Occhetto

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| IL FATTO QUOTIDIANO | Lunedì 22 Febbraio 2016

Achille Occhetto L’ultimo segretario del Pci compie 80 anni Oggi è distante da ogni scena, la politica vive nella sua memoria

L’INTERVISTA

“La sinistra morì con Veltroni E Renzi punta tutto sul centro”

S Biografia

ACHILLE OCCHETTO Nato a Torino il 3 marzo del 1936. Ultimo segretario del Partito Comunista Italiano e il primo del Pds (fino al 1994). Nel 2013 ha pubblicato: “La gioiosa macchina da guerra. Veleni, sogni e speranze della sinistra”.

ciarpa poggiata sul collo, taccuino in mano (“ho preso degli appunti per la nostra ch ia cch ie rat a”), completo blu, la casa tipica di un uomo di sinistra, con una storia di sinistra, tra vecchi libri di Einaudi ed Editori Riuniti, simboli, il colore rosso che emerge tra quadri e ricordi, una foto con Ho Chi Minh in Vietnam, giornali. Achille Occhetto tra pochi giorni compie 80 anni, eppure i gesti, i modi, il tono della voce sono quelli di vent’anni fa. “Ma sono fuori da certi giochi...”.

In parte c’è stata una responsabilità anche di chi veniva dal Pci nel momento in cui ha accettato quell’opa. Renzi l’ha mai convinta?

All’inizio anche io sono caduto nel ragionamento di molti, quando pensavo alla necessità di cambiare, anche se volevo capire la direzione. Non mi convince la ricerca di rapporto diretto tra leader e popolo: anche perché il popolo senza differenti caratterizzazioni identitarie e culturali o è un’astrazione o una pericolosa belva onnivora.

Quando è iniziato il suo allontanamento dalla politica?

Nel momento in cui ho capito che gli obiettivi fondamentali per cui mi ero impegnato, e che hanno avuto il loro fulcro nella svolta della Bolognina (il 1989 quando è iniziato il percorso di addio al Pci), erano stati messi da parte. In che senso?

Molti che avevano seguito la mia proposta non avevano capito il punto centrale: un’uscita da sinistra dalla crisi del comunismo.

Lei picconatore di Falce e Martello.

In realtà voglio dare notizia a tutti colori i quali ancora oggi me l’attribuiscono: la fine del comunismo non è stata determinata da me, è stata una crisi mondiale. Ho solo cercato di uscirne con una nuova sinistra. Comunque quell’idea ancora vive in molti movimenti europei, come Podemos in Spagna o in Grecia. Se guardiamo i sondaggi, in Italia la sinistra è sotto il cinque per cento. A meno che non includiamo il Pd...

Puntate precedenti Le interviste sulla sinistra a Reichlin, Rodano e Pier Luigi Bersani

Oggi comandano gli ex margherita, i rutelliani.

» ALESSANDRO FERRUCCI

Bisogna vedere cosa s’int en de per sinistra, io credo che l’esigenza di una sinistra, cioè quella di una formazione che si muova su una linea di mutamento profondo nelle società neo-liberiste, sia molto diffusa. Dobbiamo guardare agli avvenimenti in grande, come negli Stati Uniti con Sanders, politico che si dichiara socialista e socialdemocratico, di chiave europea, ma con un consenso sempre maggiore tra i giovani. Arriviamo all’Italia.

Il discorso si lega a Renzi, alla collocazione del Partito democratico e al grande inganno che si è costruito davanti alla sinistra. Quale inganno?

Oggi la direzione è concordata con Verdini...

Ormai non mi stupisce più niente, in questa logica ci può stare tutto e il contrario di tutto: basta vincere.

Vede, non condivido la tesi che Renzi non abbia un progetto: lui ne ha uno, nascosto, il suo torto è di non esplicitarlo. Detto questo, chiariamo un punto: lui ha indubbiamente delle qualità brillanti, di capacità di scelta, di saltare sul problema nel momento, non mi convince la direzione presa. La questione è alla base.

Quando lui ha detto che la scelta non era più di destra né di sinistra, ma la contrapposizione tra innovazione e conservazione, ha espresso le prime note di un obiettivo: quello del partito della nazione, che in realtà è il nuovo partito di centro. Qual è il

Lacrime al congresso Achille Occhetto tra Mauro Zani e Claudio Petruccioli al congresso che decise di sciogliere il Pci Costrasto

Cacciari al Fatto ha posto una domanda: mi piacerebbe capire qual è il gruppo di potere che sta dietro Renzi.

