso colore rosso sono caratteristiche che fanno la differenza. «E sono apprezzate all’estero. L’80% della nostra produzione esce dall’Italia e il consumatore ci riconosce un prezzo almeno doppio ai comuni pomodori in scatola» osserva ancora Annunziata. Di parere totalmente opposto sull’opportunità di avere istituito una Dop sul proprio territorio è invece Paolo Ciapparelli, responsabile del Consorzio per la Salvaguardia del Bitto Storico. «I problemi sono nati lo stesso giorno di istituzione della Dop. Il Bitto è un formaggio storicamente prodotto sulle Alpi Orobiche, con una modesta percentuale di latte di capra di razza Orobica aggiunta al latte di vacca. La Dop ha creato un’area di produzione totalmente diversa da quella storica, stravolgendo non solo le modalità produttive ma anche le condizioni di origine della materia prima: accettando ad esempio di crescere gli animali con mangimi e utilizzando fermenti per la preparazione del formaggio, addirittura accettando bovine di razze molto più produttive di latte negli al-

levamenti. La Dop in questo caso è finita per essere gestita da chi vuole fare grandi numeri». Prima dell’introduzione della Dop, il Bitto godeva di grande reputazione e spuntava un ottimo prezzo sul mercato. Come vicenda, quella del formaggio Bitto non si differenzia molto da quella di altri formaggi di monte, conformatisi a produzioni standardizzate di fondovalle o di pianura. «Ma nessuno si aspettava la nostra resistenza casearia, necessaria per fare valere le ragioni della storia e non del marchio» incalza Ciapparelli. In un mondo che ci ha insegnato che l’etichetta è sinonimo di garanzia, l’esperienza del Bitto ci stimola ad andare oltre un’acritica lettura del marchio, ci riporta a riflessioni più puntuali sulle origini della creazione dell’istituto delle denominazioni di origine europee, nate per originare uno strumento in grado di tutelare contenuti sociali (come la difesa di antichi mestieri), paesaggistici e ambientali (come la tutela della biodiversità) o la sinergia con altri settori (turismo e artigianato). Lungi dall’avere colto appieno in ogni occasione questi propositi condivisibili, i marchi comunitari vanno valutati sotto una lente d’ingrandimento in grado di individuare costi e benefici dell’immettere sul mercato anche copie conformi all’originale, ma divergenti per natura dai presupposti di cui l’originale era provvisto. La millenaria storia artigianale e multiforme del comparto alimentare italiano viene così mortificata dall’invadente presenza dell’industria, che oltre ad avere come (legittimo) obiettivo la riproducibilità su grande scala dei cibi richiede nel contempo l’imbarazzante opportunità di vantare per essi una Dop o un’Igp. marzo 2013

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scenari alimentari

A cura dell’Osservatorio Agroalimentare Nomisma

È Dop o nostrano il “vero” italiano? Al momento dell’acquisto, l’origine nazionale sembra essere il principale fattore discriminante nella scelta del prosciutto. Un parametro ottimo, non fosse per l’ambiguità alla quale potrebbe dare luogo a causa di indicazioni ingannevoli dietro le quali potrebbero nascondersi prodotti derivati da cosce importate dall’estero

Per saperne di più:

agroalimentare@nomisma.it www.nomisma.it

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Ogni anno in Italia vengono certificati circa 12,5 milioni di prosciutti a marchio Dop pari a circa il 40% di tutti i prosciutti prodotti nel nostro paese. La quasi totalità di questi prodotti a marchio comunitario riguarda i prosciutti di Parma e di San Daniele, la cui produzione è appunto regolamentata da un disciplinare che richiede l’utilizzo esclusivo di suini nati, cresciuti e allevati in Italia. Si tratta del cosiddetto “suino pesante italiano”, così chiamato in virtù del fatto che la macellazione avviene non prima del raggiungimento di 160-180 kg, a differenza dei suini “leggeri” (allevati in tutta Europa e in particolare nei paesi del Nord) che invece vengono macellati tra i 100 e i 120 kg. Chiaramente, la differenza di peso, oltre a conferire quella qualità e distintività organolettica che differenzia i nostri prosciutti da tutti gli altri, si configura come un costo aggiuntivo che gli allevatori italiani devono sostenere rispetto ai concorrenti europei. Nel corso dell’ultimo decennio, i consumi in Italia di carne suina e salumi sono sostanzialmente cresciuti, registrando incrementi medi pro-capite di circa l’1% annuo. Questi aumenti non hanno interessato solamente i prosciutti Dop, ma si sono rivolti anche a prodotti non marchiati. Basti infatti pensare che negli ultimi dieci anni le importazioni di cosce suine estere (che poi vengono utilizzate per produrre prosciutti) è cresciuto in quantità di circa il 17%, arrivando nel 2011 a superare le 615 mila tonnellate

(il livello più alto dal 1991, quanto le importazioni erano pari a circa 350 mila tonnellate). Certo, anche la crisi ci ha messo del suo per portare a questa situazione, dato che è normale in un contesto di calo dei redditi rivedere i propri panieri di spesa, spostando il sistema delle preferenze verso prodotti più economici, come nel caso dei prosciutti non Dop. Ma la questione va oltre il problema economico. Sempre più spesso nel banco salumi dei negozi al dettaglio e delle catene distributive fanno infatti la comparsa prosciutti non a marchio Dop che però richiamano, nel nome, all’italianità del prodotto. Un’indagine svolta da Nomisma nel 2012 su un campione di 800 famiglie italiane ha evidenziato come il 18,3% acquisti soprattutto prosciutti non Dop, venduti genericamente con la dizione “nostrano” o “di montagna”. Tale preferenza sembra soprattutto discendere dall’importanza attribuita dai consumatori all’origine italiana, tanto che l’86,5% dei nostri connazionali quando vede o acquista un prodotto con la denominazione “nostrano” pensa, a causa dell’evocazione ingannevole del nome, che si tratti di un prosciutto crudo di produzione regionale (21%) o comunque italiana (65,5%). Il che non è detto che non sia vero, ma mentre per i prosciutti Dop questo legame è controllato e certificato, su quelli “nostrani” non esiste nessuna garanzia in merito alla provenienza delle cosce suine utilizzate.


ALBERTO SARDELLI Grafica e Stampa

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lostudio In relazione ai “prodotti tipici” più noti: quali sono gli errori più comuni che compiono gli italiani? Murazzano – lo conosce solo il 23% degli italiani, per gli altri invece è: Un muro fatto male

34%

Un termine dialettale che indica il mestiere del muratore

22%

Un pesce d’acqua dolce Altro

9% 12%

Tinca Gobba Dorata – solo il 19% sa di cosa si tratta, per gli altri è:

Tipico sì ma... sconosciuto! Made in Italy: anche se 6 italiani su 10 sono conquistati dai prodotti Dop, 1 su 2 ammette la sua ignoranza in materia Sono ben 6 gli italiani su 10 che, quando fanno la spesa, scelgono prodotti Dop/Igp. Nella patria della Dieta Mediterranea, però, si commettono ancora errori madornali riguardo alle specialità nazionali. Chi sono i meno “preparati” in fatto di prodotti tipici? Alle donne, con il 52%, spetta l’Oscar dell’ignoranza (soprattutto le più giovani, tra i 18 e i 25, e le casalinghe). Meglio gli uomini, ignoranti “solo” nel 38% dei casi. L’errore principale degli italiani? Essere convinti di poter scegliere da soli, senza documentarsi consultando guide, o riviste. È quanto emerge da uno studio promosso dal nostro giornale e condotto tramite interviste web a oltre 1.300 italiani, uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 55 anni, per rilevare qual è il loro grado di preparazione sui prodotti italiani Dop e Igp, quali conoscono e per quali caratteristiche.

Un alimento artigianale Un alimento sano e completo Altro/non so

Moltissimo Molto Poco Abbastanza Altro/ non risponde

34% 29% 16% 12% 11%

Cosa intende per tipicità del made in Italy?

Altro

16% 8% 3%

16% 12% 11%

Nocellara del Belice – il 35% degli italiani sa bene di cosa si tratta, mentre per gli altri è: Una tipologia di noce Un parco naturale nei pressi del Fiume Belice La raccoglitrice di noci

28% 19% 13% 5%

35% 29% Mi faccio consigliare da commessi e addetti 18%

Datterino – il 22% degli italiani sa precisamente di cosa si tratta, mentre per gli altri è:

Mi informo precedentemente, attraverso dépliant, riviste

Una tipologia di dattero molto piccolo

19%

Un pesce utilizzato per ricette a base di “neonata”

17%

Ricerco la dicitura Dop sulla confezione

Ricerco immagini che richiamino il tricolore

Altro/non so

12% 6%

Quali difficoltà incontra nello scegliere i prodotti tipici italiani? Il costo spesso troppo alto Gli abbinamenti con altri cibi La sicurezza che si tratti veramente di un prodotto tipico Altro/non so

48% 21% 16% 10% 5%

Per quale motivo sceglie i prodotti tipici del made in Italy?

Un dolce tipico egiziano a base di datteri Altro

14% 8%

Capocollo – solo il 22% sa cos’è, per gli altri è: La parte superiore del collo dell’uomo Un formaggio

25% 21%

Un “capo che tiene il fiato sul collo ai dipendenti”

14%

Altro

18%

Sono più buoni e genuini

67%

Formaggio di Fossa – in realtà solo il 11% sa esattamente cos’è, per gli altri è:

Per la sicurezza che garantiscono

51%

Un formaggio che si produce a Fossa

Per i sapori unici e inconfondibili

46%

Perché ricordano sapori a cui si è abituati

31%

Un formaggio fatto con il latte di mucche 26% Fassone

29% 13%

(domanda a risposta multipla)

31%

Un prodotto presente solo in alcuni territori/aree geografiche

24%

Perché legati a cultura e storia personali

Un prodotto ricco di tradizioni

18%

Altro/non so

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Un vino delle Langhe

Altro

Un prodotto che esiste solo in Italia

42

Una malformazione tipica di alcuni animali

42%

Come riconosce un prodotto Dop?

Sigle e nomi spesso incomprensibili

Quando acquista un prodotto quanto è importante che si tratti di una tipicità del made in Italy?

Un osso della gamba con una piccola protuberanza

41%

Un formaggio che prende il nome dal suo 14% inventore Altro

8%


Con miscela di grani duri non OGM coltivati e selezionati in filiera

TraďŹ latura al bronzo Essiccazione a bassa temperatura Alto contenuto proteico www.eaifood.com


ilpersonaggio

Paolo De Castro

Intervista al Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo che ci parla del sistema delle Dop e Igp e degli aspetti salienti della riforma della Pac, spiegandoci perché la terra debba essere considerata “l’affare del secolo” di Roberto Rabachino

agroindustriale, la dimensione economica del comparto sale a circa 246 miliardi di euro, con un contributo complessivo al Pil pari al 15,9%. Una dimensione che merita tutti i nostri sforzi per essere valorizzata sui mercati. Il nostro ricco patrimonio alimentare può essere sfruttato a pieno solo se valorizzato con adeguati interventi organizzativi e strutturali nell’ambito di un mercato sempre più volatile e incerto. Ecco perché la via dei mercati internazionali, affiancata a strumenti di gestione delle emergenze e dei rischi, rappresenta ormai una direzione di sviluppo obbligata per tutti i prodotti agroalimentari. Ed è proprio in tal senso che la prossima riforma della Politica Agricola Comune, entrata in una fase decisiva del negoziato, rappresenta un’opportunità da non farsi sfuggire.

«Ecco l'agricoltura del futuro» Presidente De Castro, l’agricoltura è un settore primario per l’economia, nazionale e internazionale. Quali gli scenari per il prossimo futuro? Con oltre 1 milione e 600 mila aziende attive che investono una superficie che supera i 12,8 milioni di ettari e che occupano oltre 900 mila unità lavorative, il settore agricolo continua a rappresentare un asse portante del sistema economico nazionale. Sommando all’agricoltura il sistema

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Lei considera “la terra” l’affare del secolo. Spieghiamo il perché… Il tema della corsa alla terra trae origine dal nuovo contesto con il quale ci stiamo confrontando e con il quale gli agricoltori e i cittadini europei e mondiali dovranno confrontarsi nel prossimo futuro. Le aree cosiddette emergenti del pianeta sono diventate i nuovi protagonisti dello sviluppo demografico ed economico globale, con ripercussioni importanti sull’equilibrio dei mercati alimentari internazionali. L’effetto sostituzione che ha accompagnato la trasformazione nelle diete di miliardi di persone che popolano queste aree sta producendo forti preoccupazioni internazionali, tanto che il tema della sicurezza alimentare è ormai centrale in tutti gli incontri di politica internazionale. Una condizione difficile, i


cui effetti si sono già tradotti in segnali inequivocabili. Accaparramento di derrate agricole da parte di grandi trader internazionali legati alle grandi economie o, ancora, appropriazione di terreni agricoli situati nella parte povera del mondo, rappresentano alcune delle conseguenze di queste nuove sfide globali. Un’emergenza, quella della food security, che sembrava essere definitivamente collocata alle nostre spalle e che invece è diventata un tema dell’oggi, non del domani, al quale dobbiamo dare risposte concrete nel costruire le prossime decisioni di politica agricola, a partire dalla Pac del futuro. La denominazioni d’origine è da sempre vittima di falsificazioni e contraffazioni. Come possiamo difenderci e quale contributo normativo offre la Comunità Europea? Occorrono strumenti tesi al rafforzamento dell’azione di contrasto alle contraffazioni e alle frodi alimentari che al tempo stesso sappiano fornire assistenza e sostegno alle imprese contro le falsificazioni e l’uso improprio di marchi commerciali. Grazie agli sforzi del Parlamento europeo, è stata inserita nel nuovo regolamento sui regimi di qualità una disposizione tesa proprio al rafforzamento dell’efficacia dei controlli contro usurpazioni, imitazioni ed evocazioni dei prodotti agroalimentari. Accanto a ciò, vi è la necessità da parte del sistema produttivo di sostenere nuovi sforzi organizzativi. Pacchetto Qualità. Viene riconosciuto di fatto il ruolo e le responsabilità dei consorzi di tutela e dei gruppi attribuendo loro il compito di contribuire alla protezione degli Igp e delle Dop. Non pensa che affidare agli stessi interessati il delicato e necessario controllo qualitativo e di tracciabilità possa creare dei problemi di obiettività e imparzialità? Credo che nel Pacchetto Qualità il rafforzamento del ruolo e dell’efficacia dei gruppi può rappresentare un’importante novità e un’opportunità per il settore. Penso ad esempio al ruolo dei Consorzi di tutela nel promuovere i

prodotti ma anche alla possibilità di programmare l’offerta produttiva per alcuni alimenti Dop che, per loro stessa caratteristica, sono fortemente sottoposti alle oscillazioni dei mercati. È il caso dei formaggi a lunga stagionatura come Parmigiano Reggiano e Grana Padano che grazie alle nuove norme approvate nel “pacchetto latte” potranno finalmente pianificare con più certezza la loro offerta produttiva minimizzando i rischi. Una battaglia difficile che siamo riusciti a vincere grazie al ruolo del Parlamento e che stiamo portando avanti anche nel nuovo regolamento sulle regole di mercato all’interno della riforma della Politica Agricola Comune per estendere tale strumento ad altri prodotti simbolo del made in Italy, come i prosciutti. Tornando alla protezione delle Dop e Igp, come detto in precedenza, sono a mio avviso le norme contenute nel Pacchetto Qualità a tutela delle imitazioni e usurpazioni a rappresentare il principale elemento di forza. Del resto, i prodotti certificati sono già tracciati in quanto devono rispondere a un disciplinare di produzione molto dettagliato che deve essere valutato sia dallo Stato Membro sia dall’Unione europea prima della sua approvazione. Certamente, in via generale, il

Con oltre 1 milione e 600 mila aziende attive che investono una superficie che supera i 12,8 milioni di ettari e che occupano oltre 900 mila unità lavorative, il settore agricolo rappresenta un asse portante del sistema economico italiano

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ilpersonaggio

rapporto tra controllore e controllato merita sempre un’attenzione particolare a prescindere dal singolo caso.

In alto, un'immagine del Parlamento europeo, dove De Castro (a destra) è Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale

Quella della food security è oggi un'emergenza alla quale dobbiamo dare risposte concrete con precise scelte di politica agricola

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Nuova Pac. Maggiore flessibilità, meno burocrazia e più greening, ovvero più "agricoltura ecologica". Entriamo nei dettagli… Nelle sedute del 23-24 gennaio, la Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo ha approvato le proposte sulla riforma della Politica Agricola Comune. Oltre un anno di lavoro, con l’introduzione di importanti novità rispetto all’impianto legislativo Ue del novembre 2011. Le modifiche introdotte sono ispirate al conseguimento di alcuni irrinunciabili obiettivi. Innanzitutto, un efficace trade off tra obiettivi economici, ambientali e territoriali della Pac che accanto alla sostenibilità ambientale degli agricoltori europei possa garantirne la sostenibilità economica. In secondo luogo, una Politica Agricola Comune più flessibile per rendere più facile la vita degli operatori. Infine, il rafforzamento degli strumenti per la gestione dei rischi all’interno di un nuovo scenario in cui la volatilità dei prezzi sarà un fenomeno sistematico. Entrando più nel dettaglio delle misure approvate, sottolineiamo innanzitutto l’introduzione di un nuovo criterio di ripartizione delle risorse tra gli Stati Membri con un incremento per il nostro Paese di circa 44 milioni di euro annui a regime. Sul fronte del capitolo riguardante gli agricoltori attivi, la proposta introduce maggiore flessibilità per

gli Stati Membri con la possibilità di individuare, secondo criteri oggettivi e non discriminatori, la definizione di agricoltore attivo. Flessibilità che viene rafforzata anche riguardo al passaggio al nuovo regime di pagamenti diretti all’interno di ciascuno Stato Membro con una maggiore attenzione a quei settori dove una riduzione degli aiuti troppo repentina potrebbe mettere i produttori in serio pericolo. Ma è sul "greening" che si segnalano le principali novità. Tra queste, la possibilità per le aziende con certificazione ambientale, agricoltura biologica, e che già rispettano pratiche agro ambientali di sviluppo rurale, di aver automaticamente diritto ai “pagamenti verdi”.


Italian tradition since 1681

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storie dall’Italia che merita

Maestro di dolcezza di Riccardo Lagorio

Psicologo, matematico, chimico. Ma soprattutto innamorato del suo lavoro. Il pasticcere deve essere tutto questo, e ancora di più. Parola di Iginio Massari «Il cibo è ricerca. Nel linguaggio comune pochi però fanno ancora differenza tra sapore e gusto; questo implica puntualmente confusione. Come si fa a dire ad esempio: sapore di nocciola?». Ogni volta che incontri Iginio Massari nella sua spettacolare pasticceria di Brescia ti conforta con pillole di sapere. Sotto la sua guida la squadra italiana vince nel 1997 la Coppa del Mondo di Pasticceria a Lione e la Coppa Europa a Roma nel 2002. Nel 2000 è eletto Pasticcere dell’anno e nel 2004 vince con la nazionale italiana il campionato Mondiale a squadre. Ha ricevuto la laurea honoris causa in Scienze culinarie dalla St. George University di Bruxelles. Ma prima ancora, nel 1993, fonda l’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza e l’approfondimento della pasticceria nostrana. Dopo tre anni, con Vittorio Santoro, a Brescia mette le basi di Cast Alimenti, “la” Scuola di cucina, istituto di formazione professionale affermatosi come uno dei più importanti centri di specializzazione e formazione italiani per i professionisti del gusto. Per dare un’idea della grandeur di Cast Alimenti basti pensare che tra corsi, manifestazioni e incontri con aziende sono oltre 6 mila i professionisti che la frequentano ogni anno, mentre sono 1500 gli studenti accreditati ai 250 corsi proposti in 7 attrezzatissime aule-laboratorio. La sua bottega è tutto un fiorire di prestigiosi riconoscimenti appesi alle pareti. Insomma: un’icona della pasticceria tricolore. 48

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Spicca, sul bancone della Pasticceria Veneto, l’ampia scelta di mignon: 130 raffinate varianti che attirano a Brescia golosi da tutto il mondo Virtuosismo e passione Da giovane Iginio lascia Brescia per la Svizzera dove probabilmente acquisisce l’idea del metodo, della scrupolosità, della razionalità. E crea le basi della sua idea di patisserie. Torna nella città lombarda durante gli anni del boom economico e subito mette a frutto le conoscenze accumulate aprendo Pasticceria Veneto, locale elegante e spazioso, senza ingiustificato sfarzo, ben organizzato e familiare. Un bancone lunghissimo, zeppo delle specialità per le quali il maestro è giustamente famoso nel mondo: immancabile la pasticceria mignon, una ricercatezza che Massari esibisce in 130 varianti, la pralineria che fa compiere ai più golosi parecchi chilometri, e il soffice e pluripremiato panettone che qui è di casa tutto l’anno. «Amo seguire la tradizione, che si deve aggiornare al cambiare della gente. È appena passato Carnevale e non mancavano frittelle di mele con uvetta, quelle ripiene di crema o le frolle fritte con mandorle. Per la festa della donna dell’8 marzo ho invece creato una speciale torta mimosa; per Pasqua sarà la torta nocciolina con cuore croccante al centro a farla da padrona accanto alla colomba». Orgoglioso per avere contribuito a recuperare il bossolà, specialità bresciana lontana parente del pandoro, ricorda in ogni occasione che i dolci casalinghi sono diventati, perché piacciono, i dolci nazionali. Dalla cassata al pandolce genovese, al tiramisù. «Anche il professionista non può fare quello che piace a lui, ma ciò che piace alla gente, ai clienti. È necessario essere quindi un po’ psicologi, senza dimenticare che un elemento fondamentale per questo lavoro è la cultura: fare il pasticcere oggi vuol dire anche parlare tre lingue, saper fare calcoli, che sono necessari nei dolci di precisione, e avere ottime cognizioni di

È subito best seller Grande festa lo scorso 9 febbraio presso il Four Seasons Hotel di Milano per il Reed Gourmet Party, durante il quale la casa editrice milanese ha festeggiato anche il successo del terzo volume della collana Non solo zucchero, dedicato al meglio della pasticceria, vero e proprio compendio immancabile nella libreria di professionisti o semplici amatori dell’arte dolciaria. Presentato in anteprima a fine gennaio al Sigep di Rimini, il libro è già tra i più venduti della casa editrice. Ospite d'onore, Iginio Massari, autore del testo.

In apertura un ritratto di Iginio Massari. Qui sopra alcune invitanti delizie al cioccolato firmate dal maestro pasticcere

chimica. Ma soprattutto non può mancare la passione e la volontà di confrontarsi con gli altri». Completa la Pasticceria Veneto anche un dehor, ideale per una sosta caffè, e una parte che non si vede, quella sotterranea, dove il laboratorio brulica di idee e collaboratori. Qui, nel ventre della terra, nascono le creazioni assolute di Massari e vengono eseguite le direttive del maestro. Sempre qui lo stesso si ritira a scrivere i suoi libri e realizzare con originalità le sue creazioni, come se le dovesse trascrivere su uno spartito, esempio di virtuosismo tecnico. E, perché no, foriero di bontà!

dove&come

Pasticceria Veneto Via Salvo D’Acquisto, 8 - Brescia Tel. 030.392586/381041

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consumi&tendenze

Lunga vita alla schiscetta! di Gilda Ciaruffoli

Truscittedda o baracchìn. Lunch box o bento. Che siate tradizionalisti o esterofili, la verità è una: se siete tipi da desk lunch, ovvero da pranzo in ufficio davanti al computer, non ne potete fare a meno. Colpa della crisi? Merito della moda che ci vuole tutti chef? Quale sia la ragione, portarsi il pranzo da casa non è più un tabù, anzi! 50

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«Penso ci si trovi davanti a una vera e propria rivoluzione dei costumi, un ritorno al passato che coinvolge soprattutto la classe media, giovani e impiegati, che recuperano le abitudini degli operai di un tempo». A cosa si riferisce Alessandro Vennicelli, è presto detto. Finita l’epoca dei panini veloci al bar o del self service 5 giorni su 7 (e spesso, anche quella di ticket restaurant aziendali), è tornata a far capolino dalla borsa di ogni impiegato la schiscetta, «un tempo tipica degli operai che la portavano in fabbrica con dentro il pranzo – spiega Alessandro – La crisi è anche questo: una rivoluzione antropologica di usi e costumi non necessariamente negativa. Scegliere la schiscetta significa infatti risparmiare e mangiare genuino». Dello stesso parere anche Sara Rota: «i ticket? Chi ha la fortuna di averli spesso preferisce usarli per fare la spesa e risparmiare durante la pausa pranzo». Ma chi sono Alessandro e Sara? Esperto di comunicazione

digitale lui e grafica lei, sessant’anni in due, sono rispettivamente gli autori del blog Schisciando e del social network Cheschiscia, con l’aiuto dei quali abbiamo cercato di capire in che direzione sta andando oggi la pausa pranzo.

Italiani tutti casa e ufficio Ma partiamo dall’abc. Che cos’è la schiscetta? Gli americani la chiamano lunch box, «a Bologna invece è il baracchino o tegamino, mentre in Sicilia la truscia o truscittedda. C’è poi chi è ancora è legato al militaresco gavetta o al retrò gamella», spiega Sara. «Non dimentichiamo il genovese baracchìn e il bento giapponese» le fa eco Alessandro. E a Milano è la schiscia, appunto. Deriva da schisciare, ovvero “schiacciare” (il cibo nel portavivande in questo caso), e la leggenda vuole che a chiamarla così sia stata per la prima volta una portinaia meneghina, negli anni ’50. Un’abitudine dalle umili origini, quindi,


e forse proprio per questo bistrattata e vissuta persino con un po’ di imbarazzo fino a qualche anno fa. Oggi le cose sono decisamente cambiate e alla pausa pranzo self-made si dedicano blog e siti, come abbiamo visto, ma anche libri (uno su tutti: Pausa Pranzo. Come stare lontano dai bar e vivere felici, edito da Guido Tommasi), e sondaggi. Tanti sondaggi, che nel 2012 hanno analizzato da diversi punti di vista il fenomeno. E se tutti concordano nel dire che l’ultimo anno ha visto aumentare il numero di chi è tornato a pranzare a casa – e senza dubbio crisi, precarietà e disoccupazione influenzano la tendenza – cosa ci dicono le statistiche di chi mangia in ufficio? Nel marzo 2012 Birra Moretti ha rivelato i risultati della ricerca Gli italiani? Kitchen people dalla quale emerge che il 42% di chi pranza fuori casa lo fa alla scrivania; in particolare, mangia in ufficio il 34% dei milanesi, e il 49% dei romani intervistati. L’indagine condotta dal sito

occhioaltrend.it su un campione di 600 lavoratori, mostra inoltre come il 53% degli intervistati si porti il pranzo da casa. Le ragioni dichiarate? Il risparmio economico (46%), la volontà di consumare pasti più sani ed equilibrati (29%) e l’opportunità di disporre di una maggiore varietà e scelta (19%).

