UndergroundZine febbraio 2015

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MONDAY OVERDRIVE “Monday Demons”

GENERE: Rock/Hard Rock ETICHETTA: Indipendente VOTO: 90/100 RECENSORE: FreeZone

La band nasce nel 2011 quando Guido Russo(vocals and guitars) e Michele Trevisan(guitars) decidono di registrare alcune idee musicali originali che si rifanno al loro background musicale, l’unico momento libero per le prove e le registrazioni era il Lunedì, da qui il nome della band. Nel 2014 la sezione ritmica si amplia con l’entrata di Mary (bass) e Filippo Zaniolo (drums) i quali portano nuova energia e nuove idee per comporre nuove tracce, portando i Monday Overdrive alla registrazione del loro primo demo “Monday DEMOns”. Tracce nate dall’appassionante affiatamento del gruppo, otto brani composti da riff rocciosi “Faster” e ritmi trascinanti “They’re”, la voce di Guido Russo scivola via egregiamente, i compagni di brigata non sono da meno, ripartizione ritmica in simbiosi e assoli avvolgenti rendono questo cd piacevole all’ascolto, orientato su sonorità Hard Rock compatte a volte tendenti al Metal . Non avendo nulla da invidiare ad artisti delle grandi major i Monday Overdrive abbracciano una strategia nel mostrarsi per quello che piace fare senza dover accontentare il”Monkey Business”.

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REVENGE

“Survival Instinct” GENERE: Hard Rock ETICHETTA: Fuel Records VOTO: 70/100 RECENSORE: FreeZone

Può succedere di tutto nelle gelide sere invernali in una radio locale, come fondare una band. Nati a Pesaro nell’ormai lontano 1981 i “Revenge” hanno dato una scossa nella scena Hard Rock italiana, molti ricorderanno il brano “Angel in leather” che li portò in studio per la registrazione del EP “Hotzone” il quale nel 1984 ricevette il plauso di pubblico e critica. Dopo numerosi live in tutto il paese nel 1987 tornano in studio per la registrazione di “Sweet Revenge” a sua volta considerato dalla critica una delle migliori tracce heavy degli anni ’80, questo però non li fece realizzare il salto di qualità comportando lo scioglimento della band. Dopo le pressanti richieste per la pubblicazione di materiale d’archivio nel 2007 i “Revenge” tornano in studio per la registrazione di due inediti quali “Shelter” e “Home again” portando la band ad un ritorno sulle scene. Il 2012 fù l’anno del come-back definitivo portando la band nuovamente in studio per la registrazione di nuovi brani fino ad arrivare ad oggi con “SURVIVAL INSTINCT” . Un album di tutto rispetto con tracce sanguigne come “Dead or Alive” o “Bite the Bullet” per poi passare a ballate come “Home Again” in pura tradizione Hard Rock. Indiscutibilmente un album da avere nel proprio background musicale.

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RISINGOVER

“Butterflies and Faded Words” GENERE: Electronic/Pop-punk/Post-Hardcore ETICHETTA: Loserkid Records VOTO: 80/100 RECENSORE: FreeZone

I Rising Over nascono nel Gennaio del 2014 dallo scioglimento della ex punk rock band di Davide e Andrea , rispettivamente chitarrista e bassista. Volendo continuare sulla loro passione , sperimentano nuove sonorità cercando di cambiare lo stile musicale. Composti da 4 elementi,influenzati dal pop punk ,post hardcore, alternative ed elettronica, nel Marzo 2014 varcano lo studio per la registrazione del loro EP di debutto: Butterflies and Faded Words. Numerosi sono stati i live dopo il debutto portandoli a partecipare al Cazzago Sitis Laif Contest (organizzato dai Rumatera) arrivando al secondo posto. Un EP che già dal primo ascolto carica i nervi fino a portarti all’inevitabile airguitar, grancasse martellanti come in “Let the Bulls Fly”, intro di elettronica pura per “Hypocrisy’s 2 Faces” che ricordano i Korn feat Skrillex. Imperdibile!!! P.S: Indiscrezioni dicono che stiano progettando un vero e proprio CD totalmente autoprodotto…….we’ll see!!!

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SIRANDA

“Dorma il Male” GENERE: Rock ETICHETTA: Indipendente VOTO: 65/100 RECENSORE: FreeZone

I Siranda nascono nell’estate del 2006 dalla passione per il Rock che li accomuna, portandoli a creare un sound personale, un progetto che rispecchia il loro modo di essere confrontandosi con quello che li circonda. Dopo vari concerti e cambi di line-up nel 2012 escono con il primo EP “La Scatola” a detta degli stessi Siranda “godibile e rallystico” scaricabile in free download. Nella fine del 2014 escono con l’EP che vi presento ovvero “Dorma il male”. Per quanto questo EP poco aggiunga in termini di evoluzione musicale, tutto quello che dice lo esprime in maniera chiara e senza lasciare fraintendimenti. Composto da 5 tracce “Dorma il male” parte da un basilare rock italiano in “Apparentemente”, inasprendosi con sonorità più aggressive in “ Il lamento di Danae” arrivando ad un Hard Rock a mio avviso quasi sul Metal in “Ombre” finendo con il Blues Rock di “Maestro della voce”. Un EP che racchiude più generi il che farlo con sole cinque tracce non è semplice, per questo “Dorma il male” merita un plauso ed un considerevole ascolto.

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THE BANKROBBER “Gazza Ladra”

GENERE: Pop rock-brit rock ETICHETTA: Alka Record Label VOTO: 65/100 RECENSORE: FreeZone

Band del Riva del Garda in attività dal 2008 i The Bankrobber vincono Rock Targato Italia nel 2009 che li porta alla collaborazione con Enrico Ruggeri il quale firma brani come “Moviola” del 2010 e “Funerale di un Automa” del 2011. Dopo la registrazione di un videoclip, incisioni di nuovi brani come “Senorita” presente nel lavoro discografico del 2012 “Le Canzoni ai testimoni” di Enrico Ruggeri arrivano, dopo aver coverizzato “Lullaby” (Cure), al 2014 con l’uscita del loro nuovo album “Gazza Ladra”. Un album composto da 11 brani che non rivoluziona canoni e non scuote standard, ma si colloca nel filone Pop Rock Italiano e si fa apprezzare il giusto, è una miscela di suoni che richiama anche la tradizione Brit di questi anni. Eppure brani come “Goodbye happy days” e “Piccole maschere” sono potenziali hit-single che si risolvono in buoni arrangiamenti chitarristici, una nota di merito va alla patriottica “Vedi lei, solo lei, sempre lei” ascoltatela e capirete il perché. “Gazza ladra” è un album orecchiabile, fresco e divertente, di sicuro interesse per gli amanti del genere.

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ARTIFICIAL WISH “Subconscious”

GENERE: Melodic Metalcore ETICHETTA: Buil2kill records Audioglobe

Century Media VOTO: 80/100 RECENSORE: Lidel

Recensione un po’ particolare in quanto viene fatta su di un album uscito nel 2012 ma meritevole di essere ascoltato. Gli Artificial Wish sono una band veneziana attiva dal 2006 che ha pubblicato un album di 8 pezzi + intro, dal titolo “Subconscious”, uscito nel 2012 per Buil2kill Records ed è distribuito da Audioglobe e Century Media in tutto il mondo. Il genere è un metalcore con inserti elettronici ed un uso intelligente di melodia che aiuta a rendere l’album piu’ gradevole, dopo l’intro “Preface”, si parte con “Spin” di ispirazione Killswitch Engage con un piglio abbastanza rock anche grazie alla voce ben convincente, “Evidence” ha un bell’inizio dato da un ottimo lavoro di chitarre ed un basso bello cazzuto, molto bene il ritornello ed i cori, “My clay’s world” parte con un basso che la fa da padrone e con un aumento della velocità, “One” è quasi una “ballad” riconducibile ad un metal di scuola anni 90 sotto un certo punto di vista con qualche pattern di elettronica, “Infected thoughts” è classico metalcore, “Till the end” è probabilmente il mio pezzo preferito in quanto cercando di discostarsi un po’ dal metalcore ed emerge una vena “commerciale” (nel senso buono del termine), fossi in loro cercherei di focalizzarmi maggiormente su queste coordinate. I restanti pezzi nulla tolgono o aggiungono a quanto sentito. L’album ha il pregio che un po’ cerca di discostarsi dal metalcore doppia cassa\ growl-screamo continui\ blast beat, di sicuro non è un album innovativo ma l’ho trovato decisamente piu’ ascoltabile e godibile di migliaia di altre proposte, quindi è un’ottima cosa. Una band che se riesce a trovare il modo di essere un po’ piu’ personale per me ha tutte le capacità per emergere in ambito internazionale ed il tour nell’est europa fatto nel 2013 lo testimonia.

