APRIAMO LA SCUOLA

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L’accesso all’insegnamento: le criticità de “La Buona Scuola” e le proposte per un nuovo sistema di formazione iniziale, abilitazione e reclutamento degli insegnanti L’accesso all’insegnamento ha subito, a partire dagli anni novanta, un travagliato percorso di riforma che non si è mai concluso. Ha invece generato una forte sovrapposizione normativa e una conseguente stratificazione di situazioni molto diverse tra loro tra abilitati, non abilitati e precari storici, con le varie graduatorie ormai ingestibili ed una serie infinita di contenziosi. Questo, unitamente al sostanziale blocco del reclutamento nella scuola pubblica, ha determinato una estrema precarizzazione degli aspiranti insegnati, con una “coda” di quasi 200.000 persone in attesa di reclutamento. Attualmente il sistema prevede che la formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria (per infanzia e primaria esiste il corso di laurea abilitante e a numero chiuso di Scienze della Formazione primaria quinquennale) passi dal conseguimento di un titolo di laurea magistrale, seguito dal superamento di un Tirocinio Formativo Attivo (TFA) che abilita all’insegnamento. Al TFA si accede possedendo determinati requisiti curriculari in termini di CFU in specifici settori scientifico disciplinari, previo superamento di una prova preselettiva nazionale e di prove organizzate dai singoli Atenei, che gestiscono anche, in autonomia, l’organizzazione dei TFA, sulla base di una programmazione nazionale degli accessi. Per quanto concerne il reclutamento, il nostro sistema è misto: per il 50% si provvede tramite concorso (l’ultimo risale al 2012) e per il restante 50% tramite le graduatorie ad esaurimento, riservate agli abilitati e ormai chiuse da anni. A queste modalità di immissione in ruolo, relative al tempo indeterminato, si aggiunge l’uso intensivo delle supplenze a termine, per le quali i singoli istituti scolastici attingono dalle graduatorie d’istituto, cui, relativamente alla III fascia, hanno accesso anche i non abilitati. E’ evidente che non esiste un percorso chiaro ed univoco di formazione, abilitazione e reclutamento degli insegnanti, ma una pluralità di canali e che si sovrappongo, creando precarietà e contraddizioni. Per avere un’idea della situazione, basti pensare che le sole GAE hanno attualmente al proprio interno più di 150.000 aspiranti docenti, cui vanno aggiunti i 10.500 abilitati del I Ciclo di TFA, i 22.500 abilitanti dell’attuale II ciclo, quasi 9.000 laureati in Scienze della Formazione Primaria laureati dopo il 2010/2011, 55.000 diplomati magistrali, 69.000 PAS, 500 “congelati” SSIS e altre decine di migliaia di laureati prima del 2001/2002, per un totale di quasi 350.000. Dai piani di immissione in ruolo del Governo, inoltre, sono esclusi completamente gli ITP - Insegnanti Tecnico-pratici, responsabili delle attività didattiche di laboratorio. Questi vennero dimezzati dalla Gelmini, relegando migliaia di figure specializzate a barcamenarsi tra esuberi, riqualificazioni e supplenze “tappabuchi”. All’interno de “La Buona Scuola”, il Governo ha previsto un piano di reclutamento straordinario, per assorbire parte dell’enorme coda di precariato pregressa e una riforma complessiva della formazione iniziale, dell’abilitazione e del reclutamento degli insegnanti. Tale riforma prevede: per la formazione iniziale, l’attivazione di magistrali semi-abilitanti all’insegnamento a numero chiuso; per l’abilitazione, dei tirocini di sei mesi post laurea nella scuola; il ritorno al concorso nazionale come unico canale di immissione in ruolo, con l’obiettivo contestuale di eliminare o ridurre drasticamente il ricorso alle supplenze esterne.

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Il piano di reclutamento straordinario dovrebbe immettere in ruolo buona parte degli attuali iscritti alle graduatorie, circa 140.000 persone, mentre il primo concorso, da avviarsi nel 2015 ed espletarsi entro il 2019, servirebbe ad assorbire altri 40.000 docenti, tra le 200.000 (stimate a ribasso) che hanno a vario titolo diritto ad insegnare. Da una parte, il proposito di sanare l’accumulo insostenibile di precarietà attuale nelle graduatorie, mediante un reclutamento straordinario, per poi ricondurre esclusivamente ai concorsi l’immissione in ruolo futura, appare positivo (la stessa Costituzione indica nel concorso il solo canale di accesso al pubblico impiego) ma presenta molti profili di incertezza. Dall’altra solleva numerose perplessità il piano di riforma della formazione iniziale e dell’abilitazione dei futuri insegnanti, nonché il percorso stesso con cui si vuole attuare il reclutamento straordinario e avviare i concorsi.

