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RECENSIONE

IL NOIR ITALIANO TRA LA PROVINCIA E IL WEST Intervista a Massimo Mora

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l giallo trasuda affettuosa ironia sul piccolo mondo antico di “ la Borra” dov’è contestualizzato. Si potrebbe parlare di vizi privati e apparenti virtù. La Borra è naturalmente il pretesto per parlare dell’uomo e del mondo. È il microcosmo in cui, su scala diversa e con modalità solo parzialmente differenti, accade ciò che accade ovunque. L’uomo si porta addosso pulsioni ancestrali e paure ataviche, con queste deve fare i conti, in fin dei conti. E questo accade tanto a New York quanto alla Borra. Dunque l’affetto è quello che mostro nei confronti dell’uomo, mio simile e fratello, l’ironia è invece l’arma che sola può riuscire a ad allentare la presa del tragico sull’esistenza. L’ironia come strumento per raggiungere una levità e una leggerezza che rendano meno faticoso il vivere. Poi naturalmente la vita si fa più complicata quando ci si mettono di mezzo la virtù e il vizio, una prospettiva sempre arbitraria dalla quale assolvere o condannare i comportamenti degli individui. Io ho cercato di mettere in luce tutta l’ipocrisia di queste visioni, in particolare quella che mortifica il corpo la carne e le passioni per esaltare invece una frigida santità… ‘ne vien fuori nulla di buono da tali complessioni’. Il maresciallo dei carabinieri che investiga sul delitto e l’appuntato Sesti danno l’idea di un noir all’italiana, meno crudo, impietoso e pessimista di quelli made in USA. Sulla questione del ‘genere’ continuo a rimanere perplesso, perché come dico, quasi per scherzo, a chi mi chiede che libro io abbia scritto, rispondo che si tratta di un breve saggio filosofico. Questo perché per me la

trama, le vicende del racconto sono state un pretesto per parlare d’altro. Non era assolutamente mia intenzione scrivere un giallo. E non sono nemmeno un cultore del genere! Fatta eccezione per alcuni lavori di R. Chandler e qualche sporadica lettura pulp, il mio orizzonte di lettura è di tutt’altro genere. Diciamo che mi sono divertito ad imbastire una storia dal sapore di quelle che mi raccontava mio nonno, storie fatte di suTERZA PAGINA  marzo 2012

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RECENSIONE perstizione, di ipocrisia e di saggezza popolare; storie tenere, raccontate per dilettare e far passare il tempo, non per spaventare. L’evento tragico si fa pretesto per parlare della vita, di come tutto ricominci sempre, da capo. In un gioco in cui non ci sono eroi e nemmeno santi. Non ci sono vincitori e nemmeno vinti. È la vita! Il gioco sta nel non prenderla di petto. Tra il bene e il male non c’è che un sottile spartiacque, come si rileva nei protagonisti. Appunto, bene e male. Io amo il genere Western perché lì, almeno nella sua forma classica, il bene e il male sono chiari ed evidenti. I buoni sono buoni e i cattivi cattivi. Non c’è possibilità d’errore. Mi piacciono appunto perché riescono a fornire una visione che a me sfugge. A guardare i fatti da diverse prospettive bene e male si confondono. Le ragioni e le giustificazioni si moltiplicano e il bianco e il nero sfumano nel grigio. Infatti nel racconto il cattivo forse non era così cattivo da meritarsi tutto ciò che gli è accaduto e i buoni forse non sono così buoni. La decisione, secondo me, spetta al lettore.

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Il racconto è piacevolissimo per il linguaggio vivo, ricco di neologismi attinti, presumo, anche dal vernacolo. Camilleri è un buon riferimento. Il registro linguistico è, forse, quello che ho curato maggiormente con fatica e con una ricerca che, secondo me, non può mai terminare per uno scrittore. Naturalmente vi sono criteri che guidano nella scelta dei termini, io ho cercato la musicalità delle parole, un’assonanza al resto che risultasse piacevole alla lettura e comprensibile grazie ad una intrinseca onomatopeicità. Mi rendo perfettamente conto che molti termini sono desueti, alcuni forse sono addirittura inventati e altri derivati da espressioni dialettali, ma a mio avviso la lettura ne guadagna in ricchezza e armonia. I termini, in altre parole, suggeriscono il loro significato, basta saperli ascoltare. Come autori di riferimento sceglierei piuttosto Giorgio Manganelli oltre, naturalmente, all’imprescindibile Dante Alighieri. S.M.


CINEMA

ALEJANDRO AMENABAR L’ULTIMO SPETTACOLO

A

lejandro Amenabar è un ectoplasma, molto simile alle presenze che spesso hanno popolato i suoi film. Giovane se non giovanissimo, il cineasta dai natali cileni, ma d’adozione iberica, ha presto proiettato la sua carriera dallo status di enfant prodige del cinema spagnolo a quello

di autore consolidato: corteggiato, riconosciuto e premiato anche ad Hollywood: mecca del racconto per immagini in movimento. Già, ma cosa resta, oggi, dell’Amenabar pensiero, della sua poetica, delle sue opere? Prima di tutto la realtà dei fatti filtrata dalla fredda infallibilità dei numeri, la stessa che resoconta di una TERZA PAGINA  marzo 2012

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CINEMA carriera una volta di genere e instancabilmente produttiva (3 film tra il 1996 e il 2001, ovvero Tesis, Apri gli occhi e The Others), tramutatasi all’improvviso in riflessiva, ponderata e meno riconoscibile (appena 2 le pellicole dirette all’indomani di The Others, il pluripremiato Mare Dentro e il controverso Agorà) all’occhio di chi, magari troppo frettolosamente, aveva provveduto ad etichettarlo come cineasta borderline quasi, se non esclusivamente, a suo agio nelle dinamiche a metà tra horror e thriller. Hitchcockiano per vocazione, Alejandro Amenabar rappresenta molto di più di un regista incline all’esercizio di stile, all’omaggio registico o alla sola citazione paracinefila, in quanto da sempre mosso da vettori poetici personali, individuabili in un’ossessione per la morte che non può non essere ricondotta alla sua infanzia, ovvero alla fuga dal Cile di Pinochet per approdare nella Spagna dell’immediato dopo Franco. Quello del cileno è un cinema popolato da presenze ectoplasmiche, figure che sfiorano, inseguono o subiscono la fine ultima: fantasmi insomma, dai contorni sfuggenti proprio come il loro creatore, che sulla scena cinematografica mondiale appare e scompare, non passando però mai inosservato. La morte si diceva, a partire da Tesis vera ossessione artistica di Alejandro Amenabar, scrupolosamente analizzata attraverso qualsivoglia possibilità la settima arte conceda. L’esordio dello spagnolo consente al pubblico di familiarizzare con il leggendario fenomeno degli snuff movies, pellicole di fortuna realizzate con fare rozzo e destinate ad una ristrettissima cer-