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BATIÈN

“Frammenti del mio flusso che insieme sono un puzzle divisi i continenti” GENERE: Post rock, alternative, hardcore ETICHETTA: Punishment 18 records VOTO: 60/100 RECENSORE: Lidel

Ep di 5 pezzi per i Batién dal titolo lunghissimo “Frammenti del mio flusso che insieme sono un puzzle divisi i continenti”. Il genere è un rock alternativo con qualche influenza hardcore cantato in italiano. “La nostra felicità non farà ricco nessuno” spiega per bene quanto scritto prima, “Creo, poi le guerre” parte quasi con un accento di scuola british e poi va a confluire in un post rock di matrice scandinava, l’ep poi continua a ripetersi come creazione dandomi un senso non troppo piacevole, ho avuto in più di una occasione il dubbio che stessi ascoltando lo stesso pezzo. Se in soli 5 pezzi ci si ritrova a ripetersi in maniera quasi costante per me vuol dire che qualcosa non quadra se si vuol puntare ad offrire una proposta variegata. Mi dispiace per loro ma in questa situazione posso applicare il detto “ascoltata una, ascoltate tutte”. Un lavoro che se sviluppato un po’ meglio può offrire davvero molto in termini di resa, così per i miei gusti, non ci siamo.

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BOM PRO’ “Autobus n.7”

GENERE: Pop punk ETICHETTA: VOTO: 60/100 RECENSORE: Lidel

I Bom Pro sono una band di punk canonico, innamorati dei Ramones ed autori di un album di 10 pezzi + 2 inediti dal titolo “Autobus n.7” . Partendo da “Tromba d’aria” a “Cerco un’avventura” a “Birre” a “Surfing soda” si ha quasi sempre la stessa base Ramones più movimento punk italiano degli anni 90 (Pornoriviste, Senza Benza, ecc.). Purtroppo per loro non c’è la classe dei Ramones a sorreggerli, i testi dovrebbero essere scanzonati e divertenti ma a me non han fatto ridere granché e non li ho trovati interessanti. La band è attiva dal 1997 e non so come siano gli altri album ma questo mi sembra un album di una band agli esordi, non di una band attiva da così tanto tempo. Riff sentiti almeno 100 volte solo nell’ultimo anno, mancanza molto marcata di idee, una vera e propria noia mi ha attanagliato durante l’ascolto. A scanso di equivoci son cresciuto e morirò con i Ramones nel cuore, ma da qui ad incensare chiunque tenti di imitarli, ce ne passa. I Bom Pro saranno pure coinvolgenti dal vivo ma l’aver ascoltato una volta questo “Autobus n.7”, mi basta e avanza.

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RIBELLI AL BAR “Giochi di potere”

GENERE: Punk rock hardcore ETICHETTA: Indie Box VOTO: 70/100 RECENSORE: Lidel

I Ribelli Al Bar sono una band di punk rock hardcore autrice di un album di 14 pezzi edito dalla Indie Box. “Giu’ dall’inferno” parte bene con il suo fare incazzato, se ciò che prosegue con lo stesso ritmo del primo pezzo, “Vorrei” cambia passo verso un punk rock californiano più lento, la traccia 5 “Facce lontane” è una bella fucilata hardcore melodica, i restanti 9 pezzi continuano con la stessa proposta. Per me un errore di questo album è stato l’aver scelto ben 14 pezzi che alla lunga mi han davvero stancato in quanto, esecuzione e registrazione di buon livello, non c’è stata una sola canzone capace di restarmi in testa. Agli amanti dell’indie box sound, consiglio la band senza remore, a chi cerca invece qualcosa di veramente diverso dal solito punk rock hardcore italiano, non mi sento di fare altrettanto. Probabilmente dal vivo riusciranno ad essere coinvolgenti.

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BEERGASM

“Cancer Society” GENERE: Thrash/Groove/Death Metal ETICHETTA: Ghostrecord label VOTO: 65/100 RECENSORE: MAD!

Debutto Ufficiale con la Ghostrecord Label, per i Beergasm di Forli-Cesena che ci fanno ascoltare un Demo di quattro brani suonati sotto le vesti degli “Scythe” ma riproposti sotto il nuovo nome, a partire dal 2013, anche se il Demo risulta del 2014. Un Buon Trash Metal con riferimenti Death e seppur in minima parte al Groove. Le quattro tracce contenute in “Cancer Society”, questo il titolo del loro lavoro, danno subito l’idea di quello che ci potremmo aspettare di buono da questa band che nonostante sia agli inizi le idee in fase di composizione sono buone, mentre tecnicamente li definirei ancora in fase embrionale. Si parte subito al cardiopalmo con “Lotus Bloom”, per poi proseguire con brani come “The Killer” e “Succubus”, due tracce che sembrano scaldare i motori dei ragazzi che raggiungono il pieno dei giri con la buona traccia di chiusura dove possiamo avvertire la parte Groove e stiamo parlando di “Work Makes Death”. Le chitarre che dialogano molto bene tra loro s’intrecciano alla sezione ritmica il tutto tenuto ben amalgamato dalla sezione vocale.Un peccato che sia già tutto finito perchè la band era calda e se avese continuato ne avremmo sentite delle belle. Dunque non resta che aspettare il secondo lavoro con la speranza di trovare nella sorpresa qualcosa in più come numero di brani.

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TUTTE LE COSE INUTILI “Dovremmo essere sempre così” GENERE: Indie/emo/alternative ETICHETTA: VOTO: 65/100 RECENSORE: Marco Tucciarone

È andata delineandosi una certa maniera, da un po’ di anni a questa parte. Probabilmente da “Sfortuna” dei Fine Before You Came in poi. Già, forse in Italia è stato quel disco ad inaugurare una nuova stagione, e con essa un nuovo modo di esprimersi per molti gruppi alternativi. Una valida ragione, oltre alle altre, per attribuire al suddetto album lo status di capolavoro. Dicevo, si è andata delineando una certa maniera, un’abitudine dunque, un reiterarsi e un rincorrersi di tematiche specifiche, e di approcci al mezzo musicale. Adesso il punto sta nel cercare di analizzare questa maniera, al fine di comprendere quale sia il suo oggetto, ossia, da dove questi “poeti sotterranei” e “predicatori senza popolo” traggano l’ispirazione, per poi tradurla in parole, in versi, in liriche da incorniciare nei confini della forma canzone, prima che in un booklet, o in una pagina web. Perché dietro una determinata maniera non c’è solo assuefazione, ma anche la voce di un’epoca, oppure, come nella fattispecie, di una perenne fase transitoria. Tanto per essere chiari: sono convinto che un’analisi critica, seppur volenterosa, quasi mai sia in grado di esaurire, sviscerare, dissanguare un’opera fino all’ultima goccia di senso, un po’ come si fa col bovino nella tradizione Kosher. Specie se si tratta di un’opera, come in questo caso, poetico-musicale, e che dunque, per sua natura, conduce sempre a nuove strade, a nuove aperture di senso, ascolto dopo ascolto. Lo so, metto un po’ le mani avanti, ma è solo per dire che analizzando “Dovremmo essere sempre così” dei “Tutte le cose inutili”, non avanzo la pretesa di aver compreso l’opera nella sua interezza, ma spero di ricostruirne il tracciato, mettendo a segno qualche punto. Cominciamo col dire che l’oggetto a cui facevo riferimento, e che pare essersi imposto nell’universo lirico delle nuove leve Underground in modalità diverse, e più evidenti, rispetto al passato, è il conflitto. Detta così pare niente. Ma alla base dei testi della band, così come di FBYC, Fast Animals & Slow Kids, Gazebo Penguins, non c’è solo il conflitto classico fra l’individuo, sé stesso,