Cheschiscia.com è un vero e proprio social network che dà a tutti la possibilità di condividere le proprie idee, ricette, foto, domande e quant’altro in tema “pausa pranzo”, ed è online dal settembre 2012. I temi più seguiti: ricette e nuove tecnologie in ambito scaldavivande. Foto: Sara Rota

Ucci, ucci sento odor di… In un momento in cui il virus della buona cucina ha colpito un po’ tutti, l’aspetto gastronomico non poteva che avere un notevole rilievo nella “community della schiscetta”. Dunque, per il pranzo di domani, cosa bolle in pentola? «Molto dipende da come si è attrezzati in ufficio, se si hanno a disposizione frigorifero e microonde ad esempio, anche se oggi esistono svariati contenitori termici e scaldavivande che possono essere una manna dal cielo per chi non ha la fortuna di avere un ufficio attrezzato», ci spiega marzo 2013

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consumi&tendenze

Come è nato Schisciando.tumblr.com? «Volevo dare un corpo, anche se virtuale, a una mia passione, così ho pensato a un food blog, ma senza ricette», spiega Alessandro che, in effetti, “perfido”, posta esclusivamente foto dei suoi invitanti pranzetti, senza descrizione o ingredienti! «Ora sto pensando a un nuovo formato... per dirla come ai nostri tempi, follow the schiscetta!». Foto: Alessandro Vannicelli

Prezzi tagliati, stessa qualità E in tutto questo, le trattorie e i bar come rispondono agli attacchi del battagliero esercito della schiscia? C’è chi si adegua, come il ristorante La Pobbia, ad esempio, che propone il Menù Schiscetta: bolliti misti, cassoeule, risotti con l’ossobuco e quant’altro la tradizione milanese offra in versione take away (http://lapobbia.com). E gli altri? L’abbiamo chiesto, anche in questo caso, a degli esperti, i ragazzi di Doveandiamoinpausapranzo, che ci hanno risposto: «i ristoranti hanno e avranno sempre la loro clientela. Ma quando vedono che è in calo, cercano di correre ai ripari. A Milano, per esempio, molti locali che alla sera risultano piuttosto costosi, a mezzogiorno offrono dei menu a prezzi ridotti. Si mangia bene, si spende relativamente poco e si torna in ufficio un po’ più felici». Dal loro blog («nato un giorno, dopo una pausa pranzo tremenda. Andava sublimata con la scrittura!»), abbiamo anche tratto i consigli Scelti per voi per concedersi ogni tanto una pausa pranzo liberi dalla schiscia.

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Scelti per voi Lo Stuzzichino “La paella è veramente buonissima e […] a pranzo offre un menu vantaggioso a 9 euro e tantissimi piatti (primi sui 4,5 euro, secondi dai 6 agli 8). Una volta pranzato o cenato lì vi sentirete a casa e vorrete tornarci”. Via Porro Lambertenghi, 13 – Milano Tel. 02.6081597 Giannino, l’Angolo d’Abruzzo “Non stupitevi se la percentuale di donne nel locale non supera il 5% o a volte nemmeno il 3, c’è una logica spiegazione […]: le porzioni. I piatti di pasta per esempio sono almeno 150 gr, altro che dieta. […] Da provare: tutto!”. Prezzo medio: 7 euro Via Rosolino Pilo, 20 – Milano www.dagianninolangolodabruzzo.it Epicure “Il piatto del giorno vince su tutto, anche perché include un calice di vino. È per questo che quando lo ordini la cameriera prontamente ti risponde: vi mando subito il sommelier”. Prezzo medio: da 8 euro Via Caretto ang. via Pisani – Milano www.epicure.it (fonte: doveandiamoinpausapranzo.com)

Sara. Il ritorno in auge della schiscia infatti è stato seguito da uno sbizzarrirsi di idee e soluzioni tecnologiche per rendere ancora più piacevole la pausa pranzo: dai contenitori che consentono di trasportare, riscaldare e consumare le pietanze, a quelli con porta usb da attaccare al pc e all’interno dei quali riscaldare la schiscia, «ai frullatori portatili!», ci dice Sara, che di discussioni in tema ne ha seguite tante sul suo cheschiscia.com. E prosegue: «prepararsi il pranzo non deve però diventare un secondo lavoro. La formula magica è “quando cucini qualcosa fanne sempre un po’ di più!”. E così, il contorno di verdure della cena diventa il condimento per la una pasta, il risotto allo zafferano una frittata di riso… Non è necessario mangiare sempre l’avanzo della sera così com’è, ma avere la “materia prima” a disposizione aiuta a essere più creativi». E le comode scatolette? Bandite. «Non si tratta di oltranzismo – spiega Alessandro – ma della voglia di coccolarsi almeno in quell’oretta in cui prendiamo un respiro dall’apnea e dalla routine lavorativa. La pausa pranzo è da vivere come un momento di sospensione, quasi una catarsi: sì, “schiscetta catartica” riassume bene il concetto!». Ma chi si porta il pranzo non è a rischio solitudine? «In realtà la schiscetta, oggi più che mai, accomuna i colleghi che si riuniscono in sale riunioni o in piccole cucine da ufficio per il pranzo», spiega Alessandro. «Negli Stati Uniti è un’abitudine normale, basta pensare ai film che mostrano da sempre gli yuppie seduti a pranzare in Central Park. Ma da noi non si usava, negli uffici regnava un certo snobismo. Oggi non più: ora c’è da essere fieri della propria schiscetta!». Per saperne di più: http://schisciando.tumblr.com http://cheschiscia.com www.lunchboxes.com www.doveandiamoinpausapranzo.com



attenti a queste due

di Elisa Isoardi & Paola Gula

I viaggi del gusto di…

Gianfranco Vissani In questo periodo in cui gli chef in televisione sono di gran moda, non si può non pensare a Gianfranco Vissani. È stato lui il primo, l’antesignano, una specie di patriarca. Linea Verde, La Prova del Cuoco e ora Ti ci porto io sono soltanto alcune delle trasmissioni che ha condotto, ma nonostante la notorietà mediatica continua a rimanere uno dei migliori chef d’Italia, un vero guru, dotato di grande talento e di un modo molto personale di comunicare, sia in cucina che di fronte alle telecamere.

Che consiglio daresti a un giovane talentuoso che volesse diventare chef? Siamo in un momento di crisi. Tutti i cuochi vorrebbero imparare da chef famosi e fare esperienza nelle loro cucine. A chi non piacerebbe lavorare un mese da Bottura, uno da Marchesi o uno da Vissani, oppure in Francia, che continua a essere una delle mete più ambite? Data la crisi, però, diventa sempre più difficile, visto che queste esperienze costano, e non poco. Non solo i ragazzi non vengono pagati, ma devono a loro volta pagare. È vero che “fanno curriculum”, ma sono un investimento non indifferente e non tutti hanno la possibilità di andare all’estero e spendere soldi o di pagarsi le esperienze nelle grandi cucine. 54

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Allora cosa proponi? È interessante il sistema adottato in Svizzera, dove i ragazzi hanno la possibilità di partecipare a stage piuttosto lunghi in grandi strutture dove riescono a imparare e vengono anche pagati. Alla fine iniziano a conoscere il mestiere e anche questa esperienza “fa curriculum”. Se invece si volesse a tutti i costi frequentare una “grande cucina” bisognerebbe fare un passo indietro e fare come una volta. Lo dico sempre a chi me lo chiede: entrate in una cucina come lavapiatti. Vi pagano, avete l’occasione di “rubare” il mestiere e dopo un anno avrete fatto un’esperienza unica e avrete imparato moltissimo”.

Hai sempre saputo di voler fare questo mestiere?

Qual è il cibo che non hai mai smesso di amare? L’olio. Prima di tutti. E poi la fettunta (bruschetta) come la faceva mamma. Non come la fanno adesso con il pane secco e una concassè di pomodori vecchi. Mamma la faceva usando il pane fatto in casa, anche del giorno prima, lo metteva a “bruschettare” accanto al fuoco, poi sfregava l’aglio, aggiungeva sale e olio e con le dita pigiava il pane per ammorbidirlo e farci entrare bene l’olio.

Preferisci pentole e padelle o la telecamera? Le pentole, perché sono il mio lavoro. Le telecamere sono un gioco.

Sì. Da bambino vedevo i nonni e mio papà cucinare e l’ho capito da subito. Era il mio destino.

Cosa pensi di avere dato agli italiani che ti guardano da vent’anni?

Qual è stata la prima volta che hai messo le mani in pasta?

Penso di averli riportati dalle mamme. Come chef ho sempre invitato tutti a ricordare i piatti di casa, a guardare le mamme quando cucinano, a tornare indietro ai ricordi e alla famiglia.

Quando papà e mamma impastavano, io gli pizzicavo la pasta, la rubavo e la mangiavo cruda.

A che età? Battevo la testa contro gli spigoli del tavolo…

Le guide ti hanno a volte esaltato e a volte punito. Secondo te sono strumenti utili per interpretare la ristorazione italiana


Foto: Ufficio stampa La7

Come chef ho sempre invitato tutti a ricordare i piatti di casa, a guardare le mamme quando cucinano, a tornare indietro ai ricordi e alla famiglia

e mondiale? Ci possiamo fidare? Le guide hanno il loro metro di misura. Noi ristoratori, dal canto nostro, non possiamo fare altro che lavorare nel miglior modo che conosciamo e aspettare il loro giudizio. A volte una penna ferisce più di una spada, ma non bisogna dimenticare che se esistono i giornalisti e le guide è perché esistono i cuochi. E vale anche il contrario, gli uni dipendono dagli altri.

Quale tipo di cucina preferisci? Tradizionale o innovativa? Innovazione con mantenimento della tradizione. Quando Lucio Fontana tagliò la tela erano tutti pronti ad applaudirlo. È facile essere geniale come lui, o come Philippe Starck, inventando, lasciandosi trascinare dall’estro, ma nessuno si deve dimenticare che, ad esempio, le sedie di design devono essere belle, innovative, geniali, ma alla fine bisogna sedercisi sopra e possibilmente stare comodi. Con la cucina è la stessa cosa: innovazione e tradizione devono convivere.

Qual è il tuo ristorante preferito, dove andresti a mangiare per una cena tra amici? Preferisco le trattorie tipo A Santa Lucia a Milano, Il Caminetto e Il Matriciano a Roma.

Il cibo a cui non rinunceresti mai? Una bella fetta di prosciutto crudo di cinta senese.

Il vino a cui non riesci a dire di no? Giorgio Primo (prodotto in Toscana dalla Fattoria La Massa) e il Metodo Classico dei Fratelli Muratori (Franciacorta). marzo 2013

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ospitalità italiana

di Gilda Ciaruffoli

Equilibrismi di gusto a Barcellona

Per lui non esiste ristorante italiano senza risotto. Ma nel suo locale gli spagnoli hanno imparato ad amare anche pizzoccheri e trippa alla toscana, mortadella e ‘nduja. Massimo Pascucci ci racconta il delicato compito di far scoprire all’estero i veri valori e le tradizioni culinarie della sua terra d’origine, facendo dimenticare le pizze di plastica e il ragù in scatola dei menù a basso costo

“La pasta é una filosofia di vita. Si dice che attraverso la pasta filtra l’allegria, perché il grano ha lo stesso colore del sole”. Un motto che è tutto un programma quello che accoglie i clienti del ristorante Massimo, nel quartiere Sarrià-Sant Gervasi. È scritto all’ingresso, su una lavagna, e riassume bene il pensiero del suo carismatico proprietario, Massimo Pascucci, che infatti sottolinea «È per questo che noi italiani abbiamo un carattere così allegro!». Sbarcato in Spagna oltre 10 anni fa, lo chef ha iniziato la sua avventura gestendo un ristorante nel Masnou, sul litorale barcellonese. La sua personalità era talmente forte e lo stile talmente definito, che quel locale tutti lo chiamavano “da Massimo”. E allora, nel 2008, quando decise di mettersi in proprio, la scelta del nome da dare al suo locale parve scontata. Tradizioni tutte nuove Oggi il Massimo può accogliere fino a 60 persone. Ad attenderle un ambiente familiare, con toni vintage, accogliente, e una bella terrazza: tutti elementi che

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contribuiscono a trasmettere quell’italianità che caratterizza anche la sua cucina. Dove prevale l’utilizzo di prodotti Dop e Igp, e la regola prevede di preparare i piatti al momento, senza precotture. «Il menù che abbiamo creato é un mix di ricette tradizionali fisse e alcune proposte innovative che cambiano a seconda dei prodotti di stagione», spiega Massimo. «La mia é una scelta rischiosa perché i piatti che proponiamo sono autentiche ricette tradizionali e quindi spesso sconosciute ai clienti». «Per molti spagnoli – spiega infatti lo chef – la cucina italiana si riduce a pizza o pasta con salse alla bolognese o alla carbonara, ed é sinonimo di menù a basso costo». «Io soffro quando vedo clienti che mettono il formaggio nella pasta al nero di seppia – prosegue, sottolineando – Siamo noi ristoratori che dobbiamo insegnare come si degustano i piatti che proponiamo rispettandone l’origine. Al tempo stesso, bisogna saper venire incontro alle aspettative della clientela locale, senza perdere l’identità dell’autentica cucina italiana. Per questo ad esempio ho sempre in


Pappardelle sulla lepre Ingredienti (4 persone): 1 lepre senza pelle 4 carote 2 gambi di sedano 3 cipolle 4 bicchieri di vino rosso 2 foglie di alloro buccia d’arancia buccia di limone 50 gr di cacao al 70% 30 gr di zucchero di canna 1 bicchiere di aceto olio extravergine di oliva sale, pepe q.b 400 gr di pappardelle Preparazione: Pulire e tagliare la lepre in 8 pezzi e lasciarla marinare per 24 ore nel vino rosso con 2 cipolle, 1 gambo di sedano, 3 carote, il tutto tagliato a cubetti di circa un centimetro. Aggiungere le foglie di alloro, la buccia d’arancia e di limone e il bicchiere di aceto. Successivamente, far dorare nell’olio la lepre e cucinarla per 4 ore con il vino e, se necessario, aggiungere un po’ d’acqua, salare e pepare. Una volta cucinata, lasciarla riposare a temperatura ambiente. Poi disossarla e ridurla a pezzetti. Fare un soffritto con il sedano, la cipolla e la carota in un po’ di olio, infine aggiungere la carne spolpata della lepre previamente cucinata insieme al sugo di cottura (vino rosso e acqua). Aggiungere il cioccolato, lo zucchero e lasciare il tutto cucinare lentamente per 20 minuti. Una volta che il ragù è pronto, cucinare le pappardelle (400 gr a crudo) in abbondante acqua salata, scolarle e amalgamare per bene il tutto, quindi servire.

menù un piatto con una salsa al formaggio che gli spagnoli apprezzano molto; io lo preparo però con il miglior Gorgonzola italiano!». Ma quali sono le ricette e i prodotti italiani più apprezzati in Spagna? «Un ristorante senza un buon risotto non é un vero ristorante italiano» sostiene deciso Massimo. E il suo preferito é senz’altro un classico: risotto ai funghi porcini o risotto di pesce. Altre ricette che hanno avuto molto successo tra i suoi clienti sono i pizzoccheri e la trippa con i ceci alla toscana, o il tonno in crosta di pistacchio, preparato secondo la tradizione siciliana. «I miei clienti si sorprendono di fronte alla ricchezza dei secondi piatti che offre la nostra tradizione culinaria e a volte mi chiedono se, ad esempio, un piatto come le pappardelle alla lepre sia davvero italiano». Tra i prodotti più apprezzati anche la minestra di farro (ancora poco conosciuto), l’nduja calabrese, anche perché molto simile alla sobrassada di Mallorca, e il pecorino sardo. Tra i salumi è la mortadella a essere il più famoso: «ne vanno pazzi», sottolinea. E se i clienti sono entusiasti di scoprire nuove ricette e prodotti italiani, nella scelta dei vini prevale il gusto locale. «È una questione di abitudine ma anche di orgoglio per le eccellenze della propria terra. A parità di prezzo rispetto a un vino italiano, i miei clienti infatti prediligono dei classici spagnoli come il Rioja e Ribera del Duero o vini della zona del Priorat che é una D.O. della Catalogna». Il Massimo é uno dei 18 ristoranti di Barcellona e provincia che la Camera di Commercio Italiana di Barcellona – in collaborazione con Isnart (Istituto Nazionale di Ricerca per il Turismo) e Unioncamere – ha premiato nel 2011 e 2012 con il marchio Ospitalità italiana – Ristoranti italiani nel mondo.

Vita da chef Massimo Pascucci, 43 anni, è nato a Sassari ma si considera milanese di adozione. Nel capoluogo lombardo infatti ha vissuto per 20 anni. Giovane imprenditore, è sempre stato legato al mondo della ristorazione perché i suoi genitori erano proprietari di una trattoria: «Sono sardo, ma è a Milano che ho imparato il mestiere e i segreti della cucina della mamma. Lì ho anche sperimentato per la prima volta le ricette regionali italiane: dalla pugliese, alla milanese alla toscana». In queste pagine: gli interni del Massimo e, in basso, una foto dello chef. Qui sopra, la Sagrada Familia, simbolo di Barcellona

Per saperne di più: www.10q.it Scarica l’app “10Q Ricette italiane” e “10Q” per Android, iPhone e iPad

Scelti per voi Di seguito, alcuni dei locali che fanno parte del circuito Ospitalità italiana – Ristoranti italiani nel mondo a Barcellona Ristorante Massimo Via Augusta, 217 Tel. (+34) 934.548146 www.restaurantemassimo.com Le piazze d’Italia Calle Casanova, 94 Tel. (+34) 933.235977 www.piazzeditalia.com I buoni amici Calle Casanova, 193 Tel. (+34) 934.396816 www.ibuoniamici.es Mandi mandi Calle Valencia, 28 Tel. (+34) 932.269384 www.restaurantemandimandi.es

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chef italiani nel mondo

di Alessandro Allocco

Da Chieti al Celeste Impero «Sono nato in cucina: a 13 anni lavavo i piatti nel ristorante dei miei genitori, proprio di fronte alla nostra abitazione». Un destino segnato fin dalla tenera età dunque, quello di Marco Medaglia da Chieti, che oggi porta alto il vessillo dell’alta cucina italiana a Hong Kong presso il ristorante Angelini di cui è italian executive chef. Ma tra la passione per i fornelli e il prestigioso lavoro in Asia, in mezzo ci sono anni di studio, sacrifici e viaggi. «Da ragazzo alternavo scuola e lavoro – ci spiega Medaglia – poi, dopo aver studiato da chef con il maestro Antonio Palmisani, nel 1998 sono partito per il mio “giro del mondo”: finora ho vissuto e lavorato in 8 Paesi diversi, soprattutto in Asia, passando da Jakarta fino a Hong Kong». Oggi, Marco Medaglia è anche il presidente del Cim (Chef Italiani nel Mondo), l’associazione che lui stesso ha contribuito a fondare e che raggruppa tutti i grandi cuochi italiani sparsi per il pianeta. Marco, cosa vuol dire per te essere chef? Assaggiare, creare, perfezionare. È questa la parte più appagante, poi ci sono i clienti, la formazione, il controllo dei conti… un bel po’ di lavoro tutti i giorni. La mia cucina invece è frutto della mia inventiva, reinterpretata ogni volta secondo le emozioni del momento. Cosa pensano i tuoi clienti di Hong Kong dell’Italian Style gastronomico? In generale si aspettano un tipo di cucina diversa, 58

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Per Marco Medaglia, chef del ristorante Angelini e presidente del Cim, la cucina è passione e riflessione: parte dal cuore, passa dalla testa e arriva alle mani. Solo così si riesce davvero a parlare di sé, facendosi capire anche dall’altra parte del mondo

spesso mediata da quello che sanno del nostro Paese. Quando faccio scoprire loro le gioie di un buon piatto italiano, però, ne sono entusiasti. I piatti che prepari per i tuoi ospiti, sono gli stessi che mangi tu, a casa tua? In linea di massima sì, anche se ovviamente un po’ più elaborati e studiati. Io, ad esempio, impazzisco per i salumi e i formaggi che mi vanno benissimo anche semplicemente dentro un buon panino. Certo, non posso servire panini ai clienti, anche se… non si sa mai! Cosa suggerisci ai giovani che vogliono intraprendere la tua professione? Che la cucina deve partire dal cuore, essere interpretata dalla mente e finalizzata con le mani. Solo così è possibile parlare di te stesso ai tuoi ospiti.

Hong Kong: Medaglia consiglia Ai connazionali che vengono a trovarmi mi piace far sentire il ritmo frenetico della città, mostrandone anche le tradizioni, attraverso la visita ai mercati, ad esempio, che espongono merci alle quali non siamo abituati. Imperdibili: la vista dal Victoria Peak e i dim sum, fagottini cotti al vapore dal ripieno di carne e verdure.

La ricetta dello chef Arrosticini di agnello Ingredienti: 300 gr di carré di agnello 120 gr di friggitelli rosmarino, salvia, aglio, timo 30 gr di olio extravergine d’oliva 70 gr di brodo vegetale Preparazione: Marinare per 2 ore l’agnello in un’emulsione di olio ed erbette. Avvolgere il carré marinato nella pellicola trasparente, metterlo sottovuoto e cuocerlo in acqua per 20 minuti. Raffreddare in acqua e ghiaccio. Friggere i friggitelli, privarli della pelle e frullarli con del brodo vegetale fino a ottenere una salsa densa. Scottare il carré in padella con olio, rosmarino e aglio, e passare in forno per 8 minuti a 180°. Tagliare in piccoli pezzi e formare uno spiedino; adagiare sulla salsa di friggitelli.


Una passione di qualità

“Rispetta e ama la terra. Lei saprà ricompensarti”


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Cibo&Territorio Cibo&Territorio 70

foto Az. vitivinicola Zuffa Imola

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62 Lungo le vie del miele

70 Pasqua tra cibi e religione

Viaggio nello Stivale che festeggia la rinascita di Cristo con riti, processioni e... specialità golose

Una panoramica (a volo d’ape) sull’Italia che produce “dolcezza”, dal Trentino alla Sardegna

66 Formaggi perduti Storie di caci e di provole che sembravano spariti. E dei casari

74 Wine passion: il Sangiovese Romagnolo, corposo e longevo. Un rosso da “Olimpo del vino”. Fin dai tempi di Giove.

da pag. 76 Rubriche

• Il buono a tavola • La storia in cucina • Orto dei semplici • Food news

eroici che li hanno salvati

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cibo&territorio

Lungo le vie del miele di Piergiorgio Greco

Una panoramica (a volo d’ape) sull’Italia che produce dolcezza. Dalla Sardegna al Trentino, partiamo allora armati di cucchiaino e tanta voglia di coccolarci un po’

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Un’Italia dolce e colorata, che vive dei ritmi della natura. È l’Italia del miele, forse meno conosciuta di quella del vino o di altre prelibatezze, ma che ha tanto da raccontare, con il suo mondo fatto di api, lavoro, passione, natura, divertimento. Nel Bel Paese, la tradizione apistica è fortemente radicata soprattutto in tanti piccoli borghi dove arnie, cera e pappa reale sono diventate non solo una fiorente attività economica, ma una vera e propria cultura. Proprio come un’ape che torna dal fiore all’alveare, proviamo allora a sorvolare questo dolce paese in cui tanti centri minori sanno sorprendere grazie a innumerevoli tesori nascosti e oltre sessanta diversi tipi di miele.


Virgilio consiglia Il volo parte dalla Sardegna, terra di nuraghi e natura selvaggia dove si producono mieli rarissimi, come quello di asfodelo, cardo, corbezzolo, tiglio, rovo e mirto. Li potete cercare nella provincia del Medio Campidano: a Guspini, vero concentrato di natura e archeologia, o ad Arbus, con i suoi 47 km di costa; e ancora a San Sperate, il Paese Museo famoso per i suoi murales e le sue ottime pesche. Di isola in isola, in Sicilia il miele più buono è “barocco”: quello di timo ibleo, osannato anche da Virgilio, si degusta tra le chiese e i palazzi di Sortino, in provincia di Siracusa in quella valle divenuta Patrimonio dell’Unesco

grazie ad altre perle come Noto, Scicli e Modica. In zona, non dimenticate di assaggiare anche il miele di nespolo (l’ultima fioritura dell’anno, che per questo viene anche chiamato il miele di Natale), mandorlo, agrumi, carrubo, mirto e stregonia. Iniziando a risalire lo Stivale, in Calabria una tappa è d’obbligo ad Amaroni, in provincia di Catanzaro, i cui mieli di castagno, millefiori, sulla, zagara ed eucalipto da tempo si sono fatti conoscere in tutta Italia. Tra una degustazione e l’altra, ci si può lasciar catturare da un paesaggio antico che digrada verso il mare e dal borgo elegante costruito attorno alla splendida chiesa di Santa Barbara.