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chia di danarosi spettatori, perversamente irradiati dalla possibilità di assistere ad una reale e violenta dipartita messa in scena nello schermo domestico. Apri gli occhi, tutt’ora il film più ostico e narrativamente complesso mai diretto da Amenabar, riempie invece lo schermo cinematografico attraverso le disavventure mentali di un giovane sfigurato, somaticamente scomparso nel giorno del grave incidente. The Others, con tutta probabilità l’apogeo creativo del regista, rilegge senza timore reverenziale alcuno Giro di vite di Henry James, classico della letteratura gotica, che Amenabar utilizza come catarsi delle sue paure di sempre. Una via di fuga insomma, tramite la quale liberarsi dell’infantile fobia del buio o del mai dimenticato terrore della guerra. Raggiunto il successo anche internazionale (Apri gli occhi e The Others spalancano ad Amenabar le porte di Hollywood) l’autore opta per una brusca quanto efficace conversione ad U: addio al genere di riferimento, benvenuto ad un percorso melodrammatico che non rinuncia alla pellicola storica e in costume. Mare Dentro ed Agorà, benché lontanissimi dal trittico elencato poche righe fa, conservano inalterate le ideologiche linee guida, ponendosi, con argomenti tanto simili quanto superficialmente diversi, come vero e proprio punto d’arrivo. Ramon Sampedro e Ipazia d’Alessandria infatti, altro non sono che vittime di un’ideologia, di un totalitarismo, di una dittatura morale e ideologica. Se il primo lotta per un diritto alla morte da consumarsi non clandestinamente, la seconda si trasforma in martire dell’ortodossia religiosa, col-


TESTATINA

pevole d’essere donna di scienza e non di fede cieca. D’improvviso, proprio nel momento in cui il cambio di forma sembra inevitabilmente condurlo ad uno smarrimento d’identità, si rivela quindi il vero Alejandro Amenabar: mente libera e intransigente, costretto ancora in fasce alla fuga da un totalitarismo e ora adulto, mai come prima accanito antagonista di ogni forma questo possa assumere; sia morale, politica, giudiziaria o religiosa. Quello di Amenabar è un cinema la-

tentemente politico, un messaggio subliminale trasportato dalla celluloide, incapace di non andare a bersaglio o di fare prigionieri. Sullo sfondo, naturalmente, continua a perseverare la paura ultima, quella della morte, compagna di viaggio che seguita a porre l’autore di fronte ad ogni film come se fosse l’ultimo, quello definitivo. Luca Lombardini TERZA PAGINA  marzo 2012

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POESIA

Intervista al poeta Renzo Piccoli, autore di varie sillogi

LE ULTIME RACCOLTE NELLA COLLANA “CANTAR DE MI AMOR” A cura degli alunni della 4C scuola primaria A Rubri /Zolino Imola (BO) Insegnante Emanuela Bianchi

Da quanti anni fai il poeta? Da parecchio tempo, anche se “fare il poeta” non è un mestiere. Ti piace essere un poeta? Non so come rispondere. Ci si sente tale e poi ci si impegna per diventarlo. Vi è una spinta interiore che induce prima alla comunicazione con gli altri, poi ad una espressione, un modo, che chiamiamo poetico, di esprimersi. Può essere un privilegio ma anche un tormento, poiché è una ricerca continua di miglioramento verso maggiori gradi di perfezione. Sei contento delle tue poesie? Forse non conoscete il percorso che induce a scrivere poesia. È la poesia stessa che prende possesso del poeta: nasce

l’idea, esige il suo spazio, non lo abbandona finché non ottiene la sua forma, ossia la scrittura poetica. Il poeta quindi deve assecondare qualcosa che sembra provenire dall’esterno. In realtà vivere comporta una serie di sensazioni ed esperienze che fa parte di un bagaglio culturale personale dal quale scaturiscono le idee. Per quanto riguarda il risultato, a volte la scrittura di getto già si presenta accettabile, altre volte bisogna ritoccarla, modificarla, correggerla finché non risulta soddisfacente. Bisogna sempre fare l’”autocritica”, ossia essere giudici imparziali e severi di se stessi, e solo dopo un lungo lavoro di revisione si può presentare la propria opera. Da cosa prendi l’ispirazione quando scrivi una poesia? Da qualsiasi cosa: un paesaggio, un luogo, un inconTERZA PAGINA  marzo 2012

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POESIA tro, un profumo, un colore, un oggetto. E poi ci sono le stagioni con le loro caratteristiche, le persone col loro aspetto e i loro modi di vita. Tutto ciò è fonte di ispirazione. Poiché la poesia ricerca l’estrema sintesi, non bisogna perdere gli attimi propizi. Sempre ho con me un blocnotes e un piccolo lapis ed appunto ogni particolare situazione che, se c’è tempo, viene sviluppata immediatamente oppure rimandata ad un momento successivo. Quindi si può scrivere anche in uno spazio affollato, come nella tranquillità di una stanza. Spesso mi capita di viaggiare e soprattutto in treno o in aereo l’occasione è favorevole. In macchina, poi, posso creare e registrare versi che sono scanditi da un ritmo musicale, ascoltando la radio o un cd. Attualmente sto pubblicando una serie di volumi che comprendono poesie e canzoni, pensate per la musica. Quante poesie hai scritto? Non le ho mai contate, ma penso che il loro numero superi il migliaio. Scrivevi poesie anche da bambino? Il pensare in poesia mi ha accompagnato fin dall’infanzia ma un serio impegno poetico ha richiesto preparazione, studio ed affinamento della tecnica di versificazione, per cui l’attività è iniziata più tardi. Per chi le scrivi? Prima di tutto, come ho detto, è un’esigenza interiore. In secondo luogo è proporre agli altri ciò che si esprime, poiché ciò che è umano appartiene a tutti e con tutti è condivisibile. Il poeta ha il dono della parola, non l’esclusiva delle emozioni, dei sentimenti, della conoscenza. Molte delle tue poesie non sono in rima e il linguaggio a volte è un po’ difficile, perché le scrivi così? In poesia si usa il verso, la strofa, la rima. Ma non è importante che ci sia sempre la rima; esiste anche l’assonanza, la consonanza, l’allitterazione… Grande considerazione meritano anche l’accento, il ritmo, la musicalità. Espressione a volte semplice, a volte complessa con uso di parole desuete, ricercate, che la lingua permette. Il vocabolario può essere utile per la ricerca di sinonimi e non è da escludersi l’uso di neologismi se la materia trattata lo consente. La ricerca espressiva non ha limiti se non nelle capacità del poeta stesso.

