Il potere delle donne single

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In copertina

Il potere delle single Rebecca Traister, New York Magazine, Stati Uniti Foto di Danny Wilcox Frazier

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Oggi negli Stati Uniti le donne single sono più numerose di quelle sposate. Una tendenza che sta cambiando la società e sta spostando la politica sempre più a sinistra. E che condizionerà le elezioni presidenziali di novembre

Sostenitori di Bernie Sanders all’Università dell’Iowa, a Iowa City, il 30 gennaio 2016



In copertina uando nel 2010, a 35 anni, sono andata all’altare – o meglio, davanti a un pubblico ufficiale – avevo vissuto quattordici anni da adulta indipendente, lo stesso numero di anni che mia madre alla stessa età aveva già passato da sposata. Avevo stretto e perduto amicizie, cambiato casa varie volte, ero stata assunta e cacciata, mi ero licenziata ed ero stata promossa. Avevo condiviso l’appartamento e abitato da sola, avevo provato vari metodi anticoncezionali e affrontato gravi problemi di salute. Avevo pagato le bollette ed ero rimasta indietro con i pagamenti; ero stata innamorata, avevo smesso di esserlo e avevo passato cinque anni di seguito senza quasi neanche una storia. Avevo imparato ad ambientarmi in quartieri diversi, avevo avuto paura e mi ero sentita completamente a mio agio. Mi si era spezzato il cuore, ero stata spaventata, felice e annoiata. Ero una persona adulta ragionevolmente complicata. Lo ero diventata non in compagnia di un uomo ma insieme ai miei amici, alla mia famiglia, alla mia città, al mio lavoro, o semplicemente da sola. Non ero l’unica. Nel 2009 la percentuale delle statunitensi sposate è scesa sotto il 50 per cento. In altre parole, per la prima volta nella storia del paese il numero delle donne single (mai sposate, vedove, divorziate o separate) ha superato quello delle sposate. E, dato forse ancora più sorprendente, nello stesso anno le donne adulte al di sotto dei 34 anni che non erano mai state sposate avevano raggiunto il 46 per cento, un aumento del 12 per cento in meno di dieci anni. Oggi le possibilità che una donna sotto i trent’anni sia sposata sono incredibilmente basse. Solo il 20 per cento delle statunitensi tra i 18 e i 29 anni è sposato, rispetto a circa il 60 per cento del 1960. È un cambiamento epocale, che ha enormi implicazioni sociali e politiche. In tutte le classi sociali e in tutti i gruppi etnici, è in corso un completo stravolgimento del modo di vivere delle donne. L’idea della donna adulta indipendente, un tempo considerata un’aberrazione, sta diventando la norma, e sta nascendo un gruppo completamente nuovo: quello delle donne adulte che non dipendono più dagli uomini con cui sono sposate e non sono definite da loro dal punto di vista economico, sociale, sessuale e riproduttivo. Questa rivoluzione, a differenza dei movimenti che l’hanno preceduta e resa possibile – dall’abolizione della schiavitù al suffragio universale, dalle lotte per i diritti dei

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lavoratori di fine ottocento a quelle per i diritti civili, dai movimenti femminili a quelli gay della seconda metà del novecento – non è il frutto di una nuova consapevolezza politica. Nella maggior parte dei casi le donne che rifiutano o ritardano il matrimonio non lo fanno per affermare un principio di uguaglianza. Lo fanno perché hanno ormai interiorizzato idee che solo mezzo secolo fa sarebbero sembrate estremiste: l’idea che non essere sposate è accettabile e che, se non incontrano un uomo a cui vogliono legarsi, sono persone complete capaci di vivere una vita professionale, economica, sociale, sessuale e genitoriale autonoma. L’idea più radicale del femminismo – la delegittimazione del matrimonio – è ormai così ampiamente accettata da essere diventata la norma, priva di qualsiasi obiettivo politico ma ancora più potente perché ha completamente rivoluzionato il percorso di vita della donna media. Non sto sostenendo che essere single sia di per sé meglio che far parte di una coppia. Molte donne sole di tutte le classi sociali ed etnie vorrebbero sposarsi o almeno avere un rapporto affettivo a lungo termine. Molte altre convivono senza sposarsi. Tuttavia, la nuova tendenza rappresenta una svolta storica interessante perché implica un’idea completamente diversa del concetto di donna, di famiglia, di chi comanda al suo interno e fuori. Questa idea sta influenzando profondamente la vita politica statunitense. Raramente viene detto, ma è proprio questa nuova condizione delle donne a spingere la politica sempre più a sinistra. I problemi pratici delle donne indipendenti sono alla base di richieste come la parità salariale, il congedo parentale retribuito, l’aumento del salario minimo, l’accesso agli asili nido per

Da sapere

Guadagni a confronto Reddito annuale, per etnia e genere, in migliaia di dollari 0

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Reddito delle donne rispetto a quello degli uomini, percentuale 40

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Cittadini di origine ispanica