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L’Associazione Le Città del Miele Per favorire la promozione dei territori italiani accomunati dalla tradizione apistica, dal 2002 è nata l’Associazione nazionale Le Città del Miele, che oggi raggruppa 45 località sparse in ogni dove. Diverse le iniziative di valorizzazione e promozione realizzate in più di dieci anni. Con il progetto MielotecaItaliana sono stati censiti ben 62 tipi differenti di miele in Italia. Dal 2011, le Città del Miele organizzano il Premio nazionale Il Miele del Sindaco per segnalare il prodotto che meglio interpreta il legame con il proprio territorio d’origine. Ma è soprattutto in un settore che l’Associazione è particolarmente attiva: la promozione del miele come cibo buono, e non come “medicamento”. Oltre al sito www.ilmieleincucina.it – ricco di ricette, spunti, abbinamenti e curiosità – dal 2011 l’associazione organizza il concorso gastronomico nazionale Il Miele in Cucina, per valorizzare le tante tipologie di mieli italiani, e per contribuire a sviluppare una conoscenza del loro impiego in tutti i piatti. 64

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La dolcezza ha fatto centro Nell’Italia di mezzo una tappa è d’obbligo in Abruzzo, dove i mieli migliori – sulla, lupinella, santoreggia, millefiori, acacia per citarne alcuni – sono prodotti a Tornareccio, in provincia di Chieti, la “capitale abruzzese del miele”, grazie a una produzione che rappresenta il 10 per cento di quella nazionale. Il borgo è famoso anche per gli affascinanti mosaici installati sulle facciate delle abitazioni: oltre sessanta opere, che raffigurano bozzetti di artisti di fama internazionale. Nelle vicine Marche, ottimo nettare si degusta nella splendida Matelica, in provincia di Macerata, storica capitale di un’eccellen-

za enologica italiana – il Verdicchio – e sede di numerosi monumenti che da soli valgono una visita: qui degusterete miele di girasole, borragine e castagno e, più raro, ruchetta. Volando in Umbria, miele fa rima con Bevagna, città d’arte in provincia di Perugia, che si snoda tra piazze, chiese e palazzi di incontaminata bellezza. In questa regione, gli “imperdibili” sono il nettare di castagno, erica, lupinella e melata metcalfa. Tra Toscana e Liguria, invece, il miele migliore lo si produce nella Lunigiana, dove è di particolare interesse la Strada del Miele che si snoda da Calice al Cornoviglio (La Spezia), ai borghi di Mulazzo e Tresana (Massa Carrara). Il percorso,

Occhio ai consumi Dai produttori esigete rigorosamente miele cristallizzato. Una follia? Per niente. A eccezione di quello di acacia e (parzialmente) di quello di castagno – che tendono a rimanere liquidi per molto più tempo grazie ad alcuni enzimi –, tutti i mieli devono necessariamente diventare solidi: è

un procedimento naturale. Se tra le mani avete un vasetto di annate precedenti ma ancora liquido, pur non essendo di acacia o castagno, vuol dire che il miele ha subito un trattamento termico a fini “estetici”, che ne mette in discussione importanti proprietà.


Fusilli con salsa al miele d’arancio e zafferano Ingredienti (per 4 persone): 350 gr di pasta corta 100 gr di miele d’arancio 1 bustina di zafferano 3 lt di brodo di pollo 1 bicchiere di vino bianco secco 1 pizzico di cannella 1 cucchiaio di aceto burro formaggio grattugiato

Nella pagina precedente, il paese di Tornareccio, in Abruzzo, con i suoi mosaici. Qui, apicoltori alle prese con arnie piene di api

Nel Bel Paese, la tradizione apistica è fortemente radicata soprattutto in tanti piccoli borghi dove arnie, cera e pappa reale non sono solo una fiorente attività economica, ma una vera e propria cultura ben segnalato, consente ai visitatori di vivere il mondo del miele in tutte le sue sfaccettature: dalla visita alle aziende per assistere alla lavorazione, alla degustazione di piatti a base di miele nei ristoranti, trattorie e agriturismi.

Come raccontare il piacere Nel Nord Italia sono tantissimi i territori dove ronzano api che danno dell’ottimo e raro miele. In Piemonte andate alla ricerca di quelli

di sicyos, astragalo, lampone, lavanda, millefiori di montagna, rododendro e tarassaco: se siete amanti dei paesaggi, li potrete assaggiare scendendo dalla sempre affascinante Val d’Ossola fino a Ghemme, in provincia di Novara, fermandovi in tantissime botteghe della zona. Ancora più giù, Marentino, non lontana da Torino, con i suoi rebus da risolvere dipinti sulle facciate delle abitazioni, è una meta di enigmatica dolcezza, sede di una fiera del miele che ogni anno a settembre richiama migliaia di visitatori. In Valle d’Aosta, con le sue cime candide, api e apicoltori sono di casa a Chatillon, territorio leader nella produzione del miele di tarassaco. Il nostro volo infine ci porta in Veneto e Trentino. Se nella Laguna di Venezia è possibile trovare il rarissimo miele di barena, a Lavarone, in provincia di Trento, una tappa è d’obbligo in uno dei più bei Musei dedicati all’apicoltura, pensato per raccontare il mondo del miele anche alla persona più inesperta. Rari e preziosi i mieli di questo territorio: millefiori di alta montagna, rododendro, castagno e tiglio.

Preparazione: Sciogliere in un tegame due cucchiai di burro su fiamma moderata, poi unite il miele che avrete prima scaldato a bagnomaria per tenerlo più fluido e il vino bianco. Lasciare evaporare il vino e completare la salsa con l’aceto, un pizzico di cannella macinata e lo zafferano sciolto in un po’ di acqua calda; abbassare la fiamma e lasciare sul fuoco ancora qualche minuto. Nel frattempo cuocere la pasta in una pentola in cui avrete portato a bollore il brodo salato, scolarla al dente e versarla in una zuppiera condendola con burro e con la salsa al miele e zafferano. Mescolare con cura e portare in tavola completando con una spolverata di formaggio.

Per saperne di più: www.cittadelmiele.it www.ilmieleincucina.it

Scelti per voi La Pizzoleria Nel cuore di Sortino, da provare il tipico pizzolo sortinese. Da non perdere quello con la ricotta e il miele. Prezzo medio: 15 euro Via Libertà, 152 - Sortino (Sr) Tel. 0931.9539924 www.lapizzoleriasortino.it Ristorante Redibis Locale ricavato in un antico teatro romano, cucina legata alla tradizione umbra. Prezzo medio: 40 euro Via dell’Anfiteatro - Bevagna (Pg) Tel. 0742.360130 www.redibis.it Locanda Il Cervino Ambiente romantico, propone una squisita cucina di montagna a base di prodotti locali. Prezzo medio: 35 euro Via Chanoux - Chatillon (Ao) Tel. 0166.563206 www.locandailcervino.com

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Alla ricerca del formaggio perduto di Riccardo Lagorio

Tombea. Farindola. Floresta. Segnatevi questi nomi. In un’Italia che sta perdendo la sua capacità di stupire, omologando prodotti e sapori, resistono produzioni antiche, recuperate o mai dimenticate, perpetrate da casari eroici impegnati a salvare noi dall’omologazione e una bella fetta di patrimonio culturale dal dimenticatoio 66

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Malgrado alcuni tentino di convincerci dell’opposto, giorno via giorno, con inutili ricette televisive, radiofoniche e su carta, non è più una novità per nessuno. L’appiattimento del gusto, figlio legittimo dell’appiattimento culturale, ha invaso i centri urbani e finanche le campagne di un Paese che per secoli ha stupito viaggiatori e deliziato i propri abitanti anche in periodi di guerre e carestie. State leggendo nell’idioma di quella contrada. La tanto celebrata inversione culturale, iniziata con fatica al termine degli anni Novanta del XX secolo, coinvolge un numero ancora limitato di consumatori e si tratta di un fatto sporadico e, se ben gestito, in grado di accrescere la notorietà di associazioni e movimenti ma poco idoneo a preservare la cultura quando non è in grado di assicurare reddito immediato ai promotori. Il settore caseario rappresenta uno di quelli più colpiti dall’inedia comune e dalle aggressioni di ayatollah in camice bianco, (ir)responsabili profeti delle aziende sanitarie locali. Non si è mossa foglia ad esempio quando l’ultimo contadino ha cessato, era l’inizio del 2011, di produrre a Mansuè, nel Trevigiano, il pecorino di Pra de Gai, il cui gusto caratterizzato dalle erbe spontanee che nascono grazie alle esondazioni del Livenza, era unico. Nello stesso anno l’apatia generale ha vinto su uno dei più stimati formaggi toscani, apprezzato dai protagonisti dei gran tour settecenteschi, il cacio marzolino di Lucardo. Assieme alla loro dipartita, perdute cognizioni e saper fare centenari. Privo peraltro il mondo pastorale di eroici protagonisti, esistono tuttavia numerose esperienze che portano agli onori delle cronache il recupero di questo prodigio metamorfico: domato e controllato un elemento instabile e deperibile come il latte, lo si rende addomesticabile e modellabile trasformandolo in formaggio, dal sapore gradevole e deciso.

Tradizione di montagna? Il giusto… Accade per il formaggio Tombea. Tombea è il monte che sovrasta Magasa, piccolo centro nell’entroterra gardesano, versante bresciano. Lasciarsi alle spalle la trafficata strada che da Gargnano porta a Limone e inerpicarsi per la via che in pochi chilometri prende quota è come correre indietro nel tempo. La moltitudine di ulivi e di ville padronali lascia il posto alla inestricabile vegetazione dove le attività umane non si sono ancora impadronite della natura. Magasa possiede porticati antichi e strette viuzze, testimonianze di un passato in cui era l’ultima frontiera del Regno Asburgico. Rimangono di quel periodo pendii abbandonati dove si percepiscono a fatica le opere di terrazzamento. Ma in alto, a Cima Rest, le case fienile con i tetti in paglia sono un’attrattiva turistica speciale. In lontananza il profilo del Tombea, due ore di buon cammino, sino agli anni Settanta monticato da centinaia di bovini, di cui oggi è orfano. Da sempre la maggioranza

Il Tombea si distingue per la fine occhiatura e la sottile crosta dal colore giallo intenso. In alto, una malga sul monte Tombea: il pasto preferito dalle bovine durante i mesi estivi è costituito da erbe e fiori spontanei, tra cui la rara sassifraga che pare conferisca particolare aroma al formaggio

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cibo&territorio

Malfatti al Tombea Ingredienti (per 6 persone): 600 gr di Tombea di media stagionatura 300 gr di spinaci lessati e strizzati (già freddi) 175 gr di farina 00 3 uova Preparazione: La prima operazione, quella meno semplice, è procurarsi del Tombea. In alternativa procuratevi un formaggio di monte semigrasso. Quindi tritare il formaggio, aggiungere gli spinaci sminuzzati al coltello, le uova e la farina. Mescolare l’impasto in modo da renderlo omogeneo. Creare dei cilindri, poi dei bocconcini che, passati tra le mani, formeranno la classica forma ovoidale. Cuocere per pochi minuti in acqua bollente salata e ripassare in padella con un altro poco di Tombea e, a piacere, degli spinaci frullati. Servire con un poco di sedano tagliato fine. (ricetta di Michele Valotti, Trattoria La Madia, Brione - Bs www.trattorialamadia.it)

Forme di pecorino di Farindola, il cui recupero è iniziato nel 2001

delle forme che scendevano dal Tombea venivano acquistate da commercianti che provvedevano a stagionarle e immetterle sul mercato locale in maniera prevalentemente indistinta. Poco più di trent’anni fa la sagra del formaggio tentò di valorizzarne l’origine, ma si doveva attendere il censimento dei formaggi bresciani del 2001 (Atlante dei formaggi bresciani, Vannini Editore) per distinguerne le caratteristiche e battezzarlo. Queste azioni sono servite a stimolare alcuni ristoratori nell’inserimento del Tombea per le loro preparazioni e, benché non abbia incrementato di fatto il numero dei produttori del borgo e delle isolate frazioni, ne ha quantomeno rallentato l’esodo. Il pasto preferito dalle bovine durante i mesi estivi è costituito da erbe e fiori spontanei, tra cui la rara sassifraga del Tombea, dal piccolo fiore bianco, che pare conferisca particolare aroma al formaggio. Esso si distingue inoltre per la fine occhiatura e la sottile crosta dal colore giallo intenso.Adatto a un consumo intorno ai 90 giorni dalla produzione, ma anche alle lunghe stagionature nei rolt, come vengono chiamate le casere di qui, è ideale per un fine pasto o da grattugia.

Le donne lo sanno Altrettanto interessante il recupero del pecorino di Farindola, iniziato nel 2001. Si stima che fino al 1995 la produzione annua non raggiungesse i 10 quintali, correndo serio rischio di andare perduto il patrimonio culturale legato alla

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sua realizzazione. Formaggio dalle antiche origini, citato dalle cronache di epoca imperiale e lodato da Marziale per la leggerezza, il caseus vestinus ha attraversato la storia e con l’intervento dell’Ente Parco del Gran Sasso e Monti della Laga ha varcato il XXI secolo. L’area storica di produzione ha Penne, antica sede di pretura e catasto, come capoluogo e coincide con nove Comuni a cavallo tra le province di Teramo e Pescara benché la rinomanza dei pascoli e delle siepi si sia concentrata in epoca recente intorno al Comune di Farindola. Le regole produttive, che prevedono la lavorazione del latte crudo, e l’alimentazione degli animali hanno trovato attuazione in un disciplinare che ha visto la luce nel 2002 grazie all’intervento del veterinario locale ed ex sindaco di Farindola, Ugo Ciavattella. Ma le caratteristiche salienti del prodotto sono legate a due unicum davvero singolari. Il primo è che per arcaica tradizione la preparazione del cacio si è tramandata per via muliebre. Ciascuna forma riporta il nome della donna che ha provveduto a crearla. L’altra particolarità riguarda il caglio, che è prodotto sempre dalle donne con lo strato epiteliale dello stomaco suino, ricco di succhi gastrici.

Il borgo di Farindola nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga


Occhio ai consumi Secondo un Regio Decreto del 1925 tuttora vigente, la definizione di formaggio spetta al “prodotto che si ricava dal latte intero ovvero parzialmente o totalmente scremato oppure dalla crema in seguito a coagulazione acida o presamica”. La prima circostanza consiste nell’abbattere il pH del latte, la seconda è attivata con l’intervento del caglio, che contiene enzimi di origine animale o vegetale. Il caglio animale proviene solitamente da vitelli o capretti o agnelli. Caglio vegetale si ottiene dal cardo selvatico e dal lattice di fico. In ragione di quanto sopra la ricotta non è un formaggio poiché si ottiene portando a temperature vicine all’ebollizione il siero, che è il liquido che residua dalla lavorazione del formaggio.

Sono le donne a preoccuparsi di lavare, tagliare a listarelle e mettere in un fiasco di vino a buona gradazione alcolica la parte anatomica, aggiungervi sale grosso e un pizzico di pepe. Chiuso con un tappo il fiasco, dopo tre mesi il caglio è pronto. Questo servirà a coagulare il latte di pecora, un tempo di razza Pagliarola abruzzese. Il peso delle forme è variabile tra 1 e 3 kg , la pasta è compatta e friabile dal sapore pieno e corposo, ricco di aromi. Un gusto che in questi anni ha conquistato anche consumatori tedeschi e canadesi.

Profumo d’agrumi Non ha forse corso il pericolo di essere dimenticata come i precedenti due formaggi, ma certo non si può dire sia fuori pericolo d’estinzione la provola di Floresta. Accovacciata all’ombra dei boschi più verdi e freschi, dai suoi 1275 metri di altitudine, Floresta è il Comune più alto della Sicilia. Ancora oggi intorno all’abitato, tra i boschi di leccio, rovere e querce si scorgono numerosi cùbburi, i tipici ripari semicircolari in pietrame a secco, ricoperti di frasche che, con un foro al centro, lasciavano uscire il fumo delle sterpaglie che i pastori utilizzavano per scaldarsi durante la notte. La tradizione della provola a Floresta è vecchia quanto il mondo: i pascoli e la lavorazione, che segue arcaici cerimoniali, fanno la differenza come le sue dimensioni (variabili tra 4 e 5 kg) e la stagionatura. Tutto ha

inizio con la munciùta, la mungitura a mano delle bovine alimentate al pascolo. All’aggiunta del caglio segue la rottura della cagliata e la separazione della toma dal siero. L’indomani, affettata la toma, le si versa sopra il siero residuo della ricotta ancora bollente. Così la toma si trasforma in pasta filante, la cui filatura si blocca tramite un getto di acqua fredda per essere infine agnutticàta, ovvero ripiegata con i margini verso l’interno fino ad acquisire la classica forma a pera della provola, sormontata da un corto collo e da una testa sferica. Specie per consumo familiare, nell’anima della provola di Floresta si inserisce un limone verdello che conferirà al prodotto stagionato almeno sei mesi il caratteristico profumo dell’agrume. La stagionatura delle provole avviene appendendole con lo spago a pertiche in locali freschi. Il suo inconfondibile aspetto, dalla crosta sottile e di un bel colore giallo paglierino, tende al giallo ambrato con il protrarsi della stagionatura celando una pasta morbida e compatta, dal sapore dolce e delicato, tendente a un marcato piccante con l’avanzare del periodo di maturazione. Indimenticabile…

Scelti per voi dove mangiare Tombea Germano Eggiolini Località Praa Magasa (Bs) Tel. 338.8712919 Pecorino di Farindola Mirko Marcella Contrada Case Bruciate Farindola (Pe) Tel. 0858.23414 Provola di Floresta Salvatore Pedalina Via Burgisatico Floresta (Me) Tel. 3381810514 In alto, le tipiche provole siciliane dalla crosta sottile e dal colore giallo paglierino. In basso il borgo di Floresta

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Pasqua di fede e... di gusto Si dipanano nella notte, alla luce di fiaccole incandescenti, le processioni che celebrano la rinascita di Cristo. Riti antichi, spesso drammatici, scenografici e coinvolgenti, che percorrono tutto lo Stivale. Scopriamo insieme le rappresentazioni più suggestive e le tipicità locali che le addolciscono di Riccardo Lagorio

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Come la stragrande maggioranza delle festività cristiane, la Pasqua è mediata da antichi riti pagani ai quali si sovrappose, con l’arrivo della nuova religione, il culto della rinascita del Salvatore. Culto della rinascita che è caratterizzato in molte delle religioni e credenze sbocciate in Medio Oriente e in Europa da cerimoniali che hanno come protagonisti il fuoco o le uova. In Occidente nel corso dei secoli sono


Tra le manifestazioni più originali, la sfilata delle fracchie di San Marco in Lamis, nel Foggiano. Le fracchie sono enormi fiaccole itineranti che illuminano il cammino della Madonna Addolorata lungo le strade del paese alla ricerca del figlio morto

diventate manifestazioni più caratteristiche e che raggiungono grandiosità spettacolari quelle che rappresentano le processioni figurative e drammatiche del giovedì o del venerdì Santo.

Qui sotto, le canestredde, piccole trecce di pasta dolce dal piacevole sapore agrumato. In alto a destra: Ceriana (Im)

fantasia degli abitanti, i quali pensarono di illuminare con le fracchie la strada che la Madonna percorreva dalla sua chiesa fino alla Collegiata, dove era custodito il corpo del Cristo. Lungo il percorso i forni e le pasticcerie vi offriranno le canestredde, piccole trecce di pasta dolce dal piacevole sapore agrumato.

In Puglia, tra luci e canestredde

Liguria: al ritmo dello Stabat Mater

Tra le più originali la sfilata delle fracchie a San Marco in Lamis, nel Foggiano. Si ripete da circa tre secoli ogni venerdì Santo per la rievocazione della Passione di Cristo. Le fracchie sono delle enormi fiaccole, realizzate con grossi tronchi di albero aperti longitudinalmente a forma di cono e riempiti di legna, per essere incendiate all’imbrunire e divenire quindi dei falò ambulanti che illuminano il cammino della Madonna Addolorata lungo le strade del paese alla ricerca del figlio Gesù morto. Sembra che le origini di questo rito risalgano ai primi anni del XVIII secolo, epoca di edificazione della chiesa dell’Addolorata e le sue ragioni, oltre che di ordine religioso e devozionale, vadano collegate anche alla conformazione dell’abitato. Infatti, quando venne costruita nel 1717, la chiesa dell’Addolorata si trovava fuori del centro e questa collocazione sollecitò la

All’insegna della più tipica tradizione contadina anche le processioni del giovedì e del venerdì Santo a Ceriana (Im), accompagnate dal suono di corni ricavati dalla corteccia di castagno avvolta a spirale e dalla degustazione dei frisciöi, frittelle che possono essere ripiene di baccalà, di fagioli e bietole o di mela, impastate con aggiunta di farina di castagne. I riti della processione sono tramandati dalle quattro Confraternite,che si distinguono per il diverso colore dell’abito tradizionale completo di mantelline, indossato dai penitenti incappucciati. I flagellanti partono dal proprio Oratorio, percorrono tutto il paese lungo gli stretti carrugi e raggiungono in processione il Sepolcro allestito nella chiesa parrocchiale, sontuosamente infiorata. I Rossi (Santa Caterina), gli Azzurri (Visitazione), i Verdi (Santa Marta) e la Compagnia dei Neri (Sant’Andrea) cantano in polifonia Miserere, Stabat Mater e Alma contempla, oltre ad alcune laude di origine medievale tramandate oralmente di generazio-

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cibo&territorio

In alto: una panoramica su Enna e, sotto, i festeggiamenti per la Settimana Santa nella città siciliana. Nella pagina accanto, in alto, la Processione delle Paniere, sotto, la rustida di pesce con i passatelli in brodo

ne in generazione. L’intensa partecipazione popolare, la suggestione che il borgo conserva e il vigore dei canti corali fanno della Settimana Santa di Ceriana un evento coinvolgente e affascinante.

Intensa e barocca Sicilia Risalgono invece al Seicento le funzioni pasquali che a Enna celebrano il venerdì Santo e il giorno della Resurrezione con solenni processioni tanto ricche di elementi simbolici da competere per suggestione di colori, voci e costumi con quella più nota di Siviglia. Durante il rito delle tenebre che si tiene al Duomo, i canonici, vestiti con cappuccio viola e la veste che tocca terra, con l’ermellino bianco sulle spalle e scalzi, percorrono la navata centrale, genuflettendosi tre volte per rievocare le tre cadute

di Cristo nella salita al Calvario. Giunti all’altare maggiore, essi adorano il prezioso crocifisso ligneo tenuto velato. Nel frattempo un fercolo della Vergine viene condotto con un ritmo lento e ondulatorio, accentuato dalle marce funebri che sottolineano il dolore della madre di Gesù, verso il Duomo. Un altro fercolo, rappresentante l’urna del Cristo morto, lo raggiunge per mezzo dei confrati del Santissimo Salvatore. Un’altra confraternita, della Passione, salendo verso il Duomo, porta i cosiddetti misteri, ovvero i simboli che ricordano la Passione: dalla lanterna che condusse i soldati al Getsemani alla spugna imbevuta d’aceto, dalla corona di spine alla borsa con i trenta denari. C’è sempre stato anche un gallo, leggermente narcotizzato con del vino, che canta due volte come quando San Pietro rinnegò per tre volte Gesù. Dopo l’incontro tra l’Addolorata e Cristo in Duomo le confraternite si dirigono verso il cimitero, precedute dalla cosiddetta Spina, una preziosa Croce reliquiario in argento del XVI secolo al cui centro, incastonata in una teca di vetro, si trova una delle spine della corona di Cristo assieme a un pezzo della sua croce. Una coda di folla silente di oltre 2 chilometri accompagna i fercoli verso il cimitero. A seguire trovano spazio i due simulacri, nel Duomo per una settimana. La sequenza delle forme rituali tradizionali si prolunga quindi nel lunedì dell’Angelo con festose scampagnate, e nel lunedì in albis con processioni e manifestazioni di esaltazione devozionale.

Tra vele, fiori e mangiarini Non mancano però proposte e suggestioni laiche sviluppatesi in tempi recenti, come la ormai tra72

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Scelti per voi dove mangiare La Vecchia Fattoria A pochi chilometri dalla costa ecco l’indirizzo di un locale che serve cibo accettabile. Prezzo contenuto, intorno ai 25 euro. Possibilità di soggiornare. Via Valle Armea sud Ceriana (Im) Tel. 0184.551742

dizionale sfida marinara delle Vele di Pasqua che si celebra da quasi quarant’anni a Cesenatico. Quest’anno, dal 30 marzo al 1° aprile, sono 200 le imbarcazioni provenienti da tutta Europa che si sfidano per la tradizionale e originale competizione che viene definita dai più come “la Formula 1 delle vele”. La gara è divisa per classi e categorie in modo da rendere le competizioni più equilibrate e leali possibile, e anche per offrire uno spettacolo unico al pubblico. Numerosi gli eventi che vengono ogni anno previsti a contorno delle Vele di Pasqua, tra cui la rustida di pesce, con i pesci di stagione cucinati dai pescatori. In alternativa, se proprio il pesce non fa per voi, non sarà difficile trovare in qualsiasi locale si entri, i passatelli in brodo. Si tratta di irregolari cilindri di pasta all’uovo con formaggio, pane raffermo e noce moscata finita in brodo di manzo, il piatto di Pasqua di tutta la Romagna. Anche a Santa Maria a Monte, in provincia di Pisa, occasione per visitare la casa dove visse da giovane Giosuè Carducci, il week-end di Pasqua di-

Ristorante De Gustibus Semplicità e frugalità dove i prodotti dei luoghi intorno la fanno da padrone. Si pranza a 25 euro Strada Convento San Matteo San Marco in Lamis (Fg) Tel. 333.7221006

dove dormire venta momento cruciale di festeggiamenti. Già dalla fine del carnevale nelle pasticcerie del borgo si inizia a infornare la schiacciata, dolce a base di semi d’anice che caratterizza il territorio, e qui la vita di santità e dedizione ai più bisognosi della Beata Diana Giuntini, la Patrona del paese, viene rievocata secondo tradizione il giorno della morte della Beata, con la famosa Processione delle Paniere. Essa deve il suo nome al fatto che le giovani ragazze portano un cesto di fiori sulla testa nel percorso che sale dalla cappella dedicata alla Beata Diana fino alla collegiata. In origine insieme ai fiori veniva portato un barilotto d’olio, che serviva a tenere accesa la lampada accanto alle spoglie della Beata. Oggi sono rimasti solo i fiori, ma non è mai mutata la devozione verso questa donna penitenziale che tanto è radicata negli animi dei paesani.