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Quanti anni avevi quando hai scritto la tua prima poesia? Frequentavo le elementari, avrò avuto circa nove anni. Ricordo ancora la data – 11 febbraio – e l’argomento che riguardava un fatto storico: l’anniversario dei Patti Lateranensi tra la Chiesa e lo Stato. In quegli anni la ricorrenza era festa civile e per i bambini era giorno di vacanza. Come ti è venuta la passione per la poesia? I poeti della mia prima infanzia erano Arpalice Cuman Pertile, Angiolo Silvio Novaro, Ada Negri, Renzo Pezzani… Mi piacevano ma il loro poetare ricalcava una certa maniera tradizionale. Ho invece un ricordo ben preciso: la prima poesia che mi ha veramente colpito è stata Prime tristezze di Marino Moretti. Ricordate i primi versi: Ero un fanciullo, andavo a scuola:e un giorno dissi a me stesso: - Non ci voglio andare. E non ci andai. Mi misi a passeggiare tutto soletto, fino a mezzogiorno. E così spesso. A scuola non andai che qualche volta, da quel triste giorno. Io passeggiavo fino a mezzogiorno, e l’ore... l’ore non passavan mai! So che il poeta non è più andato per davvero a scuola. Non è certo un esempio da imitare. Fortuna per lui che aveva la mamma maestra e così ha potuto, con le sue lezioni e i suoi compiti, ottenere la licenza elementare da privatista. Ebbene non solo mi è piaciuta subito (aveva in sé uno spirito ribelle) tanto da impararla a memoria e trovarmi a “recitarla”, sì come se si fosse in teatro, in ogni momento, ma ha fatto nascere in me lo spirito di emulazione, decidendo che anch’io avrei tentato di scrivere poesie. Ti sono piaciuti i nostri disegni? Sicuramente. Avete cercato, e ci siete riusciti, di tradurre in immagini dettate dalla vostra abilità lo spunto offerto dalla scrittura. Ho apprezzato inoltre la vostra fattiva collaborazione nel disegnare “Al museo delle cere”. Quali argomenti preferisci tradurre in poesia? (Natura, Storia antica, Scienze…) Come ho detto, qualsiasi input è per me importante per affrontare un argomento. Il mio mondo poetico prevalente, tuttavia, ha una con-


POESIA notazione lirica, ossia tratta dei moti dell’anima, delle sensazioni personali e del mondo sensibile. Quanto guadagni scrivendo poesie? Molto poco! Vale solo l’onore, la fatica, la riuscita. I compensi si chiamano diritti d’autore e sono legati al numero di copie vendute. I libri di poesia si stampano in poche copie e non hanno un vasto mercato, e in più ora c’è la crisi anche nell’editoria. Non conosco nessun poeta che possa vivere scrivendo poesie, nemmeno il vincitore del premio Nobel! Si deve svolgere quindi un’attività remunerativa come ogni persona. Guadagni importanti li possono ottenere solo gli scrittori di romanzi, molto conosciuti, con alte tirature e con vendite di molte migliaia di copie oppure chi sceglie professionalmente altri generi letterari: gialli, fumetti, ad esempio. Ti senti un po’ famoso? Non credo e non m’importa molto. Mi interessa, invece, diventare “importante” per quello che ho da dire e per il modo di dirlo, ovvero per un certo stile. Come ti senti dopo che hai scritto una poesia? Normalmente contento ma raramente soddisfatto. La poesia è come una creatura che ha bisogno di sostegno, di incoraggiamento e, rileggendola, la si migliora, corregge, ecc. Fra quelle che hai scritto, qual è la poesia che ti è piaciuta di più? Tutte, veramente. Se hanno preso forma, se hanno reclamato di esistere, hanno per me la massima considerazione. Infatti, noto che ognuna ha una sua particolarità sia di argomento, sia di immaginazione, sia di versificazione. È demandato a chi legge avere delle preferenze. Ti aspettavi di più dalle nostre illustrazioni o ti sono piaciute molto? Mi sono molto piaciute. Avete profuso un impegno non indifferente, con molta passione e, spero, vi siate anche divertiti. L’immediatezza dei vostri disegni contribuirà in modo determinante all’apprezzamento del libro. Sei soddisfatto del tuo modo di scrivere poesie? Alla fine penso di sì. Altrimenti non proporrei i miei lavori.

Perché hai scelto di farle illustrare alle nostre classi di Imola? La dea che inventò la sera, che voi avete illustrato, è il terzo volume della trilogia “Sgranaparole”. I primi due volumi – Il merlo bianco e Il canto del mare – sono stati illustrati da alunni di scuola primaria di Bologna. Mi sono rivolto alla biblioteca di “Casa Piani”, che conoscevo poiché anni fa ho insegnato a Imola e ho trovato un ambiente scolastico intelligente e vivace, affinché mi indicasse chi poteva aiutarmi per le illustrazioni del terzo. Mi è stata segnalata la vostra insegnante e la vostra classe assieme all’insegnante e alle classi IV A e IV B delle scuola Cappuccini. I risultati mi sembrano ottimi. Qual è la poesia o le poesie, scritte da altri poeti, che ti piacciono di più? Vorrei sapere i titoli e perché ti piacciono. La risposta non è semplice. Leggo continuamente poesia, sia antica che moderna. Dovete sapere che la scrittura che conoscete relativa a questo libro illustrato comprende solo una minima parte dei miei versi: normalmente scrivo per “grandi”. Anche la mia frequentazione riguarda i campi più svariati e, più che una singola poesia, posso esprimere predilezioni per l’intera opera di poeti che conoscerete più avanti: Dante, Petrarca, Ungaretti, Pascoli, Quasimodo, Montale , fra gli italiani; Baudelaire, Rimbaud, Apollinaire, Neruda, Lorca, Pound, fra gli stranieri. Essendo propenso verso la poesia lirica posso indicare nell’Infinito di Leopardi la sua massima espressione. Tra gli scrittori italiani per l’infanzia, naturalmente Gianni Rodari. Quando leggi le poesie di altri poeti ti piacciono di più le poesie in rima baciata, versi sciolti o versi alternati? È per me indifferente il modo di rimare o il tipo di verso. Quello che conta sta nel contenuto della scrittura, nella portata del suo messaggio, nel mio coinvolgimento sia emotivo che razionale. Non importa se il poeta è famoso oppure sconosciuto. Ho bisogno di una poesia che mi elevi, vale a dire che mi offra qualcosa che conti per la mia vita, per la mia crescita spirituale o conoscitiva. Renzo Piccoli

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CINEMA

“MA CHE SIAMO IN UN FILM DI NANNI MORETTI?” ICONOGRAFIA DI UN REGISTA

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anni Moretti è “il” regista di culto italiano. Si può amare o odiare, ma i suoi film sono autentiche icone generazionali. Ultimamente si è distaccato dal filone intimista che l’ha caratterizzato per gran parte della sua filmografia, ma ogni nuova pellicola contiene un tocco personale che sempre e comunque ci parla di Nanni, delle sue manie, dei suoi pensieri, della sua visione della vita in un dato momento. Molto più di quanto non accada ad altri registi. E rimane sempre il dubbio che oscilli tra l’autocompiacimento narcisistico e consapevole e un’involontaria incapacità di tirarsi fuori dalle opere che produce. Per conoscerlo meglio, arriva questo libro a cura di Simone Isola, che raccoglie racconti, testimonianze e analisi. Proprio il tema della commistione spazio pubblico/ spazio privato è l’argomento del primo saggio, a opera di Edoardo Zaccagnini. Una commistione che porta a divenire emblema di una generazione e non solo. Nella sua intimità, racconta sensazioni, epoche e sentimenti in cui noi tutti siamo passati. Nel raccontare se stesso ci fa esclamare “quella cosa lì la penso, la vivo, l’ho interpretata anch’io così”. O almeno, avrei voluto. “Allergico al cinema sociologico” scrive Zaccagnini, “ad un cinema di chiara trama, senza mai la pretesa, né la voglia, di essere il portavoce di una generazione, anche se l’ha descritta di più e meglio di altri suoi colleghi, Moretti ha costruito, raccontando più che altro esperienze personali, un personaggio disteso su tanti capitoli di uno stesso romanzo, nel quale si sono identificati, per sorpresa dello stesso cineasta, non solo spettatori distanti dall’artista per estrazione sociale e appartenenza culturale e politica, ma anche osservato-