Afroamericani

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Donne Uomini

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Bianchi

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Di origine asiatica

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tutte le famiglie, l’abbassamento delle tasse universitarie, l’assistenza sanitaria alla portata di tutti e la tutela dei diritti riproduttivi. Per anni i leader del Partito democratico hanno pensato che fosse troppo rischioso proporre provvedimenti simili ai loro elettori, mentre oggi queste riforme sono al centro dei programmi di Bernie Sanders e Hillary Clinton, i due candidati democratici alle primarie per le elezioni presidenziali di novembre. Le single stanno acquisendo un peso sempre maggiore nell’elettorato. Nel 2012 le donne non sposate rappresentavano già il 23 per cento degli elettori. Significa che alle ultime presidenziali quasi un quarto dei voti è stato espresso da donne che non avevano un marito. Secondo Page Gardner, fondatrice dell’organizzazione non profit Vote participation center, nelle elezioni del 2012 la partecipazione delle donne non sposate è stata la più alta praticamente in tutti i gruppi demografici: “Quasi il 40 per cento tra gli afroamericani, circa il 30 per cento tra gli ispanici e un terzo tra i giovani”. Più di qualsiasi altra fascia di elettori, le donne nubili sono di sinistra. Molto di sinistra. Nel 2012 il 67 per cento delle single ha votato per Obama, mentre le donne sposate (che tendono a essere in prevalenza più anziane e bianche) hanno votato per Romney, il candidato repubblicano. Inoltre, a differenza di quello che sostengono alcuni commentatori, le scelte politiche delle donne non sposate non sono attribuibili solo a condizionamenti razziali. Secondo l’istituto di sondaggi Lake research partners, le donne bianche nel complesso hanno votato in maggioranza per Romney, ma quelle non sposate hanno sostenuto Obama.

Un motore di cambiamento Tutto questo porta a chiedersi in che modo lo stato civile influirà sul voto delle donne nel 2016. Finora la popolarità di Hillary Clinton tra le donne è stata messa in crisi dalla visione più progressista di Bernie Sanders. Un numero sorprendente di giovani single si è schierato con il senatore socialista del Vermont sia nelle primarie dell’Iowa sia in quelle del New Hampshire. Questo è dovuto in parte al fascino particolare di Sanders e al suo messaggio politico duro e radicale, e in parte al fatto che Clinton non riesce a entusiasmare le elettrici. Ma potrebbe influire anche il fatto che le donne non sposate, vivendo al di fuori dell’istituzione su cui si fondano il sistema fiscale e le politiche abitative e sociali, hanno una serie di esigenze che il governo non ha ancora soddisfatto. Per buona parte


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Studenti in attesa di ascoltare Bernie Sanders, Iowa City, 30 gennaio 2016

della sua carriera, Clinton ha cercato di affrontarne qualcuno, battendosi per la riforma della sanità, l’assicurazione sanitaria per tutti i bambini, l’istruzione prescolastica. Ma forse proprio per questo sembra meno credibile del suo avversario. “Non credo che politicamente i tempi siano maturi”, ha detto Clinton solo due anni fa a proposito delle ferie retribuite, a dimostrazione del suo pragmatismo frutto di tante battaglie perse. La questione è capire se la prima donna con buone probabilità di diventare presidente degli Stati Uniti riuscirà a capire quanto è cambiato il suo elettorato e se sarà in grado di approfittarne, oppure se sarà scavalcata da questo gruppo sempre più numeroso di elettrici indipendenti attirate da promesse più radicali. Non è la prima volta che le single condizionano in modo così forte la società statunitense. In realtà ogni volta che è aumentato il numero delle donne non sposate c’è stato un cambiamento sociale. Nella seconda metà dell’ottocento la proporzione tra uomini e donne fu sconvolta dalla guerra civile e dalla corsa alla conquista della costa occidentale. Nel frattempo, nella zona orientale del paese, il tasso di matrimoni delle donne bianche della classe media scese notevolmente e aumentò l’età in cui

si sposavano. Liberate dal peso di essere mogli e madri, molte di loro fecero quello che da sempre avevano imparato a fare: si misero al servizio della comunità, in questo caso dei movimenti riformisti. Molte donne assunsero la guida delle lotte per l’abolizione della schiavitù e dei linciaggi e a favore del suffragio universale, fondarono università femminili, diventarono pioniere in nuovi settori come la medicina e l’infermieristica. Tra loro c’erano Susan B. Anthony, Sarah Grimké, Jane Addams, Alice Paul, Catharine Beecher, Elizabeth Blackwell: nessuna di loro era sposata. Ormai diventate autonome economicamente e professionalmente, altre attiviste scelsero matrimoni non convenzionali: brevi, aperti o in tarda età. L’ondata di cambiamento fu così travolgente che nella prima metà del novecento scatenò reazioni rabbiose: si arrivò a equiparare l’essere single a una malattia e a incoraggiare i rapporti eterosessuali precoci. Perfino Theodore Roosevelt, presidente tra il 1901 e il 1909, inveì contro le donne bianche della classe media che si rifiutavano di avere figli: “Una razza non vale nulla”, sosteneva, “se le donne smettono di riprodursi”. Ma a metà del novecento le donne rinunciarono patriotticamente ai loro lavori