Hotel Federico II Moderno, accogliente, dotato di un attrezzato centro benessere. Doppia da 135 euro Strada Salerno – Enna Tel. 093.520176 Grand Hotel Cesenatico Edificio quasi centenario, esempio di mondanità ed eleganza. Doppia da 175 euro Piazza Andrea Costa, 1 Cesenatico (Fc) Tel. 0547.80012

dove comprare Stamperia Braghittoni Tessuti di cotone e lino. Gli stampi sono realizzati in legno di pero inciso. Via Fiorentini, 55 Cesenatico (Fc) Tel. 0547.80377 Pasticceria Mirco La schiacciata, dolce lievitato con semi d’anice e rosolio di menta, non manca mai nelle vetrine durante il periodo pasquale. Via Pregiuntino, 6 Santa Maria a Monte (Pi) Tel. 0587.707080 Azienda Agricola Sasso al Sole Il giovane Leonardo Novelli è tra i pochi produttori della tosca, la patata precoce a pasta gialla e saporitissima che meriterebbe adeguata denominazione di origine. Via Sasso al Sole, 3 Santa Maria a Monte (Pi) Tel. 0587.473003 Azienda Agricola Gerace Da visitare per il suo olio extravergine, ma anche per le mandorle e i fichi d’India. Contrada Gerace – Enna Tel. 0935.501770

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winepassion

È la più popolare, nonché la migliore espressione enologica della sua terra. A secondo dei diversi territori e delle condizioni climatiche, dà vita a vini strutturati, longevi, fruttati e generosi. Negli ultimi decenni, grazie all’amore, all’impegno e alla costanza di diversi viticultori è diventato motivo trainante della produzione vinicola nazionale

Sangiovese, il più amato di Romagna di Cesare Aldesino

Il Sangiovese è un vitigno originario dell’area tosco-romagnola ed è in particolare in quest’ultima regione che si ottengono vini caldi e floreali, così come quelli prodotti nelle vicinanze del mare, dove le uve maturano almeno 10 giorni prima delle altre e sono austere e molto generose. Un po’ come l’indole dei romagnoli: autentici e in qualche caso un po’ burberi, ma sempre di grande cuore. Il Sangiovese di Romagna Doc viene prodotto da uve raccolte in una vasta zona collinare che comprende le provincie di Bologna, partendo da Castel San Pietro, ForlìCesena, Ravenna, Rimini fino ad arrivare a Cattolica. È stato uno dei primi a essere riconosciuto tra i vini Doc nei territori romagnoli e continua a essere la bandiera di questa ridente parte d’Italia.

Preferito anche dagli dei Il suo nome e le sue origini trovano riscontro in un documento del 1651 conservato nell’Archivio di Stato, ma la tradizione popolare fa derivare il suo nome da Sanctus Zeus, il dio Giove degli antichi romani, o dal monte Giove, una collina nelle adiacenze di Santarcangelo di Romagna, dove i frati cappuccini producevano vino dai vigneti antistanti il convento. Si narra che, durante un banchetto, un illustre ospite del convento domandò

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il nome del vino offertogli; i monaci, presi alla sprovvista, risposero: “Sanguis Jovis”, nome che da allora identificò quel vino come Sangiovese. In alcune zone, la coltivazione delle viti viene fatta ad alberello, metodo che consente un controllo ideale della vigna, in altre a cordone speronato; in genere si realizzano potature corte nel periodo invernale e il diradamento nei mesi più caldi, per ottenere una maturazione ottimale. La produzione prevede la pigiatura delle uve, che vengono

Rosso rubino dai profondi riflessi viola, al gusto il Sangiovese è caratterizzato da sentori di frutti rossi e si presenta asciutto e armonico; la gradazione minima è di 11,5 gradi


Alla conquista del mondo L’universo del Sangiovese è stato caratterizzato nell’ultimo ventennio dall’imporsi sul mercato di un gruppo di perseveranti produttori che, partendo da territori disuguali caratterizzati da terreni sabbiosi, argillosi, pietrosi e calcarei, si sono impegnati per portare questo vino a livelli di sempre maggiore eccellenza. Le bottiglie ottenute sono caratterizzate da grande personalità ed evidenziano sfumature organolettiche di microclimi e terroir differenti, in grado di incontrare il gusto dei consumatori anche internazionali e, non a caso, sono recensiti nelle più autorevoli guide di settore. A tale riguardo, mi piace ricordare quanto sostenuto da Augusto Zuffa, vitivinicoltore a Imola, la cui famiglia produce Sangiovese da sei generazioni: «il Sangiovese, per me, è una delle più nobili espressioni enologiche del nostro Paese, e non solo, e, non a caso la sua piantumazione si va sempre diffondendo dalla California, alla Nuova Zelanda, dall’Australia alla Cina. Per un romagnolo parlare di Sangiovese equivale a parlare della Nostra Terra tanto inscindibilmente si lega alla cultura, alla storia, alla tradizione e al territorio della nostra gente... non vi è infatti festa, evento, spettacolo, o manifestazione che non abbia a ben augurare il tutto il prezioso nettare tale che, in ogni parte del mondo, un calice di Sangiovese con le sue meravigliose note di violetta, liquerizia, menta, caffè, tabacco e pepe rosa proietta direttamente ognuno di noi a casa, nella propria terra, con i propri affetti». Provare per credere!

messe a fermentare e a macerare con la vinaccia. Finita la macerazione, la svinatura permette la separazione delle bucce e dei vinaccioli dal mostovino. A questo punto il vino viene travasato più volte, per eliminare eventuali sostanze solide e in seguito avviato all’affinamento e all’invecchiamento. Al termine di questo periodo, viene stabilizzato e infine imbottigliato. Il Sangiovese di Romagna Doc è prodotto con uve di Sangiovese vinificate in purezza o con un’aggiunta al massimo del 15% di altre uve a bacca rossa della zona

(Bursona Longanesi, a maturazione tardiva). L’affinamento in botti di legno grandi e la spiccata naturale acidità gli conferiscono grande longevità. Il colore di questo vino è un bel rosso rubino, dai profondi riflessi viola. Caratterizzato da sentori di frutti rossi, al gusto si presenta asciutto, armonico e leggermente tannico, con retrogusto gradevolmente amarognolo; la gradazione minima è di 11,5 gradi ed è un connubio perfetto non solo con diversi piatti della gastronomia regionale, ma anche con altri della tradizione culinaria italiana.

Per un romagnolo parlare di Sangiovese equivale a parlare della propria Terra tanto inscindibilmente si lega alla cultura, alla storia, alla tradizione e alla sua gente... marzo 2013

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di Antonio Romeo

Il buono a tavola

Docente isttuto alberghiero IPSSEOA di Soverato (Cz)

Longobardi e Bizantini a banchetto

Emilia-Romagna. Due nomi, due tradizioni. Due anime ben distinte e due storie legate alle diverse dominazioni che la regione visse nell’antichità e che ne influenzarono anche le abitudini alimentari. A unire le due zone, invece, l’amore per i succulenti primi piatti e un’eccellenza nelle produzioni gastronomiche che tutto il mondo riconosce (e cerca malamente di imitare)

Il tortellino bolognese L’ombelico di Venere, ha sicuramente origine medioevale. Può essere condito in molti modi con la panna o il ragù di carne, ma il vero tortellino è quello servito in brodo. Ingredienti: 300 gr di lombo di maiale 300 gr di prosciutto crudo 300 gr di vera mortadella di Bologna 450 gr di formaggio Parmigiano Reggiano (stagionato almeno 3 anni) 3 uova 1 noce moscata Preparazione: Marinare il lombo per 2 giorni con sopra un battuto composto di sale, pepe, rosmarino e aglio; quindi cuocerlo a fuoco lento, con un po’ di burro. Toglierlo dal tegame e ripulirlo del battuto. Tritare al coltello molto finemente il lombo, il prosciutto e la mortadella. Impastare il tutto con Parmigiano, uova e un po’ di noce moscata. Mescolare a lungo in modo che l’impasto sia ben

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Una gastronomia dalle antiche radici storiche e culturali, che iniziano ad attecchire dopo la caduta dell’Impero Romano. L’Emilia, da Piacenza a Bologna, è infatti in quel periodo permeata dall’influenza longobarda, con la quale si afferma una cucina a base di maiale, di carne bovina, con importanti presenze di salumi e di formaggi. In Romagna la cucina ha invece influenze bizantine che rimangono nelle preparazioni a base di frumento, nel consumo della

amalgamato; lasciare riposare per almeno 24 ore prima di riempire i tortellini.

Brodo per tortellini È l’elemento fondamentale della cucina Emiliana. La scelta della carne è dunque importante per la sua buona riuscita. Ingredienti: (per ogni persona si devono calcolare circa 100 gr di carne e 1/2 litro d’acqua) carne di manzo, punta di petto, muscolo gallina o cappone sale, osso odori: 1 cipolla, 1 carota, 1 gambo di sedano prezzemolo, chiodi di garofano Preparazione: Immergere la carne di manzo in acqua corrente per alcuni minuti; la gallina (cappone) dovrà essere spennata, pulita dalle sue interiora e scottata sulla fiamma viva per togliere le penne rimaste. Utilizzare una pentola capace di contenere tutta la carne; immergere la carne e

l’osso, salare e coprire di acqua fredda. Portare a ebollizione a fuoco lento, quindi mantenere costante il bollore con il coperchio sollevato per fare uscire il vapore. Aggiungere gli odori e, a seconda delle tradizioni, mettere uno spicchio d’aglio, un mazzetto di prezzemolo o 1-2 chiodi di garofano infilati nella cipolla. Schiumare il brodo frequentemente con una ramina, in modo da mantenerlo limpido. Il tempo di cottura della carne, per ottenere un buon brodo, è di circa 4 ore. A metà cottura, aggiungere la gallina o il cappone. Occorre infine sgrassare il brodo e il modo più efficace sarebbe di prepararlo il giorno prima, metterlo in frigo e il giorno dopo togliere dalla superficie il grasso solidificato.

Ragù alla bolognese Ingredienti: 300 gr di spalla di manzo 150 gr di pancetta tesa 50 gr di carota 50 gr di sedano 50 gr di cipolla


100 gr di salsa (o concentrato) di pomodoro 100 gr di brodo di carne 1/2 bicchiere vino rosso Preparazione: Tritare in modo molto sottile le verdure e farle rosolare: attenzione a non bruciarle, eventualmente aggiungere un po’ di brodo. La carne deve essere tritata a mano con un coltello; quando è pronta unirla alle verdure e lasciare rosolare lentamente. Aggiungere il vino rosso e lasciare evaporare, poi aggiungere il concentrato di pomodoro sciolto in acqua; aggiungere il brodo di carne per finire la cottura. Un buon ragù richiede circa 3 ore di fuoco lento e deve essere girato spesso usando sempre un cucchiaio di legno. Il sugo è pronto quando è bene tirato. Attenzione al colore: non deve essere troppo rosso. Ottimo per il condimento delle tagliatelle.

Anolini di Parma Questo superbo piatto parmigiano di antiche origini era il preferito di Giuseppe Verdi, che amava mangiarli in brodo a colazione. Ingredienti per il ripieno: 700 gr di polpa di manzo (o asina) 100 gr di burro 1 cipolla, 1 costa di sedano, 1 carota 1 cucchiaio di salsa di pomodoro (concentrato) 2 bicchieri di vino rosso Barolo (o Barbera) 2 chiodi di garofano sale, pepe, noce moscata 1 litro brodo di manzo 150 gr di pane grattugiato 300 gr di Parmigiano Reggiano 4 uova Ingredienti per la pasta: 600 gr di farina 6 uova intere sale Preparazione: Per l’impasto: sciogliere il burro in una casseruola, appassire il trito di verdure a fuoco lento e quindi aggiungere la carne e coprirla con il brodo. Il tempo di cottura non deve essere inferiore a 10 ore. Dopo circa 6 ore di cottura aggiungere il concentrato di pomodoro sciolto prima in acqua calda. Lo stracotto sarà giusto quando sarà sfilacciato ed il sugo denso. Spremere la carne con lo schiacciapatate. Filtrare il sugo con un colino aggiungere il parmigiano, pane grattugiato, le uova, noce moscata. L’impasto dovrà essere sodo ed omogeneo, se necessario aggiungere altro formaggio. Per la pasta: Preparare un impasto classico, lavorandolo molto bene. Fare delle strisce lunghe, larghe circa 10 cm. A distanza di 5 cm uno dall’altro, posizionarvi sopra dei mucchietti di ripieno grandi come un cucchiaino; coprire con l’altra metà della pasta. Chiudere molto bene e poi con lo stampino dividerli. Passarli nel semolino in modo che non si attacchino. Prima di cuocere, metterli in un colino e sciacquarli sotto il getto d’acqua fredda; cuocere per circa 4 minuti in acqua bollente e servire in brodo di carne.

Pasticcio alla ferrarese Anche detto pasticcio di maccheroni, ha la tipica forma a cupola ed è considerato il piatto regale del periodo carnevalesco.

Ingredienti per 6 persone: per la pasta frolla 200 gr di farina 80 gr di burro 110 gr di zucchero 1 uovo intero + 1 tuorlo sale per il ripieno 300 gr di maccheroncini rigati (cotti in 2 litri d’acqua salata) 200 gr di polpa di suino 100 gr di fegatelli di pollo bargigli e creste di pollo (facoltative) 50 gr di piselli extra fini 1/4 di litro di vino bianco 1 cipolla medio-grossa 600 gr di salsa besciamella (50 gr di burro, 50 gr di farina, 1/2 litro di latte) sale, pepe, noce moscata tartufo bianco (facoltativo) Preparazione: Soffriggere la polpa di suino, salare e insaporire con del pepe. Soffriggere fegatelli, creste e bargigli di pollo con un fondo di cipolla tritata. Bagnare con vino bianco. In un soutè cuocere i piselli, salare e pepare. Cuocere i maccheroncini. Scolarli al dente e amalgamare con la besciamella tutti gli ingredienti. Foderare uno stampo rotondo con la pasta frolla e aggiungere il pasticcio e delle lamelle di tartufo bianco. Coprire con la restante pasta frolla dando la forma di cupola. Pennellare con rossi d’uovo e cuocer in forno.

Torta fritta (o gnocco fritto) L’accompagnamento ideale ai salumi emiliani. Ingredienti: 2 kg di farina 0 100 gr di lievito di birra 2 patate lesse 2 cucchiai di strutto + strutto per friggere 50 gr di sale 1 litro di latte Preparazione: Impastare bene la farina, il lievito, le patate, lo strutto, il sale, il latte tiepido e lasciare lievitare per circa 1 ora. Tirare l’impasto dando alla sfoglia l’altezza di circa 1 mm. Con la rotella, tagliare la sfoglia in tante forme rettangolari o romboidali. In una padella, scaldare molto bene lo strutto; quando ha raggiunto la giusta temperatura, friggere la pasta finché sia ben dorata da entrambe le parti (cuoce in pochi secondi). Servire ben calda.

Piadina romagnola Ingredienti: 800 gr di farina 80 gr di strutto acqua tiepida sale q.b. Preparazione: Impastare il tutto e lasciare riposare per circa 45 minuti. Preparare delle piccole palline e tirarle con il matterello, ricavando dei cerchi di 15 cm di diametro e 2-3 mm di spessore. Quindi, cuocere con apposite pietre per circa 2 minuti. Le piadine si possono farcire a piacere, in maniera tradizionale con prosciutto e squaquerone oppure con verdure, formaggi…

carne di pecora e nell’uso della piastra di terracotta con la piadina, simbolo di questa terra. Grazie a microclimi ideali per poter far stagionare il culatello nella bassa parmense, far invecchiare il Parmigiano Reggiano, far maturare l’uva, le pesche, le susine, le ciliegie e le albicocche, far crescere il frumento e rendere succoso il pomodoro, l’Emilia-Romagna è anche la regione italiana con il più alto numero di prodotti gastronomici d’eccellenza. La regione detiene infatti il primato nel comparto dell’industria alimentare: dalla produzione di salumi e formaggi alla trasformazione dei prodotti della terra; attualmente si contano inoltre più di venti prodotti a Denominazione di Origine Protette (Dop) e a Indicazione Geografica Protetta (Igp). Alcune delle eccellenze emiliano-romagnole sono pertanto conosciute, apprezzate e, purtroppo, imitate in tutto il mondo: il Parmigiano Reggiano ne è l’esempio più eclatante. Dall’elaborazione di queste pregiate materie prime nascono poi i grandi piatti della tradizione, il cui il fil rouge è la pasta fatta in casa: partendo da Piacenza con i pisarei, a Parma con gli anolini, a Reggio Emilia con i cappelletti. Modena e Bologna si contendono i tortellini, mentre Bologna è certamente la patria delle lasagne. A Ferrara il simbolo gastronomico, oltre alla salama da sugo, è il tortello di zucca. La Romagna infine è il regno dei dei garganelli, dei passatelli, degli strozzapreti e dei malfatti.

Sbrisolona emiliana Ingredienti: 200 gr di mandorle 200 gr di farina 00 200 gr di farina gialla 200 gr di zucchero 100 gr di strutto 100 gr di burro 2 tuorli d’uovo 1 buccia di limone grattugiato 1 bustina di vanillina Preparazione: Impastare la farina bianca con quella gialla, aggiungere poi i due tuorli d’uovo, lo zucchero, la vaniglia, la buccia di limone e le mandorle tritate finemente. Amalgamare tutto. Infine aggiungere il burro e lo strutto a fiocchetti. Lavorare gli ingredienti, ma senza rendere l’impasto compatto. Far scendere il composto a grosse briciole in uno stampo largo e basso, ben imburrato. Porre a cuocere in forno già caldo a 180°C per 40-50 minuti circa. Prima di servire, spolverizzare con dello zucchero a velo. marzo 2013

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la storia in cucina

di Raffaele Romeo

Una nobile signora, seduta al centro di una lunga tavola, apre un astuccio dov’è inciso il suo stemma, estrae un curioso oggetto con tre punte metalliche acuminate, lo prende con la mano destra, infilza un pezzetto di carne che solleva con eleganza. Et voilà: lo mangia in un boccone. Siamo nel 1535, a Fontainebleau. E la signora è Caterina de’ Medici…

Forchetta: il fascino dell’ultima arrivata La sua è una storia assai travagliata. La nonna fu la “forcina in ferro” che il trinciante usava per togliere carni e pesce dal piatto di servizio. Pur arrivando a tavola dopo il cucchiaio e il coltello, la forchetta può essere considerata tra questi l’oggetto più affascinante. L’uso di uno strumento appositamente pensato per infilzare il cibo sembra abbia inizio nel Medioevo, alla corte di Bisanzio, dove un acuminato pugnale si trasformò prima in un imbroccatoio (tipo spillone) e poi in una vera e propria forchetta. La troviamo poi sulle tavole di borghesi e mercanti a Firenze, Pisa e Venezia mentre, nelle corti del periodo, vigeva ancora l’etichetta – dettata da Ovidio – delle “tre dita”, che imponeva di attingere direttamente dal piatto

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con le mani per prendere il cibo solido. Altre testimonianze rilevano che l’uso della forchetta a tavola fu osteggiato da San Pier Damiani il quale narra che una principessa Bizantina, venuta a Venezia per sposare un doge, non toccava il cibo con le mani, preferendo usare un piccolo oggetto bidente. Questo gesto provocò l’ira del predicatore e venne giudicato un lusso diabolico, dalla raffinatezza scandalosa, e un segno di debolezza da parte degli uomini nobili. Altra testimonianza la troviamo negli Annali d’Italia dove viene messo in risalto l’uso della forchetta nel banchetto di nozze “1071” del Doge Domenico Silvio avvenuto, appunto, nel 1071 anche se, nello stesso periodo, il mangiare “maestosamente” con le mani veniva comunque considerato un gesto molto raffinato. In età Rinascimentale, a farne largo uso era sicuramente la corte medicea: tanto che la leggenda ne attribuisce addirittura a Caterina de’ Medici l’invenzione. Le cose non stanno esattamente così (alla corte di Lorenzo il Magnifico la si utilizzava già da anni), ma a lei si deve certamente l’introduzione dell’uso in Francia. In realtà, per averne una diffusione su larga scala, è necessario aspettare il ’700, quando le furono aggiunti due rebbi, che divennero così i nostri quattro. Ma il sospetto con il quale veniva guardato il suo utilizzo, come un eccesso snobistico, fu duro a morire: ancora oggi, alcuni atteggiamenti forzatamente ricercati, vengono infatti definiti “in punta di forchetta”!



orto dei semplici

di M. Pia Fanciulli

Il porro che depura e stuzzica

Il suo sapore è più delicato di quello della sorella cipolla di cui costituisce un’alternativa per palati fini. Della famiglia delle Liliaceae, l’Allium porrum, ovvero il comune porro dal sapore dolce e delicato, è ortaggio noto da tempi antichissimi. Citato nella Bibbia, coltivato dagli antichi egizi, fu diffuso in Britannia dai romani dove conquistò la cucina dei Celti. Ma dall’inizio della sua storia, il porro è apprezzato anche per le sue virtù di medicamento naturale, a cominciare dalla fama di efficace afrodisiaco decantato da Marziale e prima ancora dal medico greco Dioscoride. Plinio invece riteneva favorisse il sonno. Senza dimenticare che Nerone fu soprannominato “il porrofago” perché ghiotto di porri che utilizzava per dare chiarezza alla sua voce. Parente stretto di aglio e cipolla da cui si distingue non solo per la maggior levità del sapore, ma anche per la forma allungata anziché tondeggiante, e originario della regione mediterranea, il porro è una bulbosa biennale che però viene coltivata con ciclo annuale. Nei nostri

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Dal sapore delicato e molto gradevole, simile a quello della cipolla con una punta di piccante, è ideale per arricchire le insalate nelle quali viene consumato fresco. Ricco di ferro, ha anche proprietà diuretiche

orti se ne trovano poche varietà, a stelo corto o lungo. Non ha un bulbo molto ingrossato alla base, mentre l’intero stelo cilindrico, bianco o verdastro, costituito dalle foglie inguainate una dentro l’altra, è la parte che viene consumata fresca. Ma si può anche cuocere, utilizzato nella preparazione di basi di cottura, i classici soffritti, oppure come ingrediente profumato di tradizionali minestre e zuppe. Dalle proprietà diuretiche, è ortaggio molto ricco di vitamine, ferro e acqua – più del 90% –, risultando veramente poco calorico. E se la concentrazione di potassio è molto elevata, quella di sodio è piuttosto bassa, fatto che gli conferisce proprietà diuretiche naturali. Efficacissima sarà in questo senso la sua acqua di cottura leggermente salata. Inoltre i porri costituiscono un eccellente lassativo, delicato e non aggressivo, adatto agli organismi più sensibili. Il suo sapore piccante è dovuto alla presenza di oli volatili simili a quelli dell’aglio, anche se in concentrazione minore. Tradizione vuole che sia efficace contro le pun-


Coltiviamoli così Piuttosto semplici da coltivare, i porri non amano i climi umidi e piovosi. Resistono invece molto bene al freddo. Ora è il momento della semina, con la Luna calante, per le varietà estivo/autunnali, mentre quelle seminate a gennaio si raccolgono da maggio a luglio. Infine, una semina a maggio darà buoni raccolti per l’autunno e l’inverno. I vasi e il terriccio Il porro cresce bene nei climi temperati ed ha una buona resistenza al freddo. Preferisce terreni, o terriccio, leggeri, ben drenati, ricchi di sostanza organica e freschi. Da evitare soprattutto i ristagni d’acqua. I contenitori devono essere piuttosto profondi, per permettere alla pianta di svilupparsi. La semina Si fa in semenzaio in varie epoche, ma in genere a primavera, oppure direttamente in vaso fino a luglio, con seme appena interrato, a file distanti

20-25 cm, cercando di evitare la necessità del diradamento. La semina va preferibilmente effettuata con luna calante. Le piantine di porro si trapiantano, sempre in calante, in primavera, quando hanno raggiunto un’altezza di 15 cm e un diametro di circa 8 mm, spuntando le radici a 1 cm e interrando bene il colletto. Se necessario in seguito si fanno opportune irrigazioni. Successive rincalzature di terra possono essere utili per far imbianchire i bulbi e renderli più bianchi e teneri. Punti deboli Gli attacchi di funghi come la peronospora sono favoriti da eccessiva umidità e irrigazione, nonché da concimazione azotata troppo abbondante. Gli insetti dannosi come i ditteri (mosca della cipolla), le cui larve scavano gallerie nel bulbo, si combattono con la distribuzione superficiale di cenere, fosfati in polvere o farina di diatomee intorno alle piante, oltre che con le consociazioni.

Flan di porri con salsa al Castelmagno

Fiorisce in questo mese la mimosa – Acacia dealbata – che cresce bene anche in vaso se proporzionato e se dotato di un buon drenaggio. È necessario però rinvasare o rinnovare il terriccio ogni due anni. La concimazione va effettuata ogni anno alla fine della fioritura con concime a lenta cessione. È possibile posizionarla anche in veranda o in un ambiente semiaperto e poco riscaldato. Si può propagare per talea a primavera dopo la fioritura. In Italia si coltivano due varietà di mimosa, la Tournaire precoce e la Gauloise più tardiva. Poi c’è la varietà Mirandole che fiorisce a gennaio.

Ingredienti: 250 gr di porri 250 gr di besciamella 100 gr di formaggio Castelmagno 100 gr di panna da cucina 50 gr di burro, 1 uovo sale, pepe

di Giovanni Romeo

Raccolta e conservazione La raccolta può essere scalare per il consumo domestico, e avviene a circa 3 mesi dal trapianto, quando i fusti raggiungono il massimo ingrossamento, ma può avvenire in qualsiasi stadio della crescita. Può iniziare a maggio e, se le semine sono state scalari, proseguire per tutto l’anno. In ambienti adatti si può conservare per periodi relativamente lunghi, ma la cosa migliore è conservarli in terra fino al momento dell’uso.

La mimosa, messaggera di primavera

Cuciniamoli così

Procedimento: Togliere la parte verde dai porri, lavarli e lessarli per 5 minuti. Scolarli, tritarli e farli insaporire in padella con il burro, quindi salarli e peparli leggermente, cuocere per qualche minuto fino ad asciugarli. Togliere il tegame dal fuoco, aggiungere la besciamella, il formaggio grattugiato e l’uovo. Mescolare bene e versare il composto in stampini unti e spolverizzati col pangrattato. Infornare mettendo gli stampini in una teglia riempita a metà con acqua e cuocere per 40 minuti a 160°. Unire al Castelmagno, tritato grossolanamente, una noce di burro, la panna da cucina e cuocere a fuoco lento in una pentola mescolando con un cucchiaio di legno fino a ottenere una crema morbida. Se durante la cottura la salsa dovesse risultare troppo densa, è possibile allungarla con un po’ di latte. Servire i flan accompagnati con un po’ di salsa e guarnire con del porro tagliato a julienne e fritto.

