Sulle tracce di Psyché

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Sulle tracce di Psychè

di Annamaria Zesi

Alcune mostre e nuove pubblicazioni ripropongono il mito antico che racconta la storia d’amore fra una fanciulla e il dio Eros. Ma offrendone una lettura platonica e religiosa. Che nega l’identità femminile

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22 febbraio 2014

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a alcuni anni la cultura italiana ha riscoperto un crescente interesse per il tema di Amore e Psiche. Una serie di iniziative editoriali e alcune grandi mostre ne hanno riproposto recentemente le vicende e l’immagine. Nel 2012 alla importante mostra romana di Castel Sant’Angelo ha fatto seguito l’esposizione a Milano di due tra le più famose rappresentazioni del mito: un gruppo scultoreo del Canova e il dipinto di François Gerard. Un’altra mostra sul tema, partita da Torino nel marzo del 2013, si è spostata poi a Palazzo Te a Mantova e ora nella Reggia di Monza. Il titolo di quest’ultima mostra e del ponderoso volume che l’accompagna, Amore e Psiche, La favola dell’anima, ci offre lo spunto per alcune riflessioni. Non entriamo in quest’occasione nel merito della mostra né del volume, notiamo però come quel titolo sia una marcatura forte impressa nella

favola antica, e come la comunicazione corrispondente vada nella direzione di una lettura allegorica di stampo platonico/cristiano. Lettura che, dalla tarda antichità ad oggi, viene periodicamente riproposta con inossidabile pertinacia. Non a caso il volume e la mostra si aprono con una lunga citazione dell’infaticabile cardinal Ravasi. Amore e Psiche, la favola dell’anima. Nel connubio con l’anima la bella fabella perde l’incanto dell’antichissima fiaba di magia forse “sospinta dal vento del Sahara” fino ad Apuleio. La notte carica di attese, che proteggeva i segreti degli amanti, diventa il buio cupo dell’oltretomba e il chiarore della lucerna, la luce terrea di un oltremondo improbabile. Il valore di “anima”, d’altro canto, riduce al silenzio la polifonia semantica che la parola e le immagini di psychè esprimevano nell’età greca arcaica e fino a tutto il periodo ellenisti-

In Omero il termine ha il significato di “vita” solo dopo assunse quello di “anima” co. La parola greca psychè fa la sua comparsa nei primi versi della poesia occidentale. In quell’incipit famoso, ove si narra «l’ira funesta d’Achille Pelide», il poeta dell’Iliade per dire vita dice psychè. Al suo esordio quindi il termine ha valore inequivocabile di “vita”. Ed è interessante notare come, diversamente dal racconto biblico in cui il signore dio soffia la vita nelle narici dell’uomo, nessuno dei molti dei omerici abbia a cuore questo compito. I significati originari di psychè come energia vitale/vita e contemporaneamente farfalla sono noti, ma giova forse ripeterli a causa delle molte alterazioni che la parola e l’immagine di Psiche hanno subìto nei secoli. Seguiamo per un tratto il suo percorso nell’Iliade: scorrono le vicende degli eroi e, quasi alla fine del poema, sorprendentemente psychè assume un valore assai diverso. Achille si addormenta stremato sulla riva del mare: «Ed ecco gli venne in sogno l’ombra (psychè) del misero Patroclo/ in tutto uguale a lui nella figura, negli occhi bellissimi, nella voce». È un’acrobazia semantica studiata da decenni ma tuttora non compresa, quella attraverso cui il poeta dell’Iliade

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August Rodin. Amore e psiche (1885)

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luogo a interpretazioni che mettono in gioco l’anima immortale che, come la farfalla si libera dal bozzolo, vola via dal corpo del defunto in cui era incarcerata mentre il tapino viveva. E in certa iconografia, in effetti, va a rappresentare quest’idea. Ma nelle immagini più primitive, la psychè/farfalla sembra al contrario coinvolta proprio in virtù del suo meraviglioso ciclo vitale; sembra alludere al formarsi della vita ed alla nascita allorché, dal bozzolo dorato, la crisalide spicca il volo mutata in farfalla. Alcune magnifiche scene rappresentate in anelli-sigillo provenienti da Creta e databili a metà del II millennio a.C, vanno in tale direzione; farfalle ad ali spiegate sono associate a sinuose figure di donne, forse divinità della natura o loro sacerdotesse, impegnate in riti propiziatori: «È probabile che la presenza delle farfalle…, la cui valenza di trasformazione è ulteriormente sottolineata dalla crisalide si ricolleghi alla capacità di rigenerazione della dea» (Baldacci, Farfalle nell’Egeo).

