UndergroundZine MAGGIO 2014

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HO UNA PALLA OVALE (fenomeno del Rugby) -piccolo vademecum per capirci qualcosa o perdersi per sempreMi accingo ad un impresa, conscio del motto: "Chi sa fa, chi non sa insegna, chi non sa insegnare spiega cos'è il Rugby". INTRO Tutto parte nel 1823 quando uno strano personaggio inglese di nome W.W. Ellis, raccoglie con le mani una palla durante una partita di simil-calcio e la deposita dopo una bella corsa nella porta altrui. Tutti allibiti tranne chi in quel momento stava bevendo una birra. Siamo nella cittadina inglese di Rugby ed è questo l'anno zero. Quindi il Rugby "nasce" dal calcio. Sfatiamo l' apparente luogo comune che esiste tra Rugby e calcio: quest'ultimo sport non è così negativo come lo si dipinge. Anzi, il calcio è molto positivo, soprattutto se dato con forza e precisione nel posto giusto e alle persone giuste. DEFINIZIONI Passiamo alla definizione vera e propria di questo sport dalla palla pasquale: "Il Rugby è un gioco di squadra, di situazione e di combattimento, regolato da norme ben precise caratterizzate dall’ OPPOSIZIONE CON L’AVVERSARIO e la COOPERAZIONE TRA I COMPAGNI". Perfetto. Ne ho trovate altre, molto belle:

Il Rugby sono 14 uomini che lavorano insieme per dare al quindicesimo mezzo metro di vantaggio.

Il Rugby è uno sport straordinario, l'unico dove la vittoria passa sempre dalle mani del compagno.

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A Rugby si gioca con le mani e con i piedi, ma in particolare con la testa e con il cuore. Il Rugby è la poesia del sacrificio. Non c’è molto da capire nel Rugby: o hai la palla o devi fare di tutto per averla. Non esistono ex rugbisti. Chi ha giocato a Rugby, è rugbista tutta la vita. Il Rugby è il modo migliore per tenere trenta energumeni lontani dal centro della città. Il Rugby è come l'amore. Devi dare prima di prendere. Quando hai la palla è come fare l'amore. Devi pensare al piacere dell'altro prima che al tuo.

Il Rugby è uno sport dai profondi valori: entrano in gioco amicizia, lealtà, altruismo, coraggio, rispetto, onestà, abilità, disponibilità, passione. C'è molto di ciò che serve per diventare un uomo. Tutto il resto lo trovate nella poesia "If" di R. Kipling. LE REGOLE

Il rispetto delle regole nel gioco, determina i diritti e i doveri dei giocatori. Le regole fondamentali nascono dall’obiettivo del gioco stesso: segnare la META (toccato del pallone a terra) per la squadra in possesso del pallone (in attacco), viceversa per la squadra senza possesso (squadra in difesa) impedire di segnare attraverso il PLACCAGGIO (portare a terra il portatore del pallone). Il gioco, al fine di dare pari opportunità all’attacco e alla difesa di segnare la meta, regola che il giocatore placcato, cioè portato a terra non possa tenere il pallone ma lo debba lasciare a disposizione di chiunque lo possa raccogliere. La regola del TENUTO quindi determina, collegata al placcaggio, la possibilità di ogni squadra di poter segnare la meta.


A questo punto la quadra in attacco scoprirà la possibilità, per non essere placcati, di passare il pallone e introducendo la regola di trovarsi dietro al pallone(ossia non in fuorigioco) sarà più facile far rispettare l’ultima regola fondamentale che il passaggio non sia fatto IN AVANTI. Riassumiamo: ogni squadra tenta di fare una meta (che come dice la parola stessa è lo scopo del gioco), per farlo si avanza con il pallone in mano e si passa la palla indietro (vietato passarla in avanti, è fallo!), quindi chi è davanti al pallone è in fuorigioco. Se il portatore di palla viene placcato (ed è l'unico che può essere placcato) deve immediatamente lasciare il pallone a terra a disposizione degli altri. Chi è in difesa deve avanzare per portare pressione e placcare. PUNTI , DURATA PARTITA e TERZO TEMPO Per fare punti nel Rugby non c'è solo la meta. Si possono aggiungere 2 punti calciando in mezzo ai pali un calcio di trasformazione oppure durante il gioco si può tentare la via dei pali anche con un drop (calcio di controbalzo) ma è difficilissimo e in questo caso sono 3 punti. Oppure si possono avere i 3 punti con un calcio di punizione a favore sempre calciando tra i pali. Nel Rugby ci sono due durissimi tempi da 40' l'uno in cui due squadre di 15 giocatori (suddivisi in mischia e tre/quarti, non chiedetemi il perché di quest'ultimo nome) cercano per vincere di fare più punti degli altri. Alla fine della partita, dopo la doccia, c'è il "terzo tempo"(vanto del Rugby), che si svolge nella "Clubhouse" della squadra che gioca in casa. Essa offre la pasta e la birra ed è il momento della riconciliazione: gli omoni stanchi, feriti e doloranti dopo 80 minuti di "botte", brindano e si scambiano opinioni e indirizzi facebook. GIOCO FERMO Ci sono due situazioni nel gioco del Rugby in cui si fissa un punto per rimettere la palla in gioco e sono la MISCHIA e la TOUCHE. La mischia, simbolo essa stessa del Rugby, è formata da 8 giocatori (solitamente i più grossi e forti) che si legano in modo particolare agli altri 8 avversari. La palla viene fatta rotolare in mezzo a tutto ciò e viene conquistata dalla squadra che spinge di più. La touche è il fallo laterale, una situazione mooolto COOL perché si può organizzare l' "ascensore" e cioè il sollevamento di un giocatore (solitamente il più alto) affinché possa impossessarsi dell'ovale a 3-4 metri di altezza e metterlo a disposizione della propria squadra. Chiaramente il suo compagno (tallonatore) che immette la palla in gioco deve buttargliela proprio lì, nel punto giusto! Per capire chi lancerà la touche dopo che la palla è uscita lateralmente dal campo, ci sono varie possibilità che non sto qui ad elencare per mancanza di voglia e tempo. GIOCO “APERTO” Le principali sono la MAUL e il RUCK. Una maul si ottiene quando il giocatore portatore di palla viene trattenuto in piedi da uno o più avversari, e quando uno o più compagni di squadra del portatore di palla si legano ad esso. Una volta che la maul è formata (lo dice l'arbitro) gli altri giocatori possono prendervi parte ma arrivando da dietro. Si legano e a quel punto possono formare una rolling-maul (detta in gergo CARRETTINO!) senza essere in fuorigioco. La maul non può essere portata a terra ma si deve solo spingere. Se i difensori sono bravi a bloccarla l'arbitro ferma l'azione e concede una mischia alla difesa. Un ruck (mischia "spontanea") si costituisce quando uno o più giocatori avversari si trovano a contatto l'uno contro l'altro per contendersi il pallone a terra, con i compagni di squadra legati almeno tramite un braccio. Si forma di solito durante una fase di "tackle-ball": quando il pallone viene rilasciato dopo che un giocatore è stato placcato, due o più giocatori possono provenire dalla propria metà campo legandosi tra loro e spingendo per aggiudicarsi il possesso del pallone. I giocatori che partecipano a un ruck possono toccare il pallone solamente coi piedi, in modo da farlo giungere a un compagno che si trova dietro di loro. Possono unirsi al ruck tutti i compagni di squadra che provengono da dietro, gli altri sono in fuorigioco. Il ruck non può crollare e termina regolarmente quando il pallone esce o l'arbitro ordina una mischia (pallone ingiocabile).