Buono a sapersi Il porro è un compagno ideale per le carote, che difende dai parassiti, e per le piante di fragola. Nell’orto si consocia spesso anche con i finocchi e le insalate, mente è sconsigliata la consociazione con cavoli e fagioli. È essenziale evitare di ripiantare il porro sullo stesso appezzamento per stagioni ripetute, ed è preferibile attendere anche 3-4 anni. Inoltre non bisogna farlo seguire a cavoli e patate.

ture d’ape: basterà tagliare a metà un tubero e strofinarlo sul ponfo finché il dolore scomparirà. Dal nord al sud Ortaggio per tutte le stagioni, il porro entra nelle insalate primaverili, nelle calde zuppe invernali o anche in quelle estive, come la zuppa fredda vichyssoise, un classico della cucina francese. Ma ci sono anche altri modi di cucinarlo, che seguono i vari mesi dell’anno, dato che del porro esistono varietà estive, autunnali e invernali. Nel cestino dell’estate trovano posto, con le loro belle dimensioni, le varietà Elefante, la Giallo grosso d’estate e la Giallo grosso di Poitou. A consumo invernale, di eccellente qualità è invece la Carentan, così come la Gigante d’Italia e la Gigante d’inverno, entrambe grandi e sostanziose. In Italia, i principali centri di produzione sono Cuneo, Chivasso, Milano, Verona, Forlì. Nel centro-sud vanno ricordate invece Ascoli Piceno e Napoli. marzo 2013

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food news

di Claudia Dagrada

Risolto il giallo del biscotto! Sembra la trama di un romanzo, ma non lo è: la notte del 20 gennaio è stato rubato ad Hannover il biscotto d’oro che campeggiava da almeno cento anni sulla facciata della Bahlsen, storica azienda pasticcera tedesca. Impresa non facile, visto che il biscotto, in bronzo ricoperto d’oro, pesava 20 kg e si trovava a 5 m di altezza. Dopo settimane di trepidante attesa e di indagini (e una quanto mai bizzarra lettera ricattatoria), la scultura è stata ritrovata appesa a una statua equestre fuori dalla città. Che si tratti di una fantasiosa trovata pubblicitaria in tempo di crisi?

Un nuovo re sul trono di cioccolato Tanti i premi assegnati nel corso dei “campionati italiani della dolcezza” tenutisi in occasione della scorsa edizione di Sigep (Salone della Gelateria, Pasticceria e Panificazione artigianali) e A.B.Tech Expo (Salone delle Tecnologie e Prodotti per Panificazione, Pasticceria e Dolciario) tenutesi a Rimini lo scorso gennaio. Su tutti, segnaliamo quello a Davide Comaschi della pasticceria Martesana di Milano, proclamato vincitore del Campionato Italiano di Cioccolateria. Sarà quindi lui a portare alta la bandiera tricolore alla finalissima internazionale del World Chocolate Masters, in programma a Parigi a ottobre. A lui è andata anche la medaglia d’argento della Presidenza della Repubblica Italiana che dal 2011 accredita ufficialmente il Campionato Italiano di Cioccolateria.

Pronti per lo scratch food? Gli inglesi ne vanno matti. Si chiamano Scratch Meals e sono kit a prova di imbranato, con all’interno ingredienti freschi già tagliati, divisi e pesati, e poche istruzioni per trasformarli in un buon pasto in 10-15 minuti. Un’ottima soluzione per chi desideri il gusto di un piatto fresco appena preparato con i tempi di una classico precotto riscaldato al microonde. L’idea è venuta a uno studente londinese, Phil Pinnel, che con due amici ha creato il brand approdato con successo nella catena di supermercati Sainsbury. Il box che ha salvato i pranzi di tanti inglesi sta per sbarcare anche in Italia, ma il successo sarà lo stesso?

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Frutta e verdura, da ranocchie a principesse

La festa al maiale, come una volta Capacità di innovare e innovarsi, proteggendo la qualità che ha reso il prosciutto di Parma un’eccellenza del made in Italy famosa nel mondo, e cogliere le opportunità date dall’internazionalizzazione dei mercati. Questo è lo scenario delineato in occasione della tavola rotonda dedicata alla filiera produttiva del prosciutto di Parma e alle sue prospettive, organizzata in occasione della festa in casa Galloni (a Langhirano, Pr) dedicata al “sacrificio del maiale”, un appuntamento giovane (è alla terza edizione) ma che fa rivivere una secolare tradizione italiana ai tanti amanti della produzione aziendale che in questa occasione hanno potuto non solo gustarne le prelibatezze ma assistere anche alla loro produzione e scoprirne i segreti, in un’atmosfera di festa. Se la cosa vi stuzzica non perdere l’appuntamento del 2014! www.galloniprosciutto.it

In un momento in cui la lotta agli sprechi fa tendenza, due ingegnose ex designer tedesche recuperano frutta e verdura scartate da supermercati e ristoranti, per le loro dimensioni inadeguate o la forma sgradevole, e le trasformano in piatti sfiziosi. È questa la filosofia che sta alla base di Culinary Misfits, originale servizio di catering che elabora gli alimenti ritenuti inadatti (misfit, per l’appunto) per offrire pietanze gustose e rispettose della distribuzione a chilometro zero. http://culinarymisfits.de


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italiafoodwine Il mercato giusto

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In Viaggio In Viaggio 88 96

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88 Il turismo ecosostenibile

96 Le isole Eolie

Marzo è il mese adatto

Voglia di verde e di natura: anche in vacanza ormai è una

per godersi il lato più cool

regola.

e gustoso delle

E i territori si adeguano

92 L’Italia in mostra: Ferrara

del

Tirreno

7 perle

da pag. 100 Rubriche

• Città in 24 ore • Viaggi per tutte le tasche

Raffinata e misteriosa, la Amsterdam d’Italia festeggia il centenario del regista

Antonioni

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inviaggiotendenze

Viaggiatori, secondo natura

Voglia di verde, di itinerari e destinazioni sostenibili: anche in vacanza questa è diventata la regola. E i territori si adeguano, declinando l’offerta turistica secondo le nuove esigenze, con servizi a impatto zero, accessibilità allargata e tutela del paesaggio. Dall’Emilia-Romagna fino in Calabria, seguiamo le rotte del turismo alternativo e accessibile di Isa Grassano e Lucrezia Argentiero

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Basta con gli sprechi, i lussi e i comfort consumistici! C’è una nuova generazione di viaggiatori che preferisce decisamente i rumori e i ritmi della natura. Lo conferma l’Osservatorio della Borsa Internazionale delTurismo, le cui recenti rilevazioni mostrano come il turismo ecosostenibile rappresenti un segmento in netta crescita. In Italia, secondo un’indagine di Coldiretti in collaborazione con il Touring Club, solo nel 2012 il settore ha raggiunto il valore record di 11 miliardi. In pratica ogni anno, 100 milioni di persone visitano gli 871 parchi, oasi e aree protette che coprono il 10% della penisola.


In apertura: il Castelir Suite Hotel, uno degli 11 gioielli di Trentino Charme in Val di Fiemme. A destra la spiaggia Tamerici di Cesenatico e il B&b il Richiamo del Bosco nel Parco Regionale Boschi di Carrega

Le strutture eco Sono sempre di più le strutture che pensano ecologico. Il Richiamo del Bosco, immerso nel Parco Regionale Boschi di Carrega, è una struttura progettata per essere in perfetta armonia con l’ambiente. Ha il riscaldamento alimentato con pannelli solari termici; caldaia a legna e caldaia a condensazione. Il tetto è coibentato con lana di roccia e le enormi finestre sono a elevata efficienza energetica. I mobili sono di recupero. Quelli del bagno sono stati creati con vecchie casse di vino, gli specchi incorniciati da persiane in disuso, un letto realizzato con legni secchi trovati nel bosco. Costruito in legno ecologico secondo i criteri bio e certificato ecolabel, anche il Castelir Suite Hotel di Panchià, uno degli 11 gioielli di Trentino Charme in Val di Fiemme (www.trentinocharme. it/castelirsuitehotel). A Milano ha da poco inaugurato il Magna Pars Suite, all’interno di quella che era la vecchia fabbrica di profumi della famiglia Martone (www.magnaparssuitesmilano.it). La struttura è in legno, acciaio e cristallo e ospita ventotto suite: oltre l’80% dell’energia arriva da fonti geotermiche e fotovoltaiche. Ci sono poi una serie di piccole strutture ricettive a conduzione familiare che hanno un occhio di riguardo all’ambiente, tutte segnalate dal portale www.ecobb.it

Da dove vengono i colori… E dunque, partiamo dalle Marche. Una terra che ha 90 mila ettari ricoperti da parchi e zone protette. Un esempio illuminante dell’offerta turistico-ecologica, nella zona di PesaroUrbino, è il Museo dei Colori Naturali ospitato negli spazi del chiostro dell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Lamoli, frazione di Borgo Pace: un percorso sulla storia dei colori naturali attraverso documenti d’archivio, un erbario dedicato alle principali essenze tintorie e un laboratorio di ricerca per l’estrazione dei pigmenti vegetali da fiori, bacche, foglie e radici. Il territorio marchigiano si caratterizza

anche per le numerose manifestazioni dedicate alle tematiche ecologiche. Tra queste il Festival della Sostenibilità a Borgo Futuro, Ripe San Ginesio, borgo medievale in provincia di Macerata, che produce il 50% di energie elettrica tramite il fotovoltaico, e festeggia la sua vocazione green ai primi di luglio.

Viaggi esperienziali? Meglio in treno La Romagna, da parte sua, non resta a guardare: dal 25 maggio al 2 giugno Bologna ospita infatti Itacà, migranti e viaggiatori – Festival del Turismo Responsabile. Gli eventi che animano la manifestazione sono pensati come momenti

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inviaggiotendenze

Tutto in un box Si chiama Equotube il turismo responsabile in cofanetto. Un’idea nuova che permette di regalare un viaggio, nel pieno rispetto dell’ambiente e secondo i dettami della sostenibilità in vacanza. Come? Proponendo strutture che prestano attenzione a tutti quei dettagli che permettono di risparmiare energia, di non inquinare, di fare una vacanza green a 360 gradi. www.equotube.it

In questa pagina, il Bagno Giulia di Riccione, con i suoi pannelli solari, in alto, e i giochi per i più piccoli realizzati con materiali ecologici, sotto

A livello internazionale, un forte impulso è arrivato dalla Carta Europea del Turismo Sostenibile. Tra i paesi più attivi in ambito di offerte green, si distinguono quelli scandinavi; e ancora la Libia e il Bangladesh per le loro coste e l’Argentina per i parchi naturali 90

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d’incontro per riflettere in chiave critica sul concetto di viaggio e ospitalità, sulle migrazioni e la cittadinanza globale. Attraverso visite guidate, dibattiti, presentazione di libri, pranzi a Km 0 e cene esperienziali, concorsi, mostre e concerti, Itacà mira a fa riflettere sull’idea del viaggio non solo come svago, ma come esperienza. Dedicati allo “scoprire camminando” ci sono poi vari itinerari promossi da Walden viaggi o da il Vagabondo. L’Emilia-Romagna vanta, inoltre, il più alto numero di spiagge eco: sono circa 40 fra Riccione, Rimini, Viserba, Cattolica, Cesenatico e Marina Romea i bagni che hanno aderito al progetto EcoSpiagge. In questi stabilimenti tutto è green: dagli impianti fotovoltaici alla raccolta differenziata, dai pannelli solari agli impianti per il recupero dell’acqua delle docce per innaffiare le piante. Ai turisti che arrivano in Riviera in treno, aereo o autobus (cioè con mezzi a minore impatto ambientale) viene dato inoltre un premio (un kit di economizzatori idrici per rubinetti o due lampade a basso consumo, ma dietro noleggio di ombrelloni e brandine per un minimo di 30 euro).

Porte aperte alla natura In Abruzzo invece, la riserva di San Venanzio, nel comune di Raiano, sta lavorando al primo percorso sensoriale che sarà pronto entro maggio e, assieme alla riserva di Villalago, Avezzano e Anversa, si sta muovendo per ottenere la certificazione di qualità. In Calabria, il


Impara l’arte e… Sbarca in Italia Tribewanted, la community online globale dedicata allo sviluppo di comunità sostenibili per ecoturismo. Dopo il primo progetto sull’isola di Vorovoro, nelle Fiji, il secondo sulla spiaggia di John Obey in Sierra Leone, si prepara a lanciare (il 21 marzo), in Italia, la comunità di Monestevole, vicino a Umbertide (Pg): fondata dal britannico Ben Keene e dall’italiano Filippo Bozotti punta alla realizzazione di dieci comunità eco-sostenibili nel mondo, una per ogni nuovi mille soci. Durante il soggiorno nelle comunità i tribemembers potranno compiere importanti esperienze di sostenibilità (dalla bioedilizia, alla permacultura, dal riciclo delle acque alla generazione di energia verde) che permetteranno a ognuno di portare con sé e replicare a casa buone pratiche di vita sostenibile. www.tribewanted.com

Parco Nazionale della Sila si è impegnato a garantire l’arricchimento esperienziale e cognitivo anche ai soggetti più svantaggiati. Grande attenzione viene prestata ai sentieri didattici e alle strutture di accoglienza, accessibili anche ai disabili. Fra le azioni di “turismo accessibile” attuate, l’accessibilità garantita ai portatori di handicap al percorso che porta ai Giganti della Sila (la riserva popolata da maestosi pini larici ultracentenari) e all’orto botanico nel Centro Visita Cupone, oltre che percorsi pedonali guidati per non vedenti.

Benessere sostenibile Tra le tendenze emergenti si segnala infine l’eco-wellness. Le spa, infatti, sono sempre più “amiche dell’ambiente”. Molti centri benessere, per diminuire l’impatto ambientale riciclano l’acqua, traggono l’energia da fonti rinnovabili e, in più, massaggi e trattamenti estetici vengono eseguiti con prodotti 100% naturali. E i clienti in camera, non mancano di trovare una “carta verde” che suggerisce come contribuire al rispetto dell’ambiente.

L’Emilia-Romagna vanta il più alto numero di spiagge eco: sono circa 40 fra Riccione, Rimini, Viserba, Cattolica, Cesenatico e Marina Romea i bagni che hanno aderito al progetto EcoSpiagge

A destra, il Castelir Suite Hotel di Panchià, costruito in legno ecologico secondo criteri di bioedilizia e certificato ecolabel

Per saperne di più: www.waldenviaggiapiedi.it www.festivalitaca.net www.ilvagabondo.org www.ecospiagge.it www.ambientevita.it www.parcosila.it www.ilrichiamodelbosco.it

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Lo sguardo di Antonioni su Ferrara di Silvana Delfuoco

Ferrara

Emilia Romagna

Aristocratica, metafisica, misteriosa. L’Amsterdam d’Italia – c’è il fiume sì, ma soprattutto ci sono bici e ciclisti, vezzeggiati come raramente da noi accade – ha dato i natali al Michelangelo del cinema nostrano, che lo scorso settembre avrebbe compiuto 100 anni. La città lo celebra con una lunga serie di iniziative e una mostra al Palazzo dei Diamanti Di Ferrara si dice che sia l’Amsterdam italiana. E certo alla capitale nordica l’unisce, oltre all’uso quotidiano delle due ruote, anche il legame con il mondo dell’acqua, ancora testimoniato dal Po di Volano, un tempo principale ramo deltizio, che l’attraversa nella zona sud. Ma il rapporto di Ferrara con il fiume è in realtà molto più viscerale. Basta infatti osservare la struttura della città medievale, rimasta lineare lungo quella che un tempo era la riva del Po con il suo porto fluviale, oggi interrato così come pure le numerose vie d’acqua che ancora scorrono sotto il tessuto

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urbano. Una di queste, il canale Panfilio sulla cui copertura oggi passa viale Cavour, serviva alla corte estense per raggiungere, dal fossato intorno al Castello, i giardini e le “delizie” esterne alla città. Aristocratica e metafisica al tempo stesso, Ferrara trova una delle sue forse più felici rappresentazioni nel quadro Le Muse inquietanti dipinto da De Chirico nel 1917, dove l’inconfondibile sagoma del Castello Estense si staglia netta sullo sfondo. Rimpianto per una vita di corte perduta e irraggiungibile – il dominio degli Estensi durò tre secoli e rese la città fiorentissima – o accenno al lato


Lucrezia Borgia e la salama da sugo

oscuro del potere, spesso teatro di insondabili misteri? Non dimentichiamo che nelle sue segrete si consumò il dramma di amore e di morte tra Ugo, figlio illegittimo di Niccolò III d’Este, e la sua giovane matrigna, Parisina la bella. E che di Ferrara, ancora oggi, non si riesce a decifrare nemmeno l’origine del nome…

Hai voluto la bicicletta? In una città ancora a misura d’uomo ci si riappropria senza sforzo di ritmi più lenti, quelli

suggeriti qui a Ferrara da ben collaudati itinerari turistici. Come i 9 km di mura cittadine, che, da corso Ercole I d’Este, collegano la centralissima piazza Castello con il Delta del Po, percorribili soltanto a piedi o in bicicletta. Una volta arrivati fin lì, ci si può spingere, sempre greenways, alla scoperta dei dintorni. Ci sono i paesaggi nati dalla Grande Bonifica, con l’Oasi delle Anse Vallive di Ostellato dove vivono aironi e trampolieri tra canneti, ninfee bianche e gialle e fiori di giunchi. Ci sono segnalati per-

Nessun mistero, invece, nei piatti della tradizione ferrarese, nobilitata dalla presenza nelle cucine della corte da scalchi – come al tempo venivano chiamati i cuochi – del calibro di Cristoforo da Messisbugo e di Cristoforo da Zeffirano, creatore nientemeno che delle tagliatelle. Si racconta che l’idea gli venne per celebrare i biondi capelli di Lucrezia Borgia, andata sposa nel 1503 ad Alfonso d’Este, così come fu a un altro ingegnoso scalco, al servizio di Messer Giglio, che si deve l’invenzione della ciupèta, il pane ritorto noto come “coppia ferrarese”, per un pranzo in onore dei Duchi durante il carnevale del 1536. E alle ricette di corte probabilmente risale anche la tradizionale salama da sugo, arricchita da vino e spezie, e il dolce pampepato, nato dalla pazienza delle monache clarisse del convento del Corpus Domini, che degli Estensi ancora oggi custodiscono le tombe. Ma anche la fantasia popolare ha dato alla storia della cucina il suo vivace contributo. Basta ricordare i pinzìn, piccole sfoglie di farina, acqua e lievito, fritte al momento e servite con i salumi; o la mariconda, una sorta di polenta arricchita da fagioli e, potendoselo permettere, anche da pezzi di cotechino. E poi non si può dimenticare la fondamentale presenza in città della numerosa comunità ebraica, a cui si devono i succulenti salami e prosciutti d’oca, e che nell’uso della zucca, la barucca della tradizione khoser, ha trovato con la città, da cui per secoli l’hanno separata i cancelli del Ghetto, un sostanziale, ma soprattutto sostanzioso, punto d’accordo. marzo 2013

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l’italiainmostra

Scelti per voi dove mangiare Zafferano Nel cuore della città medievale, in un elegante palazzo del ’400, piatti di terra e di mare. Prezzo medio: 55 euro senza vini Via Fondobachetto, 2/a – Ferrara Tel. 0532.763492 www.zafferanoristorante.it Il Cucco Piatti della tradizione e selezionati Lambruschi. Prezzo medio: 30 euro senza vini Via Voltacasotto, 3 – Ferrara Tel. 0532.760026 www.trattoriailcucco.it L’Antico Giardino Nella quiete della campagna estense, una cucina di tradizione appena rivisitata. Prezzo medio: 55 euro senza vini Via Carlo Martelli, 28 – Loc. Ravalle (Fe) Tel. 0532.412587 www.ristoranteanticogiardino.com

dove dormire Duchessa Isabella Un prestigioso cinque stelle in una dimora del 1500 con parco interno. Doppia da 299 euro Via Palestro, 70 – Ferrara Tel. 0532.202121 www.duchessaisabella.it Hotel Europa Vanta una storia antica e tradizioni di accoglienza questo centrale tre stelle super con parcheggio interno. Doppia da 140 euro Corso della Giovecca, 49 – Ferrara Tel. 0532.205456 www.hoteleuropaferrara.com Corte dei Gioghi Appena fuori città, una cascina dell’800 dove si producono anche marmellate biologiche. Doppia da 100 euro Via Pellegrina, 8/a Tel. 0532.745049 www.cortedeigioghi.com

dove comprare Marchetti Storico riferimento per gourmet. Imperdibili la Salama da sugo e le Zie, salami crudi agliati. Ma anche i ciccioli, la coppa, la pancetta… Via Cortevecchia, 35/37 – Ferrara Tel. 0532.2204800

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corsi gastronomici che si snodano tra le risaie e i frutteti, ma anche tra i vigneti delle Dune Sabbiose del Delta e dei Dossi del Bosco Eliceo, dove nasce il nettare che, si dice, già deliziasse gli antichi padri Etruschi. Tra il Delta e il mare, infine, quasi disegnata sull’acqua, c’è Comacchio, il posto delle anguille, imperdibile meta per una gita romantica. E poi c’è il ritorno a Ferrara, con le due città, quella medievale e quella rinascimentale, ancora ben delineate; con il Ghetto ebraico, tra i più famosi in Europa, immortalato sulle pagine di Bassani; e con ancora tanto da scoprire… Lo sapevate, per esempio, che il più trecentesco degli edifici ferraresi, il Palazzo del Comune dirimpetto alla grandiosa Cattedrale – questa sì autentico capolavoro del 1135 con tanto di firma del maestro Nicolaus – è in realtà un perfetto “falso d’autore”? Fu costruito negli anni ’20 del secolo scorso dagli architetti Santini in seguito a un concorso nazionale. Ma è così ben riuscito che nessuno ci vuol credere. Neanche i ferraresi. Per saperne di più: www.ferraraterraeacqua.it

Ho avuto per maestri i miei occhi Avrebbe compiuto cent’anni lo scorso 29 settembre Michelangelo Antonioni, che a Ferrara era nato e che qui si era formato come uomo e come artista “cominciando a capire il mondo attraverso l’immagine” come lui stesso ha lasciato scritto. La sua città, erede di un prezioso patrimonio di opere, oggetti e documenti relativi alla sua vita e al suo lavoro, ha scelto di ricordare l’evento con un ricco calendario di celebrazioni culminanti in una grande mostra, allestita non a caso in quella singolare meraviglia architettonica che è il rinascimentale Palazzo dei Diamanti. Ordinato in undici sezioni tematico-cronologiche, il percorso espositivo tenterà un’indagine sulla parabola creativa di Antonioni; leit-motiv dell’esposizione le contrapposizioni di cui si è alimentata la sua poetica: bianco e nero e colore; la bellezza notturna della Bosè e la solarità della Vitti; le nebbie della nativa pianura padana e i deserti aridi e polverosi della maturità... 10 marzo – 9 giugno Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti Palazzo dei Diamanti Corso Ercole I d’Este, 21 – Ferrara www.palazzodiamanti.it


Therasia Resort Vulcano - Isole Eolie tel 090 9852555 info@therasiaresort.it www.therasiaresort.it


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“Dolce vita” nelle terre di Eolo di Piero Caltrin

Ce n’è per tutti. Per chi ama i tramonti e i panorami da ammirare seduti sulla riva, e per chi non rinuncia a un cocktail bordo piscina degustando finger food. Visitare l’arcipelago eoliano, sospeso tra Calabria e Sicilia, e farlo in primavera, significa godersi in tranquillità le sue meraviglie e poterne conoscere davvero abitanti, abitudini e segreti 96

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Sette. Come i colori dell’arcobaleno, come le virtù. E come i peccati capitali. Sette isole di origine vulcanica dalla storia millenaria, a riempire uno specchio d’acqua che da Capo Vaticano in Calabria arriva fino a Cefalù, sulla costa tirrenica della Sicilia. Le chiamano Eolie, dal nome del mitologico dio del vento che, leggenda vuole, le ha plasmate e addolcite. Sette isole, ognuna diversa dall’altra per caratteristiche, morfologia, rilievi montuosi, villaggi e abitudini degli abitanti. Basta spostarsi di poche miglia, da una terra emersa all’altra, e ogni volta sembra di entrare in una nuova dimensione, con atmosfere, profumi e colori che nulla o quasi hanno a che vedere

con quella precedente. Il primo scorcio di primavera è la stagione più adatta per gustarsi appieno, senza troppa gente intorno, lo straordinario mix di ambiente selvaggio e servizi esclusivi, di trattorie rustiche e ristoranti di alta cucina mediterranea, che queste perle del Basso Tirreno – dal 2000 patrimonio Unesco – sono in grado di offrire. E che adesso anche il turismo mondiale sta cominciando a scoprire.

L’altra movida, soft e raffinata Dovessimo dare loro un giudizio politico, diremmo che le Eolie sono assolutamente bipartisan. Ovvero perfette per chi predilige un


Marzo e aprile sono ideali per scalare lo Stromboli e ammirare i colori dell’eruzione di notte, per salire sul cratere a Vulcano, per scoprire se sul Monte Fossa delle Felci,a Salina, c’è ancora neve...

profilo low e cerca natura incontaminata e paesaggi da meditazione e altrettanto ideali per chi preferisce invece la vacanza cool, piena di comfort, piaceri e glamour mondano. Già, perché l’arcipelago siciliano non è solo tramonti solitari in riva al mare guardando i pescherecci da briose spiaggette di pietra pomice come Acquacalda e Canneto, o vedute mozzafiato sui Faraglioni da punti panoramici unici al mondo come il belvedere Quattrocchi a Lipari: le isole Eolie infatti sono anche aperitivi a bordo piscina, live music session, sushi mediterraneo per chi non vuole rinunciare alle atmosfere soft e agli ambienti esclusivi. «Questa moda è cominciata a Panarea sulla scia della movida anni ’80 e oggi si può trovare un po’ in tutte le isole, in un ambiente più intimo e rilassato», ci spiega Lorenzo Siracusano, giovane gestore dell’hotel di famiglia Ravesi nel borgo di Malfa sull’isola di Salina, la più selvatica ma (forse) anche la più ammaliante delle sette sorelle. Il suo piccolo gioiello di architettura eoliana ha una piscina a sfioro con una vista incomparabile sul mare, Panarea e Stromboli, e un prato all’inglese dove ogni sera dalle 19 si svolge l’happy hour a base di prodotti di Salina. E sempre Salina ospita un altro luogo decisamente chic anche se legato ad antiche tradizioni: ovvero la spa dell’Hotel Signum. «La nostra struttura è realizzata secondo le linee delle antiche terme eoliane, i bagni di vapore sono effettuati in una stufa termale, riproduzione di quella di San Calogero in Lipari di oltre 3.500 anni fa, e i fanghi e gli scrub sono ricavati dagli oligoelementi presenti nella nostra acqua sulfurea e nel cappero, elemento primario della nostra Isola», dice la proprietaria, Clara Rametta. Per chi ricerca poi atmosfere a cinque stelle, il Capofaro, di proprietà della famiglia Tasca Lanza, è definito un Malvasia Resort, ovvero una struttura in stile mediterraneo immerso nei vigneti del vino Tasca d’Almerita. Sull’isola di Vulcano, calda come l’odore di zolfo che impregna l’aria, il Therasia invece è paragonabile a un esclusivo relais di Cabo San Lucas con lussuose suite arredate in stile mediterraneo, pi-

scina a sfioro con vista sull’isola di Lipari e i Faraglioni e un ambiente perfetto per un aperitivo very cool.