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ri figli di generazioni posteriori alla sua”. O, per dirla più brevemente con le parole della penna geniale di Eugenio Scalfari, “I suoi film raccontano il suo sé ed anche il sé altrui”. E lo fanno in un modo del tutto peculiare, in cui la realtà cede spesso il passo al surrealismo di dialoghi (o monologhi, spesso i più riusciti), di silenzi, di inquadrature insistite su dettagli, di intermezzi stravaganti, eppure carichi di significato (uno su tutti: il robivecchi che pedala a Ostia gridando «Ecce Bombo!» (nell’omonimo film), mentre il gruppo di amici lo osserva immobile, mentre aspetta l’alba per osservare il sorgere del sole, che spunta tuttavia alle loro spalle). In questo scenario si muove attraverso i film e attraverso gli anni prima l’alter ego di Nanni Moretti, Michele Apicella, poi Nanni Moretti stesso. Grande spazio è dedicato all’uso che il regista fa del suono. Le musiche, ma non solo. Larga parte del cinema di Moretti è dominata dall’intervento della voce fuori campo del narratore, specialmente nei iflm più intimistici come “Caro Diario” e “Aprile”. E i dialoghi si fanno spesso colonna portante dell’intero film. Scrive Erica Zani: “La voce è certamente l’elemento sonoro predominante nella filmografia morettiana; tuttavia, in quanto parola parlata e quindi strumento di comunicazione umana, viene messa costantemente in discussione attraverso diversi meccanismi dalla presenza ipertrofica, all’impedimento dell’intelligibilità, all’oscuramento di rilevazioni invece attese”. Ma è un cinema che sa farsi anche di silenzio. L’assenza nella Stanza del figlio, l’incertezza, il tirarsi indietro di “Habemus Papam”, o ancora in “Bianca”, o in “Ecce Bombo” dove si contrappone al “parliamo, dobbia-


CINEMA

mo parlare” degli altri un silenzio interrotto da scariche di monologhi (celebre quello al telefono “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate “Michele vieni di là con noi, dai” ed io “andate, andate, vi raggiungo dopo”. Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo”). Perchè le parole, per Nanni Moretti, sono importanti. Anche quando fluiscono disordinatamente, quando diventano aggressione verbale, urla, versi di animali (i dialoghi surreali con i bambini di Salina), sono sempre scelte e calibrate. “- No... io non lo so, però senz’altro lei ha un matrimonio alle spalle a pezzi... - Ma che dice?! - Scusi forse ho toccato un argomento... - Non è l’argomento, è l’espressione!... “Matrimonio a pezzi”... - Preferisce “rapporto in crisi”? Però è così kitsch!... - [si tocca il cuore] Dove l’è andata a prendere quest’espressione, dove l’è andata a prendere?!... - Io non sono alle prime armi... - “Alle prime armi”?! Ma come parla?! - Anche se il mio ambiente è molto cheap... - Il suo ambiente è molto ... ? - CHEAP! - [sberla] Ma come parla?! - Senta ma lei è fuori di testa!! - [sberla] E due! Come parla?! Come parla?! Le parole sono importanti! Come parla?!”

Nei capitoli/saggi successivi si passa poi ad analizzare i capitoli più importanti della filmografia morettiana. Il tema religioso che dopo “La Messa è finita” torna a distanza di decenni in “Habemus Papam”. L’autarchia di Aprile e Caro Diario, la follia di “Bianca”, la tragedia familiare della “Stanza del figlio”. C’è spazio anche per parlare di Moretti produttore e promotore di altro cinema che non sia il suo. Con la Sacher Film e il Cinema Nuovo Sacher, omaggio alla torta-ossessione del protagonista di Bianca (“Cioè lei non ha mai assaggiato la Sacher Torte?! Va be’ continuiamo così, facciamoci del male!”) e strumento attraverso il quale appoggiare e dare vita alla propria idea di cinema. Anche attraverso un premio che, come tutto quello che esce dalla mente di Moretti, rimane ironico e stravagante. Come racconta Rita Celi nel suo saggio, “l’egocentrismo e la rabbia del nostro autore hanno un picco nell’estate dell’89 quando nasce il Premio Sacher, attribuito da una giuria composta unicamente da Moretti e Barbagallo”. «Da oggi 25 luglio 1989 le Sacher d’Oro sono il premio più ambito e prestigioso del cinema italiano» recita, tra il serio e il faceto, l’articolo 1 del regolamento, per proseguire all’articolo 3 con «non saranno mai premiati i registi cretinetti che non piacciono a Moretti». Le Sacher d’Oro vengono consegnate al termine di ogni “anno scolastico”, ma in base all’insindacabile parere dei due giurati non sempre ci sono dei promossi». Flaminia Festuccia

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RECENSIONE

I BAMBINI DI PADRE DOMENICO

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i sono luoghi che non fanno notizia perchè la sofferenza è talmente quotidiana da non suscitare più sorpresa. Tra questi, il Congo di Padre Domenico, un missionario che questi luoghi di confine li vive ogni giorno. Luoghi apparentemente dimenticati, che però sono al centro di interessi economici internazionali. Luoghi dove manca il cibo, ma le armi sono a disposizione di tutti. Censa Cucco decide di raccontarci l’esperienza di Padre Do-

menico e della sua vocazione. Un francescano che “racconta tutto con molta pacatezza, cercando umilmente l’amore tra tanti orrori, si potrebbe quasi dire che guarda tutto e tutti con gli occhi di Dio”. Il cammino francescano emerge fin dal subito dalle parole di questo frate, che da sempre ha inteso la fede come uno stare accanto ai piccoli e agli umili, aiutandoli materialmente “non con l’atteggiamento caritatevole di chi dona, ma di chi condivide e quindi con l’accoglienza”, racconta TERZA PAGINA  marzo 2012