PLACCAGGIO E' un'azione volta a fermare l'avanzamento dell'avversario che in quel momento è in possesso di palla ed ha lo scopo di recuperare la stessa. In seguito al placcaggio il giocatore in possesso di palla, atterrato, deve lasciare immediatamente il pallone. Il placcaggio non può essere effettuato sopra la linea delle spalle e tanto meno al collo. E' vietato ribaltare il placcato ma si deve "accompagnarlo a terra". Vietato placcare chi è in volo (durante le touche o durante una presa al volo dell' ovale). GIOCO AL PIEDE Serve per andare in touche e "guadagnare" metri ma anche per lanciare in meta un compagno, ma esso deve partire da dietro il calciatore, altrimenti è in fuorigioco. Il calciatore può anche fare una "palombella" calciando oltre l'avversario e andare al recupero del pallone, in quel caso non può essere placcato. E' chiaro che se il giocatore è un figo e si trova nella posizione giusta, tenterà un drop! SICUREZZA Vi dirò un segreto: il Rugby è uno sport dove c'è contatto e ci si può fare male. Per questo motivo le azioni pericolose, l'antigioco (disonestà sportiva) e lo sbattersene delle regole è punito severamente dall' arbitro che a differenza di altri sport si fa valere. Se un giocatore protesta contro le sue decisioni non solo rischia il cartellino giallo (10 minuti fuori), ma la sua squadra viene retrocessa di dieci metri. Ciononostante l'arbitro spiega sempre ad alta voce quello che è successo, ma solo ai due capitani, che poi metteranno "ordine" nella squadra. Per la loro sicurezza i giocatori devono indossare il paradenti e alcuni utilizzano il caschetto(utile in mischia contro lo "sfregamento delle orecchie"!). Altri usano lo scotch da elettricista. Esiste anche il T. M.O. (Television Match Official), cioè un arbitro aggiuntivo che non solo controlla se c'è una meta in caso di dubbio, ma anche eventuali falli o colpi proibiti. Nessun altro sport ce l'ha! OUTRO Il Rugby è sicuramente uno sport maschio (anche se esistono squadre femminili e...spaccano, ve l'assicuro), che insegna tante cose. Si scopre anche che se non dai, non ricevi. Chi da il massimo viene rispettato anche se perde. Non esiste la "melina" perché è considerata una mancanza di rispetto. Si tifa a favore di una squadra e non contro l'altra. Tutto finisce con una stretta di mano e ci si guarda negli occhi. Non c'è posto per i disonesti. Scorrono fiumi di birra. Tutti possono giocare a rugby, anche la nonna...e non ha bisogno del paradenti! Vi consiglio di non perdervi i Mondiali del prossimo anno in Inghilterra, se non potete andarci c'è sempre la TV(le prime volte guardate la partita con un amico che sa le regole e può raccontarvi quelle "minori" che io ho saltato, son pigro, eh?). Oltretutto c'è ogni anno il SEI NAZIONI con l' Italia da tifare, anche se ha una collezione di cucchiai di legno ("trofeo" simbolico vinto da chi perde tutte e 5 le partite) da far invidia ad una baita delle Dolomiti. Ciliegina sulla torta i commentatori del "sei Nazioni" e cioè Munari e Raimondi, da spanzarsi dalle risate!

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AZZIARD “Vésanie”

GENERE: Black metal ETICHETTA: Mortis Humanae VOTO: 63/100 RECENSORE: Alessandro

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Azziard band francese dedita ad un certo black metal oramai quasi scomparso come proposta abitudinaria da parte francese; ultimamente erano, e sono, più le contaminazioni ambient, goth e se vogliano quasi shoegaze. “Vésanie” è il loro secondo full-lenght che segue a quasi cinque anni di distanza dall’esordio discografico con “1916”, ma la band nasce molto prima dato che il loro primo demo è uscito nel 2001. La particolarità della band parte già dal nome dell’album “Vésanie” che è una parola francese che potrebbe essere tradotta in italiano con “psicosi”o “follia”. La scelta non è casuale, e lo si denota anche dalla copertina stessa, visto che la band crea un concept su di una persona reduce dalla guerra che è affetta da disturbo post traumatico da stress e viene internato in manicomio. Dalle immagini della copertina si può dedurre essere presumibilmente ancora prima guerra mondiale. Dico “ancora” visto che la band già con il precedente “1916” speso note e parole sulla Prima Guerra Mondiale. Prima stranezza o per meglio dire peculiarità è la lingua in cui cantano; dopo le band scandinave con il loro idioma, dopo quelle dell’est europeo orgogliosi del loro linguaggio e dopo alcune prove in dialetto nostrano, anche i Francesi propongono, nel black metal, il cantato nella loro lingua. Rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare da una band black, forse anche dovuto al fatto che hanno rimandi death, il loro suono risulta molto pulito e con un’ottima “pulizia” delle registrazioni; gli Azziard riescono comunque a dar profondità e malessere alle composizioni grazie a un songwriting che si appoggia prevalentemente sulle chitarre. Mi sarei aspettato molto più blastbeat però, devo ammetterlo, ma questo comunque non rende scarna la produzione o riduce l’impatto violento delle canzoni. L’effetto finale è convincente e mette chiaramente in luce tutte le qualità di una band con esperienze pregresse da studio.

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Purtroppo ad eccezione di alcuni riff che ricordano alcune band, per l’atmosfera creata non perché si è di fronte ad un “cut and paste”sia chiaro, e si fanno ricordare in modo leggero, il resto dell’album manca di una spinta da parte di una o due canzoni “singolo” che possano spingere il complesso intero dell’album o quella “melodia” che faccia da collante dalla prima all’ultima traccia al di fuori delle tematiche trattate. “Vésanie”, dunque, è un cd che va preso nel suo complesso, come spesso accade con i concept album, in cui ogni brano è un tassello che ha un suo spessore definito e che complessivamente compone questo quadro a tinte forti. Se proprio devo trovare alcune tracce che più mi hanno colpito direi “Allégorie”, “Dialyse”, “De lumière, d’obscurité” e “Dans ma chair”. Gli Azziard, pur senza inventare nulla di nuovo per il black, riescono comunque a creare un buon lavoro e un discreto groove con questo loro secondo album. Album che si lascia ascoltare in modo più che piacevole, e con un pizzico di personalità che non guasta, specie in questo momento storico. Non siamo di fronte ad un disco epocale, ma di certo si tratta di un prodotto di buona qualità; e mi sento di poterlo consigliare senza problematiche sia agli amanti del black che a quelli del death.