Molti che avevano seguito la mia proposta non avevano capito il punto centrale: un’uscita dalla crisi del comunismo, ma ancorata ai nostri valori centro dell’inganno?

Che se Renzi avesse detto “voglio fare un partito di centro”, non ci sarebbe stato niente di male, in realtà ha lanciato un’opa sulla sinistra, e ha portato milioni di ex comunisti a votare con una parola d’ordine nuova: vittoria. Vincere a prescindere...

Ha cancellato qualsiasi altra suggestione. Alla fine di questo processo la gente farà i conti in tasca e vedrà chi ha vinto e chi ha perso. E oggi ritengo che è fondamentale uscire dalla cultura dei winners, anzi è meglio perdere con le proprie idee che vincere con quelle degli altri.

Due settimane fa il Fatto ha aperto con “41 sfumature di re n zu s coni”: tutte le volte in cui il premier si è comport a t o uguale o peggio di B e r lu s coni. Eppure nessuno alza barricate.

Il popolo di sinistra è ancora stordito, ha creduto in una possibilità di mu-

Non condivido la tesi che Renzi non abbia un progetto: lui ne ha uno, nascosto, il suo torto è proprio quello di non esplicitarlo. Il suo gruppo di potere? È la nota finanza tamento. Ma, ripeto, prima o poi ci sarà una reazione. Manca un catalizzatore.

Quando si capirà l’obiettivo di realizzare un partito di centro, se ne realizzerà uno di sinistra. E comunque il problema del Pd lo abbiamo discusso nel 1989, e non è un caso se aggiungemmo il termine “sinistra”, quando c’era già allora chi voleva fermarsi al Pd. E lei cosa replicava?

Che era fondamentale posizionarsi, perché già c’era un Partito democratico: il partito democratico cristiano. Ci sarà un motivo se pochi anni dopo hanno voluto togliere la parola sinistra. Oggi è chiaro dove si voleva arrivare. Lei già lo temeva?

Beh, è da quel momento che ho deciso di abbandonare l’impegno di partito. Nei primi anni chi più di tutti remava verso l’idea di togliere la “sinistra” dal nome?

Non farei nomi, anche perché sono noti... Sicuro Walter Veltroni.

All’inizio solo lui, poi si sono messi tutti in quella direzione. Però al Pd non mi sono mai iscritto anche per quel tipo di fusione a freddo tra diverse correnti, mentre per la costruzione di un nuovo partito è necessaria una costituente, un grande dibattito sui fondamenti e sui principi; una capacità di contaminazione tra le diverse anime.

Sarebbe interessante capirlo, e me lo sono chiesto. Ma i gruppi di potere sono sempre gli stessi, al massimo cambiano la spalla al proprio fucile; sono i gruppi economici che comandano in questa economia neoliberista. Sa dove casca l’asino con la politica di Renzi? Lui parla di riformismo, ma per esserlo realmente, in Italia e in Europa, bisognerebbe mettere l’economia sotto il comando della politica, passare dalla globalizzazione finanziaria a una globalizzazione democratica. Anche nel passato le lobby erano così pressanti?

Solo negli ultimi anni è esploso questo dominio, soprattutto a livello europeo. Attenzione però, non dobbiamo tornare indietro, ma andare verso gli Stati Uniti d’Europa. Gli intellettuali tacciono...

È un mistero, ma loro un tempo potevano contare su un entroterra con il quale confrontarsi, magari polemizzare, c’era un movimento operaio. Oggi c’è solo il vuoto. Magari non hanno ancora trovato la strada della comunicazione. Crede nelle primarie?

In alcuni momenti sono stati degli strumenti per superare le imposizioni dei gruppi, però le burocrazie hanno capito la lezione e le stanno riducendo a macchine di servizio. Per il Pd sono anche lo strumento per recuperare credibilità a Roma. Si aspettava il marcio-Capitale?

Non a questo livello abnorme, ma non c’è dubbio che da tempo si conosceva parte della gravità. C’erano i compagni che si lamentavano. La chiamano ancora?

Non più, mi lasciano in pace.

Oltre queste mura, dove si sente a casa, dove sta a suo agio sul piano umano e culturale?

Da nessun’altra parte se non nella mia memoria; la memoria è la mia grande casa. Twitter: @A_Ferrucci © RIPRODUZIONE RISERVATA


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