per lasciarli ai reduci della seconda guerra mondiale, e per molte di loro questo significò l’inizio di una vita domestica forzata, in gran parte incoraggiata dallo stato. Grazie al G.I. bill, la legge del 1944 che introduceva una serie di vantaggi per chi aveva combattuto in guerra – dai prestiti a tasso ridotto al pagamento delle tasse universitarie – i reduci ebbero accesso all’istruzione superiore che gli avrebbe permesso di entrare a far parte della classe media nascente. Contemporaneamente, il governo garantì mutui e realizzò infrastrutture nei quartieri residenziali delle periferie dove sarebbero stati accolti i milioni di figli che le donne americane stavano alacremente mettendo al mondo. Era un sistema perfettamente circolare. I pubblicitari vendevano a uomini e donne il vecchio ideale della famiglia felice: le donne dovevano occuparsi del santuario domestico degli uomini da cui dipendevano economicamente. Per curare la casa, avrebbero avuto a disposizione nuovi strumenti, come aspirapolveri e lavatrici, la cui vendita avrebbe riempito le tasche dei mariti impiegati nelle aziende che li producevano. Le donne venivano incoraggiate non solo a sposarsi ma anche a farlo presto, prima che potessero abituarsi all’indipendenza. Internazionale 1144 | 11 marzo 2016

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Durante un incontro per la campagna di Bernie Sanders a Des Moines, Iowa, il 31 dicembre 2015 In un opuscolo dell’American social hygiene association del 1949 si leggeva: “Meglio sposarsi tardi che mai. Ma sposandosi presto si hanno più opportunità di essere felici, di avere e crescere figli, di farsi promotrici della vita familiare come risorsa della comunità, e di vedere i propri nipoti cominciare la loro carriera lavorativa”. Alla fine degli anni cinquanta circa il 60 per cento delle studenti universitarie abbandonava gli studi, per sposarsi o perché le campagne sui mezzi d’informazione e il cambiamento delle aspettative sociali le portavano a credere che una maggiore istruzione avrebbe ridotto le loro possibilità di trovare marito. In un articolo pubblicato da Harper’s nel 1957 e intitolato “I giovani americani stanno diventando monogami”, Charles Cole, rettore dell’Amherst college, scriveva: “Una ragazza che arriva al terzo anno di college senza aver ancora trovato un uomo è considerata a serio rischio di rimanere zitella”. In quel periodo metà delle spose aveva meno di 20 anni, e 14 milioni di donne erano già fidanzate a 17 anni. Ma mentre le bianche si sposavano in numero sempre maggiore e sempre più giovani, tra gli afroamericani il tasso dei matrimoni cominciava a scendere. Nel 1979 le donne nere si sposavano già meno e più tar-

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di rispetto alle bianche. E non era un caso. I vantaggi economici di cui aveva goduto la classe media bianca, sia durante il new deal degli anni trenta sia nel dopoguerra, non si erano estesi agli afroamericani. La previdenza sociale, creata nel 1935, non riguardava né i lavoratori domestici né quelli agricoli. A questo si aggiungeva che il fatto che molte università non ammettevano studenti neri. E i quartieri residenziali che erano nati come funghi intorno alle città dopo la guerra erano destinati quasi esclusivamente alle famiglie bianche.

Una strada in salita Questa strategia consolidava un ciclo di disparità economiche che rendeva poco pratico il matrimonio, soprattutto quello tradizionale e patriarcale verso cui erano indirizzate le donne bianche. Le donne nere lavoravano tutto il giorno (spesso pulendo le case dei bianchi), quindi non potevano perseguire l’ideale di maternità domestica per il quale le donne bianche venivano tanto esaltate. Gli uomini neri avevano più difficoltà ad accedere all’istruzione e ai posti di lavoro, a guadagnare bene e a ottenere mutui, quindi non potevano svolgere il ruolo di capofamiglia. Non fu un caso se le donne nere non condivisero l’ideale domestico

degli anni cinquanta: ne furono escluse, intrappolate in un altro mondo, isolate in quartieri mal serviti che si trovavano oltre le autostrade su cui viaggiavano i bianchi diretti a casa dalle loro mogli, a loro volta isolate in alienanti quartieri residenziali. Con i movimenti per i diritti civili e la rivoluzione sessuale della seconda metà del novecento, la situazione dal punto di vista giuridico per le donne, sia sposate sia single, migliorò notevolmente. Ma anche se le donne hanno fatto molti passi avanti verso la parità sul lavoro, nell’istruzione e in ambito sessuale, qualcosa del contratto sociale degli anni cinquanta è rimasto. Ancora oggi il matrimonio accresce il prestigio professionale degli uomini ma diminuisce quello delle donne. Un sondaggio condotto nel 2010 dall’American historical association ha rivelato che in media una docente di storia sposata impiegava 7,8 anni per diventare titolare di una cattedra, rispetto ai 6,7 di una docente single. Per gli uomini era il contrario. Gli scapoli raggiungevano quella posizione in 6,4 anni, rispetto ai 5,9 di chi aveva una moglie che lo aspettava a casa. Il matrimonio, e quindi il sostegno della famiglia, permette agli uomini di concentrarsi sulla vita professionale. Le donne invece fanno CONTINUA A PAGINA 48 »