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CIRCLE OF THE WITCHES “Rock the evil”

GENERE: Stoner/hard and Heavy ETICHETTA: Metal Tank Records VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

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Arrivati al secondo full-length e spinti dal produttore Bart Gabriel (Sacred Steel, Burning Starr, Crystal Viper), i Circle of Witches aprono il 2014 con il nuovo “Rock the Evil”, ma come sempre andiam per gradi… La band nasce nel 2004 nella zona salernitana; dal 2004 al 2012 riescono a far uscire diversi demo, due EP ed un primo lavoro. Purtroppo però la line up continua ad avere modifiche e sostituzioni e solo nel 2012 riescono ad avere una pianta stabile rendendo possibile la registrazione di un live, di questo album e di un tour in mezza Europa. “Rock the evil” un concentrato di hard’n’heavy con una forte base stoner. Come dire… un mix tra Gran Magus, Motörhead, Kyuss e Black label society (ma con un filino meno di virtuosismi chitarristici). Oltre a Bart Gabriel in questo album troviamo anche Mariusz Pietka (Lonewolf, Sabaton, Mortician) per dare una mano alla registrazione di questo nuovo disco. Infatti si sente in modo poderoso la mano di entrambe, infatti le già marcate abilità dei musicisti vengono oltremodo sottolineate e valorizzate senza perdere ciò che ci si aspetta dal trio. Forse avrei puntato di più sulla cura dei soli, che mi paiono un pochino troppo abbozzati e/o forse non del tutto “convinti”; ma tutto sommato è un errore che possiamo trascurare, ovvio se ciò non perdurerà anche nei prossimi lavori della band. Le composizioni sono, piuttosto granitiche e con una certa dose di fulmicotone pur restando fedeli al complesso degli archetipi stoner “infettati” dal rock and roll più polveroso. “Going to church”, “Pulling the trigger”, “Hell ‘n’ Roll”, “Southern wolves strike again” e “Pussy juice” sono a mio avviso le cartine tornasole della band in questo momento e di come intendono loro la musica stoner metal e hard rock della specie più pesante.

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In generale il nuovo “Rock the evil” convince ed è suonato in modo egregio, con delle canzoni di un certo rispetto e con una grossa carica di groove e di energia. A mio parere è un disco che avrà un certo seguito e che permetterà alla band di andare ancora più avanti di quanto non abbiano fatto sino ad ora. Sicuramente può essere utilizzato come colonna sonora di una notte brava o di un lungo viaggio per tenervi ben svegli e far in modo di macinare chilometri senza sentir la fatica. Unica cosa, ripeto ciò che ho scritto poco sopra, sembra quasi che i Circle of Witches avrebbero potuto fare quel passo in più, quantomeno per arrivare vicini alla perfezione, ma non l’hanno fatto e non è chiaro se per tempo risicato in studio o se per altra motivazione; sta di fatto che manca quel “quid” per aver un album molto più corposo ed intenso. Li aspettiamo quindi con il prossimo lavoro, sicuramente dopo il tour promozionale di questo “Roche the evil”, e gli facciamo i nostri migliori auguri per la carriera.

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DANIELE LIVERANI “Fantasia”

GENERE: Prog strumentale ETICHETTA: SG Records VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

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A poco più di un anno da “Eleven mysteries”, Daniele Liverani torna sulla scena con la sua nuova fatica intitolata “Fantasia”. L’album è composto da undici brani, ognuno dei quali intrisi di tecnicismi prog di primo livello, alcuni passaggi heavy classici e ovviamente tecnica a profusione. Il tutto, curato e miscelato lasciando sulle note il “marchio di fabbrica” D. Liverani, ma rispetto al precedente lavoro ho notato una certa esasperazione di alcune parti. Partendo dal presupposto che anche in questo lavoro Daniele riesce a dare una dimensione principale alla chitarra senza essere invasivo sugli altri strumenti, nota non da tutti parlando di un album solista di un virtuoso della chitarra, ho trovato una composizione troppo puntata alla tecnica e meno alle “sognanti visioni” del primo album. Ovviamente, sia chiaro, la parte tecnica di tutto il cd è più che ben curata e arrangiata al meglio, ma rimpiango un pelino “Eleven mysteries” per il feeling che riuscì a trasmettermi, mentre questo platter non è così immediato, ma deve esser “digerito” con più ascolti. In ogni caso, ritornando al ragionamento strumenti stico, Daniele Liverani è stato in grado di dare spazio agli altri strumenti, suonati da musiciti tanto giovani quanto abili, ed ariosità alle composizioni. “Unbreakable”, “Daylight”, “Apocalypse”, “Black Horse”, “Joke” e “Rage” sono i brani che più mi hanno colpito per la loro energia, per il loro “approccio” d’ascolto e per le sfaccettature che Daniele ha saputo cesellare nel pentagramma. “Fantasia” è dunque un disco più tecnico e, forse, meno introspettivo rispetto al precedente, riesce comunque a mantenere un meccanismo di ricerca costante di equilibrio tra tecnica e sentimento. Forse, unica nota negativa, la copertina che non riesco a collocare all’interno delle note. Mi pare esser a se stante rispetto a ciò che vien proposto nel cd. In conclusione devo dire che ancora una volta Liverani propone un buon lavoro, con capacità ed abilità quasi da incisore certosino per creare un nuovo tassello miniato del grande progetto che è “Daniele Liverani”. Consigliato agli appassionati di album strumentali e a tutti coloro i quali hanno puna certa predilezione per la tecnica alta ma non esasperata.

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ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY “Cloud eye”

GENERE: Stoner ETICHETTA: Transubstans Records VOTO: 90/100 RECENSORE: Alessandro

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Gli “Elevators To The Grateful Sky” hanno dato il loro primo vagito musicale con il loro demo omonimo del 2012, peraltro molto interessante e valido a dimostrazione che la band ha i numeri, e con questo “Cloud eye” il vagito si è fatto urlo detonante; ma come sempre andiamo per gradi e non saltiam di palo in frasca. La band nasce nel 2011 a Palermo dall’incontro di Sandro e Giuseppe, subito aggregatisi a loro Giulio e Giorgio. Sono tutti musicisti con alle spalle molti progetti e con molte compartecipazioni in altre band. Il loro suono è oltremodo particolare, mettono in connessione il doom, lo stoner, la psichedelica e il rocjk anni settanta con una maestria ed una facilità assolutamente non comune. Non a caso dopo il demo di cui sopra la Transubtans recods li ha messi sotto contratto facendo uscire questo nuovo lavoro “Could eye”. Pur essendo un esordio discografico, escludendo l’autoproduzione del demo, la maturità della band è palese e si “tocca” già dai primissimi secondi. Trovo che la band sia stata in grado di declinare il genere stoner nel suo complesso, la psichedelica per quello che serve alla band e il doom nella sua accezione più ampia in modo assolutamente personale e lasciando alle spalle le “lezioni” dei grandi del passato e dei grandi della scena attuale, diventando a loro volta pietra angolare su cui far “prolificare” nuove sonorità e nuove composizioni. Assolutamente impeccabile la parte tecnica ovvero: ottimo il songwriting, interessanti gli arrangiamenti e le scelte di post produzione e mastering. Ogni singolo strumento ha la sua dimensione e non prevarica nessun’altro, una voce molto trascinante e di grande effetto, delle chitarre sornione e dure allo stesso tempo, un basso intriso di pathos ed una batteria assolutamente trascinante. Assolutamente nulla da dire se non: Bravi.

