Le Mutilazioni Genitali femminili nel Lazio - A cura di Giuliana Candia

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Capitolo 3

In generale, per la prevenzione occorrono, secondo gli intervistati, condizioni che non è sempre facile creare nel contesto di un servizio: la frequenza del contatto tra donne e operatori, ma anche l’adozione da parte del personale dei servizi di punti di vista e atteggiamenti aperti all’ascolto e al confronto. Una premessa fondamentale è dunque la formazione degli operatori, che, acquisendo informazioni e competenze, possono relazionarsi al meglio con questa problematica e trovare modalità efficaci di comunicazione. La filosofia dell’intervento deve ispirarsi, secondo gli intervistati, sia alla dottrina universale dei diritti umani, sia a una prospettiva più interculturale di rispetto delle differenze. Uno dei medici intervistati è del parere che occorre: “essere molto fermi ad impedire le pratiche di Mgf, ma nello stesso tempo non bisogna dare un giudizio negativo sulle persone. Perché se tu attacchi la persona senza tener conto del peso che ha per lei la tradizione, l’accettazione sociale nel gruppo, si rischia di creare un isolamento grosso”. (int. 26, Area Sanitaria Caritas)

In alcuni casi gli operatori testimoniano di aver esteso l’azione preventiva non solo alla donna ma anche al partner. Quando la figura di aiuto proviene dagli stessi paesi o condivide la stessa religione la mediazione appare facilitata), e non mancano narrazioni di casi in cui l’attività di dissuasione ha avuto un esito positivo, anche cercando di rispondere agli argomenti relativi alle preoccupazioni legate al rapporto con la famiglia allargata, ai potenziali conflitti con quest’ultima in occasione dei viaggi nel paese d’origine. Secondo una delle intervistate, gli uomini appartenenti a gruppi culturali ancora fortemente legati alle tradizioni mutilatorie hanno rappresentato i casi più difficili, opponendo grande resistenza sulla base della logica dell’onore familiare. Dopo aver trovato il loro consenso rispetto all’opportunità di proteggere le figlie dal dolore dell’operazione e dalle sofferenze future, le soluzioni proposte sono state quindi di tipo pragmatico: “Il problema era: cosa diciamo ai nonni? Io dicevo sempre: ditegli che l’avete infibulata in Italia, tanto nessuno la spoglia, nessuno le guarda tra le gambe… non lasciatela sola con i nonni fino a 14-15 anni, così che possa proteggersi”. (int. 16, Medici Contro la Tortura)

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