Fuori stagione, dentro la natura Anche in tempi lontani dalla calura estiva, gli amanti del mare saranno accontentati, avendo una vasta scelta fra le piccole calette scoscese di Filicudi e le larghe e comode spiagge a Vulcano, con la possibilità di noleggiare una barca a Panarea oppure di vivere il pescatu-

Che amiate le atmosfere casalinghe o preferiate gli ambienti più esclusivi, le sette isole Eolie, ricche di proposte adatte a tutte le tasche e i gusti, sono una meta ideale di vacanza

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inviaggiotendenze

Scelti per voi dove mangiare Da Francesco Oasi di pace e genuinità grazie alla sapiente conduzione familiare e alle specialità della cucina eoliana tramandate fedelmente da tre generazioni. Prezzo medio: 35 euro Porto di Panarea (Me) Tel. 090.983023 www.dafrancescopanarea.com

Donne isolane al lavoro sulla preziosa uva locale dalla quale nasce la dolce e aromatica Malvasia delle Lipari

Riserve di buon gusto Pesce freschissimo, capperi, pomodorini, profumate spezie e vini passiti caratterizzano la cucina locale: sono presenti in ogni preparazione, dalla più semplice insalata, con l’aggiunta di patate lesse, cipolla rossa, olive verdi, fagiolini e peperoncino, a piatti più sofisticati come i calamaretti ripieni alla Malvasia o la capuliata di tonno fresco e cucinci (i frutti del cappero). «Viviamo di ricette semplici, dei prodotti del nostro orto e del pesce della nostra barca», sottolinea Maria Pia, anima della Trattoria da Francesco a Panarea – la più festaiola delle isole – ultimo baluardo di quella tipicità che a volte in questo lembo di terra è stata sopraffatta dalla mondanità esasperata. In questo minuscolo Eden si è avvolti dal profumo del basilico e della menta fresca che cresce nel vicino orto. Una piccola riserva di buon gusto che mette a disposizione dei clienti anche gradevoli camere con vista mare. Analoga accoglienza calorosa all’hotel Principe di Salina, a Malfa, dove Sara e Gaetano accolgono con specialità della cucina attinta dal mare, come i paccheri con i filetti di scorfano, pomodorini e capperi o un freschissimo carpaccio di tonno e per finire un bicchierino di Malvasia prodotta dai vigneti di proprietà.

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rismo notturno a Salina. Di tutto e di più e per tutte le tasche, insomma. Le Eolie sono bellissime anche a marzo e aprile, quando si svuotano dal turismo di massa e tornano a vivere la propria dimensione fatta di tranquillità, rapporto con gli abitanti e tante belle esperienze escursionistiche. Per esempio, questo periodo è perfetto per scalare lo Stromboli in pieno giorno, vedere il tramonto dal cratere e i colori dell’eruzione di notte dalla sciara di fuoco, salire sul cratere a Vulcano e godere di un’incomparabile vista sull’arcipelago, affittare una jeep a Salina per scoprire se sulla sommità del Monte Fossa delle Felci si può trovare ancora neve. Molte delle strutture alberghiere cominciano ad aprire proprio ai primi di marzo. Da visitare tutto l’anno invece è il suggestivo Hotel l’Ariana a Rinella (a Salina) dove dalla terrazza ci si affaccia letteralmente sull’acqua, in un ambiente che ha ispirato poeti e letterati. È romantico e struggente, nelle burrascose giornate d’inverno, vedere le onde frangersi proprio sotto la finestra della camera da letto.

Per saperne di più: www.turismoeolie.com www.regione.sicilia.it/mare

Don Piricuddu Ottima cucina a base di pesce con tanti buoni antipasti e primi piatti gustosi. Prezzo medio: 30 euro Via Lentia 33 Vulcano (Me) Tel. 090.9852424 Locanda del Barbablù Un piccolo nascondiglio fatto di buon gusto e charme. La cucina è basata sui prodotti del mare e dell’Isola con qualche piatto di ispirazione fantasiosa. Prezzo medio: 50 euro Via Vittorio Emanuele 17 Stromboli (Me) Tel. 090.986118 www.barbablu.it La Nassa Il trionfo del pesce fresco in questo rinomato ristorante che basa la sua cucina su prodotti esclusivamente eoliani. Prezzo medio: 45 euro Via G.Franza 36 Lipari (Me) Tel. 090.9811319 www.lanassa.it

dove dormire Hotel Ravesi Prezzo medio doppia: 150 euro Via Roma 66 Malfa Salina (Me) Tel. 090.9844385 www.hotelravesi.it Hotel Capofaro Prezzo medio doppia: 300 euro Via Faro, 3 Salina (Me) Tel. 090.9844330 www.capofaro.it Hotel Therasia Prezzo medio doppia: 250 euro Loc. Vulcanello, Vulcano (Me) Tel. 090.9852555 www.therasiaresort.it


HOTEL RESIDENCE


Info: Ente del turismo francese www.rendezvousenfrance.com

una città in 24 ore

Parigi in 5 tappe

“Parigi è sempre Parigi”. È il titolo di un famoso film del 1951, ma è anche il pensiero di tanti turisti che sognano (o visitano) la capitale francese. Dove non ci si stanca mai di tornare per rivedere i luoghi classici, ma anche per scoprire i nuovi quartieri di tendenza, le gallerie d’arte e gli atelier, e i nuovi volti dei musei: tanti sono i modi per amare la splendida Ville lumière! 1 - Ammirare le opere d’arte del rinnovato museo d’Orsay Dopo due anni di lavori di ristrutturazione il museo d’Orsay cambia volto. I capolavori sono presentati in spazi rinnovati con sale in parquet scuro e un’illuminazione calda e pacata che sembra quasi accarezzare le opere esposte. In mostra i capolavori degli impressionisti, come quelli di Claude Monet: si resta incantanti davanti alle cinque tele della serie dedicate alla cattedrale di Rouen. Fino al 10 marzo si può ammirare anche la prima mostra monografica di fotografie dedicata a Félix Thiollier. L’ingresso è gratuito ogni prima domenica del mese. www.musee-orsay.fr 2 - Andare per parchi e giardini Sono una buona occasione per pedalare nel verde e godere di un momento di relax. I più famosi sono i giardini degli Champs Elyseés, in stile inglese tra aiuole fiorite e piante esotiche. Li volle Maria de’ Medici che ne fece un luogo dove passeggiare di giorno e danzare di sera. Square du Vert Galant è, invece, un piccolo triangolo di verde nascosto a fil d’acqua. Per trovarlo bisogna scendere sotto il Pont Neuf, ai piedi della statua del Vert Galant, che gli dà il nome. Il più originale è invece il Jardin Atlantique, situato sul tetto della 100

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Gare Montparnasse: riproduce il mare ed è un trionfo di verde. 3 - Fare acquisti sfiziosi nei mercati Quotidiani o settimanali, specializzati o generici, i mercati rivelano un volto inatteso della capitale francese, dove conoscere le tradizioni di tutto il mondo. Il sabato la piazza davanti all’Opéra Bastille si anima con il Marché de la Création Bastille, dove vengono esposti oggetti d’arte, gioielli, abiti e tessuti. Chi ama il biologico, sempre al sabato, nell’area centrale del boulevard de Batignolles, può invece trovare un’ampia scelta di baguette e spuntini, profumi e saponi. Il mercato più celebre è infine quello delle pulci che si tiene il sabato e la domenica nella zona di St. Ouen, con i suoi vicoli stracolmi di mercanzie e antiquariato, mentre ai piedi della Tour Montparnasse, solo di domenica, da non perdere il Marché parisien de la Création, dove pittori, scultori, incisori espongono le loro opere. www.artistesparisbastille.fr www.parispuces.com www.marchecreation.com

4 - Vivere le atmosfere romantiche in luoghi insoliti Per trascorrere momenti di dolce intimità, a Parigi, non c’è solo la classica passeggiata lungo i canali della Senna. Anzi, c’è l’imbarazzo della scelta! Recatevi presso il Pont de l’Archeveché, ad esempio, che regala uno degli scorci più belli dell’Ile de la Cité: di fronte i costoloni dell’abside di Notre Dame, in basso le peniches trasformate in romantici ristoranti e sulla balaustra i lucchetti lasciati dagli innamorati (se vi venisse voglia di lasciarne uno potrete comprarlo dai bouquinistes). Il posto migliore per scambiarsi una promessa d’amore è invece il giardino di place des Abbesses, dove si trova il muro dei “Je t’Aime”: una parete ricoperta di mattonelle in cui è scritto “ti amo” in 300 lingue diverse. 5 - Esplorare il sottosuolo della metropoli È sconosciuta ai più, ma Parigi vanta una necropoli sorprendente: 2 km di ossa meticolosamente impilate nelle catacombe. L’ingresso è in place Denfert-Rochereau e si accede a 20 metri sottoterra (dopo130 gradini). In questo labirinto di tunnel e gallerie sono stati accumulati i resti di oltre 6 milioni di parigini in un’alternanza di sculture, scritte religiose e profane e mura di ossa. Tra le altre visite sottoterra c’è anche la possibilità di esplorare la cripta archeologica scavata sotto il sagrato della cattedrale di Notre Dame. Un modo per scoprire come si è evoluta la città in oltre due milioni di anni. www.catacombes.paris.fr, www.crypte.paris.fr

di Lucrezia Argentiero

L’idea in più Partire, avendo con sé la guida 101 cose da fare a Parigi almeno una volta nella vita di Sabina Ciminari (Newton Compton). Una carrellata di percorsi insoliti e curiosi tutti da scoprire e utili a vivere la città come solo i suoi abitanti sanno fare.

dove mangiare La Guinguette de Neuilly Delizioso chalet con vetrate sul verde e tovaglie a quadretti. Ideale per una colazione romantica sulla Senna. Atmosfera da autentica guinguette di campagna. Menù da 30 euro 12 boulevard Georges Seurat Ile de la Jatte Tel. (+33) 01.46242504 www.la-guinguette-de-neuilly.com Zinc Opera La tipica brasserie con piatti che seguono le stagioni. Menù da 40 euro Rue de Janovre, 8 Tel. (+33) 01.42655895 www.zinc-opera.com

dove dormire Hi-matic Si trova vicino Place de la Bastille ed è un hotel completamente automatico. Dalla prenotazione alla registrazione all’ingresso si fa tutto su internet o tramite distributori self service. In un muro di vetro sono racchiusi alcuni box contenenti kit da viaggio, libri e musica. Doppia da 125 euro, ma si trovano spesso offerte low cost. Rue De Charonne, 71 www.hi-matic.net/fr Hotel Particulier Montmartre Perfetto per una fuga romantica, ha poche deliziose camere e tanto charme. Si trova in una dimora privata circondata dal giardino e nascosta in un’impasse di Montmartre. Doppia da 300 euro Avenue Junot, 23 - pavillon D Tel. (+33) 01.53418140 www.hotel-particulier-montmartre.com

shopping Pascal Mutel Una famosa boutique floreale dove Christian Tortu realizza meravigliose composizioni che sembrano sculture di design contemporaneo. Rue de Montmartre, 140 Tel. (+33) 01.45088557 www.pascalmutel.com


viaggipertutteletasche

di Alba De Gasperis

da 70 ada8070 aeuro 80 euro Pedalando tra i vigneti Prezzo medio a notte: 70 euro Lagrein, Santa Maddalena, Pinot Bianco, Schiava, Pinot Nero e Gewurztraminer: sono queste “le tappe” imprescindibili dei tre itinerari ciclabili praticabili all year long lungo la strada del Vino dell’Alto Adige. Itinerari che danno vita allo strambo binomio vino-bici, pronto a farvi provare un’esperienza davvero originale. I quattro stelle che s’incontrano lungo la pedalata, convenzionati con l’Associazione dedicata all’iniziativa, costano intorno ai 70 euro a notte per persona. Per saperne di più: www.suedtiroler-weinstrasse.it

Un viaggio da favola Prezzo medio a notte: 80 euro

Hai voluto la bicicletta? … e adesso pedala! Lungo la Strada del Vino alto-atesina, per esempio. Oppure per le vie di Belgio e Gran Bretagna, alla ricerca di fatine ospitali o forti da conquistare. E ancora, per quelle di Milano, seguendo la scia di un insolito profumo. Per i più pigri resta invece sempre valida l’alternativa (comoda ed economica) su quattro ruote!

da 15 a 18 euro

da 15 a 18 euro Casa è dove… vuoi tu!

Un classico, on the road

Prezzo medio a notte: 15 euro

Prezzo medio a notte: 18 euro

Cercare l’appartamento ideale in tutto il mondo a prezzi davvero stracciati: ecco quel che puoi fare con Airbnb, sito che conta ben 192 paesi iscritti. Per facilitare la ricerca, qui trovi sezioni dedicate che raggruppano le diverse tipologie di casa: ad esempio nella sezione (comunissima...) “casa sull’albero” puoi trovare una simpatica sistemazione doppia a 30 euro per notte a Washougal, vicino Portland (USA). Ma ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le tasche. A tutela dell’utente, un collaudato sistema di recensioni che garantisce sulla credibilità dell’annuncio.

Se la capacità d’adattamento è quella giusta, si può considerare quella soluzione di viaggio, spesso cheap, che si muove sulle quattro ruote. Sono infatti decine i siti dedicati al noleggio del camper adatto alle proprie esigenze. I prezzi di listino seguono ovviamente le tipologie dei comfort richiesti, ma un “normale” camper da sei posti può costare circa 80 euro al giorno. Ecco allora che le destinazioni on the road del cuore, che siamo marine, montane o campagnole, diventano accessibili con poco.

Per saperne di più: www.airbnb.it

Per saperne di più: www.noleggiocamper.it

Scegliere una delle dieci camere di questo albergo significa avere le chiavi per esplorare altrettanti mondi immaginari. Che so... potreste alloggiare all’interno di un’accogliente capanna nella foresta, sentirvi padroni di un vigneto alsaziano, immergervi in una leggenda fatta di troll. O ancora, se non vi interessa dondolarvi su un quarto di luna, magari amerete scoprire i segreti del “ritorno al fuoco, all’acqua e alla terra”. Tutto questo, e molto altro, è concentrato a Durbuy in Belgio. impossibile? Vedere (il sito) per credere! Per saperne di più: www.labaladedesgnomes.be

da 230 a 250 euro

da 230 a 250 euro Una fortezza tutta da espugnare Prezzo medio a notte: 230 euro

Si chiama Spitbank ed è un hotel di lusso. Ma non solo. La struttura, edificata nel 1878 per proteggere l’Inghilterra dall’invasione di Napoleone III, è uno dei monumenti più noti della Gran Bretagna. E poi? E poi è l’unico hotel inglese a esser protetto da mura di 6 metri di spessore e a esser completamente circondato dall’acqua. Cosa aggiungere? Che per espugnare questo forte tra Portsmouth e l’isola di Wight, basta un click! Per saperne di più: www.spitbankfort.com

Profumo di benessere Prezzo medio a notte: 250 euro “The Essence of Living, il primo hotel à parfum”. Il concept di questa nuova struttura milanese è proprio ispirato al mondo della profumeria. Raccontate nei quadri e nei libri alle pareti, le essenze ispirate ad arbusti fioriti e legni attraversano dolcemente i corridoi e le suite di questo spazio polifunzionale. L’imprenditore di profumi e patron di Icr-Itf Roberto Martone, nonché fondatore e ideatore del tutto, ha scelto per la realizzazione e gestione di questo nuovo progetto solo fornitori nazionali per garantire ai suoi clienti un’ospitalità italiana al 100%. Per saperne di più: www.magnapars.it Tutti i prezzi medi sono da intendersi a persona marzo 2013

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104 I pupi siciliani

Uno sguardo sul “mondo di re e paladini” dal 2001 diventato patrimonio Unesco

108 Le mani raccontano Gigi Monti: ovvero l’anima di Basile, firma storica della moda italiana nel prêt

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artigianato

L’epopea cavalleresca dei Pupi Siciliani

È un mondo e un popolo a parte, una genia fatta di re, cavalieri e dame, di draghi e di scudieri. Ha il suo linguaggio, un gergo colorato di storia e leggenda. Ha i suoi scenari, che ci trasportano da un campo di battaglia a un castello a una valle incantata. Un mondo iscritto dal 2001 tra i Patrimoni immateriali dell’Umanità Unesco, ma che sarebbe scomparso, non fosse stato per alcuni “paladini” dell’arte di Enzo Di Monte

«Tradizionalmente l’Opera dei Pupi si faceva per i villaggi, in inverno si andava nelle borgate, d’estate nei paesini di mare, dopo la semina e il raccolto nelle campagne. Poi dagli anni Sessanta è cominciato il declino. Lo sviluppo economico ha portato la gente ad abbandonare la campagna e a spogliarsi della propria identità tradizionale per andare a vestirne una nuova. Vista la situazione, mio padre decise quindi di ridurre il repertorio a un solo spettacolo e di concentrarsi sul pubblico dei turisti», racconta Mimmo Cuticchio, puparo palermitano e fondatore dell’Associazione Figli d’Arte Cuticchio. «Mio padre ha superato guerre, fame, migrazione, disperazione ed emarginazione per portare avanti

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Nel suo teatro di Palermo, Mimmo Cuticchio, con il figlio Giacomo e i membri dell’Associazione Figli d’Arte Cuticchio, tiene viva una tradizione che ha più di duecento anni e la rinnova attualizzandola nei temi e nello spirito

i suoi progetti, e io ho sempre avuto come lui la convinzione e la consapevolezza che l’Opera dei Pupi avesse l’attenzione delle persone per bene, della gente di cultura e di chi porta la sensibilità nel proprio cuore. Ho voluto pertanto continuare a fare teatro, ma soprattutto mantenere un repertorio ricco e colorato anziché proporre sempre lo stesso spettacolo. Così nel 1971 ho deciso di staccarmi dall’attività di mio padre, mi sono costruito dei pupi e un teatrino smontabile e ho cominciato a girare per le scuole di ogni ordine e grado di Palermo e provincia. Questo mi ha permesso di continuare a vivere creativamente e soprattutto di riuscire a trasmettere alle nuove generazioni una memoria

che altrimenti sarebbe andata persa, un certo rapporto con gli antichi mestieri». Con questo spirito e con grande entusiasmo Cuticchio mantiene in vita una delle più radicate tradizioni siciliane, inserita nel 2001 dall’Unesco tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità. Racconta di Orlando e Rinaldo nelle loro vesti guerriere, prodi e valorosi cavalieri, di come divennero nemici per amore di Angelica, dama contesa tra i due paladini di Francia; di Bradamante valorosa sostenitrice della fede cristiana; di Carlo Magno, dei saraceni Falsarone e Biancardino, e di molti altri personaggi con oltre 300 episodi dove la parola chiave è “conservazione” del valore contro l’annullamento del ricordo.

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artigianato

I pupari raccontano di cavalieri che si battono contro un potere incomprensibile, e vincono. Di paladini che lottano per l’amore, la religione, la fedeltà, non per sé ma per il bene di tutti Mimmo Cuticchio non ha mai contato esattamente i suoi pupi: sono 400 solo i paladini (ai quali aggiungere saraceni, cristiani, animali...) realizzati dall’800 fino ai giorni nostri

Né burattini né marionette I pupi non hanno fili come le marionette, non sono mossi dal basso direttamente dalla mano come i burattini, ma sono animati da un sistema di sottili aste di metallo che permettono il movimentato articolato di testa, braccia, scudi e altri particolari. Con le aste i pupari li muovono sullo sfondo di scenari ingenui e colorati, al ritmo degli scudi e delle spade, portando in scena l’epica dall’Iliade e dalla Bibbia alla Chanson de Roland, ai romanzi dell’epopea cavalleresca. Ogni singola rappresentazione viene preannunciata da un cartello con la scena principale della serata, mentre il commento musicale è affidato a musicanti di mestiere, che con l’accompagnamento di un violino, un mandolino o una chitarra, su indicazione estemporanea del parlatore, eseguono brani che seguono il ritmo dell’azione scenica.

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Ma non solo, Mimmo Cuticchio ha voluto anche provare ad andare oltre e coniugare innovazione e tradizione, ergendosi a “puparo sperimentatore”. «Io vivo nella mia contemporaneità per cui non posso fare come i pupari dell’Ottocento e portare in scena esclusivamente la Chansons de Geste, l’Orlando Furioso o la Gerusalemme Liberata, o almeno non solo quelli». E così dai semi del Teatro dei Pupi e del Cunto, ha sviluppato parallelamente anche un repertorio nuovo, che dilata i propri confini per parlare in modo più diretto e con una chiave diversa al pubblico moderno. Due stili che possono convivere in modo eclettico in uno stesso puparo a cavallo tra la tradizione e l’avanguardia del linguaggio d’oggi. Nel teatro di via Bara all’Olivella, a Palermo, Mimmo, con suo figlio Giacomo e altri collaboratori facenti parte dell’Associazione Figli d’Arte Cuticchio, continua a tener viva una tradizione che ormai ha più di duecento anni e la rinnova dandole uno spirito e un’interpretazione attuale. E così con 8 euro, prezzo del biglietto, è possibile assistere alle storie dei paladini, toc-

carli con mano direttamente nel laboratorio dove sono nati e dove vengono riparati quelli logorati dall’utilizzo. Se ne possono osservare davvero moltissimi, forse una delle collezioni più complete e impressionanti per numero, «in realtà non li abbiamo mai contati, anche se quelli che ha lasciato mio padre sono stati tutti fotografati; 400 paladini, più i pupi nuovi, un migliaio fra saraceni, cristiani, paggi, animali. Mio padre ne avrà lasciati due-trecento, alcuni sono della seconda metà dell’800, altri di inizio ’900, e particolari sono anche i fondali antichi dell’ottocento. Poi i miei fratelli ne hanno altri e molti sono quelli nuovi nati dalla mia bottega e dai miei pensieri, forse in tutto almeno 2 mila e anche più. Ai visitatori vengono mostrati, spiegando le differenze fra i pupi antichi e quelli nuovi. Insomma, anche se siamo a livello familiare, il nostro tesoro lo mettiamo in mostra e dal 1997 abbiamo aperto una scuola internazionale dove insegniamo, ad esempio, a costruire e manovrare i pupi, a scrivere canovacci e realizzare la messa in scena. Facciamo tutto questo perché non voglia-


Per saperne di più: Museo dell’Opera dei Pupi Siciliani delle Madonie www.mopsmadonie.it Associazione Figli d’Arte Cuticchio www.figlidartecuticchio.com

mo che il patrimonio culturale vada perduto. Sia io che mio figlio Giacomo, a cui ho trasferito la mia passione e il mio orgoglio, siamo d’accordo sul fatto che la mentalità del segreto, del non voler condividere quest’arte, in realtà porterebbe alla morte di tutto quello per cui abbiamo dato la nostra anima». Mimmo Cuticchio è anche autore di diversi volumi dedicati a questo mondo.Tra le letture consigliate, possiamo citare La nuova vita di un mestiere antico. Il viaggio con l’Opera dei Pupi e il Cunto (Liguori) e Aladino di tutti i colori. Da una fiaba delle mille e una notte (Arianna).

Storia, epopea e tradizione Espressione splendente di quello spirito epico, eroico e cavalleresco, che va dalla Chanson de Geste medievale ai grandi poemi del Boiardo e dell’Ariosto, a tutta una tradizione letteraria, musicale e figurativa, i pupi sono per tradizione le caratteristiche marionette armate di quel teatro popolare che, venuto probabilmente dalla Spagna di Don Chisciotte, operò a Napoli e a Roma prima, ma soprattutto, dalla metà dell’Ottocento, in Sicilia, dove raggiunse il suo massimo sviluppo. Con i pupi possiamo aprirci un varco verso quel po’ di libertà che si può conseguire nella recita “a soggetto” del sacro destino, e affrontare il pathos dell’esistenza seguendo l’idea pirandelliana secondo cui siamo tutti pupi, marionette, burattini, maschere, ombre, animati dall’onnipotente Spirito Divino presente nel cuore di tutti gli esseri, e che tutti fa muovere al ritmo incalzante del tempo. I pupari raccontano le loro storie improvvisando e recitando. Raccontano come si raccontava una volta, quando il narratore parlava in un cerchio di occhi sgranati e credeva anche lui nella sua favola. Raccontano storie di ribelli e favole di cavalieri che si battono contro un potere prepotente e incomprensibile che in qualche modo riescono a vincere. Raccontano

una favola siciliana dove i paladini sono nobili protagonisti, nobili non perché conti o baroni ma perché loro, almeno loro, non combattono per sé ma per cause comuni e per il bene dei più deboli. I paladini combattono per la religione, per l’amore, per la gloria, per la fedeltà, non certo per diventare ricchi e potenti. Forse per questo oggi la loro favola appare una rivisitazione nostalgica di un passato teatrale, incerto tra folklore e cultura, e forse per questo il Teatro dei Pupi è ancora considerato a pieno titolo vero teatro. In esso gli attori si confondono con i personaggi perché non ne indossano fisicamente i panni e la maschera, perché non occupano in prima persona la scena, non avanzano alla ribalta per sovrastarne il carattere, ma ne incarnano l’animo e lo spirito più profondo. I pupari oggi, non sono soltanto ostinati cultori di una tradizione familiare, ma sono soprattutto gli eredi e i continuatori di una grande avventura artistica, affascinante e scandita dal caldo ritmo di coinvolgenti parole, movimenti, immagini, suoni. E sono autori e attori, scenografi e costumisti, tecnici delle luci e musicisti, impresari e macchinisti. Sono protagonisti di uno spettacolo che nasce con spontanea immediatezza dal contatto con un pubblico partecipe che affascinato, a bocca aperta, si immerge in mondi lontani.