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“Sonic Bloom”, “Turn My Head”, “Handful Of Sand”, “The Moon Digger”, “Mirador” e “Stone Wall” sono le mie top songs di questo album. Come sovente mi capita di segnalare ci sono molte altre trace valide, in questo caso c’è solo l’imbarazzo della scelta. Siamo ancora nel primo quarto di 2014, ma credo fermamente che questo possa essere uno dei top album di quest’anno. Le capacità di esser così poliedrici, pur restando coerenti con il genere, e dare sfogo alle proprie passioni accontentando un così vasto pubblico, perché è certo che riescono e riusciranno ad aumentare i propri fans con questo cd, non è per nulla comune e meno ancora “normale amministrazione”. “Cloud eye” è un album assolutamente consigliato e portentoso; per il futuro, auspicando che la strada intrapresa dagli “Elevators To Grateful Sky” non venga persa, ci sarà da aspettarsene delle belle. PROMOSSI CON LODE!

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FLAGEX

“La bibbia secondo flagex il lato oscuro (pt. 1)” GENERE: Death-black ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 67/100 RECENSORE: Alessandro

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Dei flagex abbiamo parlato tempo fa in questo numero quando recensimmo il loro lavoro “Violenza gratuita”. Pare a mia interpretazione che il progetto dalla recensione del novembre scorso ad oggi sia modificata, quantomeno come “proprietà” del progetto. Nel senso che la band ha espresso in modo chiaro che:” Flagex è un progetto di Mr. IRA e Mr. Vomit”. Rispetto al passato, la band si presenta con questo “La bibbia secondo flagex il lato oscuro pt.1” come una via di mezzo tra un EP ed un promo, ma con la qualità da cd. Interessante la dimensione particolare che la band trova all’interno dello studio. Compositivamente parlando siamo di fronte ad una ventata di death metal svedese vecchio stile, molto vicino a sonorità alla Entombed e Dismember, con venatura appena accennate al black (più per lo scream che per altro). Altissima la qualità proposta pure essendo in presenza di un EP-mini cd. Forse la batteria risulta leggermente sintetica, e forse avrei puntato ad un’equalizzazione più “lineare” e non altalenante come lo sbalzo che si sente tra “Il mio equilibrio” e “Io sono dio”; ma per il resto la “sana ultraviolenza” proposta dai Mr. IRA e Mr. Vomit è di qualità. Anche questa volta i testi in italiano e caustici, in questo caso tendenzialmente rivolti ad una visione della religione (appunto la “bibbia secondo Flagex”), andando morbidi come uno schiacciasassi ma non risultando mai ne banali ne scontati. E devo dire che non è cosa facile. Delle quattro tracce che compongono l’EP ho apprezzato molto “Il mio equilibrio” e “Io sono l’apocalisse”, ma anche le atre due tracce “Il lato oscuro” e “Io sono dio” hanno un certo fascino. Concludendo buona la nuova prova dei Flagex, attendiamo che il futuro ci porti un nuovo cd, vi esorto ad ascoltare La bibbia secondo Flagex, quattro tracce di violenza elargita a piene mani.

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INNERFIRE Phoenix rising

GENERE: Heavy-power ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

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La band proviene da Castelletto sopra Ticino in provincia di Novara, nascono nel 2006, ma per vicissitudini diverse approdano all’esordio solo ora. MA andiamo per gradi, come sempre, la loro proposta è un EP di cinque brani con una durata media di un certo livello, nel senso che siamo largamente oltre i quattro minuti medi (escludendo la prima traccia strumentale). Sono dediti ad un heavy classico con forti connotazioni power. Scrivevo poco sopra che loro nascono nel 2006 dalle ceneri di un precedente progetto i “Crusaders” nel quale i due chitarristi militavano. Dalla nascita al 2012 la band oltre a comporre brani e a studiare il modo di farsi conoscere navigarono in “cattive acque” tanto da dover cambiare la sezione ritmica per scelte artistiche assolutamente divergenti e rendendo il sound quello attuale che li caratterizza. Ne l frattempo entrano in studio e registrano i brani che presentano ora, dopo aver rivisto e corretto tutto il vecchio materiale. Ma andiamo al vivo della situazione, la band propone un power-heavy in parte già visto e sentito, ma con un personale tocco ed una personale visione sia del power che del’ heavy classico. Quindi non direi “nulla di nuovo sul fronte occidentale” ma bensì un “ abbiamo avvistato qualche cosa di interessante”. Buona la proposta compositiva, gli arrangiamenti sono tutto sommato discreti, ma la post produzione è leggermente claudicante. Ci sono alcuni errori minimi a mio avviso, assolutamente perdonabili dato che siamo di fronte ad un primissimo lavoro e come dico sempre “sono errori veniali e fatti per la foga di produrre il primo cd”. Quindi credo fermamente che la band in futuro non ricadrà in questi meccanismi, perché ne andrebbe del loro buon lavoro. In prima battuta la dissonanza sostanziale sta nella produzione, ovvero i suoni della prima traccia non rispecchiano il resto del cd. Abbiamo chitarre granitiche e suoni particolarmente rotondi, quasi metalcore oserei dire, ma la cosa non si ripropone nel resto delle tracce, pur rimanendo con una qualità più che sufficiente per essere una prima prova della band, e portando l’ascoltatore sui lidi classici del power.

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C’è qualche cosa che non mi torna nei piatti della batteria, che a volte sembrano sovrastare i tamburi, sia i tom che il rullante per capirci. Ripeto non fatevi forviare da questa cosa, le cinque tracce comunque nel loro complesso sono gradevoli, hanno una certa dimensione ed un certo appeal. Forse avrei fatto delle sovra incisioni o dei cori, ma questo non è propriamente un errore ma più un piacere personale, per poter dar più slancio alla voce che comunque è notevole e soprattutto stando comunque sui “canoni” power non eccede il falsetti da castrati o da urli inumani tipici del genere. Emotivamente parlando “Awaken” e “Regret” sono i brani che più degli altri mi hanno catturato, sia per la loro articolazione e sia per il feeling trasmesso. Come sempre vi consiglio di ascoltare tutto l’EP e poi fatevi la vostra top song list. In chiusura confido che gli Innerfire continuino così per quanto riguarda la composizione dei brani ed il feeling inserito, ma che prestino più tempo per la postproduzione, il mastering ed il mixing che sono oramai le parti fondamentali per le scelte “pre uscita” del lavoro. A voi che state leggendo vi invito a supportare la band da live, dato che questo EP è COMPLETAMENTE GRATUITO e scaricabile tramite il sito della band.