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e la società, che poi è alla base del punk dalla notte dei tempi, ma c’è in prima istanza una contraddizione, nel senso di contrapposizione, fra un “prima” e un “dopo”. Un “prima” che, con tutta probabilità, dovrebbe essere rappresentato, non senza ironia, sulla copertina del disco: un disegno che mostra una giostra per bimbi in un parco, con un bel panorama sullo sfondo. Ma quel prima, quel luogo nostalgico che vorremmo immortalato, come in “Happy Days”, in uno spazio che non conosce tempo, guerra, invecchiamento, è stato violato. E a quel punto è subentrato il “dopo”. L’eterno presente, o peggio, quest’eterno non-essere presenti a sé stessi se non sotto forma di ricordo, ora sbiadito, ora tumultuoso. Da qui una profonda scissione interna, che riduce l’individuo ad una sorta di tessera fuori posto, che mai potrà combaciare col puzzle del “reale”. Ricordi, dicevamo, continui riferimenti a fatti, cose, luoghi, e persone che sono apparse lungo il velocissimo, irrefrenabile, scorrere dell’esistenza. Musica come testimonianza, dunque, e come vendetta personale contro le avversità del tempo. Ma si può parlare di vittoria? Ovvio che no. Non è un caso che nella valanga, nel vomito di citazioni, che erutta da “Idee#3”, fra cui spuntano Pavese e i fratelli Strasser, compaia anche Kant. E cos’è quel “domino spazio-temporale” che tuona nelle liriche di “Prima della pioggia, prima della rivoluzione”, se non il tentativo giocoso di raffigurare il crollo delle vecchie certezze, la reazione a catena che porta al collasso aprioristico? Sono i segnali, questi, di una nuova sensibilità di maniera, e mi rendo conto che potrebbe suonare come un paradosso. Definirla di maniera non vuol dire che manchi di sincerità, non sia mai, serve soltanto a porre l’accento sulla netta convinzione che questa sensibilità sia già stata “instradata” da altri, per quanto concerne l’orientamento lirico, più che musicale. Altri come i FBYC. Tornando all’inizio, la poetica di tutti questi anni di musica più o meno emergente, più o meno alternativa, è riassumibile in un solo fermo-immagine, che vede un giocattolo rotto in primo piano. E questo potrà non dirci granchè, ma ci dice senz’altro qualcosa. Ci fornisce qualche coordinata in più. Col passare del tempo, in Italia, al simbolismo del primo Fiumani, divenuto poi più terreno e Bukowskiano, al cut-up Burroughsiano di Agnelli, e al salmodiare di Ferretti, a questi stereotipi da giornalismo musicale insomma, è sopraggiunto un nuovo modo di intendere il canto rock nel mondo alternativo, sempre più microcosmo, un modo che poi col tempo è divenuto maniera, facilmente bollabile come “calderone tritatutto di ogni cosa”, secondo l’impostazione altezzosa di chi ritiene che i cosiddetti “emergenti” siano dei bamboccioni sciatti ed approssimativi da sostenere ma non troppo, da analizzare ma non troppo, perché infondo rimangono dei perfetti signor nessuno. E quanto pesa in questo la rigidità, l’incapacità del critico, come del pubblico del resto, di andare oltre i propri schemi ideologici, e le proprie certezze aristoteliche, laddove ce ne siano, laddove non sia solo un problema di pigrizia. La questione è semplice infondo, ma non per questo semplicistica: la musica dei due ragazzi pratesi intercetta lo spirito della loro, della nostra, immobile età, o meglio del suo falso movimento. Nella ricerca spasmodica d’appigli, di dettagli che cristallizzino l’attimo fuggente, come i “venti centesimi sotto al seggiolino” di “Pixo”, dettagli che poi, una volta fissati, quasi vengono respinti, quasi vengono rifiutati, ebbene, in questo nevrotico processo di recupero e di smarrimento, di accettazione e di negazione, si trova forse l’essenza di “Tutte le cose inutili”. L’instabilità, la precarietà, non sono solo un vacuo piagnisteo, o un dramma reale ad uso e consumo del talk show di turno, ma anche, e soprattutto, una grottesca disarmonia che si riflette nel fare musica, nello scrivere versi, come nello stare al mondo. La registrazione grezza e povera, probabilmente dovuta a meri problemi di costo, diventa, sotto quest’ottica, il giusto completamento estetico, richiamando gli At the drive-in di “Acrobatic Tenement”, con le dovute proporzioni, dipese dal fatto che lì c’erano brani da K.O al primo Round come “Starslight” o “Ebroglio”, mentre qui la situazione è un po’ diversa. Le metriche spesso e volentieri fuori misura, il senso di traballante confusione che si respira in molti passaggi, così come alcune stonature, personalmente non m’infastidiscono, anzi, conferiscono al tutto la genuinità necessaria, contribuiscono a renderlo credibile.

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Peccato però che l’inseguimento a sirene spiegate della moda canora emo/indie più o meno recente, che si passa il testimone di staffetta con lo spoken-word, (i FASK di Cavalli, un po’ di Stato Sociale, i FBYC) non si traduca in canzoni davvero incisive, ammesso, e non concesso, che fosse questo lo scopo. Rimane senza dubbio una creatività che gorgoglia a gran voce da una zona d’ombra, da una terra di nessuno. Mentre la musica qui e là zoppica, anche se non mancano strutture ben congegnate e riff di una certa potenza, comprese alcune improvvise parti stoner, i testi si rivelano il vero asso nella manica. Densi, ricchi, autobiografici e mai banali, talvolta visionari. Di maniera, perché figli di una narrazione generazionale forse abusata, e che ormai sta diventando trans-generazionale, ma indubbiamente ben scritti. Qui tocco forse un tasto dolente: l’interpretazione canora dei due sfiora più volte il già sentito, è poco più che una sensazione, lo so, ma ci tengo a registrarla. Caso più unico che raro: i testi, slegati dal contesto musicale, assumono più ritmo, e brillano nella loro poeticità. Menzione speciale per “Preghiere Underground”. L’augurio è che questi due ragazzi, che hanno già all’attivo decine e decine di date in tutta Italia, mettano meglio in risalto l’aspetto letterario, già predominante, attraverso una rinnovata dialettica col linguaggio musicale, cercando nuovi orizzonti, e sentieri melodici, che facciano deflagrare ancor di più la forza delle loro parole. Questo duo non avrà sfornato un capolavoro, e neanche un ottimo disco, ma ha il talento giusto per raccontare delle storie. E scusate se è poco.

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USCITA 17

“Solo Buone Notizie” GENERE: Alternative Rock ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Max doctor rock Ugolini

Una fucina di sorprese questo album degli uscita 17, il combo romano ha dato alle stampe veramente un bel lavoro ,ma bando alle ciance andiamo a vedere la materia viva. Partenza al fulmicotone con il singolo in faccia a nessuno dove una chitarra prepotente disegna una canzone di ottima levatura ben sorretto dal suono elettronico e la ritmica precisaVernice scorre via veloce e meriterebbe di essere un hit single sulle ali del sinth che la fa’ da padrone Canone inverso è la sintesi tra un ritmo perfetto buone digressioni armoniche con un testo interessante che fa’ a gara con pressione della potente sezione ritmica. Animarida È una ballad dove l’amalgama degli strumenti è precisa una dream song con i controfiocchi Il dono ci riporta a suoni più abrasivi dove la tecnica individuale è in risalto all’orecchio dell’ascoltatore più attento Diamante scorre via con tonalità suadenti dove le chitarra tratteggia arcobaleni in dissoluzione. Oceano scivola via dolce e delicata con il tutto ben suonato e cantato con fioriture di chitarra vezzeggia teda delicati tocchi ai piatti Siamo poveri dopo un inizio non proprio originale i nostri si riprendono nel proseguio del pezzo con un esplodere di chitarre che rinvigoriscono la song e la portano al di sopra della sufficienza Ventitredici rialza l’attenzione ed è una piacevole sorpresa, alternative rock classico dove ogni strumento recita il proprio copione costruendo cosi’ una trama avvolgente di grande godimento per l’ascoltatore. Chiude Sospetto melaconia su tappeti di arpeggi,è un brano particolare forse il piu’ intrigante di tutto il lavoro trame oscure e un cantato adeguato al pezzo ricamano questa dolente ballad conturbante.

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HONEY “Honey”

GENERE: Punk / hc melodico ETICHETTA: Morning wood VOTO: 70/100 RECENSORE: Milo

Il progetto HONEY nasce meno di un anno fa dall’incontro tra tre ragazzi romagnoli con la passione per la musica e il punk, specie quello californiano. Grazie al loro primo demo riescono ad essere contattati da una piccola etichetta discografica, la MORNING WOOD (Olanda) che aiuta i ragazzi anche con la promozione del loro primo e vero EP, di cui parleremo. Purtroppo i pezzi sono solo 4 ma bastano per far capire chi sono gli HONEY e cosa hanno da regalarci con le loro canzoni. I pezzi sono molto diretti e di facile ascolto, molto radio friendly, e la passione del trio per i grossi nomi californiani si sente tutta. In alcuni punti la cosa penalizza un po’ in quanto viene a mancare una vera e propria personalità di gruppo, ma si sa per quella ci vuole tempo. Sicuramente un gruppo da tenere d’occhio. Complimenti ragazzi.. avanti cosi!!!Attendiamo nuove canzoni!

