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POLITICA

Venerdì 30 Settembre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |

SUL SETTIMANALE DI B.

La comunione della figlia, Agnese e qualche spot

LA COINCIDENZA temporale è piuttosto sfortunata: il numero di Chi esce nello stesso giorno in cui il suo proprietario compie ottant’anni. E, quindi, le prime 35 pagine del settimanale sono dedicate tutte a lui, Silvio Berlusconi. Poco male, subito dopo, spazio al premier e alla sua famiglia. Matteo

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Renzi ha deciso di affidare al rotocalco rosa il racconto della prima comunione di sua figlia Ester. In posa, tutta la famiglia festeggia il lieto evento nel giardino di casa. “Rinfresco semplice ma raffinato offerto dalla Guido Guidi Catering” (uno spot non si nega a nessuno), si legge nel servizio. Che spiega anche che la

festa è finita presto: Renzi e i figli maschi, dopo pranzo, sono corsi allo stadio per la partita della Fiorentina. Agnese, “in forma strepitosa e in total look Ermanno Scervino”, è rimasta con la figlia di cui è “molto orgogliosa”, al punto da “portarla con sé anche in qualche occasione ufficiale”.

Sala mezza vuota per Renzi a Firenze Il Sì non funziona Il premier inaugura (di nuovo) la campagna referendaria: nel 2008, nello stesso teatro, non c’era un posto libero

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rinnovare e aggiornare l’accordo commerciale. Il 20 settembre, a Porta a Porta, ha elogiato nuovamente l’i mprenditore e spiegato che il gigante Alibaba ospiterà in vetrina i vini italiani. L’iniziativa, seguita anche dal ministro Maurizio Martina, è stata adottata anche per “frenare la contraffazione dei prodotti Made in Italy” e la garanzia – ovviamente – passa dal progetto E.MarcoPolo. In appena cinque mesi di fase sperimentale le importazioni cinesi di vino sono cresciute del 42% per un miliardo di euro. È dai tempi di Palazzo Vecchio che Renzi, da sindaco di

In discesa Il livello del gradimento popolare di Matteo Renzi e di Maria Elena Boschi dal momento dell’insediamento del governo (nel febbraio 2014) a oggi: dimezzato in due anni e mezzo

Firenze, ha avviato un rapporto con Jack Ma. Quasi sempre alla presenza di Carrai. I tre si conoscono da anni. E si sono visti con frequenza. Nell’ottobre del 2015, in onore del patron di Alibaba venne organizzata una cena a Milano al ristorante Trussardi. Una cena decisamente riservata. Alla quale presero parte pochi, selezionati imprenditori tra cui Marco Tronchetti Provera, Paolo Zegna, Gianmario Tondato da Ruos (ad di Autogrill), Diego Della Valle, Nerio Alessandri (Technogym), Mattia Malacalza e lui: Marco Carrai. d.vecchi@ilfattoquotidiano.it © RIPRODUZIONE RISERVATA

dini intervistati, quindi includono una quota di rispondenti che non conosce il soggetto che è –intuitivamente – ben più alta nel caso della Boschi. Ma anche al netto di questa precisazione, possiamo notare un fortissimo calo della popolarità rispetto ai primi tempi. Il calo riguarda anche Renzi, la cui luna di

inviato a Firenze

ortano via le sedie, alle 21. Quando Matteo Renzi dovrebbe essere già sul palco a parlare nella sua Firenze, nella sala dell’Obihall, la stessa dalla quale nel 2008 lanciò la sua candidatura alle primarie a sindaco di Firenze ieri ha aperto la campagna per il Sì al referendum. Nel 2008 non c’era un centimetro libero. Capienza 1800 persone. Ieri balconate deserte e sala occupata a macchia di leopardo. Presenti circa in 850. Per metà politici locali. Pochissimi i volti noti. Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, Dario Nardella e il presidente del Consiglio Regionale, Eugenio Giani. C’è Graziano Cioni, lo sfidante forte del 2008, costretto a ritirarsi da un’inchiesta finita con una assoluzione piena. Defilato, ma in prima fila, Staino. COSÌ TROVA LA SALA il premier quan-

do arriva con 45 minuti di ritardo accompagnato dalla moglie Agnese Landini. A introdurlo, il video del suo intervento del 2008 e poi Nardella, l’erede. Che da anni studia da Renzi e anche ieri sera ci ha provato di nuovo. “Quelli che votano No ci trascineranno nella rissa, hanno già iniziato; ma se noi entriamo nel merito della riforma vinciamo facile”, esordisce. E lo ripete: “Parliamo del merito perché loro mentono e noi diciamo la verità”. Eccolo: “Il superamento del bicameralismo perfetto, basta ricorso massiccio ai decreti legge, abbattimento dei costi della politica”. La verità, diceva. Sono le 22 e gliene sfugge un’altra: “Se votiamo sì cambiamo il Paese, altrimenti restiamo

miele con il Paese è finita da tempo, e il cui tasso di fiducia oscilla regolarmente intorno al 30%. Ma nel caso della Boschi si è assistito a un vero e proprio tracollo, soprattutto considerando che ancora fino al 2015 il suo consenso era simile a quello di Renzi, nonostante una minore notorietà.