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LIPSTICK

“Urban Legends, City Vampires” GENERE: Hard & heavy/glam ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: DroB

Il sogno Lipstick nasce nella primavera 2013 da un’idea a lungo coltivata e coccolata di Jessie e Andrew che ben presto decidono di colorare il loro progetto con altri due talenti: Sebastian e Bob. La passione per la musica, per divertirsi e far divertire, il desiderio di comunicarsi e comunicare agli altri, conduce i ragazzi a comporre e suonare quelli che saranno i pezzi inclusi nel loro primo EP: “Urban Legends, City Vampires”, che vedrà la luce nel 2014. L’unico modo per struccarsi la vita di dosso è riempirsi il viso di trucco, e i Lipstick vogliono starti sulle labbra! “. Così dice la bio della band, personalmente direi che la voglia di fare c’è, mancano solo le finezze ed alcuni accorgimenti di “base” che a mio parere in questo EP mancano. La band si propone come altra, e forse dovrei dire ennesima, band a cavallo tra il glam, punk rock è l’heavy classico. A livello tecnico l’EP presentato dai Lipstick è molto curato, ben strutturato per la composizione, la gestione dei volumi e le registrazioni nel loro complesso. Nota dolente la scelta vocale ovvero: capisco che all’interno del glam e di un certo heavy metal ci vogliono gli acuti da ‘’strizzata di palle’’ o da presunto eunuco, ricordo ai lettori che a me il glam piace un sacco, ma quando non si hanno le corde vocali che permettono di salire così in alto, o si ha troppo testosterone che non permette falsetti particolari, tentare di andare in falsetto acuto e non arrivare alla nota crea a mio avviso una dicotomia ed una presentazione negativa della band stessa; perché porta l’ascoltatore a credere di aver tra le orecchie chi può arrivare con la voce dove non si può normalmente, dandone poi un risultato lontano dalle aspettative o peggio ancora deludendo l’ascoltatore. Detto questo la band propone, come dicevo, un glam rock con venature punk piuttosto riconosciuto e sentito molte volte da altre band; devo dire però, spezzando una lancia in favore dei Lipstick, che hanno, come scritto poco sopra, utilizzato una cura molto alta per quello che riguarda la parte tecnica pur essendo un EP e pur essendo il loro primissimo banco di prova e, nota non da poco, inserendo tutti quelli che sono i canoni e gli stilemi classici del glam, senza farsi mancare assolutamente nulla.

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Ovvio mettendo tutti gli stilemi classici e gli archetipi classici non vi è alcuna novità, ma come spesso dico non sempre c’è bisogno di creare un qualche cosa di nuovo per avere un buon prodotto complessivamente le quattro tracce che compongono l’ EP sono molto gradevoli e a mio personale gusto ho apprezzato molto ‘’Savage’’ e ‘’Shake it up’’. A chiusura di questa mia recensione, a rischio di sembrar bipolare (ed ammetto di NON esserlo) auspico che la band continui su questa linea, evitando però acuti in falsetto stratirato, e consigliando di trovare un meccanismo di valorizzazione della voce in altra forma.

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METALSTEEL

“This is your revelation” GENERE: Heavy metal ETICHETTA: On parole VOTO: 78/100

productions

RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Band attiva da più di dieci anni dal nome Metalsteel; la loro discografia parte da “Usoda” del 2003 poi “Bad in bed” del 2007 “Entertainment” del 2010, l’anno successivo un live dal titolo “Steel alive” e questo “This is your revelation” uscito il 7 marzo scorso. La band ha potuto calcare gli stessi palchi di band qauli: WASP, Helloween, Saxon e non ultimo aver condiviso il tour con James Rivera (Helstar, Malice, Distant thunder).I Metalsteel provengono dalla Slovenia e sono dediti ad un mix particolare di generi. La band, infatti, si propone pescando a piene mani da 3 filoni: il thrash anni 90 di stampo americano, il power teutonico e il metal classico di fine 90 e primi 2000. Per capirci si sentono a tratti i pantera ed i testament, i blind guardian dei bei tempi e rimandi a tratti di sonorità alla ozzy e judas priest. Il tutto potrebbe sembrarvi un abominio o un minestrone indigesto, ma vi giuro che funziona e piuttosto bene. Certo dare un’anima sola al proprio album sarebbe stato meglio, più forse per gli addetti ai lavori e per chi non apprezza la commistione di più generi. Detto questo la band riesce nell’album, pur avendo più anime al proprio interno, a creare un feeling di un certo spessore e a dare all’ascoltatore di che gasarsi per tutte e nove le tracce. Inoltre la mano sapiente di Mika Jussila (Nightwish, stratovarius, Amorphis, Lordi etc…) ha permesso tramite il mixaggio ed il mastering ai Finnvox studios di poter tirar fuori una particolare anima in questo cd. Strutturalmente il platter si fa ascoltare in modo gradevole e permette di gustare la variegatura di ogni traccia, senza essere stucchevole o distante l’una dall’altra. Indiscutibile, di fatto, la capacità di tutti i musicisti, non solo per la parte compositiva ma nel complessivo del cd quindi passando dalla composizione, alla registrazione e gli arrangiamenti. Ottime le chitarre granitiche, una sezione ritmica che devasta quando e dove serve, ma che sa farsi apprezzare anche nei frangenti più articolati e melodici e ottimale anche la voce che risulta intrigante e valida oltre a dare un mood aggiuntivo alle composizioni. Inoltre la band nelle note del cd ha fatto sapere che per poter ottenere un suono più curato per il feeling, hanno deciso di registrare in presa diretta, quindi doppio plauso da parte mia per la scelta ed il risultato.

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Magari avrei curato un pochino di più la copertina che risulta un po’ troppo scarna e prevedibile. Ho trovato molto evocativa la canzone “Godfather of Nothingness”, molto bella anche “Call of the war” oltre a “This is your revelation”, che oltre ad essere una buona tracci è anche quell ache d ail nome all’album intero, e “New messiah”. Nel complesso questo album “This is your revelation” è un gradevolissimo salto nel passato e musicalmente una colonna sonora sia per un viaggio lungo che per un momento di ricarica mentale. Complimenti alla band spero che possano continuare così.

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REESE

“Under the carpet” GENERE: Prog-Alternative ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

rock

Schumperlin

Reese band nata nel 2006 a Vicenza, e con questa line up: Carlo Sturati (vocals, guitar), Ettore Duliman (keyboards), Matteo Castegnaro (bass), Matteo Boschetti (lead guitar) e Enrico Gregori (drums) hanno prodotto un EP dal titolo “Under the carpet”. Quello che propongono è in sintonia con la copertina:”Musica surreale” nel senso che fanno un mix di generi particolarmente strano, come è strana la copertina. Dicevamo della commistione non comune: alternative rock, con attitudine prog metal e feeling quasi jazz. Prima di questo “Under the carpet” la band ha fatto già altri EP nel 2008 e nel 2012 rispettivamente “Just human words” e “View from the tree”. Va detto che ogni EP ha avuto un cambio di lineup ed è forse quello che a così tanto tempo di distanza dalla nascita siano ancora con un EP e non con un album intero. Ma andiamo oltre, addentriamoci di più nella realtà di cosa c’è “sotto al tappeto”. La band ha una marcia in più, ed ecco perché pur avendo proposto solo tre brani meritano un voto più alto e meritano un’attenzione da parte vostra. La capacità compositiva di questi ragazzi è oltremodo fuori dal comune, le parti suonate da ogni singolo strumento creano un quadro sonoro assolutamente inusuale e accattivante. Le abilità della band si notano anche nelle scelte di post produzione e mastering, ovviamente indirizzati dal tecnico del suono, e degli arrangiamenti veramente molto interessanti. La maestria in studio è oltremodo chiara e di livello superiore alla media. Personalmente tutti e tre i brani hanno una forza evocativa ed una vitalità molto interessante “Presente”, “Under the carpet” e “Until you get lost” sono dei brani ottimi per essere singoli di punta di un album intero. Chiudendo questa recensione, in un momento così intenso e ottimale di musica c’è un neo. Il neo è la durata esigua del EP, purtroppo poco più di 12 minuto è poco e si rimane con “la bocca asciutta” alla fine della terza traccia. Esorto la band a continuare con questa line up e con questa formula compositiva, esorto voi cari lettori, a seguire una band di questa caratura e aspettiamo un album completo.