Magistrali semi-abilitanti e tirocinio Attivare le magistrali semi-abilitanti significherebbe creare un livello specifico di formazione universitaria per gli aspiranti insegnanti, rendendo certamente più chiaro e coerente il percorso per gli studenti. Attualmente, infatti, questi sono costretti a strutturare il proprio percorso all’interno di offerte formative dei corsi di laurea che sono spesso inadeguate, in funzione dell’accesso alle classi di concorso, a loro volta decisamente troppo numerose e non coordinate con le classi di laurea rispetto ai requisiti curriculari di accesso. Da un lato, si guadagnerebbe in chiarezza e coerenza della formazione, dall’altro la si renderebbe molto settoriale e indirizzata quasi esclusivamente ad un futuro accesso all’insegnamento, con un titolo di studio difficilmente spendibile altrimenti. Se è questa la direzione, però, non si capisce perché non prevedere che questi corsi di laurea siano di per sé abilitanti, ma necessitino di un ulteriore percorso di tirocinio abilitante post-laurea. Tale tirocinio, della durata di sei mesi, si svolgerebbe all’interno di una scuola e prevedrebbe una valutazione finale da parte di un “docente-mentore” in accordo con il dirigente scolastico. In caso di valutazione negativa si potrebbe ripetere una seconda volta il tirocinio, ma in caso di una nuova valutazione negativa non sono previsti ulteriori tentativi e ci si dovrebbe orientare, con le difficoltà del caso, verso altre percorsi professionali, con un titolo universitario ultra specialistico. Non è chiaro, peraltro, su che basi un docente e un dirigente scolastico dovrebbero svolgere la valutazione e con quali strumenti di supervisione. La nostra proposta: Riteniamo che il corso di laurea stesso dovrebbe essere abilitante e che l’attività di tirocinio vada spostata all’interno del biennio magistrale, occupando l’intero ultimo semestre. In questo modo si consentirebbe anche una valutazione concorrente del tirocinante da parte sia del tutor scolastico, che di un equivalente figura universitaria. In sostanza: dei corsi di laurea strutturati in modo da indirizzare in maniera chiara e specifica verso l’insegnamento, ma che mantengano comunque una formazione specialistica che consenta la possibilità di inserimento in altri percorsi post-laurea, come i dottorati di ricerca.

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Numero chiuso e requisiti di accesso Fin dalle linee guida de “La Buona Scuola”, si chiarisce che queste magistrali semiabilitanti sarebbero a numero chiuso. Si tratta certamente di un elemento di forte criticità che deve portare, però, ad una valutazione complessiva del percorso formazione > abilitazione> reclutamento. La sovrapposizione normativa degli ultimi vent’anni ha creato un sistema nel quale, con l’esclusione di Scienze della formazione primaria, l’abilitazione si consegue con un percorso post-laurea, senza che abbia rappresentato però un canale esclusivo di accesso al reclutamento. Con le numerose eccezioni e deroghe create negli anni, infatti, hanno di fatto avuto accesso a graduatorie e concorsi anche candidati non abilitati. I percorsi abilitanti principali però (SSIS e TFA) sono sempre stati a numero chiuso. Per dare un’idea dei numeri, alle prove pre-selettive del primo ciclo di TFA si sono presentati 115.500 candidati e ne sono stati abilitati 10.500. Il II Ciclo, avviato nell’autunno scorso, abiliterà circa 22.000 docenti su 160.000 candidati. Mediamente l’11% dei candidati ha conseguito l’abilitazione. Alla base di tale affollamento nel percorso per l’insegnamento ci sono vari fattori concorrenti. Tra questi: l’assenza di un canale di accesso univoco, il sostanziale blocco del reclutamento nel sistema pubblico, la generale incapacità del nostro sistema produttivo di assorbire laureati (nonostante ne abbiamo una delle percentuali più tra i paesi dell’area OCSE) e la mancanza di un sistema efficace in uscita, cioè sul fronte previdenziale, dove il progressivo innalzamento dell’età pensionabile ha fatto anche sì che i nostri docenti abbiano l’età media più alta d’Europa con una percentuale di giovani irrisoria (0,5% under 30 nella secondaria contro una media del 9,6% nell’UE a 27, 9,5% under 40 contro il 25,2%). La nostra proposta: Un’analisi sistemica di tutta la filiera dell’insegnamento è dunque indispensabile per costruire un nuovo modello di accesso e crediamo sia profondamente sbagliato porre un blocco all’accesso a livello universitario. Si deve ragionare, invece, di una programmazione di medio periodo delle immissioni in ruolo, con una pianificazione pluriennale dei concorsi e dei posti messi a bando, che renderebbe gli studenti consapevoli delle effettive possibilità di accesso al ruolo negli anni successivi. Questo, unito ad un orientamento e un tutoraggio reali, darebbe loro tutti gli strumenti per scegliere liberamente se inserirsi nel percorso per diventare insegnanti, già durante la triennale, senza l’esigenza del numero chiuso.