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REDSKA

“The mighty live” GENERE: Combat ska-punk ETICHETTA: One step records VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

E’ veramente un onore per me parlarvi del nuovo album dei REDKSA, band romagnola che da un po’ di tempo sta portando in giro per l’Europa il suo unico e strepitoso sound denominato“COMBAT SKA-PUNK”. Scrivo queste righe con un po’di tristezza nel cuore ; in quanto è fresca la notizia che DE VEGGENT (tastiere/campionatore) ha deciso di lasciare il gruppo, e si sa, per noi fan è sempre un duro colpo ricevere queste notizie. “THE MIGHTY LIVE” è un album dal vivo, registrato l’11/07/2014 al “MIGHTY SOUNDS” Festival (Tabor, Repubblica Ceca). L’album, pubblicato in formato CD ed in digitale, è disponibile dal 19 ottobre 2014 su etichetta BLACK BUTCHER RECORDS (una divisione di MAD BUTCHER RECORDS) per la Germania/Europa, mentre per l’Italia, lo sarà a partire da fine ottobre su etichetta ONE STEP RECORDS (in collaborazione con Good Fellas). L’album è una vera e propria raccolta dei brani più gettonati e quelli più “sentiti” nei live, ed è proprio un omaggio che i REDSKA hanno deciso di fare ai propri fans, racchiudendo così in un supporto indelebile alcuni traguardi importanti della band stessa, primo fra tutti il tredicesimo onorato anno di carriera. Oltre alle 10 tracce “live” nell’album sono presenti ben 3 bonus track, ovvero le versioni in studio di “Bella Ciao”, “Simile” e de “La resistenza” (feat. NH3), finora disponibili solo con l’EP (7”) “Bella Ciao”. Una chicca che non può assolutamente mancare nella vostra collezione di cd.

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VANZ

“The destiny is unwritten” GENERE: Alternative / punk ETICHETTA: Goodfellas VOTO: 75/100 RECENSORE: Milo

E’ uscito il 5 Novembre scorso il quarto lavoro in studio dei VANZ, gruppo Toscano,che dal 2002 ci delizia con il suo sound Caratterizzato da una miscela tra punk anni 70 e alternative rock dei giorni nostri. THE DESTINY IS UNWRITTEN non è un album normale, ma un vero e proprio concept album strutturato in 13 atti in cui si narra la storia di JD.

…Il protagonista del racconto, si scaglia contro un mondo che non riconosce più come suo, armato solamente della sua presa di coscienza, del suo coraggio e del suo amore sfrenato per la vita. L’era del possedere ed apparire in cui viviamo, la distruzione del libero arbitrio dei singoli individui che sfocia nel controllo delle masse e dell’andamento politico-economico mondiale, fanno da cornice ad un racconto contro ogni forma di controllo. Da quello esercitato dall’industria musicale fino ad arrivare a quello di un governo globale, emblema della repressione di ogni forma di attivismo tramite la gestione dell’informazione. Elementi che scuotono la vita di JD spingendolo ad intraprendere un viaggio alla ricerca della propria realizzazione. Assetato di emozioni, brividi e vita vera, JD vivrà esperienze che oscillano tra psichedelia e realtà dura e cruda…​ Personalmente non sono mai stato un amante dei concept album, ma THE DESTINY IS UNWRITTEN è l’eccezione che conferma la mia regola.. questi ragazzi sono riusciti a sfornare veramente un ottimo lavoro,spingendosi alla ricerca di sonorità mai cavalcate negli album precedenti, cosa che rende l’album ancor più particolare e unico differenziandolo dai precedenti lavori sia a livello sonoro che compositivo. Ricordo inoltre che L’album include due book: uno contente i testi e le grafiche realizzate dell’artista Samantha Passaniti ed un altro con il racconto sul quale si sviluppa l’album illustrato dal fumettista Daniele Marotta.

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SOYUZ

“Story of the year” GENERE: Rock alternative ETICHETTA: Epic & Fantasy music VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Soyuz sono una band di rock alternative al terzo album, “Story of the year”, prima di questo album si proposero al pubblico con “Back to te city” del 2012 e “Everybody loves you” del 2010. La cosa interessante è che la band investendo molto sulle proprie capacità riesce a dare un buon risultato e a dimostrare che le abilità Italiche vengono premiate anche all’estero. Strutturalmente le loro composizioni sono si in ambiente alternative rock, ma hanno una marcia in più, sono piuttosto accattivanti, di immediata memorizzazione e dal sapore assolutamente estero, credo anche grazie alle collaborazioni ed esperienze maturate con i passati album. In ambito tecnico nulla da dire, chitarre ben strutturate, batterie interessanti anche se pur troppo “da cliché” alternative, basso carico e voce molto calda e sorniona. Direi proprio che la produzione è equiparabile con quelle più blasonate e più “ricercatamente” alternative. Unica pecca che la proposta della band è troppo simile agli standard dell’alternative rock, il che potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Certo le abilità ci sono sia chiaro e altrettanto è tangibile lo spessore della band, ma attualmente ci sono molte band, in ogni sotto categoria del genere, molto brave che possono “gareggiare” con i Soyuz e se loro vogliono in qualche modo primeggiare devono trovare la quadra per andare oltre e non fermarsi agli standard “proposti” ma provare persino a crearne di propri. Personalmente la opener “F.Y.I.”, la title track “Story of the year”, “2 Doors” e “The astronaut” sono brani che mi hanno colpito più degli altri e sono brani che credo possano far la differenza per la band. Come sempre ascoltate il cd, fatelo vostro e decidete le vostre preferite. Concludendo buona la prova per questi ragazzi veneti, consiglio solo di provare ad andare oltre i “confini” del genere per poter primeggiare, credo che loro abbiano attitudine e abilità per poterlo fare. Buon ascolto a tutti voi

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ASSUMPTION

“The Three Appearances” GENERE: Death-doom ETICHETTA: Far From My Eye Records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Altra band palermitana che arriva a noi questi Assumption, band che porta indietro le lancette del tempo con un death-doom motlo vicino alle sonorità di fine anni 90 e primissimi 2000. La band, che in realtà è un duo, è formato da ex-membri dei Undead Creep e dal 2011 ad oggi hanno già alle loro spalle un demo “Mosaic of the Distant Dominion” del 2012 e questo “The three appearance” è il loro nuovo lavoro. Tecnicamente un buon lavoro che ripercorre le lande oscure di un death rallentato e sepolcrale con un growl assolutamente profondo quasi da orla nel profondo di una caverna o di un cunicolo. Ritmiche assolutamente azzeccate e devastanti accerchiate da riff di chitarra ossessivi e malati. La particolarità della produzione è lampante; suoni puliti e nitidi in ogni loro frangente senza un minimo errore di sorta. Ogni strumento si sente e non predomina in alcun caso e il tutto è ottimamente amalgamato. Segno a mio avviso che le band nostrane che hanno voglia e interesse a suonare a certi livelli possono farlo senza per forza scadere nella ridondanza di frequenze o nelle code disturbanti (in senso negativo) di inneschi e larsen. La proposta non è del tutto una novità, ma la cosa interessante e accattivante è la capacità della band di ottenere un proprio suono senza risultare troppo invischiata in rimandi di questo o di quel gruppo famoso. Purtroppo questo mini ha un difetto ovvero dura poco, solo quattro brani. Avrei voluto poter godere di molti più brani della band. Ma aspetterò un loro album intero. Detto questo canzoni come “The nonexisting” e la title track “The three appearances (Snag Gsum)” danno le coordinate su cui la band si muove. Insomma la qualità musicale c’è ed è palpabile, mi perdoneranno band e fans se ho dato un voto relativamente basso, ma è dovuto solo al numero esiguo delle tracce e dal minutaggio complessivo, ma sia chiaro che la band va supportata e seguita, anche perché credo fermamente che se resteranno fedeli alle loro attuali abilità e composizioni avranno molto da dire anche in futuro. Complimenti.