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RONNY TAYLOR “Dateci i soldi”

GENERE: Prog Strumentale ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Lasciando stare la mostruosa somiglianza della loro copertina (e contro copertina) con quella dei queen of the stone age di “songs for the deaf” facciamo un minimo di storia della band I Ronny Taylor nascono a novembre 2010 a Torino. Loro dicono che : “Praticamente ci siamo beccati da Beppe che eravamo in tre e poi è entrato uno al sintetizzatore, quindi siamo quattro, ora. L’idea era quella di fare pezzi strumentali. Abbiamo fatto dei concerti a Torino e alcune persone si sono prese bene e hanno iniziato a seguirci. Verso la fine del 2011 abbiamo registrato per conto nostro un demo di 4 canzoni e ad ottobre 2013 è uscito “Dateci i soldi” che ha 8 pezzi e abbiamo registrato pure quello per conto nostro. I Ronny Taylor hanno condiviso il palco con molti nomi importanti quali: Guthrie Govan Band, Calibro 35, Linea 77, Movie Star Junkies, Dead Elephant, Mojomatics, Fast Animals and Slow Kids, Brunori Sas e altri. La band, entrando nel merito della recensione, propone un rock progressive ben suonato e ben composto, ma un filino eccessivamente autoreferenziale ed eccessivamente tecnico, nel senso che la band ha certamente le capacità e le abilità per poter suonare in questo modo così complesso e articolato, purtroppo però non crea un feeling con l’ascoltatore medio e per l’appassionato di prog penso che troverà la band interessante ma non differente ad altre già presenti nel panorama. I Ronny Taylor di fatto si “limitano”, se limitare si può dire in una situazione sonora come questa, ad un’ esasperazione dei virtuosismi di tutta la strumentazione facendo perdere, a mio avviso, parte del mood delle composizioni. Purtroppo la cosa a lungo andare potrebbe risultare stucchevole e non bastano ne il titolo ‘’Dateci i soldi’’ ne le incursioni vocali, ovviamente microscopiche visto che stiamo parlando di un album completamente strumentale, a modificare o sollevare la cappa di pesantezza che l’ascoltatore si ritrova a dover vivere.

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Ovviamente l’album è stato composto, ripeto, strutturato, arrangiato, mixato e curato nei minimi particolari ma basandosi purtroppo solo su quello che l’aspetto tecnico e meno della parte emozionale ed in un CD di musica, ancorché progressiva, se ci si ferma alla sola tecnica si perde il 50% di tutto. A conclusione di questa mia recensione auspico che la band lasci da parte qualche virtuosismo in favore del feeling e del groove, per poter ottenere un’alchimia completa e ottimale tra le loro idee, la loro tecnica e la loro passione. Questo è un album sicuramente per gli appassionati della tecnica e del progressive rock più tecnico, per gli altri credo che potrebbero affaticarsi nel ‘’digerire’’ questo album.

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VERAEURIDICE “VeraEuridice” GENERE: Rock ETICHETTA: Spb VOTO: 74/100

produzioni

RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

VeraEuridice è un progetto del chitarrista Fabrizio Sassi che decide di mettere in musica una sua personale visione della storia di Euridice ed Orfeo. Credo che tutti voi sappiate la storia di Orfeo, ma per evitar questioni faccio un super riassunto, Orfeo scende negli inferi per poter riavere la sua amata, ma ha un “obbligo” imposto da Ade il re degli inferi, ovvero fino a che sia lei che lui non saranno fuori dai regni di Ade lui non potrà voltarsi a guardare Euridice a meno di perderla per sempre. Purtroppo all’ultimo passo lui si volta e lei svanisce. La visione di Fabrizio è che tutto fosse architettato dagli inizi e quindi da una sua visione della storia. Molto bella come cosa e molto evocativa, purtroppo però io non sono Orfeo e la bio di una band e/o dei loro musicisti non sono Euridice… Mi spiego meglio, la band non da alcuna traccia di se se non il concetto che sta dietro al loro Ep-album. Ma la cosa si ripropone anche nei link proposti dalla band e nello stesso sito personale di Fabrizio. Capisco il voler valutare e far valutare la propria arte senza farsi influenzare dal passato e/o dal quantitativo di materiale già pubblicato, ma credo che potesse essere un passaggio sia d’obbligo che di informazione per chi non sa chi son oi VeraEuridice e chi è Fabrizio Sassi. Ma andiamo oltre. Tecnicamente il lavoro proposto è piuttosto interessante, un mix di musica rock con una potente componente teatrale, innestati con passaggi prog metal. Le capacità di tutti i musicisti che hanno preso parte al progetto sono massicce e si percepiscono in modo molto chiaro. Notevoli innesti di tre voci: una pulita maschile, una pulita femminile ed una lirica femminile che accresce il pathos delle precedenti due. Basso e batteria sono notevoli e sorreggono molto bene gli altri strumenti. La chitarra è ottima sia in fase di solo, che durante le parti di accompagnamento della voce. Evidenti ma non invadenti le tastiere, le quali racchiudono il tutto dando una marcia in più al tutto.

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Personalmente, lasciando stare le info mancanti, mi sarei aspettato una cura migliore per la copertina. Ricorda troppo le tavole anni 80 di Frank Frazetta o di Julie Bell o ancora di Dorian Cleavenger. Bellissimi i loro disegni, per la carità, piuttosto evocativi ma forse un peli relegati e relegabili agli anni 80 e 90. Ma detto questo direi che questi sei brani si fanno ascoltare e piuttosto gradevolmente. Si sente la tecnica tanto quanto si sente il feeling e il pathos che Sassi & Co. vogliono trasmettere. Mi sono piaciute molto “Mi prenderò gioco di te”, “La trappola dei sensi” e “Fidati Orfeo”. Concludendo buona prova della band-progetto, un consiglio per il futuro COMUNQUE due note di bio fanno bene alla salute, oltre a dare il concept che sta dietro al cd e continuate così per le composizioni.

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SOUND OF SOUL “12 Enàir”

GENERE: Rock ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Max

doctor rock Ugolini

Giunge sui nostri lettori cd questa ultima fatica del gruppo abruzzese ,certo non un combo di primo pelo giungendo a quest’opera matura dopo dieci anni di attività. Dieci anni di note di live in giro per l’Italia,acquisendo esperienza e arrivando così ad un lavoro definitivamente maturo. “state of famiglie” è il singolo che fa’ da apripista al cd ,ed è tutto un programma di apertura alle intenzioni e alle conclusioni. Un pop anglosassone o perlomeno di riferimento tale coinvolgente mescolato ad ascendenze alternative rock di sicuro impatto. Due per così dire riletture del capitalismo part.1 e part.2 sono sontuose perle in apertura dove tutto appare come non è prevedibile seguendo l’ascolto.”easy on the eyes”dal percorso nettamente acustico che non crea disequilibri nel concetto generale. Creation chiude la nostra disamina breve ma ficcante su questo lavoro non tralasciando che l’opera tutta merita ulteriori sviluppi positivi nelle congetture di questa calibrazione armonica e creativa.