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RECENSIONE lui. Parole che in un momento di tanta polemica nei confronti dei beni terreni della Chiesa, aiutano a recuperare una dimensione più autentica del messaggio religioso. Un messaggio che arriva anche ai non credenti, come chi scrive. L’esperienza di Padre Domenico, che fluisce in una lunga intervista, inizia ad Artena, in Italia, lavorando con i profughi etiopi, eritrei e somali, molti di religione musulmana. Una fase del suo “lavoro” che ricorda con parole di grande tenerezza “La nostra accoglienza era del tipo: venite, siamo contenti che venite a casa nostra che è anche casa vostra. Gradualmente hanno cominciato ad imparare le nostre abitudini, a capire un po’ il nostro mondo”, racconta Padre Domenico. Un’esperienza di fatica e lavoro, che è solo una preparazione vaga a quello che lo aspetta in Congo. Un altro mondo. A partire da Brazzaville, dove lo investe un clima impossibile (arriva infatti a febbraio, nel pieno della stagione afosa e umida), per arrivare dopo due giorni di viaggio avventuroso nel villaggio di Makoua. La situazione che trova è lontana in modo incredibile dalla nostra immaginazione. Niente acqua, niente luce, si vive di quello che fornisce la terra, ci si lava ogni sera tutti insieme al fiume distante alcuni chilometri dalle capanne. E condizioni di vita che, anche solo raccontate con tutta la semplicità con cui lo fa Padre Domenico, toccano nel profondo. “Noi frati a mezzogiorno mangiavamo qualcosa, come eravamo abituati in Italia. C’erano tanti bambini bellissimi, curiosi di vedere persone nuove, e stavano sempre con noi. Arrivati al momento del pranzo ci siamo detti: questi bambini adesso devono mangiare, e li abbiamo mandati a casa dicendo che era l’ora di pranzo. (…) In breve ci siamo resi conto che l’ora di pranzo era un’esperienza che facevamo solo noi, loro non mangiavano da nessuna parte”. E proprio da questa constatazione semplice e sconvolgente al tempo stesso parte il progetto di un centro diurno per i bambini, gli aiuti della Caritas per sfamarli, le adozioni a distanza per comprare cibo e soprattutto medicine, bene fondamentale quanto scarso. Attraverso le sue parole si vede la piccola missione crescere giorno dopo giorno, anno

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dopo anno. La conquista di rimettere in uso vecchie presse per fare i mattoni. Le case che iniziano a sorgere. Un piccolo commercio che si avvia. Le macchine da cucire date alle donne del villaggio: “Si stimolava una mentalità diversa, uscivano fuori da quella non speranza, la gente gradualmente ha cominciato a capire che si poteva vivere diversamente, che si poteva almeno tentare”. Accanto alla testimonianza di Padre Domenico, Censa Cucco raccoglie quella di Suor Emerenziana, una donna piccola e tenace che ha affrontato prove che lei stessa non credeva possibile superare. “Vivere e non solo sopravvivere” in una tale situazione è per lei una sorpresa autentica, e i suoi racconti hanno un candore incredibile, di chi è arrivato dov’è con il puro sostegno di una fede incrollabile. Ma quello che tocca ancora di più, forse, è il racconto dell’arrivo di profughi della guerra civile in Ruanda nella piccola missione: “La gioiosa condivisione di quel niente che avevano, è stato un miracolo. Vedendo questo viene voglia di continuare a credere davvero nell’essere umano, e per me il più piccolo segno di vera umanità, i piccoli semi di rinascita sono la sola realtà che mi porto dentro. Il grande cuore generoso degli africani che hanno avuto una seppur piccola possibilità”. Ma la fiducia nell’umanità, per chi non ha vissuto sulla propria pelle queste vicende, torna anche, semplicemente, attraverso le parole di questi missionari, il loro voto di povertà, la loro gioia nel dare, nel condividere, nel costruire. F.F.

Il Gruppo Ismaele sostiene i progetti dei frati francescani in Congo soprattutto i bambini poveri e abbandonati. L’eventuale ricavato della vendita di questo libro sarà intera- mente devoluto all’associazione: GRUPPO ISMAELE ONLUS Via Colle San Giudico, 68 00038 Valmontone (Roma) Per eventuali contatti chiamare 06 9516875 C. F. 95021470588 Per eventuali donazioni C\C postale n. 44322865 (detraibili fiscalmente) Causale: Adozione Congo Brazzaville


RECENSIONE

RACCONTAMI DI TE, UN AMORE INFINITO

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a storia d’amore di Max e Aurora inizia dalla fine. Dalle parole di lei, che decide di raccontarsi in prima persona, anni dopo, affidando le sue parole a una penna amica. Il racconto che fluisce è quello di un amore di giovinezza, tanto reale per chi legge perché chiunque ne porta addosso le cicatrici. L’eco di un “come eravamo” che richiama le parole dei poeti, dei cantanti. Un Guccini che intona (e non a caso, di Emilia si parla anche nel libro, pur se di sfuggita) “sorridevi, sapevi sorridere, coi tuoi vent’anni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans”, mentre Aurora ricorda. “Eravamo giovani, di una giovinezza sfacciata ed innocente, un po’ goffi dentro i nostri jeans a zampa d’elefante ed i camperos color cuoio”. Il verso della canzone dell’eterno ricordo di un primo amore. Un amore che unisce in modo totalizzante come forse solo certi amori sanno fare, soprattutto quando evocati nel ricordo. Gli amori dei diciott’anni richiamano sempre il mito delle metà di Platone. Due corpi che erano un corpo

unico, divisi all’origine, e che ora si cercano con una prepotenza mai sperimentata per tornare di nuovo a fondersi. Un amore che si riaffaccia un giorno, per caso. Senza farsi annunciare. Un incontro, di nuovo, in quel vecchio bar di paese. Un incontro come ce ne sono stati altri che non hanno mai scalfito la serenità di Aurora. I suoi mille impegni. Il lavoro. Le amicizie. Il figlio amato di una tenerezza quasi dolorosa. Ma trent’anni dopo quell’esperienza unica e totalizzante, nella vita manca qualcosa. “Nella stanza di quella insufficienza, dormiva pigro uno sperone pronto a pungere la carne. Vivevo dentro ad una sottrazione e la spingevo in basso (…) Stavo ben attenta a non darle un titolo perché se lo avessi fatto non avrei più potuto ignorarlo”. In quella vita manca l’amore. Dopo l’incontro casuale, dopo i ricordi riaffiorati con prepotenza, Aurora e Max iniziano a raccontarsi a vicenda. Vite lunghe e intense, segnate da più di una ferita, da certi segreti che poi spiegano perché gli eventi TERZA PAGINA  marzo 2012

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RECENSIONE

hanno preso una certa piega. Aurora vacilla tra la memoria di un amore straordinario e l’analisi distaccata del suo lavoro di psicologa. Mette i suoi studi, le sue conoscenze, le sue interpretazioni, fra sé e le parole di Max. le parole che lui le invia tramite email con crescente regolarità. Le parole vive che si scambiano in quello che è ormai un appuntamento settimanale, faccia a faccia, un caffè e un fluire di chiacchiere e racconti. Sotto, scorre la musica. Onnipresente, in ogni fase. Nell’infanzia di un bambino costretto al buio da una malattia strana e lunga. Nella maturità di una donna che la usa come anestetico, come mantra, come evasione. Nella storia d’amore dei due ragazzi fatta di concerti e di chitarre, di canzoni e sala prove. E nell’avventura di un uomo che nella musica cerca la fuga dalla desolazione, e non la trova, finendo per cercarla altrove, e ancora altrove. Due vite iniziate insieme nel segno di un trauma, che prendono direzioni divergenti, agli antipodi: da un lato la tranquillità delle emozioni studiate e imbrigliate, dall’altra il vivere tutto, la dissoluzione, l’adrenalina ad ogni costo. Nel bene e nel male. L’amore, soprattutto. “La saliva mi sei era asciugata in