Prima al seguito del padre, puparo anch’egli, nel 1971 Mimmo Cuticchio decide di intraprendere un’attività propria, costruendosi dei pupi e un teatrino smontabile e cominciando a girare per le scuole di Palermo e provincia. Dal 1997 inoltre, Mimmo, con il figlio Giacomo, ha aperto una scuola internazionale dove insegna l’antica arte dell’Opera dei Pupi

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lemaniraccontano

In apertura: un bel ritratto di un giovane Gigi Monti

Quando era un ragazzo, Gigi Monti, sapeva già di volere fare moda. Dopo aver lavorato per un periodo in un’azienda di tessuti, aveva fondato una nuova formula di vendita che concentrava in un prestigioso show room di via della Spiga, a Milano, le più belle griffe del momento, per la distribuzione della moda italiana nel mondo. Tra i suoi clienti aveva persino Franca Versace, mamma di Gianni. Anzi fu proprio lei a proporre il figlio, dando il la a una collaborazione strettissima proprio con Gianni Versace per seguire insieme le collezioni di Genny, Complice e Callaghan, senza però che venisse mai meno in Gigi Monti la voglia di mettersi in proprio. Così quando Remo Basile mise in vendita il suo laboratorio, già attivo nel dopoguerra e famoso per il prêt à porter italiano realizzato industrialmente con taglio sartoriale e con una particolare attenzione alla scelta dei tessuti, Monti, eclettico, creativo e sempre lungimirante, non si lasciò sfuggire l’occasione.

Gigi Monti l’anima di Basile di Maria Grilli

È fatta di tessuti morbidi, leggeri e versatili la collezione che segna il rilancio della storica firma della moda italiana nel prêt à porter. È un ritorno a radici fatte di bello, ben fatto, competenza e professionalità, quello fortemente voluto dal suo ideatore che, carta e matita alla mano, ci racconta come nascono le sue collezioni e quali sono i suoi sogni per il futuro della maison e del made in Italy 108

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Viaggiando, si crea I successi non tardano ad arrivare e il logo della “B con la foglia” si afferma a livello mondiale. Oggi, instancabile, Monti non rinuncia a creare, con carta e matita sempre a portata di mano per buttar giù, in qualunque momento, gli schizzi di quello che diventerà il progetto di una nuova linea. Molte delle sue idee vengono in viaggio. «Amo viaggiare – ci racconta – soprattutto in Asia e Africa. Ci sono stato già tante volte, ma ogni volta è una nuova avventura. Sono paesi che amo. Terre in cui trovo continue fonti di ispirazione per le mie creazioni e colori fantastici per i miei abiti». È stato così anche per la nuova collezione di abbigliamento donna che rilancia il brand verso il suo target autentico: «C’è un ritorno al vero made in Italy – ci spiega Gigi Monti – con tessuti e stampe che rispecchiano davvero quella creatività e la professionalità proprie del patrimonio culturale italiano.


L’eleganza secondo Basile? Tessuti morbidi e leggeri per capi raffinati da vivere anche (anzi soprattutto) nel quotidiano

Nel suo laboratorio, Monti tratteggia i modelli per la prossima collezione autunno/inverno

Riprendiamo il gusto del bello, del ben fatto, della qualità e di quella competenza che sono il vero patrimonio di Basile». Ed ecco quindi un tripudio di rosso in tutte le sue sfumature, dal ciliegia al sangue di bue, come nei più bei tramonti nel deserto. E ancora, oltre 50 sfumature di verde, intercalate con i mauve, come nelle foreste solitarie e rigogliose. O il bianco delle nuvole di un cielo terso. In ogni dettaglio, Monti mantiene il pallino dell’artigianalità. E mentre parla, sembra quasi accarezzare i suoi tessuti, di provenienza rigorosamente italiana, scelti uno a uno, con meticolosità. Motivi jacquard o matelassé con diversi disegni e in rilievo. Intarsi, sfumature, grafismi, fiori, effetto tricot: un’iniezione di energia pura. «E soprattutto, la nuova eleganza è fatta di tessuti morbidi, leggeri. La mia ambizione è proporre capi eleganti e raffinati ma da vivere comunque nella quotidianità. Capi che possano risponde alle domande ricorrenti delle donne: cosa indossare a una colazione con il

cliente? E alla riunione con il capoufficio? E per un viaggio di lavoro in giornata? Fino al semplice ritrovo pomeridiano tra amiche. Viviamo tempi che richiedono qualità, durata e versatilità», prosegue. Così, per il prossimo autunno, Monti sta lavorando a un grande ritorno dei cappotti che hanno fatto la storia di Basile, dall’eleganza sartoriale. Ai tailleur con spalle naturali e linee morbide. Giacche in taglio maschile ma anche nei modelli corti “a box” con maniche enfatizzate e importanti. Per il suo rilancio nel mondo del prêt à porter, Gigi Monti ha avviato una partnership brand licensing con l’azienda Emanuela & Co., nome di spicco nel panorama Italiano. Su tutto un’unica parola d’ordine: osare, perché con Basile la donna continua a essere protagonista della moda. E quando gli chiediamo quale è il suo sogno, Gigi Monti risponde: «In realtà sono due. Tornare a sfilare e rallentare il ritmo, per riuscire a viaggiare di più». marzo 2013

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compagne di strada

di Francesco Condoluci

Scheda tecnica

Peugeot 508 Rxh: la perfezione nei dettagli Ci sono piaceri silenziosi, fatti di quiete, di equilibrio, di contemplazione. E ce ne sono altri che si alimentano invece di suoni, di ebbrezza, di libertà, di scariche di pura adrenalina. Provate a guidare una Peugeot 508 Rxh con confortevole cambio automatico e innovativa trazione Hybrid e scoprirete che è possibile saggiare, anche in rapida successione, queste due facce, solo apparentemente inconciliabili, della piacevolezza. Noi lo abbiamo fatto, lasciandoci condurre dall’ultima, mirabile interpretazione dell’alto di gamma da parte della casa automobilistica francese, lungo i tornanti infidi e le cime svettanti della Valle du Lys, la regione valdostana che si solleva di 1.800 metri sul livello del mare per sdraiarsi ai piedi del Monte Rosa. Un viaggio “estremo” tra curve a gomito, stradine di paese strette come budelli, nevi fresche ai bordi della carreggiata e asfalto ghiacciato che può tradirti come un Giuda, non appena abbassi la guardia. Lei però, la 508 – 5 metri per 2 di solida e raffinata eleganza – non ha fatto una piega, destreggiandosi alla meglio nei tratti a velocità ridotta, dove il dirupo appena al di là del guard-rail consigliava prudenza e giri bassi, così come nei rettilinei in pendenza, quando la tentazione di schiacciare il pedale si faceva più forte del diletto di gustare il panorama. Lì, dentro lo spazioso e ovattato abitacolo da cinque posti comodi comodi – su sedili riscaldabili persino! – le percezioni dall’esterno, a qualunque velocità ci trovassimo, erano ridotte al minimo e affidate praticamente al solo senso della vista. Rumori zero, perché l’ammiraglia della più prestigiosa brand car d’Oltralpe, con la tecnologia HYbrid4 consente di partire e di viaggiare a basse velocità in modalità 100% elettrica. Cosicché, dal punto di vista delle emissioni, nemmeno l’ambiente

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circostante si accorge del vostro passaggio. Ma se decidete di passare dalla modalità di guida “auto” a quella “sport” con un semplice gesto della mano a ruotare il selettore posto sul “manettino” che sostituisce la leva del cambio, poco cambia. Sentirete solo il piacere, fisico quasi, di divorare la strada senza alcuna vibrazione o fastidioso rumore di fondo che rovini il gusto della guida a giri alti del motore termico. Noi l’abbiamo testato, scendendo dall’impervia e rustica Valle du Lys per raggiungere Aosta da Saint-Jean, attraverso 40 km di autostrada dritti come un fuso, da percorrere tutti d’un fiato, con guida rigorosamente sportiva. E non dimenticatevi di scoprire la futuristica tecnologia in dotazione sulla plancia estremamente chic della 508: navigatore, multimedia, bluetooth e pulsanti di emergenza con geolocalizzazione da Gps. Perché la perfezione è nei dettagli. Parola di Peugeot.

Peugeot 508 Rxh associa libertà e piacere di guida: 200 cavalli, 4 ruote motrici, modalità 100% elettrica, emissioni di CO2 limitate a 107 gr/km. La vettura si colloca nell’universo allroad: rialzata e allargata, ha cerchi in lega forgiati e ruote sottili con un diametro interno aumentato che slancia la vettura. La carrozzeria degrada in maniera armoniosa verso il posteriore. Le barre in alluminio delimitano il tetto panoramico. Il livello di equipaggiamenti è unico e comprende tutto di serie. È proposta solo con la catena di trazione 2.0 HDi FAP HYbrid4. I due motori possono funzionare in modo alternato o contemporaneo: quello termico è per percorsi extraurbani o autostradali; quello elettrico subentra nelle partenze o a basse velocità. Il passaggio avviene automaticamente grazie al sistema Stop&Start. La vettura offre quattro modalità di guida: Auto, Zev (Zero emission vehicle), 4WD (quattro ruote motrici) e Sport. Prezzo-base su strada: 43.000 euro.


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camera con vista

di Gilda Ciaruffoli

dove&come La Plage Resort Via Nazionale, 107/A - Isola Bella Taormina (Me) Tel. 0942.626095 www.ragostahotels.com Una notte in bungalow: da 189 euro Ristorante Fusion: prezzo medio 40 euro

La Plage Resort, un’esperienza di stile Parte della riserva naturale dell’Isola Bella, e quindi realizzato nel rispetto di precisi canoni ambientali che ne rendono i bungalow e le camere praticamente invisibili, mimetizzati come sono nel verde, il complesso, a pochi minuti da Taormina, invita i suoi ospiti a rilassarsi (davvero) e a godere di quanto la generosa natura della zona ha da offrire

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Immaginate di svegliarvi baciati dal sole che filtra dalla finestra del vostro bungalow. E di uscire in giardino, il vostro, privato, immerso in una secolare pineta, dove, seduti sulla vostra amaca, godervi la vista del mare e dell’Isola Bella; la stessa vista che vi accompagna nella colazione, servita sulla grande terrazza panoramica. Un tuffo nelle limpide acque antistanti l’elegante spiaggia privata, vi darà la giusta carica per iniziare davvero la giornata. E non dovrete neanche alzarvi dal lettino quando sarà arrivata l’ora del vostro massaggio. Sì, perché a La Plage una Spa c’è – un gioiellino perfetto da vivere in coppia, con la possibilità di prenotarla anche per tutta la notte, aperitivo e champagne compresi – ma visto il contesto incredibile nel quale l’hotel è immerso, quella che viene proposta è una sorta di Spa diffusa, grazie alla quale è possibile ricevere il trattamento scelto in spiaggia o nel giardino privato. Cosa fare poi? C’è solo l’imbarazzo della scelta. Un corso di cucina con gli chef magari, o un giro in barca alla scoperta delle grotte che

circondano la spiaggia di Mazzarò e dell’affascinante storia dell’Isola Bella. Approfittando anche dei pacchetti proposti dall’hotel che possono comprendere un aperitivo al tramonto in mezzo al mare, o la pesca dei totani in notturna. Al calare della sera, lasciatevi abbracciare da un cielo notturno esploso di stelle, ancora più luminose grazie all’assenza quasi totale di illuminazione artificiale: sull’Isola Bella infatti vive la lucertola dal petto rossa, rarissima e timida, che non ama l’elettricità. Alla luce delle candele quindi, immaginatevi seduti a un tavolo sulla battigia. Solo voi e il vostro amore, in tutta la baia (le cene “Dimmi di sì” sono riservate a un solo tavolo a sera; altra formula molto apprezzata è quella dello “chic-nic”, pranzo di finger food mediterranei sulla riva). Nel piatto le proposte degli chef del ristorante Fusion, Giovanni Puglisi e Simone Strano, con i quali varrebbe la pena fermarsi a fare quattro chiacchiere per apprezzarne entusiasmo e passione (lo stesso vale per il gentilissimo direttore, Giuseppe Marchese!). Assaggiandone i tagliolini alla carbonara di tonno, il kebab di pesce azzurro o l’arancino dolce di ricotta ne apprezzerete invece la maestria. La materia prima utilizzata in cucina è selezionatissima, privilegiando le produzioni di qualità dell’Etna (per la prossima stagione sono previsti vari mercatini e degustazioni legati a Campagna Amica Coldiretti). Come concludere la serata? Con un bagno nella Jacuzzi privata, sempre a disposizione nel giardino del bungalow. Meglio di così?


week end relax

di Stefania Monaco

Cavaion Veronese

Un soggiorno che fa battere il cuore Aprile si avvicina e con lui l’appuntamento con Vinitaly. Un’ottima base per vivere la manifestazione, a 25 km da Verona, è Villa Cordevigo, che della fiera sarà anche protagonista con la sua Oseleta 2008. Elegante Relais cinque stelle dunque, ma anche cantina. E ristorante, Spa, parco e campo da golf. Il tutto a due passi dal Garda

Cento ettari tra boschi, vigneti, oliveti. E nel mezzo, il magnifico Wine Relais Villa Cordevigo, antica villa veneta sulle Colline di Cavaion Veronese, vicino al lago di Garda. Alla Villa si arriva da un viale di cipressi secolari. Una volta entrati nel giardino ci si sentirà proiettati in un’altra epoca con la chiesetta di San Martino, eretta nel 1442, al cui interno sono custodite oltre 3000 reliquie di santi. Il parco è stupefacente, da attraversare con una passeggiata tra gli alberi secolari sino ai campi da golf o alla piscina, oppure per arrivare nella nuovissima Spa. Cinque stelle davvero ben meritate! D’altronde cordevigo, in latino, significa “vigore del cuore”, luogo dove la natura pulsa e ricarica. Pulsa e ricarica anche il ristorante meravigliosamente partenopeo grazie alla forza dello chef Giuseppe D’Aquino. Lui c’ha provato all’inizio a fare una cucina locale, ma il suo spirito napoletano ha prevalso e ora sono tutti felici, soprattutto i clienti. La scuola di cucina al Relais ha richieste per tutte le stagioni e sono per lo più gli americani a essere ghiotti di nozioni sulla cucina italiana. Il menù prevede prodotti del Mediterraneo con particolare attenzione al pesce, rivisitato alla maniera di Giuseppe, e anche prodotti

territoriali come il capretto, che arriva dalle malghe venete. Assieme ai formaggi: tra non molto si potrà degustare quello aromatizzato al Fior di Lei, il passito della casa. In Villa si producono infatti ottimi vini, dei quali si occupa il poliedrico Bruno Biolcati, ex sommelier del primo ristorante gourmet italiano, il Trigabolo di Argenta, che racconta: «Cordevigo rosso e Cordevigo bianco sono di grande bevibilità; i nostri vini dei vigneti Villabella assomigliano al luogo nel quale nascono, sono di grande struttura e di grande classe. Sono velluto. Tra questi spicca la Oseleta in purezza, da un antico vitigno della Valpolicella recuperato; ne esistono 800 esemplari magnum per annata. Deve il suo nome proprio agli uccellini con cui bisogna condividerne la produzione, quindi la resa è bassissima. L’uva è dolce con una struttura che somiglia al pinot noir; ci vogliono 4 anni di botte e un anno di affinamento in bottiglia. Al Vinitaly 2013 presenteremo la seconda annata, il 2008». «Siamo a 25 kilometri da Verona – prosegue Biolcati – pertanto il Wine Relais è luogo ideale per soggiornare anche durante il caotico Vinitaly o per l’Anteprima Bardolino che si tiene a poca distanza da qui il 17 e il 18 marzo».

dove&come Villa Cordevigo Wine Relais Località Cordevigo Cavaion Veronese (Vr) Tel. 045.7235287 info@villacordevigo.com www.villacordevigo.com/it Una notte in doppia: da 176 euro

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VdG promotion

Ai piedi del Cervino la stagione non finisce mai In Valle d’Aosta, nel comprensorio di Breuil-Cervinia, Valtournenche e Zermatt, inverno fa rima con sei mesi di neve garantita

Qual è il segreto del successo di un comprensorio come questo? Certamente i 360 chilometri di piste, l’internazionalità del domaine skiable, a cavallo tra due nazioni, Italia e Svizzera, la possibilità di scegliere tracciati per tutti i livelli, con ben 30 “nere” riservate ai bravissimi, e di essere serviti da impianti moderni, come la funivia per Plateau Rosà, panoramica e velocissima. Ma soprattutto il successo è decretato da un’area-ski che parte dai 1.500 metri di Valtournenche e arriva sino ai 3.883 metri del Piccolo Cervino (Svizzera), passando per i 3.500 metri di Plateau Rosà, il che significa garanzia di ottima neve per tutta la stagione, proprio per le quote elevate su cui si sviluppa l’intero comprensorio. E allora non è un caso se la stagione dell’inverno termina il 5 maggio, in primavera. C’è poi un altro importante valore aggiunto che fa del Cervino Ski Paradise un posto unico al mondo: il fatto di avere tutte le piste del domaine skiable collegate tra loro, da Valtournenche

a Breuil-Cervinia a Zermatt, così da non levarsi mai gli sci. Trecentosessanta chilometri no stop! E con rientro sempre in paese. Non solo sci in pista (sono 149 i tracciati!): qui, ai piedi del Cervino, il freeride è una religione (si può praticare anche l’Heliski - www.heliski.com), complice la neve polverosa; così come lo snowboard, nell’IndianPark di Breuil-Cervinia o nel Buffalo snow park di Valtournenche, luoghi di culto per i riders. E per chi decidesse di trascorrere una settimana bianca, il Consorzio Cervino Turismo propone pacchetti all inclusive con la formula “6+1”, un giorno è gratis, oppure “i tuoi 4 giorni più belli”, mini vacanza sulla neve allettante nel prezzo del soggiorno e dello ski-pass. Queste offerte partono dal 7 aprile 2013 e terminano con la chiusura degli impianti a Breuil-Cervinia il 5 maggio 2013 (è escluso il periodo che va dal 24 al 28 aprile). Tutte le informazioni al sito www.cervinia.it


A neverending winter season at the foot of the Matterhorn

Aosta Valley. In the ski area of Breuil-Cervinia, Valtournenche and Zermatt, winter means six months of guaranteed snow cover What is the secret of success? The 360 kilometres of runs and the international connection for a ski area over two nations; Italy and Switzerland. Choose runs for all levels of skier including 30 “blacks” for the expert skiers, modern lifts like the panoramic and fast cable car to Plateau Rosà. Success is, above all, the guarantee of a ski area that ranges from 1,500 m asl of Valtournenche ascending up to 3,883 metres of Klein Matterhorn (Switzerland), passing the 3,500 metres of Plateau Rosà, meaning optimum snow conditions all season long thanks to the high altitudes. The winter season lasts six months ending on the 5th May, in spring. Another important aspect of this resort that makes “Cervino Ski Paradise” unique is that the runs in the ski area are all connected, from Valtournenche to Breuil-Cervinia to Zermatt, you won’t ever need to take your skis off: 360 kilometres non-stop and return to the town centre. Not only downill skiing (on the 149 runs!): Here at the foot of the Matterhorn the freeriders will be right at home (and can try heli-skiing too www.heliskicervinia.com) with fantastic powder snow, snowboarders too will feel at home at the “Indianpark” in Breuil-Cervinia or the “Buffalo Snowpark” in Valtournenche, already well known by the riders. For those that choose a holiday in the resort, the Consortium Cervino Tourism Management offers all inclusive packa-

ges such as “6+1” one day free or “the best of 4 days”, great hotel prices and skipass prices for mini-breaks on the snow. These packages start on the 7th April 2013 and are valid until the closure of the lifts in Breuil-Cervinia on the 5th May 2013 (with exclusion of the period from the 24th to the 28th April). Further information at www.cervinia.it


bellezza&benessere

di Francesca Frediani

“Il cameriere si sollevò sulla punta dei piedi per infilargli la rendigote di panno marrone e gli porse il fazzoletto con le tre gocce di bergamotto” (Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa)

L’oro profumato che conquistò il Re Sole

poco profonda, in particolare lungo le fiumare e i valloni. Da fine marzo a tutto aprile le coltivazioni di bergamotto saturano l’aria del delicato profumo dei loro fiori. Il 95 per cento della produzione mondiale di Esclusivo, eccellente, inimitabile: solo in Calabria nasce il bergamotto olio essenziale estratto con Dop, prezioso agrume dalla fragranza fresca e stuzzicante che, fin metodi naturali viene dai dal XVIII secolo, porta in giro per il mondo frammenti di Mediterraneo giardini calabresi: l’essenza, preziosa ed esclusiva, tutelata dal marchio Dop attribuito dall’Unione Europea e certificato dal Consorzio del La Calabria, allungata tra lo Jonio e il Tirreno, vanta il dieBergamotto di Reggio Calabria, è quasi tutta destinata alci per cento dell’intero patrimonio costiero d’Italia e la più la profumeria. Per un litro di essenza servono 200 chili di grande varietà di spiagge. Proprio dal mare sono arrivate frutti, e ogni goccia porta un frammento di Mediterraneo le navi dei coloni greci e dei pirati, e sono arrivati anche i nel mondo. La tecnologia usata per l’estrazione è ancora miti, quello delle sirene e quello di Ulisse. Ma la Calabria quella messa a punto nel 1840 da Nicola Barillà di Reggio è generosa. Al mondo ha restituito altre meravigliose stoCalabria, la “macchina calabrese” che garantisce una marie: il tesoro di Alarico, re dei Visigoti, mai trovato, il lusso teria prima eccellente. Le prime notizie sul bergamotto utidi Sibari, con i suoi materassi imbottiti di petali di rose, lizzato come profumo arrivano dalla Francia, alla corte del l’illusione della Fata Morgana, con il suo castello in fondo Re Sole, dove un gentiluomo siciliano, Francesco Procopio al mare. E la leggenda del bergamotto. C’è chi lo vuole De’ Coltelli, si presenta con “L’acqua di bergamotto” connato in Grecia, chi in Cina ai tempi di Marco Polo, o nelquistando Luigi XIV e spazzando via le essenze speziate le Antille, chi pensa sia un regalo degli Arabi. Invece, sedell’epoca che ammorbavano l’aria. Il commerciante Gian condo molti esperti è proprio calabrese, nato da un inPaolo Feminis, emigrato a Colonia, crea poi l’aqua admicrocio naturale tra le piante della sottile fascia costiera rabilis utilizzando l’olio estratto dal bergamotto insieme a che corre per 140 chilometri tra Villa San Giovanni e Gioaltre essenze. La sua diffusione avviene all’inizio del XVIII iosa Jonica, in un microclima unico al mondo. Il nome secolo, quando Giovanni Maria Farina, a tutti noto come deriva dal turco bey armudu, cioè “pero del Signore”, e Jean-Marie Farina, comincia a produrre, sempre a Coloinfatti somiglia molto a un tipo di pera, la bergamotta, nia, “l’acqua alcoolica” a base di agrumi. L’olio essenziadiffusa in Medio Oriente. Coltivati da secoli con cura e le di bergamotto da allora entra in quasi tutte le compopassione, i giardini di bergamotto si estendono oggi su sizioni olfattive per fissare il bouquet aromatico dei 1500 ettari. Le tre varietà, femminello, castagnaro e fanEau de Toilette Acqua di Parma: profumi e per armonizzare le altre essenze. tastico, si sviluppano in terreni a base silicea, di struttura 75 ml, 60 euro 116

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arte soste d’arte

di Elena Conti

Il fascino sensuale dei frutti proibiti Piccanti peperoncini che bucano la tela. Angurie che riempiono, succose, l’intero spazio. Pezzi di carne tranciati sul banco di marmo. Rossi, vivi. Sono questi i protagonisti delle opere del folignate Luigi Frappi che, per dirla parafrasando Andy Warhol, “sa rappresentare il vero”

Un bel ritratto di Luigi Frappi

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«Sono uno di quei pittori che dipinge ancora con il pennello», scherza Luigi Frappi ricordando lo stupore per la sua inaspettata partecipazione, a 73 anni, alla Biennale di Venezia, curata da Vittorio Sgarbi, nel 2011. «Oggi la pittura è altro, si può toccare, annusare, tagliare, si usano le foto, non si sa più cosa realmente sia. Io dipingo ancora con i colori e i pennelli ed è la cosa che più mi piace fare nella vita. Per me è una fonte continua di piacere. Andy Warhol diceva che i pittori fanno quadri astratti perché non sanno rappresentare il vero, io invece lo so fare, sono un citazionista, per dipingere guardo ai grandi del passato o a ciò che la natura offre». E il suo sguardo è così attento e la sua mano così sicura, che le fette di anguria che esco-

no dallo sfondo scuro dei suoi quadri sono di un realismo straordinario. Sospesi nel vuoto o lievemente poggiati su un piano, dai suoi quadri emergono peperoncini così reali da sembrare irreali, cipolle o spicchi di limone che vanno a occupare l’intero spazio della tela. Sono alcuni dei suoi temi ricorrenti. «Da bambino assistevo spesso alle visite di mio zio che era un medico omeopata e ricordo ossessivamente le sue raccomandazioni: niente cipolla e niente peperoncino con le cure omeopatiche... ho ancora nella testa le sue parole. Io invece amo i sapori forti, le sensazioni carnali, forse ho scelto di dipingere questi prodotti perché inconsciamente li ho sempre considerati dei frutti proibiti». Figlio di un pittore, cresciuto fra i pennelli, Luigi Frappi


di Gilda Ciaruffoli

Progetto Cibo – La forma del gusto Il Mart celebra una delle tendenze del momento, il food design, e lo fa con una mostra che diverte e sorprende, dedicata all’arte della progettazione industriale e alla creatività più sperimentale applicate all’alimentazione. Inevitabile il riferimento a Bruno Munari e al suo Good Design, con il quale 50 anni fa il grande maestro insegnava a leggere i prodotti della natura come fossero oggetti di design; un’ispirazione e una lezione mai dimenticata dai food designer di oggi. Workshop e show-cooking fanno da ciliegina sulla torta all’evento.

fino al 2 giugno Mart corso Bettini, 43 - Rovereto (Tn) www.mart.tn.it

Premio Arte Laguna

In apertura e qui sopra, due nature morte estremamente “vive” di Luigi Frappi

è nato a Foligno e l’Umbria ricorre spesso nei suoi quadri. I suoi paesaggi sono monumentali, celebrano la natura e la descrivono imponente e grandiosa, ma non c’è spazio per la figura umana o per qualsiasi sua emanazione, solo qualche antico rudere che ne testimonia il passaggio quasi ininfluente. Gli elementi della natura trionfano su tutto, dominano e, pacificamente, non lasciano spazio ad altro. «Non ho mai dipinto figure umane, le donne soprattutto, troppo belle per essere catturate nella pittura. Conosco i miei limiti. Ho visitato recentemente a Firenze una mostra di Francis Bacon, un grande espressionista irlandese morto venti anni fa e, suggestionato dalle sue tele, ho cominciato a dipingere pezzi di carne. È una cosa frenetica, trovo soggetti interessantissimi in bistecche, costate, prosciutti. So che non sono quadri commerciali, ma devo assecondare questa nuova emozione». E infatti le nature morte firmate da Frappi sono sensuali, dominate dalle sfumature del rosso, ed evocano i sapori forti della cucina popolare. «Non sono un raffinato gourmand, ho fumato troppo e per troppi anni per essere un palato sopraffino, ma frequento amici che sono veri esperti e invano cercano di “educarmi”, come Carlo Cambi, genialoide autore del Mangiarozzo, una guida davvero diversa. I mie quadri esprimono, attraverso la vista, il piacere dei sapori forti, distinguibili, non camuffati: la cipolla che è cipolla o il peperoncino, se pur con tutta la sovrapposizione di significati che si porta dietro, che rimane un semplice peperoncino».