L’opinione

Abbiamo bisogno di donne al governo Katha Pollitt, The Nation, Stati Uniti Le donne al potere tendono a promuovere questioni femminili. Per questo Clinton è una buona candidata argaret Thatcher, Sarah Palin, Michele Bachmann: quando qualcuno sostiene che avere più donne al potere è una buona cosa per le donne, qualcun altro risponde tirando fuori i nomi di queste signore. Non ha tutti i torti: eleggere donne reazionarie e antifemministe di certo non contribuisce a migliorare la vita delle donne in generale, e forse neanche di quelle che fanno politica. Negli undici anni in cui è stata prima ministra del Regno Unito, Thatcher ha avuto una sola donna nel suo governo. Forse è vero che quando arrivano al potere le donne scalfiscono lo stereotipo che le vede come incompetenti, deboli e guidate dagli ormoni. Potete dire quello che volete di Thatcher, ma di sicuro ha cancellato per sempre questa sciocchezza. Ma è lecito pensare che poche femministe l’abbiano votata – o abbiano votato Palin o Bachmann – per ottenere questo vago risultato psicologico. Eppure, quando le femministe sostengono che abbiamo bisogno di più donne al governo, sia gli uomini sia le donne le accusano di “votare con la vagina” e di portare avanti “la politica dell’identità”. Faccio notare che solo i razzisti incalliti attaccano gli afroamericani che sostengono i candidati neri. Obama non sarebbe mai diventato presidente senza il sostegno schiacciante dei neri. E i progressisti bianchi non si azzarderebbero mai a liquidare il fatto che i neri non sono adeguatamente rappresentati dicendo che le politiche dei progressisti bianchi sono migliori di quelle dei politici afroamericani. A quanto pare non esistono persone

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che votano con il pene e non esiste una politica identitaria maschile. Tempo fa Bernie Sanders, che sfida Hillary Clinton nelle primarie democratiche, ha affermato: “Nessuno mi ha mai sentito dire: ‘Ehi, ragazzi, cerchiamo di essere compatti, votiamo per un uomo’. Non lo farei mai”. Ah, Bernie. Se vincerai le primarie mi farò in quattro per sostenerti alle presidenziali, ma cerchiamo di essere seri. Non c’è bisogno di fare una cosa del genere. L’intero sistema è stato creato dagli uomini per gli uomini fin dalla fondazione della repubblica: oggi l’81 per cento del congresso è composto da uomini; gli uomini costituiscono il 75 per cento dei parlamenti statali, governano l’88 per cento degli stati e negli ultimi 230 anni sono stati il 100 per cento dei presidenti degli Stati Uniti.

Esempio irlandese Il fatto che ci siano più donne al governo è un bene per tutte le donne. È una cosa così strana da dire? Nei paesi con democrazie stabili le parlamentari tendono a essere concentrate nei partiti più progressisti e a portare avanti “questioni femminili” – sanità, istruzione, assistenza all’infanzia, lotta alla violenza – più di quanto non facciano gli uomini. Senza le donne al congresso, la discriminazione sessuale non sarebbe mai stata inclusa nella legge sui diritti civili del 1964. Le donne dovrebbero avere il 50 per cento del potere in ogni settore, se non di più. È una semplice questione di giustizia. Come ho già scritto in passato, sono convinta che eleggere Hillary Clinton favorirebbe questo obiettivo. Ma supponiamo di essere d’accordo con le donne convinte che Sanders farebbe di meglio per loro. D’accordo, ma che piano hanno per la parità di genere nella pubblica amministrazione? Lasciato a se stesso, il sistema si muove a un ritmo glaciale: alla velocità di oggi non raggiungeremo la parità fino a quando i ghiacciai non si saranno completamente sciolti. Promettere di fare di più