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ASTRUM MALUM “Nether Knot”

GENERE: Atmospheric black ETICHETTA: Sixsixsix music VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Astrum Malum é un progetto del musicista finlandese A. Mikonmäki nato nel 2014 (del quale oggettivamente poco si sa), salvo il fatto che per l’uscita di questo esordio “Nether Knot” si è avvalso di due collaboratori per la stesura dei testi, O. Mikonmäki (possibile che sia un parente)e A.Lewandowski; quest’ultimo partecipa attivamente anche al lavoro con alcune parti vocali recitate in latino. Nether Knot è un Ep d’esordio, come abbiamo detto, breve ma sufficiente per intuire la caratura ed il potenziale degli Astrum Malum: un black metal molto atmosferico e con abilità sopra la media per quanto riguarda la composizione, le intuizioni e la gestione dello studio. Direi che pur avendo solo tre brani, della durata complessiva poco sopra i 10 minuti, la band ha dato ampia dimostrazione di cosa è in grado di fare. Belle le parti con le tubolar bell, che aumentano il phatos delle composizioni, ma direi che tutti gli strumenti sono ben calibrati, unica cosa non ben calibrata è la voce che risulta sacrificata e poco incisiva, direi principalmente perché è uno scream troppo filtrato e non rende a pieno quanto dovrebbe. Sinceramente non me la sento di dire che “Part I” sia migliore di “Part II” o di “Part III”, dato che tutte e tre sono legate ad un doppio filo di connessione e sarebbe assurdo dover “separare” le tre tracce, proprio perché sono una la conseguenza dell’altra. Buona la prima, direi, per gli Astrum Malum, certo che il voto sarà risicato per la sola durata esigua dei pezzi e del minutaggio proposto e non certo per errori della band sia chiaro. In attesa di poterli sentire su di un EP più lungo o addirittura un album intero vado a promuoverli con tranquillità.

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BLACK WINGS OF DESTINY “The Storyteller, Part One”

GENERE: Stoner Sludge ETICHETTA: Far From My Eye Records VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Il metal proposto dai Black wings of destiny è un poderoso mashup di grunge, stoner, doom e sludge. Per la serie non facciamoci mancar nulla e facciamo le cose semplici. Ma andiamo per gradi. La band nasce nel 2009 in quel di Torino e in questo lavoro “The storyteller, part one” hanno aggiunto una chitarra e la band fa saper che questo è oggettivamente un primo capitolo di un lavoro più articolato e più corposo che vedrà la conclusione con il secondo cd. Le abilità stilistiche e compositive non mancano, sono assolutamente corpose e compatte. Un suono solido e potente che si lascia sporcare e si lascai distorcere in modo tanto naturale quanto può esserlo il sorgere del sole. Inoltre siamo in una delle “ondate” crescenti ovvero quella dello stoner e dello sludge. A differenze di molte altre band che si limitano a fare il “compitino” in modo da essere sul carrozzone “vincente” i Black wings of destiny decidono di andare oltre e di optare per un mix aggiuntivo e inserire delle realtà sonore vicine ma non identiche, in più punti ho potuto saggiare rimandi a Deftones e Soundgarden oltre che ai9 pardi dello stoner, dimostrazione ulteriore che l’evoluzione si ottiene solo con le contaminazioni. Chitarre ottime, batteria devastante, basso corposo, voce poliedrica composizioni sornione e aggressive e una post produzione ottima. Il resto è puro packaging. “My evil self”, “No one”, “Speed”, “Jane the widow” e “Hannibal”sono le tracce che vi porteranno all’interno della psiche umana vista dai Black wings of destiny. Sono tracce cariche di pathos e non vi lasceranno più. Come sempre fate vostro questo album e ascoltate le canzoni decidendo quali saranno le vostre preferite. Concludendo ottimo lavoro della band che vale la pena avere tra le mani e seguire sia per le canzoni proposte che per i live che se sono solo la metà di quello che immagino saranno certamente atomici. Complimenti ragazzi.

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BORN UNDEAD

“Violator of humanity” GENERE: Death ETICHETTA: Sixsixsix music VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band particolare, dato che i membri sono in parte francesi ed in parte inglesi e questo “Violator of humanity” uscì nei primi mesi dello scorso anno, ma con poca disponibilità di recuperarne una copia. La Sixsixsix music ha quindi deciso di ristampare su cd e riproporlo in modo più massivo. La proposta musicale è death metal vecchio stile, chitarre veloci e taglienti, batteria a compressione, voce cavernosa e profonda; il basso purtroppo si perde un pochino nelle composizioni. Inoltre alcune scelte della band per rendere più “old style” il loro demo non sono state a mio avviso centrate al 100%. Purtroppo la doppia cassa in più occasioni si sente che è particolarmente posticcia, il che è un male, perché nel complesso, pur non inventando nulla, la proposta della band è godibile ed interessante. “Undead torment” e “Revenge of the necrovore” sono le tracce che più di altri ho apprezzato. Ascoltate il loro demo e decidete quali sono le canzoni che più appagano il vostro senso di deathers. In conclusione, la proposta dei Born Undead, se pur ancora un pochino acerba, ha delle proposte interessanti e valide, certo posso solo consigliarlo agli appassionati del death metal old school.

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CAN OF SOUL “Hearreality”

GENERE: Alternative Rock, Hard Rock ETICHETTA: Atomic Stuff Records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I “Can Of Soul” sono la nuova creatura di Tommaso “Tomrocker” Toffolo, il quale dalla metà degli anni ’90 ha fondato diversi progetti e differenti realtà musicali; dagli “Stygma” ai “Black and purple” ai “Why not” e “Hand of doom”. “Hearreality” è il titolo del primo disco realizzato sotto il nome “Can of soul”. Il concept che sta dietro è interessante, e si basa su tesi fantascientifiche, legate alla fine del mondo ed alla ricerca di un nuovo pianeta in cui stabilire la vita terrestre con le conseguenze di una invasione terrestre di un pianeta alieno, solo che la scelta di inserire così tanti generi musicali per dare le stesse atmosfere del concept che è nella mente di Tommaso crea non pochi problemi all’ascoltatore. Il quale si trova a sentire brani tipici del duca bianco, altri brani rasentano lo stoner, altri il pop rock, altri brani più dark new wave, altre ancora hard rock potente e compatto. Anche la cover di “Bette Davis eyes” se pur molto bella e con un certo appeal aiuta sempre meno a capire dove in “Can of soul” vogliano andare a parare. A livello tecnico nulla da dire; la band dimostra, anche grazie alla grande esperienza di Toffolo, di sapersi destreggiare nelle registrazioni e riuscendo a dare il massimo in ogni frangente. Strumenti registrati in modo egregio, post produzioni perfette e ottime anche le composizioni. Inoltre si nota che gli struneti aggiuntivi sono inseriti in modo tale da avere una propria dimensione e ne risultare eccessivamente costretti ne messi in primissimo piano tanto da soffocare gli altri strumenti. “We hate the sun”, “Beyond my wayward zen garden”, la cover “Bette Davis Eyes”, “My queen” sono delle ottime carte giocate dalla band per presentarsi al pubblico, come sempre ascoltate il cd e fatevi una vostra topsongs list . L’impressione, concludendo questa mia recensione, è che pur avendo fatto un buon lavoro, ci sia stata una libertà eccessiva; quasi come se le composizioni avessero preso il pieno controllo della mente della band, portandola quindi a così tanti lidi sonori differenti che chi ascolta finisce col restare confuso e spiazzato. Spero che il prossimo lavoro sia più “coerente” in modo da poter apprezzare molto di più i brani dei Can of soul.