La prima immagine degli amanti in uno Scarabeo etrusco trasforma la psychè/vita, attiva nell’uomo ma invisibile, in una psychè di natura incerta, assai simile a un’immagine. Appare al sognatore come fosse reale, ma è fatta della stessa materia dei sogni e come un sogno scompare al risveglio. Il poeta gira intorno al mistero dell’immagine onirica. Non sa, non può, comprenderne l’origine. Tenta di immaginarla e a suo modo confusamente la rappresenta. Commenta a proposito di psychè Giulio Guidorizzi (Ai confini dell’anima, Milano 2010): «Se quindi l’uso platonico di questa parola ci è perfettamente comprensibile, l’uso che ne fa Omero risulta estraneo e lontano, e poche volte come in questo caso l’evoluzione semantica di una parola è la spia di un problema che lentamente si compone nella cultura». Si compone stravolgendola ed eliminando quel tanto di vago, incerto, primitivo, irrazionale, poetico che la parola portava con sé. Fuori dalle pagine omeriche psychè ha il significato ulteriore di farfalla e proprio questo significato ha dato

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In alto Amore e Psiche, British Museum. In basso la copertina del libro della studiosa Annamaria Zesi Storie di Amore e Psiche (L’asino d’oro, 2010)

Psiche fanciulla. Uno Scarabeo etrusco contiene la prima rappresentazione conosciuta di Psiche come fanciulla ed è contemporaneamente la prima traccia del suo incontro con Eros. Si tratta di una gemma incisa, uno scarabeo di onice del V sec. a.C. Vi è riconoscibile Psiche con ali di farfalla, seduta, la testa poggiata sul braccio sinistro in un atteggiamento pensoso; in campo accanto a lei, un arco allude ad Eros. L’atteggiamento in cui è ritratta la fanciulla, esprimerebbe un senso di sconforto e di afflizione per la partenza di Eros, di cui infatti c’è solo l’arco. Il motivo di Eros che si allontana, ferito e adirato, da Psiche, non è comune nelle rappresentazioni artistiche, mentre costituisce un episodio rilevante della favola. Quindi lo scarabeo potrebbe contenere una sottile ma importante informazione: forse già nel V sec a.C. le figure di Amore e Psiche avevano assunto il ruolo dei protagonisti di una favola millenaria che, come sostengono gli studiosi di folklore, con altri nomi e altre ambientazioni circolava per il mondo dall’alba della storia ed era arrivata in Grecia chissà da dove. Forse era già in atto quella delicata fusione di materiali di-

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versi che, nell’arco di alcuni secoli, avrebbe portato alla formazione della favola di Amore e Psiche così come la conosciamo. In ogni caso dalla metà del V sec a.C. in poi, troviamo rappresentazioni di Amore e Psiche diffuse in una vasta area che dalle terre affacciate sul Mediterraneo si spinge a est fino all’Asia Minore. Sono opere di piccole a volte piccolissime dimensioni e un tale modo di trattare artisticamente il soggetto prevale, nelle epoche più antiche, sulla grande statuaria.

Non sappiamo se all’epoca la favola di Psiche, così come la conosciamo, fosse già compiuta, ma in fondo non importa, erano conosciute la parola e le immagini e su entrambe si accaniscono i filosofi. La psychè/vita omerica, così ben allocata nel corpo umano, ne diventa prigioniera: nel Fedone di Platone corpo è una prigione, una materia opaca, una tomba. Sorte

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© THE TRUSTEES OF THE BRITISH MUSEUM

Queste immagini danno un’idea del materiale iconografico che circolava in Grecia e dintorni più o meno all’epoca - poco prima, durante, poco dopo - in cui Platone metteva in piedi il suo sistema filosofico. L’immagine di Amore e Psiche maggiormente diffusa, quella artisticamente più efficace, era l’immagine di due giovani amanti: “An embracing couple”. Scrive Collignon, autore di un testo tuttora di riferimento: «La saga di Psiche nelle arti figurative ha avuto due periodi: l’uno tutto poetico in cui sembra rappresentare un’allegoria delle passioni... le opere d’arte... traducono in forme artistiche i movimenti del cuore appassionato...». Questa sfera di sentimenti, di affetti, di pensieri, questa realtà che naturalmente non è materiale senza essere spirituale, viene rappresentata dagli artisti di 2.500 anni fa con le immagini allacciate di Eros e Psiche. Continua Collignon: «Segue un periodo fortemente marcato da istanze morali e religiose in cui di Psiche si impadroniscono i filosofi per farne simbolo di anima immortale e vita ultraterrena». Dalle opere d’arte incise nelle pietre preziose e nei cammei Psiche viene scaraventata sui monumenti funerari. Gli orfico-pitagorici e soprattutto Platone sono i responsabili di questa mutazione.

Da Canova a Munch gli artisti hanno raccontato Eros e Psiche

Busto in terracotta dell’abbraccio tra Amore e Psiche. In basso Farfalle cretesi

peggiore ha l’immagine che addirittura sparisce. La sinuosa fanciulla delle opere d’arte, nell’arsenale platonico, semplicemente non esiste. L’operazione platonica, ripresa e amplificata dal cristianesimo, inaugura una sequela di rappresentazioni allegoriche di Psiche come anima trascendente e immortale che influenzerà in modo pervasivo la cultura fino a tempi recenti. Immuni, o quasi, gli artisti - da Raffaello a Canova fino a Munch - continuano a rappresentare in vario modo le vicende dei due amanti. Immune, la sterminata catena dei narratori che qualche millennio prima di Apuleio raccontavano la storia semplice e necessaria di due adolescenti al loro primo amore, continuano per secoli a trasportarla in giro per il mondo. Immune, Massimo Fagioli dal 1981 pubblica l’immagine di Amore e Psiche sulla copertina dei suoi testi di psichiatria, dando con ciò un taglio netto alla trama dell’ideologia edipico-freudiana che a quella operazione platonica molto deve.

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