non basta. Lo ripetono tutti. Ma poi, alla fine, il candidato migliore stranamente è sempre un uomo. I sostenitori di Clinton sono derisi perché danno troppa importanza alla questione della rappresentanza femminile. Penso anch’io che non sia l’unico elemento in gioco. Ma anche presumendo che i sostenitori di Sanders credano in tutta onestà nella parità di genere, proprio come me, come pensano di ottenerla? Che ne direste, per esempio, se i democratici nominassero solo donne per occupare le cariche disponibili nei prossimi vent’anni? Potremmo prendere esempio dall’Irlanda. Un paese che è sempre stato un circolo maschile, con due grandi partiti poco distinguibili tra loro dal punto di vista politico, e che fino alle elezioni del 26 febbraio aveva una delle percentuali più basse di donne in parlamento tra i paesi europei: il 15 per cento. Ma nel 2011 ha introdotto un sistema in base al quale, per ricevere fondi pubblici per le campagne elettorali, ogni partito deve presentare una lista di candidati che contenga almeno il 30 per cento di donne. Così i partiti hanno dovuto trovare donne – un bel po’ di donne – che fino a quel momento erano state messe da parte a favore degli uomini, e garantire che avessero i mezzi per organizzare una campagna elettorale vincente. Il risultato è che oggi il 22 per cento del parlamento irlandese è composto da donne. Le quote hanno anche spinto le irlandesi ad andare a votare e a impegnarsi nelle campagne per il diritto all’aborto, per la parità di genere e per una maggiore attenzione ai problemi delle donne e dei bambini. È vero, l’Irlanda vota con un complicato sistema proporzionale, che indubbiamente ha aiutato. Ed è difficile immaginare che gli statunitensi possano accettare il metodo delle quote perché, come ha fatto notare Sanders, credono nel merito individuale, che è indipendente dal genere e dall’etnia. Ma, visto che volete trasformare gli Stati Uniti nella Danimarca, perché non prendere spunto anche un po’ dall’Irlanda? Che ne dite, fratelli e sorelle di Bernie? ◆ bt Katha Pollitt è una giornalista e femminista statunitense. Il suo ultimo libro è Pro: reclaiming abortion rights (Picador 2014). Internazionale 1144 | 11 marzo 2016

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In copertina carriera più rapidamente se non sono sposate, con tutte le responsabilità che questa condizione comporta. Lo stesso discorso vale per i figli. Nel 2014 la sociologa Michelle Budig, che studia il divario salariale tra padri e madri, ha condotto uno studio sulla base di dati raccolti tra il 1979 e il 2006 negli Stati Uniti. Ha scoperto che lo stipendio degli uomini aumentava in media del 6 per cento dopo che diventavano padri, mentre quello delle donne diminuiva del 4 per cento per ogni figlio. Il divario è minore per le donne che fanno lavori più prestigiosi, che sono anche quelle che tendono a sposarsi più tardi, quando la loro carriera è ormai stabilizzata. Ma da un altro studio condotto nel 2014 dai ricercatori della facoltà di economia di Harvard è emerso che perfino le donne sposate meglio remunerate e più qualificate negli Stati Uniti non riescono a raggiungere i loro obiettivi economici e professionali. Questo in buona parte perché tendono a mettere la carriera dei loro mariti davanti alla propria. Solo il 7 per cento delle laureate della generazione X (quella dei nati dal 1964 al 1980) ha dichiarato che la propria carriera veniva prima di quella del marito, mentre più del 60 per cento degli uomini si aspettava che fosse data la priorità alla propria carriera. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se le single non si affrettano a prendere marito. Oggi in tutti gli Stati Uniti le donne di tutte le classi sociali ritardano il matrimonio, e le conseguenze economiche di questa scelta sono sotto gli occhi di ognuno. Nel 2013 il Pew research center ha reso noti alcuni dati secondo i quali “le ragazze di oggi sono le prime della storia moderna a cominciare la loro vita lavorativa quasi alla pari degli uomini. Nel 2012, tra i lavoratori dai 25 ai 34 anni, la retribuzione oraria delle donne era il 93 per cento di quella degli uomini”. Queste lavoratrici appartengono proprio alla generazione che ha deciso di rimanere single più a lungo che in passato. Per molte donne, soprattutto quelle laureate, la decisione di rimanere sole per una parte della loro vita adulta è strettamente collegata al desiderio di guadagnare di più. Secondo il rapporto pubblicato nel 2013 dall’associazione Knot yet, una laureata che rimanda il matrimonio fino a dopo i trent’anni guadagna 18mila dollari all’anno in più di una laureata con le stesse qualifiche che si è sposata prima. Anche senza conoscere le statistiche, le donne statunitensi sanno istintivamente che è così. Ho intervistato molte studenti universitarie single, e quasi tutte mi hanno spiegato che dietro la scelta di non impe-

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gnarsi c’era la passione per lo studio e il desiderio di sfruttare le opportunità che offre un maggiore livello di istruzione, tutto questo finalizzato a una maggiore indipendenza economica futura. “So che sembra esagerato, ma sono convinta che se mi sposassi adesso mi rovinerei la vita”, mi ha detto Amanda Litman, che quando l’ho intervistata era all’ultimo anno di università alla Northwestern. “Voglio essere libera. Voglio avere la possibilità di spostarmi in un’altra città per un nuovo lavoro, senza dovermi preoccupare del marito o della famiglia”.