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DESMA

“Identità Anonime” GENERE: Rock italiano, Electro rock ETICHETTA: Atomic Stuff VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Identità Anonime è il titolo dell’album di debutto della band che ha il nome Desma, pubblicato a metà novembre da Atomic Stuff. Un pregio dei Desma e del loro esordio? Il fatto di aver provato a mettere materiale che con l’hard rock non ha molto a che vedere. Quindi coraggiosi e sotto un certo aspetto anche lungimiranti. Un difetto? Il fatto che non hanno osato abbastanza. Essendo avvezzo sia al metal che la rock che alla musica elettronica ho piacere ad ascoltare le “infezioni” e le prove di coraggio a mischiare generi distanti, peccato che anche i Desma, come altre band principalmente italiane che hanno provato questa strada, non abbiano osato di più. Per il resto nulla da dire per le scelte usate in studio, buone le tracce, parecchiotto radio oriented, di facile impatto e piuttosto ruffiane, anche grazie alla voce che ricorda il caro Renga dei tempi andati, peccato che tanto velocemente entrano nelle orecchie ma non restano a lungo, a meno di dover ascoltare parecchie volte. Per quanto riguarda le scelte di post produzione complimenti, perché i suoni sono ottimi ogni strumento si sente in modo chiaro e ben definito con la propria dinamica e con la propria “enfasi”. Nota dolente i testi. Non per quello che la band vuole trasmettere ma la rima baciata così forzata e “piazzata” (è proprio il caso di scriverlo) in modo così palese e senza nemmeno un minimo di “poetica”. “Vedova nera”, “Nuova alba”, “Visioni liquide”, “Inganno dell’orgoglio” e “Falsi dei” sono canzoni che possono darvi le linee su cui la band attualmente si districa. Concludendo, diciamo che per essere un esordio è certamente un buon lavoro, ma per un secondo capitolo la band dovrà o “esagerare” o per meglio dire OSARE di più oppure optare per sonorità classicamente o hard rock o pop rock.

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DFOURSIXTY

“From the other side” GENERE: Metalcore ETICHETTA: Izkar producciones VOTO: S.V. RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band ispaniva questa D460 o Dfoursixty che si propone come “alternative metal”/”post hardcore” ma personalemnte è metalcore e di quello ben delimitato e altrettanto ben capibile. Chitarre tipiche del genere con le plettarate con stacchi, stacchi di batteria , cantato con voce pulita e alcuni accenni a growls e mezzo scream. Continuo a non capire come mai a tutti i costi si debba definire cose chiaramente definibili e decodificate in atro modo. Musicalmente il loro singolo, che precede l’uscita dell’ EP dal titolo “freezing your heart”, è ben strutturato e con tutti i crismi richiesti dal metalcore che sta impazzando da alcuni anni a questa parte. Buona la produzione e la post produzione. Attendiamo di sentire le loro abilità su una media o lunga distanza, per ora i presupposti sono buoni, ma come spesso faccio non do voto su di una singola traccia di normale minutaggio, per rispetto a chi ci ha proposto molto più materiale a parità di qualità.

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DYSNOMIA “Dysnomia”

GENERE: Death metal ETICHETTA: Suspiria records VOTO: 88/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Ancora death metal melodico ed ancora Pedro Mendes alla produzione, ed ancora materiale sotto Suspiria records. I Dysnomia sono nati dalle ceneri dei Dark Eternity, facendo uscire questo loro album d’esordio (ed omonimo) che riesce, e non ho ancora capito come, a mescere in contemporanea power death e sinfonie insieme, ma il risultato è più che soddisfacente. I Dysnomia hanno trovato una formula tale che non mi permette di dire nulla se non: spettacolo. Se non avessi tra le mani la loro scheda non sarei assolutamente in grado di dire che la band è della penisola iberica, sia per il gusto sonoro scelto per la post produzione, sia per le composizioni tutt’altro che semplici e scontate. Virtuosismi di chitarre e di tastiere inframmezzate da bordate in sedicesimi e trentaduesimi. Una sezione ritmica che marcia a grandissime falcate e una voce aggressiva e tagliente che mette, è proprio il caso di dirlo, il fiocco a questo esordio. Album assolutamente tirato e violento, da cui si possono tranquillamente godere non solo emozioni anche tecnicismi e abilità. Emozionalmente le bordate che mi hanno colpito sono “Into the void of yuor eyes”,”A light at the shore “, “ Let the spark ingnite“, “Reach clarity”, “Behemoth” e persino la strumentale “Serenade”. In ogni caso non è stato semplice trovare le migliori in un ottimo lavoro come questo loro esordio. Come sempre vi scrivo: “Fate vostro questo cd e decidete quali canzoni preferite” ma sappiate che non sarà per nulla semplice la scelta. Inconclusione assolutamente un lavoro con i controfiocchi, ottime tracce, buonissima post produzione, e buonissimi i feeling trasmessi, solo la copertina resta secondo me un pochino “debole” dato che troppo scura, quantomeno la copia fisica che ho tra le mani, si fatica a capire cosa ci sia su. In ogni caso questi ragazzi sono a mio avviso eccezionali e di loro e della loro band credo proprio che sentiremo sicuramente parlare anche in futuro.

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GOATCHRIST

“She who holds the scrying mirror” GENERE: Black/death ETICHETTA: Sixsixsix music VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Provenienti dal Regno Unito i Goatchrist, sono un gruppo che pur avendo iniziato come un one man band sta divenendo una band a tutti gli effetti. Questo “She who holds the scrying mirror” è la ristampa del debutto della band di un anno fa, quando era una one man band. La cosa interessante che fa pensare è che quello che abbiamo tra le mani è la rielaborazione di quello che un ragazzi do solo 16 anni ha fatto da solo; dimostrazione che volere è potere e che si hanno idee ottime non servono particolari abilità, ma bisogna esserne convinti e concretizzare queste idee. Certo vi sono alcune imprecisioni, nello specifico la batteria risulta sempre un pochino “indietro” rispetto alle altre strumentazioni e la voce oltremodo filtrata che rende meno apprezzabili le abilità canore de l “Deus ex machina” che sta dietro alle composizioni della band. Per il resto direi che per essere la sola ristampa di materiale composto e suonato da un ragazzo di 16 anni c’è da essere particolarmente stupiti. Di certo se continuerà così credo che si sentirà parlare dei Goatchrist tra non molto. “Four horsemen”, “Catacombs”, la title track “She who holds the scrying mirror” e le due parti di “Bloodletting” sono gli esempi delle abilità della band. Di certo se non siete avvezzi al black rallentato, al death black ed al black metal in genere difficilmente potrete entrare nel mood della band, ma se siete amanti del metal estremo di certo potrete apprezzare molto le tracce proposte dai Goatchrist. Direi che questo è un album certamente per gli amanti del black metal e per chi è appassionato di mental estremo in genere. Per essere un esordio è più che discreto, certo se non si è appassionati di metal estremo può risultare particolarmente ostico.

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GRAVEYHARD “Cave core”

GENERE: Sludge ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Graveyhard nascono a Pontremoli nel Novembre 2011. Come per molte band dopo la parte di “cover” fatte per assestare il feeling tra i membri passano alla composizione di brani propri e dicembre 2012 registrano in presa diretta una demo di 5 pezzi che viene autoprodotta in 150 copie dal titolo “Black Train starting”. La demo viene mandata a qualche webzine e riceve critiche nel complesso positive. Con questa demo riescono a proporsi per un attività live in vari festival ed eventi vari nelle provincie di La Spezia e Massa Carrara. Dopo l’estate 2013 il gruppo comincia a lavorare su un sound più duro e rude.I lavori sul nuovo Album iniziano il primo Aprile 2014 in uno studio di amici poco lontano da Pontremoli e terminano esattamente 7 mesi dopo quando “Cave core” viene pubblicato , album che andremo a recensire ora. Cave Core è autoprodotto ed è in tiratura limitata in 300 copie fisiche, oltre ai 9 brani della band vi è anche una cover dei Crowbar. Musicalmente la band si barcamena in modo egregio tra le “paludi” dello sludge e propongono di fatto un suono compatto, oscuro e rallentato. Le composizioni sono piuttosto interessanti ci sono però delle valutazioni da fare per quanto riguarda il mastering, la post produzione e i livelli degli strumenti. La batteria è leggermente squilibrata come livelli dato che il rullante, troppo secco, spicca troppo non solo sugli altri tamburi e piatti ma anche sugli altri strumenti. Le chitarre ed il basso sono troppo basi di livello e il basso risulta oltremodo impastato. La voce è interessante ma troppo poco varia. Il che volge in modo negativo alle abilità della band. Ovvero si percepisce capacità ed abilità nelle tracce, ma le scelte fatte dal banco mixer e in post produzione non rendono giustizia. La cosa dispiace oltremodo, anche perché la band non è alla primissima uscita musicale e si desume che l’esperienza pregressa serva per migliorare il proprio lavoro. Comunque sia la nel complesso siamo oltre la sufficienza. Canzoni come “The caveman”, “After the storm”, “Drowned by pain” e “I love you” danno in senso delle intenzione della band. Come sempre fate vostro il cd e valutate con il vostro orecchio quali possono essere le tracce più interessanti per voi. Cover interessante quella dei Crowbar “All I had (I gave)” Concludendo direi discreta proposta della band, sarebbe stata ottima se avessero fatto più attenzione a quelle imprecisioni sui livelli e sulla post produzione. Il loro album “Cave core” nel complesso prende e trasporta l’ascoltatore in zone assolutamente oscure e piacevolmente malate. In attesa delle correzioni li consiglio vivamente agli appassionati di sludge e di uno stoner particolarmente infettato. UNDERGROUNDZINE


