What Women (don't) Want - Il web contro la violenza sulle donne 2013

Page 83

il web contro la violenza sulle donne

dimenticate, era colpa sua. Regola 17, mai chiedere perché. «Ho ragione un cazzo. Non pensare che fare la leccaculo ti salvi questa volta. Perché non potevi ammetterlo, che è colpa tua, che oltre a essere un’inutile cretina per cui devo lavorare ogni giorno e che non riesce a tenere una casa decente non riesci a fare figli, neanche una cagna sei, neanche un gatto randagio. No, la signora deve mettersi d’accordo con la dottoressa troia perché mi dica che è colpa mia. Mia!» Non la stava colpendo di nuovo e questo non andava bene. Affatto. Perché quando non continuava subito, quando non finiva in un paio di minuti, Marco si stava preparando. Regola 21. Meglio tutte e subito che come quella volta. A casa dei suoi genitori. Poi basta un vestito a maniche lunghe, e un sorriso. Nessuna delle regole spiegava cosa fare in un momento del genere, nessuna delle regole l’aveva mai soccorsa. Ma parlare era l’unica cosa che le era rimasta. «Marco. Magari si sbaglia.» «MAGARI si sbaglia, dice la signorina. MAGARI. Come se non lo sapessi, tu? Ci hai parlato? Sei andata a vederla? Pezzo di stronza. Perché pensi che ti abbia sposata? Per la tua faccia di merda? Per le faccende che non sai fare? Per quel cazzo di cervello che pensi di avere, cretina? Come tua madre. Solo che tua madre l’ha fatto, un figlio. Tu nemmeno quello.» La voce di Marco si era abbassata mentre parlava, e questo non era un bene. Perché era successo solo un’altra volta, in otto anni, un’altra volta e per lo stesso motivo, quattro anni prima, prima che Giulia e Simone dicessero che a loro ci erano voluti sei anni per avere Giorgio, e dire che il dottore aveva detto che era tutto in ordine, andava tutto bene. Ma prima di allora.

Regola 50. Dimenticarsi di quel giorno. «Marco. Rifacciamo le analisi. Andiamo da un altro dottore…un uomo…» «Per scopartelo, troia? Per persuadere anche questo che è colpa mia? Che non sei inutile oltre che brutta, stupida, che dovrò pagare oro per farti funzionare.» Aveva nascosto i suoi libri di matematica, Anna, aveva nascosto i quaderni dove ancora, a volte, disegnava equazioni di pomeriggi stanchi e vuoti. Aveva giurato di dimenticare quella limpida, scientifica bellezza. Ma la sua logica non se n’era andata. La sua logica era lì. E con ogni bugia che aveva detto per ammansire il mostro che non era, che non poteva essere Marco, solo una brutta, effimera illusione, la sua logica non aveva voluto essere in silenzio. Perché poteva fingere di non sapere nulla, Anna con il suo amore per l’avvocato dello studio di famiglia. Poteva tenere in ordine la casa, e farsi bionda, e un giorno accettare una gioventù immaginata e non voluta da un bisturi. Ma non c’era equazione che potesse trasformare la semplice realtà, la verità di sangue e carne che guardavano. «Ma se le analisi dicono che sto bene…» Il silenzio durò un momento, uno solo. Negli occhi di Marco soltanto il buio. Ricordati quel giorno insieme, avrebbe voluto dirgli, ricordati dell’uscita di scuola. Ma non aveva più voce. Solo le dita di Marco, intorno alla gola, spingendola all’indietro, una linea retta e precisa, geometria implacabile e perfetta. Regola 23. Mai, mai provocarlo nell’ingresso. Con la rastrelliera antica appesa al muro, lunghi, acuti ganci di ferro, in attesa.

83


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.