Maschi bianchi Nel 2012 gli organizzatori della campagna elettorale di Barack Obama lanciarono uno spot che aveva come protagonista un personaggio animato di nome Julia. Julia nasceva, cresceva, si laureava, faceva carriera e metteva al mondo un figlio grazie, in parte, a una serie di programmi sovvenzionati dal governo. Il matrimonio non rientrava nel suo progetto di vita. I conservatori andarono su tutte le furie. Sul Washington Post la scrittrice Jessica Gavora scrisse di essere indignata per il fatto che, mentre in passato avere un figlio senza essere sposate era una vergogna, oggi le ragazze madri rappresentavano “una nuova e orgogliosa fetta della popolazione statunitense”. Poco prima delle elezioni di metà mandato del 2014, l’opinionista della Fox News Jesse Watters affermò che le donne sole “dipendono dal governo, quindi chiedono cose come la contraccezione, l’assistenza sanitaria e la parità salariale”. Nel 2012 Phyllis Schlafly, scrittrice e politica antifemminista, arrivò a dire che i servizi sociali voluti dal presidente Barack Obama stavano spingendo le

Da sapere

La parola agli elettori ◆ Negli Stati Uniti sono in corso le primarie democratiche e repubblicane in vista delle elezioni dell’8 novembre. In base ai voti ottenuti, a ogni candidato è assegnato un certo numero di delegati, che nelle convention di luglio indicheranno i candidati presidenziali. Tra i democratici l’ex segretaria di stato Hillary Clinton ha vinto in 12 stati e ha conquistato 760 delegati. Il senatore del Vermont Bernie Sanders ha vinto in 9 stati e ha ottenuto 546 delegati. Tra i repubblicani il miliardario Donald Trump è in vantaggio con 446 delegati sul senatore del Texas Ted Cruz (347). Il 15 marzo gli elettori di entrambi i partiti voteranno in stati che assegnano un gran numero di delegati, tra cui Florida e Ohio.

donne a non sposarsi: “Obama sta cercando di renderle più dipendenti dallo stato perché sa che sono loro le sue elettrici”. Naturalmente l’idea che le donne non sposate vedano lo stato come l’equivalente di un marito (o di un ginecologo) è fuorviante, perché riduce le relazioni delle donne ai rapporti matrimoniali e sessuali e sottintende che siano per natura persone alla ricerca di qualcuno che si occupi di loro. Il discorso dello stato assistenziale si applica invece ai maschi. Per generazioni gli uomini statunitensi, soprattutto quelli bianchi, ricchi e sposati, hanno potuto contare sull’aiuto del governo. È grazie alle borse di studio, ai prestiti, agli incentivi e agli sgravi fiscali che hanno potuto avere una casa e avviare un’attività commerciale. Grazie allo stato hanno potuto accumulare ricchezza e trasmetterla ai loro figli. Lo stato ha concesso agli uomini bianchi il voto, e quindi la possibilità di scegliere il governo che preferivano, fin dalla nascita degli Stati Uniti, e poi ha sempre garantito i loro diritti. Ha anche favorito il loro successo economico e professionale a svantaggio di quello delle donne. Non offrendo alle donne la stessa protezione economica e sociale e contribuendo a metterle nella condizione di dover dipendere dagli uomini, lo stato ha creato una classe di lavoratrici pronte a fare lavori sottopagati o gratuiti e al tempo stesso a occuparsi della casa e dei figli, mentre gli uomini prendevano il controllo della sfera pubblica. Tutte le istituzioni pubbliche statunitensi confermano e rafforzano questa tesi. Pensate alle scuole, dove le lezioni finiscono a metà pomeriggio e che d’estate chiudono per lunghi periodi. Chi deve occuparsi dei bambini se lo stato non finanzia i programmi di assistenza all’infanzia? Le donne. Come se le donne non lavorassero fino alle cinque o alle sei o non facessero turni di notte. È per questo che l’aumento delle donne non sposate in tutte le classi è il segnale di una frattura sociale e politica importante, paragonabile all’avvento della contraccezione, alla rivoluzione sessuale, all’abolizione della schiavitù, al suffragio universale, alle lotte per i diritti civili e ai movimenti dei lavoratori che hanno reso possibile l’attuale struttura sociale. Con la loro crescente presenza, le single statunitensi chiedono allo stato un nuovo accordo. Oggi il Partito democratico è più progressista di quanto non lo sia mai stato negli ultimi vent’anni, e questo in buona parte perché ha dovuto rispondere ai bisogni di questo nuovo segmento della popolazione.


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Un comizio di Bernie Sanders all’Università dell’Iowa, il 30 gennaio 2016 Prendiamo, per esempio, l’aumento della paga oraria. Due terzi dei lavoratori statunitensi che percepiscono il salario minimo sono donne. Secondo il National women’s law center, un aumento del salario minimo andrebbe a vantaggio del 40 per cento delle madri single che lavorano. Altro esempio: perché si parla sempre di più della questione dei congedi parentali retribuiti? Certo, farebbero comodo a tutte le famiglie, ma soprattutto alle ragazze madri in difficoltà. Stesso discorso per i programmi d’istruzione prescolastica finanziati dallo stato, che sia Sanders sia Clinton hanno proposto in campagna elettorale. Inoltre, una legge sui permessi retribuiti per malattia è fondamentale in una società dove le donne sono l’unica fonte di sostegno della famiglia e a casa non c’è nessun altro che si occupi dei bambini o degli anziani quando si ammalano. Anche la proposta di ridurre le tasse universitarie andrebbe soprattutto a favore delle donne, che oggi negli atenei statunitensi sono più numerose degli uomini. Per tantissimi anni i democratici non hanno mai cercato di mettere in discussione l’emendamento Hyde, che vieta l’uso di fondi federali per le donne che vogliono abortire. Ma qualche tempo fa Barbara Lee,