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HECATE

“The order of black light” GENERE: Black metal ETICHETTA: Autoprodotto/Winterwolf Records VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band proveniente dall’ Egitto gli Hecate, e quello che andremo a recensire è il loro album di debutto, intitolato ‘The Order Of The Black Light’, che è stato rilasciato lo scorso novembre in formato digitale, e novità di non molto tempo fa , l’etichetta “Winterwolf Records” lo renderà disponibile in formato fisico tra non molto. Tematiche e composizioni tipiche del black metal “vecchia scuola” con l’aggiunta di riff atmosferici resi ancor più carichi di emozioni dalle scelte degli archi e degli effetti inseriti con le tastiere. Carina anche la scelta di inserire anche parti parlate oltre ad i classici scream e growls. Cosa ancor più interessante, anche se è poi un’arma a doppio taglio, il fatto che dietro al nome Hecate ci sia Lord Mist mente che sta dietro anche agli Hateful Desolation ed agli Astray. Questo significa che di fatto Lord Mist compone e suona tutti gli strumenti, la voce (e l’artwork) sono per mano e voce di Adam , già membro degli Zatreon. Strutturalmente nulla da dire, buoni i takes, buone le composizioni, discreti gli arrangiamenti ma, c’è un ma… E’ abbastanza percepibile la drum machine ed il fatto che sia un pochino piatta e poco “coinvolgente”. Credo che con un batterista vero si sarebbe potuto goder di più di queste sonorità oscure. Personalmente “At the borders of Infinity”, “When eternity dwells in frost” , la titletrack “The order of the black light” e “Nazarean” sono brani che danno la cartina tornasole di questo duo e delle loro abilità compositive ed empatiche. Recuperate il loro esordio, o in formato digitale oppure quando uscirà in cd fisico, e godetevelo fino in fondo. Per noi, ”The order of the black light”, è un buon lavoro ed ha le carte in regola per dare slancio alla band. Vien da se che loro debbano restare fedeli a quanto fatto fino ad ora, magari cercando un batterista che possa dare più “umanità” al furente blastbeat composto da Lord Mist.

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I CIELI DI TURNER “Adele”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Cieli di Turner nascono come cover band dei Verdena, e le influenze si sentono, nell’estate del 2013 in quel di Perugia (e limitrofi); a distanza di quasi un anno registrano cinque tracce che compongono il loro primo lavoro dal titolo “Adele”. L’EP viene poi dato alle stampe in ottobre dello stesso anno e ora lo recensiremo. Musicalmente sono in pieno meccanismo alternative rock con una spruzzata di grunge, personalmente sento molti rimandi agli smashing pumpkins. Devo dire che pur non essendo un genere che frequentemente entra nel mio stereo la proposta de “I cieli di Turner” è oltremodo interessante, suoni che si avvicinano, principalmente le batterie e i synth, a sonorità quasi prog. Le chitarre non proprio in primo piano, ma neppure “abbandonate” in un angolo, il basso ben visibile e i synth che amalgamano la voce alle note. I testi in italiano, come il rock alternative italico predilige, interessanti e mai banali. Canzoni come “Aidi”(“Jack Frusciante è uscito dal gruppo” è passato per questi spartiti),la titletrack “Adele” e “Non mi serve niente” sono gli apici del loro lavoro a mio avviso e di conseguenza dimostrazione delle abilità della band. Come sempre, prendetene una copia, ascoltatela e decidete le vostre best songs all’interno di “Adele EP”. In ogni caso in questi 5 brani vi sono moltissimi rimandi che i meno attenti potrebbero perdersi, quindi mi raccomando attenzione e non solo alle note e parole. Concludendo buona la proposta dei ICDT, unica cosa da fare a mio avviso per il futuro: staccarsi dai rimandi dei Verdena, che seppur “buon maestri” portano la band, nello specifico il cantato, a somigliare troppo ad una “copia” dei Verdena e riducendo una band di qualità a clone. Complimenti alla band.

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MELKOR “Irrlicht”

GENERE: Black metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Melkor progetto black metal proveniente dalla Germania e col secondo album intitolato “Irrlicht”, uscito il 12 dicembre scorso si presenta a noi per la recensione. Il progetto Melkor è, come molto spesso accade ultimamente in redazione, progetto one man band. Interessante sapere che dietro alla mente di Melkor c’è un ex membro dei Nocte Obducta, ma il progetto Melkor naque più di 10 anni fa dalle ceneri di un altro progetto; alla sua nascita fece uscire un demo e nulla più tanto che rimase di fatto in stasi fino al 2007. Uscì quindi nel 2009 il cd d’esordio “Ferne” e a 10 anni dalla formale nascita venne dato alle stampe questo nuovo lavoro dalla durata ragguardevole. La combinazione di stacchi rallentati e doppia cassa in blastbeat, atmosfere oscure e ritmi marziali incorporano melodie e urla ancestrali. Un insieme incredibile di situazioni, suoni e sentimenti nelle stesse tracce. Il tutto condito da una cura quasi maniacale per gli strumenti, in modo da poter godere di ogni singolo suono e non perder nulla. Segno che le abilità ci sono non solo per le composizioni e per le registrazioni, ma anche per le fasi di post produzione e per il mastering. Segno che i trascorsi di Melkor sono serviti all’evoluzione. Le tracce proposte sono oltremodo lunghe e variegate e tutte hanno una loro dimensione interessante e di oscura ossessione. Ma dovendo dare a tutti i costi quali più di altre mi hanno colpito direi “Die Welle erneuert ist ”, la title track “Irrlicht”, “Opferlamm” e “Des Berges Schweigen”. Come sempre entrate in possesso del cd e ascoltatelo, ne val la pena e poi fatevi la vostra top songs list. Concludendo ottimo seconda prova per Melkor, speriamo di poter ascoltare il prossimo lavoro non tra cinque anni, ma speriam prima. Buon lavoro a Patrick e buon ascolto a voi.

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MERCYLESS “Abject offering”

GENERE: Death metal ETICHETTA: Trendkill recordings VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Provenienti dalla Francia, o per meglio dire a cavallo tra Francia e Spagna, e dediti ad un death metal vecchio stile. Di fatto la band è nata nel lontano 1987 ed ha dato i natali a diversi album e demo. A fine del tour ispanico del 1998 i membri della band decisero di mettere in stan by il progetto, solo nel 2011 la band uscì dal “reparto criogenesi” e dopo aver fatto uscire un album che ristampava i loro demo, si sono avvalsi del grande Dan Swanö per il mastering e e mixing del loro “Unholy black splendor” che ha preceduto questo “Abject offering” che andremo a recensire. Come ho scritto sopra la band radica le proprie composizioni all’interno del death metal fine anni ‘80 e primi anni ‘90, con rimandi a band quali Pestilence, Obituary e Morgoth. La differenza rispetto a molti è un minimo di cura in più per i suoni che non sono “raffazzonati” come molti pensano al death metal anni 80 e 90. La band pur tenendo forte il feeling con il passato tiene presente le abilità tecniche che si possono utilizzare ora. Chitarre taglienti, voci gutturali e ritmiche martellanti. Unica cosa che non trovo congrua le code delle dinamiche dei piatti troppo presenti e invadenti. Sia chiaro a tutti, non siamo di fronte ad un album che farà la storia della musica, ma abbiamo comunque un buon lavoro di una band che ha ancora colpi nel suo fucile. Personalmente ho apprezzato moltissimo tracce quali “Burned at the stake”, “A message for all those who die”, ”Without christ” e “Flesh divine”. Fate vostro questo otto tracce e decidete quail sono le vostre canzone preferite. Concludendo buona prova per questa band, porterà certo molti ricordi a galla per chi come me ha vissuto il periodo d’oro del death metal.