E le magistrali a ciclo unico? La modalità di accesso all’insegnamento per gli studenti dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, come Giurisprudenza, Architettura, Ingegneria edile o Veterinaria, non è contemplata all’interno delle linee guida de “La Buona Scuola”. Sebbene l’obiettivo di questo sistema sia fornire, attraverso le magistrali specifiche, un percorso chiaro agli studenti verso la carriera dell’insegnamento, non appare ragionevole che quanti si iscrivano a magistrali a ciclo unico siano aprioristicamente esclusi dalla possibilità di diventare insegnati. A maggior ragione considerando il fatto che ci sono insegnamenti impartiti nelle scuole che necessitano della formazione specialistica acquisita in quei corsi di studio. Altrettanto penalizzante sarebbe chiedere a questi studenti di riscriversi ad una magistrale abilitante dopo aver conseguito il proprio titolo di studio magistrale.

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Tempistiche di attivazione delle nuove magistrali e transizione per gli attuali studenti Data la mole non irrilevante di lavoro necessaria all’attivazione di nuovi corsi di laurea e l’incertezza sui tempi di emanazione dei decreti attuativi della delega sulla scuola, è possibile che non si riesca ad attivare i nuovi corsi abilitanti in tempo per l’avvio dell’A.A. 2015/16. Al momento non è previsto nessun percorso transitorio per chi conseguirà, quest’anno o nel prossimo, una laurea Magistrale e si troverà quindi a dover aspettare l’attivazione delle nuove magistrali, in assenza di un ulteriore ciclo di TFA. Stesso dicasi per coloro che si iscriveranno quest’anno ad una laurea magistrale, e che dovranno quindi trasferirsi, in caso di attivazione dei nuovi corsi. Tale scenario rischia di penalizzare gravemente molti studenti o neolaureati. Reiscriversi alle nuove magistrali abilitanti, infatti, significherebbe conseguire, per gli studenti già laureati, un secondo titolo magistrale. Questo, a normativa vigente, li esclude a priori da tutti i benefici del diritto allo studio e alle agevolazioni sulla contribuzione studentesca. La nostra proposta: E’ indispensabile una gestione attenta della transizione al nuovo sistema. Da un lato, prevedendo l’attivazione di un III ciclo di TFA nel 2015/16, già coerente, rispetto alla programmazione degli accessi, con la disponibilità di immissione in ruolo dei prossimi anni. Dall’altro, strutturare meccanismi di accesso alle magistrali che agevolino gli studenti già laureati e quelli che, già iscritti ad altro corso di laurea magistrale, vogliano trasferirsi.

Modalità di attivazione delle magistrali Non si conoscono ancora i dettagli dell’iter che si vorrà seguire per l’attivazione di questi nuovi corsi di laurea, ma è probabile che dovranno attenersi a tutti i vincoli della normativa vigente in termini di accreditamento iniziale e periodico (AVA). Nell’attuale contesto di blocco del turn-over, gli Atenei sono già in difficoltà a rispettare i criteri di accreditamento, soprattutto quelli di docenza, per molti corsi di laurea. Il timore è che alcune Università si trovino nell’impossibilità di attivare nuovi corsi di laurea, a meno di chiuderne altri. Inoltre, l’attivazione di almeno una magistrale abilitante sarebbe fortemente incentivata, soprattutto nei dipartimenti i cui corsi hanno una maggiore vocazione all’insegnamento, per non perdere attrattività ed iscritti. Questo potrebbe creare un incentivo a chiudere un altro corso di laurea, non abilitante, per poter liberare docenti e attivarne uno abilitante. La nostra proposta: Riteniamo elementi indispensabili, non solo ovviamente per l’attivazione delle nuove magistrali, lo sblocco totale del turn-over per gli atenei a partire dall’anno in corso e un rifinanziamento del sistema universitario che lo riconduca ai livelli del 2009. In assenza di interventi in questa direzione, l’attivazione di nuovi corsi di laurea rischierebbe di danneggiare ulteriormente la qualità dell’offerta formativa dei nostri Atenei, o di essere limitata ai soli Atenei “virtuosi” secondo i discutibilissimi criteri ANVUR. L’attuale impianto normativo gelminiano, peraltro, non consente una significativa differenziazione dei percorsi all’interno dello stesso corso di laurea. A meno di non creare un numero di lauree magistrali in rapporto di 1:1 alle classi di concorso, cosa evidentemente folle anche nel caso dell’annunciata riduzione di quest’ultime, è indispensabile garantire la possibilità di diversificare il proprio piano di studio e di acquisire le necessarie conoscenze specialistiche in ambiti diversi.