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BAGUNGA!

“Winnie Meets Lucifero” GENERE: Elettronica ETICHETTA: autoproduzione VOTO: 65/100 RECENSORE: Drob

Un album totalmente rilassante. Intendiamoci, non si parla qui di una compilation lounge oppure del sottofondo di un centro massaggi: si parla di relax mentale a suonare un disco completo e variopinto, intriso di certo di varie influenze che spaziano da acid jazz a dub (Ipnosi Gastrica), da colonna sonora a colonna sonora per “hot date” (Primavera,Turn me on). Ben suonato e mixato, dal titolo intrigante, porta l’ascolto all’immersione totale senza scossoni con unica eccezione un brano hip hop (Onirico -Feat Zona MC) che da buona prova del genere senza renderlo borioso. Poi finalmente l’odiabile Winnie incontra il demonio ma la traccia strumentale -più di 9 minuti di progressiva psichedelia- non ci da certezza sul giusto epilogo, forse Crime Scene suggerisce dei dettagli maggiori, una chitarra dolce pare introdurre un lieto fine ed una melodia quasi classica ne conferma il mood. Il disco si chiude con soluzione di continuità, un canto quasi etnico come fu il principio (Circular Woman) a completarne l’atmosfera già sognante.

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COLLAPSE “The Fall”

GENERE: prog-post rock ETICHETTA: autoproduzione VOTO: 68/100 RECENSORE: DroB

Un album che a primo impatto può risultare pretenzioso, per via delle articolate orchestrazioni e della maestosità dei brani. Ma tenendo ben presenti certi riferimenti di settore come Porcupine Tree o Mogwai si può capire da dove parte questo progetto francese, e soprattutto dove e come vuole giungere. Prog-post-rock strumentale, con sparsi campionamenti di voci (torna alla mente Signify dei suddetti Porcupine Tree) che ad ogni modo restano ornamento degli arrangiamenti epici, rock trionfale e romantico. Dove per romantico intendiamo anche l’impeto profuso nei cambi e nei suoni (l’apertura con Your grace is out of time) oppure il muro di distorsione che ci investe appena suoniamo Jesco’s ghost, ricca anche per una strofa litania-pop, dove la voce appena sussurrata fa da contrappunto alla potente parte strumentale. Lunghe digressioni nei brani, si passa da estratti sognanti (a metà di Bringing out the dead) a vere e proprie suite di hard music. Ottimamente dosate le parti elettroniche o comunque campionate, alcuni glitch o sintetizzatori ben legati agli altri strumenti che sono quelli classici del power trio, basso chitarra e batteria. Un album si diceva complesso, fatto di sovrapposizioni e progressioni (ambientazioni che ricordano Batcat, per la pesantezza, il cadenzato, l’aria notturna) che si lascia ascoltare piacevolmente anche per la scoperta continua di suoni, effetti emozionali a sorpresa (l’intro di Inner Chaos) e momenti di calma apparente. Interessante anche la tracklist che propone quello che sembra un concept, i cui titoli evocativi e spirituali lasciano porte aperte su importanti riflessioni che lasceremo interamente agli ascoltatori.

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FRANQ

“Forest Beats” GENERE: Dark rap, elettronica ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 58/100 RECENSORE: DroB

La prima impressione che si ha all’ascolto di questo EP è che ci sia alle spalle un massivo ascolto di r’n’b e di, genericamente, musica da club. Le orchestrazioni possono essere ricondotte facilmente all’ambiente balearic, suoni sognanti ed evocativi che possono facilmente adattarsi a colonna sonora (Cheminee) oppure a musica di sottofondo (Sentiero).I suoni possono risultare freddi perché molto digitali, pattern elettronici o arpeggiatori trasmettono atmosfere commerciali che non sempre giovano all’intero album. Il lavoro nasconde però una sottotrama più scura, qualcosa di più contaminato da certo hip hop non commerciale (Dalek ad esempio, o Burial anche se in toni meno ossessivi). La forza di Franq è forse proprio questa contaminazione, un’alternanza continua tra solare e notturno, anche se a gusto di chi scrive, per avere un maggiore ed immediato impatto, per evitare che si definisca queste tracce solamente “musica da sottofondo”, bisognerebbe sporcarle un po’ e renderle forse meno accessibili così da aumentarne l’interesse.

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HELKA WU

“The spring that never was” GENERE: Art-metal-noise ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Drob

Interessante progetto toscano, questa band incuriosisce per nuove forme compositive in cui la sperimentazione, a tutti i livelli, gioca un ruolo protagonista. Tre tracce sottoposte all’ascolto in cui non si può ritrovare un genere -una fortuna forse- ed in cui difficile sarebbe cercare nette influenze. Linee vocali malate, strozzate, gorgheggi che contrappuntano orchestrazioni altrettanto destabilizzanti. C’è psichedelica, art-rock, metal appunto e tanto noise. Unica pecca la versione demo che, registrata in probabile presa diretta, non rende giustizia all’effettivo sound, ad una compattezza che solo marginalmente si denota, alle parti strumentali interessanti.

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MEZZI ESTINTI EP

GENERE: Alternative / post ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 74/100

punk

RECENSORE: Drob

Grande carica questo trio di Parma, ottima prova in un EP teso ed adrenalinico, tre brani di indubbio effetto. Il brano di apertura Agata, perlopiù strumentale, apre in maniera prepotente il mondo sonoro di Mezzi Estinti, scariche ritmiche di inusuale potenza e chitarra basso all’inseguimento in un una suite che fa pensare - stranamente perché non si annovererebbero tra le influenze - ai Placebo in una versione progressiva. Le tracce seguenti cantate tradiscono infatti questa impressione e rimandano ad un alternative molto più contaminato, sporco. Gli stacchi rimangono di attitudine prog ma le chitarre tessono melodie più immediate, a seguire la voce strozzata e molto graffiante. ‘109 giorni fa’ pecca forse proprio per la poca variabilità della linea vocale, ma è rafforzata da gustose frasi di chitarra ed un ritornello che in ogni caso può rimanere bene impresso.

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SOMEDAY EP

GENERE: Acustico ETICHETTA: Autoproduzione VOTO: 76/100 RECENSORE: Drob

Si nascondono quasi, i Someday. La loro musica essenziale arriva sommessa quasi a non voler disturbare, insinuandosi poi piano nell’aria e catturandone tutto l’ossigeno. Intenso lavoro di questo duo torinese, maturo nelle orchestrazioni e nei testi. Le voci alternano momenti di morbida melodia (Divano pulito) a ruvide cantilene (Rifugi). Colpisce l’attenzione data al bilanciamento dei suoni negli arrangiamenti, le chitarre dialogano amabilmente così come note sporadiche di pianoforte legano le strofe o una tromba chiude romantica una canzone (Tre fumetti). Si chiude l’EP di soli 4 brani, se ne aspettano certamente altri ancora. Peccato che la band sia così timida da non lasciare traccia web del suo passaggio.