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bocca, mi sembrava insopportabile da sostenere tutto quell’amore” racconta Aurora ricordando i racconti di Max, la sua vita in quei trent’anni che li hanno visti separati dopo il violento turbine da ragazzi che hanno condiviso. È una storia che racconta di vite, ma parla alla fine solo d’amore. Senza banalità costruite, con tutto il sapore della realtà. Più impossibile dell’immaginazione, più dura della vita vera. Le parole di Aurora che Antonella Zecchi ci restituisce sono piene di una fede incrollabile nel motore che fa andare avanti le esistenze. Amore, amore e ancora amore. Insistito, ripetuto, cercato e sfuggito. Che resiste alle intemperie dell’età. E, anche alla fine, tiene viva la freschezza dell’incontro dei due ragazzi. Da dove tutto è partito, dove tutto ha un termine. “Epifania di speranze e di promesse. La vita si apriva a noi spalancando le sue porte. Era sempre Natale e sotto l’albero i pacchetti da scartare sembrava non dovessero mai finire. Come tutti i giovani ci sentivamo padroni dell’universo. Invincibili, immortali e straordinari. Potenti e fragili come canne di bambù”. F.F


INTERVISTA

Intervista a Maria Cecchini

UNA STORIA NELLA STORIA

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o intervistato Maria Cecchini autrice di “Una storia nella storia”, edito da poco da Sovera. Si tratta di un romanzo breve e intenso, che intreccia vicende individuali e di quartiere alla storia nazionale, abbracciando circa un decennio, dalla vigilia della seconda guerra mondiale agli anni del dopoguerra, a Roma. La signora Maria Cecchini, coadiuvata dall’altra autrice Barbara Camurani, che ha curato il volume, risponde volentieri alle domande.

“Una storia nella storia” è innanzitutto storia d’amore, nella migliore tradizione del romanzo. Prima di parlare dei protagonisti, parliamo dell’amore per Roma e Trastevere dell’autrice. Roma è la mia città natale, dove ho vissuto con la mia famiglia, prima nel quartiere Trastevere fino a 5 anni, poi nel quartiere Regola, vicino al ghetto ebraico ed infine, dopo il mio matrimonio, nel quartiere Portuense, adiacente Trastevere. Nascere e vivere a Roma significa avere in ogni istante l’opportunità di godere della bellezza dei suoi splendidi monumenti ed edifici traspiranti la storia e la civiltà da cui derivano, nell’atmosfera dei tramonti mozzafiato e delle passeggiate nei vicoli del centro storico o nei parchi verdeggianti del Gianicolo, Villa Borghese e tanti altri. Città vissuta senza sosta dai suoi abitanti, i “famigerati romani”, tanto discussi e chiacchierati ma nel mio cuore ricordo indelebile di gente genuina, laboriosa e sempre pronta ad aiutare i bisognosi, dotata di una innata simpatia e passionalità. Forse la vera bellezza ed unicità di questa città è che Roma ed il suo popolo si rispecchiano una nell’altro, come la madre con la sua creatu-

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ra. Ed io che mi sento una sua creatura, non posso fare a meno di amarla. Lo sfondo della vicenda è uno dei periodi più drammatici, anzi terribili, per il nostro paese, a causa dell’effetto della guerra e del dopoguerra . Si parla della deportazione degli Ebrei del Ghetto e delle Fosse Ardeatine. Serve rievocare per le attuali generazioni? Assolutamente si! Gli errori del passato non devono essere dimenticati per evitare che si ripetano. In particolare le nuove generazioni, cresciute lontano dalla devastazione delle guerre e della discriminazione di massa, hanno il diritto e dovere di conoscere dalle testimonianze di chi, come me, ha vissuto in prima persona eventi storici così drammatici, le ripercussioni che ne derivano a livello umano, sociale e politico. Mi riferisco in particolare alla memoria delle innumerevoli vite stroncate o irrimediabilmente lese, ai sopravvissuti, agli eroi. Anche questa è storia, la nostra storia, quella fuori dalle alte sfere e dai libri di testo. Rievocare tutto ciò ha lo scopo di infondere nelle coscienze delle generazioni attuali la consapevolezza delle sofferenze patite nel passato e l’affermazione del concetto di solidarietà ed uguaglianza tra l’umanità. Norina, Marcella, Luana e altre, da una parte; Giorgio, Nicola dall’altra. Uno scorcio della gioventù di un tempo che aveva nei sentimenti e nella famiglia il fulcro dei propri interessi. Che pensa dei ragazzi di oggi? Senza voler generalizzare, penso che il divario tra le due generazioni sia abissale. I nostri ragazzi, figli del benes-


INTERVISTA

sere e di una società basata sui media, sull’apparire piuttosto che sull’essere, materialista fino all’inverosimile, ricalcano modelli precostituiti che non hanno nulla di formativo e di culturale ma si basano sull’esasperazione di necessità materiali o ancor peggio futili. Parlo dei giovani attaccati da mattina a sera ad un cellulare che non sono più in grado, o mai stati in grado, di mettere due parole in fila o scrivere un semplice biglietto, griffati dalla testa ai piedi ma ignari di chi sia il presidente della Repubblica Italiana. Ottengono facilmente dalle famiglie l’assenso ad ogni loro capriccio, oltre quello però quasi più nulla. A farne le spese di tutto questo sono gli stessi giovani di oggi, che impoveriti sempre di più di valori umani , completamente disorientati, vivono delle tragedie interiori forse ancor più gravi di quelle di Norina e degli altri giovani personaggi del libro, che se pur sotto la nera nube di una guerra mondiale imminente, possedevano un animo palpitante di sentimenti di amicizia, amore ed un forte senso di aggregazione familiare. Spesso mi domando se un tuffo nel passato potrebbe in parte restituirci

quel tipo di gioventù che oggi in gran parte è raffigurata solo nel nostro immaginario collettivo: fresca, propositiva, vitale, praticamente la rappresentazione di un futuro migliore. L’amore di Giulia e Giorgio sfocia nel tragico. Amor vincit omnia? Forse. Di sicuro con un prezzo salato. Il legame tra i due personaggi rispecchia in qualche modo l’eterno conflitto tra ragione e sentimento, anche se mosso da motivazioni e con caratteristiche completamente diverse per ciascuno dei due. Un rapporto del genere, insolito quanto scottante, difficilmente epiloga in un lieto fine. Diciamo che se dovessimo ribaltare la situazione nell’epoca attuale in cui si tende, a torto o a ragione, a legittimare circostanze un tempo improponibili, il prezzo di questo amore potrebbe beneficiare di uno sconto.....! Fermo restando che concettualmente sposo il detto Amor vincit omnia. Salvatore Merra TERZA PAGINA  marzo 2012

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RECENSIONE

VITA, MORTE, MIRACOLI DI UN UOMO QUALUNQUE di Matteo Deraco

Mollo Chiara, perdo il lavoro e mi ritrovo da capo a dodici a combattere contro la precarietà mentale che caratterizza certe vite di oggi. Né passato, né futuro, i padri del non domani. Parto e torno a fare il capocontatto al Torre Oliva, passo una delle estati più belle della mia vita e conosco qualche persona che non sta lì a giudicare il perché o il percome la mia sociopatia sia pane quotidiano. Non c’è verso di starsene buoni, perché c’è sempre qualcuno che ti sbarra la strada e la felicità scappa via”. Questo frammento sintonizzerà immediatamente il lettore sulla vicenda del protagonista, grazie anche alla

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vivezza e crudezza di stile, che richiama un Bukowski in salsa attuale. I temi sono quelli scottanti che travagliano le esistenze delle ultime generazioni: precarietà, instabilità sociale ed economica, con l’unica certezza che il futuro avrà più incertezze del presente. Appena mi è capitato di visionare questo romanzo di Matteo Deraco, ho colto il possibile impatto del linguaggio, privo di pregiudizi, su una platea di giovani, ma non solo, per i quali comunicare non ha confini di spazio e di matrice socio-culturale. S.M.