deputata della California, ha presentato al congresso una proposta di legge che consentirebbe di abrogare l’emendamento. Poco dopo anche Hillary Clinton si è schierata contro l’emendamento, affermando che limita in modo sproporzionato la possibilità per le donne povere afroamericane di esercitare i loro diritti riproduttivi e di decidere se e quando avere figli. Negli Stati Uniti perfino le riforme della giustizia penale e delle leggi sul lavoro si intersecano con la nuova visione del matrimonio, perché i neri con bassi redditi hanno molte più possibilità dei bianchi di essere disoccupati o di finire in prigione, e questo rende molto difficile garantire stabilità a una famiglia.

I peccati di Clinton Bernie Sanders è diventato il simbolo dello spostamento a sinistra di un partito che sta cambiando, soprattutto per quanto riguarda i sostenitori più giovani. Ma il movimento che ha determinato questa svolta è cominciato più di dieci anni fa. “Se facciamo un passo indietro e guardiamo come sono cambiate nell’ultimo decennio le politiche sociali e del lavoro, vediamo che il cambiamento riguarda soprattutto il diverso approccio al matrimonio e i problemi lavorati-

vi che comporta”, dice Heather Boushey, capo economista del Washington center for equitable growth. La cosa sorprendente, dice Boushey, è che si parla molto poco del fatto che la forza trainante di tutte queste riforme sono le donne non sposate. Boushey, che è stata consulente economica di Hillary Clinton, fa l’esempio della California, del New Jersey e del Rhode Island, dove sono state introdotte leggi che garantiscono a (quasi) tutti i cittadini la possibilità di usufruire dei congedi parentali. Provvedimenti simili potrebbero presto essere approvati anche nello stato di New York e sono alla base del Family act, una legge che la senatrice democratica Kirsten Gillibrand ha proposto a livello federale. Boushey osserva che anche nelle città sono stati fatti notevoli progressi per quanto riguarda i permessi retribuiti per malattia, gli asili nido e l’assistenza agli anziani. “Un gruppo di politiche e di attiviste è riuscito a raggiungere risultati eccezionali”, continua. “Ma hanno potuto farlo perché hanno capito che in America è in corso un profondo cambiamento nelle famiglie e nel mercato del lavoro femminile. Alla guida di queste battaglie ci sono loro. E Sanders le sta seguendo”. Agli occhi di alcune femministe statuniInternazionale 1144 | 11 marzo 2016

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In copertina tensi è tristemente paradossale che Sanders, un bianco di 74 anni del Vermont impegnato da decenni nella lotta alla disuguaglianza economica ma che non ha mai partecipato alle battaglie per i congedi parentali o i permessi di malattia, sia diventato il simbolo della svolta verso un modello più vicino alle esigenze delle donne. Il fatto che le single non si stiano schierando con Clinton, che per buona parte della sua carriera si è battuta per ottenere riforme come quella dell’istruzione prescolastica e dell’assistenza sanitaria , è abbastanza sorprendente. Ma la loro non è una battaglia ideologica. Non cercano una paladina femminista, vogliono semplicemente potersi permettere di andare all’università, avere stipendi più equi ed essere pagate quando si ammalano. Da un sondaggio realizzato dalla National partnership for women and families è emerso che il 68 per cento delle elettrici non sposate è convinto che ci siano maggiori probabilità che un politico favorevole alle nuove leggi sui permessi retribuiti comprenda le esigenze delle donne. Sia Clinton sia Sanders si sono schierati a favore di queste leggi, ma molte delle elettrici che hanno votato finora si sono schierate con Sanders perché lo trovano più convincente.

Nuova generazione L’apparente mancanza di fiducia in Hillary Clinton forse è dovuta al fatto che nessuna donna ha sofferto più di lei per essere stata una moglie. Certo, è stato proprio il suo ruolo di first lady a permetterle di intraprendere la carriera politica. Ma il fatto che oggi Clinton debba pagare il conto di dieci anni di scelte politiche alle quali non ha partecipato è emblematico del prezzo che le donne pagano per il matrimonio tradizionale. Dopotutto, gli anni novanta sono stati il decennio in cui le donne hanno cominciato a modificare drasticamente e minacciosamente questa istituzione. Buona parte delle leggi approvate in quel periodo erano condizionate dall’ansia per lo sconvolgimento dei ruoli di genere. Come l’odiosa riforma del welfare voluta da Bill Clinton, che fece sprofondare molte donne nella povertà. E poi ci fu la legge contro il crimine del 1994 che, come scrive Michelle Alexander nel libro The new Jim Crow, ha contribuito a creare un sistema di giustizia penale che ha danneggiato in modo irrimediabile le famiglie afroamericane. Gli uomini che hanno scritto, firmato e votato quella legge – Bill Clinton, Al Gore, John Kerry, Joe Biden, e perfino Bernie Sanders – non ne hanno pagato alcun prezzo politico. La persona alla quale ora si chiede di risponderne è la don-