A casa Matteo Renzi ieri ha (ri) aperto la campagna elettorale per il Sì nella sua Firenze LaPresse

fermi”. Noi, aggiunge, “siamo l’Italia che vuole cambiare e vuole cambiare insieme a Matteo Renzi”. Ed eccolo, il premier, il Capo. Arriva da Perugia, dove nel pomeriggio ha già parlato del Sì al referendum all’istituto Capitini e ai contestatori ha ribattuto da dentro la sala: “Sicuramente siete più civili ed educati di Travaglio”. Il premier. E sempre dal palco del capoluogo umbro, invece di parlare di riforme, s’è scagliato contro la scelta del sindaco di Roma, Virginia Raggi, di non fare le Olimpiadi: si perdono posti di lavoro e “non si può perderli perché ci rassegniamo”. POCHE ORE PRIMA aveva visitato gli

Cosa è successo da allora? È successo che, a partire dalla fine del 2015, la Boschi è stata coinvolta nello scandalo relativo a Banca Etruria, che ha riguardato anche suo padre, già vicepresidente dell’istituto di credito successivamente “salvato” dal governo. Da quel momento, l’immagine della Boschi non si è più ripresa: il suo livello di fiducia si è tenuto per molti mesi tra il 10 e il 20%, una percentuale troppo bassa per un ministro di primo piano impegnato in una battaglia politica così importante. Questo probabilmente spiega perché, almeno fino a questo momento, a confrontarsi pubblicamente e a difendere la riforma in tv, ci va Matteo Renzi ma non Maria Elena Boschi.

stabilimenti della Perugina, azienda massacrata dai licenziamenti. Ma tant’è. Rientra nelle verità di Nardella. Anche a Firenze il discorso di Renzi va ovunque tranne che sul merito della riforma costituzionale. Dall’Obihall va alla sfida di 8 anni fa, che lo vide vincitore. Ma il seguito di allora è perso. Il vuoto in sala lo dimostra. Nonostante l’ora di ritardo. Gli tocca prender quello che c’è. Promette investimenti in “polizia, sicurezza, cultura: per ogni camionetta dell’esercito deve esserci un asilo nido; per ogni telecamera lungo le strade deve esserci un teatro che riapre”. E poi il terremoto, Amatrice “da ricostruire di corsa tutto”. E poi l’Onu, l’augurio che Hillary Clinton diventi presidente degli Stati Uniti. Ma i motivi del Sì al referendum? “Per cambiare l’Italia”. Per il referendum “saranno decisivi i voti della destra”. Scorrono gli spot pubblicitari della campagna per il Sì. Renzi parla. Dice che quando gli hanno proposto di fare il premier “non volevo, volevo le elezioni”. E via così. Dobbiamo votare Sì perché “i governi in Italia durano meno di un gatto in autostrada”. Abbiamo davanti una “sfida difficilissima, perché non ho mai visto tanta mistificazione, tante falsità tutte insieme”. L’ultima: “Ho combinato un bel pasticcio all’inizio, ma non ho personalizzato io il referendum”.

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DA.VE.

DA SAVONA

REFERENDUM IN SINTESI E SPIEGATO SU DUE PIEDI SEGUE DALLA PRIMA » FRANCESCA FORNARIO

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iù che convincere chi come me è contrario a q u e s t a r iforma perc h é c o ntrario all’idea che la governabilità, il risparmio, l’efficienza e gli altri eufemismi con i quali i fautori delle riforme propagandano la concentrazione del potere nelle mani di pochissimi votati da pochi siano valori da perseguire e non invece minacce per la democrazia, più che convincere quelli come me ho cercato di convincere quelli che la pensano all’opposto di me. Quelli che pensano che si debbano tagliare i costi della politica, tagliare i politici, eliminare i piccoli partiti e rendere più rapido il procedimento legislativo. Convincerli è facilissimo, perché questa riforma fa l’opposto di quel che promette: non elimina il Senato ma elimina la possibilità di eleggere i senatori; non assicura la governabilità poiché il fatto che sia solo una Camera a dare la fiducia non è affatto garanzia di stabilità dei governi (nell’Italia prefascista, quando solo la Camera votava la fiducia all’esecutivo, in 64 anni si sono succeduti 61 governi); non taglia i costi della politica (il ministro Boschi assicurava 500 milioni di risparmio. La Ragioneria dello Stato, che fa i conti per conto del ministro, ha fatto notare che il ministro aveva aggiunto uno zero di troppo), senza contare i costi per la giustizia amministrativa derivanti dai conflitti di attribuzione che la riforma solleva, con conseguente allungamento dei tempi di approvazione delle leggi. Questa riforma delude principalmente chi è d’accordo con i principi che l’hanno ispirata. Il taglio dei costi, la riduzione dei tempi, le promesse mancate furbescamente inserite nel quesito del referendum (Renzi assicura il contrario: “Non è vero che il quesito è una pubblicità ingannevole!”, si è difeso, mostrando la scheda elettorale. Dopo averla recuperata nello spam). Fatto, potete sedervi.


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