L’Arsenale di Venezia torna ad aprire le sue porte ai finalisti della settima edizione del prestigioso concorso dedicato alle arti visive. Presso le Tese di San Cristoforo sono quindi esposte le opere di 105 artisti internazionali; altri 5 lavori sono ospitati presso il Telecom Future Centre, mentre una special selection di artisti under 25 è in mostra all’Istituto Romeno di Venezia. Previste anche tre giornate di incontri, gli Art Talks: il 17 marzo si terrà una visita guidata assieme a giurati e galleristi; il 24 marzo un dibattito sui nuovi modi di fare arte, e il 31 un incontro sul riutilizzo degli ex spazi industriali oggi.

17-31 marzo location varie, Venezia www.premioartelaguna.it

Gianini e Luzzati. Cartoni animati Quando parlava del loro cinema, Fellini ne ricordava la fantasia figurativa, l’estro umoristico, il senso della fiaba e le geniali soluzioni grafiche. Una sintesi puntuale, questa, dell’arte di Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati, gli animatori che hanno creato uno stile personalissimo capace di legare teatro, poesia e disegno e che valse loro anche due candidature all’Oscar (La Gazza Ladra e Pulcinella). La mostra celebra il loro genio presentando, per la prima volta, una raccolta di materiali originali dei loro film. Completa l’evento la proiezione delle pellicole presso il Cinema Massimo con cadenza mensile.

fino al 12 maggio Museo Nazionale del Cinema Mole Antonelliana via Montebello, 20 – Torino www.museonazionaledelcinema.it

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libri letti per voi

di Gilda Ciaruffoli

Le forme del gusto Valentina Auricchio, autrice del volume e condirettore della rivista Ottagono, ci spiega il suo punto di vista sulla cucina. Quali sono, a suo parere, le attuali tendenze in cucina? La tavola è un luogo sociale e quindi il rapporto con gli altri ne determina le tendenze: ci sono i fanatici della specializzazione che mettono in mostra gli strumenti professionali; ci sono i salutisti che sono attenti all’ecologia e al risparmio energetico; ci sono gli amanti del design che non vogliono sfigurare e infine ci sono gli appassionati di culture lontane che amano mescolare tecniche e sapori. Se il design è una chiave di lettura del presente, cosa ci dice questo volume del ruolo del food della società contemporanea? Attraverso gli strumenti e la loro evoluzione intuiamo che c’è sempre di più un’ibridazione delle funzioni e delle culture (un mestolo/pinza, una cucina/libreria) e che mentre decadono alcuni vincoli del galateo nascono nuovi oggetti per nuovi rituali (come il vassoio per assaggiare monoporzioni durante l’aperitivo). A chi è dedicato il volume? A coloro che amano ricevere amici, amano apparecchiare la tavola e ricercano la qualità nei gesti quotidiani. Giunti Editore 224 pp 39 euro

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Il colore della speranza (e del futuro) Un libro, tante storie, un unico filo conduttore: “l’economia verde”. Ermete Realacci – ambientalista e storico attivista di Legambiente, deputato e fondatore di Symbola, fondazione per le qualità italiane – ci parla della sua opera, testimonianza vivida delle potenzialità di cui l’Italia dispone per poter fronteggiare la recessione. La green economy è la ricetta giusta per uscire dalla crisi? Il paese ha le energie per vincere anche questa sfida. Possiamo fronteggiarla, perseguendo la riconversione ecologica della nostra economia, dei consumi e degli stili di vita, scommettendo su una green economy che sposi saperi e vocazioni nazionali. Che si apra ai mercati globali e rinsaldi i legami con il territorio, che leghi la competizione alla cura della coesione sociale. Che coniughi la testarda ostinazione sulla qualità artigianale alla bellezza e all’hi-tech. Ce la faremo, se sapremo innovare senza dimenticare chi siamo». Perché leggere questo libro? Perché ci troverete storie di imprese, istituzioni, donne e uomini che hanno scommesso sul futuro e sui valori immateriali, quelli che non si misurano in Borsa. Perché parla di passione, coraggio, intelligenza, onore. E di legame con i territori e le comunità. Chiarelettere 336 pp 15 euro

L’istinto, contro ogni tabù Nel suo ultimo libro, Eric Asimov, giornalista del New York Time, si cimenta in una descrizione dei vini attraverso esperienze personali arrivando alla conclusione che nulla è più corretto nella descrizione di un vino del proprio istinto. Molto più, ad esempio, di una conoscenza specialistica fatta di assaggi alla cieca, punteggi e note d’assaggio. Sono proprio questi arcani rituali a rendere per molti incomprensibile il vino. Risiede semmai nell’immediatezza (e nella genuinità) dei gesti la capacità di comprendere e apprezzare il vino: “Se si vuole davvero conoscere un vino, bisogna aprire una bottiglia, servirsi un bicchiere e berselo”. Un libro che sconvolge il mondo dei tabù nell’esaminare il vino. Anche per questa ragione può essere di utile lettura. di Riccardo Lagorio

William Morrow 272 pp 24.99 dollari


spettacoli

di Gilda Ciaruffoli

Musica ad alta quota Val Gardena e Val di Fiemme danno il benvenuto alla primavera con due festival di musica, rock e jazz, che animano le ultime giornate di sci. Da una parte quindi le esibizioni scatenate del Rock The Dolomites Festival, nell’ambito del quale sette band propongono musica funk, folk e rock in lingua ladina, alternandosi nei rifugi più belli della valle, tutti in quota e direttamente sulle piste. Dall’altra, la Val di Fiemme che invece ospita il Dolomiti Ski Jazz: protagonisti i più amati jazzisti europei e americani che si esibiscono sulle piste, nei pub e nei teatri della zona. 30 marzo – 1 aprile

9-17 marzo

location varie, Val Gardena www.rockthedolomites.com

location varie, Val di Fiemme www.dolomitiskijazz.com

Lento, diverso e raro, come l’amore È stato presentato al Festival di Berlino 2013 Slow Food Story, film diretto da Stefano Sardo che celebra i 25 anni della rivoluzione pacifica promossa dal movimento fondato da Carlo Petrini. Il film è “la storia di un gruppo di amici di provincia. […] Una storia di bischerate, di ristoranti, di riti contadini riesumati, di appuntamenti immancabili, di ciucche e di viaggi, di scommesse vinte o perse ma vissute sempre con la stessa inaffondabile, burbera, contagiosa ironia campagnola”. Sempre a Berlino è stato proiettato The fruit hunters, inno alla biodiversità diretto dal regista cino-canadese Yung Chan. Il docufilm segue un gruppo di ricercatori e appassionati lungo una sorta di giro del mondo alla ricerca di frutti dimenticati. Il film sarà disponibile in dvd, proprio come La rosa di Valentino, documentario di Pier Paolo Giarolo ambientato in provincia di Udine, ad Artegna, e che ha come protagoniste Valentino Fabiani, Eleonora Garlant e il loro roseto, nato grazie alle sole loro forze, e al loro amore: “le rose antiche fioriscono solo a maggio, ma sanno tenere Eleonora e Valentino vicini tutto l’anno. Spine e gelosia? Boccioli e passione? Nel roseto più assortito d’Europa, l’amore è soprattutto quotidiano”.

Piccoli gioielli nascosti Nasce nel 1983 con lo scopo di favorire la cultura cinematografica a livello nazionale, il Bergamo Film Meeting
Festival. Che torna anche quest’anno confermando il suo impegno nel mettere in mostra film che trovano difficoltà a inserirsi nei circuiti abituali, ma che per le loro caratteristiche artistiche e culturali meritano di essere diffusi. In seno alla manifestazione sono previsti eventi collaterali come mostre, installazioni, spazi dj set e musica live. 9-17 marzo

Per saperne di più: www.slowfoodstory.com

location varie, Bergamo www.bergamofilmmeeting.it

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shopping di Lucia Lipari

Il gioiello da borsetta che nasconde una pen drive firmato Giuliana di Franco Gioielli fa parte della collezione Secrétaire. In oro 750/000, è realizzato a mano con la tecnica dell’elettrodeposizione su cera e della granulazione. Prezzo: 3.021 euro

Liu JO Luxury ha realizzato Stardust, un orologio in limited edition reso lucente da una polvere di pietra colorata che ne ricopre la cassa. Disponibile nei colori pastello e argento. Prezzo: 149 euro

Proprio un bel match Adidas lancia la linea Barricade by Stella McCartney, una nuova collezione di abbigliamento e scarpe da tennis che garantisce la perfetta fusione tra tecnologia e stile. La collezione sarà indossata dalle tenniste Caroline Wozniacki, Andrea Petkovic e Laura Robson nel corso del Grande Slam 2013. Prezzo scarpa Barricade: 152 euro

de La borsa Lucinda deve il suo nome a una delle più grandi passioni della famiglia Trussardi: i levrieri, compagni di vita da sempre chiamati esclusivamente con nomi la cui iniziale è la lettera L (di levriero). Lucinda, già una it-bag, incarna un nuovo concetto di lusso giocato sulla dicotomia tra rigido e morbido. Prezzo: 1.200 euro

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Festa

Una nuova migliore amica

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Come polvere di stelle

Donna manager sì, ma con stile

l

Festa della donna

shopping

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à p a

Buona da bere, bella da avere

Quando si desidera colpire con un regalo speciale, stile e passione sono le parole d’ordine. Proposta in un prezioso e raffinato astuccio regalo, la nuova Grappa Cuvée di Barriques Millesimata 2009 è l’idea regalo di Bocchino per festeggiare anche quest’anno tutti i papà dalla forte personalità, amanti della tradizione e dell’eleganza. Prezzo: a partire da 28 euro


trendy

di Claudia Dagrada

Tendenza verticali, dal gusto siciliano Messi da parte cappotti e sciarpe, possiamo finalmente dedicarci al guardaroba estivo e... alle righe! Protagoniste assolute delle creazioni Dolce&Gabbana, ci fanno pregustare la calura dei pomeriggi a Taormina e i vivaci contrasti delle sue spiagge colorate Le righe dettano legge quindi... anche per le scarpe? L’ispirazione è la stessa. Per quest’estate Dolce&Gabbana ha pensato a scarpe basse a righe in rafia o in canvas, che evocano le piacevoli passeggiate durante le calde estati isolane, gustando la dolcezza di una cassata siciliana o la freschezza di una granita.

Last but not least: l’accessorio irrinunciabile? La nuova collezione di occhiali oversize. Creati per una donna femminile, spiccano per la loro montatura ampia e dalla forma tondeggiante, con aste dal movimento morbido che si incontrano sinuosamente con un frontale dal design inedito e modellato per esaltare l’ovale del viso. La Sicilia è sempre grande fonte di ispirazione per Dolce&Gabbana... Assolutamente! La maison quest’anno vuole rendere un vero e proprio omaggio ai colori tradizionali dell’isola mediterranea. Un esempio perfetto è l’iconico bauletto Dolce Bag, realizzato in canvas con stampe a righe bianche e rosse, la chiusura a lucchetto e i bordi ricamanti a uncinetto in raffia.

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selezioni

Coppetta di Riserva con zucchine trifolate Ingredienti: 100 gr di pecorino Riserva 2 zucchine 2 fiori di zucca olio, sale, pepe nero in grani aglio, prezzemolo

“Di nicchia”, aromatico, genuino Frutto dell’abilità dei maestri casari calabresi e di un’attenta stagionatura in cella di 12 o 24 mesi, il Pecorino Riserva è il prodotto di punta della cooperativa agricola Fattoria della Piana

Degli antenati di questo alimento si trova traccia anche negli scritti di Virgilio e di Plinio il Vecchio, ma è sulle nostre tavole che (sua maestà) il Pecorino Gran Riserva impera e trova i suoi massimi consensi. Infatti, oltre a essere un prezioso e pregevole elemento per il completamento dei primi piatti, si può anche gustare nelle polpette o affettato e associato a fave fresche e pancetta o guanciale, accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso e frutta secca. Sfizioso nelle torte salate e superlativo compagno di erbette selvatiche, impreziosisce anche semplici insalate miste, si sposa poi benissimo con miele di castagno e confetture di fichi o pere servito quale antipasto insieme al pane casereccio. È un cacio

ottenuto lavorando il miglior latte di pecora, raccolto dai pastori soci della cooperativa, ed è stagionato in cella per oltre 12 mesi. Come vuole la tradizione, il pecorino stagionato è il “pecorino per eccellenza”. Con pasta friabile, dal caratteristico sapore, si riconosce per la crosta scura e per il gusto ricco e intenso; ma se con il termine pecorino si indicano generalmente tutti i formaggi prodotti con latte di pecora, la differenza la fanno sicuramente la qualità del latte impiegato e l’abilità del mastro casaro: così il Pecorino Riserva diventa il fiore all’occhiello della produzione della cooperativa agricola Fattoria della Piana, premiato per ben tre anni consecutivi nella sezione “Formaggi di nicchia” alla fiera Internazionale TuttoFood di Milano. «Le nostre produzioni lattiero-casearie – dichiara Carmelo Basile amministratore unico della cooperativa Fattoria della Piana società agricola (in foto) – sono realizzate applicando tecnologie all’avanguardia a secolari ricette di caseificazione. Nel caso del Pecorino Riserva stiamo lavorando per migliorare, impreziosire e affinare il prodotto mirando alla stagionatura 24 mesi che così concepita ne esalta il gusto e ne accentua il sapore caratterizzandolo ulteriormente e facendo emergere nel prodotto la ricchezza degli aromi propri dei nostri pascoli».

Preparazione: Per le coppette: grattugiare il formaggio, versarlo in una padellina del diametro di 10 cm unta di olio. Far sciogliere il formaggio, lasciare dorare e girarlo (tipo frittata) dall’altra parte. Cuocere per 1 minuto. Versare il composto sopra una coppetta capovolta, far aderire con le mani; lasciare raffreddare. Per la farcitura: soffriggere in una padellina un aglio; toglierlo dalla padella e versare nella stessa le zucchine tagliate a tocchetti, lasciare cuocere per 5 minuti. Unire un fiore di zucca tagliato a rondelle, aggiungere sale e pepe e lasciare cuocere per altri 5 minuti. Unire il prezzemolo tritato. Staccare quindi delicatamente il formaggio dalla coppetta precedentemente preparata e riempirla con il composto di zucchine. Guarnire con scaglie di Riserva e un fiore di zucca leggermente sbollentato.

Fattoria della Piana Contrada Sovereto snc Candidoni (RC) Tel. 0966 773766 www.fattoriadellapiana.it Info@fattoriadellapiana.it


Latticini di Calabria fiordilatte, bufala, ricotta di pecora, freschezza, burro

dalla nostra terra, sulla vostra tavola

Fattoria della Piana Soc. coop.va - C.da Sovereto - 89020 Candidoni (RC) Tel: +39 0965 645303 - Fax: +39 0965 645250 - Mail: info@fattoriadellapiana.it www.fattoriadellapiana.it


selezioni

Suino Nero, una scelta controcorrente Superbi e raffinati. Sono così i salumi dell’azienda agricola Ferrari, una produzione di nicchia che ha il sigillo dell’eccellenza, nata dalla passione di Adriano Ferrari per il gusto unico delle carni di questa razza antica

È un animale quasi leggendario. Vigoroso, rustico. Colonna portante degli allevamenti dei nostri avi, fino a qualche decennio fa era a rischio estinzione, sostituito dalla razza bianca, più adatta all’allevamento intensivo e con crescita ponderale nettamente superiore. Le sue carni però sono eccezionali. Ed è stato proprio dopo averle assaggiate che Adriano Ferrari ha fatto una scelta coraggiosa e controcorrente, decidendo di tornare ad allevarlo. Oggi l’azienda agricola Ferrari di Altilia, nel cosentino, alleva la razza autoctona (Apulo-Calabrese) allo stato semibrado selezionando rigorosamente ogni esemplare. Il risultato? Capicolli, ’nduje, soppressate, salsicce, lonzini, pancette, guanciali e lardo dal gusto inconfondibile. Ancora prima di portarli alla bocca, è già alla vista che questi salumi di Nero Calabrese esprimono tutta la loro personalità: il colore delle carni, rosa e violaceo, e quello bianco del grasso, raccontano da soli tutta la genuinità di quanto stiamo per assag-

giare. Elaborati da mani esperte, i salumi Ferrari sono caratterizzati da un minimo contenuto in spezie e aromi, limitato al sale, al pepe nero in grani, e, dove necessario, a rosmarino e alloro, mentre è prevista la sola salagione senza concia per il Lardo e il peperoncino è utilizzato soltanto per la ‘nduja, ma in una quantità che la renda amabile e lasci intatto il sapore della carne, in equilibrio con una lieve e piacevole affumicatura. Ma la carne del Nero non è solo buona e gustosa. Fa anche bene alla salute! Gli insaccati di Suino Nero calabrese infatti vantando lo stesso valore nutritivo delle carni di quello bianco, dalle quali si differenziano però per essere più ricche di Vitamine D e E, e, inoltre, per il superiore contenuto di acido oleico, un grasso monoinsaturo “buono” (come quello dell’olio d’oliva) che ha un forte potere antiossidante.

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La vera tradizione del Passito Crescono protette da muretti che le difendono dal vento, come una volta. E vengono raccolte e vinificate come una volta, con i metodi consueti dei contadini di Pantelleria. Le uve Zibibbo, nate in un territorio aspro, avvolto dal mare, sono uniche. E l’azienda vinicola Vinisola lo sa bene, e le cura e le rispetta per creare vini aromatici e avvolgenti, da accompagnare alle migliori specialità siciliane

La passione per Pantelleria accomuna il piccolo gruppo di persone che ha dato vita a Vinisola, azienda nata per contribuire alla valorizzazione dei prodotti dell’isola, forte di valori quali la territorialità e la tradizione in campo enologico. Le uve Zibibbo da cui nascono i vini Vinisola crescono e maturano sia nei terreni dei soci che di altri produttori, coltivate in piccoli appezzamenti protetti da muretti che le difendono dal vento, come sull’isola avviene da sempre. Originaria dell’Egitto e introdotta dai Fenici nel meridione d’Italia e a Pantelleria, l’uva Zibibbo viene raccolta e vinificata nelle Cantine Vinisola con i metodi consueti dei contadini di Pantelleria, sotto la supervisione di Antonio D’Aietti, enologo che condivide l’amore per l’isola e l’impegno a

mantenere vive le sue tradizioni. Nascono così tre vini eccellenti di straordinaria qualità. Come il Pantelleria Moscato Liquoroso Doc, ottimo da compagnia e da dessert, dal caratteristico profumo di uva matura, giallo dorato, dal sapore dolce aromatico e con retrogusto mandorlato, che si abbina a dolci di mandorla e formaggi stagionati. O, ancora, lo Zefiro Pantelleria Bianco Doc dal colore giallo paglierino con riflessi dorati, dal profumo di uva Zibibbo, aromatico, avvolgente e persistente; di alta qualità e struttura, ottimo anche per aperitivi, è ideale per accompagnare piatti a base di pesce o verdure, piatti forti tipici mediterranei e piatti di carni bianche. E, ultimo ma non ultimo, l’Arbaria Passito di Pantelleria Doc, vino da meditazione dal gusto

vellutato, aromatico e dolce, che si accompagna a formaggi erborinati e piccanti, a dolci alla mandorla e alla cassata, tipici della tradizione siciliana. Segnaliamo in particolare l’annata 2011 di Arbaria, premiata con la Gran Menzione per la categoria vini dolci naturali in occasione del 20° Concorso enologico Internazionale Gran Vinitaly 2012, tra i più prestigiosi a livello mondiale. Vinisola c/da Kazzen, 11 91017 Pantelleria (Tp) Tel./Fax 0923.912078 info@vinisola.it www.vinisola.it


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Che sapore ha la Felicità? … quello dei prodotti della bella azienda agricola e agriturismo in provincia di Bergamo, visitando la quale è possibile acquistare o gustare prelibatezze coltivate con metodi tradizionali, o derivate dall’allevamento interno. Perché soggiornare presso la Fattoria significa riscoprire il gusto genuino e schietto delle montagne bergamasche Si trova in Val Seriana, ai piedi del massiccio della Presolana, una tra le più belle montagne delle Prealpi Orobiche, la Fattoria della Felicità. Nell’azienda agricola vengono allevati svariati animali, dai più piccoli, quelli di bassa corte, come galline, anatre, oche, faraone e conigli; alle capre da latte di razza Saneen per produrre diversi tipi di latticini; ai maiali per la produzione degli insaccati e delle porchette, ai vitelli. Senza dimenticare le pecore e gli asini che hanno il principale compito di ripulire i prati dei dintorni brucando l’erba. Un posto importante è riservato infine ai cavalli che vengono impiegati per far provare ai bambini l’emozione di cavalcare e per semplici lezioni di equitazione di campagna, attività che rientrano in quelle di fattoria didattica (qui si organizzano anche vacanze in fattoria per i più piccoli ed escursioni a cavallo aperte

a tutti). In azienda vengono coltivati direttamente frutta e verdura che, assieme alle carni, ai formaggi, alle uova, ai mieli e alle marmellate, possono essere acquistati direttamente dal visitatore o degustati nel ristorante interno. In una caratteristica cascina, l’agriturismo offre infatti il servizio di ristoro e pernottamento (4 le camere disponibili) con prima colazione. Fermarsi a mangiare presso la Fattoria della Felicità significa gustare cibi dai sapori veri, genuini e schietti, coltivati e lavorati secondo metodi tradizionali che seguono i ritmi della natura. Il menù è ricco e invitante. Dagli affettati misti di produzione propria dell’antipasto, ai primi piatti preparati a mano, alle carni dell’allevamento interno; è possibile anche gustare le patate e la polenta con farina di Rovetta e ancora i formaggi di capra di produzione propria e quelli di mucca di allevamenti della zona.

Fattoria della Felicità Località Zanecla Onore (Bg) Tel. 0346.1901550 www.fattoriadellafelicita.it


selezioni

Il Grechetto Vercanto di Cantina Berioli è frutto di un lavoro lungo e attento a coniugare il massimo della sostenibilità ambientale, le più efficienti tecnologie di ultima generazione e il sapere della tradizione. Come tutti i prodotti di questa virtuosa realtà umbra

Un canto antico, nel rispetto della natura Per la propria attività strettamente legata alla terra e per l’etica costruita nel corso delle generazioni, la Cantina Berioli ha da sempre dato un’importanza centrale allo sviluppo sostenibile, coltivando i terreni nel totale rispetto dell’ecosistema e mantenendo intatti i boschi e le siepi presenti nelle bordure per dare rifugio agli insetti utili per il controllo dei parassiti. Certamente i vini Berioli hanno raggiunto un elevato livello di qualità anche grazie alle innovazioni che negli anni sono state introdotte a contorno di un’antica tradizione di famiglia. La filosofia di Roberto Berioli è infatti quella di essere sempre attento alla ricerca e alle innovazioni, pur rispettando le tradizioni, con una particolare attenzione agli aspetti viticoli: «perché è nella vigna che nasce il vino» e, ci tiene a sottolineare, «la terra è il bene più prezioso che abbiamo». I trattamenti vengono dati solo quando le condizioni atmosferiche raggiungono le soglie di rischio e l’ultimo non viene mai distribuito oltre il 15 luglio. Dopo accurate valutazioni, le viti sono state potate a Guyot in accordo con la vecchia tradizione: le piante così allevate mostrano più equilibrio e richiedono meno interventi “additivi”. Mentre tecnologie di ultima generazione consentono di ridurre i consumi energetici e gli sprechi di acqua. È con queste premesse che nasce Vercanto, il bianco di Berioli, così chiamato per i cantiveri che echeggiavano nella sua valle durante il periodo di vendemmia e raccolta delle olive. Le uve bianche del Grechetto arrivano alla data di raccolta intatte, pu-

lite e prive di muffe e altre malattie; il mosto che se ne produce richiede interventi minimi, e dopo pochi giorni di fermentazione in acciaio a temperatura controllata passa nelle barriques dove finisce di fermentare e matura per 6 mesi. «Le barriques sono rigenerate con una leggera tostura – spiega Roberto Berioli – erano infatti oramai vecchie ma ancora in ottimo stato, e dovevamo scegliere cosa farne: se comprarne delle nuove o continuare con le stesse. Abbiamo quindi deciso di rigenerarle, affidandole alle attente mani di un mastro bottaio. In questo modo abbiamo potuto decidere anche il livello di tostatura adatto al nostro Grechetto». È stata rispettata così la filosofia aziendale, secondo la quale è sempre meglio scegliere soluzioni eco-compatibili, mentre il Grechetto ha trovato un legno equilibrato dove maturare. Vercanto è dunque l’espressione di un lungo e attento lavoro: viene infatti seguito costantemente durante le fasi fermentazione, una volta passato in barriques subisce ripetuti batonage e rimane a lungo a contatto con le fecce fini; viene infine chiarificato con metodi naturali e delicati. Il Grechetto di Berioli è un vino Vero come dice il nome stesso, rispecchia le caratteristiche della varietà e sprigiona sapori intensi e sapidi nati dalla commistione tra terra-uva-legno e lieviti. Cantina Berioli Case Sparse, 21 - Montesperello di Magione (Pg) Tel. 075.5007666 - www.cantinaberioli.it


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