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Internazionale 1144 | 11 marzo 2016

na che in quegli anni era una moglie che appoggiava (fin troppo) suo marito, che difendeva in modo disinvolto e preoccupante le sue scelte, ma non ricopriva nessun ruolo ufficiale. Al di là di Hillary Clinton, c’è un’altra generazione di donne impegnate in politica che hanno seguito un modello di vita diverso: c’è Gillibrand, che si è sposata dopo i 30 anni e a 41, poco prima di mettere al mondo un figlio, ha partecipato a una seduta di 13 ore della commissione per le forze armate; Donna Edwards, una ragazza madre che nelle elezioni di novembre è candidata al senato per il Maryland; Kamala Harris, che si è sposata per la prima volta a 49 anni e corre per un seggio al senato; Lucy Flores, candidata alla camera per il Nevada, ancora single a 36 anni e che ha raccontato di aver avuto un aborto a 16 anni. Non serve necessariamente una donna per portare

Nessuna donna più di Hillary Clinton ha sofferto per essere stata una moglie avanti leggi a favore delle single. Ma queste donne, anche solo a causa della loro esperienza personale, saranno in grado di capire di quali politiche sociali la popolazione femminile ha bisogno. Stando ai sondaggi, a prescindere da chi vincerà tra Sanders o Clinton, è molto probabile che a novembre le donne sole voteranno per il candidato o la candidata democratici. I repubblicani hanno fatto qualche debole tentativo di guadagnarsi le simpatie delle single, ma poi sono tornati a metterle alla gogna e a cercare di punirle. Nel 2014 il senatore del Kentucky Rand Paul ha proposto un tetto alla previdenza sociale per le donne che fanno figli fuori dal matrimonio. Il peso delle donne single nelle elezioni statunitensi dipenderà, in parte, dalla loro capacità di capire e sfruttare questo crescente potere politico. In parte, sarà semplicemente questione di andare a votare. Secondo Page Gardner, nel 2016 “per la prima volta nella storia degli Stati Uniti si prevede che la maggioranza delle elettrici saranno donne non sposate”. Ma i dati delle presidenziali precedenti mostrano che quasi il 40 per cento di loro non si è mai registrato alle liste elettorali. Questo è in parte dovuto al problema principale che le politiche sociali sono chiamate a risolvere: molte sono ragazze madri a basso salario, con orari di

lavoro irregolari e poca assistenza all’infanzia, che non hanno il tempo di mettersi in fila ai seggi. Inoltre resta da vedere se questa fetta di elettorato eterogenea, che attraversa tutte le etnie e classi sociali e sfida la politica identitaria, può essere unificata e fatta convergere intorno a una proposta politica comune. Quando una donna indipendente pensa al suo futuro vede davanti a sé decenni, o una vita intera, in cui dovrà guadagnarsi uno stipendio e al tempo stesso occuparsi della casa. Il patto sociale di cui ha bisogno deve darle delle garanzie: una politica retributiva non basata sull’idea che ci sia un marito che pensa a lei; un aumento del salario minimo, che contribuirebbe a ridurre la povertà delle lavoratrici meno retribuite; un sistema sanitario che copra anche la contraccezione e l’aborto e le permetta di decidere se vuole avere un bambino da sola o aspettare di averlo più tardi sfruttando le tecnologie mediche più avanzate; più alloggi a prezzi accessibili – possibilmente sovvenzionati – per le persone sole; una riforma penale che corregga le ingiustizie del sistema carcerario; asili nido sovvenzionati dallo stato; leggi sui congedi parentali retribuiti per gli uomini e per le donne che hanno bambini piccoli o che hanno bisogno di assistere familiari malati; permessi per malattia retribuiti per tutti, indipendentemente dal sesso e dalla professione; un abbassamento delle tasse universitarie e programmi di istruzione prescolastica di qualità. A pensarci bene, queste politiche non andrebbero a vantaggio unicamente delle donne sole, ma anche di molte altre persone. Niente di tutto questo è facile da realizzare, ed è improbabile che si realizzi presto, soprattutto se i repubblicani continueranno ad avere la maggioranza al congresso. Ma sarebbe l’inizio di un rapporto nuovo tra le donne statunitensi e il loro governo. Le single sono sempre più numerose in una società che non è fatta per loro. Formano una nuova repubblica, una nuova categoria di cittadini. Per tornare a prosperare, gli Stati Uniti devono fare spazio a queste donne libere, e riformare un sistema economico e sociale costruito sull’idea ormai superata che, se non sono sposate, le donne non contano. ◆ bt L’AUTRICE

Rebecca Traister è una giornalista statunitense. Ha scritto All the single ladies: unmarried women and the rise of an independent nation (Simon & Schuster), di cui questo articolo è un adattamento.


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