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GO!ZILLA

“Grabbing a crocodile” GENERE: Psych/garage/punk ETICHETTA: Black Candy Records VOTO: 75/100 RECENSORE: Rob

Il duo toscano, Go!Zilla, che da poco è diventato un trio per accrescere musicalmente, a prima vista possono sembrare gli ennesimi “imitatori” dei Bud Spencer Blues Explosion, o dei Black Keys, ma ascoltandoli bene, di legami con le band citate ne troviamo ben pochi. Anche se si ispirano molto a uno stile americano, e soprattutto a una vita da girovaghi, eh si perché questi ragazzi hanno girato mezza Europa, Germania, Francia, Belgio, Danimarca, e posso continuare se volete, facendosi le ossa a suon di live, sono una vera e propria band da palco, è in quel contesto che rendono al meglio, e il loro curriculum, attivo dal 2012, è di tutto rispetto. Si fanno sentire per la prima volta con un Ep omonimo, e subito dopo partono per una miriade di date in giro tra club e festival, l’album d’esordio esce nell’aprile 2013, per Black Candy Records, ed è proprio quello che sto per farvi conoscere brevemente in questa recensione. “Grabbing A Crocodile” viene aperto con la chitarra distorta e un buona fusione tra le ritmiche che riempiono bene il vuoto lasciato dalla mancanza di altri strumenti, “I’m Bleeding” invece con un ritmo leggermente più accelerato portato avanti sui tom, crea atmosfere più cupe alternate al ritornello che si apre sul crash, chiudono con un assolo distorto e psichedelico, termine spesso affiancato alla band. “Roswell, NM” mi fa ricredere, riguardo la questione dei legami con alcune band, forse dispiacerà l’accostamento ai Black Keys, ma il finale di questa canzone ricorda proprio loro, ma ci può stare e va anche bene, pezzo riuscitissimo. Poi più andiamo avanti, e meno punk incontro durante l’ascolto, trovo rock’n’roll a carrellate, potenza, e bellissime combinazioni chitarra/batteria, come in “Dazem Dream”, qui aggiungono anche tastiere come contorno, e rifiniscono, con delay, voce sognante e stralunata.

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In coro “I Want Her” rimbomba durante l’ottava traccia, la batteria regge la situazione, con una timbrica molto presente, canzone ruvida, dal sapore garage rock, qua si sfogano alla grande, e chiudono senza troppi fronzoli, breve ma intensa, tra le migliori. “Magic, Weird Jack” inizio un po’ Libertines, sapore leggermente britannico, bello il ride nel ritornello, e poi nella parte finale esprimono al meglio la loro idea di psichedelica. Chiude “Get Me Out Of Here”, forse un pò troppo monotona, cercano di decollare con un po’ di distorsione e un mezzo assolo, ma forse quello che avevano da dire l’hanno già detto in precedenza, comunque sia, anche se la chiusura lascia un po’ a desiderare, mi piace l’attitudine di questa band, che ha capito che l’Italia, (purtroppo) ha ben poco da offrire a chi come loro, vuole suonare rock e lo vuole fare dal vivo. Il loro viaggiare molto e fare tour in giro per l’Europa li ha fatti maturare tanto in poco tempo, e quando spendi così tanto per un obbiettivo, puoi davvero raggiungere qualsiasi cosa tu voglia, e secondo me se lo meritano.

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SCISMA BABY “Liscivia”

GENERE: Desert/Stoner/Noise ETICHETTA: VOTO: 80/100 RECENSORE: Zanko

Liscivia è il secondo lavoro degli Scisma Baby, band di Ascoli Piceno, attiva dal 2009, una band con un’identità sonora matura e personale, in queste 10 tracce si trova un po’ di tutto, pontenza e aggressività, in Malaparata, Ultimo Caos, e Fucksimile, si alternano a momenti strumentali, come in Resina, e a canzoni meno veloci e più dedicate all’armonia come Liscivia, e Cenere Rossa, il tutto con una linea vocale che definirei sporca, in quanto non melodica, ma adattissima al sound della band. Desert è secondo me la traccia migliore, perché alterna molto bene la parte soft con quella più aggressiva dello stile Scisma Baby. Continuando l’ascolto poi si arriva a Fetus Are You Ready For This Crop? bel sound ricco e testo in inglese. Poi quello che non ti aspetti, l’ultima traccia “Fuori” cantata in collaborazione con “Fog Prison” (Rap band di Ascoli Piceno) è un perfetto mix di rock e rap, e devo dire che è riuscito bene. Le tracce sono tutte molto ben curate, e se prese singolarmente tutte belle, ma nell’insieme il disco risulta un po’ troppo piatto. Gli Scisma Baby danno l’impressione di essere una band da palco, che dal vivo rende molto meglio di quello che c’è nel disco. Concludendo direi, una buona prova d’esordio; rispetto a molte altre proposte musicali hanno una marcia in più, pur restando a “pieno regime” nel genere e senza stravolgerlo. A volte non c’è bisogno di sconvolgere una cosa che funziona da decenni. Certo se si vuole emergere si ha da fare qualche lavoretto in più, ma credo che la band sia nelle possibilità e nelle capacità di poter fare questa svolta ed uscirne dalla “quotidianità” andando oltre e potendo imprimere il proprio sound. Promossi con lode.

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TOMMI E GLI ONESTI CITTADINI “Uno ad uno”

GENERE: Punkrock ETICHETTA: VOTO: 85/100

/ rock

RECENSORE: Zanko

Chi ascolta il punk rock italico non può non conoscere le Pornoriviste, e di conseguenza Tommi, anche se erroneamente in molti pensano che “Tommi e gli onesti cittadini” sia solo la band parallela di Tommi, vero a metà, perché gli altri componenti arrivano da Skruigners, Franziska e Alberto Camerini, tutta gente non di primo pelo per intenderci, e tutti musicisti che fanno sentire il loro stile in modo divertente e spensierato. Questo è il loro terzo lavoro, uscito il 14 aprile 2014, registrato e mixato da Claudio Borroni, e masterizzato all’indiebox music hall da Giovanni Bottoglia, disco corto, equilibrato, essenziale, la storia della quotidianità di un ragazzo comune. Il disco è divertente, i pezzi si susseguono bene, senza acuti particolari, ma tutti rimangono in mente molto velocemente, mio figlio di 4 anni sono 3 giorni che mi chiede di ascoltare “OSSA” e non fa altro che cantarla tutto il giorno. Rispetto ai precedenti lavori, questo disco suona meno punk, e questo potrebbe far storcere il naso a qualcuno, ma Tommi mantiene le sue caratteristiche che lo hanno contraddistinto in tutti i suoi lavori, con un sound più melodico, e a tratti romantico, il tutto ovviamente senza mai dire una “R” in nessuna canzone. La voce di Tommi è di quelle che o ti piace o non ti piace, non ci sono vie di mezzo, quindi consiglio l’ascolto a tutti quelli che lo hanno sempre apprezzato, e possono scoprirlo in UNO AD UNO in una veste inedita, con la speranza che le parole finali di NOVECENTO, “…la festa è finita e basta!!!”, siano riferite solo a certe persone descritte nella canzone, e non siano un saluto ai fans.

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