L'incontro delle parallele

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l’incontro delle parallele   9

in calcoli circonflessi. Oggi poi con un quarto d’ora di meno di luce, ecco presentarmisi già l’insetto proboscidato che pesca nel piattino dov’è rimasta la bruna traccia dell’indispensabile infuso usato per tenermi sveglio. Ha più d’una coda, dieci ali, una miriade d’occhi, ed io non ho nient’altro qui ora che una sfrenata immaginazione ad inserto, con gli accenti che mi sconvolgono le distanze e i contorni in un periodare rinforzato. Non è possibile che i più ignoti riferimenti appena al tavolo continuino che neppure è scesa completamente la notte, senza far danni. Ed eccomici già in una specie d’uniforme in cui mi rivesto quel tanto che possa darmi un minimo di coraggio, con tutti i galloni riscossi nel tempo a torto o a ragione. Sbarcato nella notte immane lo troverò stavolta l’uomo nero sprofondato in questo impasto d’antica vegetazione tutt’intorno elastica e paludosa fino ai piedi? Una statua dagli occhi pallidi, senza la stanchezza della carne, indeterminata, ma con una sua volontà invincibile, che s’approssima in mille spropositi a piedi nudi. E spossato dall’oscurità del luogo, il freddo della paura mi fa da nicchia sepolcrale foderata d’artigli sconosciuti, e contratto come mi trovo sulla pagina, me la racconto ancora una volta in precise resezioni d’anatomia, modellandomela in una materia incoerente e vertiginosa della quale si compongono i sogni e gli enigmi. La notte oscilla quale corda al vento, mentre l’enorme allucinazione del disco lunare perfettamente scialbato, secerne la sua gravezza grinzosa, svelandosi nella minaccia d’un pugno serrato color granata, che nella penombra s’alza e s’ingrossa schiudendosi a sesso enfiato negli umori della glassa notturna che abbottona una giornata all’altra. La casa scivola in un silenzio notturno in cui solo io resto acceso come un tabernacolo, incredulo per le troppe responsabilità che mi sono assunto senza che nessuno me ne abbia chiesto pegno; e lo spasimo dello star sveglio mi reca il prodigioso piacere di esserci e di non esserci al tempo stesso, nessuno potendomi contraddire, almeno in questo. La notte scorre come frotta di topolini voraci che non l’arresti né barriere né trappole, e finché dura m’industrio a costruirvi castelli muniti, assiepati di difensori instancabili. Torri e pinnacoli senza badare a spese, ma che finiscono però fragilissimi e che al solo guardarli precipitano, manco fossero di questa mia stessa sostanza effimera dispiegata in così tenebrose costernazioni.


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