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Qualità formativa delle nuove magistrali Un problema evidente è quello del tempo che verrà dedicato alle diverse discipline e al bilanciamento da operare tra formazione delle conoscenze specialistiche e maturazione delle competenze pedagogicodidattiche. Riteniamo che, sebbene una solida formazione specialistica sia importante, l’attuale sistema non garantisca la costruzione di competenze adeguate, indispensabili nella formazione iniziale di un insegnante. Le future magistrali dovrebbero assicurare, a fianco alle materie d’indirizzo, un solido impianto di formazione pedagogico-didattica e un percorso di tirocinio adeguatamente professionalizzante all’interno di istituzioni scolastiche: Il DM 249/2010 (nel quale originariamente si ipotizzavano le magistrali abilitanti) prevedeva:

L’attuale TFA prevede

75 cfu in discipline specialistiche 18 cfu in discipline pedagogiche; 27 cfu tra tesi e laboratori didattici.

18 cfu in didattica generale e didattica speciale; 18 cfu in didattica delle discipline oggetto di insegnamento delle classi di concorso con laboratori e laboratori pedagogico-didattici; 19 cfu per un tirocinio di 475 ore (di cui 75 ore, pari a 3 cfu, dedicate in particolare ad alunni con disabilità): con una prima fase di osservazione delle 5 cfu: relazione finale.

La nostra proposta 60 cfu in discipline specialistiche, con concreta possibilità di differenziazione dei piani di studio 36 cfu in discipline e laboratori pedagogico-didattici, inclusivi di attività seminariali 20 cfu di tirocinio, pari a 500 ore, da svolgersi all’interno di un istituto scolastico, seguendo un gruppo classe per l’intero quadrimestre, sotto la guida di un docente tutor, con l’affiancamento dei docenti di ruolo e la previsione di attività durante il quadrimestre per le quali il tirocinante assume la responsabilità del gruppo classe, o di una parte di esso. Tale tirocinio dovrebbe svolgersi, di norma, l’ultimo semestre del II anno, a condizione di aver già superato tutti gli esami di profitto . Il seguire il tirocinio per l’intero quadrimestre implica la necessità di rendere i calendari didattici e dunque le sessioni di esami e appelli, compatibili con i calendari didattici degli istituti scolastici. 5 cfu di tesi, che deve concernere anche l’esperienza di tirocinio svolta.

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Riforma delle classi di concorso Un’altra criticità dell’attuale meccanismo di accesso all’insegnamento, che si protrae ormai da anni, è il sistema delle classi di concorso, troppo numerose e spesso non coerenti con le classi di laurea. Da un lato, infatti, le nostre circa 70 classi di concorso per l’accesso all’insegnamento sono un caso unico in Europa. Dall’altro, il collegamento tra classi di laurea e classi di concorso è farraginoso, con classi di laurea del tutto non riconosciute, come quelle di Scienze Politiche, Relazioni internazionali o Scienze del turismo, e i requisiti curriculari per l’accesso spesso non armonizzati con i nuovi ordinamenti didattici o con le offerte formative dei corsi di laurea. Il DM 22 del 2005, che fissava le corrispondenze tra titoli dei diversi ordinamenti e i requisiti e i titoli di accesso alle varie classi di concorso, è in attesa di una revisione complessiva da anni. L’istituzione delle magistrali abilitanti supererebbe alla base il problema della coerenza tra classi di concorso e classi di laurea, purché si fissino dei requisiti curriculari per l’accesso alle stesse magistrali che non ripetano i medesimi errori. La nostra proposta E’ necessario riformare le classi concorsuali, riducendone il numero e prevedendone fin da subito l’armonizzazione con le future classi di laurea delle magistrali abilitanti. In contemporanea, prima del III ciclo di TFA da attivarsi transitoriamente, bisogna sanare le lacune e le incoerenze attuali del DM 22/2005, consentendo l’accesso anche alle classi di laurea attualmente escluse