ECONOMIA E SOCIETÀ

SHOPPING COMPULSIVO Di ROSANNA MANSUETO E CRISTIANO ZAMPRIOLI

È un libretto quanto mai prezioso per la permanente attualità del tema, che oggi assume ancor più rilievo per le implicazioni sul costume e le abitudini dei singoli. È noto quanto la società odierna venga tempestata da messaggi pubblicitari. In particolare, nell’ambito della moda, del benessere personale, dell’informatica, dell’acquisto di oggetti sempre più tecnologici, tra cui primeggiano gli autoveicoli. A vario livello sono mobilitati tutti i media disponibili. Anzi, ormai la fonte prevalente di sopravvivenza di un media è la pubblicità. Il libro si suddivide in otto capitoli di agevole lettura. Nel primo viene svolta un’analisi dei condizionamenti creati a livello sociale, con particolare rilievo agli studiosi e agli indirizzi prevalenti, da Comte ai tempi attuali. Nel secondo capitolo si affronta il problema della dipendenza dalla pubblicità, che crea forti condizionamenti. Non soddisfare l’appetito per quanto concerne l’oggetto pubblicizzato provoca carenza, vissuto di frustrazione, fino allo scompenso psichico. Nel terzo capitolo si esaminano quelle che possono definirsi differenze di genere rispetto allo shopping. Senza schematismi eccessivi, gli studi indicano che per lo shopper maschio l’acquisizione di beni significa affermare il potere e il prestigio personale. Per la donna, lo shopping è finalizzato a rendersi più desiderabile. Nei capitoli quarto e quinto, gli autori evidenziano alcuni aspetti della quantità e qualità degli acquisti dello shopper compulsivo, spinto da “falsi bisogni”. Una particolare situazione è quella definita “lo shopping triste della domenica”, dove il giorno dedicato agli affetti familiari e al riequilibrio fisico e spirituale viene stravolto in una corsa agli acquisti, che male compensa il vuoto di valori. Nel sesto capitolo gli autori forniscono alcuni consigli per non trasformare un piacere in una dipendenza. Nel settimo capitolo un lieve divertissement con citazioni di film, come il celebre Colazione da Tiffany, e di battute non meno note sul tema dello shopping. L’ottavo capitolo chiude con sei brevi storie esemplari, tratte dal lavoro di consultazione professionale degli autori. Sono vicende di uomini e donne, di varia età, in diversi contesti ambientali. Come si vede, un lavoro che, senza la pretesa del saggio, si rivelerà un buon riferimento per tutti, senza esclusione. Salvatore Merra

consumi ritenuti irrinunciabili, seguendo le spese per l’alimentazione e per la salute. Le motivazioni non sono difficili da capire. I cosmetici ci aiutano a sentirci “a posto”, assecondano il bisogno di prendersi cura di se stessi che è anche un modo di reagire positivamente a un periodo negativo. Grazie

alla grandissima offerta sul mercato esistono prodotti per tutte le tasche, accessibili anche con un budget ridotto. E non sottovalutiamo il potere consolatorio dell’acquisto. Uno smalto di marca con meno di 10 euro ci permette di portare a casa un piccolo lusso. E “indossarlo” dà un tocco di freschezza e novità anche con TERZA PAGINA  marzo 2012

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Domenica 13 maggio - ore 19,00 - Sala Avorio

Amori clandestini Presentazione del libro di Italo Ghirigato curata da Botteghe Editoriali Sovera Edizioni

Con la partecipazione del direttore editoriale Salvatore Merra

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prossimamente in libreria

pp. 224

e 19,00


Sabato 12 maggio - ore 19,00 - Sala Avorio

Un mostro chiamato Girolimoni Presentazione del libro di Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani a cura di Sovera Edizioni

Con gli autori interviene Angelo ZappalĂ

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pp. 280

e 19,00


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pp. 96

e 6,90

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NOVITÀ

LEGGETE CON NOI

John C. Norcross QUANDO LA RELAZIONE PSICOTERAPEUTICA FUNZIONA... Ricerche scientifiche a prova di evidenza

John C. Norcross QUANDO LA RELAZIONE PSICOTERAPEUTICA FUNZIONA... Efficacia ed efficienza dei trattamenti personalizzati

pp. 368, € 33,00 ISBN 88 6652 033 7

pp.240, € 26,00 ISBN 88 6652 034 4

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l testo propone la più ampia ricerca scientifica effettuata negli ultimi dieci anni sull’evoluzione della relazione psicoterapeutica, successiva a quella sui trattamenti empiricamente supportati, relativa ai processi di cambiamento basati su prove di evidenza. Ricercatori e clinici di diversi orientamenti teorici hanno contribuito a distillare l’essenza degli elementi generali che funzionano per il miglioramento degli esiti, oltre al necessario coinvolgimento reciproco tra psicoterapeuta e paziente.

rofessore di Psicologia presso l’Università di Scranton USA. Svolge privatamente attività consulenziale e ha presentato le sue recenti ricerche scientifiche in numerosi circuiti accademici internazionali insieme a M.J. Lambert e B.E. Wampold. È autore di 16 testi tra i quali “History of Psychotherapy”, “Handbook of Psychotherapy Integration” e di numerosissime pubblicazioni in ambito clinico. Ha ricevuto nel 2005 dall’A.P.A. il premio alla carriera professionale per i suoi contributi alla formazione in psicoterapia. Inoltre nel 2011 la SIPSIC - Società Italiana di Psicoterapia - gli ha conferito una targa di riconoscimento per il suo rilevante apporto alla ricerca scientifica applicata.

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Fiocca Marilisa EduCarezze Genitori e figli pp. 96, € 9,00 ISBN 88 6652 041 2

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l volumetto tratta il tema dell’educazione dei figli attraverso il linguaggio delle carezze. Carezze fisiche e psicologiche essenziali per accompagnare la piccola vita del bambino nel percorso della crescita, aiutandolo a sviluppare una personalità sana, sicura e socialmente competente. La prima fase di crescita privilegia la fisicità del rapporto nella diade madre-bambino. Un’educazione ottimale deve utilizzare il doppio canale di un’educazione corporea di gestualità e carezze oltre che di le parole che confermino il messaggio affettivo. La cultura attuale recupera e valorizza in tal senso il ruolo del padre superando l’esistente tabù.