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NACHTREICH/ SPECTRAL LORE

“The Quivering Lights split” GENERE: Ambient/black metal/depressive black ETICHETTA: Bindrune/ Eihwaz Recordings VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Nachtreich

Spectral Lore

Split cd proveniente dalla Germania e dalla Grecia, mix di sonorità molto strane ed evocative sia per i Nachtreich (duo proveniente dalla Germania) che per gli Spectral Lore(solo project dalla Grecia) . I Nachtreich hanno prodotto un paio di full-length, cinque demo, un singolo e preso parte ad una compilation in passato mentre gli Spectral Lore sono in “possesso” di ben quattro album e quattro split. In entrambe i casi si viaggia su ambiti ambient e black e quello che ora viene chiamato depressive black. Sulle scelte del duetto pianoforte / violino usato sovente dai teutonici devo dire che ho trovato molti aspetti interessanti e di grande impatto. La scelta degli ellenici di puntare sia su parti acustiche frammezzate da bordate in distorto e midtempo, di fatto la proposta delel due band pur essendo differente per risultato è affine per attitudine e di forte impatto emotivo. A livello tecnico nulla da dire, ogni strumento è stato registrato in modo da dare la maggior qualità emozionale possibile, le composizioni interessanti, specie per le grosse parti acustiche e quasi neoclassiche, e la voce in pieno stile black-depressive black. Emozionalmente mi osno piaciute moltissimo “Reflection”, “Greyness” e “Lights”. Più di altre volte vi invito a prender possesso di questo 12” (si è un dodici pollici in vinile) per due motivi, il primo e più “banale” perché è un buonissimo lavoro, in secondo luogo dovrete trovare le vostre personali tracce preferite e terzaa e non ultima siamo di fronte ad una tiratura limitata di 250 copie, quindi affrettatevi. Concludendo vi consiglio vivamente se siete interessati ad avere tra le mani materiale particolare e di alta qualità. Assolutamente consigliato non solo per gli amanti del black, ma anche del’ambient e delle composizioni articolate e “non conformi”.

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SEXUAL THING “New Skin”

GENERE: Hard rock/glam ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Sexual Thing band Siciliana, da Palermo per la precisione, che si propone al mondo con questo “New skin” e come nuova pelle che riluce e scintilla la band abbaglia. Devo ammettere che se non sapessi che sono italiani, li avrei tranquillamente confusi come una band hard rock europea con venature USA. Ed invece sono nostrani e sono bravi. Sia chiaro, quello che fanno non è ne nuovo ne innovativo, loro fanno sano e polveroso hard rock con un’occhietto tirato a quello che fu il glam anni ’80 (ma non molto devo ammettere); ma lo fanno bene e lo fanno con passione e cuore e si sente in ogni singola nota ed è quest oche fa la differenza. Si sente anche nelle scelte di registrazione, ed una post produzione che (se pur non eccelsa è più che dignitosa) non storpia un suono grezzo e sporco qb, ma lo arricchisce e lo rende più godurioso all’orecchio. Ottime le scelte e i risultati di conseguenza, buone le proposte delle chitarre e del basso, che sempre più spesso vien bistrattato nel metal e nell’hard rock, la prova canora è sopra le righe e la batterie rende in modo eccellente le sfumature e i “movimenti” di tutte le tracce. Non mi è chiaro il taglio della traccia 5 “We’D” che sul più bello del solo è tranciata; non so se ho io la copia fallata oppure se è un errore di chi ha fatto il mastering e non è stato percepito dalla band, o se è un “errore” voluto. Se la “risposta” giusta fosse la prima, poco male, ma se la risposta è la seconda o la terza non è un bel lavoro e non da un buon rimando per la band. La band si destreggia in modo particolare con brani quali “Mindfuck”, “Set the fire”, “You’re fired”, “Feed my monster” e “Sexual army” e sono quelli che potrei definire le punti di diamante della band. In definitiva, “New Skin”, pur non essendo impeccabile come album, mostra le abilità in crescita di una band che ha tutte le potenzialità per far sentire il proprio “io” al di fuori dei nostri confini. Le idee ci sono e la band da quello che si sente vive bene il post registrazione (cosa non da poco per le band odierne, sia in autoproduzione che con etichetta e/o promoters). Attendiamoci un seguito interessante.

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VIHAAN “Invicta”

GENERE: Death prog ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Vihaan è una band nata nel periodo sbagliato, Nel senso che se fossero usciti otto o nove anni fa avrebbero fatto faville. Ora come ora la loro proposta sonora è ancora valida e ancora molto potente, ma credo che susciterà meno interesse da parte delle labels che per ora puntano verso altro, e non mi spiego perché, genere. La cosa interessante, per tornare alla band, è che dietro al monicker “Vihaan” si nasconde il polistrumentista statunitense Lorenzo Piccirilli (direi che le origini nostrane sono più che chiare)che con aiuto di Christopher Burrows alle batterie e Anthony Lipari alla voce, presentano il primo full-length dal titolo “Invicta”. La proposta della band è un death metal molto tecnico e di palese influenza prog, quasi alla opeth e ai primi dark tranquillity La produzione è impeccabile, suoni eccelsi e volumi ottimali. Le composizioni sono oltremodo fuori dal comune. Oltre alla componente prog e death ci sono delle “sfasature” di tipo jazzistico e blues. Come se non bastasse le sette canzoni hanno il minutaggio che risulta oltremodo importante, siamo come media oltre i sei minuti per traccia, e sono tracce che nonostante tutto non stancano e fanno apprezzare le composizioni all’ascoltatore. Ho apprezzato moltissimo le tracce “Valor”, “City” e “Statue”. Più di altre volte vi consiglio di entrare in possesso del cd e assaporare le singole tracce in modo da potervi fare un vostro personalissimo pensiero in merito. Concludendo un plauso per l’audacia e per la proposta sonora dei Vihaan; li aspettiamo con un nuovo capitolo della loro storia e speriamo di poterli sentire con un nuovo lavoro a breve. Il loro “Invicta” dimostra che il prog è possibile averlo anche in ambiti estremi e poter dare una dimensione assolutamente differente a tempi dispari e a riff articolati e mutevoli. Complimenti.

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RECENSIONI

WITCHCLAN

“The dark binding” GENERE: Black ETICHETTA: Elvester records VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Matt Bass é un musicista inglese che ormai si dedica solitariamente al black metal con il suo progetto Witchclan. Di fatto all’interno dei Witchclan Matt fece il suo ingresso nel ’93 in qualità di vocalist, partecipando alla realizzazione dei due demo che restano le sole testimonianze discografiche di quell’epoca. Quindi il silenzio fino a quando Matt decise di riportare in vita i Witchclan, questa volta però come one-man band, pubblicando il full-length d’esordio dal titolo “Misanthropist “ nel 2011, ed ora si presenta a noi con il nuovo lavoro dal titolo “The Dark Binding”. Strutturalmente quello che vien proposto è un black metal vecchio stile, se pur lontano da quello che potremmo definire “pure norvegian black metal” sia per l’origine, sia per le scelte vere e proprie. Siamo si di fronte ad un album di black diretto, ma non così primordiale e grezzo, vi sono alcuni passaggi molto più di stampo heavy classico, specie per quanto riguarda le chitarre e inoltre alcuni loop e refrain melodici e sinfonici rendono leggermente differenti le tracce di questo “The dark binding” dal raw true black metal. Va però detto che vi sono delle parti di batteria che non sono al top e risultano un pochino troppo posticce, capisco il fatto di far tutto da se, con conseguente uso di drum machine, ma se c’è stata cura per molte parti anche la batteria avrebbe dovuto ricevere la stessa cura. Stessa cosa per alcune scelte derivanti dai filtri usati sulla voce, che rendono poco incisive le grida di Bass. Resto un pochino stranito dalle scelte della copertina, palesi rimandi alle storie di Lovecraft (vedi il sigillo dietro al nome e vedi il “mostro” che sta sorgendo dal centro del rituale). Mi sarei aspettato quantomeno o un miniconcept legato allo scrittore di Provvidence, visto quanto presentato in copertina, o almeno una o due tracce con tematiche dei grandi antich; ma come spesso si dice “non giudicare il libro dalla copertina”. Interessanti le tracce “Worms of hypocrisy”, “Beyond the seventh gate”, “A new dawn” e “Treading on angel”. Come spesso dico, ascoltate il cd e fate vostre le canzone che preferite, di certo credo che alcune di quelle che vi ho indicato entreranno anche nel vostro piacere. The Dark Binding è quindi, un disco che entrerà certamente nelle grazie dei fans del black metal. Ovviamente a vio avviso ci sono ancora delle cosine da migliorare in fase post produttiva ma nel complesso è un buon lavoro

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