Il reclutamento E’ evidente come l’attuale sistema di reclutamento non funzioni: tempi di attesa infiniti, incertezza, lunghi periodi di precariato, accavallamento dei centri di reclutamento tra lo Stato e i singoli Istituti scolastici. Risulta indispensabile ripristinare un unico canale di reclutamento tramite concorso pubblico, ma lo scenario al momento è piuttosto confuso, sia rispetto al piano straordinario di reclutamento, senza il quale è impossibile uscire dall’emergenzialità, sia rispetto all’avvio dei concorsi. Innanzitutto, sugli interventi del Governo pende la spada di Damocle della sentenza della corte di Giustizia Europea sul precariato storico, che ha riconosciuto un abuso nella reiterazione dei contratti a tempo determinato e ha sancito il diritto ad un’indennità risarcitoria per i precari della scuola con più di 36 mesi di servizio. Si tratta di centinaia di migliaia di persone, molte delle quali non rientrerebbero nei piani previsti di reclutamento straordinario e concorsuale. Un secondo elemento di criticità riguarda le molte figure che attualmente resterebbero escluse, producendo nuove discriminazioni e contenziosi. Un altro aspetto da considerare è lo “specchio” del precedente: se il reclutamento straordinario e il prossimo concorso devono servire a risolvere la carenza di organico delle scuole e l’accumulo di precari, allo stesso tempo questa massiccia immissione in ruolo non deve precludere il futuro accesso agli attuali studenti, o a chi intraprenderà questo percorso negli anni futuri; il rischio è, infatti, che si crei un “tappo”ai nuovi ingressi. La nostra proposta Per fare in modo che il sistema possa tornare in equilibrio, è fondamentale accelerare sul reclutamento straordinario e avviare una programmazione del reclutamento che tenga conto sia delle molteplici situazioni pendenti, sia delle abilitazioni dei prossimi anni. Innanzitutto bisogna garantire un reclutamento realmente inclusivo, tutelando tutte le figure precarie accumulate negli anni, come gli ITP, e sanando anni di ingiustizie e discriminazioni normative che hanno condizionato la vita lavorativa di migliaia di persone.

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In secondo luogo, le magistrali abilitanti devono essere introdotte nei tempi previsti, ossia entro il 2016, evitando un nuovo regime di transitorietà dei TFA (al netto del III ed ultimo ciclo da attivarsi quest’anno). Sarebbe infatti insensato far perdurare l’esistenza di questo canale, palesemente inefficace e strutturalmente esposto a infiniti contenziosi. L'elemento più importante è quello della programmazione del reclutamento, dato che in un sistema serio si deve essere in grado di programmare con certezza le immissioni in ruolo nel medio periodo. Il livello d’organico raggiunto con le nuove immissioni dovrà, come minimo, essere mantenuto costante prevedendo quanti nuovi posti saranno messi a bando almeno nei successivi sei anni, e dunque con uno sguardo superiore al ciclo di un solo concorso. Questo tipo di programmazione è ottenibile incrociando i pensionamenti attesi (ultimamente più di 20.000 all’anno) con una pianificazione seria dell’organico funzionale e del fabbisogno atteso, a patto però di mantenere un adeguato livello di finanziamento. Contestualmente all’introduzione del nuovo percorso formativo, quindi, è necessario programmare concorsi triennali con l'indicazione dei posti disponibili e darne comunicazione agli studenti per il tramite delle istituzioni universitarie. Si tratta di una scelta di serietà politica e amministrativa, che metterebbe gli studenti in condizione di investire consapevolmente nel proprio percorso di studio e di vita avendo a disposizione finalmente un orizzonte temporale chiaro. Tra gli obiettivi del Governo c’è anche quello dell’eliminazione del ricorso alle supplenze esterne, che però risulta irrealistico se non aggravando enormemente il carico dell’organico, anche solo a causa della grande disomogeneità del nostro sistema scolastico e del territorio. Di conseguenza bisogna mantenere, nel contesto dei concorsi, la definizione di un certo numero di idonei, cioè di persone che non si immettono direttamente in ruolo, ma possono svolgere supplenze negli anni successivi, per poi essere inseriti successivamente. Riteniamo tuttavia che tale contingente debba essere limitato numericamente, in modo da far fronte all’esigenza delle supplenze, ma evitando la creazione di nuove code.

Il confronto con gli studenti Le molteplici criticità legate alla riforma del sistema rendono imprescindibile un confronto tra il Governo e gli altri attori del sistema universitario, studenti compresi: non possiamo accettare che ancora una volta si intervenga per decreto su un tema delicato per gli studenti e il loro futuro, senza un confronto con le rappresentanze. La nostra proposta: Vogliamo la convocazione di un tavolo ministeriale di discussione prima dell’emanazione di qualsiasi provvedimento e il pieno coinvolgimento, in tal senso, del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari.

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