Tagore Rabindranath GITANJALI pp. 80, € 6,90 ISBN 88 6652 031 3

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accolta di liriche in cui si fondano mirabilmente lo slancio mistico e la religiosità millenaria della cultura indiana con i valori universali della solidarietà verso i propri simili e del rispetto della natura circostante. L’amante canta la dedizione sconfinata verso il proprio re e Signore sforando i vertici dell’estasi con un linguaggio immaginifico, colmo di languida sensualità e di trepida attesa. I versi raggiungono una raffinatezza e perfezione formale che hanno valso il Nobel a uno dei più celebrati poeti del Novecento.


NOVITÀ

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Edoardo Giusti Elide Bianchi EVOLVERE RIMANENDO INSIEME pp. 416, vol. + DVD, € 39,00 ISBN 88 8124 980 0

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terni per sempre! Non smettere di amare è il sogno romantico e l’obiettivo comune di ogni coppia. Dedizione e impegno reciproco creano la persona giusta da amare. Una ricerca approfondita sul funzionamento dei rapporti duraturi evidenziache si ‘impara’ a stare insieme. La tolleranza, l’abilità di negoziazione, il mantenimento della propria individualità aiutano ad unire con passione due mondi diversi.

Franca Foffo IL DOLCE DELLA VITA pp. 224, € 19,00 ISBN 88 6652 022 1

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olci che fanno pensare all'amore, accendono passioni sopite e scatenano imprevedibili eventi del cuore. Profumi, sapori, atmosfere: è il magico mondo di Franca, la blondie girl figlia dei favolosi anni 80 con radici ben salde nella tradizione gastronomica e mondana della Dolce vita romana, la donna che piace perché è sontuosa ma insieme "naturale", spontanea, artistica. Amori che vanno e vengono (i suoi) confusi gioiosamente ai viaggi, ai cibi, allo shopping sontuoso e alle ricette "sentimentali". Sì, perché Franca Foffo è un'autrice che ama la ricercatezza, eppure, al di là dell'immagine di donna patinata e bellissima, resta l'eterna ragazza che sogna e si interroga sui mille perché della vita. Destino, libero arbitrio? Chissà, forse nell'esistenza non c'è mai un perché a tutto ciò che accade. E per vivere bene basta nutrirsi di quei dolci, quelle ricette, quei profumi che ci riportano alla dolcezza della tradizione...

Marta Cortese LA FINE DI TUTTO Lotta spietata a un nemico spietato pp. 176, € 16,00 ISBN 88 6652 037 5

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nna, la protagonista, con la sua tenacia vuole essere di esempio per le nuove generazioni, in questo caso i figli, che invece si arrendono di fronte alle prime difficoltà, incolpando la madre. Anna aveva dedicato insieme al marito tutta una vita all’attività e quando dopo trent’anni la ditta fallisce e con essa si sgretolerà anche la sua famiglia. Anna impiegherà dieci lunghissimi anni a cercare di ricostruire un futuro per sé e per i suoi figli, ma ogni sforzo verrà sempre vanificato da nuove situazioni. Ha tutti contro ma lei non si arrenderà mai, fino alla morte.

Antonella Zecchi RACCONTAMI DI TE pp. 176, € 15,00 ISBN 88 6652 020 7

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urora e Max si incontrano di nuovo dopo trent’anni e si ritrovano ancora spinti da un’antica forza invisibile l’uno nelle braccia dell’altro dando vita a un inaspettato e commovente epilogo. ‘Guardo Max e lo trovo bello come allora, forse di più, di una bellezza amplificata dall’esperienza, dagli anni. Mi sono sempre chiesta come gli uomini non vedano tale maggiorazione nei solchi e nelle rughe delle donne’. Una voce narrante ci conduce all’interno di una storia d’amore avvincente che ingloba altre profonde e tragiche storie d’amori violati e perduti. L’Autrice raccoglie una vicenda realmente vissuta e la trasforma in momenti di delicata poesia, tratteggiando personaggi comuni e straordinari che sfiorano la vita di ciascuno di noi.

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NOVITÀ

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Matteo Deraco VITA, MORTE, MIRACOLI DI UN UOMO QUALUNQUE pp. 80, € 9,00 ISBN 88 6652 036 8

Mollo Chiara, perdo il lavoro e mi ritrovo da capo a dodici a combattere contro la precarietà mentale che caratterizza certe vite di oggi. Ne passato ne futuro, i padri del non domani. Parto e torno a fare il capocontatto al Torre Oliva, passo una delle estati più belle della mia vita e conosco qualche persona che non sta li a giudicare il perchè o il percome la mia sociopatia sia pane quotidiano. Non c'è verso di starsene buoni, perchè c'è sempre qualcuno che ti sbarra la strada e la felicità scappa via”. Dalle parole del giovane protagonista il lettore coglie i drammi e le conflittualità che caratterizzano le generazioni di oggi , attraverso un linguaggio privo di pregiudizi.

Censa Cucco PADRE DOMENICO E LA SUA AFRICA

Simone Isola DIARIO DI UN AUTARCHICO

Fabiana Proietti Sergio Sozzo TELEVISIONARITÀ

pp. 112, € 12,50 ISBN 88 6652 017 7

pp. 160, € 14,00 ISBN 88 8124 973 2

pp. 160, € 14,00 ISBN 88 6652 039 9

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rotagonista è un padre francescano che spiega in questo saggio il senso della sua vocazione missionaria svolta soprattutto in Africa. Molto ispirato dalla vita di San Francesco cerca di recuperarne il senso della profonda libertà interiore, pacificato con sé e con gli altri in una completa indipendenza dall’egoismo e da ogni forma di possesso terreno.

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erfezionista, umorale, ironico, narciso, impegnato, goloso, geniale, autarchico. Amato e odiato, Nanni Moretti è una figura-simbolo del nostro cinema. I tic, le passioni, gli aneddoti ne hanno fatto un’icona generazionale in continua trasformazione, passando dal postsessantotto al ribellismo degli anni ’70, dall’epoca del riflusso alla stagione dei girotondi. Un percorso che arriva fino ad ‘Habemus papam’ l’ultimo film che conferma Moretti come uno dei più lucidi osservatori della società italiana.

alti ed ellissi temporali, eroi negativi e villain sentimentali, generi ibridi: la serialità americana celebra la “nuova carne”, ridefinendo limiti e confini narrativi ed estetici. Conquistando dimensioni talmente ampie e sfuggenti alle classificazioni da richiedere parametri alternativi ai topos classici e alle nozioni di genere. Allora per tentare di dare un senso al movimento compiuto da questa nuova tv meglio adottare un’ottica trasversale contestualizzando i prodotti in base alla novità che apportano in un panorama così vasto e stratificato, meta-riflessivo, che attrae a sé, come vedremo nella sezione dedicata ai “demiurghi”, anche le personalità più importanti del cinema contemporaneo.


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L’Europa in tasca

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